Area Di Progetto di Lazzarone Angelica e Salpietra Fabio Crimini e Discrimini -11 settembre 2001- Anno scolastico 2007/08 Classe 5 AT PREFAZIONE DIDATTICA Durante il quarto anno di liceo, in particolare modo verso la fine, a tutti gli studenti delle sperimentazioni Brocca, viene posto il primo di una serie di problemi riguardante l'Esame di Stato che si dovrà affrontare l'anno successivo, e cioè quello di decidere l'argomento dell'area di progetto. Durante i primi collettivi, c'è stata una certa difficoltà a scegliere l'argomento e soprattutto a cercare di capire se si volesse affrontare un argomento più scientifico o letterario. Dopo numerose discussioni, abbiamo deciso che il titolo comune dell'argomento da affrontare sarebbe stato: CRIMINOLOGIA. Abbiamo stabilito questo argomento poiché ci permetteva di affrontare argomenti di ambito scientifico e letterario, ma una volta proposto al consiglio di classe è stato cambiato sotto proposta di alcuni professori in: CRIMINI E DISCRIMINI, andando così ad affrontare l'argomento affrontato durante tutto il terzo e il quarto anno nelle ore di compresenza. La proposta fatta dal consiglio di classe è stata accettata e già dalla fine dell'anno scolastico 2005/2006 abbiamo cercato delle idee riguardanti le singole aree di progetto, ma per varie ragioni, sono state stabilite in modo definitivo solo all'inizio di quest'anno. La nostra preferenza tra i vari argomenti proposti è stata condizionata dall'interesse per i fatti avvenuti l'11 settembre 2001. Un crimine rivendicato per un dis-crimine, l'attacco all'umanità più grande e catastrofico avvenuto nei confronti della superpotenza mondiale che ha stravolto le sorti del mondo intero. La nostra curiosità è proprio quella di capire cosa veramente è successo il giorno in cui ebbe di nuovo iniziò per l'umanità l'incubo del terrorismo. Il nostro lavoro è iniziato immediatamente all'inizio del quinto anno scolastico, potendo anche usufruire dell'ora di compresenza voluta appositamente dal consiglio di classe e tenuta dai professori Gullusci e Felletti. I professori hanno cominciato subito con l'assegnarci dei libri da leggere e dei film da guardare di vari autori sia europei che statunitensi in modo da poterci dare un quadro generale e possibilmente vasto su come si sono articolate le varie filosofie di pensiero sul come e da chi sono stati pensati e attuati gli attacchi. In conclusione il nostro intento come classe è di presentare un idea generale sull'argomento trattante i crimini e i discrimini, per poi attraverso le singole aree di progetto, approfondire vari argomenti ritenuti da noi interessanti perché coinvolgono tutti gli aspetti sociali che si affacciano sulla realtà. Il nostro lavoro come gruppo è iniziato appena gli argomenti specifici sono stati definiti, partendo da schemi generali decisi in grandi linee insieme ai nostri professori. Il lavoro si è svolto principalmente durante l'orario scolastico, durante l'ora di compresenza appunto, sia incontrandoci al di fuori della scuola. Il materiale con cui abbiamo iniziato la nostra area di progetto è stato quello suggeritoci dai professori e solo successivamente abbiamo utilizzato internet per integrare alle parti da noi ritenute importanti, qualcosa che le articolasse meglio e che le completasse il più possibile. Una delle difficoltà che abbiamo riscontrato in partenza è stata quella di trovare articoli o testimonianze veramente importanti poiché l'11 settembre è un argomento trattato per la maggior parte dei casi solo in modo descrittivo e non “filosofico”. Un altro ostacolo è stato quello di trovare materiale che riguardasse entrambi gli schieramenti di pensiero, visto che uno dei punti principali dell'area è proprio quello di capire cosa sia veramente successo, mentre la maggior parte degli scritti parla solo di attacchi terroristici, non permettendoci così di poter cercare un confronto tra le due ipotesi. Dobbiamo credere alla versione ufficiale del governo statunitense che afferma che ciò che è avvenuto siano attacchi terroristici o quella del complotto organizzato del governo stesso? Certo il lavoro da noi svolto non è stato per niente facile. Pensiamo che sia stato molto difficile poter esprimere con assoluta certezza ciò che veramente sia successo quel giorno, ma come gruppo abbiamo comunque cercato di essere più obiettivi possibili facendo riferimento solo a fonti attendibili. Non possiamo non ammettere che dalle prime letture effettuate come gruppo, il pensiero sul quale abbiamo deciso di orientarci è stato quello di credere che si trattasse di complotto, ma analizzando a fondo entrambe le versioni i dubbi sono sorti e per questo abbiamo deciso di sviluppare entrambi le tesi per cercare solo alla fine, sempre se ciò sarà possibile, di dare la risposta secondo noi più attendibile argomentandola e esprimendo un nostro giudizio. Si può aggiungere inoltre, che il lavoro dai noi svolto è durato circa nove mesi, cioè tutto l'anno scolastico. Ci sono stati dei momenti di interruzione per motivi logistici, come l'impossibilità di confrontarci per il carico di lavoro che lo stesso Liceo Scientifico comporta. Il lavoro di gruppo è stato positivo con un ottimo bilanciamento di idee. Ognuno ha cercato di guardare il fatto trattato con il suo punto di vista e ciò ha aiutato molto nello sviluppare l'area di progetto. Ciò che è più significativo è il metodo di ricerca che i professori ci hanno insegnato. Il metodo permette di dare una risposta motivata in tutte le sue parti. Chi leggerà questa area di progetto però, può sicuramente osservare che tutto ciò che è stato detto è scritto non è il frutto di un'influenza mediatica, ma proviene da nostre idee basate assolutamente su una ricerca accurata dell'argomento. CRIMINI E DISCRIMINI In giurisprudenza, la locuzione crimine contro l'umanità definisce le azioni criminali che riguardano violenze ed abusi contro popoli o parte di popoli, o che comunque siano percepite, per la loro capacità di suscitare generale riprovazione. I crimini contro l'umanità sono in genere distinti dai crimini di guerra e talvolta anche dal genocidio; non tutti gli ordinamenti giuridici prevedono direttamente figure di crimini contro l'umanità, mentre alcuni le prevedono indirettamente, in forma di trattati internazionali. Il tema fu concepito in dottrina dopo la seconda guerra mondiale con il Processo di Norimberga* e con la diffusione delle tematiche relative ai diritti umani cioè con la dichiarazione dell' ONU**, insieme alla formazione di una comune coscienza internazionale. Si sostenne, in pratica, l'esistenza di un insieme di regole comuni per natura a tutti gli uomini, indipendentemente dalle varietà socioculturali di riferimento. Questi crimini sono dunque stati considerati come accorpabili in una nuova categoria di fattispecie, delle quali si presume che qualunque stato o raggruppamento sociale, di qualunque continente o impronta etica (o religione) o cultura, richiederebbe la sanzione. Si è dibattuto se il fattore di criminalità di certi atti, dovesse primariamente essere la generale ripulsa morale suscitata, ovvero la portata specifica degli atti come ad esempio, il genocidio, che secondo alcuni, fa parte di questa categoria, ed è alla stregua di un delitto di strage aggravato da premeditazione e continuazione. Inoltre, si è a lungo dibattuto circa l'effettiva riconoscibilità per l'umanità, per l'intero genere umano, di un ruolo diretto di soggetto passivo del reato (vittima). Nella pratica i crimini contro l'umanità sono per ora stati ascritti in termini di responsabilità legale e morale prevalentemente a capi di stato o dittatori o comunque gruppi di potere, detentori di supremazia politica anche solo fattuale. Nel corso della storia numerose sono state le persone accusate, giuridicamente o solo politicamente, di questi reati, ritenuti dei più gravi ed orrendi dell'uomo. In tempi recenti questa accusa è stata mossa contro i gerarchi del nazismo, l'ex presidente jugoslavo Slobodan Milosevic, il deposto Raìs iracheno Saddam Hussein ed altri capi di stato, spesso a capo di una dittatura. L'accusa di crimine contro l'umanità include fra i casi perseguiti il genocidio, la cosiddetta pulizia etnica, lo sterminio di massa, la deportazione. I crimini contro l'umanità sono uno degli oggetti di giudizio della Corte Penale Internazionale che ha sede a L'Aia e che opera nei termini previsti dallo Statuto di Roma del 17 luglio 1998. Comprendendo su ciò che si basa oggigiorno tutta la costituzione internazionale sui diritti dell'umanità, non ci resta altro che capire da dove viene, cosa genera e in qualche modo si può combattere il fenomeno dei crimini e discrimi. Di ottimo aiuto è stato servirsi di due testi in particolare indicatici dal professore di Storia. Il di cui abbiamo tenuto conto prima di stendere questa breve riflessione è “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria. Lo scopo dell'opera nel suo insieme é di dimostrare l' assurdità e l' infondatezza del sistema giuridico vigente . Beccaria non esita a farlo passare come un sistema puramente repressivo e rappresentato nei suoi ingiustificati rituali di violenza . Invece di essere al servizio della giustizia , il sistema giudiziario si rivela finalizzato ad un mostruoso meccanismo di potere e di soprusi , dietro il quale si profila l'ingiustizia che caratterizza l' intera società che lo esprime . Non il benessere, ma la sofferenza della maggior parte dei cittadini é infine il risultato di una struttura così irrazionale. In particolare Beccaria tuona contro la pena di morte, vertice di inciviltà gestito dallo stato, e contro le pratiche di tortura, inutili e anzi spesso fuorvianti rispetto alla verità e comunque a loro volta barbare. Gli argomenti addotti da Beccaria sono grosso modo gli stessi , davvero difficili da confutare, che ancora oggi vengono ripetuti contro la prosecuzione di pene capitali e di torture. * Guardare allegato 2 al fondo ** Guardare allegato 3 al fondo fonti: (htpp//www.crimini&discrimi/scuola.it) In secondo luogo abbiamo tenuto conto del libro di Marcella Filippa intitolato “Discrimi” di cui abbiamo tratto le nostre considerazioni nel breve testo che segue: per capire in tutti i sensi il fenomeno del razzismo, bisogna conoscere il concetto di “razza.” Per “razze” s’intendono i gruppi di persone o cose che si possono formare entro una specie. Nella “specie umana” il concetto di razza si basa su delle caratteristiche fisiche o culturali: la prima diversità fra una razza e l’altra è concentrata in base al colore della pelle. Razza, razzismo e razziale sono termini assai comuni nel parlare quotidiano. Ma sono parole che usiamo per abitudine, senza renderci conto del loro preciso significato. Fin dall’antichità i popoli di razza bianca si sono considerati testimonianze della scienza, dell’arte e della cultura in genere, in questo modo si è ritenuto che la razza bianca fosse superiore a tutte le altre. Solo di recente si è riuscito a dimostrare la parità fra tutte le razze, anche se la via per arrivare a questo risultato è stata lunga e faticosa. Per razzismo s’intende l’insieme di tutti quei movimenti,che considerano la razza un fattore fondamentale nella nascita e nello sviluppo dalle varie civiltà. Di conseguenza, quando una determinata razza ha affermato la sua superiorità sulle altre, s’impossessa del loro potere discriminandole. Il razzismo, anche se non collocato in una precisa filosofia come avvenne dalla metà del secolo scorso, ha radici antiche. Anche in passato, ogni popolo considerò i diversi da se come esseri inferiori. E' preesistente in noi una forma di discrimine che non ha niente a che vedere con le differenze razziali o biologiche. Il razzismo nasce nel momento in cui si incontra la difficoltà di comprendere, accettare e confrontarsi con chi si ritiene diverso. Prima di parlare del razzismo bisognerebbe pensare e aver chiari i modi e gli atteggiamenti che in qualche modo possono portare a determinate conseguenze. Ci sono diverse intensità d’insofferenza verso l’altro. Negli ultimi due secoli , determinati eventi hanno potuto far comprendere meglio questo fenomeno. Il razzismo è uno dei maggiori problemi della nostra società. Fenomeni odierni spesso trovano giustificazione in eventi accaduti nel corso della storia. In qualunque individuo, soggetto a discriminazioni razziali, indipendentemente dal sesso, dalla nazione, dalla provenienza, dalla lingua che parla, dalla religione che professa, dal colore della pelle, si può osservare che la sofferenza visibile sui loro volti é di pari crudeltà e malinconia. Oggi si è caduti però in una fase più tragica,poiché viene tenuto in considerazione solamente l’aspetto esteriore delle persone. E' importante ricordare eventi del passato per far si che non perdano il loro autentico significato dando a tutti gli avvenimenti storici il giusto peso evitando di prenderne solo uno in considerazione,concentrando le attenzioni su di esso, come per esempio avviene con l’Olocausto. Come in molte altre città del mondo, per esempio a Washington, è stato creato il secondo museo al mondo sull’Olocausto, come afferma la scrittrice Marcella Filippa. Ciò è un gesto molto importante, sul quale riflettere, senza però dimenticare appunto che la Shoah non è l'unico esempio di dis-criminazione avvenuto nella storia dell'umanità. Per esempio, appunto, l'America stessa e in particolare gli USA, tendono ad far dimenticare alla propria gente che sono stati loro stessi, forse, i primi ad usare forme discriminanti nei confronti dei neri che venivano deportati e sfruttati in America. Come ben si sa, nonostante siano passati ormai secoli da questi terribili avvenimenti i pregiudizi continuano ad esserci nei confronti delle popolazioni ritenute diverse, e ciò che è stato iniziato con la tratta dei neri è proseguito nella storia, discriminando tutti coloro che cercavano rifugio e benessere negli Stati Uniti. Sicuramente, non soltanto l'america discrimina, anzi siamo convinti che ogni uomo dentro di sé ha un istinto razzista verso il diverso. Anche i popoli che noi in qualche modo discriminiamo, sicuramente, tendono a guardarci in modo diverso per abitudini e credenze, così facendo in qualche modo quelli discriminati siamo anche noi. Non si può nascondere che discriminare è sicuramente una cosa sbagliata è con questo concetto non si arriverà mai a una vera forma di pace e armonia nel mondo. I pregiudizi non vivono all'interno di sole alcune società, ma è un sentimento che tutto il mondo conosce e non avviene solo tra individui definiti diversi. Come diceva appunto il grande Einstein: “E' più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”. L'11 settembre - crimini e discrimini Cos'è che lega gli avvenimenti dell'11 settembre 2001 conil titolo della nostra ricerca?Questa è stata la domanda che ci ha accompagnato durante tutta la composizione dell'area di progetto. Sicuramente l'argomento è molto più complesso di ciò che noi possiamo immaginare. Ad un primo impatto come effettivamente è stato, non si può nascondere che l'attacco agli Stati Uniti, chiunque l'abbia cospirato e messo in atto, ha commesso un crimine contro l'umanità. Ma da dove proviene questa atrocità? È il frutto di un crimine interno organizzato dal governo statunitense stesso per poter operare in zone strategiche, cioè in quelle zone ricche di petrolio, le stesse incolpate degli attacchi anche senza essere accusate di crimine contro l'umanità? Oppure è un crimine contro l'umanità causato dall'imperialismo statunitense nei paesi islamici? Questi sono i due interrogativi principali a cui cerchiamo di darci una risposta. Ed è anche per questo che, secondo noi, gli attacchi dell'11 settembre sono dovuti a dei processi economici-politici ancora da chiarire, ma che comunque possiamo inserire e catalogare tra fatti dovuti a un emblematico gioco tra crimini e discrimini. 11 settembre 2001: il giorno che cambiò il mondo. Alle 8.47 di martedì 11 settembre 2001 gli U.S.A. vivevano un mattino come tanti altri. Un minuto dopo l'odio colpì con tutta la sua brutale ferocia New York, gli Stati Uniti e il mondo intero. Quel giorno 4 aerei di linea furono utilizzati da presunti terroristi islamici come fossero dei missili per colpire il World Trade Center, il Pentagono e un altro imprecisato obiettivo che fu mancato. Gli obiettivi primari degli attacchi dell'11 settembre furono bersagli con alto valore simbolico. Secondo la ricostruzione ufficiale dei fatti, non vennero usati mezzi militari convenzionali per portarli a termine: furono invece utilizzati quattro aerei di linea dirottati. Il carburante presente nei serbatoi degli aerei li ha trasformati in missili incendiari. Due di questi furono fatti collidere contro le due Torri Gemelle del World Trade Center a New York, e il terzo invece fu lanciato contro il Pentagono (sede del Ministero della Difesa americano) ad Arlington (Virginia). L'ultimo aereo è precipitato in un campo della Pennsylvania, presso la città di Shanksville. Si suppone, secondo la ricostruzione basata sui dati ufficiali, che i dirottatori volessero farlo precipitare sul Campidoglio o sulla Casa Bianca. Le registrazioni della scatola nera confermano il tentativo di rivolta dei passeggeri. Sul fortissimo schianto, così come sul crollo rapidissimo dei grattacieli, sono state avanzate delle ipotesi alternative rispetto a quelle fornite dalla versione ufficiale. Oltre alla perdita di 2.986 vite umane, andarono distrutti o furono gravemente danneggiati diversi edifici, fra i quali le Torri Gemelle del World Trade Center che crollarono nel giro di circa un'ora e mezza dopo gli impatti, coinvolgendo nella distruzione cinque edifici limitrofi e cinque stazioni della metropolitana. L'area, il cui sgombero completo ha richiesto un lunghissimo tempo, è stata ribattezzata Ground Zero. Le torri gemelle, simbolo del capitalismo e della libertà erano state colpite. Da esse non usciva altro che fumo e fiamme che si levavano nel cielo limpido di quel mattino di settembre sotto gli occhi increduli e terrorizzati della gente di Manhattan. Qualcuno quel mattino aveva voluto colpire New York, aveva voluto dimostrare qualcosa. Ma cosa? Colpire migliaia di innocenti. Perché? In quegli istanti la confusione è stata grandissima. Nessuno riusciva a capire cosa avesse investito la città e il Paese. Subito si incominciarono a fare ipotesi ma nessuna conferma. Quando le Torri crollarono, portandosi dietro di se, oltre le macerie migliaia di vittime, il mondo intero era ormai a conoscenza dell'orrore che stava vivendo la città di New York. Attonito guardava quel polverone che seppelliva sogni e cambiava il mondo. Il mondo conosciuto fino ad allora sarebbe sicuramente cambiato, le certezze di migliaia di persone si sono spezzate in quella mattina serena di fine estate. Ma chi poteva essere stato a scatenare l'inferno? E perché? Subito si cercò di dare nomi e volti a presunti colpevoli, quasi una lista preparate in anticipo. Ma perché così in fretta? É possibile che l' apparato di intelligence statunitense così efficace da individuare presunti dirottatori e complici nel giro di qualche ora, sia stato altrettanto negligente da non riuscire ad impedire l'attacco? Mille dubbi, mille domande si affollavano in quei giorni, ma gli occhi e la menti non riuscivano a far altro che vedere quelle immagini di quelle migliaia di persone innocenti che precipitavano dalle torri, si lanciavano giù da piani altissimi (per avere almeno una sola speranza di sopravvivere) o essere ritrovate sotto cumuli, privi di vita e ricoperti da centinaia di metri di macerie dovute al burrascoso e violento crollo. Anche se ormai sono passati anni da quel tragico giorno, ed i contorni fumosi vanno lentamente delineandosi, gli effetti di quel disastro sono , ancora oggi, sotto gli occhi di tutti. E conoscendo gli effetti, si fanno più chiare anche le cause. Tuttavia, sono molti gli interrogativi ancora aperti. Forse qualcuno deve darci ancora molte risposte. Gli attentati dell'11 settembre segnarono un nuovo inizio della guerra al terrorismo: con l'invasione dell'Afghanistan da parte dell'esercito degli Stati Uniti nell'ottobre 2001 e la deposizione del governo , che si presumeva ospitasse il leader di al-Qā'ida e campi di addestramento e logistica di tale organizzazione. Cronologia: i voli del terrore. Volo 11 American Airlines Il volo 11 dell'American Airlines, operato con un Boeing 767-223ER (N334AA) la mattina dell'11 settembre 2001, alle 07.59 ora locale, partì dalla pista 4R dell'Aeroporto Internazionale Logan di Boston, Massachusetts, per un volo di 5 ore diretto a Los Angeles, California. A bordo del velivolo c'erano 81 passeggeri (compresi 5 attentatori), 9 assistenti di volo e 2 piloti. Poco dopo il decollo il volo 11 scomparve dagli schermi radar della FAA (Federal Aviation Administration) e smise di rispondere alle chiamate radio dei controllori del traffico aereo. Alle 08.24, il pilota di un altro velivolo, il volo 175 della United Airlines, riportò sulle frequenze radio del controllo del traffico aereo: "abbiamo sentito una trasmissione sospetta in fase di decollo da BOS. Sembrava qualcuno che avesse attivato il microfono e detto a qualcuno di restare seduto al suo posto". Meno di 90 secondi dopo, il volo 175 avrebbe subito la stessa sorte. Alle 08.45 il velivolo fu portato a schiantarsi tra l'80° e il 90° piano della torre nord del World Trade Center Plaza, nel distretto finanziario di New York. L'aereo colpì l'edificio ad una velocità di circa 350 nodi (circa 650 Km/h). Fu questo a causare, insieme all'ingente quantitativo di carburante a bordo del velivolo, i danni strutturali che portarono, 104 minuti più tardi, al collasso dell'edificio. Erano le 10.29 ora locale Volo 175 United Airlines Il volo 175 della United Airlines, operato con un Boeing 767-222 (N612UA), la mattina dell'11 settembre 2001, alle 08.14 ora locale, decollò dalla pista 9 dell'Aeroporto Internazionale Logan di Boston, Massachusetts per un volo di 5 ore diretto a Los Angeles, California. A bordo del velivolo c'erano 56 passeggeri (compresi 5 attentatori), 7 assistenti di volo e 2 piloti. Poco dopo il decollo, pochi attimi dopo che il suo equipaggio aveva riferito all'ARTCC (Air Route Traffic Control Center) di Boston le trasmissioni radio sospette di un altro aeromobile, il volo 175 scomparve dagli schermi radar della FAA (Federal Aviation Administration) e smise di rispondere alle chiamate radio dei controllori del traffico aereo. Alle 09.03, mentre centinaia di telecamere inquadravano il complesso del World Trade Center, il velivolo si schiantò tra il 65° e il 75° piano della torre sud del WTC. Le immagini fecero il giro del mondo. Come il volo American Airlines 11 otto minuti prima, anche per l'UA 175 fu stimata una velocità di impatto di 350 nodi (circa 650 Km/h). I danni strutturali causarono il collasso dell'edificio 47 minuti dopo l'impatto, alle 09.50 Volo 77 American Airlines Il volo 77 dell'American Airlines,operato con un Boeing 757-223 (N644AA), la mattina dell'11 settembre 2001, alle 08.10 ora locale, decollò dalla pista 30 dell'Aeroporto Internazionale Washington Dulles per un volo di 4 ore diretto a Los Angeles, California. A bordo del velivolo c'erano 58 passeggeri (compresi 5 attentatori), 4 assistenti di volo e 2 piloti. Poco dopo il decollo il velivolo scomparve dagli schermi radar della FAA (Federal Aviation Administration) e smise di rispondere alle chiamate radio dei controllori del traffico aereo. L'aereo invertì la rotta e si diresse verso Washington, D.C. da nord, si abbassò di quota sopra la Casa Bianca, fece una virata di 270°, e si diresse verso l'edificio del Dipartimento della Difesa (il Pentagono), nella Virginia del nord. Testimoni oculari dichiararono che l'aereo sradicò alberi e lampioni mentre scendeva ad alta velocità, prima di colpire la facciata sud-ovest del Pentagono Volo 93 United Airlines Il volo 93 della United Airlines, operato con un Boeing 757-222 (N591UA) la mattina dell'11 settembre 2001, alle 08.01 ora locale, decollò dall'Aeroporto Internazionale di Newark, vicino a New York, per un volo di 5 ore diretto a San Francisco, California. A bordo del velivolo c'erano 37 passeggeri (compresi 4 attentatori), 5 assistenti di volo e 2 piloti. Diversamente dagli altri aerei coinvolti nell'attentato, il volo United Airlines 93 procedette normalmente lungo la sua rotta per più di un'ora e fu dirottato approssimativamente alle 09.35, nei pressi di Cleveland, Ohio mentre saliva a 35.000 piedi di quota. La rotta del velivolo fu cambiata per dirigersi, presumibilmente, verso Washington, D.C. Gli investigatori ritengono che fosse diretto verso la Casa Bianca o verso il Campidoglio. Tuttavia non raggiunse mai il suo obiettivo. Durante le prime fasi del dirottamento, pare che due assistenti di volo furono uccisi nella parte anteriore del velivolo, mentre i restanti passeggeri furono fatti spostare verso la coda. Durante tutto il dirottamento, sembra che a questi passeggeri e all'equipaggio fu permesso di utilizzare i telefoni cellulari e i sistemi telefonici di bordo per comunicare con i propri cari. La versione ufficiale sostiene che a bordo del velivolo vi fu una votazione tra i passeggeri per decidere se obbedire ai dirottatori o tentare di riprendere il controllo dell'aereo. Sembra che questa seconda ipotesi vinse portando ad una colluttazione fra i passeggeri e i dirottatori. Forse non sapremo mai cosa successe realmente a bordo del volo United Airlines 93, quello che è certo è che il velivolo si schiantò al suolo, in un campo, nei pressi di Somerset, in Pennsylvania. Le diverse teorie per spiegare l'11 settembre. Gli avvenimenti avvenuti l'11 settembre hanno avuto sul mondo intero un impatto mediatico così grande che subito si ha avuto bisogno di dare una spiegazione sull'accaduto. Il governo degli Stati Uniti, a poche ore dall'attentato, è riuscito a dare subito dei nomi e volti ai presunti dirottatori. Questa tesi, che è poi quella ufficiale, riconfermata poi dallo stesso Dipartimento per la difesa degli Stati Uniti ha dichiarato che gli attacchi sono stati pianificati e realizzati in completa autonomia dal gruppo terroristico Al Qaeda a cui fa capo Osama bin Landen. Nonostante una versione ufficiale però, nascono molte altre teorie nelle quali si allude a un complotto interno secondo il quale senza l'appoggio degli Stati Uniti stessi gli attentati non sarebbero andati a buon fine. La commissione per la verità sull'11 settembre, insomma, ha avallato solo la teoria ufficiale, limitando pertanto le indagini. Tutte le prove che l'11 settembre fu un lavoro endogeno, furono omesse o mistificate furono raccolte nella teoria del complotto. Partendo da questa piccola premessa non ci resta che analizzare le varie teorie e le loro correlate confutazioni. La versione ufficiale. Il gruppo terroristico denominato al-Qā'ida è stato subito individuato dall'Amministrazione del presidente George W. Bush e dagli organismi investigativi americani come unico mandante ed organizzatore del piano dei dirottatori che fecero precipitare gli aerei sul World Trade Center di New York, ne indirizzarono un terzo sul Pentagono e avrebbero preso il controllo del quarto, precipitato poi in Pennsylvania, presso Shanksville. La versione ufficiale è stata contestata in diversi suoi aspetti da più parti, anche da parte alcuni parenti delle vittime degli attentati. Stando ai video e ai radio messaggi attribuiti a vario titolo ad Osāma Bin Lāden, dopo aver negato in un primo tempo la propria responsabilità negli attacchi, lo shaykh ha rivendicato, in più occasioni, la paternità degli attentati. Tuttavia l'FBI, nell'avviso di ricerca che riguarda il terrorista di origine saudita, non elenca gli attentati dell'11 settembre tra i crimini che gli vengono ufficialmente attribuiti. Questo equivoco è stato tuttavia chiarito in diverse occasioni da parte di portavoce dell'agenzia investigativa. A più riprese alcuni mass media hanno riportato notizie secondo cui dei diciannove sospetti attentatori che l'FBI ha indicato come dirottatori, alcuni risulterebbero essere ancora in vita. Un esempio è Waleed M. Alshehri che, secondo un articolo della BBC risalente ai giorni immediatamente successivi agli attentati, si troverebbe in Marocco, a Casablanca, e si proclama innocente. Queste incongruenze sono risultate essere dovute a omonimie, omofonie o al possibile uso di passaporti falsificati da parte dei dirottatori. Nel caso di Alshehriricerche successive, ad esempio, hanno chiarito che la persona inizialmente identificata come Alshehri si chiamava Walid al-Shri, e che la famiglia al-Shri ha confermato la morte del familiare insieme con quella di un fratello, anch'egli indicato come partecipante agli attentati. La teoria del complotto l'11 settembre del 2001 non furono Al Qaeda e Bin Laden a seppellire 2801 innocenti sotto le macerie delle Torri Gemelle, nonché a provocare la caduta di un aereo sul Pentagono. Si trattò di un colossale inganno, architettato dagli stessi Stati Uniti, o da una parte del loro establishment, per indurre Bush (o per consentirgli, o per costringerlo, secondo i punti di vista) a decretare l'inizio di una guerra infinita contro i terroristi. Con i relativi poteri speciali che si conferiscono soltanto a un comandante in capo, e il conseguente avvio di una strategia imperiale per la conquista del mondo. E così, quello che soltanto pochi, incalliti antiamericani finora avevano osato sussurrare, diventa un vero e proprio atto d'accusa collettivo, un rapporto-pamphlet di 400 pagine in cui un'équipe internazionale di scrittori, giornalisti, storici, filosofi, politici, professori d'università, scienziati, economisti e teologi annuncia al mondo l'inaudita novella: «la versione ufficiale sull'11/9 è un falso». Titolo dell'opera, allusivo al centro simbolico dell'ecatombe: Zero. Fra i coautori, coordinati dal noto giornalista Giulietto Chiesa, il medievalista Franco Cardini e il filosofo Gianni Vattimo, Gore Vidal e Lidia Ravera, l'ex ministro socialdemocratico di Helmut Schmidt, Andreas von Bülow, e il filosofo californiano David Ray Griffin, il giornalista tedesco Jürgen Elsässer e l'economista canadese Michel Chossudovsky, più molti altri, riuniti in una compagnia ideologicamente e professionalmente eterogenea, benché solidale nello sforzo di smascherare il «complotto». Arrivati sin qui, e superato l'effetto sorpresa, subentra la legittima aspettativa di conoscere il nome del vero colpevole. Chi è stato, dunque, se non Bin Laden? Ebbene, la risposta non è di quelle che si leggono tutte d'un fiato, bianca o nera. Occorre interpretare, valutare e dedurre. Più che una presentazione di prove, Zero si rivela infatti un complesso di ragionamenti e deduzioni che gli avvocati definirebbero «castello di indizi». Egualmente la lettura appassiona, perché aggredisce il cuore oscuro dell'affaire da molteplici punti di vista. Così Ray Griffin smonta il rapporto della commissione d'inchiesta sull'11 settembre puntando sui conflitti d'interesse e sui legami personali dei suoi membri con l'amministrazione Bush; Claudio Fracassi denuncia le contraddizioni e le montature dell'informazione globale nel riferire sull'episodio (una per tutte: l'assenza completa di immagini al momento dell'impatto del gigantesco Boeing contro il Pentagono, considerato «il luogo più sorvegliato del mondo»). Ancora: l'ipotesi che si sia trattato di una «false flag operation», un'operazione congegnata in modo da sacrificare diciannove patsie, gli islamisti trasformati in capri espiatori inconsapevoli, e in seguito scatenare una psyop, o psicosi di massa (dietrologia e gergo da intelligence sono illustrati da Andreas von Bülow). Suggestive anche le coincidenze messe in rilievo da Jürgen Elsässer: gli jihadisti combatterono in Jugoslavia con l'appoggio degli Usa e della Nato, mentre Osama Bin Laden entrava e usciva dal palazzo di Izetbegovic, il presidente musulmano e filo-occidentale della Bosnia. Ancora, Giulietto Chiesa identifica il «cosiddetto terrorismo internazionale», teorizzato dai neocon americani, in primo luogo con «un'azione diretta e indiretta dei servizi segreti americani e israeliani». Steven Jones, un fisico dello Utah, certo «che la collisione dei jet con due degli edifici non basti a spiegare il totale e rapido crollo di entrambe le Torri», così conclude: «Esistono prove convincenti che la distruzione degli edifici prevedesse il piazzamento di cariche esplosive e incendiarie». Franco Cardini punta il dito contro i neocon e il modo in cui sono stati raffigurati i terroristi: «Che cosa c'è di meglio di un movimento che non ha struttura centrale o leader, se non morti, per addossargli ogni colpa o comportamento, per quanto assurdo esso sia?». Quanto allo storico Webster Griffin Tarpley, parla del «mito dell'11 settembre come strumento per legittimare le tendenze razziste, militariste e fasciste del nostro tempo». E così avanti, con Michel Chossudovsky a dichiarare senza mezzi termini: «Questi nemici dell'America, i presunti architetti degli attacchi dell'11 settembre, sono stati creati dalla Cia». O forse, aggiunge l'economista Enzo Modugno, si è trattato di un modo per «bloccare il precipitare della Borsa che stava per crollare, ridando vigore alla domanda e avviando la ripresa dell'economia». E poi ecco il regista Barrie Zwicker, autore del documentario 9/11, The Great Conspiracy, mentre si diverte a complicare le cose, parlando di «complotto della teoria del complotto»; intanto Lidia Ravera trasforma il tutto in un racconto, dove le inquietudini coniugali di una coppia si intrecciano al lento emergere del dubbio sui veri mandanti della strage. Curiosamente, l'unico a sottrarsi decisamente a queste ipotesi è l'altre volte irriverente Gore Vidal, intervistato in coda al volume: Bush e Cheney non sono responsabili dell'attentato, dichiara, «perché incompetenti ». Disorientati quanto si vuole, dopo questa lettura si è colpiti da un particolare. Tutti gli interventi di Zero partono da una certezza (la strage è avvenuta, ma i colpevoli sono nell'amministrazione Usa) e da qui passano a raccogliere elementi, coincidenze, allusioni, sensazioni, citazioni volte a dimostrare l'assunto. Di fronte all'evidenza dei fatti — la strage, i nomi dei responsabili, le rivendicazioni di Bin Laden — si punta a corrodere le certezze accumulando particolari e statistiche, benché nessuna di esse sia decisiva. Direi che tutta l'operazione può essere vista come un caso di «negazionismo colto», che ricorda non troppo alla lontana quello famoso sulla Shoah, e che rispetto a quello può essere letto in parallelo. Si isolano cioè le testimonianze dal loro contesto immediato, si gettano dubbi sulla credibilità dei testimoni, si studiano le loro dichiarazioni alla ricerca del minimo errore, usandolo poi per inficiare il tutto (è la tecnica nota agli studiosi del negazionismo, denominata falsus in uno, falsus in omnibus). Giunti a questo punto, si sferra l'attacco finale: si afferma che «errori» e «sbavature» non sono certo casuali, ma fanno capo a una precisa volontà di manipolazione a opera... non del sionismo internazionale, in questo caso, ma dei neocon, della Cia, dell'operazione Condor, di un misterioso gruppo di estremisti statunitensi intenzionati a far scoppiare una guerra nucleare (il «Gruppo dell'Angelo»). E sullo sfondo l'accusa finale, quella di voler creare, al posto dell'Ordine mondiale sionista di cui parlano i negazionisti, l'Impero americano planetario. Ma per ora, fortunatamente, l'effetto di tutto questo si ferma a Zero. La cospirazione impossibile. Il 21 settembre 2001, il giorno che tutti ricordano per la sua violenta crudeltà, fu una devastazione che provocò la morte di quasi 3000 persone, il più grande attacco subito dagli Stati Uniti sul suolo nazionale dopo Pearl Harbor. Fu anche la tragedia meglio documentata della storia. Ciò nonostante, a sei anni di distanza, un sondaggio della Scripps News Service e dell'Università dell'Ohio rivela che un americano su tre è convinto che dietro gli attentati ci sia, in un modo o nell'altro, il Governo statunitense. Già il giorno dopo si diffuse la prima insinuazione. Al-Manar, la rete televisiva di Hezbollah, e il quotidiano siriano al-Thawra informarono i loro lettori e telespettatori che 4000 israeliani che lavoravano al World Trade Center erano stati avvertiti degli attentati e non si erano presentati al lavoro. Conclusione: l'attacco era stato programmato dagli israeliani e dagli ebrei d'America. L'idea del “complotto sionista” aveva già messo radici e aveva dato la stura a una valanga inarrestabile di ipotesi cospirazioniste di ogni tipo. Oggi, se si cercano con Google le parole “9/11” e “conspiracy” si trovano un milione e seicentomila pagine web dedicate a sostenere la “vera storia” dell'11 settembre, in contrapposizione con la versione ufficiale, a cui si aggiungono oltre 3000 saggi e decine di film e documentari. Ancora una volta poco importa che la “versione ufficiale” sia frutto di innumerevoli fonti: non solo la Commissione d'inchiesta sull'11 settembre, ma anche le ricerche condotto da organizzazioni e istituzioni indipendenti, università prestigiosissime e non ultime, le parole dello stesso Osama Bin Laden, che ha più volte rivendicato la responsabilità dell'operazione. Che George W. Bush e i suoi abbiano approfittato degli attentati per i loro più o meno nascosti interessi sono in pochi a dubitarlo. Ma che abbiano mentito su tante cose, sulle vere ragioni della guerra, non prova in alcun modo che gli attacchi dell'11 settembre siano stati provocati dallo stesso governo. Non c'è in circolazione una sola “teoria del complotto” valida e onnicomprensiva, ma piuttosto varie versioni. Credere a una teoria cospiratoria porta a dover accettare ipotesi sempre meno plausibili. Quante centinaia di migliaia di persone dovrebbero essere necessarie per realizzare tutto questo? Probabilmente, l'idea che l'11 settembre sia stata un complotto governativo va ricercata nella idealizzazione degli Stati Uniti e dei loro mezzi militari. Il fatto che il sistema di difesa aerea fosse progettato per difendersi da attacchi esterni e non interni; il fatto che i protocolli burocratici e le catene decisionali allungassero i tempi di reazione; il fatto che nessuno avesse previsto un attacco di quel tipo; il fatto insomma che abbiamo a che fare con persona capaci di sbagliare e non supereroi infallibili non viene preso nemmeno in considerazione. E qui si rivela anche una componente di razzismo nemmeno tanto occulta. Dietro quante di queste storie, infatti, c'è l'idea di un gruppo di arabi che vivono nelle caverne che armati di taglierino e spray al peperoncino non sarebbero mai stati in grado di realizzare qualcosa del genere? Spesso, si ha l'impressione che chi caldeggia le ipotesi alternative sull'11 settembre sia convinto di sostenere idee di sinistra. Ma queste idee sono tutt'altro che un'esclusiva della sinistra: alcuni dei più importanti “complottisti” abbraccino idee di estrema destra. Inoltre alcuni autorevoli esponenti della sinistra americana, come Noam Chomsky, si oppongono con forza alle teorie del complotto sull'11 settembre in quanto sposterebbero l'attenzione dalla vera responsabilità politiche che l'amministrazione Bush a malefatte immaginarie e poco credibili, screditando così tutto il movimento di opposizione. Ecco perchè dubitare della versione ufficiale. I presunti dirottatori dei Osama bin Laden. Nella versione ufficiale si afferma che Mohammed Atta, presunto basista, era un fanatico religioso mentre sia lui che gli altri 19 accusati del dirottamento erano dediti a cocaina, alcool, gioco d'azzardo, carne di maiale e prostitute. Inoltre molte testimonianze affermano che molti dei presunti dirottatori sono stati visti dopo gli attacchi dell'11 settembre. Dubbi anche su Osama bin Laden tanto che nel fascicolo dell'FBI tra i crimini per cui è ricercato non c'è quello dell'attacco all'America. Rex Tomb : “L'FBI non ha prove inconfutabili per attribuire a lui gli attacchi” e neanche il rapporto di Zelikow dimenti di menzionare i dubbi del capo dell'FBI. Il crollo delle Torri Gemelle. È una delle lacune più gravi. La commissione a omesso di citare che nessun edificio in acciaio era mai crollato a causa di danni dall'esterno, ne in seguito a un incendio persino quando il rogo era molto più esteso, dirompente e duraturo di quello delle Torri. Il Rapporto non dice che tutti i precedenti crolli erano dovuti da cariche esplosive e secondo un processo di demolizione controllata. Inoltre il crollo ha le caratteristiche tipiche del genere di demolizione controllata nota come implosione. i crolli iniziarono di colpo si svilupparono in perpendicolare procedettero alla velocità virtuale di caduta libera produssero tanta polvere crolli totali. Testimonianze di udite esplosioni al sito: www.911truth.org/article.php?story=20060118104223192. Le autorità permisero di rimuovere in fretta i pilastri rivendendoli come ferro vecchio per far si che su di essi non venisse fatta nessun tipo di indagine. Critiche fatte dal New York Times (htpp://graphics8nytimes.com/packages/html/nyregion/20050812_WTC_GRAPHIC/met_WTC_his tories_full_01.html ). il sindaco Giuliani dichiarò di ever appreso in anticipo che una delle torri sarebbe crollato (htpp:/www.whatreallyhappened.com/wtc_giuliani.html.). Nessun responsabile per la sicurezza delle Torri, nochè il cugino Wirt Walker III e Marvin Bush, cugino ne fratello del presidente fu in qualche modo indagato o sospettato. WTC7. Crollo dell'edificio 7 non impattato da nessun aereo nelle stesso modo delle Torri e ciò fa pensare a un'implosione pianificata. Non ci fu nessun tentativo di spegnere l'incendio e si seppe in anticipo che l'edificio sarebbe crollato. AmericanAirlines, volo 11. Nel momento in cui la Federal Aviation Administartion nota comportamenti inusuali o strani di aerei che escono fuori dalla rotta prestabilita o che perdono il contatto radio, ha il compito di entrare subito in contatto con la NORAD, comando aerospaziale della Difesa, che invia dei caccia a scoprire cosa succede. Questo l'11 settembre non è avvenuto. Perché? United Airlines, volo 175. La commissione ha affermato che i militari non ricevettero nessuna segnalazione prima che impattasse la Torre Sud. Ma la NORAD nella dichiarazione lasciata il 18 settembre avrebbe ammesso di aver ricevuto notifica alle 8 e 43, 20 minuti primi dell'impatto. Un altro problema è la tele-conferenza con i militari ogni qualvolta si verifichi uno stato di crisi. American Airlines, volo 77. I militari affermano che la FAA notificò alle 9.24 il volo 77, cioè 14 minuti prima dell'impatto e quindi implica che si sarebbe stati in grado di intervenire ed evitare l'impatto. Ma la Commissione accusò i militari di mentire e che la FAA non notificò nessuna anomalia. Non venne messo agli atti neanche il memorandum di Ben-Veniste. L'attacco al Pentagono. Incoerenze sull'affermazione della Commissione e del vice presidente Cheney, in quanto il secondo afferma di esser avvenuto a conoscenza di un aereo diretto verso Washington ben 10 minuti prima, mentre la Commissione afferma che fino a due o tre minuti primi dell'impatto con il Pentagono non si sapeva di nessun aereo verso Washington. L'aereo che colpì il pentagono era pilotato da Hanjour che aveva la fama di pessimo pilota, mentre per far avvenire l'impatto, ci sarebbe voluta una manovra molto difficile. I danni e detriti non erano compatibili con quelle di un Boing 757, ma i filmati per dimostrare ciò furono immediatamente requisiti e la commissione non li richiese e non notificò l'esistenza. United Airlines, volo 93. Non c'è prova certa che il volo 93 sia stato abbattuto dall'aviazione americana. Secondo una tabella oraria i militari non vennero a conoscenza del volo prima che questo precipitasse. Il comportamento dei servizi segreti nei confronti del presidente. I servizi segreti, anche dopo essere stati informati del secondo volo schiantatosi sul WTC, e quindi della conferma di attacco terroristico, permisero al Presidente Bush di rimanere nella scuola dove teneva la conferenza invece che come di loro dovere, portarlo in un posto sicuro. Tale comportamento implica la conoscenza che il Presidente non era tra gli obiettivi dei terroristi. RICOMINCIAMO DA UN ALTRO PUNTO DI VISTA: Terrorismo e democrazia, l'ultima frontiera dell'imperialismo Affrontiamo il tema della democrazia:quella che si fonda sullo sfruttamento della forza lavoro, che impoverisce il proletariato erodendogli progressivamente la sanità, le pensioni, il livello di vita attraverso l’intensificazione della giornata lavorativa e la diminuzione del potere d’acquisto; che garantisce per il futuro soltanto disoccupazione e precarietà. Quella democrazia che si propone militarmente sulla scena internazionale come feroce predatrice delle materie prime strategiche. Che usa il terrorismo sino a che è coincidente con i propri interessi e lo combatte solo quando gli obiettivi non coincidono più. Che si propone come fautrice e garante del liberismo economico pretendendo l’abbattimento delle barriere ai suoi capitali e alle sue merci, mentre pratica il protezionismo all’interno del suo mercato. Che blatera di concorrenza sleale nei confronti di quei paesi che hanno un costo del lavoro molto più basso, senza sindacalizzazione e tutele della forza lavoro, per poi rincorrere quelle stesse situazioni attraverso la delocalizzazione della propria produzione e dell’investimento dei suoi capitali. Quella democrazia che impone ai paesi arretrati, attraverso il Fmi, politiche virtuose come le priva-tizzazioni, bilanci pubblici positivi, restrizioni d’ogni sorta verso i lavoratori, e contemporaneamente si esprime economicamente con una serie impressionante di deficit che la porrebbero al di fuori di qualsiasi contesto sociale internazionale. Una democrazia che si permette il lusso, in nome dell’antiterrorismo, di praticare le azioni più odiose e violente nei confronti delle popolazioni civili dei paesi che invade, consentendo ai propri militari di praticare qualsiasi atto di violenza, torture, pulizia etnica e terrorismo, senza dover rispondere ai tribunali penali internazionali, perché i soldati americani possono rispondere solo alla magistratura civile americana o al suo corrispettivo militare. Quella democrazia che, non firmando gli accordi di Kyoto, per altro molto blandi, contribuisce ad inquinare il mondo ma che non vuole pagare dazio perché troppo elevato per la competitività delle sue imprese. Quella democrazia che rincorrendo i suoi interessi e gestendo in campo internazionale le sue contraddizioni, sta trasformando il mondo in uno scenario di guerre e di barbarie infinita. E’ in nome di questa democrazia che si fanno le guerre preventive creando decine di migliaia di vittime civili sui teatri esteri, lasciando sullo scenario interno quasi cinquanta milioni di cittadini che sopravvivono sotto la soglia della povertà; che si torturano i prigionieri prima ancora di sapere se appartengono allo schieramento avversario o se sono dei semplici cittadini caduti nelle retate della repressione militare. E’ sempre in nome di questa democrazia del profitto, da raggiungere subito e a tutti i costi, che si conquistano gli obiettivi economici con l’uso della forza, inscenando tragedie belliche barbariche in un’orgia di sangue e di morte. La singolare menzogna dell’esportazione della democrazia, (quale democrazia e di chi?) attraverso l’orribile concetto della guerra preventiva al terrorismo, non è servita al governo americano soltanto per giustificare gli attacchi all’Afghanistan e all’Iraq, ma è stata ed è di supporto alla fase attuale del suo imperialismo in tutte quelle situazioni, politiche, geografiche e di qualsivoglia mercato internazionale in cui pulsano, prepotenti, i suoi interessi strategici. La gestazione prima, e l’attuazione poi, di un simile atteggiamento di feroce aggressività, hanno avuto nella crisi economica il loro ambiente di crescita. Già nella seconda parte degli anni novanta, ma con particolare progressione negli anni duemila, l’economia americana vive di una situazione straordinaria per intensità e vastità della sua crisi. Persa nei decenni precedenti la sfida sulla competitività con l’Europa e il Giappone, e in tempi recenti anche con la Cina, indebitata sino al collo, sommando i debiti contratti con l’estero, quelli delle famiglie e delle imprese si arriva ad oltre il 300% del Pil. Sempre più dipendente per i suoi fabbisogni energetici dal petrolio internazionale (70%) e bisognosa di tre miliardi di dollari il giorno per fare fronte alle necessità di finanziamento dei suoi apparati economico-produttivi, tra cui quello militare che appare per essere una voragine senza fine, l’America non ha trovato di meglio che imporsi con la forza su tutti i terreni d’interesse vitale. In primo luogo il mercato del petrolio, che è stato letteralmente devastato dalle incursioni militari made in Usa, poi la necessità di continuare ad imporre il ruolo dominante del dollaro sui mercati finanziari internazionali, di giocare a piacimento sui tassi d’interesse per consentire l’afflusso di capitali verso i centri finanziari americani , ed infine costringere gli alleati e/o nemici a subire ogni sorta di decisioni e di accontentarsi delle giustificazioni addotte, anche se rozze e poco credibili. Il tutto prende le mosse dall’11 settembre che per il governo Bush sarebbe la causa prima di ogni reazione, la madre di tutte le legittimazioni, il perno attorno al quale ruota la lotta al terrorismo internazionale. Il primo passo armato è stato quello della guerra in Afghanistan, già decisa ben prima dell’11 settembre, il secondo quello contro il regime di Saddam Hussein, che con il terrorismo internazionale e con al Qaeda non aveva legami di sorta. Da quel tragico momento, nell’esecuzione del quale le responsabilità del governo americano e delle sue maggiori Intelligence sono apparse chiaramente, ogni atto d’opposizione alla ferocia militare dell’imperialismo americano è stata etichettata di terrorismo. Fatta l’equazione: terrorismo uguale al male assoluto, ogni opposizione agli obiettivi strategici di Washington si configura come terrorismo, quindi ne discende la legittimità di combatterlo e di annientarlo con tutti i mezzi possibili, legittimi e illegittimi, in una sorta di delirio d’onnipotenza militare dietro la quale si nasconde l’enorme debolezza di un sistema economico e sociale in verticale decadenza. Il conseguente corollario, buono per tutte le stagioni, e particolarmente funzionale all’attuale guerra in Iraq, è che non esistono opposizioni alla guerra, ai governi fantoccio che vivono grazie alla presenza militare delle forza d’occupazione, ma solo terroristi che devono essere sterminati senza pietà in ogni dove, senza lesinare mezzi, torture e migliaia di morti civili, quali inevitabili effetti collaterali. La ferocia dell’imperialismo si serve del terrorismo per giustificare la propria barbarie senza dare spazio e legittimità a qualsiasi forma di opposizione. Il che non significa che il terrorismo non esista, che non vada denunciato e, nei dovuti modi, combattuto. D’altra parte chi si sentirebbe, in nome di qualsiasi ideologia, di difendere, di coprire politicamente o moralmente giustificare, gruppi e organizzazioni che per i propri fini uccidono civili, vecchi, donne e bambini, facendo del loro operato un’inumana carneficina d’innocenti? E qualora ciò accadesse, il terrorismo creerebbe, nel lungo periodo, esattamente il contrario di quello che vorrebbe ottenere in termini d’adesioni alla sua strategia. Ma la questione è un’altra, è che si confondono volutamente i concetti di terrorismo con quelli di lotta di liberazione nazionale, di guerra civile o di rivoluzione, per screditare tutti i movimenti sociali addossando loro la negativa definizione di pratica del terrore. Va quindi definito, in prima istanza, che cosa si debba intendere per terrorismo e per legittima difesa da un esercito d’invasione, indipendentemente, per il momento, dal contenuto ideologico e programmatico del concetto di difesa. Successivamente occorre verificare come, atti di terrorismo, possano anche fare parte dello scontro tra occupanti e occupati, ed infine com’esista un terrorismo di stato, che tale non è mai definito, solo perché prodotto da un esercito regolare, oltretutto occultato dal sofisticato sistema informativo dei media. Per una distinzione tra terrorismo e guerriglia Per non rimanere ad un alto livello di astrazione, riportiamo la questione all’interno di un quadro reale e ben definito, la guerra in Iraq. Ogni giorno, da due anni e mezzo, assistiamo al solito ritornello che i terroristi uccidono i civili, sono contro il legittimo governo e il processo di democratizzazione. Della guerriglia e dell’opposizione nessun cenno. E’ lo stesso diritto borghese internazionale, pur nei termini ad esso congeniali, che disciplina chiaramente la materia ed è altresì presente negli articoli dell’Onu e di altre organizzazioni internazionali. In questo caso ci piace prendere in considerazione le definizioni che sono fornite dall’ISTRID, Istituto studi ricerche informazioni difesa, cioè di un istituto del governo italiano, che non può essere spacciato per un covo di sovversivi. Per quanto riguarda la definizione di terrorismo si dice: Il terrorismo non esiste come dottrina o programma politico, ma soltanto come un “modo d’azione violenta” utilizzato da singoli, da gruppi organizzati e talora anche da forze armate. Questo tipo d’azione violenta, avente come caratteristica specifica di colpire civili estranei al conflitto è sempre da considerare come atto criminale, indipendentemente dallo status dei suoi operatori. E questo vale ovviamente anche per le operazioni terroristiche eseguite da una forza armata “regolare” contro la popolazione civile di un territorio occupato in seguito ad azione bellica o di uno stato nemico. Per ciò che concerne la definizione di guerriglia si sottolinea che: Trattandosi di condizione di conflitto in corso, nessuna delle azioni armate in territorio irakeno rivolta contro le forze armate occupanti (Uk-Usa) o di paesi collaboratori può considerarsi terroristica, ma di guerriglia anche se eseguita in modo criminale. Sembrano semmai da classificare come terroristiche (almeno secondo le definizioni anche Usa prima ricordate) le azioni compiute dagli occupanti contro la popolazione civile se colpiscono la vita e le proprietà di civili (uccisioni a posti di blocco, bombardamenti, distruzioni, saccheggi, sequestro di persone ecc.). Ogni altra considerazione sarebbe superflua se non si cozzasse continuamente sulla falsità dell’impostazione del problema. Perché mai la popolazione civile dovrebbe essere oggetto dell’infamia del terrorismo, perché inermi cittadini, donne, uomini, entrano nel mirino della morte, se non dello sterminio? Le risposte sono molte, elenchiamone le più importanti. 1. Come atto esemplare per incitare stra-tificazioni sociali alla lotta oppure per terrorizzare, intimidire, indurre cioè all’acquiescenza. 2. Per fare quadrato attorno alle istituzioni, quelle esistenti e quelle a venire, addebitando la responsabilità degli atti terroristici o delle stragi all’avversario politico 3. Per terrorizzare la popolazione perché abbandoni il territorio da occupare militarmente 4. Per questioni di pulizia etnica 5. Per stanare i guerriglieri e/o reprimere qualsiasi forma d’opposizione attraverso i bombardamenti di villaggi e città 6. Come strumento di rappresaglia contro la popolazione rea o sospettata di aiutare la guerriglia. E’ chiaro sino all’evidenza che, se si accetta questa definizione formale di terrorismo, sono tali tutte le azioni che abbiano come obiettivo la popolazione civile e che simili pratiche possono essere usate sia dalle forze occupanti sia da quelle sia subiscono l’occupazione. Si può essere cioè terroristi tout court, o usare tattiche terroristiche sia appartenendo ad una forza regolare sia di guerriglia. Con una sostanziale differenza, che mentre per la guerriglia, per qualsivoglia movimento nazionalista, l’eventuale atto di terrorismo contro civili (giornalisti di regime o ritenuti tali, uomini appartenenti al governo fantoccio, civili che si vogliono iscrivere alle liste dell’esercito o della polizia) si configura come atto di lotta contro i simboli e gli strumenti dell’occupazione, al contrario la strage di migliaia di civili durante l’assedio e la distruzione d’intere città, la pulizia etnica e/o religiosa, la tortura dei prigionieri, le esecuzioni sommarie, il calcolato abbattimento di abitazioni civili con relativi abitanti dentro con lo scopo di tagliare l’erba sotto i piedi all’opposizione, sono per ferocia e intensità ben altra cosa e ben più grave. Un’altra considerazione che va fatta è che, quando esiste un’enorme sproporzione nelle forze in campo tra l’esercito d’occupazione e la guerriglia, l’arma dell’attentato, dell’azione irregolare è molto spesso l’unica possibile per la seconda, mentre è volutamente scelta e proditoria l’azione contro civili per il primo. L’aspetto scandaloso è che, sempre rimanendo nella definizione borghese di terrorismo, l’imperialismo è la massima espressione del terrorismo, che a sua volta produce un terrorismo di difesa, in una spirale di violenza e di barbarie senza fine. Sono le due facce della medesima moneta capitalistica. Che poi siano gli Usa ad apostrofare di terrorismo chi ne è la vittima principale, è da ascrivere all’enciclopedia dei paradossi. Sono tragicamente note le responsabilità americane nella guerra del Vietnam, l’uccisione di milioni di civili, interi villaggi bruciati con il napalm, l’uso di armi chimiche e le torture nei confronti degli arrestati. Le bombe di Hiroshima e Nagasaki, con quel tragico fardello di morti e di nascite malformate che ancora oggi si producono nella società giapponese. E poi su, su sino a Nassiriya, Guantanamo e Abu Graib, in una spaventosa teoria di massacri e di torture. In una recente intervista Mc Namara, ex ministro della difesa ai tempi di Kennedy e uomo di potere trasversale a tutte le amministrazioni, dichiara che: se avessimo perso la guerra, saremmo stati incriminati per crimini contro l’umanità. La guerra l’hanno vinta, nessuna condanna si è abbattuta sul governo americano, i crimini e il terrorismo di Stato sono continuati ma con la variante che, a tacciare di terrorismo e di crimini contro l’umanità, sono proprio coloro che ne fanno uso quotidiano. L’uso strumentale del terrorismo e le sue risposte Oltre all’utilizzo del termine terrorismo per screditare ogni forma di risposta all’occupazione, l’imperialismo Usa, ma non soltanto, ha strumentalmente operato per la nascita o per il rafforzamento di organizzazioni terroristiche, solo poi definite tali. Se n’è servito a piene mani nelle operazioni palesi od occulte, le ha armate, finanziate e, molto spesso, le ha politicamente difese e giustificate. Quando, poi, le ha abbandonate o se le è trovate contro, ha gridato alla guerra santa contro di esse, in un gioco delle parti tanto tragico quanto grottesco. E’ successo nell’epoca della guerra fredda quando il nemico era il falso comunismo, è proseguito nell’epoca successiva contro il terrorismo. Gli interessi imperialistici erano sempre gli stessi, cambiavano soltanto i competitori e l’aggravamento delle condizioni economiche interne. Prima era la lotta contro l’impero del male che mistificava il perseguimento dei suoi interessi strategici con alleanze ambigue, da non rendere note; poi la guerra al terrorismo per la democrazia è diventata il paravento dietro il quale nascondere le difficoltà economiche e la conseguente aggressività militare. Il pre e il post guerra fredda hanno visto cambiare gli equilibri imperialistici, i protagonisti, le aree e le fonti di materie prime d’interesse strategico ma non le necessità d’accumulazione del capitale, se non nella loro intensità. Un esempio su tutti, i rapporti con il terrorismo musulmano, con al Qaeda, Bin Laden e con i talebani. Nella fase della guerra in Afghanistan contro il regime filo-sovietico di Kabul, il governo americano ha armato, finanziato il movimento integralista dei Mujaheddin di Massud e compagni, nelle cui fila militava Bin Laden. Il tipo di guerra che combattevano contro il governo di Kharmal prima e di Najibullah poi, era prevalentemente improntato ad azioni che colpissero sia obiettivi militari che civili. A milioni tra la popolazione afgana, sono fuggiti in Pakistan e nei paesi confinanti. L’azione contro le popolazioni civili aveva lo scopo di conquistare i terreni abbandonati, di estendere e dilatare geograficamente la nuova sovranità rosicchiando zone e aree al governo ufficiale, imponendo la sharia quale fonte di diritto primario. Quel tipo d’integralismo e di terrorismo, in quel periodo e in quella situazione di guerra fredda contro l’imperialismo sovietico, erano funzionali agli interessi americani nell’area dell’Asia centrale. Crollata l’Urss e apertasi la possibilità di mettere la mani sui giacimenti petroliferi del mar Caspio, attraverso la costruzione e il controllo di una serie di gas/oleodotti, occorreva dare quella stabilità sociale all’Afghanistan che il governo di Massud e Rabbani non erano riusciti a dare. E’ cosi che il governo di Washington si rivolge ad un integralismo e terrorismo ancora più efferati, quello dei talebani. Armi e finanziamenti arrivavano all’esercito dei talebani attraverso l’Isi, il servizio segreto pachistano, dietro gli stanziamenti del governo americano e della compagnia petrolifera Unocal, che era la maggiore interessata alla costruzione delle pipe lines. Ma nemmeno il governo talebano si è mostrato all’altezza della situazione. Il parziale controllo del territorio, solo il 60%, da parte del mullah Omar, la presenza di Massud nella Valle del Panshir, da cui muoveva per episodi di guerra civile, le pressioni della Unocal perché il governo americano facesse qualcosa, hanno spinto la Casa Bianca a prendere le distanze dai talebani, a ripescare come alleati i vecchi Mujaheddin per combattere il vecchio governo e a tacciare di integralismo e di terrorismo i vari Bin Laden, il mullah Omar e tutto il movimento dei talebani che essa stessa aveva contribuito a insediare al potere, decisione assunta, ben inteso, prima del 11 settembre. Diversi sono stati i rapporti con Osama Bin Laden. Il sodalizio tra il governo americano e il petroliere saudita è durato in termini simbiotici sino alla guerra del Golfo. Poi Osama, e la già costituita Al Qaeda, che sino a quel momento aveva operato sul terreno terroristico all’interno del movimento dei Mujaheddin sotto il controllo Usa, ha incominciato a prendere le distanze dal suo alleato, ritenendo che la presenza delle truppe americane in Arabia Saudita fosse un insulto alla religione musulmana e, soprattutto, agli interessi petroliferi suoi e della sua famiglia. Da quel momento in avanti l’operatività terroristica di Osama e di Al Qaeda ha continuato ad esprimersi, non più a favore degli Usa ma contro di loro e contro il loro tentativo di gestione dell’area petrolifera più importante del pianeta. Il terrorismo era sempre lo stesso ma è diventato tale nell’opinione pubblica mondiale solo quando non serviva più gli interessi americani ma, addirittura, gli si rivolgeva contro. Di simili esempi sono pieni gli archivi storici. Il terrorismo, nell’accezione ufficialmente assunta da parte di chi lo usa a seconda dei casi, è tale soprattutto quando, provocato nell’atto stesso della sua nascita quale fenomeno sociale di risposta ad un’invasione o alle manovre di qualsiasi imperialismo, va contro gli interessi dell’aggressore. Chi si difende è terrorista, non tanto per i suoi metodi di lotta quanto perché si erge contro i disegni dell’imperialismo. I vari governi americani non hanno mai definito terroristi le squadre della morte che operavano negli anni ottanta in Nicaragua e in Honduras. Si sono ben guardati dall’applicare la definizione di terrorismo di stato nei confronti delle dittature latinoamericane o dell’alleato Israele. In compenso hanno tacciato di simili comportamenti tutte quelle organizzazioni che hanno osato rispondere alle aggressioni loro e degli alleati di turno. Nel più recente elenco delle organizzazioni che cadono sotto quest’infamante definizione troviamo, tra gli altri, solo per rimanere all’interno dell’area medio orientale, la Jihad islamica, gli Hezbollah libanesi, Hamas con il corollario d’organizzazioni minori ma che si muovono sul medesimo terreno di lotta nazionalistica. La Jihad nasce all’indomani della guerra dei sei giorni come risposta all’occupazione dei territori palestinesi da parte dello stato d’Israele. Che alla base della sua impostazione ideologica ci sia la reazionaria concezione del fondamen-talismo è storia che attiene alle forme politiche di varie borghesie che hanno voluto sfruttare, a piene mani, il sentimento religioso delle masse tra le più diseredate di tutta l’area. Resta il fatto che una simile organizzazione nasce e si sviluppa in senso nazionalistico dopo l’aggressione mini-imperialistica d’Israele, sorretta dal mega-imperialismo americano. Analogo è il discorso per gli Hezbollah. La formazione integralista libanese nasce come risposta all’invasione della Galilea libanese, nel 1982, da parte di Israele e ancora una volta è politicamente difesa dall’imperialismo americano, anche in occasione della responsabilità morale delle stragi di Sabra e Shatila. Per Hamas il trattamento non è stato diverso. Che simili organizzazioni usino anche l’arma del terrorismo quale prassi di combattimento contro l’aggressore, nulla toglie che siano il prodotto dell’imperialismo stesso e non il contrario; non sono gli Usa o Israele costretti ad intervenire per sedare anomale situazioni internazionali, bensì le reprimono dopo averle provocate. Le prime sono la risposta nazionalistica all’aggressività dell’imperialismo e non il contrario. La falsificazione dei ruoli e delle definizioni arriva al suo paradosso con la questione irachena. Combattuta una feroce guerra petrolifera finalizzata alla predazione energetica del potenziale secondo produttore al mondo, spudoratamente basata su falsità talmente inconsistenti da sprofondare nel ridicolo, inventati due governi fantoccio, compreso l’ultimo, figlio di elezioni pilotate, massacrati almeno centomila civili, gli Usa hanno bollato di terrorismo, sin dall’inizio, tutte le opposizioni interne, da quell’integralista sciita a quella laica sunnita, come se non fosse possibile l’esistenza di qualsivoglia opposizione alla prepotenza dell’imperialismo. In questo scenario di strumentalizzazioni e falsificazioni non fa ovviamente testo che Allawi, capo del secondo governo fantoccio, uomo della Cia, durante il regime di Saddam fosse a capo di una rete operativa che seminava terrore tra la popolazione, metteva bombe nei mercati e nei luoghi pubblici per innescare una situazione di tensione, finalizzata a creare le condizioni per una rivolta popolare contro il satrapo mesopotamico. Imperialismo, terrorismo due facce della barbarie capitalista E’ nella logica naturale delle cose che un’aggressione imperialistica favorisca la nascita del suo antagonista: un’opposizione i cui contorni politico-ideologici dipendono dal percorso storico nazionale, dal grado di forza e coesione della borghesia indigena e dal livello di lotta di classe, qualora si esprima nelle forme che le sono proprie. Sia l’aggressione imperialistica sia l’opposizione possono usare l’arma del terrorismo, senza per questo rinunciare al loro ruolo e al perseguimento dei loro fini. La recentissima storia ci ha insegnato che la pratica del terrorismo non è appannaggio soltanto di piccoli gruppi, d’organizzazioni integraliste, di moti partigiani, di guerriglia nazionalistica ma anche di stati, di regolari eserciti d’occupazione. Il terrorismo è però estraneo alla prassi della lotta di classe, ai movimenti rivoluzionari, anzi, questo tipo di violenza non ha nulla a che vedere con la lotta di classe e con gli obiettivi rivoluzionari, semmai ne sono le vittime. Sull’estraneità del terrorismo alla lotta di classe già ci siamo ampiamente espressi in altre occasioni. Il terrorismo, nell’accezione corrente di attacco alla popolazione civile, agli inermi e ai più deboli, è prassi tutta interna all’ideologia borghese, qualunque sia lo scenario di riferimento: quello di una borghesia aggressiva che dispiega il suo attacco, o quello di una borghesia nazionale che si difende. Un autentico moto rivoluzionario, dovrebbe innanzi tutto fare i conti con la presenza dell’esercito invasore. Nessun movimento rivoluzionario, anche se in nuce potrebbe fare a meno di impegnarsi contro l’aggressività dell’imperialismo. Contemporaneamente dovrebbe fare i conti con la sua borghesia e i suoi obiettivi nazionalistici e i suoi metodi di lotta, terrorismo compreso. La violenza di classe non deve essere confusa con la barbarie borghese. La seconda è violenza che si esprime contro tutto e tutti, contro la popolazione civile, contro lo stesso proletariato se osa alzare la testa; è sinonimo di decimazione e rappresaglia, il tutto per imporre il suo potere politico a salvaguardia del suo interesse economico. La prima nasce all’interno del proletariato, attinge forza e credibilità in tutti i settori della popolazione, deve operare per proporsi forza politica dominante anche verso le stratificazioni sociali diverse — piccola borghesia proletarizzata, strati assimilabili al proletariato — che immediatamente non seguono la strategia e il programma rivoluzionari ma che ad essi devono essere conquistati. Azioni di barbarie come quelle di sgozzare, magari in diretta televisiva, giornalisti, civili che lavorano in imprese straniere, lavoratori che, pur di sopravvivere, sono costretti a subire lo sfruttamento del capitale straniero, se hanno come immediato risultato di entusiasmare una stretta cerchia di fanatici, alienerebbero alla lotta di classe ampie stratificazioni popolari e consistenti frange dello stesso proletariato, oltre ad essere ripugnante come prassi, pur tenendo conto dell’ambiente in cui maturano. L’altro aspetto che rende il terrorismo, qualsivoglia sia la giustificazione ideologica, estraneo alla prassi della lotta di classe è che a compierlo sono pur sempre organizzazioni borghesi che si muovono sul terreno nazionalistico. Nell’esperienza libanese, palestinese ed irachena, tutte le organizzazioni nazionalistiche che combattono contro la presenza dell’imperialismo e che usano talvolta la prassi del terrorismo, non contro il nemico, perché allora tale non sarebbe, ma contro una parte della loro stessa popolazione, si nutrono di un contenuto politico ed economico capitalistico. L’ideologia che li anima è oltretutto retriva, religiosamente opprimente, socialmente classista e con una propensione punitiva nei confronti del mondo del lavoro. Se in un simile quadro di scontro tra un imperialismo che aggredisce e forze borghesi che si difendono, s’inserisse un’iniziativa di classe che avesse contemporaneamente l’obiettivo di combattere la presenza dell’imperialismo e di regolare i conti con la borghesia, sarebbe bersaglio del fuoco incrociato dalle due espressioni capitalistiche. L’imperialismo si scatenerebbe contro un’alzata di testa da parte del proletariato perché la riterrebbe ancora più pericolosa di quella nazional-borghese. In gioco non ci sarebbe più soltanto la necessità di reprimere un movimento partigiano, bensì un esempio di lotta di classe che poterebbe innescare un processo domino in tutta l’area e che avrebbe come obiettivo non solo quello di rintuzzare l’aggressività dell’imperialismo, ma metterebbe in discussione la sua stessa base economica: il capitalismo. Le varie frange della borghesia si comporterebbero analogamente, perché si vedrebbero rifiutare quell’aiuto militare e di sostegno sociale dei quali non poterebbero mai fare a meno nella lotta contro l’esercito occupante. Sfuggirebbe loro di mano la manovalanza, la carne da macello su cui costruire nell’immediato l’esercito nazionalista, e per il futuro, la base di consenso al potere politico. Sia perché vedrebbero, in un incipiente movimento proletario, al pari dell’im-perialismo, il nemico mortale da aggredire, da annientare con tutti i mezzi, prima ancora di rivolgere le armi verso il nemico esterno. In questo caso non lesinerebbero ferocia, massacri e pulizia etnica, stragi e decimazioni e atti di terrorismo nei confronti di quella parte della popolazione che sostenesse un movimento proletario pur non facendone direttamente parte. La storia della lotta di classe c’insegna che la violenza proletaria non è mai terrorismo, semmai la lotta di classe è oggetto di feroci prassi terroristiche sia da parte dell’imperialismo che da parte della sua borghesia. Guerra al terrorismo dopo l’11 settembre Gli attentati terroristici dell’11 Settembre 2001 hanno avuto un enorme impatto nell’ordinamento internazionale. Tuttavia, per quanto riguarda la qualifica del terrorismo come crimine internazionale, gli attacchi contro il Pentagono e le Torri Gemelle non hanno avuto un ruolo decisivo, ma hanno solo consolidato la categoria di un crimine già esistente in base al diritto consuetudinario. Dallo studio della prassi attuata dagli Stati in seno alle organizzazioni internazionali prima e dopo il settembre 2001, si evince come le forme più gravi di terrorismo siano state considerate infrazioni lesive della dignità umana a un punto tale da mettere a repentaglio le basi della convivenza tra le nazioni, la pace e la sicurezza internazionale. Il terrorismo è una forma di lotta politica che consiste in una successione di azioni clamorose, violente e premeditate (attentati, omicidi, stragi, sequestri, sabotaggi, ecc.) ai danni di nazioni, governi, gruppi etnici o fedi religiose. In genere, le azioni terroristiche hanno per scopo principale non tanto la distruzione e la morte in sé, foss'anche su vasta scala, quanto la risonanza mediatica che le azioni stesse hanno: lo scopo del terrorismo è la modifica (o la distruzione) dello status quo sfruttando i mass-media come cassa di risonanza che amplifica le gesta dei gruppi terroristici e ne crea la "leggenda" e un'aura di potenza che richiama nuovi aderenti alla causa e scoraggia la popolazione dall'opporsi. Per questo motivo molte azioni terroristiche prendono di mira persone, monumenti, edifici o luoghi con un forte valore simbolico e molto presenti nell'immaginario popolare. Funzionale a questo effetto di risonanza è anche l'efferatezza, la ferocia e l'enormità dei gesti stessi di distruzione: sequestrare 100 bambini in una scuola è più efficace, ai fini della strategia del terrore, che sterminare 100 adulti in una caserma, perché il risalto mediatico dato all'evento (l'audience, se vogliamo) sarà maggiore. Per questo motivo il terrorismo propriamente detto è un fenomeno caratteristico del XX secolo, il primo periodo storico in cui l'umanità dispone di mass media. Generalmente i gruppi terroristici sono organizzazioni segrete costituite da un numero ridotto di individui: a volte i terroristi si considerano l'avanguardia di un costituendo esercito, dei guerriglieri che combattono per i diritti di un gruppo o per una ideologia. Per sua stessa natura (imporre a tanti la volontà di pochi) il terrorismo è antidemocratico e tende all'instaurazione di una dittatura. Un movimento terroristico che ha successo può effettivamente portare a una resistenza armata e/o alla costituzione di un esercito guerrigliero, nel qual caso tattica e strategia cambiano per adattarsi a uno scontro più aperto, e anche la politica del movimento subisce delle modifiche, diventando meno radicale e più concreta. Il terrorismo è una forma estrema di guerra civile, mirata a risolvere con la violenza determinate tensioni presenti nella politica di una data nazione. A sostegno di quanto detto possono essere citate varie disposizioni rintracciabili in diversi strumenti internazionali come: le dodici convenzioni per la soppressione di talune manifestazioni terroristiche (che trattano di attività delittuose transnazionali); le risoluzioni 49/60 e 52/210 dell’Assemblea Generale dell’ONU; la risoluzione 1269 del 1999 del Consiglio di Sicurezza; le convenzioni americane contro il terrorismo del 1971 e del 2002; le convenzioni antiterroristiche della Lega Araba (1998) e dei paesi islamici (1999); la convenzione europea contro il terrorismo del 1977; quella africana del 1999 e molte altre. In diversi di questi atti internazionali si dichiara il terrorismo come “criminale e ingiustificabile” e si pongono le basi per la cooperazione internazionale al fine di reprimerlo. Se riconosciamo nel terrorismo internazionale un crimine di natura consuetudinaria, si possono risolvere alcune problematiche che parte della dottrina non ha ancora risolto, ossia: la mancanza di un accordo intorno ad una definizione chiara ed unitaria di terrorismo, e la consapevolezza che la nozione di “combattenti nelle lotte per la liberazione nazionale” sia ben diversa da quella di “terrorista”. Ciò non toglie l’obbligo, a carico degli Stati, di punire le attività terroristiche anche in assenza di una convenzione generale sul tema. L’11 Settembre ha dimostrato quanto devastante possa essere il terrorismo. Se tale evento non è stato determinante per sancire la natura di questo fenomeno, almeno ha rafforzato definitivamente l’idea che il terrorismo internazionale è un crimen ius gentium. Un esempio di tutto ciò è la “rivolta” della prigione di Mazar-i-Sharif, durante la quale dei prigionieri talebani hanno aperto il fuoco sui loro carcerieri appartenenti all’Alleanza. Forze speciali statunitensi e, da quanto è emerso, truppe britanniche hanno aiutato l’Alleanza a soffocare la rivolta e, pare abbastanza sicuro, la CNN riporta che alcuni prigionieri sono stati “giustiziati” mentre cercavano di scappare. È un’atrocità. Le truppe britanniche ora si sono macchiate di crimini di guerra. In pochi giorni Justin Huggler dell’Independent ha trovato altri talebani giustiziati a Kunduz. Gli americani hanno ancora meno scuse per questo massacro. Poiché il Segretario alla difesa degli Stati Uniti, Donald Rumsfeld, affermò abbastanza chiaramente durante l’assedio della città, che i raid aerei sui talebani sarebbero finiti, “se l’Alleanza del Nord lo avesse richiesto”. Lasciando da parte la rivelazione che i delinquenti e gli assassini dell’Alleanza del Nord stavano a quel punto agendo come controllori di volo per la forza aerea USA, in questa battaglia contro i delinquenti e gli assassini talebani, il commento incriminante del signor Rumsfeld pone Washington sul banco dei testimoni di qualsiasi processo per crimini di guerra su Kunduz. Gli Stati Uniti stavano agendo in piena cooperazione militare con la milizia dell’Alleanza del Nord. La maggior parte dei giornalisti televisivi, vergognosamente, ha mostrato ben poco interesse per questi crimini ignobili. Corteggiando l’Alleanza del Nord, cianciando con le truppe americane, molti non hanno fatto altro che menzionare i crimini di guerra contro i prigionieri in mezzo alle loro cronache. Cosa diavolo è andato storto con la nostra bussola morale, dopo l’11 settembre? Forse possiamo suggerire una risposta. Dopo la Prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale, noi – “l’Occidente” – abbiamo creato una foresta di legislazioni per prevenire ulteriori crimini di guerra. Il primissimo tentativo anglo-franco-russo di formulare simili leggi fu provocato dall’Olocausto armeno, condotto dai turchi nel 1915: l’Entente annunciò che avrebbe considerato personalmente responsabili “tutti i membri del governo ottomano (turco) ed i loro agenti implicati in tali massacri”. In seguito all’Olocausto ebraico ed al collasso della Germania nel 1945, l’articolo 6 (C) della Carta di Norimberga e il preambolo della convenzione ONU sul genocidio, li definirono come “crimini contro l’umanità”. Ogni nuova guerra post 1945 produsse un mare di legislazioni e la creazione d’infiniti gruppi per i diritti umani per far pressione sul mondo, a favore dei liberali e umanitari valori occidentali. Nel corso degli ultimi 50 anni siamo stati seduti sul nostro piedistallo morale, redarguendo i cinesi ed i sovietici, gli arabi e gli africani, a proposito di diritti umani. Ci siamo pronunciati sui crimini per i diritti umani dei bosniaci e dei croati e dei serbi. Abbiamo messo molti di loro alla sbarra, proprio come facemmo con i nazisti a Norimberga. Sono stati prodotti migliaia di dossier, che descrivevano – con dettagli nauseanti – i tribunali segreti, le squadre della morte, le torture e le esecuzioni sommarie, portati avanti da stati canaglia e dittatori patologici. Poi improvvisamente, dopo l’11 settembre, siamo impazziti. Abbiamo ridotto in macerie i villaggi afgani insieme ai loro abitanti – incolpando i folli talebani e Osama bin Laden per i nostri massacri – e ora abbiamo permesso agli orribili miliziani nostri alleati di giustiziare i loro prigionieri. Il presidente George Bush ha legiferato a favore dell’istituzione di una serie di tribunali militari segreti, per processare e liquidare chiunque si pensi essere un “terrorista assassino”, agli occhi dei paurosamente inefficienti servizi d’intelligence americani. E non ci siano equivoci, stiamo parlando di squadre della morte legalmente autorizzate dal governo americano. Sono state create, naturalmente, perché se Osama bin Laden e i suoi uomini fossero catturati piuttosto che uccisi, non abbiano una difesa pubblica; solo uno pseudo processo e il plotone d’esecuzione. Quello che è successo è abbastanza chiaro. Quando delle persone con la pelle gialla, o nera, o bruna, con credenziali comuniste, islamiche o nazionalistiche, uccidono i propri prigionieri, o bombardano a tappeto dei villaggi per uccidere i loro nemici, o creano tribunali con squadre della morte, devono essere condannate dagli stati Uniti, dall’Unione Europea, dalle Nazioni Unite e dal mondo “civilizzato”. Siamo i maestri dei diritti umani, i Liberal, i grandi e buoni che possono predicare alle masse impoverite. Ma quando la nostra gente viene uccisa – quando i nostri edifici scintillanti vengono distrutti – allora riduciamo in brandelli qualsiasi legislazione sui diritti umani, inviamo i B-52 verso le masse impoverite e ci prepariamo ad assassinare i nostri nemici. Winston Churchill aveva la stessa visione di Bush sui nemici. Nel 1945 preferiva l’eliminazione diretta della leadership nazista. Tuttavia, nonostante i mostri hitleriani fossero responsabili per almeno 50 milioni di morti – 10.000 volte le vittime dell’11 settembre – agli assassini nazisti venne assicurato un processo a Norimberga perché il presidente degli Stati Uniti, Truman, prese una decisione notevole. “Esecuzioni o punizioni indiscriminate,” disse, “senza giungere ad un definitivo verdetto di colpevolezza, non si adatterebbero facilmente alla coscienza americana o non sarebbero ricordate con orgoglio dai nostri figli.” Nessuno dovrebbe sorprendersi del fatto che il signor Bush, non riesca a comprendere la moralità di uno statista della Casa Bianca. Ciò che è sconvolgente è che i vari Blair, Schroeder, Chirac e la ciurma televisiva siano rimasti così silenti di fronte alle esecuzioni afgane e alla legislazione in stile Europa dell’est sancita dall’11 settembre. Vi sono ombre spettrali attorno a noi, a ricordarci le conseguenze dell’assassino di stato. In Francia, un generale è sotto processo per aver ammesso torture ed uccisioni durante la guerra di Algeria, 1954-62, poiché ha definito le proprie imprese come “giustificabili atti di obbedienza compiuti senza piacere o rimorso”. E a Bruxelles, un giudice deciderà se il primo ministro israeliano, Ariel Sharon, può essere perseguito per la sua “responsabilità personale” nei massacri del 1982 a Sabra e Chatila. Sì, lo so che i talebani erano un gruppo crudele. Hanno commesso la maggior parte dei loro massacri fuori da Mazar-i- Sharif nei tardi anni ’90. Hanno giustiziato delle donne nello stadio di calcio di Kabul. E sì, ricordiamo che l’11 settembre è stato un crimine contro l’umanità. L'imperialismo americano dopo l'11 settembre. Gli attentati dell'11 settembre hanno fornito all'amministrazione Bush le giustificazioni che avrebbe comunque trovato per dispiegare il suo apparato militare globalmente. Questa politica non può essere dissociata dai rapporti di saccheggio forsennato che gli Stati Uniti e il capitale finanziario mondiale che vi trovano il loro principale sostegno, intrattengono con la maggior parte dei paesi e delle regioni del mondo. Qualche mese dopo gli attentati che hanno colpito il World Trade Center e il Pentagono, si può analizzare la strategia messa in campo dall'amministrazione Bush. I commentatori europei sostenitori dei successi del modello americano, ma nondimeno presi da scrupoli di fronte al comportamento brutale degli Stati Uniti nei loro riguardi, avevano commentato il cambiamento di atteggiamento che l'Amministrazione stava assumendo: la costituzione di una coalizione contro il terrorismo metterà fine all'isolazionismo americano. Ricordiamo semplicemente che questo preteso isolazionismo si era tradotto nel corso degli anni novanta (dunque ampiamente durante l'amministrazione Clinton) in operazioni di dispiegamento di forze armate americane nel mondo, il cui numero è stato superiore a quello di tutto il periodo 1945-1990. A partire dall'11 settembre 2001, il comportamento dell'amministrazione Bush delinea una strategia imperialista sia nella dimensione militare sia economica. Certo, le forme di dominazione politica sono cambiate rispetto ai tempi della colonizzazione, tanto quanto sono cambiate certe forme di egemonia economica della dominazione capitalistica rispetto a quella analizzata dai marxisti all'inizio del XX secolo. Il formidabile aumento del budget militare, gli obiettivi fissati dagli Stati Uniti puntano chiaramente a fare della guerra - fosse anche definita di intervento umanitario - la continuazione della politica attraverso altri mezzi, per invertire il celebre aforisma di Clausewitz. Ciò che si chiama unilateralismo degli Stati Uniti, il diritto auto accordato di intervenire in ogni parte del mondo in cui si pensa che i loro interessi nazionali siano in gioco è stato definito atteggiamento imperialista in altri tempi. Quanto agli obiettivi economici dello Stato americano, essi coincidono in numerosi punti alle caratteristiche dell'imperialismo analizzato da Hilferding, Bucharin, Lenin o Rosa Luxemburg. Si deve d'altronde osservare che se il termine "imperialismo" è abbandonato per dare spazio a quello di "impero" da alcuni autori di formazione marxista, a partire dall'11 settembre ha fatto la sua comparsa per almeno due volte nella stampa britannica degli ambienti finanziari. Il Financial Times ha così esplicitato la necessità di un ritorno ad un "imperialismo illuminato" per mettere fine al disordine mondiale. "L'impero" ha sostituito l'imperialismo? Gli attentati dell'11 settembre 2001 e il modo con il quale l'Amministrazione Bush ha dispiegato il suo apparato militare e nello stesso tempo affermato nuovamente gli obiettivi di dominio del capitale americano costituiscono una seria smentita alle tesi sulla fine della "sovranità degli Stati a vantaggio di una macchina da guerra - quella del capitalismo mondiale" come ha dichiarato Toni Negri in una intervista pubblicata da Le Monde (4 ottobre 2001). Queste note fanno eco all'opera che ha pubblicato con Michael Hardt intitolata "L'Impero" . L'impero succederebbe all'imperialismo, come lo aveva analizzato Lenin e R. Luxemburg. Una differenza più grande tra i due periodi storici è precisamente lo spostamento della sovranità degli Stati nazione a vantaggio di un apparato decentralizzato e deterritorializzato dal governo. "L'imperialismo è terminato. Nessuna nazione potrà mai essere una potenza mondiale come lo erano state le nazioni moderne". E' dunque vano cercare un centro dominante, neanche negli Stati Uniti: "gli Stati Uniti non costituiscono il centro di un progetto imperialista, e infatti nessun Stato nazione può farlo oggi. Contrariamente a questa posizione, il comportamento dell'amministrazione dopo l'11 settembre ricorda che il capitale non può, per mantenere il suo dominio, fare a meno di un apparato politico, le cui istituzioni (giudiziarie, militari, etc.) che lo compongono si sono costituite, rinforzate, migliorate nel contesto degli stati capitalisti dominanti. Ciò accade perché il capitalismo mondiale nel senso dato da Negri nella sua intervista a "Le Monde" non esiste. Esiste una tendenza del capitale, in quanto rapporto sociale, a trascendere le frontiere nazionali e le altre barriere (forme di organizzazione socio-politica per esempio). Ma la sua estensione mondiale ha preso e continua a prendere una fisionomia indissociabilmente legata ai rapporti di forza fra stati. Ricollocata in una dinamica storica di lungo periodo, la nuova tappa del movimento di internazionalizzazione del capitale che comincia dopo la seconda guerra mondiale non può essere dissociata dalla supremazia definitiva acquisita dall'imperialismo americano sui suoi rivali europei e giapponesi. Negri e Hardt hanno ragione a sottolineare questa tendenza del capitale a cercare di sfondare tutte le barriere, territoriali, spaziali, sociali che si oppongono al suo movimento. Si può ricordare che nel 1848, Marx ed Engels sottolinearono nel Manifesto del Partito Comunista che "attraverso lo sfruttamento del mercato mondiale, la borghesia dà un carattere cosmopolita alla produzione e al consumo di tutti i paesi". Ma in diverse occasioni, Marx sottolinea il carattere contraddittorio di questo "processo di universalizzazione" (formula più corretta di "mondializzazione"). Così, "Il capitale risente di ogni limite come fosse un ostacolo, e lo supera idealmente, ma non lo ha superato nella realtà. L'universalità alla quale tende instancabilmente trova limiti nella sua propria natura, che ad un certo livello della sua evoluzione, rivela che esso stesso è l'ostacolo più grande a questa tendenza, e la spinge dunque alla sua propria abolizione"[1]. La nuova tappa del capitalismo che è cominciato negli anni ottanta ma il cui pieno dispiegarsi risale agli anni 1989-1991 (caduta del muro di Berlino e scomparsa dell'URSS) fa apparire con una nuova acuità la contraddizione tra la tendenza del capitale a costituire il mercato mondiale, sarebbe meglio dire l'"universalità della sua dominazione", e le contraddizioni nelle quali questa tendenza si manifesta. Negri e Hardt scrivono che "al momento della prima guerra mondiale, è sembrato a numerosi osservatori, ed in particolare ai teorici marxisti dell'imperialismo, che le campane suonavano a morto e il capitale aveva toccato la soglia di un disastro finale. Eppure, al momento in cui noi scriviamo questo libro, e in cui il XX secolo volge al termine, il capitalismo è miracolosamente sano e la sua accumulazione più vigorosa che mai" . Questa è una affermazione fortemente contestabile, a meno di lasciarsi incantare dai miraggi della "rivoluzione informatica" e della "nuova economia" [2]. In realtà, il caos economico e la tragedia sociale provocata dalla globalizzazione del capitale esige con maggiore intensità che in passato l'esistenza di un apparato di sicurezza militare incaricato di far rispettare l'ordine della proprietà privata, cioè ugualmente le norme di diritto che il capitale esige per i suoi bisogni di "globalizzare" [3]. Tali consolidamenti degli apparati statali dei paesi dominanti non sono in contraddizione con gli obiettivi del capitale, a cui danno il cambio le politiche neo-liberali, che sono la deregolamentazione delle industrie e dei mercati, la privatizzazione delle attività, ivi comprese quelle per mantenere l'ordine. Lo sviluppo di società private incaricate della protezione della proprietà privata (mercenarismo) è un fenomeno degno di nota di questi ultimi anni. In alcune regioni del pianeta (Africa, America Latina) è il risultato del cedimento degli apparti di Stato accelerato dalle politiche di ristrutturazione e di costituzione di gruppi rivali, ma ugualmente dalla necessità per i gruppi dei paesi sviluppati che investono in queste regioni di continuare a poter esercitare la loro attività a dispetto delle guerre civili e talvolta grazie a queste. Nei paesi sviluppati, l'incremento delle attività di società di vigilanza e talvolta di milizie rivela l'aumento della segregazione sociale conseguente alla situazione in cui il capitale ha costretto la gioventù, e la necessità di completare il lavoro della polizia, e talvolta di sostituirvisi. Ma la privatizzazione di certe funzioni militari e repressive non segnano affatto la fine del ruolo degli apparati di coercizione degli Stati. Gli attentati dell'11 settembre 2001 non permettono in nessun modo di credere alla fine delle "frontiere", non fosse altro perché questi sono stati preparati all'interno del territorio americano, forse con la complicità attiva o tacita in seno alle stesse istituzioni statali americane da parte di persone perfettamente in regola dal punto di vista del diritto americano e che hanno utilizzato le reti finanziarie situate negli Stati Uniti. Questi attentati non hanno per niente indebolito la dominazione dello Stato Americano, né all'interno, né all'esterno del suo territorio. Essi hanno facilitato la campagna dei media che puntano a rinforzare i sentimenti pro-imperialisti e nazionalisti in seno alla popolazione americana, essi hanno permesso all'Amministrazione e al Congresso di estendere e rinforzare la presenza delle forze armate americane su tutto il pianeta. A partire dalla seconda guerra mondiale, la presenza militare americana nel mondo non è stata così rilevante. L'impresa militare mondiale della potenza "nazionale" americana degli Stati Uniti non è stata mai così forte negli ultimi decenni. Questa impresa è utilizzata non solo per imporre ai popoli e alle classi del terzo mondo le esigenze del capitale finanziario, ma ugualmente ai capitalisti rivali, gli interessi del capitale nazionale americano (c'é evidentemente più di una coincidenza tra la commemorazione a sei mesi dall'attentato e le misure di protezione delle industrie siderurgiche prese dagli Stati Uniti e annunciate l'11 marzo 2002). [1] Fondements de la critique de l'economie politique, Edition Antrhopos, 1986, Tome 2, pag.367. [2] Vedere F. Chesnais, "La nouvelle economie": une conjecture prope à la puissance hégémonique américaine" in (AA.VV.) "Une nouvelle phase du capitalisme?", Syllepse, 2001. [3] Così si può dire di norme che definiscono illegali le nazionalizzazioni degli utili stranieri, che erano previsti dall'Accordo Multilaterale sugli Investimenti (AMI) e perseguono un obiettivo, l'appropriazione privata (attraverso brevetti cosiddetti di proprietà intellettuale) dei processi del vivente. Riflessioni conclusive 11 Settembre 2001. Gli argomenti esposti in questa trattazione mostrano chiaramente come tale data sia imprescindibile dal punto di vista politico,finanziario,umano e storico. Ha portato alla ribalta del III millennio un nuovo e terribile pericolo per la globalità delle nazioni: il terrorismo,crescente minaccia e dilagante insicurezza del vivere quotidiano. Non si scontrano solo eserciti armati , si abbattono bensì vittime innocenti in stragi feroci. L’America colpita in tempo di pace ha reagito;ne è sgorgata un’escalation di violenza, che mostra al mondo orrori lasciandoci senza parole. Ogni volta che ascoltando i mass-media si odono notizie di nuove morti civili rimango attonita e avverto il senso di impotenza della società a fronteggiare tali eventi improvvisi ed imprevedibili. Dopo essermi chiesta il reale perché di oscure e azzardate manovre politiche,di gravi tracolli finanziari ed economici e delle profonde sofferenze della nostra società,non mi rimane altro che un senso di smarrimento e solo un gran desiderio di silenzio. A riguardo della tragedia delle Torri Gemelle vengono esposte due contrastanti tesi,sulle quali i contemporanei possono continuare a discutere e scontrarsi per lungo tempo. Io tuttavia ritengo che si troverà un riscontro definitivo a tutto ciò solo in tempi molto futuri quindi in questo caso mi sento di dire che “ai posteri l’ardua sentenza”. Approfondimenti: I presunti dirottatori Il crollo degli edifici Il sistema G.P.S. I presunti dirottatori dei Osama bin Laden. Nella versione ufficiale si afferma che Mohammed Atta, presunto basista, era un fanatico religioso mentre sia lui che gli altri 19 accusati del dirottamento erano dediti a cocaina, alcool, gioco d'azzardo, carne di maiale e prostitute. Inoltre molte testimonianze affermano che molti dei presunti dirottatori sono stati visti dopo gli attacchi dell'11 settembre. Dubbi anche su Osama bin Laden tanto che nel fascicolo dell'FBI tra i crimini per cui è ricercato non c'è quello dell'attacco all'America. Mass media hanno segnalato che alcuni di questi dirottatori "suicidi" dell'11 settembre 2001 sono in realtà ancora vivi. Vediamo quali dirottatori risultano essere ancora vivi, chi sono e dove si trovano attualmente. Premessa per chi sostiene che si tratti di casi di omonimia: Non è possibile che si tratti di semplice omonimia perchè, oltre allo stesso nome, le persone trovate ancora vive hanno anche le stesse facce, la stessa biografia e gli stessi dati anagrafici dei dirottatori. Si tratta proprio di loro. 1- Abdul Aziz Alomari (Volo AA-11. Pilota Qualificato) In realtà quest'uomo non esiste. Per creare questo "dirottatore" l'FBI ha unito le identità di due uomini con lo stesso nome, prendendo la faccia di uno e i dati anagrafici di un altro. Entrambi gli uomini sono ancora vivi. Il primo ha lo stesso nome e la stessa data di nascita del cosiddetto "terrorista" presentato dall'FBI, ma non ha idea di come volare. Il secondo ha (quasi) lo stesso nome, ma una data differente di nascita ed è un pilota per la Saudi Arabian Airlines. Abdul "Rahman" Alomari numero 2 (quasi stesso nome del "terrorista", data di nascita differente, ed è un pilota.): Il signor Alomari, un pilota della Saudi Arabian Airlines, si è recato nell'ambasciata degli Stati Uniti a Jeddah per chiedere per quale motivo è stato additato come terrorista suicida morto negli attentati dell'11 settembre. Questo Alomari vive con sua moglie e i suoi quattro figli a Jeddah, in Arabia Saudita. 2- Waleed M. Alshehri (Volo AA-11. Pilota Qualificato) "Una sesta persona nella lista dell'FBI, il saudita Waleed Alshehri, attualmente vive a Casablanca, secondo un funzionario della Royal Air Moroc, la linea aerea commerciale marocchina. Secondo il funzionario, Alshehri ha vissuto a Dayton Beach, dove ha conseguito la licenza di pilota d'aereo all'università aeronautica di Embry-Riddle. Ora lavora per una linea aerea marocchina. 3-Wail M. Alshehri (Volo AA-11) Fratello di Waleed M. Alshehri. "Wail M. Alshehri, nome usato da uno dei sospetti terroristi del volo AA-11. Un uomo con lo stesso nome è un pilota il cui padre è un diplomatico saudita a Bombay. 4- Mohamed Atta (Volo AA-11) Il padre di Mohamed Atta ha riferito ai giornali di aver ricevuto una telefonata da suo figlio il giorno successivo agli attentati, il 12 settembre 2001. 5- Ahmed Alghamdi (Volo UA-175) "Abdul Aziz Alomari ed Ahmed Alghamdi sono vivi e in buona salute, il primo in Arabia Saudita e il secondo in Tunisia". 6- Mohand Alshehri (Volo UA-175) "Mohand Alshehri è ancora vivo. L'Ambasciata Saudita ha affermato che è stato vittima di uno scambio d'identità. "Secondo il giornale "The Orlando Sentinel", l'Ambasciata Saudita ha confermato che quattro dei cinque terroristi menzionati da Al-Faisal (cioè Saeed Alghamdi, Mohand Alshehri, Abdulaziz Alomari e Salem Alhazmi) sono ancora vivi e assolutamente estranei agli attacchi terroristici effettuati l'11 settembre 2001 a New York e Washington. 7- Hamza Alghamdi (Volo UA-175) Forse ancora vivo. Il padre di Alghamdi ha affermato che le foto diffuse dall'FBI non ritraggono suo figlio. Non c'è nessuna somiglianza tra suo figlio e l'uomo in quelle foto. Non si sa nulla di più riguardo Alghamdi. 8- Khalid Almihdhar (Volo AA-77) I funzionari sauditi all'ambasciata non sono in grado di verificare dove si trovi l'uomo accusato di essere il quinto dirottatore, Khalid Almihdhar. Tuttavia, alcuni giornali arabi sostengono che Almihdhar sia ancora vivo. 9- Salem Alhazmi (Volo AA-77) Il signor Alhazmi, 26 anni, era appena ritornato al suo lavoro in un complesso petrolchimico nella città industriale di Yanbou in Arabia Saudita dopo una vacanza, quando i dirottatori hanno colpito. È stato accusato del dirottamento del volo AA-77, che ha colpito il Pentagono. 10- Saeed Alghamdi (Volo UA-93. Pilota Qualificato) Il signor Saeed Alghamdi è ancora vivo e in buona salute, e lavora come pilota per la compagnia Tunis Air. 11-Ahmed Alnami (Volo UA-93) «Sono ancora vivo, come potete vedere. Sono stato molto scosso nel vedere il mio nome menzionato dal Dipartimento Americano di Giustizia. Non avevo mai nemmeno sentito parlare della Pennsylvania in cui si è schiantato l'aereo che secondo loro avrei dirottato.» Ahmed Alnami, 33 anni, della città di Riyadh, un supervisore amministrativo della Saudi Arabian Airlines, ha detto che quando i terroristi hanno attaccato lui si trovava a Riyadh. Alnami inoltre non ha mai perso il suo passaporto, ed ha trovato molto preoccupante (per non dire "sospetto") che la sua identità sia stata rubata e pubblicata dall'FBI senza nessun controllo." Fonte: Telegraph, 23 Settembre 2001. 12- Ziad Samir Jarrah (Volo UA-93) Ziad Jarrah accusato di aver dirottato il volo UA-93 non è lo stesso raffigurato nella fotografia trovata sulla scena dello schianto. Quindi, l'uomo nella fotografia non può essere uno dei dirottatori. Altri accusati di essere implicati negli attentati dell'11 settembre trovati invece innocenti: Ameer Bukhari "Ameer Bukhari è morto un anno prima degli attentati in un piccolo incidente aereo." Fonte: Correzione della CNN Adnan Bukhari "Adnan Bukhari è ancora vivo e si trova in Florida." Fonte: Correzione della CNN Amer Kamfar "...un sospettato dirottatore dall'FBI, Amer Kamfar, è in realtà un pilota ancora vivo in Arabia Saudita." Wal Fadjri 21/11/2001. CONCLUSIONE: Non c'è che dire. La precisione e l'affidabilità delle indagini americane lasciano esterrefatti. Ispirano decisamente fiducia. Sembra che almeno tredici (contando anche Zacharias Massaoui) dei 20 presunti "dirottatori suicidi" siano in realtà vivi ed estranei agli attentati. Non sono proprio capaci gli arabi di fare i terroristi suicidi. Inoltre non è detto che gli altri che (per ora) ancora non sono risultati essere vivi, non siano innocenti e in ottima salute anche loro. Sembra anche che l'FBI abbia preso le prime foto di persone arabe che gli siano capitate sottomano e senza verificarne in alcun modo l'identità le abbia accusate del peggior attentato terroristico della storia (vedi il comunicato ufficiale dell'FBI). Poco tempo dopo l'attentato il direttore dell'FBI, Robert Mueller, ammise perfino che "non ci sono prove legittime che dimostrino l'identità dei dirottatori. L'identità di molti di essi è ancora incerta". Eppure, quegli uomini sono considerati da anni gli esecutori degli attentati dell'11 settembre 2001. E, oltre a non ritirare queste false accuse, l'FBI non ha mai indagato oltre per scoprire i reali colpevoli! Alla faccia della professionalità. Sembra quasi che, anzichè scoprire la verità riguardo l'11 settembre, agli USA interessasse piuttosto strumentalizzarlo per dichiarare guerra impunemente a chiunque volessero. Per non parlare poi della più che dubbia attribuzione di tutto a un tale di nome Osama bin Laden, capo di una onnipresente organizzazione terroristica denominata AlQaeda fino ad allora sconosciuta e dalla struttura, posizione e componenti tuttora ignoti. Ad oggi, nessuna prova della validità di queste congetture è mai stata portata. Volendo, Osama bin Laden potrebbe fare causa per diffamazione al governo USA, e legalmente avrebbe anche ragione! Il crollo delle torri Molti di noi nel richiamare alla memoria gli eventi dell'11 settembre, pensano all'immagine delle due torri del World Trade Center, apparentemente indistruttibili, che franano al suolo. Il loro crollo è uno degli argomenti principali del Movimento per la verità sull'11/9. Questi documenti dimostrano che 911truth.org non crede alla versione ufficiale, secondo la quale il danno fondamentale al WTC si è verificato quando due aeroplani dirottati da terroristi si sono schiantati contro le torri. Essi affermano al contrario che le torri caddero a causa di una demolizione controllata, precedentemente pianificata dal governo degli Stati Uniti. La ragione principale pare essere che il crollo delle torri somiglia al risultato di una demolizione controllata. Si argomenta, inoltre, che gli incendi provocati dal carburante in fiamme provenienti dagli aerei schiantati non avrebbero potuto causare il collasso poiché il carburante del jet brucia ad una temperatura di circa 800°C, mentre per fondere l'acciaio è necessaria una temperatura di circa 1500°C. Infine, affermano che dalle riprese video fatte subito prima e dopo il crollo delle torri è possibile notare alcuni “squib”. Nel gergo tecnico dei demolitori professionisti statunitensi, uno “squib” è un dispositivo esplosivo usato per indebolire la struttura di un edificio nel corso di una demolizione controllata. Come si possono interpretare queste accuse non confermate? Esaminando la somiglianza tra il crollo delle torri del WTC e quelli degli edifici distrutti tramite demolizione controllata. Nelle demolizioni controllate, i dispositivi esplosivi indeboliscono o smembrano contemporaneamente tutti i principali punti di sostegno di una costruzione. Di conseguenza, una volta che il crollo ha inizio, tutte le parti del fabbricato si muovono simultaneamente verso il suolo. Ma questo non è affatto quello che si verifica durante il crollo degli edifici 1 e 2 del WTC. Osservando attentamente le riprese dei crolli ci si rende conto che le parti degli edifici che stanno sopra i punti di impatto degli aerei cominciarono a cadere per prime, mentre le parti sottostanti rimasero inizialmente stazionarie. Le parti delle torri al di sotto dei punti di impatto iniziarono a cadere soltanto quando i piani superiori crollarono su di esse. Questo non è quello che ci aspetteremmo se le torri fossero crollate a seguito di una demolizione controllata, ma è esattamente quello che ci aspetteremmo se il collasso fosse stato causato da un danno provocato dall'impatto degli aerei e dagli incendi conseguenti. Un complottista potrebbe ribattere che gli edifici erano stati predisposti in modo da crollare partendo dall'alto: ma è plausibili che i creatori di una demolizione tanto complesse fossero in grado di predire il punto esatto in cui gli aerei avrebbero colpito le torri, predisponendole a iniziare a cadere esattamente da li? Inoltre, le riprese del collasso della Torre Sud (o Edificio 2) rivelano che la torre non cadde affatto in modo verticale sulla propria pianta, come fece al contrario la Torre Nord. La Torre 2 si inclinò verso il punto d'impatto e poi cominciò a frenare mentre la parte superiore dell'edificio rimaneva inclinata. La differenza fra i due crolli può essere spiegata dal modo diverso in cui ciascun aeroplano colpì gli edifici. Il primo aereo urtò la Torre Nord tra il 94° e il 98° piano, colpendola in pieno e dirigendosi pressoché direttamente verso il nucleo portante della costruzione. Il secondo aeroplano colpì la Torre Sud fra il 78° e l'84° piano, ma con una direzione angolata, danneggiando l'intero spigolo nordest dell'edificio. Il punto indebolito dovette quindi sopportare un peso maggiore, costituito da piani sovrastanti, rispetto al punto d'impatto corrisponde della Torre Nord. Questo spiega sia l'angolazione assunta dall'edificio mentre cadeva, sia il fatto che la Torre Sud cadde per prima nonostante fosse stata colpita dopo la Torre Nord. Il Movimenti per la verità sull'11/9 spesso afferma o sottintende che l'acciaio avrebbe dovuto necessariamente fondere affinché la struttura crollasse alla velocità di caduta libera. Esistono stime differenti della temperatura raggiunta, ma la maggior parte di esse concordano nel ritenere che furono probabilmente superati i 540°C e raggiunti i 1000°C. A queste temperature, le fiamme non avrebbero raggiunto affatto i circa 1500°C occorrenti per fondere l'acciaio, ma sarebbero state sufficienti a ridurre gravemente l'integrità strutturale del metallo. La struttura unica delle torri del WTC esacerbò i problemi causati dall'acciaio indebolito. Il progetto delle torri era estremamente leggero e ben il 95 per cento del volume della struttura era costituito da null'altro che aria. Gli impatti e la deflagrazione degli aeroplani probabilmente asportarono la maggior parte del materiale isolante che fungeva da protezione antincendio per gli elementi in acciaio e questo le rese molto più vulnerabili al fuoco. Il calore delle fiamme ridusse drasticamente la resistenza dell'acciaio e causò la dilatazione delle travature reticolari a ciascuna estremità, finché le travature non riuscirono più a sostenere il peso dei solai, innescando il crollo. Cosa dire poi dell'acciaio fuso di cui i complottisti asseriscono la presenza a Ground Zero? Di versi fonti parlano di campioni d'acciaio fuso, o precedentemente fuso e poi rappreso, trovato a Ground Zero. Ma le fonti sono testimoni che dichiararono di avere visto “acciaio” a Ground Zero, non risultati di laboratorio. Per molte persone, qualunque metallo grigiastro rassomiglia all'acciaio abbastanza da definirlo “acciaio” in un contesto non formale. Sembra molto più probabile che il metallo visti dagli operai fosse alluminio, un componente strutturale del WTC che fonde a temperature molto più basse rispetto all'acciaio e che, a un'osservazione superficiale, può sembrare simile d'aspetto. Per quanto riguarda gli “squib” che i complottisti dichiarono di vedere nei video del crollo del WTC, si tratta di sbuffi di fumo e detriti espulsi dall'edificio a causa dell'immensa pressione pneumatica prodotta da centinaia di migliaia di tonnellate di macerie caduta. I video del crollo del WTC mostrano che questo sbuffi iniziarono soltanto dopo l'inizio del crollo e aumentarono d'intensità man mano che il crollo procedeva: questo non è lo scenario che ci si attenderebbe se gli sbuffi fossero in realtà degli esplosivi per provocare la caduta degli edifici. Il crollo dell'edificio 7 del WTC Come spiegare il crollo dell'Edificio 7 del WTC, che non fu colpito da un aeroplano? Molti complottisti sostengono che il collasso di questo edificio, avvenuto all'incirca alle 17,20 dell'11 settembre, non avrebbe potuto avvenire a meno che la struttura non fosse già stata predisposta per la demolizione. I complottisti assumono che il danno subito dell'Edificio 7 nel corso dell'attacco non sia stato sufficiente a innescare il crollo. Il sito wtc7.net dichiara che “furono osservati degli incendi nell'Edificio 7 prima del suo crollo, ma erano isolati in parti strette dell'edificio. Il sito afferma inoltre che qualunque danno causato dalle macerie in caduta degli Edifici 1 e 2 avrebbe dovuto essere simmetrico per innescare il collasso con accatastamento verticale dell'Edificio 7. Prima di tutto, gli incendi dell'edificio 7 erano estremamente estesi. Il motivo per cui ciò non risulta evidente dalla presentazioni di documenti del Movimento per la verità sull'11/9 e che essi tendono a mostrare soltanto il lato nord dell'Edificio 7, facendo si che l'edificio sembri molto meno danneggiato sia dal fuoco sia dai danni strutturali di quanto non fosse in realtà. Gli operatori d'emergenza a Ground Zero si resero conto già intorno alle 15 dell'11 settembre che il danno esteso alla parte inferiore sud dell'Edificio 7 ne avrebbe provocato il collasso, e questo fatto fu riferito dai notiziari di quel giorno. I filmati mostrano che, quando il crollo si verificò, la facciata sud dell'edificio cedette per prima, e questo è esattamente quel che ci si sarebbe aspettato considerando la collocazione del danno più esteso. La dinamica della caduta dell'edificio è completamente coerente con la natura del danno subito. L'ipotesi della demolizione pianificata, invece, non spiega perché ilo crollo sarebbe incominciato nell'esatto punto in cui si è verificato il danno, dal momento che i cospiratori avrebbero dovuto essere in grado di predire con la massima precisione in quale punto le macerie provenienti dalle Torri Nord e Sud avrebbero colpito l'Edificio 7. per coloro che credono che l'Edificio 7 crollò a seguito di una demolizione controllata, alcune delle prove più schiaccianti sembrano venire dalla presunta “confessione” del locatario del WTC, Larry Silverstein, che avrebbe affermato di aver autorizzato la distruzione della torre. La citazione in questione da un programma televisivo della rete PBS del 2002 nel quale Silverstein dichiarò: “Ricordo di aver ricevuto una chiamata dal comandante dei vigli del fuoco, che mi diceva che non erano sicuri che sarebbero riuscito a sostenere l'incendio e io dissi: “ Sai, abbiamo subito una perdita così terribile di vite umane, forse la cosa più intelligente è... è pull it”. Per i complottisti come Alex Jones di Prisonplanet.com, questa citazione sembra essere la madre di tutte le prove, perché essi interpretano il verbo “pull” come se fosse gergo di settore per indicare l'abbattimento di un edificio tramite esplosivi. Silverstein sembra aver detto che lui e i pompieri decisero di distruggere l'Edificio 7 e lo guardarono cadere dopo aver autorizzato la demolizione. Ma nessun edificio potrebbe essere abbattuto in maniera controllata così rapidamente, continuano i complottisti, e quindi l'Edificio7 deve essere stato preparato per la demolizione molto tempo prima. Se la si osserva con maggiore attenzione, però, questa presunta prova devastante non sembra avere il significato che il Movimento per la verità sull'11/9 le attribuisce. Gli addetti ai lavori son ben lunghi dal concordare che il verbo “pull”, da solo, si riferisca sempre a una demolizione controllata mediante esplosivi. E naturalmente “pull” ha nel linguaggio comune molte altre eccezioni, ben diverse dal gergo dei demolitori e nel gergo dei pompieri ha quello di “ritirare” o “ritirarsi”. Ma se Silverstein non stava descrivendo la decisione di distruggere l'Edificio 7, cosa intendeva dire? Un buon posto per cercare la risposta è nella seguente dichiarazione, datata 9 settembre 2005, rilasciata da Dara McQuillan, un portavoce di Larry Silverstein: “ Nel pomeriggio dell'11 settembre, il signor Silverstein parlò con il comandate del dipartimento dei Vigili del Fuoco che si trovava sul posto, presso l'Edificio 7 del WTC. Il comandante disse al signor Silverstein che numerosi pompieri si trovavano all'interno dell'edificio e stavano tentando di contenere l'incendio. Il signor Silverstein espresse il suo parere che la cosa più importante fosse proteggere l'incolumità di quei pompieri, anche a costo di farli ritirare dall'edificio, se necessario. Quello stesso giorno, il comandante dei Vigli del Fuoco ordinò ai suoi uomini di ritirarsi dall'edificio e alle 17,20 la struttura crollò. Non ci furono vittime umane nell'Edificio 7 del WTC l'11 settembre”. Il signor McQuillan ha dichiarato che nell'usare il termine il signor Silverstein intendeva riferirsi al contingente di pompieri ancora presenti nell'edificio. Un altro soccorritore aggiunge che c'erano “incendi tremendi. Alla fine ci tirarono fuori”. I resoconti di prima mano delle operazioni di soccorso all'Edificio 7 narrano una storia coerente è quest'ultima citazione utilizza la parola “pull” per descrivere la ritirata dei pompieri dalle adiacenze dell'edificio, proprio come afferma McQuillan nelle sue dichiarazioni. Infatti vi sono ampie concordanze fra la risposta di McQuillan e le testimonianze dei pompieri, compresi questi fatti: 1. 2. 3. 4. i pompieri erano nelle vicinanze dell'Edificio 7 l'11 settembre; le loro attività inclusero missioni di evacuazione e soccorso; i pompieri rimasero nei dintorni dell'Edificio 7 fino al tardo pomeriggio dell'11 settembre; intorno alle 15 dell'11 settembre, i pompieri si resero conto che l'Edificio 7 sarebbe probabilmente crollato; si ritirarono dall'edificio poco dopo essersi resi conto del probabile crollo e lo osservarono avvenire intorno alle 17,20. Nonostante le obiezioni dei complottisti, la “versione ufficiale” è logicamente coerente e supportata da prove. Invece, la versione raccontata dal Movimento per la verità sull'11/9 è costellata di buchi. La strategia del governo appare completamente incoerente nei resoconti del Movimento per la verità: uccidere quasi 3000 persone nella distruzione delle due torri principali, e poi lasciare agli inquilini dell'Edificio 7 un intero pomeriggio per fuggire. Dovremmo anche sottolineare che il presunto complotto dell'11 settembre sarebbe stato inutilmente complicato, dal momento che gli edifici erano stati predisposti per una demolizione controllata e anche scelti come bersaglio degli aerei. Perché non limitarsi a eseguire una demolizione controllata, lasciando perdere gli aerei e gettando la colpa su un movimento terroristico a scelta? C'è anche un altro problema, che anche il Movimento per la verità sull'11/9 riconosce: preparare un edificio per la demolizione richiede molto tempo. Di solito un edificio destinato alla demolizione è già parzialmente smantellato per permettere un più ravvicinato contatto degli esplosivi con la struttura. Ma dal momento che tutti gli edifici del WTC rimasero occupati fino all'11 settembre, come avrebbe fatto il governo ad accedere alle torri e a predisporle per una demolizione controllata senza che nessuno se ne accorgesse? Questo è uno scenario oltremodo impossibile. Il pentagono Molte persone nel Movimento per la verità sull'11/9 ritengono che il pentagono in realtà non sia sto colpito dal volo 77, come invece riporta la cosiddetta “versione ufficiale”. Invece, essi credono che il governo degli Stati Uniti abbia in qualche modo organizzato una messa inscena per produrre i danni all'edificio. Fu l'autore francese Thierry Meysan ad attirare per primo l'attenzione su quest'asserzione: nel suo libro LE PENTAGATE, egli dichiara che il danno riportato dal Pentagono era troppo risultato per essere il risultato dello schianto di un Boeing 757. il documentario Loose Change afferma che il foro lasciato nel pentagono dal presunto aereo era un singolo foro, di non più di 5 metri di diametro e che non furono ritrovati resti del volo 77 sul luogo dell'impatto. Come le argomentazioni precedentemente discusse secondo le quali l'Edificio 7 non sarebbe stato danneggiato abbastanza da crollare da solo, le obiezioni circa le dimensioni del foro lasciato dal Volo 77 nel Pentagono si basano su una scelta selettiva della prospettiva. Alcuni sembrano inoltre non accettare che la forma del foro corrisponde a quella che ci si aspetterebbe da un impatto di un aereo. Ma la pretesa che l'aereo dovesse lasciare un foro immediatamente riconoscibile nell'edificio è una falsa convinzione: un Boeing 757 lanciato ad alta velocità non lascia una sagoma da cartone animato in un edificio in cemento e mattoni. E l'asserzione che non sono stati ritrovati resti del volo 77 sul luogo dell'impatto è semplicemente assurda: molte fotografie prese nell'area dello schianto al Pentagono mostrano chiaramente parti di un aeroplano tra i rottami. Se però vi sono così tante prove che un aereo si schiantò contro il Pentagono, perchè il corrispondente della CNN Jamie McIntyre riferì di non riuscire a vederne? La risposta è che McIntyre non disse affatto una cosa del genere e che il Movimento per la verità sull'11/9 manipola ancora una volta gli indizi in maniera selettiva per adattarli alle proprie conclusioni. Il Volo 77 arrivò volando a bassissima quota e ci si chiedeva se avesse colpito il suono appena prima di raggiungere il Pentagono. La risposta di McIntyre, se citata per intero, chiarisce che il giornalista sta affermando che non ci sono segni che l'aereo abbia colpito il suolo prima di colpire il Pentagono, ma di certo non sta negando che l'aereo abbia impattato contro l'edificio. McIntyre non mette mai in dubbio che i danni al Pentagono siano stati prodotti dallo schianto di un aereo e infatti riferisce di aver visto molti pezzi dell'aeromobile intorno al luogo dell'impatto in uno spezzone precedente della trascrizione del servizio della CNN. Naturalmente questo non ha impedito ai teorici del complotto di selezionare e scegliere le prove che promuovono le loro idee. Global Positioning System Il Global Positioning System (abbreviato in GPS, a sua volta abbreviazione di NAVSTAR GPS, acronimo di NAVigation System Time And Ranging Global Position System), è un sistema di posizionamento su base satellitare, a copertura globale e continua, gestito dal dipartimento della difesa statunitense. Storia del GPS Nel 1991 gli USA aprirono al mondo il servizio con il nome SPS (Standard Positioning System), con specifiche differenziate da quello militare denominato PPS (Precision Positioning System). In pratica veniva introdotta la cosiddetta Selective Availability (SA) che introduceva errori intenzionali nei segnali satellitari allo scopo di ridurre l'accuratezza della rilevazione, consentendo precisioni solo nell'ordine di 100-150 m. Il GPS è stato creato in sostituzione del precedente sistema, il Transit, quando gli USA, rinunciando alla Selective Availability, hanno reso il primo accurato quanto il secondo, supportandolo con una rete di 24 satelliti artificiali. La degradazione del segnale è stata disabilitata dal mese di maggio 2000, grazie a un decreto del Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, mettendo così a disposizione la precisione attuale di circa 10-20 m. Nei modelli per uso civile è presente un dispositivo che inibisce il funzionamento ad altezze e velocità superiori a certi valori, per impedirne il montaggio su missili improvvisati. L'UE ha in progetto il completamento di una propria rete di satelliti, il Sistema di posizionamento Galileo, per scopi civili, fra i quali il GPS. Questo progetto ha un'evidente valenza strategica in quanto la rete americana è proprietà dei soli Stati Uniti d'America ed è gestita da autorità militari, che, in particolari condizioni, potrebbero decidere discrezionalmente e unilateralmente di ridurre la precisione o bloccare selettivamente l'accesso al sistema; la condivisione dell'investimento e della proprietà da parte degli stati utilizzatori garantisce continuità, accessibilità e interoperabilità del servizio. Funzionamento del sistema Il sistema di navigazione si articola nelle seguenti componenti: un complesso di 27 satelliti, di cui 3 non attivi divisi in gruppi di quattro su ognuno dei sei piani orbitali (distanti 55° fra loro) 2 cicli al giorno una rete di stazioni di tracciamento (tracking station) un centro di calcolo (computing station) due stazioni di soccorrimento (injection stations) un ricevitore GPS Satelliti Sono disposti su 6 piani orbitali inclinati di 55° rispetto al piano equatoriale (quindi non coprono le zone polari) a forma di ellissi a bassa eccentricità. Ogni piano orbitale ha 3 o 4 satelliti, e i piani sono disposti in modo tale che ogni utilizzatore sulla terra possa ricevere i segnali di almeno 5 satelliti. La loro quota è di 20 200 km e compiono due orbite complete in un giorno siderale. Ciascun satellite emette sulle frequenze di 1,2 e 1,5 GHz derivate da un unico oscillatore ad alta stabilità. Lo scopo della doppia frequenza è quello di eliminare l'errore dovuto alla rifrazione atmosferica. Su queste frequenze portanti, modulate in fase, vengono emessi i messaggi di effemeride, ciascuno della durate di due minuti; essi iniziano e terminano ai minuti pari interi del GMT. Questi messaggi di effemeride contengono il segnale orario e i parametri orbitali del satellite. In tal modo il ricevitore GPS, mentre effettua il conteggio doppler, riceve i parametri dell'orbita da cui deriva la posizione del satellite: viene così a disporre di tutti gli elementi necessari a definire nello spazio la superficie di posizione. In orbita vi sono 24 satelliti per la trasmisione di dati GPS, più 3 di scorta. Da questo si evince che da un punto del globo terrestre il ricevitore riesce a vedere solo la metà di essi, quindi 12. Ma non li vedrà mai tutti e 12 per via della loro inclinazione rispetto all' equatore. In più il ricevitore GPS stesso fa una discriminazione dei satelliti: preferisce quelli più perpendicolari possibile per questione di ricezione del timing in quanto il dato da quelli con più inclinazione arriverebbe con maggiore ritardo. Stazioni di tracciamento e centro di calcolo Il tracciamento dei satelliti comprende tutte quelle operazioni atte a determinare i parametri dell'orbita. A ciò provvedono 4 stazioni principali dette appunto di tracciamento (main tracking stations) e un centro di calcolo (computing center), tutti situati in territorio USA, ed in particolare a Wahiova (Hawai), Point Mogu (California), Prospect Harbur (Maine) e Rosemount (Minnesota). Point Mogu è anche sede del centro di calcolo. Ogni volta che ciascun satellite nel suo moto orbitale sorvola il territorio americano le stazioni di tracciamento ne registrano i dati doppler che vengono avviati al centro di calcolo e qui valorizzati per la determinazione dei parametri orbitali. Per risolvere questo problema è stato necessario venire in possesso di un fedele modello matematico del campo gravitazionale terrestre. La costruzione di questo modello è stato uno dei problemi di più ardua soluzione nello sviluppo del progetto Transit da cui è derivato l'attuale Navstar. I risultati di questa indagine sul campo gravitazionale terrestre, che sono di vasta portata dal punto di vista geodetico, possono riassumersi in una immagine del globo nella quale vengono riportate le linee di eguale scostamento del Geoide (LMM) dall'ellissoide di riferimento APL. Ricevitore GPS Intersecando tre circonferenze il cui raggio è la distanza dal satellite (che conosciamo) con la superficie terrestre si può individuare un punto su di essa Il principio di funzionamento si basa su un metodo di posizionamento sferico, che consiste nel misurare il tempo impiegato da un segnale radio a percorrere la distanza satellite-ricevitore. Conoscendo il tempo impiegato dal segnale per giungere al ricevitore e l'esatta posizione di almeno 3 satelliti per avere una posizione 2D (bidimensionale), e 4 per avere una posizione 3D (tridimensionale), è possibile determinare la posizione nello spazio del ricevitore stesso. Tale procedimento, chiamato trilaterazione, utilizza solo informazioni di distanza ed è simile alla triangolazione, dal quale tuttavia si differenzia per il fatto di fare a meno di informazioni riguardanti gli angoli. La precisione può essere ulteriormente incrementata grazie all'uso di sistemi come il WAAS (statunitense) o l'EGNOS (europeo), perfettamente compatibili tra di loro. Consistono in uno o due satelliti geostazionari che inviano dei segnali di correzione. La modalità Differential-GPS (DGPS) utilizza un collegamento radio per ricevere dati DGPS da una stazione di terra e ottenere un errore sulla posizione di un paio di metri. La modalità DGPS-IP sfrutta, anziché onde radio, la rete Internet per l'invio di informazioni di correzione. Esistono in commercio ricevitori GPS ("esterni"), interfacciabili mediante porta USB o connessioni senza fili come il Bluetooth, che consentono di realizzare navigatori GPS su vari dispositivi: palmari, PC, computer portatili, e, se dotati di sufficiente memoria, anche telefoni cellulari. Per la navigazione esistono software appositi, proprietari o open source che utilizzano una cartografia, anch'essa pubblica o proprietaria. GPS e Teoria della Relatività Gli orologi satellitari sono affetti dalle conseguenze della Teoria della Relatività. Infatti, a causa degli effetti combinati della velocità relativa, che rallenta il tempo sul satellite di circa 7 microsecondi al giorno, e della minore curvatura dello spaziotempo a livello dell'orbita del satellite, che lo accelera di 45 microsecondi, il tempo sul satellite scorre ad un ritmo leggermente più veloce che a terra, causando un anticipo di circa 38 microsecondi al giorno, e rendendo necessaria una correzione automatica da parte dell'elettronica di bordo. Questa osservazione fornisce un'ulteriore prova dell'esattezza della teoria in un'applicazione del mondo reale. L'effetto relativistico rilevato è infatti esattamente corrispondente a quello calcolabile teoricamente, almeno nei limiti di accuratezza forniti dagli strumenti di misura attualmente disponibili. Il GPS nell'utilizzo quotidiano I moderni ricevitori GPS hanno raggiunto dei costi molto contenuti. Dopo il telefono cellulare stiamo assistendo alla diffusione di un nuovo cult: quello del navigatore satellitare personale. Il mercato offre ormai soluzioni a basso costo per tutti gli impieghi e per tutte le tasche che si rivelano efficaci non soltanto per la navigazione satellitare in sé e per sé, ma anche per usi civili, per il monitoraggio dei servizi mobili e per il controllo del territorio. Esistono varie soluzioni: Integrate: sono dispositivi portatili All-in-One che incorporano un ricevitore GPS, un display LCD, un altoparlante, il processore che esegue le istruzioni, date solitamente da un sistema operativo proprietario, uno slot per schede di memoria ove memorizzare la cartografia. Ibride: sono dispositivi portatili (PC, Palmari, SmartPhone) che, nati per scopi diversi, sono resi adatti alla navigazione satellitare attraverso il collegamento di un ricevitore GPS esterno (Bluetooth o via cavo) e l'adozione di un software dedicato, in grado di gestire la cartografia. Con la diffusione capillare dei sistemi GPS, e il conseguente abbattimento dei costi dei ricevitori, molti produttori di telefoni cellulari hanno cercato di inserire un modulo GPS all'interno dei loro prodotti, aprendosi quindi al nuovo mercato dei servizi LBS (Location Base Services, servizi basati sul posizionamento). Tali servizi vengono sempre più sfruttati per offrire anche sul web dei servizi molto utili. Tuttavia, la relativa lentezza con cui un terminale GPS acquisisce la propria posizione al momento dell'accensione (in media, tra i 45 e i 90 secondi), dovuta alla necessità di cercare i satelliti in vista, ed il conseguente notevole impegno di risorse hardware ed energetiche, ha frenato in un primo momento questo tipo di abbinamento. Negli ultimi anni, però, è stato introdotto in questo tipo di telefoni il sistema Assisted GPS, detto anche "A-GPS", con cui è possibile ovviare a tali problemi: si fanno pervenire al terminale GPS, attraverso la rete di telefonia mobile, le informazioni sui satelliti visibili dalla cella a cui l'utente è agganciato. In questo modo un telefono A-GPS può in pochi secondi ricavare la propria posizione iniziale, in quanto si assume che i satelliti in vista dalla cella siano gli stessi visibili dai terminali sotto la sua copertura radio. Tale sistema è molto utile anche come servizio d'emergenza, ad esempio per localizzare mezzi o persone ferite in seguito ad un incidente. ALLEGATI 1-Cronologia: i voli del terrore. Volo 11 American Airlines Il volo 11 dell'American Airlines, operato con un Boeing 767-223ER (N334AA) la mattina dell'11 settembre 2001, alle 07.59 ora locale, partì dalla pista 4R dell'Aeroporto Internazionale Logan di Boston, Massachusetts, per un volo di 5 ore diretto a Los Angeles, California. A bordo del velivolo c'erano 81 passeggeri (compresi 5 attentatori), 9 assistenti di volo e 2 piloti. Poco dopo il decollo il volo 11 scomparve dagli schermi radar della FAA (Federal Aviation Administration) e smise di rispondere alle chiamate radio dei controllori del traffico aereo. Alle 08.24, il pilota di un altro velivolo, il volo 175 della United Airlines, riportò sulle frequenze radio del controllo del traffico aereo: "abbiamo sentito una trasmissione sospetta in fase di decollo da BOS. Sembrava qualcuno che avesse attivato il microfono e detto a qualcuno di restare seduto al suo posto". Meno di 90 secondi dopo, il volo 175 avrebbe subito la stessa sorte. Alle 08.45 il velivolo fu portato a schiantarsi tra l'80° e il 90° piano della torre nord del World Trade Center Plaza, nel distretto finanziario di New York. L'aereo colpì l'edificio ad una velocità di circa 350 nodi (circa 650 Km/h). Fu questo a causare, insieme all'ingente quantitativo di carburante a bordo del velivolo, i danni strutturali che portarono, 104 minuti più tardi, al collasso dell'edificio. Erano le 10.29 ora locale Volo 175 United Airlines Il volo 175 della United Airlines, operato con un Boeing 767-222 (N612UA), la mattina dell'11 settembre 2001, alle 08.14 ora locale, decollò dalla pista 9 dell'Aeroporto Internazionale Logan di Boston, Massachusetts per un volo di 5 ore diretto a Los Angeles, California. A bordo del velivolo c'erano 56 passeggeri (compresi 5 attentatori), 7 assistenti di volo e 2 piloti. Poco dopo il decollo, pochi attimi dopo che il suo equipaggio aveva riferito all'ARTCC (Air Route Traffic Control Center) di Boston le trasmissioni radio sospette di un altro aeromobile, il volo 175 scomparve dagli schermi radar della FAA (Federal Aviation Administration) e smise di rispondere alle chiamate radio dei controllori del traffico aereo. Alle 09.03, mentre centinaia di telecamere inquadravano il complesso del World Trade Center, il velivolo si schiantò tra il 65° e il 75° piano della torre sud del WTC. Le immagini fecero il giro del mondo. Come il volo American Airlines 11 otto minuti prima, anche per l'UA 175 fu stimata una velocità di impatto di 350 nodi (circa 650 Km/h). I danni strutturali causarono il collasso dell'edificio 47 minuti dopo l'impatto, alle 09.50 Volo 77 American Airlines Il volo 77 dell'American Airlines,operato con un Boeing 757-223 (N644AA), la mattina dell'11 settembre 2001, alle 08.10 ora locale, decollò dalla pista 30 dell'Aeroporto Internazionale Washington Dulles per un volo di 4 ore diretto a Los Angeles, California. A bordo del velivolo c'erano 58 passeggeri (compresi 5 attentatori), 4 assistenti di volo e 2 piloti. Poco dopo il decollo il velivolo scomparve dagli schermi radar della FAA (Federal Aviation Administration) e smise di rispondere alle chiamate radio dei controllori del traffico aereo. L'aereo invertì la rotta e si diresse verso Washington, D.C. da nord, si abbassò di quota sopra la Casa Bianca, fece una virata di 270°, e si diresse verso l'edificio del Dipartimento della Difesa (il Pentagono), nella Virginia del nord. Testimoni oculari dichiararono che l'aereo sradicò alberi e lampioni mentre scendeva ad alta velocità, prima di colpire la facciata sud-ovest del Pentagono Volo 93 United Airlines Il volo 93 della United Airlines, operato con un Boeing 757-222 (N591UA) la mattina dell'11 settembre 2001, alle 08.01 ora locale, decollò dall'Aeroporto Internazionale di Newark, vicino a New York, per un volo di 5 ore diretto a San Francisco, California. A bordo del velivolo c'erano 37 passeggeri (compresi 4 attentatori), 5 assistenti di volo e 2 piloti. Diversamente dagli altri aerei coinvolti nell'attentato, il volo United Airlines 93 procedette normalmente lungo la sua rotta per più di un'ora e fu dirottato approssimativamente alle 09.35, nei pressi di Cleveland, Ohio mentre saliva a 35.000 piedi di quota. La rotta del velivolo fu cambiata per dirigersi, presumibilmente, verso Washington, D.C. Gli investigatori ritengono che fosse diretto verso la Casa Bianca o verso il Campidoglio. Tuttavia non raggiunse mai il suo obiettivo. Durante le prime fasi del dirottamento, pare che due assistenti di volo furono uccisi nella parte anteriore del velivolo, mentre i restanti passeggeri furono fatti spostare verso la coda. Durante tutto il dirottamento, sembra che a questi passeggeri e all'equipaggio fu permesso di utilizzare i telefoni cellulari e i sistemi telefonici di bordo per comunicare con i propri cari. La versione ufficiale sostiene che a bordo del velivolo vi fu una votazione tra i passeggeri per decidere se obbedire ai dirottatori o tentare di riprendere il controllo dell'aereo. Sembra che questa seconda ipotesi vinse portando ad una colluttazione fra i passeggeri e i dirottatori. Forse non sapremo mai cosa successe realmente a bordo del volo United Airlines 93, quello che è certo è che il velivolo si schiantò al suolo, in un campo, nei pressi di Somerset, in Pennsylvania. * 2- PROCESSO DI NORIMBERGA Processo di Norimberga è il nome comunemente usato per due distinti gruppi di processi ai nazisti coinvolti nella seconda guerra mondiale e nella Shoah. I processi si tennero nella città tedesca di Norimberga (Nürnberg) dal 20 novembre 1945 al 1 ottobre 1946 nel Palazzo di Giustizia di Norimberga (l'unica corte tedesca abbastanza grande da poter contenere l'evento e che non fosse stata distrutta dai bombardamenti alleati). Il primo e più famoso di questi processi fu il Processo dei principali criminali di guerra davanti al Tribunale Militare Internazionale, che giudicò ventiquattro dei più importanti capi nazisti catturati (o ancora ritenuti in vita). Il secondo gruppo di processi fu per criminali di guerra inferiori, tenuto sotto la Legge numero 10 del Consiglio di Controllo, e comprese anche il famoso Processo ai dottori. Questa voce tratta principalmente i processi del primo gruppo. ** 3- Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (Approvata dall'assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948) Il 10 dicembre 1948, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato e proclamato la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il cui testo completo è riportato di seguito. Dopo questa solenne deliberazione, l'Assemblea delle Nazioni Unite diede istruzioni al Segretario Generale di provvedere a diffondere ampiamente questa Dichiarazione e, a tal fine, di pubblicarne e distribuirne il testo non soltanto nelle cinque lingue ufficiali dell'Organizzazione internazionale, ma anche in quante altre lingue fosse possibile usando ogni mezzo a sua disposizione. Il testo ufficiale della Dichiarazione è disponibile nelle lingue ufficiali delle Nazioni Unite, cioé cinese, francese, inglese, russo e spagnolo. Preambolo Considerando che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti eguali e inalienabili costituisce il fondamento della libertà, della pace e della giustizia nel mondo; Considerando che il non riconoscimento e il disprezzo dei diritti dell'uomo hanno condotto ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell'umanità e che l'avvento di un mondo in cui gli esseri umani saranno liberi di parlare e di credere, liberati dal terrore e dalla miseria, è stato proclamato come l'aspirazione più alta dell'uomo; Considerando che i diritti dell'uomo siano protetti da un regime di diritto per cui l'uomo non sia mai costretto, in supremo ricorso, alla rivolta contro la tirannia e l'oppressione; Considerando che è indispensabile promuovere lo sviluppo di rapporti amichevoli tra le Nazioni; Considerando che nella Carta dei popoli le Nazioni Unite hanno proclamato di nuovo la loro fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nell'uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne, e che si sono dichiarati decisi a favorire il progresso sociale e a instaurare le migliori condizioni di vita nella libertà più grande; Considerando che gli Stati-Membri si sono impegnati ad assicurare, in cooperazione con l'Organizzazione delle Nazioni Unite, il rispetto universale ed effettivo dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; Considerando che una concezione comune di questi diritti di libertà è della massima importanza per assolvere pienamente a tale impegno; L'Assemblea generale proclama la presente Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo come l'ideale comune da raggiungere da tutti i popoli e da tutte le nazioni affinché tutti gli individui e tutti gli organi della società, tenendo sempre presente allo spirito tale dichiarazione, si sforzino, attraverso l'insegnamento e l'educazione, di sviluppare il rispetto di tali diritti e libertà e di assicurarne, attraverso misure progressive di ordine nazionale e internazionale, il riconoscimento e la applicazione universale ed effettiva, sia fra le popolazioni degli Stati-Membri stessi, sia fra quelle dei territori riposti sotto la loro giurisdizione. Articolo 1 Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire in uno spirito di fraternità vicendevole. Articolo 2 Ognuno può valersi di tutti i diritti e di tutte le libertà proclamate nella presente dichiarazione, senza alcuna distinzione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, d'opinione politica e di qualsiasi altra opinione, d'origine nazionale o sociale, che derivi da fortuna, nascita o da qualsiasi altra situazione. Inoltre non si farà alcuna distinzione basata sullo statuto politico, amministrativo o internazionale del paese o del territorio a cui una persona appartiene, sia detto territorio indipendente, sotto tutela o non autonomo, o subisca qualunque altra limitazione di sovranità. Articolo 3 Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della sua persona. Articolo 4 Nessuno potrà essere tenuto in schiavitù né in servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi sono proibiti in tutte le loro forme. Articolo 5 Nessuno sarà sottoposto a tortura né a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Articolo 6 Ognuno ha diritto al riconoscimento della propria personalità giuridica, in ogni luogo. Articolo 7 Tutti sono uguali di fronte alla legge ed hanno diritto - senza distinzione - ad un'eguale protezione contro qualsiasi provocazione ad una simile discriminazione. Articolo 8 Ogni persona ha diritto ad un ricorso effettivo davanti alle competenti giurisdizioni nazionali contro atti che violano i diritti fondamentali riconosciutile dalla Costituzione o dalla legge. Articolo 9 Nessuno può arbitrariamente essere arrestato, detenuto né esiliato. Articolo 10 Ogni persona ha diritto - in piena eguaglianza - a che la sua causa sia ascoltata equamente e pubblicamente da un tribunale indipendente e imparziale, che deciderà sia dei suoi diritti e dei suoi obblighi, sia del fondamento di qualunque accusa in materia penale, rivolta contro di essa. Articolo 11 1) Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a che la sua colpevolezza sia stata legalmente stabilita nel corso di un processo pubblico, in cui tutte le garanzie necessarie alla sua difesa le siano state assicurate; 2) Nessuno verrà condannato per azioni o omissioni, che al momento in cui sono state commesse non costituiscono reato in base al diritto nazionale o internazionale. Parimenti non sarà inflitta alcuna pena più forte di quella che era praticata al momento in cui il reato è stato commesso. Articolo 12 Nessuno sarà oggetto di ingerenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza, né di lesioni al suo onore ed alla sua reputazione. Ogni persona ha diritto alla protezione della legge contro simili ingerenze e lesioni. Articolo 13 1) Ogni persona ha diritto di circolare liberamente e di scegliere la propria residenza entro i confini di uno Stato; 2) Ogni persona ha diritto di abbandonare qualsiasi paese, compreso il proprio, e di rientrare nel proprio paese. Articolo 14 1) Di fronte alla persecuzione ogni persona ha diritto di cercare asilo e di beneficiare dell'esilio in altri paesi; 2) Tale diritto non si può invocare in caso di persecuzione realmente fondata su un reato di diritto comune o su azioni contrarie ai principii e agli scopi delle Nazioni Unite. Articolo 15 1) Ogni individuo ha diritto ad una nazionalità; 2) Nessuno può arbitrariamente venir privato né della propria nazionalità né del diritto di cambiare nazionalità. Articolo 16 1) Raggiunta l'età nubile, l'uomo e la donna, senza restrizione di sorta per ciò che riguarda la razza, la nazionalità o la religione, hanno diritto di sposarsi e di fondare una famiglia. Hanno pari diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e al momento del suo scioglimento; 2) Il matrimonio non si può concludere che con il pieno e libero consenso dei futuri sposi; 3) La famiglia è l'elemento naturale e fondamentale della società e ha diritto alla protezione della società e dello Stato. Articolo 17 1) Ogni persona, tanto sola quanto in collettività, ha diritto alla proprietà; 2) Nessuno può arbitrariamente esser privato della sua proprietà. Articolo 18 Ogni persona ha diritto alla libertà di cambiare religione, come pure di manifestare la propria religione o convinzione sola o in comune, in pubblico o in privato, con l'insegnamento, le pratiche, il culto e la celebrazione dei riti. Articolo 19 Ogni individuo ha diritto alla libertà d'opinione e d'espressione, il che implica il diritto di non venir disturbato a causa delle proprie opinioni e quello di cercare, ricevere e diffondere con qualunque mezzo di espressione, senza considerazione di frontiere, le informazioni e le idee. Articolo 20 1) Ogni persona ha il diritto alla libertà di riunione e di associazione pacifica; 2) Nessuno può essere costretto a far parte di una associazione. Articolo 21 1) Ogni persona ha diritto di partecipare alla direzione degli affari pubblici del suo paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente eletti; 2) Ogni persona ha diritto ad accedere, in condizioni di uguaglianza, alle cariche pubbliche del proprio paese; 3) La volontà del popolo è il fondamento dell'autorità dei poteri pubblici; questa volontà dev'essere espressa con elezioni serie, che devono aver luogo periodicamente, a suffragio universale uguale e con voto segreto o seguendo una procedura equivalente, che garantisca la libertà del voto. Articolo 22 Ogni persona, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale; ha la facoltà di ottenere soddisfazioni dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità e al libero sviluppo della sua personalità, grazie allo sforzo nazionale ed alla cooperazione internazionale, tenuto conto dell'organizzazione e delle risorse dei singoli paesi. Articolo 23 1) Ogni persona ha diritto al lavoro, alla libera scelta del suo lavoro, a condizioni eque e soddisfacenti di lavoro e alla protezione contro la disoccupazione; 2) Tutti hanno diritto, senza discriminazione, ad un salario uguale per lavoro uguale; 3) Chi lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente, che assicuri a lui ed alla sua famiglia un'esistenza conforme alla dignità umana e integrata, se opportuno, da ogni altro mezzo di protezione sociale; 4) Ogni persona ha diritto di fondare con altri dei sindacati e affiliarsi a dei sindacati per la difesa dei suoi interessi. Articolo 24 Ogni persona ha diritto al riposo e allo svago, in particolare ad una ragionevole limitazione della durata del lavoro ed a vacanze periodiche pagate. Articolo 25 1) Ogni persona ha diritto ad un livello di vita sufficiente ad assicurare la salute e il benessere suo e della sua famiglia, specialmente per quanto concerne l'alimentazione, l'abbigliamento, l'alloggio, le cure mediche e i servizi sociali necessari; ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, di malattia, d'invalidità, di vedovanza, o negli altri casi di perdita dei propri mezzi di sussistenza in seguito a circostanze indipendenti dalla sua volontà; 2) La maternità e l'infanzia hanno diritto ad un aiuto e ad un'assistenza speciali.Tutti i bambini, nati sia nel matrimonio sia fuori del matrimonio, godono della medesima protezione sociale. Articolo 26 1) Ogni persona ha diritto alla educazione. Essa dev'essere gratuita, almeno per quanto riguarda l'insegnamento elementare e fondamentale. L'insegnamento elementare è obbligatorio. L'insegnamento tecnico e professionale deve essere diffuso. L'accesso agli studi superiori deve essere aperto a tutti, in piena uguaglianza, in base ai meriti; 2) L'educazione deve mirare al pieno sviluppo della personalità umana e al rafforzamento del rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Essa deve favorire la comprensione, la tolleranza e l'amicizia tra tutte le Nazioni e tutti i gruppi razziali o religiosi, come pure lo sviluppo delle attività delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace; 3) I genitori hanno in primo luogo il diritto di scegliere il genere di educazione da impartire ai loro figli. Articolo 27 1) Ogni persona ha il diritto di partecipare liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico e ai benefici che ne risultano; 2) Ognuno ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria o artistica di cui è autore. Articolo 28 Ogni persona ha diritto a che, sul piano sociale e su quello internazionale, regni un ordine tale che i diritti e le libertà enunciate nella presente Dichiarazione possano trovarvi pieno sviluppo. Articolo 29 1) L'individuo ha dei doveri nei confronti della comunità, nella quale è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità; 2) Nell'esercizio dei suoi diritti e nel godimento delle sue libertà ognuno è soggetto unicamente alle limitazioni stabilite dalla legge, esclusivamente allo scopo di assicurare il riconoscimento ed il rispetto dei diritti e delle libertà altrui e di soddisfare alle giuste esigenze della morale, dell'ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica; 3) Tali diritti e libertà non potranno in alcun caso esercitarsi in opposizione agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite. Articolo 30 Nessuna disposizione della presente Dichiarazione può essere interpretata come implicante, per uno Stato, un gruppo o un individuo, un qualsiasi diritto di dedicarsi ad una attività o di compiere un'azione mirante alla distruzione dei diritti e delle libertà qui enunciate.