Salvatore Menza
I paraverbi del siciliano
1 Introduzione
Scopo del presente lavoro è individuare e descrivere i principali esempi di
paraverbo in siciliano e nell’italiano regionale di Sicilia1. Secondo quanto
proposto in Menza 2005, il paraverbo è una sottoclasse del verbo (denota,
infatti, un evento e riempie il nodo testa del SV) caratterizzata da proprietà
lessicali tali da risultare invariabile e incompatibile con la negazione e la
subordinazione. L’introduzione del paraverbo all’interno del sistema delle
parti del discorso ha l’effetto di modificare l’intero sistema, rendendolo più
economico e migliorandone la potenza descrittiva. Il paraverbo, infatti,
sostituisce la classe dell’interiezione (il cui concetto e la cui definizione
tradizionali risultano inadeguati2) e si presta a descrivere singoli lessemi
tradizionalmente assegnati in modo insoddisfacente3 ad una o più altre
categorie (per comodità esplicativa, forniamo alcuni esempi tratti
dall’italiano): avverbio (es. chissà, un argomento interno → ‘pV (paraverbo)
+ SC (sintagma del complementatore)’: chissà se/chi verrà, chissà che non
arrivi), aggettivo (es. certo, con focus fonologico obbligatorio: CERTO che
voglio venire! ‘pV + SC’), congiunzione (es. volesse il cielo → ‘pV + SC’:
volesse il cielo che tutto andasse bene!), preposizione (es. lungi → ‘pV +
SP-da (+ SN)’: lungi da me una simile idea!), sostantivo (es. niente → ‘pV +
(SN)’: niente biscotti, o, con argomento in topic, biscotti niente). È, inoltre,
possibile ricondurre al paraverbo alcune categorie per intero, come ad es. la
profrase (sì, no → ‘pV + SC (sottoponibile ad ellissi)’: sì che voglio partire!)
e la locuzione di comando (Gradit, es. avanti tutta) e tutti i verbi che hanno
perso l’originaria capacità di flettersi, come il pop. dice (dice che era un
bell’uomo ‘pV + SC’), o le forme vendesi e affittasi (vendesi due
appartamenti ‘pV + SN’) (V. Menza 2005 § 2.2). In tal modo, il numero
complessivo delle parti del discorso diminuisce ed è possibile utilizzare
un’unica rappresentazione sintagmatica per tutti i tipi di enunciato. Grazie
1
Al paraverbo in generale è dedicato il secondo capitolo della mia Tesi di Dottorato,
Metalessicografia tra lingua e dialetto. Per una revisione di alcune categorie nella
modellizzazione dei lessico (XV ciclo, Dipartimento di Filologia moderna, Università di
Catania, coordinatrice la Prof.ssa M. Spampinato, tutor il Prof. S. C. Trovato, a.a. 2003/2004).
2 In particolare, la definizione tradizionale di interiezione come parola-frase (Poggi 1981 e
1995, Brøndal 1948 137-139, Tesnière 1959 (trad. it. 2001 67), Graffi 1994 204) è inadatta a
descrivere le interiezioni che reggono un complemento, come accidenti (a te), evviva (il re),
che hanno un comportamento chiaramente verbale (reggono un argomento interno al quale
assegnano un ruolo semantico e costituiscono una frase minima assieme a quest’ultimo). Le
interiezioni che non reggono alcun complemento (ad es. ahi) sono pure considerate paraverbi,
ma paraverbi privi di argomento interno, ed assimilate, dunque, a verbi intransitivi o
zerovalenti (cfr. Menza 2005 § 2), in grado di costituire delle frasi senza il concorso di altri
elementi (es. piove o nevicava).
3 Si rimanda a Menza 2005 per una discussione dell’inadeguatezza di tali categorizzazioni
tradizionali.
alla teoria del paraverbo, infatti, è possibile rappresentare come proiezioni
estese del verbo anche gli enunciati costituiti da taluni elementi nominali,
dalle profrasi e dalle interiezioni, essendo tali categorie considerate, appunto,
come nient’altro che tipi particolari di verbi.
Il comportamento dei paraverbi è sintetizzato nella definizione descrittiva
in (1), mentre le caratteristiche lessicali che motivano tale comportamento
sono specificate in (2) (cfr. Menza 2005 (§ 3)):
(1)
Definizione descrittiva di Paraverbo
Il paraverbo (pV) è una parola invariabile in grado di costituire una
frase principale minima4 assieme agli argomenti richiesti dalla sua
valenza e specificati dalla sua struttura argomentale. Nell’indicatore
sintagmatico, pV riempie il nodo testa del SV. pV è incompatibile
con la negazione.
(2)
Definizione teorica di Paraverbo
a. Il paraverbo è un verbo, con le seguenti caratteristiche:
b. proietta lessicalmente un argomento esterno implicito PRO non
commutabile con altri SN (es. [PRO accidentipV [a te]SN]SV);
c. ha precompilate nella propria entrata lessicale:
1. la polarità (o solo positiva o solo negativa)5;
2. una sola modalità (forza illocutoria), che è in grado di
realizzare;
3. il focus fonologico o la compatibilità con esso (tre valori: i)
paraverbo sempre con focus, ii) sempre senza focus, iii)
indifferente);
Da (2)a discende la proprietà del paraverbo di realizzare, assieme ai
propri argomenti, una frase minima. Questa, infatti, è una delle
caratteristiche principali dei verbi.
Da (2)b deriva la proprietà dell’invariabilità quanto a tempo, persona e
numero. PRO in posizione di soggetto, infatti, è incompatibile con le frasi a
flessione finita6.
4
Indipendente, coordinata o anche parentetica.
La polarità, si badi, è riferita al paraverbo, cioè alla testa, e non a un eventuale
complemento frasale. L’assegnazione di polarità al complemento frasale è una proprietà
lessicale di alcuni paraverbi, come ad es. sì e no, indipendente dalla proprietà generale di tutti
i paraverbi di essere predefiniti mediante una polarità. Sì, ad es., ha precompilata nell’entrata
lessicale, in quanto paraverbo, la polarità positiva; in più, assegna polarità positiva al proprio
argomento SC.
6 PRO è il soggetto implicito dei verbi non finiti (gerundio, infinito). L’incompatibilità di
PRO con la flessione finita è stata spiegata in modi diversi: inizialmente, attraverso il
5
2
Da (2)c1 discende come conseguenza l’incompatibilità del paraverbo con
la negazione (*non accidenti a te). Poiché la polarità è già implicita nel
paraverbo, essa genera incompatibilità con l’espressione esplicita (mediante
morfema dedicato) della polarità, ad es. mediante l’aggiunta del non. Si
tratta di una sorta di blocco operato dal sistema nei confronti di enunciati in
cui uno stesso tipo di informazione (la polarità) sia espressa da più morfemi
(ad es. il paraverbo e la negazione), con o senza contraddizione nel valore
espresso dall’uno e dall’altro morfema7.
Da (2)c2, infine, dipende l’invariabilità quanto al modo. La variazione
del modo verbale consente di realizzare con il medesimo verbo diversi tipi di
atti linguistici (dichiarativo, ottativo, iussivo ecc.), ma ciò non può avvenire
coi paraverbi. Infatti, poiché nei paraverbi la modalità è già specificata
lessicalmente e in modo rigido (ad es. evviva è ottativo, avanti tutta è
iussivo, caspita è esclamativo, permesso? è interrogativo) un’ulteriore
specificazione mediante un morfema indipendente potrebbe risultare
incongruente con la prima (ad es. iussiva vs. ottativa), o, se congruente (ad
es. ottativa + ottativa), ridondante, e questo ne motiverebbe il blocco. La
lessicalizzazione della forza illocutoria, a sua volta, può essere correlata
all’incompatibilità con la subordinazione (*dicono che/di accidenti,
*vogliono caspita). La forza illocutoria, infatti, è connessa con l’atto
linguistico, che è realizzato dall’enunciato (la frase indipendente), e non
dalle singole subordinate, che sono sempre prive di una propria forza
illocutoria. Tale caratteristica delle subordinate fa sì che ogni periodo, per
quanto complesso, risulti sempre associato a una forza illocutoria e a non più
di una (il che renderebbe il periodo ininterpretabile semanticamente e
pragmaticamente). Ora, poiché il paraverbo è stabilmente associato ad una
forza illocutoria, se una frase paraverbale fosse incassata all’interno di una
frase sovraordinata, il periodo che ne risulterebbe sarebbe malformato,
perché sarebbe associato a due forze illocutorie, quella associata alla
sovraordinata e quella associata lessicalmente al paraverbo.
2 I paraverbi siciliani per classi valenziali
Nei paragrafi che seguono, sono analizzati i principali paraverbi del siciliano
(i più interessanti per le loro caratteristiche, non solo sintattiche, e il cui tipo
Teorema di PRO (PRO non può essere retto e FLESS temporalizzato sarebbe in grado di
reggerlo, v. Haegeman 1996 cap. 5); successivamente, ricorrendo all’ipotesi del Caso Nullo
assegnato a PRO per accordo da FLESS non temporalizzato (Chomsky e Lasnik 1991) o, per
reggenza, dalla testa FIN specificata negativamente (si tratta di una categoria funzionale che
domina direttamente FLESS, e che specifica se la frase è a verbo finito o meno; può ospitare
complementatori “non finiti” come di, a e per) (Rizzi 1997). Per le motivazioni dell’ipotesi
che PRO sia proiettato dai paraverbi come argomento esterno, si rimanda a Menza 2005 § 2.3.
7 È cioè indifferente il fatto che paraverbo e morfema esplicito di polarità veicolino lo
stesso valore (positivo e positivo, negativo e negativo), o che, invece, veicolino valori diversi
(ad es. paraverbo positivo e negazione).
3
lessicale non sia presente nell’italiano8) raggruppati in base alla loro valenza
e al tipo di argomenti che sottocategorizzano. Nessuna distinzione è operata
in base alla complessità del lessema (non vengono distinti, cioè, i paraverbi
monorematici da quelli polirematici). Quando un paraverbo sia comune al
siciliano e all’italiano regionale di Sicilia, si preferisce per lo più, per
comodità, fornire gli esempi solo in italiano regionale.
2.1
Paraverbi monovalenti (bivalenti contando PRO)
2.1.1 ‘pV SN’
a) forza/fozza (es. fozza Catània!). L’argomento potrebbe essere
erroneamente considerato un vocativo (forza, (o) Catania!), perché il
paraverbo forza è anche zerovalente. Si noti, però, che il significato di
forza zerovalente è diverso da quello monovalente. Mentre, infatti,
forza monovalente è ottativo, esprime il desiderio che il referente
dell’argomento abbia successo, e l’enunciato cui dà vita può essere
utilizzato anche in assenza di tale referente al momento dell’atto
linguistico, forza zerovalente, invece, è iussivo, esprime
un’esortazione rivolta al destinatario del messaggio, che deve
necessariamente essere presente nel luogo e nel momento in cui l’atto
locutorio avviene. Inoltre, il contorno prosodico della frase con forza
zerovalente e il vocativo che ribadisce il destinatario del messaggio
(es. forza, Luca!) non ammette, a differenza del contorno legato a
forza monovalente, un unico movimento melodico con picco sul
vocativo, privo di pause, e con riduzione di lunghezza e intensità sul
paraverbo, richiedendo, invece, una certa prominenza anche su forza.
Forza zerovalente, inoltre, può essere modificato da un aggiunto SP
retto da ccu ‘con’ che indica lo strumento dell’azione a cui si esorta il
destinatario (es. forza (Giovanni) con quei remi!).
b) caquali ‘macché’ (es. caquali spatu! chista alalonga è! ‘macché
pesce spada! questa è alalonga!’). Tale paraverbo è marcato
pragmaticamente, perché richiede un cotesto sinistro.
c) te’ (es. te’ i soddi e non mi stunari cchjù a testa ‘eccoti i soldi non
seccarmi più’). Di origine verbale (forma apocopata dell’imperativo
non dittongato di ‘tenere’), è ormai privo di flessione. Che non si tratti
di una forma apocopata in sincronia è confermato dalla mancanza del
dittongo, normale nelle forme rizotoniche (tieni, tiene)9. Da non
confondere con ttè, zerovalente, forse omoetimologico, che ha però
diverso significato (si usa per esprimere maligna soddisfazione nei
confronti di qcs. di spiacevole capitato ad altri: ttè, accussì ti nzigni!
‘così la prossima volta impari!’).
8 Salvo diversa indicazione, gli esempi del siciliano fanno riferimento al dialetto di
Catania.
9 A meno di non voler considerare ogni occorrenza di te’ legata a una commutazione di
codice (da it. standard o colloquiale a it. regionale).
4
d) amara (dialetti etnei sudorientali, Leonforte e Villarosa (EN), cfr.
VS I 134 s.v. amara) (es. amara tia! ‘guai a/povero te’, amara iddu!
‘guai a/povero lui’, (S. Alfio, CT) amara a to peddi! lett. ‘a. la tua
pelle!’, ‘povero te!’). Originariamente aggettivo (amaru, forma
rimotivata a partire da maru < gr. μαυ̃ρος ‘nero’ nel senso fig. di
‘triste, sventurato’10), diventando invariabile passa a paraverbo. Il
costrutto con l’aggettivo (pure documentato in siciliano, v. VS I 135136 s.v. amaru 4-5) è una predicazione marcata, con anteposizione del
predicato e assenza della copula, resa superflua dal mutamento
dell’ordine (amaru iddu ‘povero lui’, amara idda ‘povera lei’, cfr.
bello, il tuo orologio!, furba, la ragazza!). Alla base del processo di
perdita della flessione potrebbe essere la variante catanese in cui il
pronome argomento è preceduto dalla preposizione a, che causa
sistematicamente, per elisione, la cancellazione della terminazione
morfologica dell’aggettivo, neutralizzando la distinzione tra maschile
e femminile: amar’a-ttia, amar’a iddu. La preposizione è poi
rianalizzata assieme all’aggettivo, dando vita al paraverbo amara.
Quanto al raddoppiamento fonosintattico, non è da escludere una fase
in cui amara, per memoria dell’antica preposizione inglobata nel
significante, lo determinasse (amar’a-ttia > *amara-ttia). La forma
definitiva, in cui amara non produce raddoppiamento (amara tia),
potrebbe trarre origine da una analogia con combinazioni in cui
l’argomento del paraverbo inizia per vocale, ad es. amara iddu
(<amar(u) a iddu), in cui il raddoppiamento non può comunque avere
luogo: iddu : amara iddu = tia : x, x = amara tia (e non *amara-ttia).
La variante catanese, a causa della neutralizzazione del genere dovuta
all’elisione, è anch’essa passata da aggettivo a paraverbo, ed è studiata
infra in 2.1.2h.
e) àutru ca ‘altro che’ (es. àutru ca rrïalu, ti miritassi na sugghjat’i
vastunati! ‘altro che regalo! ti meriteresti una buona dose di
bastonate!). Il SN può essere sostituito da una infinitiva: àutru ca iri a
bballari: stasira ti stai â casa! ‘altro che andare a ballare: stasera
rimani a casa!’. Necessita di un cotesto sinistro, o di un contesto
extralinguistico equivalente, all’interno del quale si trova l’elemento
(ripetuto dall’argomento SN) che il parlante intende negare,
contraddire, stigmatizzare e sim. Un ulteriore cotesto destro conterrà,
per contrasto, l’alternativa proposta. Il testo che viene costruito
attorno al paraverbo altro che si connota come sarcastico. La stessa
etichetta andrà attribuita, pertanto, nel lessico, al paraverbo.
f) sic. e it. reg. sic. senza (es. senza fretta!, senza bugie!, senza botte!).
Più spesso l’argomento è realizzato, con uguali funzioni, da una
infinitiva con soggetto implicito (senza correre!, senza insultare,
10
Per l’etimologia cfr. Trovato 2002 850.
5
senza spingere, senza dire brutte parole!)11 o da un SC il cui soggetto
sia di preferenza il destinatario del messaggio (senza che corri, senza
che insulti!, senza che dici brutte parole!, senza che ti fai vedere!).
Indipendentemente dalla forma sintattica dell’argomento (SN,
infinitiva, SC), il paraverbo senza esprime il divieto, diretto al
destinatario del messaggio (è, dunque, deittico), di compiere l’azione
riferita dall’argomento. Il SN, così, viene interpretato semanticamente
come evento in cui il destinatario ricopre il ruolo di agente (fretta =
‘avere fretta, agire di fretta’; bugie = ‘dire bugie, mentire’; botte =
‘dare botte’ ecc.), il che spiega la preferenza per SN al plurale e senza
articolo.
2.1.2 ‘pV SP’
a) accura (es. accura ô picciriddu! ‘attenzione al bambino!’), anche
con ellissi dell’argomento.
b) amara (di area catanese) (es. amara a-mmia/a-ttia/a iddu! ‘accidenti
a me/a te/a lui!’; l’incontro tra la vocale finale di amara e la
preposizione a dell’argomento determina una degeminazione vocalica:
[]. Il paraverbo, attestato in Sicilia anche con
argomento SN, trae origine dall’aggettivo amaru (v. supra § 2.1.1e) a
seguito di elisione della vocale finale a contatto con la preposizione a,
che ne neutralizza la marca di genere (amar(u/a/i) a > amar’a). Il SN
contenuto in SP può essere sostituito (la preposizione che regge SP
non è più, però, a, ma ri ‘di’) da una struttura frasale con la proforma
interrogativa quannu ‘quando’ in posizione di complementatore,
paragonabile ad una relativa con pronome misto: amara ri quannu cci
rissi ca puteva vèniri! ‘accidenti a quando gli ho detto che poteva
venire!’. Tale struttura può ricorrere in luogo di SN perché è
equiparabile, da un punto di vista funzionale e semantico, a un
nominale inerentemente temporale del tipo ‘il momento in cui...’. I
due tipi di SP possono combinarsi dando vita a una configurazione
bivalente (v. § 2.2.1): amara a-mmia ri quannu ci rissi ca puteva
vèniri! Equivalenti a amara SP-ri, sia semanticamente che
sintatticamente, sono i pV mmalirittu (lett. ‘maledetto’) e malanova,
nonché l’it. reg. sic. maledizione: mmalirittu/malanova ri quannu cci
rissi ca puteva vèniri! ‘accidenti a quando gli ho detto che poteva
venire’, maledizione a quando...! Malanova seleziona anche un SP-di:
11 Il costrutto è notato per la prima volta, nell’it. reg. di Sicilia, da Giovanni Tropea (1976
38), che lo riconduce ad un’espressione imperativale con ellissi del verbo, ad es. (tra parentesi
graffe l’elemento ellittico): {cammina/camminate} senza correre! Considerare senza un
paraverbo, piuttosto che una preposizione o una congiunzione, evita di dover postulare
l’ellissi di un verbo il cui ripristino non è sempre possibile o univoco. Quale potrebbe essere,
ad es., il verbo cancellato nelle frasi senza insultare e senza dire brutte parole?
Per quanto riguarda il dialetto, v. Di Benedetto 1995. Nessuna menzione del costrutto,
invece, è in VS IV 814 s.v. senza1.
6
malanova di tia ‘accidenti a te’; maledizione seleziona anche un SP-a:
maledizione a te!
c) ntâ lingua!, ntê manu! e u coddu (es. ntâ lingua/ntê manu/u coddu aMmaria! ‘lett. nella lingua/nelle mani/il collo a Maria!’) per lanciare
una maledizione (anche scherz., o come imprecazione priva della
componente magico-religiosa) volta a produrre, nella persona cui fa
riferimento l’argomento SP, un danno alla parte del corpo specificata,
rispettivamente la lingua, le mani o il collo (meton. ‘la testa’ e quindi,
metaforicamente, la stessa esistenza in vita). L’argomento SP può
essere sottoposto a ellissi in condizioni di recuperabilità contestuale.
2.1.3 ‘pV SC’
La parte del discorso tradizionale invariabile e in grado di sottocategorizzare
una frase è la congiunzione subordinante. Ora, poiché anche il paraverbo è
invariabile, è possibile scambiare per congiunzioni (o locuzioni congiuntive)
i paraverbi monovalenti che sottocategorizzano SC. Sull’inopportunità di
una simile operazione si rimanda alla scheda dedicata a iamu/iamuninni
(infra, item j).
Costituiscono argomento SC non solo le subordinate rette da un
complementatore (come che, di, a ecc.), ma anche le interrogative indirette e
le esclamative dipendenti, caratterizzate da un sintagma con proforma
spostato nello specificatore di SC12 (v. infra le schede dedicate a addiri,
addiu, avoglia). Che l’esclamativa sia davvero dipendente (e non una frase
indipendente coordinata asindeticamente ad un paraverbo zerovalente o
transitivo assoluto che costituisce frase a sé) è assicurato dal contorno
intonativo e prosodico. La frase paraverbale (con complemento SC), infatti,
non tollera pause ed ha un unico picco melodico in corrispondenza del
paraverbo e intonazione discendente fino alla fine dell’argomento. I picchi
melodici, nel caso di due frasi coordinate, sono invece due (in
corrispondenza del DTE13 del costituente prosodico maggiore di ciascuna
delle due frasi, ovvero dell’accento principale più a destra) ed è possibile
separare le due frasi con una pausa. Si confrontino le seguenti due frasi
dell’italiano: accidenti! se mi piace! (frase paraverbale senza argomenti +
esclamativa indipendente) vs. accidenti se mi piace! (unica frase paraverbale
con esclamativa dipendente dal paraverbo). Bisogna comunque precisare
che, al contrario dell’italiano, il siciliano non sembra conoscere esclamative
indipendenti introdotte da su/si ‘se’, e perciò, per quanto riguarda il siciliano,
non c’è dubbio che l’esclamativa sia dipendente dal paraverbo: *su-mme
figghja mi fa n-zuvvizzu! ‘se mia figlia mi fa una faccenda domestica!’ (v.
infra la scheda dedicata a addiu).
12
Non è facile stabilire se it. se/sic. su/si si trovi nello specificatore o piuttosto nel nodo
testa di SC. Cfr. Haegeman 1996 254-255.
13 “Designed Terminal Element” (Elemento Terminale Designato). Nella gerarchia
prosodica associata ad un enunciato, è la sillaba con prominenza maggiore in ciascun livello.
Cfr. Nespor 1993 169.
7
È molto frequente, inoltre, coi paraverbi che sottocategorizzano un SC, la
dislocazione a sinistra del soggetto della subordinata (v. infra le schede
dedicate a addiu/addiri e capace), che assume così, apparentemente, la
posizione di soggetto del paraverbo: it. reg. sic. capace che i ragazzi
mangiano fuori ‘è molto probabile che i ragazzi mangino [lett. ‘mangiano’]
fuori’ → i ragazzi capace che mangiano fuori. Lo stesso avviene nelle frasi
con verbo che sottocategorizza SC: capitava ca Ggiuanni tunnava cchjùttaddu ‘capitava che Giovanni tornasse [lett. ‘tornava’] più tardi’ →
Ggiuanni capitava ca tunnava cchjù-ttaddu; sàcciu ca Ggiuanni nesci ‘so
che Giovanni esce’ → Ggiuanni sàcciu ca nesci.
Analizziamo adesso nel dettaglio i principali paraverbi siciliani con
struttura argomentale ‘pV SC’:
a) accura (+ SC-a: accura a-nno-sciddicari! ‘attenzione a non
cadere!’).
b) addiri e addiu seguiti da SC retto da su ‘se’ o, piu raramente, da ca
‘che’, per esprimere disappunto, delusione e stupore per il mancato
verificarsi dell’evento riferito dall’argomento frasale (l’argomento,
quando è retto da su, potrebbe essere analizzato anche come
interrogativa indiretta). Tale evento è considerato dal mittente come
necessario, normale, dovuto, in base alle circostanze, e pertanto atteso
(es. addiri/addiu su-mme figghja mi fa n-zuvvizzu! lett. ‘devi dire/addio
se mia figlia mi fa una faccenda domestica’, con dislocazione: me
figghja addiri ca mi fa n-zuvvizzu!). Non è ammessa l’ellissi
dell’argomento.
c) nicosiano aùsö e sic. aùsu ‘è/era come (se)’ (es. nic. «I pòverë apë,
cö ddö fietö de fumö, ausö che se möstàvenö a mbrïachè e nen avìenö
chjù tanta balia de mezzichè» ‘Le povere api, con quella puzza di
fumo, era come se si ubriacassero un po’ e non avevano/avessero più
la forza per morsicare [propr. ‘pungere’]’ (Castrogiovanni in stampa);
Ggiuvanni, ri quannu si maritau, ausu ca a-ll amici sò nê canusci
cchjù ‘Giovanni, da quando si è sposato, è come se non conoscesse
più i suoi amici’).
d) it. reg. sic. avoglia (sic. avogghja/a’ vogghja < ai vògghja lett. ‘hai
voglia’). 1. (con esclamativa dipendente/interrogativa indiretta14 retta
da se, sottoponibile a ellissi) conferisce, con enfasi, polarità positiva
alla frase complemento, con particolare riferimento a una quantità, a
una estensione (anche di spazio o di tempo) di cui si afferma la piena
sufficienza o addirittura l’abbondanza, in relazione all’azione da
compiere: «— Vorrei scendere da quel lato; basta lo spazio/ci passo?
—Avoglia se basta/se ci passi!»; il pane avoglia se basta, oggi ‘il
pane basta di sicuro, oggi’; il bambino ha mangiato? Avoglia!; «—
pensi che Giovanni sia già arrivato a Roma? — ormai avoglia se è
arrivato!»). Agrammaticale l’uso con un complemento frasale il cui
14
È difficile distinguerle in casi del genere.
8
predicato non possa essere modificato da un intensificatore o che non
faccia riferimento ad una quantità: «— c’è tuo padre? — *avoglia se
c’è». 2. con SC-a, esprime che è possibile compiere con grande
intensità (o anche facilità, libertà) l’azione riferita dalla subordinata, o
(partic. con predicati subordinati transitivi) coinvolgendo una grande
quantità di oggetti: in questo parco avoglia a correre! ‘si può correre
liberamente, quanto si vuole’, avoglia a mangiare fragole! ‘ci sono
fragole in grande quantità, è possibile mangiarne molte’, in questo
ripostiglio così grande, avoglia a mettere roba! ‘è possibile mettere
molta roba!’. Dà luogo ad agrammaticalità la combinazione con una
subordinata incompatibile con l’intensificazione o la quantificazione:
*avoglia ad arrivare/a esserci. Da non confondere con it. reg. sic.
avere voglia (da cui pure potrebbe avere avuto origine il paraverbo),
che presenta più forme ed è perciò un verbo (hai voglia, avete voglia,
avevate voglia...), che regge SC-di e ha significati diversi, anche se in
qualche modo apparentabili a quello del paraverbo avoglia. Avere
voglia, infatti, è un verbo polirematico con semantica modale,
equivalente a potere deontico (‘avere il permesso’): avete voglia di
prendere tutto quello che volete ‘potete/avete il permesso di prendere
tutto quello che volete’. In una accezione secondaria, al permesso si
sovrappone un giudizio di inutilità dell’azione rispetto agli scopi
dell’agente: «Avete voglia di mettervi profumi e deodoranti: siete
come sabbie mobili tirate giù» ‘potete, ma è del tutto inutile che vi
mettiate [propr. ‘che vi aspergiate con’] profumi e deodoranti...’
(Franco Battiato, Bandiera bianca in La voce del padrone, Emi
Music, 1981).
e) it. reg. sic. capace ‘è probabile’ (es.: capace che tua sorella stasera
non rientra a casa; con dislocazione: tua sorella capace che non
rientra a casa stasera; con argomento ellittico: «—Può essere che
Daniela stasera non rientra? — Capace.»). Capace, in sincronia, è
anche un aggettivo (‘probabile, possibile’) che può costituire il
predicato di una soggettiva: è capace che tua sorella stasera non
rientra a casa. L’espressione verbale copula+capace, però, è priva di
flessione: ?*era capace che..., *fu capace che... La sequenza è capace,
essendo invariabile, può anche essere considerata, nel suo complesso,
come un paraverbo, alla stessa stregua di capace, di cui costituisce
una variante polirematica15 libera. Adottando questa analisi, la copula
non è presente, in sincronia, nella forma profonda, ma solo in
diacronia. L’ellissi della copula, pertanto, è sì alla base della genesi
del paraverbo (il soggetto frasale diviene complemento), ma non è più
un processo della derivazione superficiale16. Il ripristino della copula
15 Si noti, inoltre, che non è possibile inserire modificatori tra è e capace: *è
proprio/davvero capace che...
16 In realtà, poiché esiste, in sincronia, un aggettivo capace, e poiché nulla impedisce a
tale aggettivo, come si è già detto, di costituire il predicato di una soggettiva, la struttura
9
effettuato per il test è, dunque, solo apparente. Quanto alla sintassi del
pV capace, non è inutile aggiungere che una distribuzione di tipo
avverbiale può avere luogo se il paraverbo costituisce parentetica:
l’argomento diventa la frase principale all’interno della quale la
parentetica si inserisce (tua sorella, capace, non rientra a casa).
f) cu sapi (o cu u sapi, lett. ‘chi (lo) sa, chissà’) seleziona
un’interrogativa indiretta: cu sapi su-tto matri vinni/quannu
tònnunu/quantu costa ecc. ‘chissà se tua madre è venuta/quando
tornano/quanto costa’. Può ricorrere anche senza complementi e in
posizioni diverse all’interno della frase. In questi casi, tuttavia, andrà
considerato come frase parentetica costituita da un solo paraverbo
zerovalente (o assoluto) (non comunque come un avverbio): fossi
Ggiuanni arruau... cu sapi! ‘forse Giovanni è già arrivato... chissà!’,
occarunu... cu sapi... u visti nesciri ‘qualcuno... chissà... l’ha visto
uscire’. Che cu sapi in questi esempi costituisca una parentetica è
confermato a) dalla pausa, obbligatoria, che lo separa dai costituenti
appartenenti alla frase principale; e b) dal fatto che la frase principale
sia equiparabile, semanticamente, ad un argomento di cu sapi (cfr. «cu
sapi su Ggiuanni arruau» ‘chissà se Giovanni è arrivato/che non sia
arrivato’, «cu sapi su occarunu u visti nesciri» ‘chissà se qualcuno lo
ha visto uscire/chissà che qualcuno non lo abbia visto uscire’). Tale
caratteristica è, infatti, tipica delle frasi verbali parentetiche (cfr.
Borgato e Renzi 1995 166). Si confrontino le frasi appena viste con
una frase che contiene una parentetica verbale: a. Rumani — penzu —
Ggiuanni tonna ‘domani — penso — Giovanni torna’; b. Penzu ca
rumani Ggiuanni tonna ‘penso che domani Giovanni torna’. Come è
facile osservare, le due frasi sono semanticamente equivalenti. Nella
prima, il verbo penzu ‘penso’ costituisce una parentetica all’interno
della principale rumani Ggiuanni tonna ‘domani Giovanni torna’;
nella seconda, invece, la stessa frase è subordinata al verbo penzu, di
cui costituisce un complemento. Cu sapi può, in determinate
circostanze, esibire un comportamento apparentemente avverbiale,
occupando una posizione di aggiunto a sinistra della frase. Tale frase,
tuttavia, è compatibile solo con un particolare tipo di contorno
intonativo, marcato, sospensivo: cu u sapi to frati vinni... ‘chissà che
tuo fratello non sia già arrivato...’ o ‘chissà se tuo fratello è venuto...’.
Simile comportamento si osserva nel sinonimo regionale chissà:
chissà Giovanni ha comprato il pane... (con la medesima intonazione
marcata). In italiano (non regionale), invece, è necessario che la frase
retta da chissà sia introdotta da un complementatore esplicito (che/se),
e dunque si esclude che chissà occupi una posizione avverbiale. La
superficiale è capace che piove può derivare da due strutture profonde, una con il pV è
capace seguito dal SC argomento che piove, e l’altra costituita da copula (è)+aggettivo
(capace)+soggettiva (che piove). E non è possibile stabilire, di volta in volta, quale sia la
struttura profonda.
10
collocazione in posizione di aggiunto in siciliano, tuttavia, è, come si
diceva, solo apparente. Decisiva è, per il nostro giudizio,
l’osservazione del contorno intonativo. Se si trattasse, infatti, di una
frase modificata da un avverbio, sarebbe possibile associare alla frase
più contorni diversi. La rigidità nella associazione ad un contorno,
invece, è tipica dei paraverbi. Dunque assumiamo che cu sapi e it. reg.
sic. chissà possano selezionare un SC con complementatore nullo:
chissà [Ø Giovanni ha comprato il pane]SC. Equivalente a cu sapi è il
sic. e it. reg. sic. sa’17. Quest’ultimo, però, differisce da cu sapi per
alcune caratteristiche sintattiche. Come cu sapi, anche sa’
sottocategorizza una interrogativa indiretta, ma non se introdotta da
si/su/suddu ‘se’, probabilmente per ragioni fonologiche, per via cioè
della somiglianza tra sa’ e su/si. Inoltre, sa’ non può ricorrere privo
del complemento, né come parentetica, né in risposta a una domanda:
sa’ quannu/comu/cu’ veni ‘Chissà quando/come/chi viene’; — To frati
torna? ‘tuo fratello torna?’ — *sa’? ‘chissà’; *Me frati — sa’ —
tonna rumani ‘mio fratello — chissà — torna domani’.
g) it. reg. sic. e pop. dice/ sic. dici (es. dice che l’estate sarà calda). È
analizzato generalmente (es. Gradit s.v. dire I.9) come forma
impersonale di dire. Tuttavia, non mostra flessione di tempo e modo,
ed è incompatibile con la subordinazione, al contrario della forma
pronominale sinonima si dice (*diceva che... vs. si diceva che..., *era
convinto che dicesse in giro che sua moglie lo tradiva vs. era convinto
che si dicesse in giro che...). Dice, pertanto, è un paraverbo (che
seleziona come argomento interno un SC-che non sottoponibile a
ellissi), mentre si dice è una forma verbale appartenente a un
paradigma impersonale e pronominale di dire.
h) facuntu e it. reg. sic. fai conto (es. facuntu ca chiovi / fai conto che
piove ‘sta per piovere’). In diacronia si identifica con la seconda
persona singolare18 di una locuzione verbale *fari cuntu (lett. ‘fare
conto’), ma, in sincronia, è invariabile. Pertanto, lo si considera
paraverbo19. Per quanto riguarda la sintassi, facuntu è un paraverbo
monovalente che seleziona come argomento interno un SC,
sottoponibile a ellissi in contesti adeguati; dal punto di vista
semantico, esprime l’imminenza dell’evento riferito dall’argomento
17 La grafia con segno d’apocope, oltre a suggerire che derivi per apocope dalla forma
verbale sapi, 3a sing. del pres. ind. di sapiri ‘sapere’, segnala anche che, pur essendo un
monosillabo tonico, non produce raddoppiamento fonosintattico.
18 Che si tratti di una seconda persona e non di una terza è dimostrato dalla mancanza di
raddoppiamento fonosintattico del primo segmento di cuntu, che avrebbe luogo se la forma
verbale precedente fosse il monosillabo tonico fà (3a p. sing.). Come è noto, infatti, le forme
che presentano una ossitonia secondaria, dovuta, in sincronia, ad una apocope — è questo il
caso di fa’ (<fai ‘fai’, 2a p. sing.), non producono raddoppiamento fonosintattico.
19 Nel caso che i parlanti ne percepiscano la struttura interna lo si potrebbe considerare
una polirematica paraverbale (fa’ cuntu). Si seguirà qui la prima ipotesi (monorematica:
facuntu).
11
frasale: sic. facuntu ca arriva a zzia, it. reg. fai conto che arriva la zia
‘tra poco arriva la zia’; — Quann’arriva a zzia? ‘quando arriva la
zia?’ — Facuntu ‘tra poco’. Sinonimo di facuntu è il paraverbo unnè,
di area messinese ed ennese (gli esempi che seguono sono del dialetto
di Furci Siculo (ME)). Con facuntu condivide sintassi e semantica, ma
non consente l’ellissi dell’argomento SC: unnè chi-gghjovi ‘sta per
piovere’; — quannu ven’a zzia? ‘quando arriva (lett ‘viene’) la
zia?’— unnè chi-vveni ‘sta per arrivare (lett. ‘venire’)’/*unnè. Il
Vocabolario siciliano (VS V 907 s.v. unnè 2) categorizza la voce
come congiunzione polirematica (la documentazione riguarda il
dialetto di Catenanuova (EN)), includendo al lessema il
complementatore dell’argomento interno: unnè ca. Sull’inopportunità
di considerare congiunzioni (o locuzioni congiuntive) i paraverbi
monovalenti che sottocategorizzano un argomento frasale si veda la
scheda dedicata a iamu/iamuninni, infra (anche unnè può ricorrere
all’inizio di un testo ed essere preceduto da congiunzione: e/ma unnè
chi gghjovi ‘e/ma sta per piovere’).
i) nic. fuora öra ‘sarebbe l’ora/il caso (di...), bisogna’ (es. «fuora öra
de pighjè ö melë» ‘è il momento giusto per / bisogna raccogliere il
miele’ (Castrogiovanni in stampa)) e fuora bön ‘sarebbe buono (se...) /
sarebbe il caso (di...)’ (es. «fuora bön de ndè ô Casaö» ‘sarebbe il caso
di andare al Casale’ (Castrogiovanni in stampa)); sic. forra bbonu
(+ SC-su). Le forme nic. fuora e sic. forra sono forme disusate di
condizionale (3a pers. sing) del verbo ‘essere’, che proseguono il
piucchepperfetto indicativo latino (FUERAT)20. È possibile avanzare
l’ipotesi che non siano più verbi, ma parti di polirematiche
paraverbali, per una serie di ragioni. Innanzitutto, la coscienza, da
parte dei parlanti, della loro appartenenza al paradigma,
rispettivamente, di essö e èssiri, sembra oggi molto debole e tende a
indebolirsi ancora. Inoltre, in sincronia, esse non possono comunque
essere considerate delle forme, quantunque “irregolari”, del
monorematico ‘essere’, in quanto, se così fosse, dovrebbero poter
ricorrere liberamente in combinazione con qualunque predicato
nominale, mentre, invece, sono stabilmente associate l’una a öra/bön e
l’altra a bbonu, con cui formano, dunque, delle polirematiche. Se a tali
polirematiche riconosciamo una flessione che le riunisca in un unico
paradigma, secondo la coscienza dei parlanti, assieme con forme come
nic. avëssö/averia stàitö bön o sic. avissa statu bbonu ‘sarebbe stato il
caso (di...)’, allora è lecito lemmatizzarle sotto l’infinito essö bön/öra
e èssiri bbonu. Se, al contrario, si ritiene che esse non siano associate
dal parlante a nessun’altra forma, allora è più corretto categorizzarle
come paraverbi polirematici, come qui si propone.
20 In Dante e in Petrarca si trova fora ‘id.’ e in Cecco Angiolieri fuora (Rohlfs 1968 346
(§ 602)).
12
j) sic. iamu/iamuninni, nic. ngiàmenë (lett. ‘andiamo(cene)’). Nelle
narrazioni orali letterarie o tendenti al letterario (fiabe, apologhi,
racconti reali e realistici con valore didascalico e sim.), si usano per
introdurre una nuova sequenza del racconto, in particolare nel caso
che si stiano abbandonando le vicende di alcuni personaggi per
seguirne altre, spesso contemporanee o anteriori alle prime (analessi) e
a queste collegate da nessi di causalità e sim.: nic. «Ngiàmenë che tâ
crièsgia ghj’ièrenö a cugnada rricca chî fighjë e comö vedéttënö dê
soë parëntë vestuë pulitë, cömenzanö a dì tra de dëë: — E che vòssenö
fè, röbanö oë trövanö?» ‘Ora, però/A questo punto, nella chiesa
c’erano la cognata ricca con le figlie e, non appena videro i loro
parenti vestiti eleganti, cominciarono a dire fra loro: — Ma come
hanno fatto [dove hanno preso i soldi per dei vestiti del genere]? O li
hanno rubati o hanno trovato un tesoro nascosto (lett. ‘Andiamocene
che nella chiesa... E che vollero [=poterono] fare? rubarono o hanno
trovato? [idiomatico]’) (La Via 1887 103, trad. mia); «Ngiàmenë
ch’iera oramaë menzögiörnö e nen se sentìa nuddö sciorö e nuddö se
smövia pe fè a menestra» ‘Veniamo al fatto che era ormai
mezzogiorno e non si sentiva alcun odore [di pietanze appena
preparate o in preparazione] e nessuno si smuoveva per fare la
minestra’ (La Via 1887 103, trad. mia); «Ngiàmenë che ö dragö, dopö
che dâ carösa ghje fé nförrïè a so casa, ghje dissö...» ‘(Ora) dovete
sapere/bisogna dire che il drago, dopo che ebbe mostrato la propria
dimora alla fanciulla (lett. ‘dopo che alla ragazza le fece girare la sua
casa’), le disse...’ (La Via 1887 111, trad. mia). Depongono a favore
della categorizzazione come paraverbi dei lessemi in esame la loro
origine verbale, il fatto che vengano parafrasati mediante verbi o
formule verbali («veniamo al fatto», «dovete sapere/bisogna sapere»),
nonché la loro capacità di reggere un complemento frasale. Tale
capacità è tipica, però, anche delle congiunzioni testuali, cui certo
rimanda la funzione svolta dai paraverbi ngiàmene e iamuninni. Si
noti però che le congiunzioni testuali (in quanto avverbi di frase, cfr.
Marotta 1996 110) possono ricorrere non solo nella prima posizione
del periodo, ma anche più a destra, in corrispondenza del confine
sinistro del secondo costituente, o persino di un costituente ancora più
interno, es.: (il simbolo % indica le possibili posizioni della cong.
testuale dunque) «Dunque sua figlia % volle % comprare % delle
nuove tende %». Tale mobilità non sembra, invece, consentita alle
voci in esame.
k) nic. mefa mefa, esprime che l’evento riferito dal suo argomento
frasale è finto, simulato: «— Papà, i tenëma i sönë? —. [...] ö massaro,
pighjà a l improvisa, nen ghje savëtö manco rrespöndö e talïà a
möghjia; ma dëddai, che s’ö presuadia, mefa mefa che ti talïava pe
n’auta banda.» ‘— Papà, facciamo venire l’orchestra [in casa, per una
festa]? — Il massaro, preso all'improvviso, non gli seppe nemmeno
rispondere e guardò la moglie; ma lei, che se l’immaginava [che il
13
marito avrebbe cercato conforto per dire di no ai figli], fece finta di
guardare da un’altra parte [di non aver sentito, capito]’ (da
Castrogiovanni in stampa).
l) sic. furtuna, nic. mancömaö (es. sic. furtuna ca non chjuviu, nic.
mancömaö che nen ciövëtö ‘menomale che non ha piovuto’). Esprime
soddisfazione, contentezza per il verificarsi di un fatto o sollievo per
uno scampato pericolo, per il mancato verificarsi di un evento che
avrebbe avuto conseguenze spiacevoli.
m) it. reg. sic. vuoi vedere ‘sta a vedere’ (es. vuoi vedere che tuo fratello
è già partito?).
2.2
Bivalenti (trivalenti contando PRO)
2.2.1 ‘pV SP SP’
È possibile ricondurre a questa classe una particolare configurazione del sic.
amara, già descritta in § 2.1.2b.
2.3 Zerovalenti (monovalenti contando PRO)
Il termine zerovalente andrebbe riservato ai paraverbi che non ricorrono mai
con un argomento interno esplicito o a quelli che, esibendo due
configurazioni (una con e una senza argomento interno in superficie),
abbiano significati distinti nell’una e nell’altra21, dimodoché il significato
associato alla configurazione senza argomento non sia riconducibile a quello
associato alla configurazione con argomento ripristinando un qualche
elemento ellittico (es. accura e facuntu).
I paraverbi privi di argomenti interni sono spesso accompagnati da un SN
vocativo (es. attia, pagghjolu! ‘sta’ attento a quello che fai, stupido22!’), la
cui indipendenza dal paraverbo è segnalata anche dal contorno prosodicointonativo. La sequenza frase paraverbale + vocativo, infatti, è caratterizzata
da una pausa obbligatoria (o strategia equivalente, ad es. allungamento della
vocale finale) tra l’una e l’altro, e da due picchi accentuali, uno all’interno
della frase paraverbale e uno all’interno del vocativo; di conseguenza, non è
consentita alcuna riduzione, della durata e della prominenza, nel corpo del
paraverbo, come accade, invece, nel caso di una frase paraverbale con
argomento SN
21 Si pensi, ad es., al pV forza. Esso ha una configurazione zerovalente ed una
configurazione transitiva, che abbiamo già analizzato (forza Catània). Nella configurazione
priva di argomento interno, forza è un paraverbo iussivo, che esorta il destinatario a
completare un lavoro già avviato o a intraprendere un lavoro a cui si è fatto riferimento. Nella
configurazione transitiva, invece, forza è piuttosto un paraverbo ottativo (auspica il successo
di qualcuno, esortandolo (ma non è questo l’aspetto principale) ad impegnarsi), equivalente
all’it. viva/evviva o alè. A differenza di forza zerovalente, forza transitivo può essere usato
felicemente anche in assenza dei referenti e in più momenti diversi.
22 Pagghjolu, in area catanese, si usa per denotare in particolare una persona, per lo più un
adolescente o un giovane, che esibisce comportamenti, atteggiamenti o pensieri immaturi,
irresponsabili, infantili, inadatti (o, meglio, non più adatti) alla sua età.
14
La classe accoglie tutte le onomatopee, le voci per richiamare l’attenzione
degli animali da lavoro o per indurli a compiere determinate operazioni, le
locuzioni di comando, e molte delle interiezioni “non aberranti”, cioè quelle
coerenti con le definizioni tradizionali di interiezione. Oltre ai già visti attia!
e ttè (v. § 2.1.1c), menzioniamo anche au! ‘ehi!’, due lessemi dell’it. reg. sic.
giovanile, spettacolo! e spavento! (espressioni di meraviglia), e tre paraverbi
nicosiani: bravö (perché invariabile: nic. bravö fighjözza! ‘brava/ben fatto,
figlia mia!’); soveprasgëssö ‘vogliate favorire! buon appetito!’, e baraffè
(Signörözzö!)! ‘che sia così, (Signor mio!)’, semanticamente equivalente
all’it. voglia/volesse il cielo (v. supra § 1), ma privo di argomenti interni.
3 Testi citati
Beccaria, G. L.
19962
(a c. di) Dizionario di linguistica e di filologia, metrica,
retorica, Torino, Einaudi (I ed. 1989).
Borgato, G. e L. Renzi
1995
Le frasi parentetiche in Renzi, Salvi e Cardinaletti 1995,
pp. 165-174 (= cap. III).
Brøndal, V.
1948
Les parties du discours. Partes orationis. Ètudes sur les
categories linguistiques. Traduzione francese dall’originale
danese (1928) di Pierre Naert, Copenaghen, Einar
Munksgaard.
Castrogiovanni, S.
in stampa
De na nada a l àöta. (romanzo-etnotesto sulla vita della
masseria nel dialetto galloitalico di Nicosia, 413 pagg.
dattiloscritte).
Di Benedetto, F.
1955
Del proibitivo e di alcuni usi di senza in siciliano, in Studi
in onore di Salvatore Santangelo («Siculorum
Gymnasium» N.S. a. VIII n. 2 (1955), pp. 485-495).
Gradit
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Grande dizionario italiano dell’uso, diretto da Tullio De
Mauro, V voll., edizione in CD-ROM a cura dello Studio
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Graffi, Giorgio
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Haegeman, Liliane
1996
Manuale di Grammatica Generativa. La Teoria della
Reggenza e del Legamento. Milano, Hoepli (titolo originale: Introduction to Government and Binding Theory,
Second Edition, 1994 (1991) Blackwell (UK). Trad. it. di
V. Bianchi, C. Cecchetto, G. Cocchi, E. Di Domenico, G.
Lancioni, A. Ramberti; revisione di A. Belletti, con
15
1997
Marotta, G.
1996
Menza, S.
2005
Nespor, M.
1993
Poggi, I.
1981
l’aggiunta di un capitolo sulla sintassi dell’italiano, non
presente nell’originale, scritto da M. T. Guasti).
(a c. di) Elements of Grammar, Dordrecht, Kluwer Publications.
Avverbio in Beccaria 1996 109-111.
Le interiezioni sono verbi. Dalla parola-frase al paraverbo,
«Siculorum Gymnasium».
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Le interiezioni. Studio del linguaggio e analisi della mente,
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Renzi, L., G. Salvi e A. Cardinaletti
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Rohlfs, G.
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dialetti. Morfologia. Edizione italiana riveduta dall’autore
e aggiornata al 1967, Torino, Einaudi (traduzione di
Temistocle Franceschi, titolo originale: Historische
Grammatik der Italienischen Sprache und ihrer
Mundarten, II, Formenlehre und Syntax, 1949, Bern, A.
Francke AG.).
Tesnière, L.
2001
Elementi di sintassi strutturale, a cura (e traduzione) di
Germano Proverbio e Anna Trocini Cerrina, Torino,
Rosenberg & Sellier (titolo originale Éléments de syntaxe
structurale, Paris, Editions Klincksieck, 1959).
Tropea, Giovanni
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di M. Cortelazzo, C. marcato, N. De Blasi, G. Renzo, P.
Clivio. Torino, UTET, pp. 834-897.
VS
16
1977-2002
Vocabolario siciliano, fondato da G. Piccitto, diretto da G.
Tropea, a cura (vol. V) di S. Trovato, 5 voll., PalermoCatania, Centro Studi filologici e linguistici siciliani.
17