LA PRIMA GUERRA MONDIALE LO SCOPPIO DELLA GUERRA (pag. 22/24) L’attentato di Sarajevo (22) Tutto inizia il 28 giugno 1914 con l’attentato di Sarajevo che diede inizio a una reazione a catena. L’Austria presenta un ultimatum alla Serbia (fine della propaganda anti-austriaca e partecipazione alle indagini sull’attentato); nonostante la disponibilità a collaborare, l’Austria dichia0ra guerra alla Serbia il 28 luglio 1914. Alleanze militari e mobilitazione generale (23) La Russia (alleato della Serbia), mobilita le sue truppe, che la Germania interpreta come un attacco. Invia un ultimatum alla Russia (smobilitazione delle truppe) e alla Francia, alleata della Russia (neutralità). Al rifiuto della prima e all’esitazione della seconda la Germania dichiara guerra alla Francia, volendo cercare di colpire prima la Francia e poi la Russia. La dimensione mondiale del conflitto (23) La Germania dà inizio alla prima guerra mondiale invadendo il Belgio (paese neutrale). A questo punto anche la Gran Bretagna dichiara guerra alla Germania, essendo alleata di Francia e Russia. Infine anche il Giappone dichiarò guerra alla Germania; l’Impero Ottomano si schierò dalla parte dei tedeschi. Entreranno poi in guerra anche l’Italia e gli Stati Uniti al fianco dell’Intesa. LE CAUSE DEL CONFLITTO E LE FORZE POLITICHE EUROPEE (pag. 27/30) Le contraddizioni dell’ordine europeo (27) Il conflitto assunse grandi dimensioni perché a differenza di altre occasioni nella guerra fu coinvolta una grande potenza (l’Austria), che fece scattare l’intervento russo in funzione antiaustriaca e quello tedesco in funzione antirussa. Vi era il nuovo ruolo assunto dalla Gran Bretagna, non più garante esterno ma potenza direttamente impegnata a mantenere il proprio primato economico dalla Germania, con la quale era in netta competizione navale. Vi era inoltre l’antico contenzioso franco tedesco per l’Alsazia-Lorena. Un’altra importante contraddizione era la questione coloniale. Non vi è dubbio comunque che l’elemento di maggiore instabilità fosse rappresentato dalla Germania e dalla rottura degli equilibri che la sua potenza crescente, a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento, era andata producendo. Gli obiettivi del militarismo tedesco (28) La Germania voleva espandere le proprie colonie, strappando al Belgio la ricchissima colonia congolese (Mittel Africa) e (dichiarando contemporaneamente guerra a Francia e Belgio) annettersi zone a nord della Francia, del Belgio e del Lussemburgo (Mittel Europa). Questo divenne il programma ufficiale del governo del Reich. Le condizioni politiche del conflitto (29) Politicamente era nata una nuova figura militare (lo Stato Maggiore) che aveva preso le decisioni decisive per l’inizio della guerra. Il bellicismo di massa (29) Va sottolineato che l’inizio delle ostilità sollevò un’ondata d’entusiasmo collettivo e di spirito patriottico. Lo Stato dunque, appoggiato dal popolo, si schierava contro poche minoranze pacifiste. Socialisti e cattolici di fronte alla guerra (30) I socialisti furono in dubbio: il loro ideale richiedeva la lotta contro la guerra, ma il timore di persecuzioni porto ad accondiscendere al patriottismo. Pochi furono i gruppi socialisti contro la guerra (bolscevico russo, italiano, americano, inglese, poi Rosa Luxembourg in Germania). Il 1 mondo cattolico fu anche combattuto, il Vaticano fu neutralista ma non riuscì a cogliere buone iniziative politiche. IL PRIMO ANNO DI GUERRA (pag. 31/33) Le battaglie della Marna, di Tannenberg e dei laghi Masuri (31) I tedeschi travolsero la pur strenua resistenza belga e, aggirato il grosso dell’esercito francese, puntarono rapidamente su Parigi. Il governo fuggì a Bordeaux. Con uno sforzo disperato, l’esercito francese, con l’aiuto di un contingente britannico, riuscì ad arrestare l’avanzata tedesca sul fiume Marna grazie a errori tattici tedeschi (troppa rapidità). Decisivo fu il fatto che la Russia era riuscita a mobilitare in Oriente una forza sufficiente ad attaccare la Prussica, incominciando ad invadere il territorio. I tedeschi furono costretti a rispondere all’offensiva russa, riuscendo ad arrestarla nelle due battaglie di Tannenberg (26/29 agosto) e dei laghi Masuri (8/10 settembre) ma videro indebolito il proprio contingente quando dovevano attaccare Parigi. L’esercito tedesco e quello francese si trincerarono nel fronte occidentale. I russi si assestarono in Prussia e in Galizia, ma i tedeschi li costrinsero ad abbandonare e (con la Bulgaria) piegò la Polonia. L’operazione lampo si trasformò in una lunga guerra di fronteggiamento e di usura, di posizione, di trincea e di massacro. Tecniche e tattiche belliche (32) La guerra di posizione fu la conseguenza dello sviluppo delle moderne tecniche di combattimento. Artiglieria, mitragliatrici, polvere senza fumo resero inutilizzabili gli attacchi frontali e l’arma veloce per eccellenza: la cavalleria. Il perfezionamento delle tecniche di trinceramento (fili spinati spesso elettrificati) imponeva uno svolgimento lento e cruento. Protagonista della guerra divenne la trincea. L’ITALIA DALLA NEUTRALITA’ ALL’INTERVENTO (pag. 34/36) I neutralisti (34) L’Italia entrò in guerra quasi un anno dopo le altre grandi potenze europee; la maggioranza del parlamento era contraria all’intervento. Oltre ai liberali di sinistra, erano contrari anche i socialisti e i cattolici. I socialisti si attenevano all’Internazionale; i cattolici erano interpreti della contrarietà delle masse contadine (che pagavano i prezzi più alti al conflitto) ed erano preoccupati di dover combattere contro la cattolicissima Austria. Gli interventisti (35) Il fronte interventista era nettamente in minoranza ma era presente trasversalmente in tutte le fazioni politiche. Favorevoli alla guerra erano gli irredentisti trentini (interventismo democratico verso la totale unità d’Italia); un gruppo di sindacalisti rivoluzionari (guerra utile acceleratore della crisi politica e sociale e quindi uno strumento rivoluzionario); la forza egemone del gruppo interventista furono però i nazionalisti di Enrico Corradini, che appoggiati dalla retorica di D’Annunzio e dalla diffusa ostilità popolare nei confronti dell’Austria, facevano leva sul fatto che la guerra avrebbe potuto darci Trento, Trieste e la Dalmazia (in mano all’Austria Ungheria). Benito Mussolini si dichiarò in novembre interventista; secondo il suo nuovo punto di vista la guerra andava considerata come elemento favorevole alla causa del socialismo e della rivoluzione. I liberali di destra (Sonnino e Calandra) sostenevano appoggiati dal re che la guerra avrebbe permesso di soffocare le crescenti tensioni sociali interne. Le radiose giornate di maggio (36) Sonnino e Calandra raggiunsero (contro il parere del parlamento) un accordo con l’Intesa: il Patto di Londra (26 aprile 1915) in cui veniva promesso all’Italia in caso di vittoria Trento, Trieste e la Dalmazia. La massa si sollevò a favore dell’intervento su posizioni antidemocratiche e antiparlamentari (“radiose giornate di maggio”) e D’Annunzio tenne discorsi a favore dell’intervento. 2 L’entrata in guerra (36) Giolitti lasciò l’opposizione e la camera votò per i pieni poteri al governo in caso di guerra. Opposizioni solo da cattolici e socialisti. Il 24 maggio fu dichiarata guerra all’Austria. Le prime operazioni militari (36) Il comando supremo fu affidato a Luigi Cadorna. Il fronte italiano era estremamente vulnerabile: dal Trentino sarebbe stato facile dilagare in Lombardia e accerchiare le divisioni italiane in Friuli. L’obiettivo era avanzare in territorio austriaco: le quattro battaglie dell’Isonzo permisero di guadagnare posizioni. Nonostante il vantaggio conseguito dall’Intesa per l’entrata in guerra degli italiani la guerra era in posizione di stallo. LE GRANDI OFFENSIVE DEL 1916 (38/39) Le “battaglie d’usura” di Verdun e della Somme (38) L’esito della guerra sembrava volgere a favore degli imperi centrali ma si era a un punto morto. Il 1916 si aprì con un’offensiva tedesca sul fronte occidentale (contro la Francia) con la tattica dell’usura (costringere il nemico a impegnare le proprie forze in un unico punto dissanguandosi); fu presa di mira la fortezza di Verdun: in 5 mesi però non prevalse nessuno dei due eserciti (la tecnica dell’usura logorò entrambi i contendenti). La Francia coinvolse poi la Germania nella battaglia di usura della Somme che si concluse con la vittoria alleata. La strafexpedition (39) L’Italia non seppe reagire degnamente alla strafexpedition (spedizione punitiva dell’Austria contro l’ex alleato traditore). L’accerchiamento delle truppe sull’Isonzo fu evitato grazie alla Russia, ma ci furono perdite gravissime (la cattura e l’impiccagione di Battisti e Filzi). L’impreparazione del nostro esercito portò Salandra a dimettersi. Si creò un governo di concentrazione nazionale presieduto da Paolo Borselli e composto da tutti gli interventisti. Fu dichiarata guerra alla Germania e con una serie di offensive per dare nuovamente spessore all’esercito italiano furono conquistate postazioni inaccessibili (monti del San Michele e del Sabotino) e con perdite sproporzionate fu presa Gorizia. LA GUERRA SUI MARI (42/43) Il blocco navale anglo-francese (42) Il blocco navale anglo-francese aveva fatto sentire i suoi effetti in Austria e Germania, paesi nei quali la situazione alimentare si fece drammatica.(agricoltura immobilizzata, importazioni bloccate). Si moriva per denutrizione, tubercolosi, tifo e colera. La mortalità infantile diventò preoccupante. L’industria colò a picco. Nella battaglia di Skagerrak fu stroncato il tentativo tedesco di forzare il blocco. Il blocco fu pesante perché la Germania aveva impiegato molte risorse sulla flotta navale. L’attacco sottomarino (42) La guerra sottomarina era un valido modo di mettere in ginocchio l’Inghilterra, ma la paura di far entrare nel conflitto gli Stati Uniti bloccava la Germania. Quando fu affondata una nave passeggeri per errore (198 morti americani) la Germania promise di non affondare alcuna nave senza preavviso. La guerra totale (43) Nell’autunno 1916 fu annunciata la guerra sottomarina totale da Hindenburg e Lundendorff (che sostituirono Falkenhayn), che prevedeva l’affondamento di tutte le navi senza distinzione di tipo e nazionalità. Questo però non piegò gli inglesi. Il blocco dell’Intesa fu rinforzato dall’ingresso in guerra degli Stati Uniti e la situazione interna degli Stati centrali diventò sempre più drammatica. 3 DAL CROLLO DEL FRONTE ORIENTALE ALLA VITTORIA DELL’INTESA (46/49) La “diversione” sul fronte sudorientale (46) Nell’area sudorientale la guerra per diversivi non ebbe successo con la sconfitta degli inglesi a opera dei turchi. L’iniziativa (favorita dall’insurrezione araba contro i turchi per la proclamazione di uno stato arabo indipendente) ebbe invece successo in Siria e Palestina. Lo scoppio della rivoluzione russa (46) La rivoluzione russa cominciò per la rivolta di soldati che si allearono con gli operai. Essa non provocò la ritirata dalla guerra della Russia ma provocò una spaccatura nell’esercito sovietico e le potenze centrali dedicarono tutti gli sforzi bellici in occidente. Si diffuse in tutti gli eserciti e popolazioni un grande spirito di ribellione contro la guerra. Gli scioperi militari e civili (47) Incominciò una grande insofferenza e insubordinazione in tutta Europa (eccezion fatta per l’Inghilterra) contro la guerra. I francesi insorsero e marciarono su Parigi, contro il “nemico interno”, cioè i propri capi politici e militari, dopo il fallimento della campagna sull’Aisne ma furono fermati da crudeli decimazioni. Insorsero anche gli operai di Berlino (Rosa Luxembourg ne trasse indicazioni politiche pacifiste) e a Torino le donne spinsero gli uomini sulle barricate. La disfatta di Caporetto (47) Il crollo del fronte russo si fece sentire soprattutto in Italia. Gli austriaci sfondarono a Caporetto (23/24 ottobre 1917) e penetrarono per 150 km. Fu evitata la disfatta grazie al ripiegamento delle truppe che crearono un nuovo fronte sul Piave. Fu praticata la decimazione dei reparti sbandati. Si parlò di sciopero militare: il governo Borselli si dimise e il suo posto fu preso dal “ministero di unione nazionale” presieduto da Vittorio Emanuele Orlando che pose al comando Armando Diaz al posto di Cadorna e mobilitò addirittura i diciassettenni (i ragazzi del 99). La ripresa delle potenze occidentali e la resa della Russia (48) L’entusiasmo del 1914 si era spezzato in tutta Europa, nei paesi dell’Intesa andavano affermandosi al potere “uomini forti”, mettendo al governo personalità risolute e accentratrici. In Francia ci fu il vecchio Georges Clèmenceau (guerra fino alla vittoria), in Gran Bretagna Lloyd George. Anche negli Stati Uniti T. W. Wilson assunse poteri senza precedenti dopo la dichiarazione di guerra alla Germania. In Russia i bolscevici Lenin e Trockij presero il potere in ottobre e nell’armistizio di Brest-Litovsk del 1917 uscirono dalla guerra con gravi perdite territoriali. 1918: l’ultima offensiva tedesca (49) L’Intesa voleva chiudere i conti prima del crollo del fronte interno. I tedeschi con il metodo dello sfondamento e quello della sorpresa sfondarono per ben tre volte nel fronte dell’Intesa facendo breccia per ben 55 km e costringendo la Francia e la Gran Bretagna (unitesi sotto il comando di Ferdinand Foch) a ridurre le perdite arretrando sulla Marna (il fronte dove si erano già assastati nel 1914, 4 anni prima). La controffensiva dell’Intesa (49) Il 18 luglio arrivarono gli americani, e nella seconda battaglia della Marna l’intesa diede inizio al contrattacco forte di una netta superiorità di mezzi. Sui tempi lunghi la superiorità economica e industriale dell’Intesa aveva fatto la differenza: tra l’8 e l’11 luglio, nella battaglia di Amiens, il fronte tedesco fu sfondato. Il kaiser Guglielmo II propose un armistizio, rifiutato dall’Intesa che voleva la resa totale. Il 26 settembre si arrese la Bulgaria. Sul fronte meridionale il 24 ottobre gli italiani distrussero gli austriaci a Vittorio Veneto e puntarono su Trento e Trieste. Il 28 ottobre si ammutinò la flotta tedesca a Kiel. Il 3 novembre l’Austria firmò l’armistizio, seguita una settimana più tardi dalla Germania, dove il kaiser fu dimesso ed esiliato. La grande guerra era finita. 4 LA MOBILITAZIONE TOTALE (pag. 50/53) La modernità della guerra (50) La guerra fu “modernizzata dall’applicazione dei più moderni ritrovati della tecnica (telefono, telegrafo) e del mondo dei trasporti (locomotive, il motore a scoppio) e dalla disponibilità di mezzi di distruzione di massa mai visti prima. Gli stessi governi furono sconcertati dalle conseguenze del conflitto. Le applicazioni del “capitalismo organizzato” all’industria bellica (50) In tutta Europa l’esercito industriale crebbe vertiginosamente perché la corsa agli armamenti degli anni precedenti alla guerra non aveva evitato la carenza di proiettili e munizioni. In Germania l’economia fu “militarizzata”; in Inghilterra tutta la produzione industriale fu messa sotto il controllo dello Stato, furono vietati gli scioperi e i cambi di lavoro senza autorizzazione; in Francia lo stato modificò le vecchie industrie e ne creò di nuove assumendone il controllo. In Italia comitati di mobilitazione industriale vigilavano sulla produzione bellica e sulla forza lavoro: lo sciopero era punito con la morte. Un nuovo rapporto tra stato e società (51) Tutto ciò portò un colpo mortale al liberalismo e al liberismo. Anche i diritti del singolo caddero di fronte allo “stato di necessità”. Nella liberalissima Inghilterra fu requisita la flotta mercantile. Le misure prese per il blocco navale paralizzarono il commercio e presupposero un’intrusione sempre più netta dello Stato nella vita sociale. Ogni comportamento privato cadde sotto la “legge di guerra”. La “militarizzazione della politica” (52) Lo “stato di necessità” esaltò la velocità decisionale del governo e screditò gli organi rappresentativi, oggettivamente lenti nel prendere decisioni. Il governo si modellò sulla gerarchia militare, assumendone le caratteristiche In Germania lo stato maggiore si identificò nel governo stesso. LA RIVOLUZIONE RUSSA LA CRISI FINALE DEL REGIME ZARISTA (pag. 54/56) La Russia agli inizi del Novecento (54) Fino all’inizio del conflitto il regime russo era contraddittorio: da un lato si cercava di assicurarsi l’appoggio di forze politiche liberali, dall’altra si adottavano misure repressive nei confronti delle stesse. Le rivendicazioni operaie e contadine (55) Ci fu un’intensificazione del lavoro industriale che portò all’aumento della classe operaia. L’ingresso di questi nuovi elementi nella classe lavoratrice urbana favorì le tendenze più radicali contro i settori socialisti più moderati. Questo fu dimostrato dagli scioperi che agitarono Pietrogrado nel 1915. Tutto ciò si intrecciava con il pacifismo dei socialisti: la sinistra menscevica (pace senza annessioni), quella bolscevica (diretto passaggio dalla guerra alla rivoluzione), la destra menscevica e socialrivoluzionaria (difesa della patria). I contadini chiedevano una vera riforma agraria. L’opposizione dei partiti moderati e conservatori (55) I partiti moderati e conservatori diventano ostili alla corte a causa dell’impegno militare e delle difficoltà da esso sorte. Lo zar ricorre quindi allo scioglimento della Duma e all’allontanamento dei ministri scomodi. Tra moderati e conservatori era nata la paura di un accordo segreto con la Germania per uscire dalla crisi. Formarono il “comitato della duma” che divenne punto di riferimento per l’opposizione allo zar. I pacifisti erano disposti anche a una “pace disonorevole” per uscire dal conflitto. 5 La rottura tra la corte e la chiesa ortodossa (56) Lo zar finì per trovarsi in un isolamento mai conosciuto prima. Ciò fu aggravato da Rasputin, che creò uno stato di diffidenza tra la Chiesa ortodossa e lo zar. Questo tolse allo zar l’ultimo appoggio. La rivoluzione di febbraio (56) Anche il dispotismo ormai non bastava più allo zar per controllare le masse: gli scioperi di Pietrogrado in febbraio ne furono dimostrazione, poiché le truppe inviate a sedare la rivolta si allearono con gli scioperanti. Il 27 febbraio 1917 la città fu presa dagli insorti. Il giorno dopo lo zar abdicò e suo fratello rinunciò a succederlo. Il rapido capovolgimento del potere fece sì che in Russia si arrivasse a un regime repubblicano senza un chiaro schieramento di forze in grado di controllare il potere. Le forze conservatrici e moderate e la destra del movimento socialista volevano la continuazione a oltranza del conflitto. I lavoratori e i soldati invece volevano la pace. DA MARZO A OTTOBRE (pag. 58/61) I conservatori e i liberali (58) Per i conservatori e i liberali gli obiettivi principali erano: 1. arrivare a una riorganizzazione politica del paese che garantisse un rapido ritorno all’ordine; 2. proseguire lo sforzo bellico, in modo da arrivare alla trattativa conclusiva su posizioni di forza. Erano anche ostili alla riforma agraria, perché avrebbe avuto esiti disastrosi sullo sforzo bellico. La posizione del blocco della sinistra (58) I socialisti rivoluzionari (che erano favorevoli alla riforma agraria) e i menscevichi (che con i socialisti rivoluzionari volevano una “pace senza annessioni”) appoggiarono criticamente il governo provvisorio. Questo perché entrambi pensavano che il socialismo avrebbe potuto svilupparsi solo in un paese economicamente più evoluto. Speravano nella creazione di una repubblica in cui i socialisti, attraverso i soviet, avrebbero esercitato un ruolo di stimolo e di controllo. Furono definiti “socialpatrioti”. Gli unici che ancora sostenevano attivamente la pace e la riforma agraria erano i bolscevichi. La nuova funzione dei soviet (59) Nel 1917 i soviet vennero a formarsi anche tra le truppe al fronte. Erano in grado di opporsi al dispotismo con forme insurrezionali. La maggior parte di loro aderiva ai partiti socialisti e quindi garantirono un appoggio (critico) al governo: questo portò a un doppio potere. Infatti il governo provvisorio non poteva esercitare il proprio potere senza l’assenso dei soviet, che a loro volta non volevano funzioni né governative né amministrative. Il governo provvisorio di A. Kerenskij (60) Il doppio potere non poteva non portare all’anarchia: per questo i gruppi di centro e di destra sembravano disposti a cooperare con quelli di sinistra, che a loro volta, con i menscevichi e i socialisti rivoluzionari, avevano messo da parte i timori di prendere direttamente il potere. In aprile si formò così un nuovo governo, di cui Kerenskiy, ministro della guerra, rappresentava l’uomo forte. L’obiettivo suo e del governo divenne la prosecuzione della guerra fino alla vittoria. Per la destra i soviet andavano eliminati subito, ma Kerenskiy sosteneva che sarebbero finiti da soli. Le “Tesi d’aprile” e le posizioni bolsceviche (61) Una soluzione opposta al problema del doppio potere fu proposta dai bolscevichi nel 1917: no alla repubblica parlamentare, sì a una repubblica per i soviet degli operai e dei contadini in tutto il paese. Questo diceva una delle Tesi d’aprile, proposte da Lenin al governo, accolte pienamente e riassunte in uno slogan: <<tutto il potere ai soviet!>>. LA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE (pag. 64/66) L’aggravarsi della crisi economica (64) Il governo di Kerenskij vacillò per la diffusione dei soviet e del malcontento popolare. Si entrava inoltre in una grave crisi economica. Tutto culminò nelle manifestazioni operaie a Pietrogrado appoggiate dai bolscevichi. Il partito di Lenin fu sottoposto a misure repressive e accusato di essere il fautore della guerra civile e nemico della democrazia. 6 Il tentativo autoritario di L. Kornilov (64) I settori reazionari dell’esercito del generale Laur Kournilov tentarono un colpo di stato per porre fine all’anarchia. Quando Pietrogrado fu cinta d’assedio e il governo direttamente minacciato, le misure repressive furono annullate e con l’aiuto dei bolscevichi il tracollo fu scongiurato. Il partito di Lenin tornò alla legalità e ottenne sempre più consensi. Il dualismo di potere a questo punto poteva risolversi solo in due modi: o con il ritorno al regime autoritario o con il potere ai bolscevichi. La presa del palazzo d’inverno (65) Il 7 settembre fu convocata la II assemblea dei soviet: l’obiettivo di Lenin era porre l’assemblea di fronte alla caduta del governo provvisorio. Per questo la notte tra il 6 e il 7 novembre un comitato militare guidò l’assalto al palazzo d’inverno, sede del governo, che fu preso senza troppi problemi. Kerenskij fuggì dalla capitale. Pochi provarono a reagire alla presa di potere dei bolscevichi, ai quali si era unita anche la sinistra socialrivoluzionaria, concorde sulla pace e sulla riforma agraria. Il nuovo ordine emise subito tre decreti, imposti in nome del <<potere ai soviet!>>: 1. pace senza annessioni, né riparazioni 2. confisca delle terre nelle mani dei grandi proprietari e della corona e ridistribuzione delle stesse ai contadini. 3. costituzione di un soviet dei commissari del popolo. IL CONSOLIDAMENTO DEL POTERE SOVIETICO, 1918-22 (pag. 67/71) L’assemblea costituente (67) Per prima cosa il nuovo governo chiamò le elezioni per l’assemblea costituente. Da queste vennero risultati sorprendenti: mentre come previsto i menscevichi erano stati eliminati dalla scena politica, i socialrivoluzionari prevalsero nettamente sui bolscevichi. La costituente fu sciolta dopo un solo giorno di vita. I primi mesi del governo rivoluzionario (68) Nel 1918, in un clima di tregua politica (destra, menscevichi e socialrivoluzionari di fatto neutralizzati) si arrivò alla proclamazione della Repubblica federale socialista russa, che realizzò il potere sovieticobolscevico. La pace di Brest-Litovsk (68) La guerra doveva finire perché questo era l’impegno dei bolscevichi e perché l’esercito era in degrado per l’applicazione della riforma agrari e delle trasformazioni politiche. Con la pace di Brest-Litovsk del marzo 1918 la Russi rinunciava alla Polonia, alla Lituania, alle province baltiche, alla Bielorussia, alla Finlandia; concedeva inoltre ai tedeschi l’Ucraina. Questa pace vergognosa (come la definì Lenin) portò la sinistra socialrivoluzionari a passare all’opposizione, mentre la desta socialrivoluzionaria guidò un insurrezione contro i bolscevichi, che culminò con un attentato fallito a Lenin. Lo scoppio della guerra civile (68) La neonata repubblica socialista russa fu attaccata dalle potenze dell’Intesa (che volevano costringerla a riprendere le ostilità con la Germania) e, all’interno, dagli anarchici di Makhno e dai “verdi” del socialrivoluzionario Savinkov. I bolscevichi diedero allora alla Ceka (la polizia politica) maggiori poteri e compiti, misero fuorilegge i menscevichi e i socilarivoluzionari di destra e ripristinarono la pena di morte. Nel 1918 lo zar Nicola II fu giustiziato insieme alla famiglia. La vittoria dell’armata rossa (69) Il terrore rosso poteva risolvere i problemi interni, ma contro gli eserciti dell’Intesa il problema era militare. L’esercito era stato riformato e posto sotto il comando di Trockij. Entro la fine del 1919 tutte le truppe dell’Intesa furono fuori dalla Russia, grazie alla stanchezza della guerra diffusasi nei paesi coinvolti e alla solidarietà dei paesi occidentali verso la nuova repubblica socialista. Gli eserciti bianchi invece furono eliminati solo nel 1920, grazie all’appoggio della popolazione, che doveva ai bolscevichi la riforma agraria e che temeva dai reazionari un ritorno al vecchio regime. 7 La guerra russo-polacca (71) La Polonia invase l’Ucraina per annetterla. I Russi riuscirono a ricacciare l’invasione e penetrarono a Varsavia. Il maresciallo Pilsudski riuscì però a sua volta a respingere il nemico oltre i confini e a entrare in territorio sovietico. L’armistizio fu per i russi disastroso. L’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (71) La situazione dell’ex impero zarista era la seguente: - Polonia, Finlandia e stati baltici erano indipendenti - Sul territorio russo era stata costituita la Repubblica federale socialista russa - La Repubblica russa era alleata con l’Azerbaigian e l’Ucraina Nel 1922 nacque l’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (Urss), che tre anni dopo raggiunse l’espansione dell’impero zarista (escluse Finlandia, Polonia e repubbliche baltiche). Nell’aprile del 1922 l’Urss partecipò per la prima volta a una conferenza internazionale, quella di Genova. La Germania riconobbe lo Stato socialista e fu imitata nel giro di due anni dalle altre potenze europee. IL BIENNIO ROSSO EUROPEO LA DIFFICILE PACE (pag. 82/85) Crisi demografica e difficoltà economiche (82) I disastri provocati dalla guerra in Europa furono incalcolabili. Ovunque la crescita demografica si era invertita non solo per i combattimenti ma anche per le epidemie che avevano fatto salire il numero di vittime e si erano scatenate per le peggiorate condizioni igieniche e alimentari. Non era rosea neanche la situazione delle potenze vincitrici, tutte indebolite dallo sforzo bellico e indebitate con la nuova potenza emergente, gli Stati Uniti. L’economia ormai dipendeva dalle importazioni. Le riserve auree europee si erano trasferite in America, la conseguenza fu ovunque un’inflazione galoppante. Precarietà degli assetti politici (83) Dalla guerra la carta geopolitica dell’Europa era uscita sconvolta: i tre grandi pilastri centrorientali, l’impero Russo, quello Austroungarico e il Reich tedesco, erano crollati. La Francia, unica grande potenza uscita veramente vincitrice della guerra, ambiva al ruolo di paese cardine del sistema europeo, ma era troppo indebolita dallo sforzo bellico e non possedeva sufficienti risorse, né militari né economiche. I trattati di pace (84) La pace non servì a placare la tensione, anzi l’accentuò in modo preoccupante, nonostante il rispetto del principio di nazionalità, per i criteri democratici (rispetto delle minoranze, autodeterminazione dei popoli), per i quattordici punti fissati dal presidente americano T. W. Wilson. Le grandi potenze vincitrici si riunirono a Parigi, mentre i vinti furono esclusi. Ne uscirono 5 trattati: 1. il più importante fu quello di Versailles (28 giugno 1918) avente per oggetto le sorti della Germania. Le sue conseguenze avrebbero pesato sulla storia europea (Hitler). Il militarismo tedesco fu imputato come causa principale della catastrofe, quindi per la Germania fu caldeggiata (soprattutto dalla Francia) una punizione esemplare. La Gran Bretagna avrebbe preferito vedere la Germania come un nuovo alleato commerciale. Alla Germania fu imposta la restituzione dell’Alsazia – Lorena alla Francia e il diritto per i francesi di sfruttare per 15 anni il bacino carbonifero della Saar; la riduzione permanente dell’esercito a non più di 100000 uomini e il rispetto di un’ampia fascia smilitarizzata a sudovest, l’obbligo (assurdo) dell’integrale riparazione dei danni di guerra. 2. con il trattato di Saint Germain (10 settembre 1919) l’Italia ottenne il Trentino e l’Alto Adige, Triste e l’Istria, ma dovette rinunciare alla Dalmazia. 3. con il trattato del Trianon (4 giugno 1920) fu stabilito che l’Ungheria, divenuta indipendente ma colpevole come l’Austria, fosse invasa dai Romeni. La Croazia e la Slovenia si univano al regno serbo – croato – sloveno (Jugoslavia dal 1929). 8 4. Con il trattato di Neuilly (27 novembre 1919) venne stabilita l’indipendenza della Bulgaria, che però fu privata di Macedonia, Tracia e Dobrugia. 5. Con il trattato di Sèvres fu definita la situazione dell’ex impero ottomano: la Turchia fu ridotta alla penisola Anatolica e fu privata degli stretti dei Dardanelli e del Bosforo. La società delle nazioni L’inizio degli anni venti rappresentò il momento in cui, con maggiore determinazione, si tentò di realizzare un efficace razionalizzazione politica e costituzionale per garantire l’obiettivo supremo della “stabilità”. La società delle nazioni avrebbe dovuto garantire la pace, il disarmo e l’equilibrio mondiale. I 5 membri di diritto e permanenti erano Usa, Gran Bretagna, Francia, Italia e Giappone. Il limite fondamentale fu la mancanza di una struttura militare che ridusse l’operatività della Società al campo puramente morale. IL BIENNIO ROSSO IN ITALIA (pag. 100/105) La crisi politica italiana (100) L’Italia, essendo un paese vincitore, aveva mantenuto le strutture essenziali dello Stato. Ma era il paese dell’Intesa uscito peggio dal conflitto. La scena politica fu a lungo dominata da un succedersi di agitazioni sociali. La vecchia classe politica dovette misurarsi con la spinta rivoluzionaria del proletariato e il nazionalismo degli ex combattenti e dei ceti medi. Vi furono tre episodi importanti simili a iniziative apertamente rivoluzionarie: - La rivolta contro il carovita - L’ammutinamento di Ancona - L’occupazione delle fabbriche. La rivolta contro il carovita (100) Nel primo caso fu l’impennata dei prezzi dovuta ai debiti di guerra a determinare il passaggio da azione sindacale pacifica a moto di piazza. I negozi venivano saccheggiati e si chiedeva alla locale camera del lavoro di imporre un calmiere dei prezzi. Mancò però qualsiasi coordinamento politico del moto (né le organizzazioni sindacali né i socialisti lo appoggiarono). Neppure la rivolta contadina del Meridione ebbe successo (i socialisti ritenevano la proprietà individuale della tera borghese e anticollettivista). Il moto si spense spontaneamente. L’ammutinamento di Ancona (101) Fu la conseguenza della campagna lanciata dai socialisti contro l’intervento italiano in Albania e coinvolse la componente militare. I bersaglieri in partenza per l’Albania si ammutinarono e controllarono la città per due giorni. La rivolta non riuscì però a unirsi con il movimento operaio e fallì. Condanne durissime furono inflitte dai tribunali militari e civili. L’occupazione delle fabbriche (102) In questo caso si sforò la rottura rivoluzionaria e si decisero le sorti del movimento operaio in Italia. Il socialista Antonio Gramsci sosteneva che le classi strumentali erano diventate classe dirigente, mentre sul fronte opposto, quello padronale, si sottolineava l’invadenza degli organismi operai nella vita sociale e statale e la necessità di uno scontro definitivo. A Torino vi fu il primo, giunto per la questione del potere nelle industrie e dei consigli di fabbrica, ma gli operai furono costretti ad arrendersi. Il fronte industriale si irrigidì e preparò la controffensiva. Quando i sindacati degli operai metallurgici chiesero il rinnovo dei contratti per l’aumento dei prezzi, ricevettero un rifiuto. Prima risposero con l’ostruzionismo (rallentamento della produzione), poi, dopo la serrata (chiusura degli impianti) da parte degli industriali, arrivarono all’occupazione delle fabbriche. Il punto di massima forza politica fu raggiunto a Torino sotto la spinta di Gramsci. Gli operai iniziarono a produrre per conto proprio dimostrando di saper gestire un’industria. In seguito ai metallurgici si unirono altre categorie di lavoratori. Sul versante opposto la Federazione Industriale dichiarò che non esisteva nessuna possibilità di riaprire le trattative. 9 Il compromesso giolittiano (104) L’intervento di Giolitti, da poco rieletto a capo del governo, fu risolutivo. Egli riuscì nella mediazione impossibile, facendo prevalere le parti più moderate all’interno dei due fronti. Era assurdo difendere il principio secondo cui in una grande azienda un solo capo comanda e gli operai obbediscono. Propose l’introduzione di una forma di controllo operaio. Con questa via garantiva l’allentamento della tensione e lo sgombero delle fabbriche. La fine dell’agitazione (105) L’11 settembre la Confederazione generale bocciò la proposta dei socialisti (sciopero generale) e si limitò a chiedere il riconoscimento da parte del padronato del principio del controllo sindacale delle aziende. Si rifiutavano le proposte rivoluzionarie e il 15 settembre si giunse all’intesa: si trattò di un contratto ottimo dal punto di vista sindacale ma liquidatorio dal punto di vista politico. Le fabbriche vebbero sgomberate il 27 settembre in un clima di scoraggiamento e amarezza. La nascita del partito comunista d’Italia (105) Al distacco di alcune componenti del Psi contribuirono il fallimento politico dell’esperienza dell’occupazione delle fabbriche e l’adesione alla proposta leninista. Da questa scissione nacque il Partito Comunista d’Italia. Tra i fondatori Gramsci, Bordiga, Togliatti e Terracini. LA SOVVERSIONE NAZIONALISTA: LA QUESTIONE ADRIATICA E L’OCCUPAZIONE DI FIUME (pag.108/109) La “vittoria mutilata” (108) I punti di forza del movimento irredentista furono la “vittoria mutilata” e la volontà di espansione sull’Adriatico. L’anima imperialista aveva scatenato una violenta campagna riguardante le sei città da redimere (Trento, Trieste, Gorizia, Fiume, Pola e Zara). Queste loro posizioni coincidevano con il governo Orlando-Sonnino: i due avevano infatti abbandonato la conferenza di Parigi in segno di protesta (col trattato di Londra Fiume era stata promessa all’Italia). Caduto il loro governo il nuovo presidente del consiglio Francesco Saverio Nitti aveva dovuto capitolare per la totale chiusura delle altre potenze. L’occupazione di Fiume (109) Il 12 settembre 1919 Gabriele D’Annunzio occupò la città di Fiume, dichiarò costituita la “Reggenza del Carnaro” e proclamò l’annessione della città all’Italia. Nitti non seppe contrapporsi e la sua credibilità ne risentì. Egli si limitò a temporeggiare e sperare nella crisi interna del contraddittorio “regime” fiumano. In effetti la componente anarchica di Alceste de Ambris, le crescenti difficoltà economiche della zona, l’iniziativa diplomatica con la Jugoslavia lanciata da Nitti deteriorarono i consensi per l’azione di D’Annunzio. Il nuovo governo Giolitti risolse la questione nella conferenza di Rapallo: - Riconoscimento di Fiume come città libera; - Rinuncia dell’Italia alla Dalmazia; - Allontanamento con la forza di D’Annunzio dalla città di Fiume. LA CRISI DEL MODELLO POLITICO EUROPEO(88/89) Le potenze sconfitte ne uscirono umiliate ed infiammate da una sorda volontà di rivincita. L’enormità del sacrificio umano compiuto apparve sproporzionata rispetto all’esiguità dei vantaggi ottenuti. Conseguenza di questa instabilità generale fu una generale crisi di legittimazione dei governi in carica e delle classi dirigenti. Le strutture di governo apparvero drammaticamente inadeguate a gestire la nuova confusa fase storica. Si verificarono processi di centralizzazione e burocratizzazione degli apparati pubblici (massificazione della politica, ampliamento del suffragio, prevalenza del potere esecutivo su quello legislativo). Vi fu il cosiddetto “vuoto di potere”. L’unica forza sociale che aveva conservato una sostanziale aggregazione era il movimento operaio. La guerra aveva accentuato questa identità di classe e, per la prima volta i contadini vengono messi a contatto con la grande storia. Si diffuse ovunque tra le masse lavoratrici la voglia di fare come la Russia. 10 LE ORIGINI DELLA RPUBBLICA DEMOCRATICA TEDESCA(91/94) Nello stato tedesco la sconfitta militare aveva comportato anche la totale disgregazione del vecchio ordine sociale e politico. Scomparirono le organizzazioni della desta conservatrice, erano anche strati relegati in una posizione relativamente marginale anche i partiti dei ceti democratico borghesi. Le sorti della futura Germania si sarebbero decise sulla base dei rapporti tra le sue diverse componenti: la SPD, la USPD e la LEGA DI SPARTACO. Fu sanzionata la nomina di un governo provvisorio composto da 6 commissari del popolo. Questo governo prese decisioni molto coraggiose (8 ore la giornata lavorativa, illimitò il diritto di associazione, assistenza ai disoccupati, riassunzione dei reduci di guerra, vietò i licenziamenti arbitrari,suffragio universale maschile e femminile). La REPUBBLICA DI WEIMAR rinunciò di rifondare alle radici il proprio esercito puntando sull’utilizzo di quello vecchio, finendo così per dipendere dalla vecchia gerarchia. Era però debole e fragile perché mancavano precisi fondamenti per una legittimazione autonoma del potere centrale (democrazia contrattata). LA SCONFITTA DELLA RIVOLUZIONE IN GERMANIA(95/96) Scoppiò una guerra civile tre la componente maggioritaria della socialdemocrazia e l’estrema sinistra. Gustave Noske (socialista maggioritario) radunò un esercito di ventura e represse duramente gli insorti. Furono soprattutto i “corpi franchi” che si comportarono con meggiore durezza fucilando centinaia di quadri comunisti. (Rosa Luxemburg). Dopo le elezioni del 1919 la sinistra ne uscì indebolita anche sul piano elettorale, il suo prestigio nella classe operaia risulto irrimediabilmente offuscato. L’AUSTROMARXISMO A LA FALLITA RIVOLUZIONE UNGHERESE(97/99) Il territorio austriaco mostrava un agricoltura arretrata e povera, liberata tardivamente dai gravami feudali e condotta da contadini semialfabeti e bigotti. La socialdemocrazia austriaca sosteneva che l’unificazione con la germania avrebbe significato la possibilità di contare sull’appoggio di un proletariato forte, di una cultura saldamente marxista, di una potenza industriale che avrebbe favorito la modernizzazione. In modo più drammatico si svolsero gli avvenimenti ungheresi. Il proletariato era attraversato da tensioni più radicali, mentre il partito socialdemocratico non aveva né una linea politica definita né la tradizione di quello austriaco. Dopo una breve fase acuta crisi sociale, in cui le fabbriche furono occupate e le masse diedero vita ad una grande mobilitazione, i socialdemocratici accettarono il programma proposto dai comunisti di BELA KUN, orientato all’instaurazione della “dittatura del proletario”. Pochi giorni dopo le truppe entrarono nella capitale, insediando al potere il capo delle forze controrivoluzionarie. Nell’estate del 1919 l’ordine tornò a regnare in tutta Europa centrale. L’ITALIA FASCISTA LE ORIGINI DEL FASCISMO IN ITALIA LA CRISI DELLO STATO LIBERALE (pag. 111/115) La paralisi politica (111) Dopo il "capolavoro giolittiano" l'Italia affrontò un biennio (1920/22) di paralisi politica. Le cause furono la frammentazione degli schieramenti politici e la crisi della centralità liberale, prodotte dalla introduzione del sistema elettorale proporzionale, che aveva avuto l'effetto di mettere a nudo la profonda debolezza del blocco dominante il quale, non avendo un proprio partito, perse la maggioranza e il controllo del parlamento. Emersero inoltre nuove fratture politiche (accanto a destra e sinistra si aggiunse la divisione tra interventisti e neutralisti). Sia la destra interventista che 11 la sinistra interventista rifiutarono l'appoggio al governo Giolitti (destra neutralista). Il blocco del sistema politico italiano può essere riassunto in tre fasi: 1. Perdita di potere delle forze politiche tradizionali; 2. vuoto di potere istituzionale; 3. presa del potere da parte del movimento fascista. Il fallimento del governo Giolitti (113) La prima fase coincise con la fine del governo Giolitti. Perse consensi sia a destra che a sinistra. Le concessioni al movimento operaio scontentarono la destra, senza riuscire ad accontentare le masse popolari né la sinistra riformista; le misure antipopolari, attuate per recuperare consensi a destra, ruppero definitivamente i rapporti con la sinistra. Non fu sufficiente nemmeno la convocazione delle elezioni politiche. Giolitti si dimise. La stasi istituzionale (114) Si aprì la seconda fase del processo di crisi, caratterizzata dall'esaurimento delle alternative politiche legittime. La situazione di ingovernabilità divenne patologica e assunse gli aspetti di un vuoto di potere. Si susseguirono tre governi: il primo, di Bonomi, sopravvisse solo 6 mesi. Il secondo fu un "governo d'attesa", retto da Facta; dopo essere stato rovesciato dal parlamento, lo stesso parlamento lo richiamò al governo per il rifiuto degli altri candidati a prendere il potere. Il movimento fascista (114) Contemporaneamente andava formandosi una nuova forza politica, molto presente in società e favorita da una efficiente organizzazione paramilitare e dalla pratica della violenza contro gli avversari politici. Nacque a opera dell'ex dirigente socialista Benito Mussolini ed andava crescendo impetuosamente. Raccoglieva il consenso della media borghesia urbana e di ex combattenti e agrari. Fu l'uso sistematico della violenza il fattore decisivo con cui il nuovo movimento si affermò. I liberali e il fascismo (115) La classe liberale si illuse di poter controllare e sfruttare il fascismo contro il movimento operaio, ma questo non avvenne. Il vuoto di potere stava per essere riempito da un potere nuovo, emergente dalle innovazioni politiche e organizzative prodotte dalla guerra, autoritario e totalitario. IL FASCISMO AL POTERE (pag.116/119) La forza del movimento fascista (116) Fin da subito il fascismo fece valere un potere molto simile a quello governativo, una vera e propria autorità statale. Lo sciopero indetto dai liberali fornì ai fascisti l'occasione per scagliarsi contro gli scioperanti e dimostrare la propria superiorità sul governo, sostituendosi in molti casi ai dipendenti dei pubblici servizi. La marcia su roma (116) Mussolini si decise all'azione di forza nell'ottobre del 1922: le camicie nere guidate da Balbo, Bianchi, De Bono e De Vecchi marciarono su Roma e la occuparono militarmente senza incontrare resistenza. Il re diede mandato a Mussolini di formare un nuovo governo. Per la prima volta un politico otteneva la carica di presidente del consiglio non dal parlamento ma dal sovrano. Fu un vero colpo di stato che tuttavia fu approvata dal parlamento, dando ad esso una parvenza di legalità,ma la democrazia era stata liquidata definitivamente. L'attribuzione dei pieni poteri (119) L'Italia era affidata alla pura discrezionalità dell'esercito fascista. La camera votò quasi all'unanimità i pieni poteri a Mussolini, quelli che un anno prima aveva negato a Giolitti. 12 DAL GOVERNO AUTORITARIO AL REGIME (pag. 121/124) La fascistizzazione dello Stato (121) Tra il 1922 e il 1925 si svolse un processo sistematico di "fascistizzazione" dello Stato, durante il quale Benito Mussolini si adoperò per fare del fascismo l'anima del nuovo modello istituzionale italiano. Furono approvate le "leggi fascistissime", che portarono alla formazione del "regime": 1. rafforzamento dell'esecutivo e liquidazione del parlamento; 2. integrazione delle strutture militari e politiche fasciste nell'apparato statale; 3. instaurazione del partito unico; 4. eliminazione della libertà di stampa, associazione, sciopero (monopolio politico). I primi provvedimenti (121) Lo squadrismo fu istituzionalizzato con il riconoscimento ufficiale della "Milizia volontaria per la sicurezza nazionale", un corpo paramilitare di partito destinato a garantire una forza armata al nascente regime. La Chiesa si avvicinò al partito: la riforma scolastica di Gentile concesse ampi spazi all'insegnamento della religione. Con la legge Acerbo Mussolini abolì la proporzionale stabilendo che chi fosse riuscito a ottenere il 25% dei voti ottenesse i due terzi dei seggi. Le elezioni del 1924 (122) La democrazia fu liquidata. I fascisti presentarono un unico listone, mentre i loro avversari non riuscirono a costituire un'alternativa presentando 5 liste differenti. La campagna elettorale fu caratterizzata da una delle più violente ondate di squadrismo, che provocarono centinaia di aggressioni a oppositori politici. I risultati sanzionarono la conquista del parlamento da parte della coalizione egemonizzata dei fascisti. L'assassinio di G. Matteotti (122) In un coraggioso intervento l'onorevole Giacomo Matteotti, segretario del Psu, l'ala riformista del socialismo italiano, denunciò le violenze e le illegalità che avevano caratterizzato la campagna elettorale. Il quotidiano di Mussolini, il "Popolo d'Italia", lo minacciò apertamente. Quindici giorni più tardi Matteotti scomparve rapito da uomini di fiducia del partito fascista; il suo cadavere fu ritrovato sfigurato. L'assassinio provocò profonda indignazione in tutto il paese. Le stesse strutture del partito scricchiolarono. La secessione dell'Aventino (123) All'ondata spontanea di protesta mancò però un'adeguata direzione politica. Le opposizioni decisero di agire insieme, abbandonando il parlamento. Ma erano divisi al loro interno: mentre i comunisti proponevano di costituirsi direttamente in parlamento alternativo, i liberali amendoliani e i socialisti erano molto più prudenti. L'ipotesi di un appello alle masse era da scartare. Non fu proclamato lo sciopero generale, né si sostennero azioni di protesta. Il re si dimostrò assolutamente fedele a Mussolini. Il colpo di stato del 3 gennaio 1925 (123) A Mussolini fu così fornita la prova dell'inconsistenza dell'opposizione. Egli aveva compreso di poter contare su una situazione estremamente favorevole e passò al contrattacco: si assunse direttamente le responsabilità del delitto. Fu questo il vero colpo di stato fascista che segnò il passaggio dalla fase di fascistizzazione al regime. Nei giorni successivi furono chiusi giornali dell'opposizione, circoli politici, organizzazioni sovversive ed esercizi pubblici, furono arrestati gli oppositori e furono effettuate perquisizioni. Le leggi fascistissime (124) Le leggi facistissime furono varate il 26 novembre 1925. 1. furono disciolti i partiti politici avversari e vietate le associazioni non di regime; 2. fu soppressa la libertà di parola e di stampa; 13 3. furono attribuiti poteri straordinari al capo del governo. 4. fu costituito il Tribunale speciale per la difesa dello Stato 5. fu formata una polizia segreta (Ovra) 6. furono confinati gli oppositori. LA POLITICA ECONOMICA FASCISTA: DAL LIBERALISMO ALLA "QUOTA 90" (pag. 125/128) La fase liberista (125) La prima fase della politica economica fascista fu caratterizzata da una linea liberista. Vi fu un'inversione di tendenza rispetto allo Stato interventista in economia, si passò allo Stato forte Stato non economico". Furono rimossi i vincoli alla libertà d'impresa in favore dell'industria bellica. Gli effetti furono immediati: grazie alla riduzione dei salari e alla crescita della produttività le esportazioni si svilupparono. La fase dirigista (127) Fu quando il boom subì un duro freno a causa del ristagnamento dell'economia europea che lo stato passò alla fase dirigista. La lira fu fissata contro la sterlina a "quota 90". Dopo un breve periodo di cambio accettabile la lira era stata oggetto di un pesante attacco speculativo. Mussolini, per stabilizzarla, annunciò la decisione del governo di procedere all'esatta parità aurea fissando il cambio a 90 lire per sterlina. Il dibattito sulla quota 90 (127) La decisione di rivalutare la lira a quota 90 fu un duro colpo per alcuni settori industriali poiché rendeva meno competitivi i prodotti italiani sul mercato, ma Mussolini voleva far prevalere la "grandezza" del fascismo sul profitto economico. Sul piano economica la quota 90 ripristinò la fiducia dei risparmiatore nelle banche. La flessione di domanda estera fu fronteggiata con l'intervento dello stato come principale acquirente, mentre la perdita di competitività dei prodotti italiani fu recuperata con una riduzione dei salari e un aumento della produttività. Lo Stato corporativo (128) Per attuare tutto ciò bisognava liquidare il sindacalismo libero. Fu varata una carta del lavoro che imponeva alle opposte rappresentanze dei lavoratori e degli imprenditori di subordinarsi ai "superiori interessi della nazione". IL REGIME NEL 1929 (pag. 284/285) I patti lateranensi (284) L’11 febbraio 1929 Mussolini, capo dello stato italiano, e il cardinale Gasparri sottoscrivono i patti lateranensi: l’Italia concedeva al papa la piena sovranità sullo stato del Vaticano e dichiarava la religione cattolica “religione di stato” in cambio del riconoscimento di Roma come capital del regno d’Italia. (L’Italia versava una forte somma al vaticano e l’insegnamento della religione cattolica veniva introdotta nelle scuole) Il plebiscito del 1929 (285) Si trattava di un elezione molto particolare che non aveva niente di democratico: era prevista una sola lista formulata dal governo, e non era garantita la segretezza del voto dato che le schede si differenziavano in base al loro colore (tricolore o bianche). La maggio parte dei possibili oppositori veniva sottoposto a minacce e violenze. 14 LA POLITICA ECONOMICA DEL FASCISMO(pag. 286/28) Le caratteristiche della crisi in Italia (286) L’Italia era fortemente arretrata economicamente con un’urbanizzazione non molto intensa e parzialmente diffusa. Nel 1930 la produzione diminuì drasticamente e quella agricola in maniera ancora più evidente. I prezzi scesero bruscamente ed il valore dei titoli industriali caddero drasticamente La politica anticiclica del regime fascista Venne adottata una politica di favore per i grandi gruppi industriali legati all’industria pesante ed alla produzione bellica. I salari vennero ulteriormente compressi e tutta la produzione venne controllata rigidamente dallo stato. Mussolini puntò decisamente sull’appoggio dei grandi gruppi industriali a struttura monopolistica ai quali assicurò ampie commesse statali e la certezza di livelli salariali bassi e stabili. Venne quindi incentivato l’interventismo statale (stato-imprenditore) Le opere pubbliche e la creazione dell’Iri Vennero bonificate le paludi pontine e compiuti grandi lavori pubblici che incisero fortemente sul bilancio pubblico incrementando il deficit pubblico. I salariati agricoli vennero trasformati in piccoli coltivatori diretti meno pericolosi politicamente. Nasce l’Iri con il compito di intervenire nel salvataggio delle numerose industrie e banche colpite dalla crisi. Venne così concentrato nelle mani dello stato il controllo azionario di un gran numero dei banche e imprese (privatizzare i profitti e socializzare le perdite) La riforma creditizia e il rafforzamento dell’industria pesante Il sistema bancario e del credito venne riorganizzato con la creazione dell’Imi, un ente pubblico dipendente direttamente dallo stato con il compito di sostenere il credito industriale , integrando l’azione delle banche duramente colpite dalla crisi e in forte deficit di liquidità. Lo stato si assunse il compito di rastrellare i capitali. Lo stato si stava progressivamente sostituendo al mercato e, soprattutto il rafforzamento dell’industria pesante presupponevano come sbocco estremamente probabile, se non inevitabile, la guerra. (protezionismo e ideologia imperialista) LA POLITICA ESTERA FASCISTA (pag. 290/291) La linea moderata degli anni venti (290) Mussolini era stato molto prudente in politica estera negli anni venti. A un’aperta ostilità nei confronti delle mire tedesche sull’Austria si contrappose la politica amichevole con la Gran Bretagna e di avvicinamento con la Francia. Questo atteggiamento fu testimoniato: 1. dal patto di Roma che garantì Fiume all’Italia per il riconoscimento della Jugoslavia; 2. dal riconoscimento dell’URSS 3. dall’adesione al patto di Locarno. Dopo le dimissioni del ministro degli esteri Mussolini rafforzò l’intesa con la Gran Bretagna e l’ostilità nei confronti dell’egemonia francese sui Balcani. La svolta bellicista degli anni trenta (291) Mussolini assunse in prima persona la guida del Ministero degli Esteri dopo le dimissioni di Grandi, inaugurando un atteggiamento esplicitamente bellicista e militarista. Fu rilanciato il discorso della revisione dei trattati insieme con le potenze che si ritenevano danneggiati ingiustamente dalle decisioni prese a Versailles. Si accentuò così il contrasto con la Francia. Fu rilanciata anche l’idea dell’espansione militare in Africa per il dominio del Mediterraneo. L’Italia divenne fattore d’instabilità. 15 L’accordo di Stresa (291) Fu la vittoria del nazionalsocialismo tedesco il fattore che maggiormente preoccupò Mussolini e lo spinse a moltiplicare le iniziative sia in Africa sia nell’Europa sudorientale. Quando Hitler eliminò il cancelliere austrtiaco, che aveva una accordo con Mussolini per l’esportazione del fascismo in Austria, e minacciò l’annessione dell’Austria, l’Italia si accordò a Stresa con Gran Bretagna e Francia contro il riarmo tedesco. LA GUERRA D’ETIOPIA E LE SUE CONSEGUENZE POLITICHE (pag. 292/295) Le ragioni dell’intervento in Africa (292) I motivi dell’intervento dell’Italia in Etiopia furono: il problema dell’occupazione; l’invasione delle merci tedesche nei mercati balcanici ed esteuropei (sbocco naturale dell’esportazione italiana); la dipendenza dell’industria pesante dalle commesse belliche. Non poteva bastare per risolvere tutto questo la colonia libica, occorreva puntare sull’Africa orientale. Con il pretesto di riportare l’ordine il Etiopia, Mussolini vi inviò truppe militari, invadendola il 3 ottobre 1935. Le operazioni militari (292) La guerra fu condotta con metodi disumani ed ebbe esito favorevole, con una vittoria eclatante voluta da Mussolini su un esercito molto più debole. Il 3 maggio 1936 il negus fuggì in esilio e il 5 maggio Badoglio entrava ad Addis Abeba. Il 9 maggio Mussolini proclamò l’Impero e Vittorio Emanuele III fu eletto imperatore d’Etiopia. Le sanzioni economiche contro l’Italia (293) L’avventura etiopica costò però all’Italia la rottura con le potenze democratiche. L’Etiopia era infatti membro della Società delle Nazioni. L’Italia fu condannata come stato aggressore dall’assemblea plenaria della Società delle Nazioni. Anche la Germania, nonostante si fosse ritirata dalla Società 2 anni prima, si schierò dalla parte del negus e gli fornì aiuti militari. La scelta autarchica (293) Le sanzioni comminate nei confronti dell’Italia non ebbero in realtà gli effetti sperati nel dissuaderla dall’aggressione all’Etiopia e non furono mai pienamente attuate. Esse non riguardavano beni di prima necessità e furono usate in senso propagandistico: determinarono infatti la crescita dell’intervento dello stato in economia. Fu lanciata la parola d’ordine dell’”autarchia”, ossia il raggiungimento del massimo di autonomia politica nel più breve tempo possibile. Era una forma di protezionismo ad oltranza che poneva lo Stato al centro del sistema economico. L’alleanza con la Germania (294) Nel clima di isolamento che si era venuto a creare si accentuò la sottomissione alla Germania di Hitler, con la quale si stabilì un rapporto di alleanza in occasione della guerra contro la Spagna, a cui l’Italia partecipò al fianco dei tedeschi. Si venne a creare un vero e proprio asse Roma – Berlino, nel nome della lotta al bolscevismo e della consultazione permanente su tutte le questioni internazionali di rilievo. Dopo l’uscita dalla Società delle Nazioni, Mussolini prese la gravissima decisione di permettere alla Germania l’annessione dell’Austria. Contemporaneamente furono importati in Italia gli aspetti peggiori del regime nazista: il razzismo antisemita, l’adorazione del Furer e della potenza. Nel 1938 furono approvate le leggi razziali. Nel 1939 fu firmato il patto d’acciaio tra Mussolini e Hitler, con cui si stabiliva un’alleanza tra i due paesi; essa poneva l’Italia alla piena mercé della politica nazista, senza che si stabilisse un obbligo di informazione preventiva tra i due contraenti. 16 IL FASCISMO, “REGIME REAZIONARIO DI MASSA” (pag. 296/298) La politica sociale del regime (296) Durante il periodo fascista nacquero i grandi apparati burocratici del parastato: Con essi il regime provvedeva ai livelli minimi di sussistenza della masse lavorative, dopo l’eliminazione delle organizzazioni proletarie. Aumentarono le opere pubbliche per assorbire la disoccupazione. A differenza del New Deal tutto ciò fu accompagnato dalla soppressione della democrazia, come testimoniato dalla concentrazione dei poteri del parlamento nel Gran Consiglio Fascista (il “partito unico”), dell’autorganizzazione, dei sindacati, sostituiti da “organi di stato”. L’organizzazione del consenso (296) Il fascismo intervenne in ogni settore della vita associata, fosse esso culturale, lavorativo, ricreativo o sociale, attuando una mobilitazione globale della nazione. Lo sport fu favorito a appoggiato, e divenne anch’esso di regime. Fu costituita la scuola di “mitologia fascista”, e la materia divenne obbligatoria in ogni scuola. I mezzi di informazione furono controllati in forma totalitaria (la radio era gestita monopolisticamente dalla Eiar). Fu costituito il ministero della “cultura popolare” (Minculpop). La scuola fu assoggettata alle direttive del fascismo. Senza la tessere del partito nazionale fascista era impossibile trovare lavoro. La repressione del dissenso (298) A fronte di quella popolazione attivizzata e mobilitata dalla propaganda e dalle organizzazioni di massa del regime, esisteva un vastissimo fronte di sopportazione e di passività, di spoliticizzazione e di profonda apatia. Le voci dell’opposizione furono costrette al silenzio, molti uomini preferirono l’esilio. L’attività antifascista si spostò a Parigi e vennero organizzati numerose azioni esemplari. IL CROLLO DI WALL STREET 1929: IL CROLLO DI WALL STREET (pag. 174/177) Il tracollo dei titoli azionari (174) L’indice della borsa di New York cominciò a scendere e il 24 ottobre 1929, nel giovedì nero, toccò il minimo storico. I detentori cominciarono a disfarsi delle azioni. Il 29 0ttobre, il martedì nero, vi fu una seconda precipitazione e una più profonda ondata di panico. In un colpo solo furono cancellati gli aumenti degli ultimi 12 mesi. Nei tre mesi successivi l’indice scese ancora e il valore di molte aziende fu praticamente azzerato. La recessione negli Stati Uniti (175) Dalla borsa la crisi si trasmise agli altri settori, dando luogo ad una gravissima recessione: la produzione industriale diminuì, gli investimenti decaddero, i prezzi agricoli si ridussero, più di 5000 banche dovettero chiudere, si produsse una disoccupazione senza precedenti, fu dimezzato il reddito nazionale e ridotto drasticamente il monte salari. La dimensione internazionale della crisi (176) La catastrofe abbattutasi sull’economia statunitense fece sentire i suoi effetti sull’economia mondiale, profondamente condizionata dalla produzione e dagli scambi con gli USA; questi effetti non furono però equamente distribuiti. La Germania fu la nazione più colpita, poiché risentiva di una stretta dipendenza dai prestiti e dagli investimenti di capitali americani. Più attenuati furono gli effetti in Francia e Gran Bretagna, grazie al fatto che queste due potenze potevano contare su ampi imperi coloniali e su una relativa indipendenza dalla finanza americana. Occorre anche dire che l’economia di questi due paesi non si era mai del tutto ripresa dallo sforzo bellico e quindi la crisi non si manifestò nella forma clamorosa di chi aveva vissuto un boom postbellico. 17 I progressi dell’Unione Sovietica (177) In Unione Sovietica invece proprio in quegli anni si verificò un grande sviluppo economico, dovuto in buona parte all’isolamento di quel paese dall’economia mondiale e ai processi d’industrializzazione forzata che vi erano stati avviati. GLI SQUILIBRI DELL’ECONOMIA STATUNITENSE (pag.178/181) I fattori di fragilità del sistema economico statunitense (178) 1. Una cattiva distribuzione dei redditi; 2. una cattiva struttura delle aziende industriali e finanziarie; 3. una cattiva struttura del sistema bancario; 4. un dubbio stato della bilancia estera; 5. uno stato infelice della scienza economica. Le contraddizioni dell’espansione economica (178) Gli Stati Uniti avevano conosciuto uno sviluppo economico di dimensioni straordinarie grazie alla diffusione di prodotti di consumo durevole. Sembrava essersi innescato quello che gli economisti chiamano un “circolo virtuoso”. Ma tra la tendenza all’aumento della produzione e la stabilità dei salari vi era una contraddizione insanabile: gli investimenti e la crescita della produttività non corrispondevano alla crescita dei salari e quindi del potere d’acquisto dei lavoratori. Per un certo periodo questo problema fu compensato dalle classi più agiate e da una politica di bassi tassi d’interesse che aveva permesso l’acquisto di beni durevoli con pagamenti rateali o mutui. Alla lunga però il limitato potere d’acquisto delle masse costituì un freno all’espansione. La debolezza del sistema finanziario (179) Una seconda contraddizione interna all’economia americana era rappresentata dal sistema finanziario. Gli Stati Uniti mancavano d’autorità finanziarie centrali in grado di correggere le distorsioni che si venivano man mano creando nell’economia. L’unico intervento delle autorità centrali fu nel senso di favorire sempre le tendenze all’espansione e di contrastare sistematicamente chi chiedeva di porre freni ad un boom che rischiava, alla lunga, di diventare dannoso. Non furono posti limiti all’attività speculativa delle banche né all’ondata speculativa in borsa. La spirale della crisi (181) La disoccupazione e la diminuzione dei salari colpì soprattutto la media borghesia, la cui forzata uscita dal mercato danneggiava i produttori di beni di consumo. Ciò fece mancare domanda all’industria e all’agricoltura, che continuarono a ridurre la produzione e ad aumentare il numero dei disoccupati. A tutto ciò si aggiunse il fallimento di molte banche a causa del ritiro dei capitali da parte dei risparmiatori. LE CAUSE DELLA RECESSIONE INTERNAZIONALE (pag. 184/186) La gestione dei debiti di guerra (184) Francia, Gran Bretagna e Italia, durante la guerra, si erano pesantemente indebitate con gli Stati Uniti; per far fronte a ciò avevano avviato una politica aggressiva d’esportazioni. Alla Germania erano stati addebitati tutti i costi di guerra ma ciò aveva delle contraddizioni. La fragile, le economia tedesca era uscita stremata dalla guerra e rischiava di entrare in un’ondata inflazionistica. S’innescò un triangolo economico: gli Stati Uniti esportavano capitali in Germania, che a sua volta li utilizzava per pagare i debiti di guerra a Francia e Gran Bretagna, che a loro volta pagavano i loro agli Stati Uniti. Questo triangolo portò ad una rapida diffusione della crisi quando gli Stati Uniti non furono più in grado di esportare capitali. 18 L’assenza di una guida economica internazionale (185) Mancava un’autorità finanziaria internazionale in grado di garantire le norme e operare in caso di emergenza. La Gran Bretagna non poteva più ricoprire questo ruolo perché era uscita indebolita dalla guerra. Gli Stati Uniti non riuscirono a prenderne il posto perché non avevano ancora ottenuto una piena legittimazione internazionale, nonostante il dominio economico e i crediti verso le potenze europee. Nel sistema economico internazionale gli Stati Uniti occupavano una situazione secondaria per motivi: o politici: prevalevano politiche isolazioniste contrarie all’espansione in Europa e più favorevoli verso America latina e Asia; o tecnico-bancari: mancava negli Stati Uniti un organismo centrale per regolare l’economia in accordo col governo. Esistevano solo “banchieri d’affari” che non garantivano alcuna stabilità. “Gold exchange standard” (186) I trasferimenti d’oro avvenuti durante la guerra e l’aumento del commercio mondiale avevano reso poco realistica l’idea di continuare ad usare l’oro negli scambi internazionali e nel calcolo del valore delle monete. Le autorità finanziarie erano contrarie all’abolizione di questo metodo oggettivo. Nella conferenza di Genova del 1922 venne definito il Gold Exchange Standard: in cambio della propria valuta i vari paesi dovevano sempre dare oro, ma oltre all’oro dovevano tenere nei propri depositi anche la Sterlina. Questo da un lato dava respiro all’economia britannica, ma dall’altra le dava un ruolo di regolatore dell’economia che non era in grado di sostenere. Questo sistema fece irrigidire i cambi per tutti gli anni venti e faceva ruotare l’economia intorno a una moneta debole. LE RISPOSTE DI BREVE PERIODO (pag. 188/192) Le politiche protezioniste (188) Tutti i paesi del mondo, a cominciare dagli Stati Uniti, imposero su molte merci dazi doganali altissimi, sperando con una politica protezionista di evitare la recessione. Questo danneggiò però l’insieme dell’economia internazionale e ogni bilancia commerciale ne subì gli effetti. Dopo gli Stati Uniti fu colpita la Spagna, seguita dalla Svizzera (che boicottò i prodotti statunitensi), dal Canada e dall’Italia (che fu colpita nell’esportazione di olio d’oliva e abbigliamento). Si poteva risolvere questo problema diminuendo i costi e i salari o svalutando le monete, ma il primo metodo avrebbe depresso ancora di più i mercati interni, il secondo andava contro il Gold Exchange Standard, che infatti andò in crisi. La svalutazione della sterlina (188) La Gran Bretagna abbandonò il regime aureo, dichiarando l’inconvertibilità dell’oro con la Sterlina. Questo avviò una profonda svalutazione. Altri 25 paesi (Commonwealth, Scandinavia, Europa Orientale Argentina, Egitto, Portogallo) adottarono lo stesso provvedimento. Stati Uniti, Germania e Unione Sudafricana cercarono di resistere al deprezzamento. Le cause che portarono la Gran Bretagna a questa decisione furono la sua debolezza economica e l’inadeguatezza della sterlina come fulcro dell’economia internazionale. Le conseguenza furono negative per l’economia inglese e mondiale; dando fine al Gold Exchange Standard ci fu la frantumazione del sistema economico in mercati separati, poiché esso non fu sostituito da un altro sistema solido. La frantumazione del mercato mondiale (190) Cominciò la creazione di sistemi di mercato chiusi e protetti, sulla scia dei Paesi Scandinavi e del Benelux, seguiti dalla Gran Bretagna, che strinse i suoi rapporti commerciali intorno a Canada, Australia e Sudafrica. La Germania tentò la via di una Zollunion (unione doganale) con l’Austria, ci fu il veto della Francia, ma in Germania si stava sviluppando il Nazionalsocialismo, che voleva a tutti i costi l’indipendenza economica. La frantumazione del mercato mondiale avrebbe portato gravissime conseguenze. 19 La crescita delle tensioni internazionali (191) Sul piano dei rapporti politici internazionali ebbe conseguenze drammatiche. Il principale rimedio all’inflazione divenne l’espansione, che poteva significare l’uscita dalla crisi e poteva essere praticata in due modi: o con una politica di aggressività imperialistica (strada scelta dai regimi autoritari di destra di Germania, Italia e Giappone) nei confronti dei paesi limitrofi; o con un ritorno a un ordine economico internazionale, che presupponeva un accordo internazionale vincolante o l’affermazione di una nuova potenza guida, che non poteva realizzarsi se non con uno scontro diretto fra i paesi aspiranti all’egemonia. Lo stato interventista (192) Ogni economia doveva trovare al suo interno la forza capace di promuovere lo sviluppo controllandone l’andamento. Questa forza fu individuata nello Stato, che divenne un organo con funzioni di governo sul ciclo economico. Negli Stati Uniti il cambiamento arrivò con il New Deal di Roosvelt, in Germania la crisi della Repubblica d Weimar lasciò il posto allo Stato nazionalsocialista, in Italia lo Stato fascista seguì una politica imperialista e autarchica. In Unione Sovietica lo stalinismo avviò un opera di ingegneria sociale ed etnica senza precedenti. Nacque in pratica lo Stato interventista. LE CONSEGUENZE DI LUNGO PERIODO (pag. 194/196)) La centralità della “domanda” nel sistema economico (194) La razionalizzazione della produzione aveva accentuato lo squilibrio tra capacità produttiva e capacità di consumo, cioè tra produzione e salari. Senza uno sbocco di mercato per le merci prodotte la macchina economica si sarebbe presto fermata. Dall’imperativo ottocentesco Primo: produrre si passò a quello novecentesco Primo: consumare. L’incapacità di autoregolazione del mercato (195) La crisi aveva evidenziato che il ciclo economico, una volta entrato in fase di recessione, finiva per avvolgersi in una spirale negativa senza riuscire ad uscirne da solo. Gli imprenditori sapevano che per aumentare la domanda dovevano aumentare anche i salari, ma non lo facevano. I diversi settori produttivi erano scollegati tra loro. Era necessario che esistessero strumenti in grado di far giungere il risparmio agli investitori (tassi d’interesse bassi, istituti di credito funzionanti), stimolare in loro qualche propensione all’investimento. La ripresa poteva avvenire aolo con la presenza di un super partes, in pratica un capitalista collettivo che assicurasse il controllo del ciclo economico, che ridistribuisse il reddito in modo da favorire il consumo, che governasse adeguatamente i tassi d’interesse, che orientasse i crediti verso soggetti propensi all’investimento. I caratteri delle politiche keynesiane (196) Le politiche di Keynes si basavano su uno Stato inteso come capitalista collettivo e, dopo la seconda guerra mondiale, divennero politica comune nel mondo occidentale. Secondo Keynes lo Stato doveva favorire la ripresa degli investimenti e sostenere la domanda sul mercato. Bisognava aumentare i salari e la spesa pubblica con i sussidi ai disoccupati e con grandi lavori pubblici. Si metteva al primo posto il consumo a scapito del pareggio di bilancio. Si procedette poi anche alla riforma dell’apparato creditizio con lo Stato che assunse le funzioni di finanziamento industriale a lungo termine. 20 L’AFFERMAZIONE DI UN ECONOMI GLOBALE (pag. 197/200) Il nuovo indirizzo dell’economia mondiale (197) Prese vita per la prima volta un sistema mondiale unificato degli scambi, una vera e propria “economia globale” tale da ridurre la maggior parte del pianeta ad un unico “mercato”. La seconda guerra mondiale divenne spartiacque tra due periodi economicamente diversi: o gli anni Trenta caratterizzati da una forte instabilità economica e da una conflittualità tra gli Stati; o il secondo dopoguerra, segnato dal continuo sviluppo delle potenze industriale rispetto al Terzo mondo e ai paesi comunisti. Gli accordi di Bretton Woods (197) Dopo la fine del Gold Exchange Standard i 44 paesi alleati si riunirono a Bretton Woods per riorganizzare il sistema monetario internazionale. Si concordò che l’oro restasse come semplice riserva per gli Stati, attribuendo invece al dollaro il ruolo di valuta standard (Gold Dollar Standard). Ogni moneta avrebbe definito un proprio cambio fisso con il dollaro, unica moneta vincolata ad un rapporto fisso con l’oro. Gli Usa “custodi dello sviluppo” (198) Questo sistema attribuiva notevoli vantaggi all’economia americana. Gli Usa divennero custodi dello sviluppo mondiale, ma erano esposti a notevoli rischi: in ogni momento qualunque paese avrebbe potuto chiedere agli americani la conversione dei propri dollari in oro. La nascita di un sistema economico integrato (199) Nasceva quella che è stata definita l’”economia-mondo”, un sistema economico integrato e omogeneo, avente al centro l’asse atlantico, cioè il Nord ricco e sviluppato, lasciando come aree periferiche il sud povero in via di sviluppo. Le società multinazionali (199) Alla nascita di una vera e propria “economia-mondo” corrispose la trasformazione delle strutture produttive, della forma stessa delle imprese. L’impresa alla “mondializzazione dell’economia” rispose assumendo la forma della multinazionale. Le imprese istituirono nuove filiali nelle stesse periferie; anziché merci, incominciarono ad esportare capitali per costituire strutture industriali “sul posto” ed estendere sull’intero pianeta i propri apparati produttivi. Impiantando proprie filiali e propri stabilimenti all’interno dei paesi protetti, le compagnie americane riuscivano ad aggirare le barriere doganali, dal momento ce le merci prodotte non potevano essere considerate come “straniere”. Costruendo fabbriche all’estero, in particolare nei paesi del Terzo mondo, le compagnie americane potevano contare su salari molto più bassi di quelli in vigore nella madre patria e riuscivano quindi a produrre a costi molto più bassi. La debolezza di questo sistema era una tendenza all’esportazione di capitali verso paesi a più alta redditività e un indebolimento della competitività delle imprese collocate sul territorio americano rispetto a quelle situate nel resto del mondo. 21 IL NAZIONALSOCIALISMO LA FINE DELLA REPUBBLICA DI WEIMAR (pag. 260/267) L’ascesa del partito nazionalsocialista (260) La crisi del )29 colse la Germania in una condizione particolarmente delicata in cui si riscontrò una progressiva paralisi del sistema politico con il successivo aumento del consenso al parlamento nazionalsocialista. In quel tumultuoso periodo, ogni forza politica cercava consensi a sinistra inalberando la qualifica di “operaio”. Nel 1923 il partito NSDAP aveva costituito un vero e proprio apparato militare (SA) con il compito preciso di esercitare violenza contro l’estrema sinistra (presero spunto dall’Italia fascista). È solo dal 1930 che il Nsdap inizia ad ottenere consensi. La dissoluzione della repubblica di Weimar (261) Questo processo di dissoluzione può essere diviso in tre fasi principali: 1) Vi è una sostanziale perdita di potere (governo di Bruning) in cui si manifesta una profonda crisi di efficienza delle istituzioni politiche e costituzionali. 2) È la cosiddetta fase del vuoto di potere (governo Von Papen e Kurt Von Schleicher) caratterizzata da una sostanziale crisi di autorità. 3) Nella terza vi è invece una forte presa di potere da parte di Hitler (1939) Il governo Bruning (262) La disoccupazione stava criticamente aumentando , le entrate fiscali diminuivano ed i politici erano costretti a scelte che potevano essere viste come contraddittorie e rischiose. Venne nominato cancelliere (con iniziativa unilaterale del presidente Hidenburg) Bruning, il quale in quarantotto ore fu in grado di costituire un nuovo governo. Ora era diventata legittima la gestione extraparlamentare delle crisi e delle nomine di governo. I militari avevano sempre più potere nella politica tedesca e con le elezioni dalle elezioni i partiti di centro uscirono ancora più indeboliti mentre vennero rafforzati i partiti di estrema sinistra e destra. La debolezza della politica Governativa (263) Il risultato elettorale era la prova di come la crisi economica si riflettesse sugli orientamenti politici della nazione. I disoccupati erano cresciuti a 5 milioni e venne deciso di difendere ad oltranza il valore della moneta con la conseguente diminuzione della competitività delle merci tedesche sul mercato internazionale e la produzione industriale diminuì del 50%. Si ricorse più volte a prestiti pubblici ed a prestiti internazionali che aggravavano la situazione Tedesca. L’ideologia nazista non venne contrastata apertamente ed Hitler continuava ad agire con metodi criminali utilizzando le SA e le nuove SS. Le SS erano divise in base ai loro compiti : Generiche, Protezione del Fuhrer, Vigilanza, Reclutamento. La coalizione antigovernativa di Harzburg (265) Una delle quattro banche più grandi della Germania dichiarò apertamente l’insolvibilità e il panico serpeggiò tra i risparmiatori. Vennero così bloccati tutti gli sportelli e le operazioni di borsa. La parte di sinistra si era ulteriormente indebolita ed ora l’unica forza rimasta in gioco era l’estrema destra. Le elezioni dell’aprile 1932 (265) L’unico candidato in grado di contrapporsi al carisma di Hitler era l’ultraottantenne Hidemburg. Vinse Hidemburg ma il federmaresciallo non restò minimamente fedele al proprio mandato sostituendo Bruning con un proprio uomo di fiducia. Era il passo finale per creare il vuoto di potere che Hitler colmerà. . 22 IL NAZIONALSOCIALISMO AL POTERE (pag. 268/271) La nomina di Hitler a cancelliere (268) La crisi di autorità si era ormai acutizzata: il governo appariva spropositatamente debole rispetto alla forza dei nazisti. Von Papen fu sostituito al generale Kurt per un estremo tentativo di dividere il partito nazionalsocialista ma, il progetto fallì ed Hitler fu eletto cancelliere il 30 gennaio 1933. L’incendio del Reichsatg e l’annientamento dell’opposizione Iniziò subito con una radicale riorganizzazione dello stato, sciolse il parlamento e contemporaneamente creò un corpo di polizia ausiliaria composto da elementi fedelissimi del partito e, tutti i giornali di opposizione vennero chiusi. A pochi giorni dal Voto, Hitler fece incendiare il parlamento tedesco ed attribuì la responsabilità alle sinistre. Neppure uno sciopero di risposta fu tentato e 400 militanti comunisti furono arrestati Il conferimento dei pieni poteri a Hitler In un clima di aperta intimidazione le elezioni attribuirono al partito nazionalsocialista il 43% dei voti. Hitler chiese subito la concessione dei pieni poteri e tutti i gruppi non governativi votarono a favore. Nessuno fu in grado di organizzare neppure la pur minima opposizione.. Tutte le sedi sindacali furono chiuse. Tutti i partiti furono messi fuori legge ed i 1° dicembre fu stabilita per legge l’unità tra il partito nazionalsocialista e lo stato. Una rigida gerarchia razziale e politica (271) Il nazismo propone una concezione organicistica dello stato, non scomponibile nella somma delle singole volontà ma solo il volere del Furhrer che diventerà il volere di tutto il popolo. Nasce la concezione della superiorità razziale La definizione di un modello politico (271) Si formava un nuovo modello politico basato sul rapporto diretto tra il Fuhrer e le masse. Vengono quindi mobilitate direttamente le masse che si identificheranno con la figura del capo carismatico anche se il suo atteggiamento restò sempre ambivalente e contraddittorio. IL TERZO REICH(pag. 272/277) L’eliminazione dell’opposizione interna al partito fascista(272) Nel 1934 l’intero stato maggiore delle Sa venne convocato con un espediente e successivamente massacrato da contingenti Ss, contemporaneamente furono eliminati molti altri potenziali avversari di Hitler.. La formazione di uno stato totalitario(272) Tranquillizzati esercito e industria con la drastica epurazione del partito, egli poté rapidamente concentrare nella propria persona tutto il potere istituzionale. Tutti i ministeri politicamente rilevanti furono occupati dai nazisti. La macchina dello stato totalitario aveva così raggiunto la sua perfezione: un sistema politico a partito unico di massa dotato di un ideologia irrazionalistica e attivizzante Le linee di politica economica(274) Il nuovo governo assunse una serie di misure estremamente efficaci: fu stanziato un miliardo di marchi per la realizzazione di un grande programma di lavori pubblici e per il finanziamento delle imprese edili privaste impegnate in opere di restauro delle case in rovina. Venne iniziata una poderosa rete di autostrade che colpì la fantasia popolare dando lavoro a decine di migliaia di disoccupati rilanciando così l’industria automobilistica. 23 Il riarmo tedesco(275) Fu però il massiccio sforzo bellico a determinare la ripresa economica tedesca. Vennero ritirati i rappresentati dalla società delle nazioni, denunciò il trattato di Versailles, almeno per quelle clausole che ponevano forti limiti alle dimensioni dell’esercito e degli armamenti tedeschi. Venne ripristinato il servizio militare obbligatorio ed iniziò il riarmo in vasta scala. In pochissimo tempo si raggiunse la piena occupazione con il conseguente aumento dei salari della manodopera specializzata. Una spregiudicata politica finanziaria(275) Hitler non si preoccupò minimamente della copertura finanziaria di tali spese, accettando un deficit crescente e ritenendo che i vincoli tecnici dell’economia dovessero cedere agli imperativi della politica. Mise in piedi una rete di rapporti con un gran numero di paesi minori nei Balcani e in America latina, al fine di scambiare materie prime secondo un sistema assai simile al baratto. Le aree industriali del terzo reich 1934-39 Il governo Nazista avvio una nuova fase di intensa industrializzazione in aree chiave del territorio tedesco, ampliando l’industria pesante e sviluppando la produzione a scopi bellici. Fu potenziata contemporaneamente la rete autostradale, che mirava a collegare Berlino con tutti i nuovi centri industriali. Proprio questa rete viaria avrebbe garantito in caso di conflitto una straordinaria mobilità alle truppe tedesche L’espansione tedesca alla vigilia della seconda guerra mondiale Il primo passo fu il ritorno della Saar sotto la piena sovranità tedesca in forza di un plebiscito. Nel 1939 furono annesse al Reich la Boemia e la Moravia, mentre fu lasciato in vita uno stato slovacco sotto il controllo nazista. L’ANTISEMITISMO(pag. 278/283) Le radici ideologiche della politica antisemita(278) L’odi nei confronti degli ebrei era intrinseco all’ideologia nazista, ossessionata dal mito della purezza della razza e dalla fobia per la diversità razziale, inoltre occorreva un capro espiatorio su cui concentrare l’aggressività e il malessere delle masse. Le finanza ebraica veniva indicata come la responsabile della dissoluzione dei risparmi dei buoni padri di famiglia tedeschi. L’epurazione nella pubblica amministrazione e nell’economia(278) La persecuzione antisemita iniziò fin dai giorni immediatamente successivi alla presa del potere da parte del partito nazionalsocialista. Le vetrine dei negozi appartenenti a Ebrei furono infrante da squadre di Sa in festa. Tutti i funzionari di origine ebrea furono epurati e, solo ci dimostrava con una rigorosa documentazione la propria discendenza Ariana per almeno due generazioni poteva svolgere impieghi pubblici La “notte dei cristalli” (279) In seguito all’uccisione di un diplomatico tedesco a Parigi, per opera di uno studente ebreo, in una notte di barbarie ,la cosiddetta notte dei cristalli, furono distrutte quasi tutte le sinagoghe e oltre 7000 negozi. Dopo che agli ebrei vennero vietati tutti gli intrattenimenti pubblici (teatri, musei, campi sportivi) Hitler annunciò l’imminente soluzione radicale. 24 I LAGER NAZISTI(pag. 278/283) I primi campi di concentramento(280) Il lager Nazista è il simbolo di un universo concentrazionario massificato. Un abito in cui l’esistenza umana fu ridotta al massimo livello di irrilevanza e di anonimato in cui si tentò di cancellare identità, personalità ed autonomia individuale. I primi campi furono aperti nel 1933 per ospitarvi i dissidenti politici internati in forza del decreto presidenziale di emergenza. La pratica del terrore(280) Il lager appare come un principale strumento di azione politica in cui si effettuava la riduzione dell’avversario e del concorrente in nemico assoluto.. è inoltre il simbolo del lavoro schiavo riservato a persone inferiori le cui energie venivano sfruttate effettivamente fino all’esaurimento totale. Una riproduzione artificiale e gerarchica della società(281) Nel Campo ogni categoria in cui si suddividono i prigionieri è individuata da un contrassegno visibile e collocata in un preciso gradino sociale della struttura gerarchica. Alla base stavano gli ebrei, poi gli zingari, gli omosessuali, gli asociali, i politici ed in fine , al vertice della piramide i criminali. I numerosi metodi di tortura(282) Mentre le Ss si occupavano delle esecuzioni esemplari erano i KAPO a garantire la disciplina quotidiana con metodi estremamente crudeli e torture. I problema principale dei nazisti era il costo relativo alla soluzione finale, studiarono molti metodi e, alla fine si scelse quello della camera a gas in cui si riuscivano ad uccidere 250 prigionieri per volta con una media giornaliera di 10000 morti. Alla fine in Europa solo 1/3 degli ebrei sopravvisse. IL REGIME STALINIANO NELL'UNIONE SOVIETICA (1927-39) LA COLLETTIVIZZAZIONE FORZATA DELLE CAMPAGNE (pag. 299/301) La lotta di classe nelle campagne (299) Il fallimento della NEP risultava evidente soprattutto nelle campagne. Stalin decise per un radicale cambiamento della politica economica per far fronte alla crisi agricola: mettendo fine alla fase di compromesso tra il regime e i contadini dichiarò guerra ai contadini ricchi (i kulàki). L'attacco ai kulàki era fondato su due tesi: che le carenze alimentari fossero dovute ai grossi proprietari che sabotavano lo Stato sovietico; che nelle campagne esistessero classi nettamente distinte e dagli interessi contrapposti, cioè i kulàki e i contadini poveri, che sarebbero stati alleati dei Bolscevichi. Questa ultima tesi nelle campagne doveva essere introdotta con la forza perché era altrimenti insostenibile. Le conseguenze economiche (300) Furono i militari, direttamente colpiti dalla carenza di cereali, e le forze di polizia a condurre le requisizioni forzate delle riserve accumulate dai contadini, trasformando fin dall'inizio una crisi economica in un problema di ordine pubblico. Alla dekulakizzazione molti contadini decisero di rispondere con l'autoliquidazione, cioè sabotando attivamente la produzione. Per tutti i decenni successivi la debolezza del settore agricolo sarebbe rimasto uno dei principali motivi di fragilità dell'economia sovietica. La svolta del 1930 (301) La dekulakizzazione diede vita anche a un'attiva persecuzione nei confronti della classe dei contadini ricchi. Il regime varò misure radicali: tutti i kulaki dovevano essere isolati nelle campagne e veniva fatto divieto a chiunque di prestare loro aiuto. 25 L'imposizione delle strutture agricole collettive (301) Un decreto pubblicato nel 1930 prevedeva la collettivizzazione totale di tutte le regioni cerealicole in meno di due anni. Nel giro di poche mesi, l'intervento dell'esercito costrinse milioni di famiglie a trasferirsi in aziende collettive. La collettivizzazione forzata rappresentava l'incapacità del governo socialista di contemperare gli interessi di contadini e operai. L'adozione di misure coercitive (302) Fu necessario limitare la mobilità personale per evitare da un lato che le misure di collettivizzazione venissero aggirate, dall'altro che l'urbanesimo assumesse dimensioni eccessive. Tutto ciò portò alla decisione di sacrificare le condizioni di vita dei contadini e gli interessi di lungo periodo della produzione all'esigenza immediata di ottenere il massimo quantitativo possibile di cereali. Le conseguenze della collettivizzazione (302) In alcune delle regioni dove la politica di trasferimento forzato fu applicata più rigidamente, il calo della produzione fu assai forte. STALINISMO E REPRESSIONE DI MASSA (pag. 310/313) Le radici del consenso (310) Una società in così rapida trasformazione sociale e caratterizzata da una così violenta instabilità era soggetta a notevolissime tensioni sociali e psicologiche. Nell'esaltazione della figura di Stalin che raggiunse aspetti di un vero e proprio "culto della personalità" si ritrova la risposta a un profondo bisogno di stabilità e certezza. Stalin appariva rassicurante nella sua immensa autorità e nella sua salda permanenza al potere. Alla sua morte il suo feretro sarebbe stato seguito da milioni di persone, mentre in seguito tutti avrebbero visto la fine di Stalin come una liberazione: questo provava la profonda ambiguità di sentimenti del popolo russo verso Stalin. Le "purghe" degli anni trenta (310) Stalin possedeva un potere senza precedenti, dovuto ai successi economici e all'enorme autorità personale raggiunta. All'interno del partito però le tensioni erano molte. L'uccisione di Kirov, alto dirigente molto vicino a Stalin, potrebbe essere riconducibile allo stesso Stalin, preoccupato dal potere raggiunto da Kirov. Stalin accusò alcuni antichi dirigenti che vennero condannati a morte. Era l'inizio di una fase in cui Stalin eliminò non solo gli oppositori, ma anche coloro che potevano esserlo o diventarlo. Il culmine arrivò con le grandi purghe, che strinsero l'intera società sovietica in una morsa di terrore, reciproco sospetto, soffocante conformismo. Le forti epurazioni di quegli anni coinvolsero un numero ingente di dirigenti, amministratori, contadini. Questa era la tendenza di Stalin a diffidare di chiunque. DALLA GUERRA DI SPAGNA ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE TENSIONI SOCIALI E CONTRASTI POLITICI NEI PAESI IBERICI (pag. 3371341) L'isolamento politico della penisola iberica (337) Spagna e Portogallo avevano occupato una posizione appartata rispetto alla politica europea. Entrambe possedevano un buon impero coloniale in Africa e non erano state coinvolte nei grandi conflitti. Le loro strutture interne si erano modificate lentamente: costituzione repubblicana in Portogallo, monarchia costituzionale in Spagna. Conservazione sociale e centralismo statale in Spagna (338) Alla base dell'immobilità dei paesi iberici c'era l'organizzazione della proprietà e della produzione: solo i paesi baschi e catalani avevano avviato un processo di industrializzazione, mentre il resto del paese era ancora di tipo agrario feudale. Su tutto ciò vegliava la gerarchia ecclesiastica, timorosa che una modernizzazione avrebbe potuto sottrarle potere. Lo Stato, che svolgeva funzioni di mantenimento, era soggetto alle pressioni riformiste dei ceti medi e all'opposizione dei movimenti popolari. 26 L'opposizione autonomista (338) L'opposizione popolare tendeva a richiedere forme di autonomia e autogoverno. Esisteva il sindacato anarchico, favorevole a una riorganizzazione della società in piccole comunità autogovernati; il partito socialista e il sindacato da esso generato, l'Ugt; i movimenti autonomisti baschi e catalani; i movimenti reazionari. La dittatura di Primo de Rivera (338) Il primo tentativo di accontentare tutti fu fatto dal governo di Primo de Rivera, a carattere dittatoriale, molto simile al fascismo italiano. Rivera aveva approfittato della disfatta in Marocco per attaccare il parlamentarismo e prendere il potere, ottenendo buoni risultati in Marocco, cercando di attuare delle riforme, arrestandosi però di fronte a quella agraria. Strinse un alleanza con l'Italia in funzione antifrancese, alla quale si unì il Portogallo di Salazar de Oliveira. Il governo Rivera cadde però durante la crisi del 29 e fu sostituito da Manuel Azana. Il fronte repubblicano (339) Nel 1931 fu abbattuta la monarchia. La vittoria della sinistra convinse il re ad abbandonare il paese. Nacque la seconda repubblica spagnola in un clima di tensione e aspettative. Oltre alla sinistra e ai movimenti baschi e catalani in politica c'erano anche i repubblicani, che tentarono la carta di un governo aperto a sinistra. Il governo di Manuel Azana (339) I repubblicani di Manuel Azana cercarono di condurre a buon fine una riforma agraria, ma si scontrò con l'opposizione delle classi possidenti. La caduta della monarchia aveva spinto i movimenti popolari a scioperi e occupazioni, che il governo a volte tollerava e a volte reprimeva con forza. I primi provvedimenti del governo furono autonomia alla Catalogna e laicizzazione. Ma la contraddittorietà delle leggi e la timidezza con cui fu avviata la riforma agraria portò al crollo della fiducia nella sinistra e ad un avanzamento della destra. Il "biennio negro" (340) Nasceva un nuovo governo di coalizione fra le forze di centro e i gruppi reazionari. Anche la destra era un insieme contraddittorio. La chiesa e l'esercito erano le uniche due forze che unificavano la destra. Iniziò un duro periodo di repressione contro le rivolte nelle campagne e nelle miniere, esasperate dalla crisi. Questa fase politica, detta "biennio nero", durò 2 anni e rese impossibile sia una coalizione di centro destra per ottenere consensi, sia l'instaurazione di un nuovo regime. Lontano fin dall'inizio dalle masse popolari, il governo finì con l'estraniarsi anche i ceti medi e gli importanti ambienti industriali e finanziari. LA GUERRA CIVILE SPAGNOLA E GLI SCHIERAMENTI INTERNAZIONALI (pag. 341/346) La costituzione del Fronte popolare (341) Un gruppo riconducibile alla sinistra sotto molti aspetti, unificato sotto il nome di Fronte popolare e appoggiato dall'Internazionale comunista, ottenne il maggior numero di consensi alle elezioni del 36. Le contraddizioni interne erano molte: riformismo moderato contro intransigenza rivoluzionaria, comunisti ortodossi contro comunisti trockisti, centralismo marxista contro anarchici. La decisione di alcuni anarchici di contraddire i propri stessi principi per entrare nel governo avrebbe portato a contrasti anche nel movimento anarchico. Le difficili condizioni di governo (341) Il governo si era impostato come democratico borghese: i suoi provvedimenti furono: amnistia per reati politici; lavori pubblici contro la disoccupazione; provvidenze a favore dei contadini; revisione fiscale e controllo sulle banche; ampliamento della legislazione sociale. La destra non accettò il risultato elettorale e minacciò il colpo di stato. La sinistra intanto rivelò tutte 27 le sue contraddizioni: anarchici e comunisti dissidenti intensificarono le pressioni per l'instaurazione del socialismo, mentre repubblicani e comunisti si battevano contro la destra; socialisti e Ugt cercavano di mediare fra le parti ma si dividevano a loro volta fra radicali (Francisco Largo Caballero) e moderati (Idalecio Prieto). L'insurrezione militare (342) L'avvento al potere del fronte popolare fu caratterizzato da una radicalizzazione del conflitto sociale e politico. Operai e contadini sfogarono, con scioperi e occupazioni, una rabbia lungamente repressa; la destra andò unificandosi nelle sue componenti più violente e iniziò una serie di attentati terroristici, assumendo un profilo paramilitare; l'esercito poteva giocare un ruolo fondamentale, visto che voleva da sempre il colpo di Stato. Fu proprio un gruppo d'ufficiali guidati da Franco e Mola che diedero il via a una sollevazione militare contro il governo repubblicano. Ben presto l'insurrezione militare raggiunse il territorio metropolitano. Iniziava la guerra civile. L'intervento delle potenze fasciste (342) Le due potenze fasciste, Italia e Germania, appoggiarono apertamente gli insorti. Oltre alla simpatia ideologica e alla voglia di espandere il fascismo in Europa, le motivazioni di questo appoggio si trovano soprattutto in funzione antifrancese, ma anche nella volontà di rinchiudere la Gran Bretagna all'interno del suo impero. La posizione della Chiesa cattolica (343) Il consenso ai regimi fascisti fu ulteriormente rafforzato dalla benedizione del regime franchista da parte del papa. La chiesa era infatti tutta schierata con Franco contro i repubblicani "sacrileghi". Il contraddittorio atteggiamento delle democrazie occidentali (343) Francia e Gran Bretagna rifiutarono la richiesta d'aiuto del governo spagnolo: questo fu un duro colpo per la repubblica, in quanto ponendo sullo stesso piano governo repubblicano e ribelli, si negava la legittimità della repubblica; inoltre non si impediva ai governi nazifascismi di inviare aiuti ai ribelli. Solo l'unione sovietica s'impegnò direttamente accanto al governo repubblicano, decisa a utilizzare la rivolta spagnola per riavvicinarsi alle potenze occidentali in funzione antifascista, per rafforzare il partito comunista spagnolo e per fare della Spagna un'arena per uno scontro frontale fra fascismo e comunismo. Le divisioni nel fronte repubblicano (344) L'autorità di Franco si rafforzava e le divisione interne alla destra venivano liquidate. I comunisti sostenevano la fine delle lotte interne per la lotta al comune nemico e la liquidazione degli anarchici e del Poum, gli anarchici non accettavano le proposte di pace ma intendevano addirittura affiancare alla guerra civile una rivoluzione sociale; tutto culminò nelle giornate di Barcellona, dove in uno scontro armato il Poum fu disciolto e il partito anarchico ridimensionato enormemente. Le vicende militari (346) I ribelli riuscirono a congiungere le forze di sudovest con quelle del nord, accerchiando Madrid, che resistette ma fu circondata a nord e a sud; nel febbraio del 37 i fascisti occuparono Malaga; a marzo furono sconfitti a Guadalajara dalle Brigate italiane; ad aprile l'aviazione nazista rase al suolo Guernica; in giugno i fascisti conquistarono Bilbao, controllando così tutto il nordovest. Nella primavera successiva le forze della repubblica erano spaccate tra Madrid e la Catalogna. A questo punto divenne decisivo l'avvicinamento delle repubbliche europee al fascismo: all'inizio del 39 caddero prima Barcellona e infine Madrid. L'affermazione della dittatura franchista (346) Finita la guerra ebbe inizio una pace contrassegnata da una serie di persecuzioni politiche contro i comunisti, volute da Franco. Iniziava così il regime fascista più lungo della storia europea. La guerra di Spagna aveva contribuito a rompere gli equilibri internazionali. 28 VERSO UNA NUOVA GUERRA MONDIALE (pa2. 3481350) II disegno nazista di un nuovo ordine europeo (348) I piani tedeschi prevedevano un espansione territoriale, l'asservimento delle "razze inferiori" e lo sterminio delle stirpi ritenute perturbatrici, come ebrei e polacchi. Alleati della Germania dovevano essere gli altri imperi, cioè l'Italia e il Giappone. Bisognava però eliminare l'opposizione delle altre potenze, e la Germania ci lavorò con una politica estera caratterizzata da un'oculata diplomazia e dalla massima aggressività propagandistica. L'occupazione tedesca della Renania e l'Anschluss (348) Il sistema di alleanze tedesco era definito, con l'asse Roma Berlino e il patto anticomintern con Giappone, Italia, Spagna e Ungheria. Nel marzo del 36 Hitler si impossessò della Renania, zona smilitarizzata. Due anni dopo invase e annesse l'Austria (Anschluss). Il Fuhrer non voleva provocare le reazioni di Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica, anzi voleva giocare sulle loro contraddizioni e fare da arbitro nella situazione. La Gran Bretagna non reagì alle iniziative tedesche. La conferenza di Monaco (349) Hitler portò le sue mire sulla Cecoslovacchia, protetta però da un'alleanza con la Francia; la GB chiese all'Italia di mediare con la Germania per evitare lo scontro; fu convocata la conferenza di Monaco, con Hitler, Mussolini, Chamberlain e Daladier (fu escluso il rappresentante cecoslovacco e quello sovietico). Hitler ottenne il suo scopo: le sue pretese sulla regione cecoslovacca dei Sudati vennero accolte, e le potenze europee non reagirono quando Hitler attaccò invece tutta la Cecoslovacchia. L'espansione tedesca a oriente (349) Solo a questo punto Francia e Gran Bretagna lanciarono un ultimatum alla Germania, minacciando un intervento armato in caso di attacco tedesco a Polonia, Grecia o Romania. Chamberlain e Daladier contavano però più sulla dissuasione che sulle armi, non essendo in grado di sostenere una guerra. Hitler però confermò la sua volontà di attaccare la Polonia e orientò tutte le sue risorse verso la guerra. La riconquista della Polonia era considerata indispensabile per lavare l'onta di Versailles. Era anche ovvia, in questo senso, la resa dei conti con la Francia. Si capisce dunque che il conflitto globale era parte integrante del programma nazionalsocialista. Il patto tedesco - sovietico (350) Iitler diede il via a un'intensa attività diplomatica. Stipulò prima il Patto d'Acciaio con l'Italia, poi il patto ` von Ribbentrof - Molotov" con la Russia. Quest'ultimo era un patto di non aggressione per dieci anni, e garantiva anche all'URRS l'annessione di Polonia orientale, repubbliche baltiche e Finlandia, e alla Germania la possibilità di colpire prima a Occidente e poi ad Oriente. In caso di iniziative militare tedesche la Russia sarebbe rimasta neutrale. Quando la Germania invase la Polonia, Francia e Gran Bretagna dovettero entrare in guerra nelle condizioni strategiche peggiori. 29 LA SECONDA GUERRA MONDIALE DALLE GUERRA EUROPEA AL CONFLITTO MONDIALE (pag. 351/359) La sconfitta della Francia (351) Il 1° settembre 1939 le truppe tedesche invasero la Polonia e in meno di veni giorni la conquistarono interamente. Il 3 settembre l’Inghilterra e la Francia dichiararono guerra alla Germania. Vi furono alcuni mesi d’incerta attesa che vennero poi definiti la “drole guerre” in cui i soldati francesi rimasero attestati dietro la linea Maginot, nel nord della Francia, e fu effettuato il lento trasbordo delle truppe inglesi sul continente.. A Hitler occorreva accumulare e concentrare il massimo potenziale bellico al fine di risolvere il conflitto in pochissimi, rapidissimi colpi. La “guerra lampo” era per la Germania una necessità, non avrebbe potuto affrontare una guerra di logoramento. Mentre tutti si aspettavano un invasione attraverso il Belgio, Hitler schierò un gigantesco schieramento ed attacco, spiazzando il comando franco inglese, nel centro delle Ardenne.. lo schieramento era così tagliato in due. Lo schieramento francese della Somme cedette di schianto e, nello stesso giorno L’Italia attacco la Francia alle spalle. L’intera parte settentrionale del paese fu consegnata ai Tedeschi, mentre Vichy, nel sud, si formò un governo collaborazionista presieduto da Petain. Da questo momento l’Inghilterra rimase sola ad affrontare l’intero peso della guerra. La “Battaglia d’Inghilterra”(352) Data la superiorità navale britannica, l’eventualità di uno sbarco tedesco sulle coste inglesi sarebbe stata possibile solo se l’aviazione militare nazista fosse riuscita a privare completamente l’avversario dell’arma aerea. Ma la Royal Air Force riuscì a tenere testa all’avversario, infliggendogli anzi durissime perdite. Lo scontro si spostava quindi sotto i mari e su scacchieri secondari come la Romania per il controllo del petrolio e la Finlandia. L’aggressione tedesca dell’URSS (353) Il 27 settembre 1940 la Germania stipulò con l’Italia e il Giappone una sorta di alleanza strategica Patto tripartito” e nel novembre Hitler prese la decisione di attaccare l’URSS (la lotta contro il bolscevismo era insieme al razzismo il cemento ideologico del credo nazionalsocialista. L’attacco colse di sorpresa i sovietici e i tedeschi penetrarono per centinaia di chilometri in territorio russo. Le offensive dell’asse in Europa e nel Mediterraneo, 1940-42 (354) Nella primavera del 40 la Germania invase la Danimarca e la Norvegia, occuparono il Belgio, i Paesi Bassi e buona parte della Francia settentrionale. L’Inghilterra fu sottoposta a intensi attacchi aerei che non piegarono la sua capacità di resistenza e l’Italia era entrata in guerra attaccando la Francia. Nel giugno le armate tedesche attaccarono l’URSS arrivando a controllare ampi territori russi fino al Volga e passarono all’offensiva nel Nord Africa. La resistenza sovietica (356) L’Armata Rossa fu radicalmente riorganizzata e fu fatta terra bruciata, rallentando così l’offensiva tedesca. L’inverno giocò a favore dei russi impedendo ogni avanzata tedesca L’attacco giapponese e l’intervento degli USA (356) Nel dicembre del 41 il Giappone aveva aperto un nuovo fronte di guerra nel Pacifico. All’alba del 7 dicembre 1941 l’aviazione giapponese aveva attaccato di sorpresa la flotta americana a Pearl Harbour, distruggendola quasi completamente. La grande potenza asiatica andava sviluppando un progetto di espansione imperialista nell’emisfero orientale. F. Roosvelt era convinto che la guerra non potesse che essere globale e che occorresse concentrare il massimo di energia sullo scacchiere contro l’avversario più forte. Solo con le durissima battaglie del Mare dei Coralli e di Midway gli Americani riuscirono a impedire che l’espansione di estendesse alla Guinea meridionale e alle Hawaii. 30 La massima espansione delle forze dell’asse (358) Le truppe tedesche controllavano stabilmente la penisola balcanica fino alla Grecia, i Paesi Baltici e l’Ucraina. Nel Nord Africa le truppe italotedesche tentarono lo sfondamento verso l’Egitto ma vennero fermate nell’estate nel 42 nei pressi di El Alamein. In Estremo Oriente i Giapponesi il controllo dell’intera fascia costiera cinese e le forze dell’asse potevano contare sulla simpatia di alcuni paesi dell’America Latina. Gli Stati Uniti vedevano, così, messe in discussione la sicurezza del continente americano e del loro stesso territorio nazionale: incursione di sottomarini tedeschi si svolsero lungo tutta la costa occidentale degli Stati Uniti e del Canada nel tentativo di intercettare i convogli di rifornimento che muovevano verso i fronti europei. L’ITALIA IN GUERRA (pag. 366/370) L’impreparazione militare italiana (366) La decisione presa in fretta sotto l’impressione della prevedibile facilità della vittoria hitleriana e con l’intenzione di approfittarne , anticipava i tempi previsti da Mussolini per la partecipazione alla guerra e scioglieva nel contempo dubbi e incertezze e contraddizioni emerse al vertice del Regime. L’esercito italiano era del tutto impreparato ad affrontare un esercito su larga scala: l’Italia non possedeva ne carri pesanti ne una forza aerea da combattimento in grado di reggere il confronto con quella tedesca, mentre le scorte militari si erano notevolmente depauperate nella guerra d’Etiopia e in Spagna. Le ragioni dell’intervento nel conflitto (366) Mussolini temeva l’ira di Hitler, nel caso fosse venuto meno ai patti. Nello stesso tempo sperava di approfittare di un eventuale successo tedesco per accaparrare a poco prezzo posizioni favorevoli. La “guerra dei tre giorni” (367) La travolgente avanzata tedesca in Francia nella primavera del 40 aveva però sconvolto tutti i piani. Mussolini temeva di perdere l’occasione propizia per approfittare della vittoria dell’alleato. Il 10 giugno 1940 mussolini dichiarò guerra alla Francia e il 24 giugno la Francia firmava l’armistizio anche con l’Italia. La sconfitta italiana in Africa (367) Sull’onda dell’entusiasmo per le vittorie tedesche, Mussolini aveva commesso un secondo errore di calcolo (eccessivamente ottimista): attaccare gli inglesi in Africa settentrionale. Si prevedeva una soluzione rapida del conflitto; invece dopo essere penetrata per 70 chilometri in territorio egiziano l’offensiva italiana si esaurì. Non solo l’Inghilterra riuscì a reggere l’urto, ma si rivelò anche in grado di reagire e contrattaccare sui fronti secondari. Le perdite furono disastrose: quasi la metà del corpo di spedizione italiana fu messo fuori combattimento. La guerra di Grecia (368) Le truppe Italiane non riuscirono a sfondare il fronte sul confine greco-albanese e rischiarono di essere travolta. L’impreparazione militar, il terreno montagnoso, la stagione avversa, la tenace e inaspettata resistenza greca provocarono, anche in questo caso, un vistoso insuccesso. Da allora in poi l’attività militare italiana fu rigorosamente subordinata ai progetti strategici della Germania e avvenne sotto lo stretto controllo dei comandi militari tedeschi. La campagna di Russia e le sconfitte nel Mediterraneo (368) Nel 1942, Mussolini inviò sul fronte Russo un corpo di spedizione italiano con l’intenzione di acquistare titoli di benemerenza presso l’alleato Tedesco e, di sdebitarsi, in qualche modo, dell’aiuto ottenuto ricevuto in Grecia. Il fronte fu sfondato e decine di migliaia di soldati italiani morirono congelati o furono fatti prigionieri. Quando le forze Naziste e fasciste incominciarono ad arretrare , l’Italia si trovò in una condizione molto delicata in quanto le sue truppe erano 31 disorganizzate e sconfitte su tutti i fronti. Le forze alleate( comandate dal generale Montgomery) spazzarono l’africa dalle forze italo-tedesche sconfiggendole a EL ALAMEIN (1942) ed inseguendole fino alla Tunisia. La caduta del regime (369) Le ripercussioni delle sconfitte militari sulla fiducia nel regime furono molto forti e, timorosi di essere travolti, Vittorio Emanuele III tentarono una manovra di sganciamento. IL re sostituì a Mussolini il generale Pietro Badoglio I “quarantacinque giorni” (370) La fine del fascismo portò alla rinascita dei sindacati liberi e dei partiti antifascisti, avvio la liberazione dei detenuti politici e sciolse il partito fascista. La politica estera non cambiò ed il conflitto continuò ad essere combattuto per circa un mese. L’8 settembre 1943 fu reso noto l’armistizio con gli anglo-americani e l’Italia si assumeva l’impegno di cessare ogni ostilità contro le truppe alleate e, di porre fine alla collaborazione con i Tedeschi. Dopo questo comunicato le forze Tedesche iniziarono i rastrellamenti dei soldati italiani in tutta l’Italia settentrionale. Nel frattempo l’esercito italiano, senza ordini né indicazioni precise, andava dissolvendosi. LA DIVISIONE DEL MONDO IN BLOCCHI L’EGEMONIA SOVIETICA NELL’EUROPA ORIENTALE (pag. 394/397) Nei primi anni del dopoguerra, L’URSS perseguì la formazione di una sfera d’influenza sui paesi nei quali si era realizzato un regime per certi versi analogo al socialismo sovietico, le cosiddette “democrazie popolari”. In seguito il controllo politico e ideologico si irrigidì e venne imposto il regime unico. Gli obbiettivi dell’URSS (394) Di tutti i paesi coinvolti nel conflitto, quelli dell’area compresa fra l’URSS e la Germania erano i più devastati. Il loro tessuto politico, frutto della dissoluzione di due imperi (austo-ungarico e Ottomano) si indebolì ulteriormente anche attraverso lo sterminio pianificato dei ceti colti e attraverso le deportazioni di massa. L’Albania e la Jugoslavia si erano liberati dai tedeschi in maniera autonoma creando “stati partigiani” di ispirazione socialista mentre in tutti gli altri paesi la liberazione dal Nazismo era coincisa con l’avanzata delle truppe sovietiche quindi l’URSS godeva del prestigio di potenza liberatrice. La strategia russa cercò di creare una vasta sfera di influenza per garantire la propria sicurezza e ripresa economica. Non si prevedeva , per i paesi interessati, il diretto passaggio al socialismo, ma una fase intermedia, in cui si sarebbero insediati governi di coalizione nei quali i comunisti avrebbero assunto un’ influenza assai superiore al peso elettorale. La crisi del 1947-48 (395) Dal 1947 l’egemonia economica degli stati uniti minacciava di estendersi oltre l’Elba e, di conseguenza il clima internazionale si inasprì. (piano “Marshall” = arma di disegni imperialistici). La Jugoslavia sotto il maresciallo Tito mirava alla costruzione di un regime socialista e perseguiva il massismo di autonomia economica e politica. (dissidio tra Jugoslavia e Russia). I contrasti interni al blocco sovietico (396) Il COMECON (1949) sancì la nascita di un’area chiusa agli scambi con l’occidente ed i piani Russi vennero estesi( in forma accelerata) a tutta l’area russa. In Ungheria e Cecoslovacchia vennero effettuate numerose “purghe” di comunisti considerati dal regime sovietico come infidi o troppo “nazionalisti” (Titoisti). Dopo la morte di Stalin, si svilupparono moti di massa soprattutto per le gravi condizioni di vita dei lavoratori che, furono repressi fermamente dall’esercito. Dopo il 1953, mentre il sistema di alleanze militari si consolidava (patto di Varsavia) la nuova leadership sovietica tentava una cauta manovra di “liberalizzazione”. (anche se all’interno del partito vi erano ancora forti legami con lo stalinismo). 32 L’EGEMONIA SOVIETICA NELL’EUROPA ORIENTALE (pag. 398/403) Il mondo libero(398) La politica americana proponeva un disegno ambiziosissimo:un assetto mondiale stabile e fortemente unitario, sorretto da una serie di istituzioni sopranazionali. Venne quindi a formarsi un sistema di alleanze politiche e militari volte al contenimento del comunismo. Nella visione americana ,l’occidente coincideva con il mondo libero, quello ad economia di mercato (sia democratico che dittatoriale). Il piano Marshall e la NATO (399) Il 5 Giugno 1947 il segretario di stato americano , Gorge Marshall, annunciò il programma per la ripresa europea, che nell’arco di 4 anni avrebbe convogliato verso diversi paesi europei aiuti per oltre 13 miliardi di dollari. Il piano aveva anche fini politici in quanto poteva servire a far crescere, all’interno dei paesi europei, l’influenza dei gruppi politici moderati contro gli altri, in particolare contro i comunisti. Dopo due anni nasce l’NATO che comprendeva gli USA e i paesi dell’Europa a ovest di Trieste. Gli stati uniti e gli imperi in declino(400) All’america riteneva pericoloso che esistessero aree geografiche in cui vi fossero imperi in declino in quanto erano fragili alla minaccia comunista. Vennero quindi effettuate pressioni su Francia e Gran Bretagna perché tenessero le loro aree imperiali aperte al commercio internazionale e che rinunciassero alla tradizionale politica delle cannoniere. Gli stati uniti si presentavano di fatto al mondo come l’erede dell’i insieme l’affossatore dei grandi imperi prebellici. L’area del pacifico(401) L’estremo oriente erra altrettanto essenziale ,politicamente , economicamente, militarmente, dell’Europa. L’importanza politica dell’area del pacifico veniva infine, drammaticamente sottolineata dalle rivoluzioni in corso in Asia. In Giappone, la politica della potenza occupante americana vietò il riarmo ma passò ad una politica d’incoraggiamento della ripresa analoga al piano marshall. La corea venne divisa in una repubblica democratica socialista ed in una repubblica di corea, fortemente sostenuta dall’aiuto economico e militare americano. Nello stesso tempo si andava formando lungo la costa del pacifico una rete di paesi amici, che avevano la funzione di partner commerciali e basi militari insieme(ANZUS,SEATO) La “guerra fredda” La netta contrapposizione tra i due blocchi di stati guidati rispettivamente dall’URSS e dagli USA portò ad una situazione internazionale sospesa tratta una guerra effettiva e una pace determinata Dall’equilibrio delle forze:”guerra fredda”. L’esigenza fondamentale era quindi di mantenere l’avversario sotto la minaccia del”deterrente Nucleare” (anche utilizzando strumenti di dissuasione e mobilitazione). Fu una fase di crisi ricorrenti teli da minacciare ogni volta un precipitare incontrollato della guerra. Quando all’inizio degli anni 60 si passò alla distensione ciò non significò come molti sperarono, una riduzione della conflittualità, né degli armamenti, ma un peso crescente degli strumenti di persuasione e sovversione dall’una all’altra parte, in una situazione di equilibri elastici, la possibilità di conflitti a carattere locale che non implicavano automaticamente un negoziato fondato sulla minaccia nucleare. La distensione comportava una ripresa di dialogo, ma non la riduzione degli atti di ostilità. AREE DI APERTO CONFLITTO DURANTE LA GUERRA FREDDA (pag. 404/412) La guerra civile in Grecia(404 La guerra Civile che infuriò in Grecia tra il 1944 e il 1949 vide contrapporsi gli occupanti britannici e il movimento partigiano di sinistra appoggiato dall’esterno. La seconda guerra mondiale aveva 33 profondamente mutato gli equilibri politici interni al paese, rafforzando notevolmente la sinistra. L’URSS e gli stati uniti assistevano quasi passivamente, riconoscendo il paese come parte dell’influenza Britannica. Nel 1947 gli stati uniti scelsero di soccorrere l’impero Britannico perché l’espansionismo sovietico nell’area dell’Egeo veniva vista come una minaccia diretta all’equilibrio nazionale.. La Grecia divenne così stabilmente parte dell’Occidente. Il “ponte aereo” di Berlino (405) L’altro grande punto di attrito tra i due blocchi era costituito dall’Asia orientale (soprattutto da quando la Cina era socialista. La corea del Nord(socialista) avviò una campagna di unificazione nazionale ma gli stati uniti riuscirono a far passare una mozione che definiva la Corea del nord come stato aggressore e decise l’intervento di truppe ONU. La guerra proseguì per anni con alternate vicende e con un numero di vittime altissimo. Fu il primo conflitto che gli USA non riuscirono a vincere. Il conflitto coreano(407) L’Ex capitale tedesca, Berlino, si trovava in una situazione giuridica paradossale. Era divisa in 4 zone, occupate rispettivamente dall’URSS(Berlino Est), dalla Francia, dalla Gran Bretagna e dagli USA. La Russia tentò di bloccare Berlino ma Le merci che non potevano raggiungere Berlino per via di terra vennero convogliate attraverso un massiccio servizio di rifornimenti aviotrasportati. Milioni di lavoratori, spesso altamente qualificati, affluirono in modo massiccio ed ininterrotto dall’est e, fu per questo che l’ovest ebbe un forte fattore di sviluppo. Per evitare questa emigrazione La Russia edificò un muro lungo tutta la linea di demarcazione che attraversava Berlino, ponendo così termine al deflusso di profughi. La guerra fredda(410) Il conflitto era inevitabile ma, una guerra avrebbe avuto conseguenze intollerabili anche per il “vincitore”: il conflitto era impraticabile. Gli arsenali militari stessi, anche se non potevano essere utilizzati, rappresentavano una minaccia. Vennero quindi sviluppate le armi convenzionali ai quali si aggiunsero strumenti di persuasine e sovversione Strumento di persuasione fondamentale era la diplomazia e il novo sistema propagandistico. Vennero spregiudicatamente utilizzati sistemi di comunicazione di massa. Inoltre la sovversione, ovvero l’uso di strumenti clandestini, fino al terrorismo, per infiltrarsi nell’area dell’avversario, minandone la capacità di controllo(uso della CIA, KGB) Il peso del settore militare nell’economia delle due grandi potenze divenne tale da farne la maggiore voce della spesa pubblica e una delle chiavi dell’economia. Sul piano politico e psicologico la mobilitazione provocò progressivamente nel blocco sovietico una restrizione permanente delle libertà fondamentali, giustificata sempre in nome della “ minaccia imperialista” L’INDIMENTICABILE 1956: I SOMMOVIMENTI DEL BLOCCO SOVIETICO (pag. 418/422) Il XX congresso del Pcus (418) Il XX congresso del partito comunista dell’unione Sovietica, che si tenne a Mosca nel febbraio 1956 segnò una svolta importante non solo nella storia interna ma anche nei rapporti fra i due blocchi. Venne ammessa la possibilità di nuove vie al socialismo, il che implicava la possibilità di differenti soluzioni nazionali:scioglimento del COMINFORM e confermate e documentate la vastità e l’agghiacciante spietatezza del terrore staliniano. Il nuovo vertice del Pcus operava una sorta di rivoluzione dall’alto ponendo sotto accusa tutta l’elite più legata all’ereditarietà dello stalinismo (limitava le responsabilità attribuibili ed evitava di mettere in discussione il sistema politico nel suo insieme). L’ottobre polacco (419) Nei mesi di giugno e luglio in Polonia, imponenti agitazioni operaie dimostrarono l’esistenza di un movimento di masso critico del vecchio regime. Ne consegui quindi la nascita di di forme di democrazia diretta, come i consigli operai. D’altra parte anche la chiesa cattolica, l’istituzione più 34 radicata e influente della società polacca, era d’altra parte, disponibile ad un ruolo di mediazione. Il processo terminò nell’ottobre, con un ampio rimpasto ai vertici del partito, che vide l’assunzione. Da allora, la Polonia sarebbe rimasta il paese per molti versi più anomalo dell’Europa orientale(forte e indocile classe operaia, un’opposizione intellettuale più esplicita che altrove). L’insurrezione ungherese(420) Dopo un breve periodo di governo a favore di una politica di nuovo corso, l’ala staliniana aveva riconquistato, di fatto, il controllo del partito e dello stato. Il 23 ottobre, una manifestazione di solidarietà con la Polonia si concluse con scontri armati tra le milizie di sicurezza del regime e la popolazione, scontri che avviarono l’insurrezione. Il 27 ottobre fu formato un nuovo governo che cercò inutilmente di porre fine agli scontri tra i difensori del vecchio regime e un movimento insurrezionale armato che coinvolgeva vasti strati di popolazione. Il primo novembre le truppe sovietiche, che avevano continuato ad affluire in Ungheria nei giorni precedenti, nonostante le esplicite richieste di ritiro da parte del governo legale del paese, cominciarono l’occupazione militare di tutti i punti strategici della capitale e del paese. La resistenza armata venne repressa nel sangue, anche se ciò richiese aspri e violenti combattimenti. L’interventi sovietico fu legittimato dall’appoggio del nuovo segretario del partito comunista. La motivazione dell’intervento sovietico non era stato tanto il timore di un mutamento politico e sociale quanto la volontà di evitare uno sgretolamento del blocco di alleanze politiche e militari dell’Europa orientale. L’organizzazione delle nazioni unite (422) Fin dagli ultimi anni della guerra, la dirigenza politica statunitense cominciò a lavorare al progetto di un nuovo organo internazionale. L’ONU prevedeva una struttura a due livelli:nell’assemblea generale sarebbero stati presenti tutti gli stati, su un piede di parità, nel consiglio di sicurezza, destinato specificatamente ad affrontare tutti i problemi che minacciassero la sicurezza, cioè la pace e l’ordine internazionali, erano presenti a turno 10 paesi. Membri permanenti erano le quattro potenze vincitrici più la Cina. Con la vittoria della rivoluzione comunista però, gli usa si batterono perché il seggio all’ONU a nome dell’intera Cina, e il diritto di veto venissero preservati dalla repubblica di Cina cioè dal governo dell’isola di Taiwan. Nel corso della guerra di Corea, gli stati Uniti riuscirono ad ottenere l’appoggio politico dell’assemblea alla politica di contenimento dell’aggressore comunista e anche l’invio di un contingente militare di caschi blu. L’organizzazione appariva quindi soggetta alla netta egemonia degli USA. L’ONU divenne così dapprima garante della decolonizzazione e poi terreno di un intenso dibattito politico fra paesi ricchi e paesi poveri.. Ogni paese è stato inserito(salvo rare eccezioni) in una rete di organismi internazionali, all’interno dei quali difendere i propri specifici interessi attraverso la costituzione di volta in volta d’intese, accordi, alleanze, transitori o lungo periodo. LA COESISTENZA PACIFICA E LA CRISI DEI RAPPORTI CINO-SOVIETICI (pag. 446/412) L’alleanza occidentale negli anni 60 (446) Il Piano Marshall aveva contribuito alla ripresa produttiva dell’Europa occidentale, al prezzo di un consolidamento dell’egemonia politica statunitense. La politica delle multinazionali nasceva in parte dalla volontà di aggirare le tariffe protezionistiche introdotte dalla comunità economica europea., in parte dal carattere sempre più integrato e planetario dell’economia internazionale. De Gaulle novo protagonista della politica internazionale (447) Il paese europeo che più reagì al modificarsi degli equilibri con gli Stati Uniti fu la Francia. La politica del generale De Grulle era caratterizzata dalla volontà di raggiungere una piena autonomia militare(costruire la bomba atomica), politico-diplomatica(azione “europeista”), finanziaria (mettere in crisi gli equilibri monetari troppo favorevoli agli stati uniti). Anche in altri paesi si manifestarono spinte in senso autonomistico nei confronti degli Usa e dell’assetto politico della guerra fredda. 35 La guerra del Vietnam(450) Il Vietminh controllava gran parte del nord ma anche parti consistenti del territorio meridionale al di sotto del 17esimo parallelo. Qui incominciò a operare la guerriglia vietgong con l’obbiettivo di unificare il paese, mentre gli USA con l’obiettivo di liberare il paese dagli stranieri moltiplicando le proprie basi e truppe combattenti. I bombardamenti americani iniziarono a colpire la pista dei rifornimenti ed in seguito anche le maggiori città vietnamite. Nel maggio 1968 cessarono i bombardamenti e nel gennaio 69 incominciarono colloqui ufficiali a Parigi e nel settembre Nixon annunciò l’avvio di un graduale ritiro statunitense. Anche se nel gennaio 1973 fu firmato un armistizio che prevedeva il ritiro totale delle forze americane la guerra finì solo il 30 aprile 1975. il 2 luglio 76 il Vietnam venne riunificato LA QUESTIONE MEDIORIENTALE (pag. 413/417) Decolonizzazione e nazionalismo arabo(418) La complessità della situazione del medio oriente va ricondotta all’intrecciarsi di diversi problemi e tensioni.(il declino del colonialismo Francese e Britannico). La decolonizzazione lasciò irrisolti numerosissimi problemi, tra cui la difficile convivenza fra regimi monarchici di tipo feudale e repubbliche con ambizioni di modernità e progresso. Un’altra causa è il potente nazionalismo arabo dotato di una forte attrazione legato ai principi dell’islam. Lo stato d’Israele(413) La formazione dello stato d’Israele costituirono fin dall’immediato dopoguerra uno dei maggiori fattori di consolidamento dell’unità araba, e al tempo stesso uno dei principali motivi di tensione nell’area. La Palestina venne data agli ebrei in quanto dopo il genocidio Hitleriano si pensava l’unico modo in cui gli ebrei potessero sopravvivere e difendersi.. radicalmente contrari erano gli stati arabi della regione , nel 1948, la costituzione dello stato di Israele provocò un primo conflitto armato con i paesi arabi della regione, conflitto vinto dalle truppe israeliane. Schieramenti internazionali e risorse energetiche(415) Alla metà degli anni cinquanta Israele, la Turchia,L’Iran erano i principali alleati dell’occidente nella regione. La centralità del petrolio nelle economie occidentali in ricostruzione era evidente fin dalla fine della guerra: era indispensabile allo sviluppo industriale ed era alla base della motorizzazione civile. Il controllo politico assumeva quindi anche un importante risvolto economico. L’Egitto nazionalista 1952-56 (416) Il “movimento degli Ufficiali liberi” nacque in Egitto subito dopo la sconfitta nella guerra con Israele nel 1948. programma del movimento era il rovesciamento della monarchia, l’acquisizione di una reale autonomia rispetto alla Gran Bretagna e all’Occidente, il coinvolgimento delle masse popolari nel sostegno. Nel 19530 veniva nominato primo ministro in Iran Mohammed Mossadeq. Egli decise di nazionalizzare il petrolio iraniano, escludendo di fatto le grandi compagnie americane, fu la causa di un intervento americano, il primo caso di guerra invisibile, in quanto il colpo di stato che rovesciò Mossadeq fu promosso dai servizi segreti, e la partecipazione americana non fu mai ufficialmente ammessa. Nel 1956 venne approvata per plebiscito la nuova costituzione Egiziana. La questione del canale di Suez(416) Alla fine del Luglio 1956, Nasser decise di nazionalizzare il canale di Suez ed il medio Oriente veniva a configurarsi come un nuovo e delicatissimo punto di attrito fra i due blocchi. La diplomazia americana pretese e ottenne che gli alleati non intervenisse, anzi ritirasse le sue truppe. La Francia iniziò così ad aumentare le distanze dall’america. 36 LA DECOLONIZZAZIONE E LE SUE CONSEGUENZE LE RIVOLUZIONI ANTICOLONIALI IN ASIA (pag. 424/430) L’indipendenza dell’India (424) La colonizzazione stessa, aveva conosciuto un notevole consolidamento negli anni tra le due guerre, un’originale tecnica di lotta e pressione politica, in una leadership di prestigio mondiale, incarnata prima di tutto dal Mahatma Gandhi.. importanti campagne di disobbedienza civile, pur duramente represse, segnalarono la sempre più risoluta volontà di nazionalisti di giungere all’indipendenza piena. Il 15 agosto 1947 nacquero così uno due stati indipendenti: l’india e il Pakistan, questo ultimo, era un’entità politica costituita di due aree poste rispettivamente a est e a ovest dell’india. La formazione di due stati venne accompagnata da migrazioni massicce nei due sensi e da spaventosi massacri. Nel 1948, un fanatico nazionalista hindu assassinò il Mahatma Gandhi, accusato di un atteggiamento troppo compromissorio nei confronti dei musulmani. L’india, sotto la direzione di Pandit Nehru, sui avvio una politica di neutralità. L’india era dominata soprattutto dai drammatici problemi sociali ed economici (povero e sovrappopolato). Il colonialismo francese in Indovina(429) Tra i paesi dell’Indocina, il Vietnam era quello dove si era maggiormente sviluppato. Il controllo coloniale francese sulla penisola era di fatto scomparse , sviluppo una forza di guerriglia antigiapponese. Il Vietnamiti combattevano una guerra di guerriglia in tutte le zone del paese e usava con molta abilità le simpatie che gli venivano dal movimento comunista e anche da una parte consistente dell’opinione pubblica francese, logorata dai costi economici e politici della guerra Gli accordi di Ginevra(430) Gli accordi di pace di Ginevra prevedevano la neutralità dell’Indocina e la provvisoria divisione del Vietnam in due parti: una Repubblica democratica al nord e un sud sotto l’influenza occidentale. Gli accordi non vennero però mai attuati soprattutto per scelta degli stati uniti. Nel Vietnam del sud giunsero numerosi consiglieri militari americani ad appoggiare (condizionare) Diem ed ad avviare azioni di sabotaggio nei confronti del nord. La tensione minacciava di estendersi all’intera indocina. Solo la Thailandia si schierò in senso filo-occidentale ma il regime militare che subentrò era politicamente e socialmente fragile LA GUERRA IN VIETNAM E GLI EQUILIBRI INTERNAZIONALI (pag. 452/457) I caratteri del conflitto in Indocina (452) Fin dall’inizio, l’intervento statunitense rivelò una notevole fragilità. Si trattava di contrastare una azione di guerriglia con un apparato militare che conosceva poco il terreno e che, in generale, faceva affidamento soprattutto sulla potenza tecnologica. Era la guerra “limitata” in quanto geograficamente ristretta ma assolutamente totale. Le ragioni dell’intervento Americano(452) L’incidente del Golfo del Tonchino permise di dare attuazione a un piano che era stato preparato nei mesi precedenti: bombardamenti sul Vietnam del nord e invio di truppe al sud. La guerra del Vietnam fu, quindi, l’ultima guerra per il contenimento del comunismo. La crescita progressiva del potenziale bellico impiegato e dell’intensità del conflitto proseguì fino al 68. la fragilità dell’intervento militare era soprattutto politica: debolezza dell’alleato e una realtà statale artificiosa minata dalla corruzione interna e, aspetto di notevole importanza, il dissenso interno agli stati uniti. La “vietnamizzazione” del conflitto (453) Dopo 4 anni di bombardamenti sul nord, e con alti costi in termini di vite umane le forze armate statunitensi furono colte di sorpresa e costrette ad arretrare di centinaia di km. A seguito della politica di Nixon seguì la vietnamizzazione , cioè il progressivo ritiro delle truppe americane. La nuova strategia avrebbe avuto importanti effetti nel lungo periodo in particolare con la Cina. 37 Le ripercussioni globali di una guerra “locale” (454) La guerra fu oggetto di un dibattito giornalistico e politico totalmente libero. Questo permise il pieno manifestarsi di un opposizione di massa crescente man mano che le truppe americane venivano coinvolte. In tutto il resto del mondo si creò una vasta mobilitazione che era l’annuncio dei nuovi protagonisti politici: i movimenti giovanili dei tardi anni 60. il Vietnam fu la prima guerra televisiva della storia. LE NAZIONI DELL?AFRICA NERA E LA GUERRA D?ALGERIA (pag. 433/438) La crisi del colonialismo in africa (433) I primi segnali di una crisi del dominio coloniale in Africa si ebbero nell’immediato dopo guerra, con il sorgere di movimenti di guerriglia nel Madagascar, Kenya e nel Camerun. Le agitazioni dei ferrovieri del Senegal, dei minatori della Nigeria, gli scioperi della Costa d’Oro e Guinea, indicarono la possibilità di un movimento più vasto di quello dei soli intellettuali. Si formarono le prime entità statali indipendenti dell’Africa nera. L’emancipazione del congo(434) Nel 1959 scoppiò la drammatica crisi congolese con grandi rivolte popolari. Gli occidentali reagirono nella logica tipica del contenimento della minaccia sovietica utilizzando strumenti nuovi. Favorirono la scissione(su basi tribali) e fecero ricorso ad azioni di guerra clandestina che culminarono nella assassinio dello stesso Lumumba. La decolonizzazione “pacifica” (435) Le potenze coloniali decisero di cedere volontariamente il controllo politico e giuridico perché era diventata una situazione insostenibile sia dal punto di vista ideologico che politico. Nasce così il neocolonialismo in cui i paesi colonialisti poterono continuare a condizionare i paesi ex sudditi anche dopo la conquista dell’indipendenza. Inoltre durante la fase di formazione del nuovo governo potevano con molta facilità selezionare la leadership, definire la costituzione e fissarne i confini.. Pochi anni dopo la decolonizzazione “pacifica” l’africa nera era si caratterizzava come un’area di grande tensione politica: conflitti territoriali fra paesi confinanti e conflitti etnici interni. Erano nati stati economicamente debolissimi, attraversati da gravissime e ricorrenti carestie. La guerra d’Algeria (437) Nella crisi Algerina si intrecciarono molti problemi tra cui la presenza di una forte comunità francese radicata nel territorio da generazioni e, in secondo luogo era un paese fortemente urbanizzato. (i movimenti di liberazione coinvolsero le grandi città). Il movimento per la liberazione dell’Algeria si era sviluppato, parallelamente a quello tunisino e marocchino, negli anni trenta e aveva conosciuto un notevole impulso nel corso della seconda guerra mondiale. Il 1958 fu l’anno della svolta: da un lato, con la formazione di un governo provvisorio in esilio. Le trattative si conclusero nel 1962 (De Grulle) con l’accordo per il passaggio dei poteri al Fnl. L’indipendenza portò all’esodo della grande maggioranza degli ex coloniali. L’AMERICA LATINA TRA DIPENDENZA E RIVOLTA (pag. 439/445) L’influenza statunitense e i regimi populisti (439) Nel periodo 1939-45 l’America latina fu la sola area del mondo non toccata dalla guerra anche se divenne una retrovia strategica per la macchina produttiva nordamericana. Il Venezuela limitò le estrazioni chiedendo un considerevole aumento delle royalties. Nel 1944, gli Stati Uniti intervennero indirettamente in Bolivia, con un colpo di stato che intendeva “rimettere ordine” nel paese. Nel corso degli anni 50 gran parte dell’America Latina conosceva trasformazioni strutturali 38 profonde (processo di industrializzazione) favorito dai capitali accumulati durante la guerra, che produsse grandi cambiamenti sociali: nascono le Megalopoli ed una nuova borghesia industriale. La rivoluzione cubana (441) La rivoluzione cubana sconvolse radicalmente gli equilibri perché era ritenuta dagli stati uniti essenziale per la propria sicurezza.. Nel 1959, la guerriglia, guidata da Fidel Castro, Camillo Cienfuegos, Ernesto “che” Guevara, riuscì a sconfiggere definitivamente il regime Batista. Nacque un governo rivoluzionario, che dichiarò di voler rappresentare l’intero popolo cubano e promosse una radicale redistribuzione della terra. Quando nel 1960, i leader dichiararono la loro intenzione di dare al paese un ordinamento socialista, il governo americano iniziò i preparativi per abbattere il “regime castrista”, che poteva divenire una seria minaccia per l’egemonia politica ed economica statunitense. Il tentativo di insurrezione promosso dagli stati uniti fu agevolmente sconfitto ed ebbe l’effetto di accelerare ulteriormente il vistoso avvicinamento già in corso tra il governo cubano e l’Unione sovietica. La “crisi dei missili” (442) Alla notizia che l’URSS stava istallando nell’isola rampe per missili a media gittata puntati direttamente sul suolo statunitense, il governo Kennedy rispose con un ultimatum e con la decisione di bloccare gli accessi all’isola con forze aereonavali. Il governo sovietico decise di ritirare i missili; mentre, più discretamente , venivano ritirati anche i missili americani puntati dalla Turchia sul territorio sovietico. L’america latina negli anni sessanta(443) Gli eventi di Cuba portarono una parziale revisione della politica statunitense in america Latina, cominciò una fase di interventi articolati, in coerenza del resto con il rinnovamento complessivo dell’arsenale di strumenti della politica estera degli Usa. Si tentò di coinvolgere l’insieme dei paesi dell’area attraverso una forza internazionale di difesa, e attraverso colpi di stato filoamericani. Vennero realizzati severi embarghi a cui si accompagnarono azioni sistematiche di guerra clandestina(che non riuscì a minare il regime Castrista). Focolai di guerriglia nacquero in diverse zone del continente(Nicaragua,Bolivia) LE ORIGINI DELLA RIVOLTA GIOVANILE(pag. 480/483) La crisi delle istituzioni scolastiche(480) L’ordine politico delle società sviluppate dell’occidente e anche quelle di alcuni paesi “satellite” dell’URSS venne scosso in modo simultaneo, nel 1967-69, da un movimento largamente spontaneo che aveva per protagonisti soprattutto giovani. Si manifestò sotto forma di ribellione violentemente critica nei confronti dell’ordine dominante. L’istituzione più presa di mira dal movimento fu quella scolastica. Ultimamente erano aumentate le iscrizioni a tutti i livelli (causa demografica) ed aumento delle disponibilità delle famiglie. Lo stato doveva , unificando l’istruzione obbligatoria, portare l’obbligo scolastico a età più elevate, provvedendo con borse di studio e speciali interventi all’educazione superiore per gli strati più poveri. La scuola di massa: autoritarismo e selezione(481) La spesa pubblica e privata, per l’istruzione, crebbe quindi in modo considerevole in tutti i paesi del mondo industrializzato. La scuola di “massa” era quindi strutturalmente fragile in quanto la sua organizzazione non era in grado di rispondere in modo efficiente e dinamico a un utenza ormai vasta quanto l’intera società. I movimenti politici giovanili trovarono pertanto nella scuola un importante terreno di aggregazione, ma anche il bersaglio di critiche e agitazioni. Il movimento per i diritti civili negli USA(481) Il movimento americano per i diritti civili aveva costituito il prototipo di questa dinamica. Nato nelle università del nord, si era dato come obbiettivo essenziale la piena attuazione di quella 39 democrazia americana che la costituzione prometteva ma che la società degli anni 50 aveva almeno in parte negato in vario modo, cioè con la repressione nei confronti dei comunisti e della sinistra, con il militarismo diffuso, con la persistenza della segregazione razziale in particolare nel sud. Dal 1959 la corte suprema ordinò la fine della segregazione nelle scuole. Le rivolte nei ghetti neri(482) In appoggio al movimento nero del sud, gli studenti diedero inizio alle “marce al sud”, che consistevano in massicce campagne di invio di militanti durante l’estate, con il compito di proteggere il diritto al voto della popolazione di colore. La ribellione dei ghetti neri assunse forme spontanee e violente tutte le estati si verificarono scontri massicci con la polizia nei centri urbani di diverse città. Veniva rivendicata la piena eguaglianza con i bianchi. La nuova “sinistra”(483) Gli elementi di novità nei movimenti giovanili erano molteplici e vari. L’unione sovietica non veniva più assunta come stato guida, ma anzi come uno dei garanti insieme con gli USA, dell’ordine costituito da abbattere. La “nuova sinistra” era assai diffidente nei confronti dell’organizzazione di tipo leninista e proponeva forme di agitazione e di aggregazione che valorizzassero la partecipazione di massa ai processi decisionali. IL SESSANTOTTO(pag. 484/489) La morte di che Guevara(484) Nel settembre 1967, i militari boliviani annunciarono alla stampa internazionale la morte di Che Guevara. Compito dei rivoluzionari, secondo Guevara, era affiancare il Vietnam con numerosi altri movimenti insurrezionali in tutte le aree del mondo, che vanificassero l’azione di polizia della superpotenza americana, garantendo la vittoria dal fronte nazionale i liberazione in Vietnam e la sconfitta dell’imperialismo statunitense. Il movimento studentesco(484) A partire dal novembre 1967 si diffusero agitazioni studentesche. Era il progetto di una lunga marcia attraverso le istituzioni, formulato in origina dalla nuova sinistra tedesca: un movimento che avrebbe dovuto attraversare l’intera società trasformandola in profondità. Cambiare la società, oltre che l’apparato statale, era infatti la vera finalità di un movimento che aveva le sue radici nelle trasformazioni culturali e sociali profonde da cui era caratterizzata la condizione giovanile. Il movimento degli studenti intanto andava espandendosi nelle grandi università del nord, di cui l’episodio più significativo fu l’occupazione dell’università di Columbia nell’aprile 1968. L’assassinio del leader nero Martin Luther King produsse una nuova ondata di agitazioni nei ghetti neri, coinvolgendo la capitale degli stati uniti. La contestazione studentesca in Europa(485) Nel partito comunista e nello stato cecoslovacco andò affermandosi una nuova leadrship, decisa a introdurre riforme sia nel sistema economico sia nell’apparato statale, favorendo anche l’introduzione cauta e sperimentale di forme di pluralismo e di libertà di opinione. La primavera di Praga fu solo una delle manifestazioni di crisi nel campo socialista. In Polonia, una massiccia agitazione studentesca portò all’occupazione del politecnico di Varsavia. In Jugoslavia, la rivolta degli studenti di Belgrado del marzo 1968 si concluse con L’accoglimento di alcune richieste e con una presa di posizione del maresciallo Tito in favore della critica e della mobilitazione di massa anche in regime socialista. Il maggio Francese(485) La mobilitazione studentesca era cominciata nelle università parigine nel marzo e la polizia (che fece repressione) giocò da fattore unificante e provocò un considerevole al allargamento dell’agitazione(anche scuole medie superiori). Il movimento iniziò ad estendersi anche al mondo 40 del lavoro. Ma dopo alcune settimane di occupazione delle aziende, il movimento aveva cominciato a perdere di intensità. A metà giugno, la ribellione di fatto si concluse, ma l’anno successivo, sconfitto in un referendum il generale De Grulle si ritirò a vita privata. Le agitazioni dell’estate 1968 (488) Nel Luglio 1968 nuove agitazioni si sviluppavano nell’America latina e in Irlanda del nord. L’influenza dei moti studenteschi europei favorì lo sviluppo di forme di lotta di massa, duramente represse dalle truppe speciali britanniche. Negli Stati Uniti, a Chicago, la nuova sinistra si diede convegno per protestare contro la convenzione del partito democratico, dove si prevedeva la nomination a candidato presidenziale di Hubert Humphrey, vice di Johnson e sostenitore dell’intervento americano in Vietnam. L’agitazione studentesca aveva come principale bersaglio le “macchine politiche” che dominavano il sistema politico americano, impedendo a ogni reale opposizione di ottenere spazio nelle istituzioni. Il clima fino ad allora sostanzialmente incruento cambiò improvvisamente in settembre, quando il movimento studentesco messicano venne affrontato dalle mitragliatrici della polizia. La fine dell’esperienza di Praga(489) Il 22 agosto ,’invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del patto di Varsavia mise bruscamente fine al tentativo di riformare dall’interno lo stato socialista. Volevano essere introdotto forme di mercato e iniziativa individuale, allargamento della libertà di parola e di stampa, introduzione in sostanza di una “cauta” libertà di dissenso e di critica. Il progetto del “socialismo dal volto umano” non comportava né una fuoriuscita della Cecoslovacchia dal sistema di alleanze dell’URSS, né tanto meno la rinuncia al carattere socialista dello stato. La dottrina della sovranità limitata(489) La decisione presa dall’URSS di intervenire militarmente nel paese fu quindi una mossa preventiva, finalizzata a chiarire i limiti all’interno dei quali i paesi “fratelli” dell’URSS dovevano restare. L’ITALIA REPUBBLICANA DALLA RESISTENZA ALLA RESTAURAZIONE MODERATA (pag. 490/497) La questione istituzionale (491) Dai venti mesi di guerra partigiana l’Italia ne era uscita fortemente divisa. Due ordini di problemi erano sul tappeto:; uno di carattere politico (forma istituzionale e uno di carattere economicosociale (modello di organizzazione politica e la collocazione dell’Italia sul mercato internazionale). La geografia politica dell’Italia postbellica(493) Il 2 giugno 1946 gli italiani scelsero la repubblica, con un lieve scarto. Nello stesso giorno si votò anche per eleggere l’assemblea costituente. Il sistema politico italiano risultava così polarizzato fra un blocco di sinistra (40%) e un blocco di destra (14%) accanto ai quali coesisteva una grande forza politica di centro (moderata) Anche sul piano della geografia politica la situazione si mostrava squilibrata (nord grandi partiti, sud molto più frazionati) Il cosiddetto “vento del Nord”, lo spirito cioè del cambiamento e della resistenza trovava la dura opposizione e la sorda inerzia dei settori sociali rimasti più estranei all’esperienza antifascista e più vincolati dai residui delle forme più arretrate di produzione. I contenuti democratici e sociali della costituzione (494) La costituzione Italiana fu l’esempio più evidente di compromesso politico raggiunto tra le grandi forze. In effetti l’elaborazione del testo costituzionale fu forse l’unico terreno su cui lo spirito della resistenza, lo slancio di quella esperienza e il favorevole rapporto di forze per le sinistre realizzatasi al suo interno trovarono uno sbocco positivo nel quadro di una mediazione con le forze moderate. Il modello politico così elaborato privilegiava ampliamente il modello della democrazia e della 41 socialità (giustizia social limitare l’uso indiscriminato del diritto di proprietà ed assegnare alle classi lavoratrici un ruolo di rilievo nella vita politica e sociale della nazione) Gli organi legislativi di governo (495) Si diede vita ad un modello statale parlamentare classico fondato su un potere quasi assoluto dell’assemblea parlamentare con una grossa limitazione dei poteri degli organismi esecutivi. Venne garantita una rappresentanza politica a tutte le forze, anche quelle più piccole e si decise che al parlamento spettasse, con il voto di fiducia, o di bocciare i governi i quali sarebbero rimasti in carica solo finché avessero mantenuto la maggioranza parlamentare. La costituzione fu proclamata solennemente dall’assemblea costituente il 22 dicembre 1947 che era stata approvata con una maggioranza schiacciante. (Saragat primo presidente) RICOSTRUZIONE E SVILUPPO ECONOMICO(pag. 498/493) Il ruolo della democrazia cristiana (498) Al primo livello si esprimevano, dunque, gli aspetti “progressivi” della situazione apertasi con la lotta di liberazione; nel secondo si esprimeva la volontà di “restaurazione” sociale, prima che politica, dei settori moderati e delle componenti conservatrici. In effetti la politica governativa dell’intero periodo cosiddetto della “ricostruzione”, anche nella prima fase, caratterizzata dalla partecipazione dei partiti di sinistra al governo fu contraddistinta in senso apertamente moderato. La situazione economica postbellica (498) Si doveva affrontare la distruzione delle infrastrutture e dell’apparato produttivo, che si calcola ammontasse a circa 20% del patrimonio nazionale: in parte distrutte dai bombardamenti alleati e dalle truppe tedesche in fuga la attrezzature industriali; semidistrutto il patrimonio zootecnico e semiparalizzata l’agricoltura. Mancavano le materie prime e l’energia, di conseguenza la produzione industriale calava vertiginosamente. L’inflazione era gravissima e la bilancia dei pagamenti era in deficit. Bisognava ridefinire radicalmente i rapporti sociali di produzione e impostare le linee strategiche di politica economica. Il nodello economico della sinistra(499) Nel modello della sinistra bisognava affrontare l’inflazione selvaggia applicando razionamenti di alcuni beni di consumo e realizzando l’assegnazione controllata di alcune materie prime alle industrie(secondo criteri di priorità). Venivano colpiti i consumi di lusso, i profitti di guerra, gli investimenti patrimoniali speculativi. Il programma dell’area politica moderata(500) Vi era l’assoluta fiducia nei meccanismi del mercato secondo cui avrebbero dovuto garantire la piena ripresa dello sviluppo e la più efficiente utilizzazione delle risorse. Ci si opponeva a qualsiasi forma di restrizione e controllo sugli scambi internazionali. La vittoria del modello liberista(500) Era ritenuto prioritario mantenere una presenza nel governo dell’unità antifascista e garantire in primo luogo la ripresa produttiva. (condizione ritenuta indispensabile per un rilancio, a tempi più lunghi, del conflitto di classe) L’abolizione della politica di protezione(501) Vennero liberalizzati integralmente gli scambi, abbandonando ogni tipo di politica protezionistica a favore dell’integrazione dell’Italia nel mercato internazionale. Si ridussero gradualmente i dazi protettivi e vennero stipulati un gran numero di accordi multilaterali. 42 La compressione della spesa pubblica(501) L’inflazione impennò ulteriormente perché mancava ogni strumento di controllo delle liquidità e ogni possibilità di selezione dei flussi monetari indirizzati ai diversi settori industriali era impossibile. Venne quindi frenata la spesa pubblica, con disastrosi effetti sul terreno d’occupazione. La dipendenza dal mercato internazionale(501) L’economia Italiana era fondamentalmente trainata dalle esportazioni, cioè come un economia di trasformazione che affidava la propria specificità nell’ambito della divisione internazionale del lavoro alla valorizzazione delle merci tramite l’erogazione di lavoro. L’inserimento all’interno dell’economia capitalistica occidentale diveniva una scelta obbligata e vincolante. Le conseguenze economiche e sociali dell’inflazione(502) Nel 1947 l’inflazione raggiunse livelli giudicati inaccettabili. Il risparmio privato, non compensato da sufficienti tassi di interesse, sottraeva capitali agli investimenti produttivi Le scelte economiche recessive(503) Frenare l’inflazione senza intaccare il salario avrebbe rimesso in discussione l’insieme delle scelte politiche ed economiche ma era inevitabile. Dovevano nascere rigorosi strumenti di controllo sulle liquidità. Ciò avrebbe rivalutato la produzione nazionale. L’unica alternativa possibile divenne allora la svolta deflazionistica. Questa scelta dato che implicava un attacco frontale al movimento operaio non poteva che essere gestita da un fronte compatto e apertamente schierato su posizioni moderate. DAL CENTRISMO AL CENTROSINISTRA(pag. 504/511) La svolta moderata del 1947-48 (504) Nel gennaio 1947, il partito socialista si scisse e Giuseppe Saragat diede vita al Psdi, in aperta polemica con la politica di alleanza tra socialisti e comunisti. De Gasperi procedette all’estromissione dei partiti di sinistra dal governo e costituì un gabinetto monocolore cui votarono la fiducia anche liberali, monarchici e qualunquisti. Le violentissime agitazioni sociali e la spinta insurrezionale con cui due mesi più tardi, il 14 luglio, la base comunista e più in generale la classe operaia, soprattutto del nord, reagì a all’attentato contro il segretario generale del Pci(Togliatti) Gli elementi di una struttura economica dualistica (505) Si erano così realizzate le condizioni politiche per quella svolta deflazionistica. In questo periodo fu inoltre introdotta un’imposta patrimoniale straordinaria proporzionale e un sistema d’incentivazione e disincentivazione delle importazioni in modo tale da accelerare il riequilibrio della bilancia commerciale. Vennero quindi sacrificati quei settori a medio –bassa produttività più legati al mercato nazionale, che vedevano accentuate la propria marginalità e che venivano condannati a costituire il polo debole. Gli aiuti economici (piano Marshall) e le commesse concesse all’industria italiana quale contropartita di sempre più elevati livelli di “fedeltà” politica assumevano un ruolo strategico nel sostenere la ripresa economica del paese. Il “miracolo economico” (506) Aumentarono i consumi durevoli (elettrodomestici, auto) e gli investimenti raggiunsero il un incremento annuo del 10%. Aumentò anche la produttività del lavoro per effetto di una massiccia ristrutturazione organizzativa di tipo Tayloristico. L’insieme di queste particolari condizioni determinarono il cosiddetto “ miracolo economico”, che tuttavia nascondeva profondi squilibri e gravi arretratezze. 43 Il crollo dell’agricoltura e la ristrutturazione dell’industria(506) Il ruolo dell’agricoltura venne drasticamente ridimensionato rispetto ai decenni precedenti diminuendo il numero di occupati nel settore. Lo sconvolgimento non riguardò solo il mercato del lavoro e il rapporto tra agricoltura e industria, ma coinvolsero l’assetto del settore industriale: a specializzazioni produttive tradizionalmente rilevanti. Declinarono settori tradizionali come il tessile e l’alimentare e assunsero carattere dominante settori tecnologicamente più sviluppati. La composizione della forza lavoro industriale (507) Continuava così il processo di concentrazione industriale. Ciò comportava una modifica della struttura stessa della classe operaia e l’emergere al suo interno di nuove figure egemoni e di nuove stratificazioni. L’instabilità del sistema politico italiano(507) Fin dall’inizio degli anni 50 De Gasperi aveva intuito la situazione di strutturale instabilità del sistema politico italiano, fortemente polarizzato e caratterizzato da una “tenue delle sinistre che, sebbene emarginate dal quadro governativo, erano tuttavia in grado di congelare una grossa parte di elettorato e di esercitare un ruolo notevole in parlamento e nel paese. La “legge-truffa” (508) Il carattere frammentato del panorama politico italiano è l’essenza di un vero e proprio partito della borghesia dotato di u precisa identità di classe e di una solida presenza nelle istituzioni costituivano i fattori principali di instabilità. La maggioranza fece approvare una legge di riforma elettorale che prevedeva un “premio di maggioranza” per i partiti raggruppati in uno stesso blocco che avessero ottenuto più del 50% dei voti.(simile alla legge Acerbo) La legge non diede però i risultati previsti in quanto la coalizione ottenne il 49.85% dei voti. Dal centrosinistra alla “svolta a sinistra” Il centro fu così posto nella condizione di dover scegliere i propri alleati al di fuori della propria “area naturale”, cioè negli schieramenti di destra o di sinistra: era la fine del “centrismo puro” La crisi del mondo rurale, da una parte, con la conseguente accelerazione della mobilità territoriale e sociale e, dall’altra parte, la rapida e tumultuosa urbanizzazione, pone. Le esigenze stesse dello sviluppo capitalistico, dovute alla crescita impetuosa dell’industria, richiedevano drastiche misure di modernizzazione e una politica sociale meno arroccata in difesa delle posizioni più arretrate. La divisione nella coalizione governativa(510) Negli ultimi anni del decennio maturò così lo scontro durissimo, e in alcuni casi drammatico, tra le due linee contrapposte all’interno dello stesso blocco di maggioranza: da una parte le componenti “modernizzanti” che, nella possibilità di creare uno schieramento di governo di “centrosinistra”, vedevano un modo di combattere efficacemente l’egemonia comunista sul movimento operaio rendendone una componente funzionale allo sviluppo e ridimensionandone e isolandone l’altra; dall’altra l’ala conservatrice, disposta ad appoggiarsi anche sui partiti dell’estrema destra e ad accettare i voti dei fascisti del Msi pur di mantenere in piedi il blocco moderato. Al congresso democristiano di Firenze, sulla base di un accordo tra Aldo Moro e Fanfani fu lanciata la linea di apertura alla sinistra. Aldo Moro e il centrosinistra (511) In concomitanza con il progressivo distacco del partito socialista dalla linea politica di sostanziale alleanza con il partito comunista, la battaglia interna alla democrazia cristiana si concluse con la vittoria dell’ala modernizzante. Si costituì quindi un primo governo Fanfani sostenuto dall’appoggio esterno del partito socialista e con la partecipazione organica di Psdi e Pri. Esso realizzò la nazionalizzazione dell’industria elettrica e la riforma della scuola media con introduzione dell’obbligo e della gratuità fino 1° 14 anni. Si costituì il primo governo di centrosinistra con la presenza cioè di ministri socialisti all’interno del gabinetto. Sul piano politico il risultato maggiore 44 di tale evento sarebbe stata l’apertura del dialogo tra cristiani e non cristiani, soprattutto laici e socialisti, già auspicata dalla sinistra democristiana negli anni precedenti. DALLA CONGIURA ALL’AUTUNNO CALDO (pag. 512/514) L’interruzione dello sviluppo(512) Nel 1963 i segni della crisi si manifestarono sotto forma di un espansione eccessiva del processo inflazionistico: i prezzi all’ingrosso incominciarono ad aumentare, riflettendosi in maniera moltiplicata dall’articolatissimo apparato distributivo sui prezzi al consumo e sul costo della vita. L’aumento dei prezzi si rivelò ben presto incompatibile con lo sviluppo: esso infatti erose i margini di competitività dei prodotti sui mercati internazionali, rallentò le esportazioni e provocò un profondo deficit della bilancia dei pagamenti. Le interpretazioni della crisi economica (512) Esso vedeva impegnati da una parte economisti di tendenze liberiste neoclassiche e dall’altra studiosi ed economisti che, con diverse sfumature, si rifacevano all’area della sinistra e del riformismo. Per i primi le cause erano di carattere oggettivo (l’esaurirsi della riserva di forza-lavoro disoccupata aveva fatto innalzare il presso di una risorsa divenuta scarsa: il lavoro, provocando aumenti salariali, sostenuti anche dalle richieste sindacali. Per la sinistra invece la crisi aveva cause profonde, legate alle storture del modello italiano e al suo tipico assetto dualistico, e ad essa non erano estranee decisioni soggettive incaute o contraddittorie dalle autorità monetarie. Il dibattito sulla programmazione(513) Alla questione della programmazione economica erano state connesse numerose battaglie e numerosi scontri all’interno della compagnia governativa. Le la componente più moderata dello schieramento governativo considerava la programmazione come uno strumento utile per ingabbiare il movimento operaio e sindacale, imponendogli solidi vincoli di compatibilità e realizzando una politica dei redditi, cioè una rigorosa subordinazione della dinamica salariale ai livelli della produttività per area produttiva. La componente riformista intendeva invece programmazione come mezzo di razionalizzazione del sistema e di realizzazione di una maggiore giustizia retributiva. La sinistra , infine, facente capo alla corrente del socialista Lombardi, intendeva la programmazione come piattaforma per incidere a fondo sulla struttura del tessuto produttivo con operazioni di drastica ridefinizione degli equilibri produttivi e dell’assetto politico. La crisi del centrosinistra(513) Si confermava così la tendenza del sistema politico italiano a polarizzarsi e dimostrava anche la fragilità e precarietà del blocco sociale riformista. Le lotte sociali alla fine degli anni sessanta(514) Nella seconda metà degli anni sessanta, quando la congiuntura fu superata e riprese un sia pur precario sviluppo, gran parte dei nodi economici e politici erano rimasti irrisolti. Era stata parimente accantonata una razionalizzazione del sistema politico e dei partiti, troppo fragile per reggere il peso dell’accresciuta massificazione della società e dell’accentuata domanda di partecipazione della società italiana 45