1 Modulo 34: La domanda aggregata 34.1. Apertura alla variazione dei prezzi In questa lezione, oltre all’intero corso, chiuderemo il discorso attorno ai principali modelli macroeconomici keynesiani presentando il cosiddetto modello di domanda e offerta aggregata (semplicemente, AD-AS, dagli acronimi inglesi Aggregate Demand e Aggregate Supply). Anche in questo caso, come discusso nel momento in cui abbiamo descritto l’estensione dal modello reddito-spesa al modello IS-LM, cercheremo di sviluppare meglio alcune tematiche di carattere economico e di ampliare i nostri strumenti di analisi rendendoli quanto più possibile rispondenti alla realtà dei fatti. Iniziamo subito con l’osservare che una delle assunzioni fondamentali con le quali abbiamo iniziato i nostri ragionamenti, che ci hanno poi condotto a definire il modello reddito-spesa e IS-LM, era l’ipotesi che i prezzi non variassero, in altri termini assumevamo che tra variabili reali e variabili nominali non ci fosse alcuna distinzione. Effettivamente accettare che i prezzi sono fissi, permette di concentrare l’attenzione sulle variazioni che si determinano nella quantità prodotta nel momento in cui si crea uno squilibrio. Tuttavia, seguendo lo schema della lezione precedente, possiamo poter pensare di tener fuori le dinamiche dei prezzi da un modello che abbia la “presunzione” di spiegarci cosa accade a livello “macro” nel nostro sistema economico? Per essere più precisi, possiamo pensare che nel momento in cui si verifichi una situazione perturbante alle nostre condizioni di equilibrio, si possano escludere i meccanismi di riequilibrio avviati dalle variazioni dei prezzi? Anche in questo caso la domanda è retorica. Cerchiamo dunque di liberarci quanto possibile da questa assunzione e di osservare a che tipo di conseguenze perveniamo. Vediamo innanzitutto di sviluppare meglio il concetto di prezzi fissi che ci accompagna fin dal modello reddito-spesa. Nell’analisi di equilibrio macroeconomico che abbiamo condotto fin qui, per prezzi fissi facevamo ovviamente riferimento ai prezzi presenti nei mercati che, esplicitamente o implicitamente, avevamo preso in considerazione. In particolare, visto che stiamo ragionando su un unico grande “macro-bene” che è il prodotto nazionale (Y), diciamo che ciò che abbiamo considerato fisso era il suo prezzo, ovvero una qualche misura del livello generale dei prezzi (chiamiamola P). Contestualmente, abbiamo assunto nei nostri modelli il meccanismo della produzione attraverso l’attività delle imprese che impiegano fattori della produzione, soprattutto il lavoro. Di conseguenza anche il prezzo del lavoro, ovvero il salario, rientrava nell’assunzione della “stabilità dei prezzi”. L’unico prezzo che abbiamo visto variare è quello dei titoli. In realtà questa circostanza era legata unicamente alla necessità di osservare le implicazioni in termini di scelte di portafoglio dei soggetti, giungendo a derivare la nota relazione inversa tra questi e il tasso di interesse che abbiamo sfruttato per pervenire ai 2 meccanismi del modello IS-LM. Dicevamo dunque, che quando nei modelli precedenti osservavamo una assenza di equilibrio, ipotizzavamo una reazione che interessava la quantità prodotta. Non ci siamo posti il problema esplicitamente, ma anche uno squilibrio tra domanda e offerta di lavoro non implicava che l’aggiustamento procedesse da variazione nei salari. Nello sviluppo della lezione, ci occuperemo dunque di saggiare tutte le implicazioni che derivano dal rimuovere l’ipotesi di prezzi fissi, pur continuando ad assumere, almeno per il momento, che i salari non varino nel mercato del lavoro. Ma se ci proponiamo di eliminare l’ipotesi di prezzi fissi, perché mai dovremmo continuare a “portarci dietro” l’assunzione di un prezzo del lavoro fisso? Esistono fondate ragioni che giustificano la scelta. Innanzitutto perché, come al solito, siamo sempre propensi, laddove sia possibile, per la semplicità. Inoltre perché l’ipotesi di salari fissi, almeno nel breve periodo, è supportata da alcune “realistiche” considerazioni di carattere economico: I salari sono fissati attraverso contratti la cui validità si estende per periodi di tempo molto prolungati; Dal punto di vista tecnico, la possibilità che i salari siano contraddistinti da dinamiche di aggiustamento implica tanto che essi possono aumentare quanto scendere. Tuttavia, in ambito di contrattazione, l’eventualità di ridurre i salari è sempre decisamente avversata; In ogni caso, le correzioni del salario sono fenomeni che avvengono “molto lentamente”, ovvero nel lungo periodo. Come abbiamo detto, la semplicità e queste osservazioni ci consentono di continuare a mantenere l’ipotesi di salari fissi. Questa supposizione è definita, usando un linguaggio più adeguato, ipotesi di rigidità del salario nominale. Nel complesso questa ipotesi non può essere accettata per le variazioni del livello generale dei prezzi, che comunemente si verificano anche nel breve periodo. Iniziamo ad osservare che dal momento in cui il livello generale dei prezzi diviene una grandezza che può variare, dobbiamo recuperare la distinzione tra grandezze reali e grandezze nominali. Abbiamo già avuto modo di approfondire questa distinzione. In particolare, una grandezza reale si ottiene depurando una grandezza nominale dall’effetto dei prezzi. 1 Il valore reale di una qualsiasi somma di denaro misura la sua capacità di acquisto in termini di beni di quella somma. Se, ad esempio, la somma in questione è di 200€ e il prezzo di un bene è pari a 5€, allora il potere d’acquisto della somma considerata è pari a 40 unità. Trasponendo 1 A questo proposito si invita rivedere quanto detto a proposito di Pil reale e Pil nominale nel Modulo 27, pag. 2. in quel caso per depurare dall’effetto dei prezzi abbiamo preso in considerazione un indice, che abbiamo chiamato deflatore. 3 a livello macroeconomico, “40 pezzi di prodotto nazionale”. Dunque, scrivendo M/P, otteniamo la quantità reale di moneta, ovvero il potere d’acquisto che essa consente di esercitare.2 34.2. La domanda aggregata: la scheda AD Dicevamo che considerare i prezzi fissi nei nostri modelli (sostanzialmente avevamo fissato P=1) ci consentiva di non perdere tempo nel soffermarci a distinguere tra variabili reali e nominali. Tuttavia, nel momento in cui decidiamo estendere le nostre analisi alla possibilità di avere “prezzi variabili”, il discorso ovviamente cambia. Richiamiamo alla mente il modello IS-LM, che abbiamo appena finito di conoscere e vediamo se questa distinzione ci induce ad una rivisitazione radicale di quanto abbiamo visto. Iniziamo subito con il dire che in questo contesto siamo interessati ad osservare il prodotto reale, dunque considereremo come tale il nostro Y. Richiamando la nota condizione di equilibrio, se Y rappresenta il reddito reale, anche la domanda aggregata sarà una grandezza reale. Fin qui il ragionamento è filato liscio. Tuttavia, una parte fondamentale dei processi attraverso i quali abbiamo costruito i nostri modelli si concentrava nel definire le determinanti delle variabili che abbiamo preso in considerazione. Ecco dunque che sorge la domanda: in questo “mondo di prezzi variabili”, consumo e investimento dipendono da variabili reali o nominali? Vediamo il consumo. Nei nostri dibattiti economici in più di una occasione ci è capitato di riconoscere che se raddoppiano gli stipendi e raddoppiano i prezzi, in realtà non cambia nulla. Di conseguenza non c’è motivo per cui, in una simile eventualità, le famiglie debbano mutare la struttura dei loro consumi. Dunque possiamo ben dire che le decisioni di spesa per consumi delle famiglie dipendono dal reddito reale. Questo significa, tecnicamente, prendere per buona l’ipotesi di assenza di illusione monetaria, assunto che riterremo valido, estendendolo anche alle decisioni delle imprese sugli investimenti. Se dunque “revisioniamo” la scheda IS alla luce di queste affermazioni possiamo dire che in realtà non ci cambia nulla, basta ricordare che da questo momento in poi abbiamo a che fare con variabili reali. Qualche parola in più deve essere spesa, al contrario, per la scheda LM, non tanto per ciò che attiene la domanda di moneta, quanto per l’offerta. In effetti, sotto la nuova ipotesi, guarderemo alla domanda di moneta come domanda di liquidità “reale”, la quale dipende dal reddito reale e dal tasso di interesse; mentre intendiamo M come l’offerta nominale di moneta. Naturalmente l’equilibrio sul mercato della moneta (che ricordiamo è rappresentato dalla scheda LM) si stabilisce tra grandezze omogenee, quindi delle due l’una: o prendiamo la domanda di moneta in termini nominali o consideriamo l’offerta reale di moneta. Dato che abbiamo già fissato grandezze reali sulla scheda IS procediamo per analogia e consideriamo 2 Cfr. Rodano (2000), Cap. 8. 4 anche la scheda LM espressa in termini reali, operando in questo modo sull’offerta di moneta. In particolare la LM sarà riformulata nel seguente modo: M kY hr P (34.1) Occorre dare risalto ad una importante precisazione. Si osservi che mentre l’offerta nominale di moneta ( M ) è una dato, poiché ricordiamo è sotto il controllo dell’autorità monetaria (per questo manteniamo la barra sopra la M), lo stesso non accade per l’offerta reale di moneta ( M / P ). Infatti se varia il livello generale dei prezzi (P), dato M , l’offerta reale di moneta varierà anch’essa. Notiamo che siamo in presenza di una situazione simile a quella verificatasi quando dal modello reddito-spesa siamo “confluiti” nel modello IS-LM. Nel primissimo modello macroeconomico che abbiamo affrontato avevamo un solo livello di equilibrio per Y. Inserire il tasso di interesse, ipotizzando che da esso, in parte, dipendevano gli investimenti, ci ha permesso di pervenire alla scheda IS che rappresentava dunque un “luogo di punti di equilibrio” per Y (uno per ogni livello di r).3 In questo contesto, avviene qualcosa di simile, dato che per ogni livello di P, c’è una diversa scheda LM. Vediamo dunque di indagare, in base alla rivisitazione del modello IS-LM con prezzi variabili, che tipo di relazione lega prodotto e livello generale dei prezzi. Partiamo dal livello del prodotto di equilibrio, identificato dall’incontro tra scheda IS ed LM. Cosa accade alla LM se i prezzi, da un iniziale livello P0, salgono a P1 ( P1 P0 )? Dato che l’offerta nominale di moneta è fissa, l’aumento dei prezzi determina una contrazione dell’offerta reale di moneta. Questo significa che la scheda LM che avremo in corrispondenza dei prezzi P1, analogamente a quanto succedeva nel modello a prezzi fissi quando si riduceva l’offerta di moneta, si trova più spostata verso sinistra rispetto alla posizione iniziale. A seguito di questo spostamento avremo un nuovo livello di equilibrio del prodotto (Y1) più basso rispetto al precedente. Analogamente, se assistiamo ad una riduzione dei prezzi è agevole pensare che ci troveremo nella situazione opposta. Possiamo concludere che tra prodotto e livello dei prezzi sussiste in questo caso una relazione inversa. Se vogliamo rappresentare graficamente quanto abbiamo scoperto, otterremo un grafico del tipo riportato in Figura 34.1/basso. Questa curva prende il nome di curva della domanda aggregata o altrimenti scheda AD.4 Definizione 34.1: La curva della domanda aggregata rappresenta tute quelle combinazioni di prodotto e livello generale dei prezzi che assicurano l’equilibrio macroeconomico, ovvero 3 4 Si riveda a questo proposito la Definizione 31.1, Modulo 31 – pag. 6. Cfr. Rodano (2000). 5 che corrispondono ai punti di incontro delle schede IS ed LM. In altri termini quei punti che assicurano l’equilibrio sul mercato dei beni e sul mercato della moneta. Figura 34.1: Derivazione della curva della domanda aggregata (scheda AD) r LM1 (P1) LM0 (P0) IS Y1 Y0 Y Y P P1 P0 AD Y1 Y0 Y Y Il piccolo esercizio sull’equilibrio del modello IS-LM ha evidenziato una relazione inversa tra prodotto e prezzi che abbiamo descritto come domanda aggregata. Il fatto che la curva AD sia decrescente può essere spiegato anche attraverso altre vie attraverso le quali si risponde alla domanda: perché un P più basso stimola all’aumento di Y e viceversa? Una prima risposta si trova nella descrizione di un meccanismo di impulsi e reazioni noto come effetto Keynes: Effetto Keynes. La diminuzione del livello generale dei prezzi: Accresce l’offerta reale di moneta; Ciò fa in modo che nel mercato della moneta ci sia un eccesso di offerta che si trasmette in un eccesso di domanda nel mercato dei titoli (ce lo dice la legge di Walras); 6 Questo determina un innalzamento del prezzo dei titoli e simmetricamente una riduzione del tasso di interesse; La discesa del tasso d’interesse stimola gli investimenti e, per il tramite del moltiplicatore, l’intera domanda aggregata; L’aumento della domanda aggregata spinge ad un aumento del prodotto. L’effetto Keynes incontra un limite nel fatto che il tasso di interesse non può diventare negativo. Nonostante la curva AD divenga sempre più schiacciata verso l’asse delle ascisse, esiste un “livello soglia” di Y per cui nella IS il tasso di interesse diviene pari a zero (si osservi il punto Y indicato in Figura 34.1/alto, in corrispondenza del quale r=0). Tecnicamente, un’ulteriore riduzione di P fa aumentare il prodotto, ma nel prospetto IS-LM ciò significa spingersi verso valori negativi del tasso di interesse, eventualità che non abbiamo preso in considerazione per lo sviluppo del modello e pertanto escludiamo.5 Dunque l’effetto Keynes si rivela non più efficace per descrivere questa circostanza. Un’ulteriore risposta alla domanda iniziale circa la relazione tra Y e P è fornita da un altro meccanismo definito effetto ricchezza reale o effetto Pigou.6 Effetto Pigou. L’effetto Pigou si sostanzia in una semplice constatazione il cui presupposto è prendere in considerazione, in luogo del solo reddito, l’intero patrimonio di cui dispongono i soggetti, ovvero la ricchezza. Anche in questo caso, se consideriamo il patrimonio reale, una riduzione del livello generale dei prezzi determina un aumento della ricchezza reale. È immediato comprendere che un aumento della ricchezza reale induce un aumento della spesa per consumi e attraverso il moltiplicatore, del prodotto. Per il tramite del legame inverso tra prezzi e patrimonio, questo può giustificare la presenza di una curva AD decrescente. Fino ad ora abbiamo trattato la curva AD semplicemente da un punto di vista grafico. Per come l’abbiamo derivata e per quello che di conseguenza rappresenta, è facile fornirne anche una formulazione analitica. Se infatti deriva semplicemente dalla condizione di equilibrio del modello IS-LM, “aprendola” alla possibilità che i prezzi varino, otteniamo: Domanda aggergata (scheda AD) : Y m1 A m2 5 M P (34.2) Cfr. Rodano (2000), Cap 8. Sappiamo dalla Lezione 10 che il tasso di interesse nominale non può essere negativo, cosa che al contrario può accadere per il tasso nominale. Tuttavia escludiamo questa eventualità anche se in seguito definiremo in maniera più rigorosa cos’è l’inflazione. 6 Dal nome dell’economista inglese Arthur Cecil Pigou (1877 – 1959) i cui contributi seminali hanno interessato principalmente il campo dell’economia del benessere. 7 Figura 34.2: Spostamenti della scheda AD P AD’’ AD AD’ Y Abbiamo tutti gli elementi per sapere cosa rappresentano coefficienti e variabili coinvolte nell’espressione (34.2). A questi elementi si aggiunga che, come è stato raffigurato in Figura 34.2, l’aumento di una componente della domanda autonoma, ad esempio la spesa pubblica, sposta la curva AD verso destra (AD’), stesso movimento che incorre se si verifica un aumento dell’offerta nominale di moneta. In conclusione dunque, tanto una politica fiscale che una politica monetaria espansiva hanno l’effetto di spostare verso destra la domanda aggregata. Analogamente, nel momento in cui gli operatori pubblici predisposti implementano politiche fiscali e monetarie restrittive, questa circostanza si riflette in uno spostamento verso sinistra della curva di domanda aggregata (AD’’).7 7 Cfr. Rodano (2000). Si noti che nel grafico, per semplicità espositiva, si è fatto riferimento a rette piuttosto che a curve.