Elementi di dinamica E come energia L’energia è la grandezza fisica primitiva che sta a fondamento di tutti i fenomeni naturali; a partire da essa tutto può esistere e tutto alla fine sarà ricomposto in essa. L’energia può manifestarsi in varie forme diverse a seconda del fenomeno coinvolto. La forma più semplice di energia è quella che possiede un corpo in virtù del suo stato di moto ed è chiamata energia cinetica. Dato un corpo di massa m e di velocità v definiamo energia cinetica K del corpo: K 1 2 mv 2 L’unita di misura è il Joule ed è l’energia che compete ad un corpo di massa 2 kg per m s perseverare nel suo stato di moto rettilineo uniforme con velocità v 1 . La ragione di tale definizione può trovare giustificazione nel seguente esperimento: consideriamo la caduta di alcuni pesi su una superficie di argilla e misuriamo gli effetti provocati dalla caduta sull’argilla attraverso la misura della penetrazione del peso sull’argilla. L’energia cinetica risulta essere direttamente proporzionale al quadrato della velocità e suggerisce la possibilità di misurare l’energia anche attraverso le deformazioni subite da un corpo. Ora ci proponiamo di studiare come varia l’energia cinetica del corpo in presenza di una variazione costante della velocità del corpo in un certo intervallo di tempo (il corpo si muove, quindi, di moto rettilineo uniformemente accelerato): Supponiamo che il corpo all’istante t0 sia in moto con velocità v0 quindi con l’energia cinetica K0, in un istante successivo t la sua velocità sia v e la sua energia cinetica K Allora 1 2 1 2 1 mv mv0 m v 2 v02 2 2 2 1 1 1 1 2 m v0 at v02 mv02 2atv0 a 2 t 2 v02 m2atv0 a 2 t 2 ma tv0 at 2 mas 2 2 2 2 K K0 quindi K K0 mas Definiamo forza la grandezza F=m a Quindi K K0 Fs che chiamiamo “Teorema delle forze vive”: alla variazione di energia cinetica del corpo corrisponde sempre il prodotto della forza F per lo spostamento s. Possiamo caratterizzare più specificatamente il concetto di forza: Poiché F è direttamente proporzionale all’accelerazione a si evince che la forza è una grandezza vettoriale. L’unità di misura della forza è il Newton (N) che definiremo operativamente in seguito; basta ora sapere che 1N 1kg 1 m in accordo con la definizione. s2 1 Osserviamo che l’equazione F=ma contiene in se i primi due prinicipi della dinamica e che non è stata fatta alcuna ipotesi sul tipo di forza che agisce sul corpo di massa m. Se rappresentiamo in un diagramma cartesiano la velocità lungo l’asse orizzontale e l’energia cinetica lungo l’asse verticale : K otteniamo una parabola con la concavità rivolta verso l’alto e vertice ubicato nell’ origine O, in accordo con l’equazione K O 1 m v2 2 v Analizzando l’espressione della variazione di energia cinetica si può definire una nuova grandezza : L m a s F s chiamata Lavoro, sottintendendo che forza e spostamento devono essere in tal caso vettori paralleli tra loro. In sostanza il Lavoro esprime la variazione di energia cinetica subita da un corpo lungo il suo moto e perciò un cambiamento di energia in genere. Nel caso particolare visto, essendo la forza costante, se si traccia un diagramma cartesiano riportando la forza in verticale e lo spostamento in orizzontale, si ha: F Il lavoro compiuto da una forza ma L costante F = ma per spostare un corpo di una lunghezza s = s0 è la misura dell’area tratteggiata s del rettangolo di base s0 ed altezza ma O s0 del diagramma cartesiano di assi s ed F 2 q come quantità di moto Vediamo ora, a partire dall’equazione F=ma, di definire altre due grandezze fisiche. Ricordando che l’espressione a v2 v1 v t 2 t1 t esprime l’accelerazione media di un corpo, con v1 velocità iniziale del corpo all’istante t1 e v2 velocità finale del corpo all’istante t2 , mentre rappresenta l’accelerazione istantanea del medesimo quando i due tempi sono molto vicini, si può riscrivere l’equazione della dinamica nella forma: F m v2 v1 t moltiplicando entrambi i membri dell’equazione per t si ricava: F t m v2 v1 m v2 m v1 se definiamo con I F t l’impulso di una forza, definito come il prodotto tra la forza e l’intervallo di tempo in cui essa agisce, con q m v la quantità di moto di un corpo, definita come il prodotto tra la massa e la velocità di un corpo si ottiene: I q2 q1 q dove q1 e q2 sono le quantità di moto rispettivamente agli istanti t1 e t2 . Si può allora scrivere: F q t da cui segue che quando F = 0 dev’essere q = q2 – q1 = 0, per cui q2 = q1 che in fisica si esprime attraverso il Principio di conservazione della quantità di moto di un corpo: la quantità di moto di un corpo, in assenza di forze esterne, si conserva: q = costante. Tale risultato può apparire banale in quanto rappresenta un diverso modo di enunciare la legge d’inerzia: infatti da F = 0 segue a = 0 e dunque v = v2 – v1 = 0 per cui v1 = v2 e dunque q1 = q2 essendo la massa costante. Tale principio diventa meno banale se lo si estende ad un sistema costituito da da o più corpi interagenti tra loro. Definiamo “isolato”un sistema costituito da più corpi interagenti tra loro ma non soggetti ad alcuna forza esterna ad essi: le uniche forze presenti sono quelle di interazione tra i corpi del sistema stesso. Consideriamo per semplicità il caso di un sistema isolato di due corpi di massa m1 ed m2 : F12 F21 m1 m2 per il principio di azione e reazione (IIIº Principio della dinamica), la forza F12 esercitata dal corpo 1 sul corpo 2 è uguale e contraria alla forza F21 esercitata dal corpo 2 sul corpo 1: F12 = - F21 ovvero : F12 + F21 = 0. Se indichiamo con q(t) la quantità di moto di un corpo qualsiasi al generico istante t, nel tempo intercorso tra l’istante iniziale t1 e l’istante iniziale t2 le quantità di moto dei corpi 1 e 2, in virtù della forza reciproca da essi esercitata, subiranno un cambiamento secondo la seguente tabella: 3 t t1 t2 q1(t) q1(t1) q1(t2) q2(t) q2(t1) q2(t2) t = t 2 - t1 q1 = q1(t2) - q1(t1) q2 = q2(t2) - q2(t1) q 2 q e F21 1 , segue che : t t F12 F21 t q2 q1 q2 t 2 q2 t1 q1 t 2 q1 t1 q1 t 2 q2 t 2 q1 t1 q2 t1 0 E poichè F12 ovvero: q1 t 2 q2 t 2 q1 t1 q2 t1 Se indichiamo con q = q1 + q2 la quantità di moto totale dell’intero sistema, alla fine si ricava: qt 2 qt1 ovvero la quantità di moto totale del sistema si conserva. Urti Tra le maggiori applicazioni del principio di conservazione della quantità di moto si può annoverare la “Teoria degli urti”. Essa studia l’evoluzione di un sistema isolato di due corpi capaci di interagire tra loro unicamente attraverso un urto. Consideriamo ad es. due biglie libere di rotolare in un piano e provenienti da due direzioni oblique: una dotata di una quantità di moto vettoriale iniziale 0 q1 q01 e l’altra dotata di una quantità di moto vettoriale iniziale q02 ; essendo il sistema completamente isolato le quantità di moto delle rispettive biglie restano inalterate per tutto il periodo antecedente l’urto; 0 q2 la quantità di moto vettoriale totale di tale sistema sarà data dalla somma vettoriale delle quantità di moto dei singoli corpi q0 = q01 + q02 ; essa si può ricavare con la consueta regola di composizione del parallelogramma: q01 q02 q 02 q01 + q02 possiamo ora porci la seguente domanda: cosa succede al sistema dei due corpi dopo l’urto? che fine fanno le due biglie nell’istante successivo? L’unica cosa certa è che il sistema deve rispettare il principio di conservazione e dunque la quantità di moto totale del sistema deve restare invariata 4 anche dopo l’urto, ovvero se q1 e q2 sono le quantità di moto delle rispettive biglie dopo l’urto dev’essere q = q1 + q2 = q01 + q02 = q0 , inoltre i due vettori devono giacere sullo stesso piano. Ma affinché ciò di verifichi, possono verificarsi idealmente due casi: 1 caso: le biglie dopo l’urto proseguono il moto unite come se fossero un unico corpo la cui quantità di moto è proprio la somma vettoriale delle precedenti quantità di moto da esse posseduta: q01 q 02 q = q01 + q02 è questo il caso di “urto completamente anelastico”. Esiste un criterio operativo che, dal punto di vista algebrico, ci consente di stabilire quando ciò si verifichi. Infatti in un urto totalmente anelastico l’energia cinetica totale dell’intero sistema non si conserva : perciò se q01 = mv01 , q02 = mv02 , q1 = mv1 , q2 = mv2 , insieme alla conservazione della quantità di moto q q1 q 2 m1v m2 v m1v 01 m 2 v 0 2 q 01 q 0 2 q0 deve certamente verificarsi la seguente ineguaglianza : 1 1 1 2 2 m1v1 m2 v 2 m1 v 01 2 2 2 2 1 m2 v 0 2 2 2 Le ragioni di questa perdita di energia potranno essere chiarite all’interno degli argomenti di Termodinamica Si osservi che questa situazione è perfettamente equivalente all’inverso del caso dell’esplosione di un corpo in due frammenti: in tal caso infatti il corpo è costituito da due frammenti che viaggiano uniti con un’unica quantità di moto vettoriale, mentre dopo l’esplosione essi viaggiano in due direzioni distinte con due distinte quantità di moto vettoriali la cui somma deve però essere uguale a quella del corpo prima dell’esplosione: q q 02 q01 5 Vediamo un esempio di semplice applicazione: q01 q02 q consideriamo due biglie di gomma-piuma rispettivamente di massa m1 ed m2 posizionate su una stessa linea retta di un piano. Supponiamo che la prima biglia si muova verso la seconda lungo la medesima linea retta con una quantità di moto pari a q01 mentre la seconda biglia possiede una quantità di moto q02 più piccola (e quindi meno veloce) nella stessa direzione . Dopo l’urto le biglie restano attaccate e procedono insieme lungo la stessa direzione. Ne consegue che: Dopo l’urto dev’essere v1 = v2 = v Applicando il principio della conservazione della quantità di moto deve risultare: q q1 q 2 m1v m2 v m1v 01 m 2 v 0 2 q 01 q 0 2 q0 che si riduce a: m1 m2 v m1v 01 m2 v 0 2 tale equazione consente ad es., di determinare la velocità dopo l’urto conoscendo le velocità delle singole biglie precedenti questo: v m1v 01 m2 v 0 2 m1 m2 osserviamo che: Se le masse sono uguali ( m1 = m2 ) ne consegue che v v 01 v 0 2 Se la seconda biglia fosse ferma ( v02 = 0) segue che v m1 v 01 v 01 m1 m2 Il caso considerato è un esempio di urto totalmente anelastico in una dimensione 6 2 caso: le biglie dopo l’urto tornano a separarsi proseguendo in due direzioni distinte con due quantità di moto vettoriali distinte; poiché la somma vettoriale delle rispettive quantità di moto dopo l’urto deve uguagliare la somma delle precedenti, ne consegue che le due quantità di moto risulteranno scambiate: q1 = q02 e q2 = q01 q 01 q1 q02 q2 è questo il caso di “urto completamente elastico”. Anche in tal caso esiste un criterio operativo che, dal punto di vista algebrico, ci consente di stabilire quando ciò si verifichi; esso è esattamente opposto al criterio adottato in un urto totalmente anelastico. Infatti in un urto totalmente elastico l’energia cinetica totale dell’intero sistema si conserva : perciò se q01 = mv01 , q02 = mv02 , q1 = mv1 , q2 = mv2 devono verificarsi contemporaneamente la conservazione della quantità di moto e la conservazione dell’energia cinetica ovvero devono sussistere contemporaneamente le due equazioni m1v1 m2 v 2 m1v 01 m2 v 0 2 1 1 1 2 2 0 m1v1 m2 v 2 m1 v 1 2 2 2 2 1 m2 v 0 2 2 2 la risoluzione di tale sistema equivale alla risoluzione di un sistema l’equazione di una retta e l’equazione di un’ellisse e consente di ricavare ad es., le velocità assunte dai due corpi dopo l’urto in funzione delle velocità da essi possedute prima dell’urto. Prima di risolvere tale sistema consideriamo prima il caso semplice dell’urto totalmente elastico di una biglia in direzione orizzontale contro una parete verticale: q0 q prima dell’urto essa ha una velocità v0 e dunque una quantità di moto q0 = mv0 , successivamente all’urto essa avrà una quantità di moto q = mv. Poiché l’energia cinetica si conserva dev’essere : 1 2 1 2 mv mv0 2 2 da cui segue l’equazione v 2 v0 2 le cui soluzioni possibili sono v v0 ; non potendo però la biglia rimbalzare dalla parete resta la sola possibilità v = -v0 da cui segue q = -q0 , ovvero la quantità di moto dopo l’urto è uguale in intensità ma opposta in direzione. Questo è l’unico caso 7 (limitato infatti ad un sistema costituito da un singolo corpo) in cui la quantità di moto si conserva solo nell’intensità ma non dal punto di vista vettoriale! Ne consegue che il sistema in un intervallo di tempo breve t ha subito un cambiamento di quantità di moto vettoriale pari a: q = q – q0 = -q0 -q0 = -2q0 e dal teorema dell’impulso segue che il corpo durante l’urto risulta soggetto ad una forza: F q 2mv 0 t t Torniamo ora al nostro sistema che dopo aver semplificato il denominatore diventa: 0 0 m1v1 m2 v2 m1v 1 m2 v 2 2 2 0 2 0 m1v1 m2 v2 m1 v 1 m2 v 2 2 esso può essere riscritto nella forma: 0 0 m1v1 m1v 1 m2 v 2 m2 v 2 2 2 0 2 0 m1v1 m1 v 1 m2 v 2 m2 v 2 ovvero: 0 0 m1 v1 v 1 m2 v2 v 2 2 2 0 2 0 m1 v1 v 1 m2 v 2 v 2 2 2 tenendo conto dei prodotti notevoli e dividendo i membri della seconda equazione per i membri della prima: v1 v 01 v2 v 0 2 sostituendo l’espressione sistema: v2 v1 v 01 v 0 2 nella prima equazione si risolve il m1 m2 v 01 2m2 v 0 2 v 1 m1 m2 0 0 v m2 m1 v 2 2m1v 1 2 m1 m2 in particolare possiamo osservare che Nel caso di masse uguali ( m1 = m2 ) ne consegue che v1 v 0 2 ovvero le v 2 v 01 velocità dei due corpi si scambiano come può essere evidenziato nel caso di urto in una dimensione Nel caso in cui uno dei due corpi fosse inizialmente fermo, ad es. v02 = 0 le velocità dei due corpi dopo l’urto risultano essere dirette in senso opposto dal momento che il primo rimbalza, come si evince nel casi di urti monodimensionali essendo i segni delle due velocità opposti. 8 Elementi di Dinamica rotazionale. Si sono analizzati i principi della dinamica in relazioni ai moti traslazionali di un corpo, ovvero quei moti che avvengono su una retta a causa dell’azione di forze esercitate sui corpi. Vogliamo esaminare la situazione nel caso di moti rotazionali, ovvero di moti che avvengono lungo traiettorie chiuse, il più semplice dei quali è rappresentato dal moto circolare. Vediamo in particolare, se è possibile ritrovare i medesimi concetti nel caso elementare di moto circolare uniforme. Y L’espressione della velocità in un moto v circolare uniforme di raggio R e di P velocità angolare è data da: R v = R X O A perciò se il corpo che si muove lungo la circonferenza ha una massa m, esso dovrà possedere un’energia cinetica K 1 1 m v2 m 2 R2 2 2 che definisce l’energia cinetica rotazionale del corpo. Si osservi che: L’energia cinetica rotazionale di un corpo in moto circolare uniforme si conserva, come nel caso del moto rettilineo uniforme, essendo m, ed R costanti L’energia cinetica rotazionale può anche essere espressa nella seguente forma: 1 1 K m R R m v R 2 2 in cui compare la quantità L = mvR = q R data dal prodotto tra la quantità di moto del corpo ed il raggio della circonferenza; tale quantità si chiama “momento angolare” o “ momento della quantità di moto” ed è il corrispondente angolare della quantità di moto già vista. Poiché L 2 K ne consegue che il momento angolare di un corpo che si muove di moto circolare uniforme si conserva essendo costanti K ed . Accenniamo inoltre al fatto che L è una grandezza vettoriale e che, quando si conserva, mantiene costante la sua direzione perpendicolarmente al piano individuato dai vettori posizione e velocità, ovvero il piano della traiettoria (circonferenza) del 9 moto circolare uniforme nel nostro caso. Il suo verso punta verso l’alto quando la direzione (con il suo prolungamento) del vettore posizione si trova più a destra rispetto a quella del vettore velocità e viceversa. Supponiamo ora di considerare un corpo rigidamente connesso con un punto fisso attraverso un manubrio (o asta rigida): O il corpo, avente ad es. massa m, si trova vincolato mv a restare nell’estremo P dell’asta di lunghezza r che r m F a sua volta ha l’altro estremo fissato nel punto O. L’asta risulta rigida, nel senso che non può P modificare nè la sua lunghezza né la sua forma e risulta appoggiata in un piano (ad es. quello del foglio). Conseguenza di questa situazione sarà il fatto che sia l’asta che il corpo non possono allontanarsi lungo la congiungente OP ma possono invece ruotare attorno all’estremo O nel piano considerato. Per far ruotare il corpo sarà necessario applicargli una forza F : in virtù di tale forza il corpo acquisterà una quantità di moto q = mv lungo la medesima direzione. Si può inoltre osservare che la velocità angolare acquistata dal corpo diventa massima quando la forza risulta perpendicolare all’asta mentre comincia a decrescere man mano che devia da tale posizione fino ad annullarsi quando risulta orientata nella stessa direzione dell’asta. Possiamo allora matematizzare (ovvero formalizzare) questa situazione dicendo che al cambiare dell’angolo formato dalla forza F con il raggio vettore r (ovvero OP ) è possibile definire una nuova grandezza vettoriale capace di generalizzare il concetto precedentemente introdotto sul momento angolare: è evidente che la sola componente della forza capace di determinare il moto rotazionale del corpo è quella perpendicolare ad OP e dunque l’unica componente della quantità di moto acquistata dal corpo è anch’essa perpendicolare ad OP, ovvero data secondo le applicazioni della goniometria da mv sen. Il momento angolare del corpo sarà perciò dato numericamente da L mv sen r mvr sen siamo cioè in grado di definire una grandezza fisica, l’analogo rotazionale della quantità di moto, la cui intensità muta al cambiare dell’angolo formato dalla quantità di moto con il raggio passante per il punto fisso O ed il punto P di applicazione della forza F al corpo m. Risulta così che: 0, se 0 L mvr, se 90 0, se 180 Nel caso di moto circolare uniforme, per = 90 si riottene proprio il momento angolare prima introdotto. 10 Possiamo allora generalizzare il concetto di momento angolare definendo una nuova grandezza vettoriale avente direzione perpendicolare al piano dei vettori r ed mv che risulta diretta verso l’alto se il primo si trova alla destra del secondo e viceversa e avente un’intensità pari proprio a mv sen. Spostando il vettore r lungo la congiungente OP fino a far coincidere il suo estremo sinistro con P possiamo osservare che nel caso descritto (cioè di rotazione antioraria) o viceversa, spostando il vettore mv parallelamente a sé stesso finchè il suo estremo sinistro non coincide con O si può osservare che il primo dei due risulta alla destra del secondo e dunque il vettore L punta verso l’alto: L di fatto si può definire una nuova operazione matematica caratterizzata da un prodotto di vettori denominato prodotto vettoriale così definita: mv O r L r mv r q che dà come risultato un nuovo vettore perpendicolare al piano contenente i vettori del prodotto e di intensità pari al prodotto delle intensità dei vettori per il seno dell’angolo tra essi compreso: L = mvr sen. Possiamo ora, in maniera del tutto analoga, definire l’analogo rotazionale della forza, quella grandezza cioè capace di determinare mutazioni del momento angolare e di generare così dei moti puramente rotazionali; tale grandezza si chiama momento meccanico o torcente di una forza ed è data stavolta dal prodotto vettoriale tra il raggio (o braccio ) r e la forza medesima F rF F O r Osserviamo sin da ora di aver considerato una situazione più semplice in cui forza e quantità di moto sono collineari, giacciono cioè nella stessa direzione e, di conseguenza i vettori momento angolare L e momento meccanico risultano paralleli: ciò in generale non è sempre vero ed in tal caso il piano contenente r e q ed il piano contenente r ed F non coincidono e di conseguenza i vettori L e non lo saranno più. Così come esiste un teorema che lega quantità di moto e forza, si può intuire l’esistenza di un teorema che stabilisca un legame tra momento angolare detto anche momento della quantità di moto e momento meccanico: ne forniremo una 11 dimostrazione particolarmente semplice in relazione al caso di un punto materiale che si muove lungo una circonferenza di raggio R e soggetto ad una forza F perpendicolare al raggio e parallela (collineare) alla velocità v: Y F il teorema dell’impulso applicato alla velocità P tangenziale in P per intervalli di tempo piccoli R m ci dice che: X O F ma m A vt 2 vt1 t 2 t1 moltiplicando entrambi i membri per R : FR mvt 2 R mvt1 R t 2 t1 essendo raggio e velocità perpendicolari così come raggio e forza, dev’essere = 90 e la precedente espressione è equivalente a : F R sen mvt 2 R sen mvt1 R sen t 2 t1 il che significa che a sinistra si ha proprio l’intensità del vettore momento meccanico mentre a destra si hanno le intensità dei vettori momento angolare nei due diversi istanti; generalizzando al caso vettoriale possiamo scrivere: RF R mv t 2 R mv t1 t 2 t1 ovvero: L t 2 L t1 t 2 t1 da cui: L t Conseguenza: Il momento meccanico di una forza esterna applicata ad un corpo è uguale alla variazione del suo momento angolare Ma allora se = 0 dev’essere anche L = 0 ovvero L = costante = mr1 v1 mr2 v 2 In particolare in assenza di forze esterne (F=0) il momento angolare si conserva, in quanto è nullo il momento meccanico ad esse associato Tale proprietà sussiste ovviamente anche per un sistema di corpi non soggetti a forze esterne: il loro momento angolare totale si conserva 12 Baricentro Riconsideriamo ora il sistema dei due corpi precedentemente considerato. Supponiamo di voler considerare un unico corpo la cui massa sia la somma delle masse dei due corpi e la cui quantità di moto sia pari alla quantità di moto totale del sistema dei due corpi. Se indichiamo con vc la velocità di un corpo che soddisfi queste condizioni dev’essere: m1 m2 vc m1 v1 m2 v2 da cui : vc m1 v1 m2 v2 m1 m2 si osservi che tale procedura è piuttosto frequente sia in matematica che in fisica: spesso quando si vuol trovare una formula od una legge necessarie per esprimere una certà quantità si và a cercare quella quantità che deve soddisfare le condizioni che rendono possibile una certa espressione; queste condizioni impongono l’espressione della formula o legge cercata. In sostanza: vc esprime la velocità che avrebbe il sistema dei due corpi se le loro masse fossero concentrate tutte nello stesso punto (unite in uno stesso corpo). Indicando con r1(t) la posizione del corpo 1 all’istante di tempo generico t e con r2(t) la posizione del corpo 2 all’istante di tempo generico t, definiamo “posizione del centro di massa” del sistema dei due corpi: rc t m1 r1 t m2 r2 t m1 m2 Concludendo, è possibile considerare in luogo del sistema dei due corpi un solo corpo avente per massa la somma delle masse dei due corpi, avente per posizione la posizione del centro di massa e avente per velocità la velocità del centro di massa. Si noti che tali formule valgono per un sistema costituito da un numero qualsiasi di n corpi interagenti. Osserviamo infine la seguente proprietà: poiché la quantità di moto del centro di massa coincide con la quantità di moto totale del sistema e poiché quest’ultima si conserva in assenza di forze esterne, la quantità di moto del centro di massa in assenza di forze esterne si conserva, mentre in presenza di una forza esterna, tale forza esterna è pari al prodotto tra la massa totale del sistema e l’accelerazione del centro di massa del sistema: F=(m1 + m2) ac come può essere facilmente dimostrato. 13 F come forza (ovvero le interazioni………) In meccanica classica, si dice che quando due corpi si trovano ad una certa distanza tra loro si sviluppa un’interazione: in un certo senso si può dire che comunicano tra loro influenzando a vicenda il proprio stato originario di moto. La rappresentazione fisica delle interazioni è la grandezza fisica vettoriale denominata “Forza”. Le interazioni possono essere classificate in base a come possono essere esercitare la loro influenza su un corpo: Interazioni di contatto: i corpi per interagire tra loro devono essere posti a contatto, es: forza esercitata da un corpo su una molla, forza che si sviluppa tramite strofinamento di due corpi. Interazioni a distanza: i corpi possono interagire tra loro anche senza essere posti a contatto, es: forza di gravità, forza elettrostatica ed in base alla loro dipendenza o meno dalla posizione spaziale del corpo rispetto ad un altro: Forze non dipendenti dalla posizione del corpo, es: forza di attrito tra un corpo ed una parete, forza di attrito tra un fluido (es. aria) ed un corpo immerso in esso lungo il suo moto. Forze dipendenti dalla posizione del corpo, es: forza elastica della molla, forza di gravità, forza elettrostatica. L’espressione matematica della forza di attrito esercitata da una parete su un corpo ad essa aderente è F N dove N rappresenta la reazione alla forza peso del corpo (uguale e contraria) e il coefficiente di attrito (statico o dinamico a seconda che il corpo sia fermo od in moto). L’espressione della forza di attrito sviluppata da un fluido in un corpo è invece: F b v dove v il vettore velocità del corpo e b il coefficiente di attrito del fluido; qui la forza risulta opporsi alla direzione del moto ed aumenta all’aumentare della velocità: si pensi ad es. alla forza sviluppata dall’attrito dell’aria su un satellite in caduta libera sulla terra. Si osservi subito che, i due tipi di forza sono entrambi di contatto e non dipendono esplicitamente dalla posizione del corpo. 14 Consideriamo ora la forza elastica: si prenda una molla con un estremo parete connesso ad una parete e l’altro ad un corpo di massa m, libero m perciò di muoversi assieme alla x molla lungo una direzione spaziale x molla x0 Supponiamo inoltre che l’estremo mobile si trovi nella posizione di riposo x0, posizione cioè in molla e corpo restano fermi se non sollecitati (x0 = distanza iniziale dalla parete) . Proviamo ora a tirare l’estremo della molla con il corpo verso destra lungo la direzione x, per un allungamento pari a x: la molla reagirà all’allungamento con m una forza proporzionale all’ allungamento medesimo: x F x0 x0 + x F=-kx m x dove k definisce la costante elastica della molla, espressa in N/m e x0 - x x0 x0 + x caratteristica del tipo di molla. supponendo che la molla possa scorrere senza attrito lungo x, se si lascia la molla libera di muoversi, in virtù della forza elastica si muoverà in direzione opposta fino a comprimersi alla distanza x0 - x dopo esser ripassata per la posizione di partenza x0 per ripartire verso destra ed oscillare indefinitamente avanti ed indietro intorno alla posizione x0 tra la posizione x0 - x e la posizione x0 + x con un moto oscillante del tipo di una pallina di ping-pong. Un sistema simile si chiama oscillatore armonico. Dal secondo principio della dinamica, denotando con a l’accelerazione del corpo di massa m lasciato libero di oscillare in virtù della forza elastica, si deve avere: m a k x e dunque l’accelerazione sarà: a k x m ne consegue che anche l’accelerazione risulta essere direttamente proporzionale allo spostamento e dunque alla posizione. Esiste un altro moto dalle caratteristiche simili, ovvero il moto armonico. 15 Ricordiamo che si definisce moto armonico di un punto, il moto della proiezione di un punto di moto circolare uniforme lungo la direzione x: Y L’espressione dell’accelerazione centripeta v del moto circolare uniforme di raggio R P e velocità angolare è data da: ac R ac = - 2 R O A X e se nel punto P è situato un corpo di massa m, esso sarà soggetto alla forza centripeta: Fc = m ac = - m 2 R Come nel caso dell’oscillatore armonico, sia l’accelerazione centripeta che la forza corrispondente risultano essere direttamente proporzionali ad uno spostamento (R) ed in verso opposto alla sua direzione. Per analogia si può perciò asserire che il moto di un oscillatore armonico è equivalente a quello della proiezione lungo l’asse orizzontale di un punto che si muove di moto circolare uniforme, con velocità angolare e periodo d’oscillazione k m T 2 m k Sempre con riferimento all’oscillatore armonico, possiamo rappresentare in un diagramma cartesiano l’intensità della forza lungo l’asse delle ordinate e l’allungamento causato sulla molla lungo l’asse delle ascisse, indicando per comodità l’allungamento con x e considerando come posizione iniziale x0 = 0 : F F = kx k x O x X Il grafico è quello di una retta passante per l’origine del tipo y = mx. Poiché forza e spostamento nella direzione X sono paralleli, ha senso determinare il lavoro L compiuto dalla forza per causare lo spostamento x, ricordando che esso è dato dall’area del grafico della forza, ovvero dall’area del triangolo rettangolo di base x e di altezza kx cambiata di segno essendo essendo: forza e allungamento diretti in senso opposto: 1 1 L x k x k x2 2 2 16 Infatti, per comodità si considererà il grafico F = kx in luogo del grafico F = -kx: F l’area del grafico sottostante la retta F =- kx x X è comunque l’area del grafico sottostante la retta F = kx cambiata però di segno. O -kx F=-kx Ora nel caso generale, se la posizione di partenza dell’estremo mobile della molla fosse stata x0 : in tal caso il lavoro sarà dato dall’area ottenuta F sottraendo l’area del triangolo rettangolo avente k x F = k x base x0 ed altezza kx0 all’area del triangolo rettangolo di base x ed altezza kx cambiandone k x0 il segno: 1 1 1 1 2 2 L k x 2 k x0 k x0 k x 2 2 2 2 2 O x0 x X Si può osservare che il lavoro, oltre a rappresentare una variazione di energia cinetica, può rappresentare la variazione di un’altra forma di energia, la quale stavolta non è più legata direttamente al movimento di un corpo ma alla sua posizione: U 1 k x2 2 essa si chiama energia potenziale. In sostanza l’energia potenziale di un corpo è l’energia necessaria al corpo per mantenere la posizione in cui si trova. Nel caso di forze elastiche si tratta di un’energia potenziale elastica e rappresenta l’energia immagazzinata dalla molla durante la sua estensione o compressione x Il suo grafico nel diagramma cartesiano di ordinata U e di ascissa x è rappresentato da una parabola: U = 1 k x2 2 U= 1 2 k x0 2 O caso di x0 = 0 x 1 2 k x x0 2 x O x0 caso di x0 0 17 Il punto di minimo della parabola,ovvero il suo vertice, coincide con la posizione di riposo della molla e definisce la posizione di equilibrio stabile del corpo in quanto il corpo permarrebbe in tale posizione se non fosse sollecitato da forze esterne. Analizzeremo in modo più approfondito tale situazione in seguito. Osserviamo infine che se denotiamo con U U U 0 1 1 2 k x 2 k x0 2 2 la variazione di energia potenziale subita dal corpo nel passare dalla posizione iniziale x0 alla posizione finale x (differenza tra energia potenziale finale ed energia potenziale finale) e con x=x-x0 la variazione della sua posizione si ricava: x x0 x x0 x 2 x0 x x0 U 1 1 k k k k x M x 2 x x0 2 x x0 2 2 ove xM x0 x 2 F indica il punto medio tra x0 ed x k x kxM indica l’intensità forza media k xM esercitata dalla molla sul corpo. k x0 Tale risultato può essere esteso anche per i valori della forza in X tutte le altre posizioni ma poichè O x0 xM x la forza non risulta costante, esso può essere giustificato in modo rigoroso solamente attraverso l’ausilio del calcolo differenziale. Basti però ricordare che i risultati ottenuti in fisica per le quantità medie coincidono con quelli delle corrispondenti grandezze istantanee quando le variazioni di tali grandezze risultino molto piccole, perciò possiamo evincere il seguente risultato: F U x e cioè: la forza di un oscillatore armonico può essere espressa come l’opposto del rapporto tra la variazione di energia potenziale subita con l’allungamento della molla e l’allungamento corrispondente. Tutto ciò è diretta conseguenza del fatto che il Lavoro calcolato lungo l’allungamento, risulta proprio essere l’opposto della variazione dell’energia potenziale subita: L = -U Più in generale, le forze che possono essere espresse da una variazione di energia potenziale in corrispondenza di una variazione della posizione del corpo si dicono forze conservative, in conseguenza del fatto che l’energia potenziale ad esse associata dipende dalla posizione; esistono invece delle interazioni dipendenti dalla posizione non conservative, perché non legate ad alcuna energia potenziale (ad es. quelle inversamente proporzionali alla posizione. Le interazioni gravitazionali ed elettrostatiche ad es. sono conservative, mentre le forze d’attrito non lo sono e vengono dette anche forze dissipative. 18 Energia meccanica e sua conservazione (sdoing!!) Consideriamo ancora il nostro eterno oscillatore armonico. Oltre al variare della posizione del suo estremo, considereremo anche la sua velocità e dunque anche la sua energia cinetica. Considereremo il moto del corpo al suo estremo a partire dall’istante in cui la molla, dopo l’allungamento, viene lasciata libera di scorrere. 1. Posizione iniziale x all’istante di partenza. In queste condizioni, il corpo presenta una velocità iniziale nulla (corpo inizialmente fermo) ed un allungamento x; ne consegue , per le definizioni adottate in precedenza, che esso possiede un’energia cinetica iniziale nulla ed un’energia potenziale proporzionale al quadrato del suo allungamento iniziale: K 0 1 2 U 2 k x x 0 2. Posizione intermedia xM. Il corpo dopo un certo intervallo di tempo, in virtù della forza di richiamo della molla torna indietro fino a passare per la posizione intermedia. In tal caso essendo il corpo in movimento, la sua velocità sarà diversa da zero e dunque: 1 2 K 2 m v U 1 k x x 2 M 0 2 3. Posizione x0. Il corpo ripassa per la sua posizione di riposo ed essendo x = x0 , l’energia potenziale è nulla: 1 2 K m v 2 U 0 Successivamente, il corpo oltrepassa la posizione di riposo, comprime la molla finchè raggiunta la compressione massima, si ferma e torna indietro invertendo il moto. 19 Analizziamo il passaggio dalla situazione iniziale 1 e alla situazione finale 3 dal punto di vista del lavoro L fatto per muovere il corpo: Nel passare dalla 1 alla 3 il corpo ha subito una variazione di energia cinetica K K K 0 1 m v2 2 e dunque dalla definizione di lavoro: L K 1 m v2 2 Viceversa il corpo ha subito una variazione di energia potenziale : 1 2 U U U 0 k x 2 e perciò sempre dalla definizione di lavoro: L U 1 2 k x 2 Eguagliando le due espressioni dello stesso lavoro si ha: K = -U Conseguenza: Le variazioni (contemporanee) di energia cinetica e di energia potenziale del medesimo corpo lungo il suo moto sono opposte: al crescere dell’energia cinetica corrisponde un identico decrescere dell’energia potenziale Possiamo riscrivere la precedente equazione nella forma: K + U = 0 Ovvero: La somma delle variazioni dell’energia cinetica e dell’energia potenziale dà sempre zero. E’ possibile allora definire una nuova grandezza fisica, denominata Energia Meccanica, la cui variazione lungo il moto di un corpo sia sempre zero, una grandezza cioè, che si conserva inalterata durante il moto del corpo, data dalla somma di due diverse forme di energia: l’energia cinetica, legata al movimento del corpo, l’energia potenziale, legata alla posizione del corpo: E=K+U che si esprime dicendo: L’energia meccanica totale di un corpo soggetto unicamente a forze conservative si conserva e costituisce il Principio di Conservazione dell’Energia Meccanica. 20 Infatti da K = -U segue: K – K0 = U0 – U e scambiando U con K0 nell’equazione si ottiene: U + K = U0 + K0 Che garantisce l’esistenza di una grandezza E il cui valore finale coincide con il valore iniziale e le cui dimensioni fisiche sono quelle di un’energia. Osserviamo fin da ora, che il moto di un corpo è determinato univocamente dal valore iniziale della sua energia: infatti se avessimo allungato la molla sino ad una distanza x1 x0 l’energia potenziale iniziale sarebbe stata diversa e dunque anche la sua energia meccanica iniziale; il corpo avrebbe continuato ad oscillare indefinitamente tra le posizioni x0 - x1 e x0 + x1 invece che tra le posizioni x0 - x e x0 + x come si può evincere dai due grafici a confronto: se la molla viene allungata di x verso destra e poi lasciata andare il corpo tende a muoversi nella direzione di decrescita dell’energia U kx O U0 x 0 - x x0 1 2 k x 2 x0 + x X U kx1 U1 1 2 k x1 2 potenziale e viceversa se essa viene compressa della stessa lunghezza; in corrispondenza dei due estremi di U0 l’energia potenziale è massima mentre l’energia cinetica è minima, viceversa in x0 l’energia potenziale è minima mentre l’energia cinetica è massima. Idem nel secondo grafico con U1 O x 0 - x 1 x0 x0 + x1 X Perché il corpo non si ferma nella posizione di equilibrio stabile in x0 ? per la semplice ragione che in esso possiede un’energia cinetica che gli consente di continuare a muoversi, sempre nel rispetto del principio di conservazione dell’energia meccanica; solo se l’energia cinetica iniziale fosse nulla, come succede ad es. se si pone il corpo nella posizione iniziale x0 ed inizialmente fermo (con velocità iniziale nulla) il corpo resterebbe fermo; in caso contrario, in assenza di attrito il corpo continuerà ad oscillare eternamente avanti e indietro tra l’allungamento massimo e la compressione massima della molla. 21 Proviamo a riportare in un diagramma cartesiano la posizione x in orizzontale e la velocità v in verticale, si ottiene il grafico di un’ellisse centrata nell’origine, come può essere dedotto dalla struttura dell’equazione: 1 1 k x2 m v2 E 2 2 in quanto può essere riscritta nella forma: x2 2 E k 2 v2 2 E m 2 1 Tale grafico definisce l’orbita del moto del sistema. Essa si trova in corrispondenza dell’intersezione tra la retta orizzontale passante per il valore massimo di U ed il grafico di U. Se l’orbita è una curva chiusa, allora il moto del corpo è certamente periodico e si può prevedere quando ripasserà per la medesima posizione. Ciò succede sempre quando si è in prossimità del minimo di energia potenziale, ovvero quando la curva che esprime l’energia potenziale risulta concava verso l’alto. Il valore prefissato dell’energia del corpo fissa anche la forma dell’orbita. La possibilità di verificare la periodicità di un moto è fondamentale, perché consente di controllare l’evoluzione del fenomeno in tempi finiti: se l’orbita fosse una curva aperta, il moto proseguirebbe verso valori sempre diversi all’infinito. Si può dimostrare che se l’orbita è una curva chiusa, anche la traiettoria spaziale percorsa dal corpo è chiusa. Le considerazioni fin qui svolte, sono state dimostrate per il moto di un oscillatore armonico, ma sono valide per tutti i moti regolati da forze conservative. Effettuiamo un’ultima considerazione: supponiamo, di avere una molla con i due estremi entrambi liberi invece di uno solo, con due corpi di massa m1 ed m2 rispettivamente; le posizioni di riposo dei rispettivi corpi siano posizionate nella medesima retta, ed indicate con le ascisse x1 ed x2 : m1 0 x1 m2 xc | x2 il loro centro di massa sarà dato dalla relazione: x xc m1 x1 m2 x2 m1 m2 mentre i centri delle due masse si troveranno ad una distanza iniziale x2 - x1 . Supponiamo di voler tendere la molla ai suoi estremi secondo direzioni opposte, lungo l’asse x fino ad allungare la molla nelle nuove posizioni x1' ed x2' : 22 m1 m2 se lasciamo liberi gli estremi x della molla con le masse, ' ' 0 x1 x1 xc x2 x2 ciascuna di eserciterà per la legge di Hooke, una forza eguale e contraria in verso, di intensità pari a F = k ·( x2' - x1'). Cosa succederà al centro di massa? Le forze elastiche sono forze interne, intrinseche alla molla, mentre il sistema dei due corpi non è soggetto ad alcuna forza esterna e dunque, per quanto visto sulle proprietà del centro di massa, esso resterà esattamente fermo come prima: il sistema cioè oscillerà indefinitamente tenendo fermo il suo centro di massa; ne consegue che i due corpi continueranno ad oscillare avanti ed indietro avvicinandosi e allontanandosi alternativamente al centro di massa. Se il sistema fosse risultato inizialmente in moto rettilineo uniforme, con velocità del centro di massa costante vc essa sarebbe rimasta la stessa anche dopo l’inizio delle oscillazioni, ovvero di ciò che chiamiamo vibrazione dei due estremi. Ora (per vostra gioia….) siamo sufficientemente “armati” per poter affrontare le interazioni gravitazionali ed elettrostatiche! (Evvai…..!!) Interazioni gravitazionali e non solo….. Dal momento che i vari corpi celesti, quando si trovano a distanze finite, risultano sempre dotati di moti accelerati, è facile immaginare che essi siano in grado di influenzarsi tra loro e che dunque la causa dei loro moti sia imputabile ad una qualche interazione che si manifesti tra di essi. Per capire il tipo di interazione o forza che si esercita, sarà necessario prima analizzare le proprietà fondamentali dei loro moti: in sostanza risaliremo alla loro dinamica a partire dalla loro cinematica ovvero, come si diceva un tempo, risaliremo alle cause a partire dai loro effetti facendo uso di alcune ipotesi aggiuntive. Ciò può essere fatto considerando le “famose” tre leggi di Keplero; la prima legge fu dimostrata da Keplero in base all’analisi numerica dei dati sperimentali riportati dall’astronomo Tycho Brahe e da Keplero stesso (che fu assistente dell’altro..); in base a tale analisi, Keplero scoprì che graficando le traiettorie spaziali a partire dai dati sperimentali si ottenevano delle curve molto prossime a delle ellissi: in particolare maggiore era la precisione con cui tali dati venivano presi e più simile ad una ellisse era la traiettoria, da cui la legge: I legge di Keplero: i pianeti descrivono intorno al sole orbite ellittiche di cui il sole occupa uno dei due fuochi è importante sottolineare che tale legge risultava in accordo con il modello eliocentrico, sostenuto a quei tempi sia da Keplero che da Galilei; infatti il 23 modello tolemaico non riusciva più a giustificare i dati sperimentali che uscivano dall’osservazione dei moti dei pianeti ed in particolare quelli dei loro satelliti. Viceversa, tale modello assieme alla I legge di Keplero, riusciva a giustificare bene le differenze di velocità angolare di un pianeta evidenziate in alcuni punti della sua traiettoria. In particolare tale teoria costituiva un modello di gran lunga più semplice, in quanto consentiva di buttare a mare tutta la zuppa di epici e affini come potete vedere nell’introduzione al capitolo del testo. Nella figura P indica il P generico pianeta nella A sua rivoluzione ellittica F1 F2 D intorno al sole S ubicato S perielio afelio nel fuoco F1 , a indica C il semiasse maggiore B dell’ellisse, il perielio il punto della traiettoria a distanza minore dal sole e l’afelio la posizione a opposta ad esso. La I legge di Keplero consente di conoscere a priori tutte le possibili posizioni che possono essere occupate dal pianeta una volta noti il semiasse maggiore e l’eccentricità dell’ellisse. Consideriamo ora un intervallo di tempo t piccolo rispetto al tempo impiegato dal pianeta per percorrere l’intera ellisse e siano AB e CD due archi dell’ellisse percorsi nello stesso intervallo considerato: stiamo cioè considerando due tratti dell’ellisse in cui il pianeta ha impiegato il medesimo lasso di tempo per percorrerli. I due archi sono sufficientemente piccoli per poter essere approssimati da archi di circonferenza e dunque i raggi che congiungono gli estremi degli archi sono uguali: SA=SB= R1 , SC = SD = R2 . Avendo considerato un intervallo di tempo piccolo, anche le velocità del pianeta agli estremi dei due archi possono essere considerate eguali: vA = vB = v1 , vC = vD = v2 . Ora possiamo osservare che stiamo considerando unicamente due corpi, il sole ed il pianeta, mentre stiamo trascurando le influenze degli altri corpi celesti: in sostanza stiamo considerando il sistema dei due corpi come un sistema isolato, in cui sussiste solo una eventuale interazione tra di essi. Si è visto però che nel caso di corpo ruotante attorno ad un altro, in assenza di forze esterne, il suo momento angolare deve conservarsi, per cui se m indica la massa del pianeta, il momento angolare di questo dev’essere fisso: L = mvR = costante, al variare della sua velocità v e del suo raggio R. In base a tale osservazione dev’essere: mv1R1 =mv2R2 da cui elidendo m: v1R1 =v2R2 24 poiché le due velocità v1 e v2 sono costanti nei rispettivi tratti AB e CD, possiamo applicare la legge del moto circolare uniforme che approssimando gli archi a dei segmenti può ridursi direttamente alla legge del moto rettilineo uniforme: AB = v1t , CD = v2t ovvero: v1 AB CD , v2 t t da cui elidendo t si ottiene AB CD R1 R2 t t AB R1 = CD R2 abbiamo così approssimato le due regioni SAB ed SCD del cerchio in due triangoli di basi AB e CD e di altezze R1 ed R2 rispettivamente, per cui dividendo entrambi i membri della precedente equazione per 2 otteniamo 1 1 AB R1 CD R2 2 2 che le aree dei due triangoli sono uguali ovvero 1 AB R costante 2 al variare simultaneo di AB e di R, il che equivale alla II legge di Keplero: il raggio vettore tracciato dal sole a uno qualsiasi dei pianeti descrive aree uguali in tempi uguali. Come si vede si è dedotta tale legge facendo uso della conservazione del momento angolare; ovviamente Keplero giunse alla legge sempre tramite l’analisi numerica dei dati a disposizione e dunque attraverso la scoperta di tali regolarità. In sostanza l’area descritta dal raggio vettore di ciascun pianeta nell’unità di tempo, ovvero la sua velocità areolare, è costante per tutto il moto del pianeta sull’orbita. 25 Sempre attraverso le medesime analisi, VERIFICA DELLA III LEGGEDI KEPLERO 1g= 24h = 84600s Corpo celeste: Raggio medio orbitale Periodo di rivoluzione Mercurio Venere Terra Marte Giove Saturno Urano Nettuno Plutone R 5,79 10,8 15 22,8 77,8 143 287 450 590 *10^10 m *10^10 m *10^10 m *10^10 m *10^10 m *10^10 m *10^10 m *10^10 m *10^10 m T 87,97 224,7 365,25 686,98 4331,9 10760 30688 60190 90472 g g g g g g g g g T2 7738,7 50490 133408 471942 2E+07 1E+08 9E+08 4E+09 8E+09 R3 194,104539 1259,712 3375 11852,352 70910,952 2924207 23639903 91125000 205379000 T2/R3 39,86883 40,08066 39,52817 39,81839 39,84841 39,59477 39,83824 39,75618 39,85441 Come si può notare il rapporto costruito è all'incirca costante e deve dipendere dal corpo celeste centrale(in tal caso il Sole) Infatti se si prende un altro corpo celeste stavolta non orbitante direttamente attorno al Sole, ad es. la Luna, si ricava, considerando stavolta il raggio medio ed il periodo di rivoluzione intorno alla Terra di questa: Luna 0,038 *10^10 m 27,3 g 745,29 5,66231E-05 13162295 valore completamente diverso dai precedenti Keplero potè enunciare la III legge di Keplero: i cubi dei semiassi maggiori delle orbite ellittiche dei pianeti sono proporzionali ai quadrati dei loro periodi di rivoluzione. P1 P P2 S a1 a2 In sostanza, se si considerano due pianeti P1 e P2 intorno al Sole S le cui orbite hanno per rispettivi assi maggiori a1 e a2 ed i cui rispettivi periodi di rivoluzione sono T1 e T2 e se MS indica la massa del sole la III legge di Keplero si traduce nella seguente forma: a1 T1 3 2 a2 3 T2 2 26 ovvero il rapporto tra il quadrato del periodo di rivoluzione T di un pianeta attorno al sole ed il semiasse maggiore a della sua orbita è una costante indipendente dal tipo di pianeta ma dipendente dal Sole (dalla sua massa) il che si esprime scrivendo: T2 k M S a3 in cui k(MS) indica una costante dimensionale dipendente dalla massa del Sole. Cosa significa tutto ciò? Vuol dire semplicemente che se esiste un corpo centrale dotato di una certa massa attorno a cui ruotano più corpi di masse diverse lungo orbite diverse, il rapporto prima considerato dipende unicamente dalla massa del corpo centrale! Ovviamente a quei tempi ciò poteva essere scoperto osservando il moto dei satelliti attorno ai loro pianeti, ad es. quello della Luna attorno alla Terra, o di Phobos e Demos attorno a Marte. In quegli anni gli strumenti di osservazione erano stati potenziati proprio da Keplero e Galilei tramite l’invenzione dei nuovi telescopi i quali consentirono a Galileo di scoprire anche alcuni satelliti di Giove (che egli chiamò Medicei.. Analizzati i moti dei corpi celesti intorno ad un altro corpo centrale, resta da capire quale sia la forma delle interazioni capaci di generare tali moti. Per far ciò approssimeremo le ellissi con delle circonferenze; in tal caso gli assi dell’ellisse coincidono con il raggio della circonferenza e questo consentirà di dedurre l’espressione delle forze in gioco in modo più elementare e senza perdita di generalità in quanto la stessa espressione resta valida anche per i moti ellittici. Tutto ciò è possibile in quanto l’eccentricità delle orbite ellittiche è molto bassa: e c a2 b2 1 a a il che significa che e2a2 = a2-b2 da cui segue che b2= (1-e2) a2, ad es. se e = 0.01, e2=0.001 per cui b2 a2 ovvero b a. Il primo passo consiste nell’affermare che la forza che si esercita tra il Sole ed un pianeta sia inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra i loro centri; il primo a formulare tale legge fu Huygens. Infatti se denotiamo con m la massa del pianeta e con r la sua distanza dal Sole, essendo questa il raggio dell’orbita circolare del pianeta, si può asserire che il moto di tale pianeta è un moto circolare uniforme di velocità angolare e periodo di rotazione T. Applicando le leggi di tale moto ed indicando con a l’accelerazione centripeta del pianeta, dev’essere: a= 2 r ; ne consegue che il pianeta sarà soggetto alla forza centripeta F=m 2 r 27 P m r Ricordiamo ora che deve sussistere sempre la III legge di Keplero,che applicata in tale caso dà: r3 k M S T2 S ma MS 2 4 2 T2 per cui 4 2 F m 2 r T sostituendo l’espressione di T2 ricavata T2 dalla III legge di Keplero: otteniamo F m in cui a 4 2 k M S 1 r2 r3 k M S 4 2 k M S 1 r 4 2 k M S m 2 3 r r esprime proprio l’accelerazione centripeta del pianeta. A questo punto entrò in gioco Newton: a quei tempi si aveva già una certa nozione delle interazioni a distanza; infatti si sapeva che due magneti di massa m1 ed m2 interagivano a distanza con una forza f proporzionale al prodotto delle loro masse : f c m1 m2 egli, oltre a dimostrare indipendentemente da Huygens la proporzionalità inversa della forza rispetto al quadrato della distanza, ipotizzò che essa fosse anche direttamente proporzionale al prodotto delle masse dei corpi analogamente a quanto succedeva per i magneti: F GMS m 1 r2 con G costante di proporzionalità dimensionale. Tale ipotesi confrontata con la formula di F precedentemente determinata porta a chiedere che le due espressioni di F finora viste debbano coincidere: F 4 2 k M S m che porta a chiedere che 1 1 GMS m 2 2 r r 4 2 k M S G M S ovvero che k M S G MS 4 2 k dipenda da MS secondo una proporzionalità diretta. L’espressione di G invece è indipendente sia da MS che da m e si chiama 28 “costante di gravitazione universale” il cui valore è universale per tutti i corpi celesti: G=6,67 10 –11N m2/Kg2 Perciò secondo l’idea di Newton, due masse a distanza r interagiscono tra loro con una forza della forma: F GMS m 1 r2 e costituisce la Legge di gravitazione universale. Se tale legge è vera, dev’essere valida per ciascuna coppia di masse poste ad una certa distanza, ad es. per la forza che si sviluppa tra la massa del pianeta Terra e la massa di un qualsiasi altro corpo. Ma quale corpo? Quale corpo si presta facilmente ad una conferma di tale legge? L’altra intuizione di Newton fu quella di pensare che la caduta dei corpi in prossimità della superficie terrestre fosse proprio determinata dall’interazione gravitazionale tra la Terra e ciascuno di essi: in sostanza supporre che l’accelerazione di gravità g fosse originata proprio da tale interazione. Vediamo come: sia O il centro della Terra di massa MT ed R il suo raggio; consideriamo un corpo h di massa m posto a distanza h << R dalla superficie terrestre, cosicchè i loro centri risultano distanti per una lunghezza R r=R+h se la legge di gravitazione universale O è vera le due masse si devono attrarre secondo una forza di intensità F G MT m ma R h 2 1 1 G MT m 2 r R h 2 h h h2 2 R 1 R 1 2 2 R 2 R R R 2 2 infatti se h<<R allora h h h2 1 , 2 1 , 1 R R R2 ovvero gli ultimi due termini del quadrato del binomio sono trascurabili rispetto ad 1. Basta osservare che il raggio terrestre è R=5700 Km circa e prendere ad esempio un corpo che si trovi ad un’altezza di 100 m rispetto al suolo per verificare tali approssimazioni. Perciò: F G MT m G MT 1 m 2 R R2 ma un semplice calcolo dimostra che: 29 G MT 9,8m / s 2 g 2 R ovvero F mg. La forza di gravitazione universale espressa da Newton per l’interazione Terra-corpo in prossimità della superficie terrestre coincide proprio con la forza peso del corpo medesimo. L’accelerazione di gravità terrestre, misurata già nel 1300 da Alberto Magno (?) e studiata in modo più approfondito da Galilei quale accelerazione intrinseca (e naturale) posseduta da tutti i corpi in caduta libera, conferma la legge di Newton e viene a sua volta giustificata da essa. Ultimo problema: secondo il principio di azione e reazione perché la terra, a causa della forza esercitata dal corpo in caduta libera, non si muove? In realtà anch’essa si muove, infatti essa sarà soggetta ad un’accelerazione aT G MT F Gm 2 g ovvero aT << g MT R R2 ovvero l’accelerazione con cui si muove il pianeta è trascurabile rispetto a quella con cui il corpo cade. Analizziamo ora la natura di tale forza, considerando 2 corpi di massa m1 ed m2 a distanza r . m1 Trattandosi di una forza dev’essere F12 F21 m2 innanzitutto una grandezza di tipo vettoriale: essa avrà direzione r coincidente con la direzione del vettore r congiungente i centri delle 2 masse; il verso della forza che agisce sul corpo 1 ad opera della massa 2 dev’essere sempre diretto verso il centro della massa 2 e viceversa: ciò significa che essa è sempre puramente attrattiva, come succedeva nella forza elastica (non a caso i corpi di massa piccola cadono perché attratti dalla Terra), perciò la forma vettoriale della legge di gravitazione dovrà ammettere il segno negativo ed il verso di r : F = G m1 m2 r r3 Di fatto per ricavare la forma vettoriale della forza si è dovuta moltiplicare la sua intensità per il vettore parallelo ad r ma di intensità unitaria (cioè di lunghezza pari a 1): r / r. In realtà la forza di attrazione gravitazionale è figlia di un’altra grandezza fisica fondamentale di base detta “campo”. A tal proposito consideriamo prima un corpo di massa m, ubicato in una regione di spazio grande e priva di altri corpi dotati di massa: supponendo che tale regione sia isolata (non agisca cioè alcuna forza esterna), il corpo per il principio d’inerzia perseguirà nel suo stato di moto rettilineo uniforme; supponiamo ora di posizionare in determinato punto della medesima regione un corpo di massa M molto più grande della precedente e solo successivamente di far entrare il corpo di massa m nella regione considerata: 30 se il centro del corpo piccolo si trova nel punto P a distanza r dal centro O del corpo grande, Q il corpo subirà inesorabilmente un’attrazione diretta lungo P la congiungente dei centri g dei due corpi e puntante verso m del corpo grande. Lo stesso accadrebbe se il corpo fosse posizionato in un altro O punto qualsiasi Q all’interno della medesima regione. In realtà è successo che a causa della presenza del corpo di M massa M le proprietà fisiche della regione ad esso circostante sono cambiate: si è cioè creato un “campo” i cui effetti si manifestano tramite la forza esercitata sul corpo piccolo. Qual è la differenza tra il campo e la forza? L’intensità della forza dipende per costruzione dalle masse di entrambi i corpi mentre quella del campo dipende solo dalla massa del corpo (centrale) che lo ha generato, nel nostro caso dalla massa M del corpo grande e dunque possiamo darne la seguente definizione operativa: g = F/ m = G M r r3 la cui intensità sarà g F M G 2 m r Possiamo così concludere che in realtà la presenza di una massa in un punto qualsiasi di una data regione di spazio crea un “campo” in tutti punti della regione circostante ad esso e che il campo a sua volta crea una “forza” su ogni altra massa che si posizione in un punto qualsiasi della medesima regione ad una certa distanza dalla massa preesistente. Di fatto la forza costituisce la “rappresentazione fisica del campo”, nella misura in cui è possibile determinare il campo a partire dalla misura della forza, come del resto si può evincere dalla definizione operativa di campo. Un campo le cui direzioni puntano tutte verso il centro del corpo che lo ha generato si dice “radiale”; dunque il campo gravitazionale è un campo radiale. Riassumendo (alla Mike…): la presenza di un corpo materiale (dotato cioè di massa M) modifica lo spazio ad esso circostante: infatti ogni altro corpo (di massa m) che si trovi in tale zona subisce una forza di attrazione gravitazionale F ; 31 la zona di spazio in cui questo effetto si verifica chiama campo gravitazionale di generato da M. L’intensità di tale campo è indipendente dalla massa m (detta massa di prova); tale campo è diretto inoltre sempre verso il centro del corpo che lo ha generato. Il campo è una grandezza fisica che c’è ma…….non si vede! Ora un’ultima osservazione: finora si è fatto riferimento agli effetti prodotti dalla forza di gravità esercitata da un corpo grande su un corpo molto piccolo. Consideriamo il semplice caso di Un modulo spaziale situato in una LEM regione di spazio sufficientemente lontana da altri corpi celesti da poter trascurare gli effetti della gravitazione cavo da essi prodotta. Dal modulo esce il classico astronauta collegato ad esso astronauta tramite un cavo. Che succede se il cavo si spezza quando l’astronauta è fermo e vicino al modulo? Niente, esattamente niente: l’astronauta non finirà disperso per lo spazio per la semplice ragione che risentirà della forza di attrazione gravitazionale (per quanto piccola) che tenderà a trattenerlo nelle vicinanze! L’astronauta può movendo accortamente braccia e gambe (nuotando nel vuoto…) riagganciarsi al modulo (vedere ad es. “Apollo 13”). Tenete presente che la massa del modulo è dell’ordine delle tonnellate mentre quella dell’astronauta dell’ordine dei chili. Prima di analizzare il contesto in cui le interazioni gravitazionali variano al cambiare della distanza, analizziamo prima il caso particolarmente semplice in cui sono costanti, ovvero il caso della forza peso m h0 v0 = 0 g h v0 consideriamo un corpo di massa m all’istante in cui si trova ad un’altezza h0 dal suolo; analizziamo ora il della sua caduta: dall’istante iniziale in cui viene fatto cadere il corpo sarà soggetto ad un’accelerazione costante g 0 sempre diretta verso il suolo ad opera della forza peso f = p = mg ; se all’istante iniziale della sua caduta risultasse fermo la sua velocità iniziale sarebbe essere uguale a zero: v0 = 0 . Viceversa se la sua altezza iniziale è h0 0 la sua altezza finale al momento dell’impatto con il suolo sarà h = 0 Essendo forza e accelerazione costanti il moto di caduta non può che essere rettilineo e uniformemente accelerato, il che significa che, man mano che passa il tempo ed il 32 corpo percorre più spazio nella caduta, la velocità del corpo lungo la verticale cresce linearmente con il tempo: v = g t e raggiungerà di conseguenza il suo valore massimo nell’istante immediatamente precedente all’impatto con il suolo. Vediamo come si traduce questa situazione a livello energetico: il lavoro compiuto dalle forze del campo gravitazionale per provocare la sua caduta sarà dato dall’opposto del prodotto tra la forza peso p e la distanza (ovvero l’altezza h) in quanto essa è uno spostamento positivo e diretto verso l’alto mentre la forza peso agisce in direzione opposta per cui L = -p ( h – h0 ) = mg ( h – h0 ) , ovvero: L = - ( mgh – mgh0 ) È possibile cioè definire una nuova grandezza fisica, avente le dimensioni di una energia, che dipende unicamente dalla posizione del corpo, essendo m e g fissate,che denoteremo con U0 = mgh0 per quanto riguarda il suo valore iniziale e con U = mgh per quanto riguarda il suo valore finale. Allora da questa definizione risulta L = mgh0 – mgh = U0 – U = - ( U – U0 ) = - U Si è trovata così una nuova forma di energia, detta Energia Potenziale il cui opposto della variazione (ovvero energia potenziale iniziale meno energia potenziale finale) dà proprio il lavoro. Tale energia, a differenza dell’energia cinetica, è di tipo posizionale, è cioè l’energia che deve possedere un corpo per mantenere una determinata posizione Se denotiamo con h = ( h - h0 ) si può calcolare la forza peso nota la variazione di energia potenziale: f h = - U da cui: f U mgh0 mgh mgh0 h mg essendo p rivolta verso il basso h h h0 h h0 a partire dalle variazioni di energia potenziale subite da un corpo si è perciò in grado di determinare la forza a cui esso è soggetto Se applichiamo il teorema dell’energia cinetica che ci dice che il lavoro è dato dalla 1 2 1 2 variazione di energia cinetica subita dal corpo ovvero L mv 2 mv0 2 K ricaviamo che il lavoro è così ottenuto contemporaneamente da due espressioni distinte che possono essere eguagliate: K U ovvero: K K0 1 2 1 2 mv mv0 mgh0 mgh U 0 U 2 2 33 si è così arrivati a trovare due forme di energia: Una legata al movimento del corpo, detta energia cinetica Una legata alla posizione del corpo, detta energia potenziale Le quali sono legate tra loro da una relazione che dice che la variazione dell’una è l’opposto della variazione dell’altra: ciò significa che, se nel corso del moto, cresce l’energia cinetica (K > 0) decresce l’energia potenziale (U < 0) e viceversa. Dalla medesima relazione è evidente che l’accrescimento dell’una deve avvenire a spese dell’altra e viceversa: in sostanza il moto di un corpo è caratterizzato da continue trasformazioni di energia da una forma all’altra Scambiando nell’ultima relazione l’energia potenziale finale con l’energia cinetica iniziale otteniamo: K U 1 2 1 2 mv mgh mv0 mgh0 K 0 U 0 2 2 così come nel caso della quantità di moto di un corpo o del suo momento angolare, si trova che è possibile definire una nuova grandezza fisica, sempre delle dimensioni dell’energia, definita dalla somma di energia cinetica e potenziale e denotata energia meccanica E = K + U che si mantiene costante lungo il moto di un corpo La forza di gravità, nel caso particolare della forza peso, si dirà allora forza conservativa in quanto i sistemi o corpi soggetti a tale forza rispettano il principio di conservazione dell’energia meccanica Riconsideriamo l’esempio della caduta del corpo dal punto di vista energetico nel caso v0 = 0 e di h = 0: in tal caso dev’essere K0 = 0 essendo la velocità iniziale nulla e U = 0 essendo l’altezza finale nulla e dunque l'equazione di conservazione si riduce a: K 1 2 mv mgh0 U 0 2 da cui segue che il valore massimo dell’energia cinetica finale coincide con il valore massimo dell’energia potenziale iniziale Si osservi in infine che elidendo la massa da entrambi i membri dell’equazione: 1 2 v gh0 2 è possibile ricavare l’altezza iniziale del corpo nota la sua velocità finale e viceversa, la velocità finale del corpo nota la sua altezza iniziale, senza bisogno di ricorrere alle equazioni della cinematica. 34 Analizziamo come può variare l’energia potenziale gravitazionale al variare della posizione del corpo ed i suoi effetti dal punto di vista del moto: denotiamo con y la posizione verticale del corpo e con x la posizione orizzontale; supponiamo inoltre che numericamente il corpo abbia una massa pari a m = 1/g in modo tale che per comodità si ottenga mg =1 ; consideriamo infine una parete il cui profilo in prossimità della superficie terrestre (sezione verticale) sia tale che: x 2 4, per 2 x 1 y x 42 1 8 16 x 2 x , per1 x 7 3 3 3 3 stiamo cioè considerando una parete verticale il cui profilo è dato da una parabola: la parabola di equazione y x 2 4 per tutte le 2 x 1 seguita successivamente 1 3 8 3 dalla parabola di equazione y x 2 x 16 per tutte le 1 x 7 . 3 In tal modo otteniamo un profilo caratterizzato dall’alternarsi di un massimo e di un minimo, ovvero di una collina e di una valle; come abbiamo fatto ad ottenerlo? risolvendo un semplice problema di geometria analitica: infatti abbiamo semplicemente costruito la parabola avente concavità verso il basso tale da avere il vertice (il massimo) nel punto di coordinate V1(0;4) ovvero con c = 0 e asse di simmetria coincidente con l’asse delle y; avendo inoltre trovato che essa passa per il punto P(1;3) abbiamo cercato la successiva parabola passante per tale punto stavolta con la concavità verso l’alto e avente vertice nel punto V2(4;0) ovvero il minimo nel suolo; sfruttando le condizioni di appartenenza del vertice e le proprietà del vertice si ricavano le due parabole, come si vede è tutto molto semplice, provare per credere! L’energia potenziale essendo proporzionale all’altezza ovvero U = mgy avrà un grafico caratterizzato dalle medesime equazioni e dunque dalle medesime curve: U = mgy 4,5 4 3,5 3 2,5 2 1,5 1 0,5 0 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5 6 7 8 -0,5 come si può osservare il profilo è una collina seguito da una buca. 35 L’energia potenziale, deve perciò seguire il profilo della parete non potendo il corpo forare verso il basso il pavimento! In particolare si osservi che i minimi della posizione verticale corrispondono ai minimi dell’energia potenziale, mentre i massimi della posizione verticale corrispondono ai massimi dell’energia potenziale I punti di minimo e di massimo dell’energia potenziale si chiamano posizioni di equilibrio del corpo Vediamo ora di analizzare i possibili moti di un corpo a partire da posizione e velocità iniziali: il corpo si trova esattamente sul massimo della posizione ovvero si trova nel vertice V1(0;4); se il corpo si trova inizialmente fermo significa che: v0 = 0 e poiché il corpo è soggetto alla sola forza peso diretta lungo la verticale ed essendo quest’ultima controbilanciata dalla reazione del pavimento il corpo resterà fermo. Esso si trova dunque in una posizione di equilibrio. L’energia cinetica è nulla mentre l’energia potenziale è massima, cosicché l’energia meccanica del corpo coincide totalmente con la sua energia potenziale Cosa succede se da tale posizione il corpo viene leggermente spostato in direzione orizzontale verso destra? La forza peso in tal caso non è più perpendicolare al m N profilo della parete: ciò significa che può essere scomposta settorialmente in una forza tangente al profilo Fn ed in una forza perpendicolare al profilo ovvero alla tangente; ne consegue che la reazione della parete, Ft (la forza di reazione N ), dovendo essere uguale e contraria alla forza che agisce perpendicolarmente P = mg sul profilo è in grado di annullare questa ma non quella lungo la tangente: ciò significa che il corpo deve cominciare a muoversi lungo il profilo della parete verso la buca ovvero verso vertice V2(4;0); il corpo si allontanerà perciò dalla propria posizione di equilibrio. Se la posizione di equilibrio di un corpo è tale che esso si allontana da questa una volta che è soggetto ad un lieve spostamento allora essa si dice posizione di equilibrio instabile Il risultato così ottenuto è del tutto generale: i massimi dell’energia potenziale sono sempre punti di equilibrio instabile La forza in tal caso è diretta in modo tale da far diminuire l’energia potenziale (infatti essendo essa proporzionale all’altezza, diminuisce al ridursi di questa) ovvero per U < 0 e potremo anche dire che il corpo si muove dai punti a energia potenziale maggiore ai punti ad energia potenziale minore; il corpo acquista così velocità e l’energia cinetica cresce fino a diventare massima quando il corpo raggiunge il secondo vertice ovvero la posizione di minimo, quella cioè in cui l’energia potenziale si annulla essendo l’altezza nulla. Esso corrisponde anche al massimo dell’energia cinetica: infatti dal principio di conservazione dell’energia sappiamo che quando l’energia potenziale è minima l’energia cinetica è massima. Ne consegue che il corpo proseguirà lungo il profilo a destra della buca con 36 un’energia cinetica che tende a diminuire sempre di più sino a raggiungere la medesima altezza sul versante opposto; a quel punto essa si annullerà mentre l’energia potenziale sarà nuovamente massima; il corpo in quell’istante si ferma per poi invertire il moto e oscillare indefinitivamente attorno al centro della buca ovvero al minimo dell’energia potenziale. Viceversa, se posizioniamo il copro nella posizione di minimo, se esso è inizialmente fermo non si muove, ma se esso è soggetto ad una velocità iniziale tale che l’energia cinetica non è superiore all’energia potenziale massima esso risalirà il profilo per un certo tratto per poi fermarsi invertire il moto e tornare verso il minimo per oscillare indefinitamente attorno ad esso. Infatti sempre per il principio di conservazione il corpo non può superare nella sua risalita un’energia potenziale superiore al valore dell’energia cinetica massima. Se la posizione di equilibrio di un corpo è tale che esso si riavvicina a questa una volta che è soggetto ad un lieve spostamento allora essa si dice posizione di equilibrio stabile Il risultato così ottenuto è del tutto generale: i minimi dell’energia potenziale sono sempre punti di equilibrio stabile Può allora il corpo superare nel suo moto l’altezza iniziale del punto di massimo? No se la velocità iniziale è tale che il corpo possieda un’energia cinetica iniziale più piccola dell’energia potenziale massima, come nel caso in cui il corpo viene lasciato libero di scendere senza che abbia avuto un’impulso aggiuntivo. Viceversa se poniamo il corpo nel versante opposto, a destra della buca con una velocità iniziale tale da avere un’energia cinetica superiore all’energia potenziale nel punto di massimo ovvero tale che: 1 2 mv0 mgh0 (dove in tal caso h0 = 4) ovvero per 2 v0 2gh0 il corpo non solo sarà in grado di risalire il profilo verso la sinistra della buca, ma sarà anche in grado di oltrepassare il primo vertice e di sfuggire dalla buca medesima. Possiamo così riassumere i precedenti discorsi dicendo che se il corpo si trova inizialmente nella buca ad un’altezza h con un’energia cinetica inferiore all’energia 1 2 potenziale che possiede a quella altezza ovvero K mv 2 mgh U allora esso non sarà in grado di sfuggire alla “trappola”, viceversa se esso possiede un’energia 1 2 cinetica superiore a tale valore ovvero K mv 2 mgh U allora potrà scappare. Il moto del corpo deve perciò avvenire in modo tale da rispettare il principio di conservazione dell’energia meccanica Vedremo quanto tutto ciò giocherà un ruolo cruciale ai fini della determinazione dei moti dei corpi celesti… 37 Osserviamo ora l’andamento grafico delle interazioni gravitazionali sviluppate tra due corpi dotati di massa al variare della distanza tra i loro centri: M = Interazioni gravitazionali 2 r r 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 100 121 144 169 196 225 256 289 324 361 400 441 484 529 576 625 676 729 784 841 900 961 1024 1089 1156 1225 1296 1369 1444 1521 1600 1/r 2 0,01 0,008264 0,006944 0,005917 0,005102 0,004444 0,003906 0,00346 0,003086 0,00277 0,0025 0,002268 0,002066 0,00189 0,001736 0,0016 0,001479 0,001372 0,001276 0,001189 0,001111 0,001041 0,000977 0,000918 0,000865 0,000816 0,000772 0,00073 0,000693 0,000657 0,000625 10000 Kg m = 70 k=GMm= Kg 700000 Nm2 2 F=GMm/r 7000 5785,124 4861,111 4142,012 3571,429 3111,111 2734,375 2422,145 2160,494 1939,058 1750 1587,302 1446,281 1323,251 1215,278 1120 1035,503 960,2195 892,8571 832,3424 777,7778 728,4079 683,5938 642,7916 605,5363 571,4286 540,1235 511,3221 484,7645 460,2235 437,5 Interazioni gravitazionali 8000 7000 6000 5000 4000 3000 2000 1000 0 0 5 10 15 20 25 30 35 per esigenze grafiche si è posto G = 1, mentre la massa del modulo lunare è stata posta a 10 tonnellate contro una massa dell’astronauta pari a 70 Kg; si è supposto che i centri del modulo e dell’astronauta fossero ad una distanza iniziale pari a 10 m. Il grafico esprime l’andamento della forza quando la distanza cambia da 10 m a 40 m. L’andamento è simile a quello di un’iperbole equilatera più schiacciata però verso il basso rispetto all’iperbole vera. Il problema ora consiste nel calcolare l’area sottesa da tale grafico, ovvero il lavoro effettuato quando la forza di gravità cambia con il cambiare della posizione. M r1 m r m r2 r2 – r1 Supponiamo che la massa m situata inizialmente ad una distanza r1 dalla massa M si sposti fino a portarsi ad una nuova distanza r2 > r1 . Per cambiamenti piccoli di distanza si può esprimere la generica distanza intermedia r tra la posizione iniziale r1 e la posizione finale r2 con la media aritmetica di tali valori: r r1 r2 2 38 se la differenza r2 – r1 è piccola, possiamo infine asserire che r r1 r2 r1 r2 . 2 In sostanza possiamo approssimare la media aritmetica di due numeri con la radice del loro prodotto ovvero con la loro media geometrica. Effettuando il quadrato della relazione r r1 r2 si ricava r 2 r1 r2 1 può essere approssimata con la media r2 Per tali ragioni, la quantità variabile geometrica dei termini 1 r1 2 ed 1 r2 2 ovvero: 1 r2 1 r1 2 1 r2 2 1 1 r1 r2 perciò in tale approssimazione la forza nella generica posizione intermedia tra la posizione iniziale r1 e la posizione iniziale r2 sarà data da: F G M m k 2 r2 r essa approssima la forza variabile nell’intervallo da r1 ad r2 con il valore costante dato dalla formula suscritta. F Ciò consente di approssimare l’area sottostante il tratto di curva AD con l’area del rettangolo sottostante il A segmento BC. k/r2 B C Il rettangolo considerato risulta avere una base di lunghezza r2 – r1 ed un’ altezza di lunghezza k/r2 . D O r1 r r2 r Anche qui, in modo analogo a quanto fatto per la forza elastica, è bene ricordare che essendo la forza puramente attrattiva, ed in tal caso è diretta in senso opposto alla direzione dello spostamento della massa m: ne consegue che anche in tal caso l’area calcolata per poter esprimere il lavoro andrà cambiata di segno. Ne consegue che il lavoro effettuato lungo lo spostamento della massa m da r1 ad r2 sarà con buona approssimazione dato dall’area di tale rettangolo cambiata di segno, ovvero: L G M m r2 r1 r2 ma abbiamo anche visto che r2 può essere bene approssimato dalla media geometrica r1 r2 da cui: 39 L G r 1 1 r M m r1 r2 G M m 1 2 G M m r1 r2 r1 r2 r1 r2 r2 r1 Anche stavolta troviamo che il lavoro è dato dalla differenza di due quantità espresse mediante la medesima formula: L GM m GM m GM m GM m r2 r1 r1 r2 possiamo cioè definire una grandezza fisica della forma: U r GM m r che dipende unicamente dalla posizione e che definiremo “energia potenziale gravitazionale”. Perciò: L U1 U 2 U 2 U1 U Come nel caso del Lavoro effettuato in presenza di forza elastica, anche qui il lavoro è dato dalla differenza tra l’energia potenziale iniziale e quella finale; anche qui l’intensità della forza gravitazionale è proporzionale all’opposto della variazione di energia potenziale, come può essere facilmente calcolato. Possiamo perciò dedurre che anche le forze gravitazionali sono conservative e conseguentemente vale anche per esse il principio di conservazione dell’energia meccanica . 40 M = 10000 Kg m = 70 r 1/r 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 Kg k=GMm= 700000 U=-GMm/r 0,1 0,090909 0,083333 0,076923 0,071429 0,066667 0,0625 0,058824 0,055556 0,052632 0,05 0,047619 0,045455 0,043478 0,041667 0,04 0,038462 0,037037 0,035714 0,034483 0,033333 0,032258 0,03125 0,030303 0,029412 0,028571 0,027778 0,027027 0,026316 0,025641 0,025 -70000 -63636,4 -58333,3 -53846,2 -50000 -46666,7 -43750 -41176,5 -38888,9 -36842,1 -35000 -33333,3 -31818,2 -30434,8 -29166,7 -28000 -26923,1 -25925,9 -25000 -24137,9 -23333,3 -22580,6 -21875 -21212,1 -20588,2 -20000 -19444,4 -18918,9 -18421,1 -17948,7 -17500 Si noti che finora si è assunta l’ipotesi che le masse dei corpi sono tutte concentrate nel loro centro, cosa effettivamente equivalente al caso reale per distanze superiori ai loro raggi; nel caso di distanze inferiori ai loro raggi si può dimostrare che dalla superficie del corpo al suo centro la forza gravitazionale ha un andamento lineare ovvero è proporzionale alla distanza dal centro: F = k r con r < R ,e di conseguenza ,come si può ritrovare nel caso di forze elastiche, l’energia potenziale ha un andamento di tipo parabolico: U = K r2 – C con C > K r2 e costante. U (r) F (r) O R r O R r 41 Come potesi evincere dai grafici, l’energia potenziale risulta diventare sempre più bassa (negativa) man mano che la distanza tra i centri delle due masse si riduce. Così come è stato possibile definire, a partire dalla forza, una nuova grandezza fisica indipendente dal massa del particolare corpo posto ad una data distanza dal corpo centrale, ovvero il campo gravitazionale, è possibile definire a partire dall’energia potenziale una grandezza anch’essa dipendente unicamente dalla massa del corpo centrale e dalla posizione detta Potenziale gravitazionale così definita: V r U r GM m r è facile verificare come a partire dal potenziale gravitazionale, noto in ciascun punto, è possibile risalire al campo gravitazionale: g V r Da ciò possiamo dedurre due cose: Il campo risulterà nullo in tutti i punti in cui V = 0 ovvero per tutti i punti in cui V = costante. Poiché anche la forza risulta proporzionale all’opposto della variazione di potenziale (F -V = V1 - V2 ) ne consegue che essa sarà positiva per V < 0, ovvero il moto del corpo avviene nella direzione volta dai punti a potenziale maggiore ai punti a potenziale minore Trattandosi di interazioni e campi conservativi, il fatto che energia potenziale e potenziale dipendano unicamente dalla posizione si traduce dicendo che il lavoro fatto lungo una traiettoria chiusa dev’essere nullo; ritroveremo questo concetto nelle interazioni elettriche Il potenziale risulta inoltre avere lo stesso valore in tutti i punti equidistanti dalla massa M in quanto per r = cost si deve avere V = cost : di conseguenza, come nel caso della circonferenza piana, le superfici in cui tale potenziale è costante devono essere necessariamente sferiche in quanto la sfera è proprio l’insieme dei punti dello spazio equidistanti da un centro prefissato. Tali superfici si dicono superfici equipotenziali e le loro sezioni piane (parallele al piano del foglio qui usato…) sono delle circonferenze. Si è visto inoltre durante il corso di geometria analitica, che i raggi uscenti dal centro della circonferenza risultano essere perpendicolari alle rette tangenti alla circonferenza nei punti d’intersezione tra esse ed raggi: possiamo così dedurre che nel piano del foglio tali circonferenze, in tali punti risultano perpendicolari alle linee di campo (prolungamenti dei raggi) se assumiamo una curva perpendicolare ad una retta in un punto, quella avente per tangente in quel punto la perpendicolare a tale retta. Possiamo allora generalizzare dal piano allo spazio dicendo anche le superfici sferiche risultano perpendicolari ai prolungamenti di tali raggi e concludere che: 42 Le linee di campo sono perpendicolari in ogni punto alla superficie equipotenziale passante per quel punto. Tale proprietà è valida in generale ed in particolare, poiché il vettore campo elettrico risulta sempre tangente alle linee di campo, si può evincere che anche il campo gravitazionale in un punto risulta sempre perpendicolare alla superficie equipotenziale in quel punto Prima di analizzare il comportamento energetico del sistema osserviamo cosa succede all’energia potenziale nel caso in cui M sia la massa terrestre ed m (<<M) la massa di un grave in caduta libera in prossimità della superficie terrestre . Se R indica il raggio terrestre ed h la sua altezza rispetto alla superficie, la distanza tra i loro centri sarà r=R+h. Nel passare da R+h ad R il corpo subirà una variazione di energia potenziale: U G M m M m 1 h 1 G G M m G M m R Rh R R h Rh R essendo h << R si può trascurare h rispetto ad R, ovvero R+h R , per cui a maggior ragione dev’essere R (R+h) R2 , mentre si che dev’essere: g GM ovvero G M g R 2 R2 per cui sostituendo nell’espressione di U : U g R 2 m h m g h R2 Conseguenza: l’energia potenziale gravitazionale in prossimità della superficie terrestre è direttamente proporzionale all’altezza, in accordo con quanto trovato prima nel caso di forza peso costante. In tale contesto, se v indica la velocità del corpo di massa m , per il principio di conservazione dell’energia meccanica si potrà scrivere: E 1 M m m v2 G costante 2 r Possiamo ora analizzare la struttura delle orbite di un corpo celeste in prossimità di un corpo di massa maggiore a partire dall’equazione dell’energia meccanica. Ricordiamo che secondo tale principio esiste una grandezza fisica, detta energia meccanica, che nel caso in cui un corpo sia soggetto a forze di tipo conservativo si conserva durante il moto del corpo. Nel caso di corpo soggetto ad un campo gravitazionale, si dirà che la sua traiettoria (od orbita) in prossimità di un corpo di massa maggiore sarà proprio caratterizzata da un valore prefissato e costante della sua energia meccanica. Abbiamo inoltre visto che nel caso di traiettoria chiusa (circolare od ellittica), in assenza di forze esterne si 43 conserva anche un’altra quantità: il momento angolare del corpo che ruota attorno al corpo centrale. In accordo con quanto preannunciato nella trattazione delle orbite dell’oscillatore armonico, si può così asserire che in corrispondenza di valori prefissati di energia e di momento angolare si deve avere una sola orbita possibile. Perciò nel caso di un sistema costituito da due corpi celesti interagenti tra loro, in cui l’orbita del corpo di massa minore sia chiusa, si può dire che a ciascun valore fissato dell’energia di tale corpo (quello di massa minore) e del suo momento angolare deve corrispondere una sola distinta orbita in prossimità del corpo di massa maggiore: infatti se così non fosse , il corpo non saprebbe scegliere su quale delle orbite saltare e la legge fisica non avrebbe alcun carattere preditivo o di univocità. I sistemi per i quali è possibile invece una situazione del genere si chiamano “sistemi caotici”. In sostanza stiamo affermando che l’energia meccanica totale ed il momento angolare totale nel caso di orbite chiuse di un corpo soggetto ad interazione gravitazionale, essendo le costanti di moto del corpo (mantenendosi cioè invariate nel corso della sua orbita) determinano in modo univoco l’orbita del corpo stesso. Il problema finale è: come capire quando il corpo celeste compie attorno all’altro un’orbita chiusa o un’orbita aperta? Ovvero, come si fa a sapere se il corpo ripasserà sulla medesima posizione come nel caso della Terra attorno al Sole oppure non tornerà più come nel caso di un asteroide o cometa passeggeri? A tale domanda si può rispondere solo analizzando l’equazione dell’energia meccanica. Supponiamo che un corpo di massa m compia un’orbita chiusa circolare intorno al corpo di massa M >> m ad una distanza dal centro pari ad r e con una velocità costante v. Esso sarà soggetto ad una forza gravitazionale d’intensità: F G M m r2 poiché inoltre esso esegue un moto circolare uniforme, esso sarà soggetto ad una forza centripeta pari a: Fc m v2 r e poiché non esistono altre forze in gioco le due forze devono coincidere: M m v2 G 2 m r r moltiplicando entrambi i membri per r/2 si ottiene l’espressione dell’energia cinetica: K 1 M m m v2 G 2 2r l’espressione dell’energia totale sarà così: 44 E G M m M m M m G G 0 2r r 2r conseguenza: l’energia totale di un corpo che si muove in una orbita chiusa circolare è sempre negativa. L’eguaglianza tra forza gravitazionale e forza centripeta fornisce anche le condizioni a cui deve soddisfare la velocità del corpo per eseguire un’orbita circolare di raggio r: v GM r Il risultato dell’energia totale di un corpo in orbita circolare chiusa può essere esteso a tutte le orbite chiuse prodotte a causa della presenza di forze conservative : L’energia totale è negativa per ogni orbita chiusa Cosa significa tutto ciò? Significa che se l’energia cinetica iniziale di un corpo celeste che entra nel campo gravitazionale generato da un altro corpo è inferiore all’energia potenziale della sua posizione iniziale allora di certo la sua orbita sarà chiusa: il corpo cioè continuerà a girare attorno all’altro indefinitamente, sempre nel contesto delle approssimazioni fin qui effettuate. La condizione generale affinché un corpo percorra una orbita chiusa perciò è: K U Nel caso particolare di interazioni gravitazionali la condizione sarà: 1 M m m v2 G 2 r eliminando m dall’equazione: v2 2G M r ovvero: 0v 2G M r condizione che deve soddisfare la velocità del corpo perché esso non sfugga al campo gravitazionale generato dall’altro.Il valore estremo e positivo di tale velocità si chiama velocità di fuga: vf 2G M r in corrispondenza di esso l’energia cinetica eguaglia l’energia potenziale facendo sì che l’energia totale sia nulla: per tutti i valori di velocità maggiori della velocità di fuga il corpo potrà così sfuggire al campo gravitazionale e la sua orbita sarà necessariamente aperta. In particolare, in corrispondenza del valore della velocità di fuga esso si muoverà secondo un’orbita parabolica, mentre per velocità maggiori di tale valore eseguirà un’orbita iperbolica. 45