IL CASO ETERNIT Momento consumativo del reato e prescrizione

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IL CASO ETERNIT
Momento consumativo del reato e prescrizione
Valerio Cucchiarini
1-Introduzione
Scopo del presente lavoro è l'individuazione del momento consumativo del reato di disastro
innominato, di cui all'art.434c.p., e le conseguenze che questo ha in ordine alla prescrizione.
Riprendendo quanto già sappiamo dalla teoria generale1, un reato si intende consumato quando nel
caso concreto si sono verificati tutti gli elementi del fatto descritto nella norma incriminatrice;
finché il reato non è giunto a consumazione, potranno eventualmente ricorrere gli estremi di un
tentativo (art.56c.p.).
Nei reati istantanei, una volta verificatasi la consumazione del reato, è irrilevante che la situazione
antigiuridica creata dall'agente si protragga nel tempo. Per capire meglio, si pensi al delitto di furto
(art.624c.p.): il momento consumativo si ha con l'impossessamento della cosa mobile altrui,
sottratta al detentore; non ha rilevanza che l'agente conservi e custodisca la cosa per un periodo più
o meno lungo, oppure la restituisca al detentore, ovvero perda il possesso della cosa rubata per
effetto dell'intervento delle forze dell'ordine.
Per quanto riguarda i reati permanenti, invece, il protrarsi nel tempo della situazione antigiuridica
creata dalla condotta è rilevante, nel senso che il reato è perfetto nel momento in cui si realizza la
condotta ed eventualmente si verifica l'evento, ma il reato non si esaurisce finché perdura la
situazione antigiuridica. Mentre nei reati istantanei tutto ciò che segue al momento consumativo del
reato è irrilevante ai fini della sua esistenza, nei reati permanenti la consumazione può perdurare nel
tempo e gli atti compiuti dal soggetto per conservare la situazione antigiuridica appartengono
ancora alla fase consumativa del reato. Un esempio classico è il sequestro di persona (art.605c.p.):
il reato è già consumato allorché una persona viene privata della libertà di movimento, anche solo
per un breve lasso di tempo, ma la fase consumativa del reato perdura per tutto il tempo in cui
l'agente volontariamente mantiene la vittima in stato di privazione di libertà (anche per mesi o
anni). Il reato permanente è assoggettato ad una disciplina peculiare sotto vari aspetti: per quel che
qui interessa, il momento in cui inizia a decorrere il termine della prescrizione.
Al sopraggiungere della prescrizione, il reato si estingue: la legge dà rilievo al venir meno
dell'interesse pubblico alla repressione dei reati, e quindi all'applicazione di tutte le sanzioni penali,
quando dalla commissione del reato sia decorso un tempo proporzionato alla sua gravità, che è
desunta dall'edittale di pena. Il tempo necessario a prescrivere il reato è pari al massimo della pena
1
MARINUCCI-DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, GIUFFRÈ, 2009, Milano
1
edittale stabilita dalla legge e comunque... non inferiore a sei anni se si tratta di delitto, a quattro
anni se si tratta di contravvenzione (Art.157 Co.1 c.p.). Tali termini valgono anche se si tratta di
delitti o contravvenzioni puniti con la sola pena pecuniaria. Ai fini del calcolo, rilevano le
circostanze aggravanti che comporterebbero una pena di specie diversa da quella ordinaria (ad
esempio, reclusione in luogo della multa), in tal caso si parla di circostanze autonome; nonché le
aggravanti che comportano un aumento di pena superiore ad un terzo. Le circostanze attenuanti non
rilevano, ai fini del calcolo della prescrizione..
Il termine della prescrizione inizia a decorrere, per i reati istantanei, dal giorno della consumazione
del reato, mentre, per i reati permanenti, dal giorno in cui è cessata la permanenza.
Interessanti sono i reati istantanei ad effetto perdurante. In questo caso il reato istantaneo è
riconosciuto come avente effetti perduranti quando le conseguenze del reato si distribuiscono nel
tempo: per fare un esempio, una invalidità conseguente alle lesioni personali (art.582c.p.). Un altra
figura di cui dobbiamo tener conto è il reato eventualmente permanente, che si ha quando la norma
incriminatrice non disciplina un reato permanente, ma è il soggetto agente a mantenere lo stato di
antigiuridicità in maniera costante nel tempo. Queste due definizioni, insieme a quella di reato
permanente, ci torneranno utili nel momento in cui andremo ad esaminare le parole della Corte di
Cassazione2
Per meglio comprendere le tematiche in gioco, seguirò la vicenda ETERNIT 3 nel suo sviluppo
processuale, partendo dalla sentenza di I grado, fino poi a giungere alla recente sentenza della Corte
di Cassazione, che ha portato ad un verdetto impopolare e, per certi versi, inatteso: il reato è
prescritto.
Prima di passare alla disamina delle sentenze, solo qualche breve accenno ai fatti, che hanno
portato a tale vicenda processuale. In Italia vi erano quattro stabilimenti, gestiti dalla holding Eternit
Italia Spa, che nell'ultimo periodo era controllata da un gruppo svizzero 4. Il problema
della
lavorazione dell'amianto, soprattutto se eseguita a secco, è il rilascio nell'area delle particelle (il c.d.
polverino), che se inalate, sono cancerogene; le malattie5 che ne conseguono terminano sovente con
la morte del soggetto che ha inalato le polveri. Ulteriore problema è il fatto che la contaminazione
non ha
riguardato solo i luoghi di produzione, ma anche l'ambiente circostante, con grave
pregiudizio per la popolazione residente. Se pensiamo alle morti o alle lesioni di coloro che
lavoravano all'interno dello stabilimento, vi è un nesso causale evidente tra l'inalazione delle polveri
2 Vedi paragrafo 5, ove i giudici di I grado parlano di evento perdurante.
3 Società produttrice di manufatti in amianto operante in Italia fino al 1986
4 Nel periodo precedente, la società è stata di proprietà italiana fino agli anni '50, per poi essere ceduta ad un gruppo
belga.
5 Si tratta asbestosi e tumore polmonare, nonché di mesotellioma (pleurico e peritonale).
2
d'amianto e la morte o malattia che ne conseguita. La questione si complica per le persone residenti
nelle zone limitrofe agli impianti: vi sono statistiche che indicano, per una certa patologia, un certo
numero di morti o malattie attese; ma, nei luoghi in questione, tali statistiche “impazziscono”, a
causa del forte incremento determinato dalla contaminazione delle polveri d'amianto. A questo
punto, l'eccesso di morti e malattie riscontrato può rientrare sia nella previsione statistica, sia nelle
morti o malattie dovute all'inalazione delle polveri; la prova del nesso causale si complica.
2-Il Tribunale di Torino
Partendo dalla sentenza di I grado6, vorrei innanzi tutto fare un breve accenno alle posizioni dei
due imputati. Sia De Cartier7, nel periodo di gestione belga, che Schmidheiny8, nel successivo
periodo
svizzero, avevano rivestito posizioni apicali nelle società controllanti in qualità di
amministratori delegati. Gli imputati erano a conoscenza delle condizioni e della cattiva qualità
degli ambienti di lavoro cui versavano gli stabilimenti italiani, quindi sono difetti inerenti
all'organizzazione produttiva dei quali essi rispondono come vertici del gruppo societario.
Le condizioni di lavoro all'interno degli stabilimenti erano assai precarie: il processo produttivo
non rispettava le più elementari regole precauzionali, nemmeno dopo gli interventi effettuati dalla
proprietà svizzera. Molto interessanti sono le modalità di dispersione dell'amianto, perché hanno
conseguenze sul momento consumativo del reato di disastro. Se prendiamo in esame le modalità di
dispersione comuni9 a tutti gli stabilimenti, queste hanno terminato di provocare i propri effetti
pericolosi per la salute pubblica con la cessazione dell'attività produttiva nel 1986. Vi sono poi
dei casi specifici10, che riguardano l'abitudine di rivendere il materiale di scarto della produzione e
il suo riutilizzo per pavimentare strade e cortili, nonché nell'edilizia. In questo ultimo caso, la
popolazione residente è tuttora soggetta all'azione delle fibre di amianto, Il momento consumativo
quindi è spostato in avanti.
3-Art.437c.p.
La strategia adottata dall'accusa prevede due capi di imputazione: l'art.437c.p.11, che esamineremo
6 Sentenza del 13-02-2012 n.
7
AD nel periodo 1966-1974
8
AD nel periodo 1974-1986
9 Trasporto della materia prima; il lavaggio e rammendo di tute e sacchi affidato alle famiglie degli operai; la
polverosità creata nell'ambiente circostante gli impianti; nonché le modalità di abbandono dopo la chiusura degli
stabilimenti.
10 Si tratta degli stabilimenti di Casale e Cavagnolo
11 Art.437c.p. Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro- Chiunque omette di collocare
impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è
3
subito, e l'art.434c.p. (v. par.4). Il delitto di omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul
lavoro. La norma mira a proteggere la sicurezza collettiva in uno specifico, importante ambito: i
luoghi di lavoro. Questo non significa che siano solo i lavoratori i destinatari della tutela; infatti,
anche soggetti estranei all'attività lavorativa possono entrare in contatto con i numerosissimi rischi
connessi all'esercizio di ogni attività produttiva. Proprio l'intrinseca pericolosità dell'attività
lavorativa rende rilevante il ruolo svolto da tale fattispecie; essa è uno strumento di tutela della
sicurezza dei luoghi di lavoro soprattutto per i limiti edittali previsti ella forma aggravata: da tre a
dieci anni se il disastro o l'infortunio si verifica; in questo modo, chi non ha garantito la sicurezza e
l'integrità fisica dei lavoratori rischia di dover scontare una pena detentiva (è evidente la funzione
preventiva, sia generale che speciale)12. Il delitto in questione è da ascriversi alla categoria dei reati
propri, perché soggetto attivo è necessariamente il datore di lavoro. Per
condotta, essa consiste nella mancata adozione
quanto concerne la
delle cautele richieste dalla normativa
antinfortunistica13; l'omissione in questione deve avere ad oggetto cautele volte alla prevenzione di
disastri o infortuni. L'elemento soggettivo è rappresentato dalla piena consapevolezza non soltanto
della condotta posta in essere, indipendentemente dal fatto che sia commissiva o omissiva, ma
anche della destinazione antinfortunistica dei dispositivi omessi; non è poi necessario che il dolo si
estenda all'evento dannoso del disastro o dell'infortunio. Interessante è la fattispecie di cui al
secondo comma, perché la sua qualificazione come circostanza aggravante o come fattispecie
autonoma ha rilievo ai fini della prescrizione. In base ai criteri dell'art.157 Co.2 già visti nella parte
introduttiva14, per il Tribunale di Torino, ogni singola malattia-infortunio prodotta dalla condotta
omissiva configura un'autonoma fattispecie delittuosa, il cui termine di prescrizione decorre dal
momento in cui tale malattia è stata diagnosticata. Ne consegue, che devono ritenersi prescritti i
reati relativi alle patologie insorte prima del 13 Agosto 1999. La qualificazione come circostanza
aggravante avrebbe avuto come esito la condanna per tutte le patologie addebitabili agli imputati;
riporto le esatte parole della sentenza15: “Tutte le circostanze aggravanti sono rilevanti per la
determinazione del termine prescrizionale e, dunque, il reato non può considerarsi consumato se
non dopo la verificazione di tutte le circostanze aggravanti che risultano contestate, con l'effetto di
spostare il dies a quo della prescrizione, facendolo coincidere con la verificazione dell'ultima
aggravante contestata, per cui, nel nostro caso, attesa l'unitarietà del reato di cui al primo comma
12
13
14
15
punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.
D.PULITANÒ, manuale di diritto penale, parte speciale, volume I tutela penale della persona, Torino Giappichelli
2011, p.149-150.
TU contenuto nel d.lgs. n.81-2008 “salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”
V. paragrafo introduttivo nella parte in cui si da conto della disciplina generale della prescrizione.
V. Sentenza di I grado a pag.496
4
dell'art.437, si dovrebbe concludere che la prescrizione non è maturata con riferimento a nessuna
delle malattie che hanno colpito le persone offese.”
L'impostazione come fattispecie autonoma di reato non è condivisa dalla successiva sentenza
della Corte d'Appello di Torino16. Essa dichiara la prescrizione del reato in esame preferendo la tesi
della giurisprudenza maggioritaria, che qualifica tale fattispecie come circostanza aggravante: il
dies a quo è fissato al momento della cessazione della condotta di cui al primo comma
dell'art.437, quindi in corrispondenza con il fallimento di Eternit nel 1986.
4-Art.434c.p.
Il reato di disastro innominato doloso 17 . Prima di passare alla disamina del reato in questione, solo
una breve digressione per tracciare i contorni di questa figura assai problematica18: si tratta di una
previsione di chiusura, finalizzata ad incriminare qualsiasi altro disastro, diverso da quelli indicati
negli articoli precedenti, nella prospettiva di rendere più efficace la tutela della collettività. La scelta
del legislatore è giustificata da quelle vicende che sono riconnesse allo sviluppo tecnologico ed ai
possibili pericoli per la collettività, per quanto attiene alle sostanze pericolose, all'inquinamento
atmosferico od elettromagnetico, alla tutela dell'ambiente. Il rischio che si corre, nell'estendere la
tutela, è quello di violare il principio di tassatività19, inserendo delle fattispecie, che non sarebbero
conformi al tipo del disastro nominato definito dalla norma. Lo vedremo meglio tra poco, ma sul
punto è intervenuta la Corte Costituzionale, che interpretando la nozione di disastro a permesso di
ricondurre sotto questa fattispecie anche i disastri ambientali.
Abbiamo sia condotte commisive che omissive: per quanto riguarda il disastro, hanno rilievo le
posizioni di garanzia di coloro che gestiscono le attività industriali nelle quali si utilizzano sostanze
pericolose.
Tornando a noi, sotto il profilo del soggetto attivo, è da considerarsi reato comune, quindi può
essere commesso da chiunque. Dal punto di vista della condotta posso solo sottolineare che, non
solo si tratta di un fatto diretto a cagionare un disastro, ma che questo deve aver provocato un
disastro di proporzioni straordinarie. Quanto all'elemento soggettivo, il dolo richiesto è quello
16 Sentenza del 03-06-2013 n.
17 Art.434c.p. Crollo di costruzioni o altri disastri dolosi- Chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti,
commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro è
punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni.
La pena è della reclusione da tre a dodici anni se il crollo o il disastro avviene.
18 Pulitanò, manuale di diritto penale, parte speciale, volume I tutela penale della persona; giappichelli 2011
19 D.PULITANÒ, manuale di diritto penale, parte speciale, volume I tutela penale della persona, Torino Giappichelli
2011, p.147.
5
generico, quindi il soggetto attivo si deve rappresentare che dalla propria condotta può derivare
pericolo per la pubblica incolumità, agendo con la consapevolezza che la condotta posta in essere ha
l'intrinseca e naturale capacità di cagionare un disastro20. Tale impostazione è confermata anche dal
secondo comma, che, qualificato come fattispecie autonoma, esclude il dolo intenzionale, perché
altrimenti non rileverebbero né il dolo diretto, né il dolo eventuale; la sentenza ci dice che: “[gli
imputati] hanno agito nella piena e perfetta consapevolezza degli enormi danni che sarebbero stati
arrecati all'ambiente ed alla salute delle persone in conseguenza dei propri comportamenti
criminosi, dal momento che gli effetti della loro condotta, non solo erano ampiamente prevedibili,
ma erano stati ampiamente previsti”21.
La Corte Costituzionale22, intende il disastro innominato come una species del genus disastro: si
tratta di un accadimento certamente diverso , ma comunque omogeneo, per struttura rispetto alle
figure di disastro comprese nel capo I del titolo VI. Il reato di disastro innominato si realizza in
conseguenza di una condotta, che produca un evento distruttivo di grandi proporzioni, con effetti
dannosi, gravi ed estesi; nonché un pericolo per la vita e l'integrità fisica di un numero
indeterminato di persone; non è necessario che si verifichi la morte o lesione di più soggetti. Nel
nostro caso, è particolarmente complicato ricondurre il disastro innominato, sub specie di disastro
ambientale, al paradigma del disastro nominato; infatti la dottrina ha osservato che mancherebbero
almeno due requisiti strutturali: a) una causa violenta che inneschi il verificarsi dell'evento, da
ravvisarsi in una condotta violenta, comportante l'impiego di energia fisica; b) un accadimento
naturalistico a carattere istantaneo, o comunque con un inizio ed una fine determinati, il cui
manifestarsi fa immediatamente sorgere il pericolo per l'incolumità pubblica.
Veniamo ora alla tematica che più ci interessa: il calcolo della prescrizione. Secondo l'impostazione
data dall'accusa, il reato non è da considerarsi prescritto, ma ancora in corso di consumazione,
perché vi sarebbe la condotta omissiva degli imputati, consistente nel non impedire l'aggravamento
del disastro che continua a verificarsi a distanza di anni. Il tribunale esclude la qualificazione del
reato come omissivo permanente e pone l'accento sul momento in cui deve considerarsi realizzato
l'evento di disastro, dalla cui verificazione, decorre il termine di prescrizione. A questo punto la
sentenza distingue le varie situazioni degli stabilimenti: per quanto riguarda Bagnoli e Rubiera,
l'inquinamento dell'ambiente esterno era legato alle condotte riconducibili all'attività produttiva,
quindi cessa con il cessare della produzione ed
è da considerarsi prescritto; per Casale
e
Cavagnolo rileva l'utilizzo che veniva fatto dei residui della produzione per costruire strade e
20 V. Sentenza di I grado a pag.503
21 V. Sentenza di I grado a pag. 508
22 V. Sentenza della Corte Costituzionale n.327-2008
6
abitazioni, infatti la popolazione è tuttora esposta alle polveri di amianto e si parla di evento di
disastro perdurante; in tal caso il reato è da ritenersi ancora in corso di consumazione.
Tale impostazione
non viene accolta dalla sentenza di II grado, la quale
dall'evento di disastro, descrivendolo come segue23:“La
prende le mosse
prorompente diffusione di polveri di
amianto avvenuta nei quattro siti produttivi gestiti dalle società italiane del gruppo Eternit e nelle
aree intorno ad essi ha, in effetti, interessato importanti insediamenti industriali e una vasta
porzione di territorio abitato
da migliaia di persone, seriamente modificando l'ecosistema
preesistente, ed ha contaminato un'ampia superficie geografica, così innescando il quadruplice
fenomeno epidemico tuttora in corso, caratterizzato dalla protratta e tuttora perdurante situazione
di pericolo per l'incolumità di un numero indeterminato di soggetti”. Il risultato non cambia: il
capoverso dell'art. 434 c.p. è da ritenersi fattispecie autonoma di reato ed il dies a quo della
prescrizione è fissato alla verificazione dell'evento di disastro. Tuttavia la Corte di appello fa un
ragionamento diverso, che non vuole la distinzione tra i quattro stabilimenti e non ritiene prescritta
nessuna delle fattispecie di disastro24:“ (…) la consumazione del reato deve correttamente essere
individuata soltanto nel momento in cui l'eccesso numerico dei casi di soggetti deceduti o
ammalati rispetto agli attesi, specificatamente riscontrato dalle indagini epidemiologiche in
relazione a tali siti, sarà venuto meno. Soltanto allora il reato di disastro innominato si potrà ritenere
consumato e potrà iniziare a decorrere il termine della prescrizione”.
5-La sentenza della Corte di Cassazione
Per comprendere meglio quando il reato di disastro innominato si consuma, occorre dare conto
della recente sentenza della Corte di Cassazione25. Essa ci dice: “Nel caso in esame la
consumazione del reato di disastro non può considerarsi protratta oltre il momento in cui ebbero
fine le immissioni delle
polveri e dei residui della lavorazione dell'amianto
prodotti dagli
stabilimenti della cui gestione la responsabilità dell'imputato26 : non oltre, perciò, il mese di giugno
dell'anno 1986, in cui venne dichiarato il fallimento delle società del gruppo”. Stando così le cose, il
termine di prescrizione, che in questo caso è di 15 anni, avrebbe iniziato a decorrere dal 1986 e
sarebbe spirato già prima della condanna in I grado. La domanda sorge spontanea: perché il decorso
della prescrizione non è stato rilevato già in I grado o in Appello?
In realtà si è cercato di reinterpretare la nozione di disastro innominato, e la disciplina della
23 V. sentenza d'appello a pag.477
24 V. sentenza d'appello a pag.588
25
Sentenza sez.I Corte di Cassazione del 23-02-2015, n.7941
26 La sentenza della CS si riferisce soltanto all'imputato Schmidheiny. De Cartier è deceduto durante i precedenti gradi
di giudizio.
7
prescrizione, per includervi un fenomeno che non era stato preso in considerazione dal legislatore
nella stesura della norma: stiamo parlando di un diffuso e perdurante inquinamento ambientale, con
annessa epidemia di malattie e morti, che è tutt'altro che terminata anche se cagionata da condotte
ormai risalenti nel tempo. A questo punto passerei all'esame delle teorie riguardanti il momento
consumativo, che sono emerse durante il processo, confrontandole poi con le statuizioni della Corte
di Cassazione. Come brevemente accennato nel precedente paragrafo27, vi è una perdurante
situazione di inquinamento pericoloso per l'incolumità pubblica, dovuto alla condotta degli imputati
sotto forma di omesso impedimento del protrarsi del disastro; ciò ha portato l'accusa a ritenere che
il disastro innominato fosse ritenersi reato permanente. Tale impostazione è respinta dalla Corte di
Cassazione, che non dà rilievo alla mancata o incompleta bonifica dei siti. Attribuire una
responsabilità del genere all'imputato porterebbe a rintracciare una condotta commissiva, ed un'altra
omissiva, successiva, che violerebbe l'obbligo di far cessare la situazione antigiuridica prodotta.
Ma, di tale obbligo, non vi sarebbe traccia nella norma.
La Corte di Cassazione non accetta neppure l'impostazione offerta dal Tribunale, che pure aveva già
scartato la tesi del reato permanente proposta dall'accusa.
I giudici di I grado ritengono che il disastro integri un “evento perdurante”, di per se in grado di
spostare in avanti la fase consumativa, anche senza le condotte (siano esse attive od omissive).
Secondo la Cassazione, il Tribunale avrebbe confuso, sia le nozioni di reato permanente e reato
istantaneo a condotta perdurante, sia quelle di evento differito ed effetti permanenti. Nel reato
permanente si determina uno spostamento in avanti della consumazione rispetto al momento della
realizzazione del reato, in quanto e fino a quando la condotta sostenga concretamente la causazione
dell'evento. Diverso è il reato ad evento differito: qui si ha un distacco temporale fra la condotta e
l'evento tipico ad essa causalmente collegato; nel
caso di specie, nella parte in cui l'evento
disastroso si è realizzato contestualmente al protrarsi della condotta causativa e ha continuato a
prodursi fino a che questa è stata perpetrata.
Neppure l'interpretazione offerta dalla Corte d'Appello sembra convincere la Cassazione, che
riconduce la norma all'interpretazione maggioritaria in giurisprudenza e dottrina28. Il Capoverso
dell'Art434cp ha natura di
circostanza aggravante, non fattispecie autonoma, poi la Corte di
Cassazione precisa che : “La considerazione della realizzazione del disastro alla stregua di
aggravante non comporta tuttavia, ad avviso del Collegio, che, ai fini della individuazione della
data di consumazione del reato e della decorrenza quindi dei termini di prescrizione, l'evento non
27 Al par. 4, all'inizio del discorso sul calcolo della prescrizione, si parla della condotta omissiva degli imputati:
omesso impedimento.
28 Si tratta di un orientamento consolidato nella giurisprudenza della Corte, dal quale i giudici di merito si erano
discostati.
8
debba essere considerato”. L'evento di disastro sarebbe un elemento aggravatore, ma la data di
consumazione del reato coincide con il momento in cui l'evento si è realizzato. In altre parole,
l'evento di disastro va considerato comunque, anche se mero evento aggravatore, ma questo non
influisce sulla determinazione del dies a quo della prescrizione, che va fissato al momento della
realizzazione dell'evento di disastro.
6- Le alternative al disastro innominato: omicidio e lesioni personali.
Il risultato a cui è giunta la Cassazione è il seguente dispositivo: “annulla senza rinvio la sentenza
impugnata nei confronti dell'imputato Schmidheiny Stephan Ernst relativamente al reato di cui
all'art.434cp di cui al capo b)della rubrica e alle conseguenti statuizioni di condanna nei confronti
del predetto imputato e dei responsabili civili, perché il reato è estinto per prescrizione maturata
anteriormente alla sentenza di primo grado” .
Un epilogo completamente diverso dalle due sentenze di merito, che condannavano gli imputati a
pene severissime. Il problema che mi interessa porre è il seguente: o la scelta della Corte di
Cassazione non è giuridicamente corretta , oppure l'errore è stato commesso dalla Procura di
Torino, che ha contestato ai responsabili un reato già prescritto. Quanto al primo aspetto, mi
sembra di aver chiarito, soprattutto nel paragrafo precedente, che la Cassazione ha operato nel
modo corretto, anche con riguardo alla giurisprudenza maggioritaria e alla dottrina. Un discorso un
po' più ampio può essere svolto in ordine alla scelta dei capi d'imputazione operata dall'accusa.
Se vengono contestati l'omicidio o le lesioni personali il problema non si pone, perché i tragici
eventi, purtroppo ancora attuali, segneranno il dies a quo della prescrizione, sicché l'ultima morte o
malattia professionale terrà in piedi il processo. Se è vero che ogni morte e lesione è collegata alla
medesima condotta (morte e lesioni plurime), allora ogni singola morte o lesione è ad essa riferibile,
sicché si terra conto dell'ultima morte o lesione, che si è verificata, da cui far poi partire il decorso
della prescrizione. Tuttavia, l'accusa preferisce una strategia differente (utilizzata anche in altri
processi), con la quale contesta il disastro, come macro-evento che ha messo in pericolo la vita e
l'incolumità fisica di un numero indeterminato di persone, poi effettivamente colpite da malattia o
morte. A questo punto il termine di prescrizione sarà da considerarsi decorso in base al principio
secondo cui: il disastro si consuma con la cessazione della condotta (avvenuta molti anni prima), e
non fino a quando questa produce i suoi effetti (cioè, le malattie e le morti)29. La verità è che, la
scelta operata dall'accusa di imputare il disastro, porta ad una semplificazione dell'onere probatorio,
che dovrebbe riguardare il solo nesso causale tra le condotte e l'evento di disastro; mentre, con
l'omicidio o le lesioni personali, il nesso di causalità andrebbe provato per ogni morte o lesione,
29 Editoriale di Gian Luigi Gatta, rivista on-line “diritto penale contemporaneo”
9
con i problemi già esposti all'inizio della trattazione30.
Per dare una risposta a tali problematiche, è attualmente all'esame del Senato un disegno di legge31,
già
approvato dalla Camera dei Deputati nel febbraio 2014, che introduce in un nuovo
art.452quater nel codice penale, il delitto di
disastro ambientale: fino ad oggi una figura di
creazione giurisprudenziale ricondotta al disastro innominato. Riporto il testo della norma32:
Disastro ambientale- Fuori dai casi previsti dall'art.434, chiunque abusivamente cagiona un disastro
ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni. Costituiscono disastro ambientale
alternativamente:
1)l'alterazione irreversibile dell'equilibrio di un ecosistema;
2)l'alterazione dell'equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e
conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;
3)l'offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della
compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte al
pericolo.
Quando il disastro è prodotto un'area naturale protetta o sottoposta a
vincolo paesaggistico,
ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o
vegetali protette, la pena è aumentata.
La norma introduce una nozione legale di disastro ambientale e la definizione di cui al n.3 sembra
fare al caso nostro.
Le altre disposizioni contenute nel disegno di legge contemplano: inquinamento ambientale; morte
o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale; delitti colposi contro
l'ambiente; traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività; impedimento del controllo;
omessa bonifica; ispezione di fondali marini. Vi sono poi due circostanze aggravanti, riguardanti
l'associazione per delinquere e l'associazione di tipo mafioso. Un ulteriore aggravante è quella
ambientale. È inserita l'attenuante del ravvedimento operoso. Seguono, in fine, le norme sulla
confisca e il ripristino dello stato dei luoghi.
La normativa sopra elencata andrebbe a formare, nel codice penale, un autonomo titolo “dei delitti
contro l'ambiente”, il VI bis, collocato subito dopo i delitti contro l'incolumità pubblica.
30 Vedi parte finale paragrafo 1
31 Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente
32 Scheda di Marco Montanari, rivista on-line “diritto penale contemporaneo”
10
7- Considerazioni finali
Per concludere il discorso vorrei porre l'attenzione su quanto
affermato, a chiusura della
requisitoria, da Francesco Iacoviello: “Ci sono momenti in cui diritto e giustizia vanno da parti
opposte; è naturale che le parti offese scelgano la strada della giustizia, ma quando il giudice è
posto di fronte alla scelta drammatica tra diritto e giustizia non ci sono alternative: il giudice è
sottoposto alla legge; tra diritto e giustizia, deve scegliere il diritto.33”
La soluzione, seppur logica da un punto di vista giuridico, è inaccettabile dal punto di vista della
giustizia sostanziale. La domanda che mi pongo è la seguente: la Corte di Cassazione aveva
alternative?
Una possibilità poteva essere un annullamento con rinvio, magari invitando l'accusa a rivedere i
capi d'imputazione inserendo l'omicidio e le lesioni personali. Il problema del momento
consumativo e del dies a quo della prescrizione è risolto, ma a questo punto diventerebbe più
complicato provare il nesso causale per ogni singolo evento di morte o lesione, per la difficoltà di
ricondurre queste tra quelle statisticamente attese o tra quelle effettivamente dovute all'esposizione
all'amianto. A mio avviso non è questa la strada da percorrere.
Concludo sottolineando quanto la necessità di un intervento legislativo sia evidente: non tanto per
l'istituto della prescrizione, anche se tale istituto meriterebbe una riforma al più presto, ma più che
altro per i reati ambientali, auspicando che il DDL concluda il proprio iter parlamentare,
introducendo una fattispecie ad hoc, che in futuro potrà essere utilizzata per casi di disastro
ambientale.
33 Appunti del Cons. Francesco Iacoviello, rivista on-line “diritto penale contemporaneo”
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