Non vorremmo mai partecipare a liturgie come questa, soprattutto

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A RCIDIOCESI DI F ERRARA - C OMACCHIO
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Parrocchia di Migliaro
Omelia di S . E . M ons. P AOLO R ABITTI
Messa esequiale del Canonico Dino Dulcini
A commento di: 1Ts 2,1-8; Gv 10,11-16
22 Ottobre 2007
* * *
“UN PARROCO AMOREVOLE COME UNA MADRE,
SOLERTE COME UN BUON PASTORE”
on vorremmo mai partecipare a liturgie come questa, soprattutto quando Chi “parte”
è talmente inserito nella vita dei Paesi, delle Parrocchie, delle Comunità, da
diventare quasi insostituibile; avendo Egli, in certa misura, segnato la storia del
Territorio e del popolo di Dio.
N
Mi piace constatare una presenza massiccia di fedeli, abitanti di Migliaro – capeggiati dal
proprio Sindaco – ai quali intendo rivolgere il mio saluto; e dalle quali ricevo la conferma di
quanto importante sia stata la testimonianza e il ministero pastorale del nostro Don Dulcini.
Sta accadendo alla nostra Comunità di Migliaro quello che si verifica in una famiglia
allorché si vive l'esperienza del distacco dal proprio padre: si vorrebbe dire tanto, si
vorrebbe fare tanto, ma ciò che si riesce solo a manifestare è una presenza fatta di un
silenzio che è, esso stesso, attestazione di affetto e di riconoscenza.
Un pari saluto, corredato da sentite condoglianze, rivolgo ai parenti di Don Dino; in
particolare saluto la cognata e i nipoti che partecipano a questa Santa Messa, con la quale
intendiamo accompagnare il nostro “padre e fratello” Don Dino sin sulla soglia dell'eternità.
Non posso non sottolineare la presenza di numerosi Sacerdoti; di una significativa
rappresentanza di Alunni del nostro Seminario, che insieme a tutti voi, testimoniano un
affetto e una riconoscenza che non sono il frutto di un’emozione passeggera e momentanea,
quanto il desiderio di esprimere, attraverso la partecipazione composta e la preghiera
intensa, la gratitudine che si deve a chi viene stimato e considerato “benefattore, padre,
pastore”, sull'esempio del Signore Gesù.
È mio intento in questa prima parte della riflessione, sfiorare la ricchezza dei testi biblici
che ci sono stati proposti, e partendo da essi, tentare di offrire qualche pennellata circa la
vita e il ministero di Don Dino, affidando a Don Saverio – che tanto ha circondato d’affetto
e ha tanto goduto della benevolenza di Don Dino – il compito di presentare a noi, qui
radunati, una sintesi cronologica più dettagliata della vita del canonico Dulcini.
1
La prima lettura è stata tratta da uno scritto di S. Paolo agli abitanti di Tessalonica. Dal
brano ascoltato emerge il legame spirituale che congiungeva l'Apostolo alla comunità
vivente nella cittadina greca. Non mancano però chiari segnali che testimoniano anche un
trasporto di tipo affettivo che l'Apostolo nutriva nei confronti di quei cristiani, a tal punto da
potersi notare una corrispondenza “da cuore a cuore” tra S. Paolo e i fedeli di Tessalonica.
In uno dei passaggi più vibranti del brano ascoltato, l’Apostolo afferma testualmente: “mai
infatti abbiamo pronunziato parole di adulazione, come sapete, né avuto pensieri di
cupidigia: Dio ne è testimone”: a testimonianza di come la presenza dell'Apostolo in quella
comunità abbia avuto di mira solo il bene di quei fratelli.
Ma, in un passaggio successivo della medesima lettera, è possibile rintracciare un versetto nel
quale vedo nascosta la figura e l'attività di Don Dino: “Invece siamo stati amorevoli in mezzo a
voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature. Così affezionati a voi, avremmo
desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati
cari”. Penso di essere nel giusto se attribuisco e colloco sulle labbra di Don Dino queste parole
di San Paolo. Coloro con i quali ho avuto modo di confrontarmi in questi mesi mi hanno
raccontato di uno straordinario amore che Don Dulcini ha sempre manifestato nei confronti
degli abitanti di Migliaro. Capace di amicizie cordiali e talvolta tenerissime, Don Dulcini ha
manifestato una pazienza quasi proverbiale, specie nei momenti più difficili della vita della
comunità: amore e pazienza dimostrate sino alla fine, anche nei momenti in cui la salute
vacillava, ma il sorriso attestava l’amore mai sopito. Davvero di questo Sacerdote si può dire
che ha amato la sua gente come una madre i propri figli, o come un pastore il suo gregge.
Il mio pensiero corre ad un colloquio avuto con Don Dino non molto tempo fa’, durante il
quale sono riuscito ad apprezzare ed intuire ciò di cui poi avrei avuto conferma da altre fonti
e da altre testimonianze, nonostante la sua malferma salute, e la senescenza che ne aveva
alquanto obnubilato la memoria. E ritornando con la mente a quel colloquio, Don Dulcini
non ha esitato a manifestarmi, con inequivocabile chiarezza, l'amore che nutriva per i suoi
Parrocchiani, con la stessa immediatezza e la stessa intensità espresse da San Paolo: un
amore talmente profondo da renderlo quasi dimentico delle sue origini romagnole, per non
sottrarre nulla alla Comunità ferrarese, divenuta la propria famiglia.
Sotto questo profilo, il brano evangelico non può che confermare ciò che fin qui di Don
Dulcini abbiamo detto. Nella pagina evangelica è Gesù stesso che, parlando ai suoi
discepoli, si presenta quale prototipo di ogni Presbitero, di ogni Parroco: un modello
talmente sublime, da apparire irraggiungibile, ma al tempo stesso, fonte di ispirazione e di
incoraggiamento per ciascuno di noi: “Io sono il buon pastore”. Dietro la rappresentazione
del pastore, è possibile cogliere i tratti più significativi del ministero sacerdotale tutti
riscontrabili nella testimonianza del canonico Dulcini.
Col proprio bastone in mano (da qui trae origine la consuetudine del Vescovo di impugnare
il pastorale), vigile e premuroso, il pastore vive “con” e “per” il suo gregge: di notte o di
giorno, durante la stagione favorevole o quella inclemente, il pastore non si separa mai dalle
proprie pecore, per timore che una sua assenza possa determinarne lo smarrimento di
qualcuna o una indesiderata razzia all'interno del proprio gregge.
2
A un tale modello di dedizione Gesù ha paragonato se stesso: “offro la vita per le pecore”;
quasi a voler dire che la sua vita è vincolata e in qualche modo posposta a quella del suo
gregge. A tale immagine di pastore si contrappone, in modo del tutto stridente, la figura
losca del “mercenario”: ovvero di un salariato a cui nulla importa delle pecore perché
guarda ad esse solo come ad una opportunità di guadagno e di sopravvivenza e non con lo
sguardo vigile e premuroso del pastore, che offre tutta la sua esistenza per il proprio gregge.
Ciò che differenzia costitutivamente il pastore dal mercenario è la conoscenza personale e
comunitaria di ogni singola pecora: da questo punto di vista il paragone che Gesù presenta
alla nostra attenzione è del tutto formidabile: “come il Padre conosce me, così io conosco la
vita di ciascuna delle mie pecore”. Ma a questo Gesù aggiunge una seconda importantissima
precisazione: “offro la vita per le pecore”. Siamo di fronte ad una attestazione di perfetta
identificazione tra la vita del Cristo e la vita del gregge: “la mia vita è il mio gregge e il mio
gregge è la mia vita!”.
“E ho altre pecore che non sono di questo ovile”: Gesù non desidera “accontentarsi” della
sola Chiesa: il Regno di Dio e il progetto del Padre postulano un interessamento e una
apertura di cuore che raggiunga, come in un abbraccio, tutti gli uomini, sino agli estremi
confini della terra: da qui l'urgenza di condurre nell'unico gregge anche le pecore che ancora
non ne fanno parte: cioè fare del mondo l’unica Chiesa.
La Comunità dei Dodici Apostoli e dei loro Successori, ai quali, molto presto, sono stati
annessi numerosi Collaboratori, i Sacerdoti, ha proprio l'intento di realizzare l'anelito
espresso da Gesù Buon Pastore: quello cioè di raggiungere ogni uomo e ricondurlo
nell'ovile del regno di Dio. Il Buon Pastore ha voluto i “buoni pastori”.
Don Dino è stato uno di questi indispensabili Collaboratori. Al termine della sua esistenza,
lungi dal tessere elogi commemorativi d’occasione, mi si permetta di dire: “Migliaro! Hai avuto
per tanti anni un buon pastore, il quale, sull'esempio di Gesù il Buon Pastore, è stato tenero
come una madre, amorevole come un padre, sollecito e vigile come un degno pastore”.
Che non venga dimenticata una tale testimonianza; non si lasci spoglia e disadorna la sua
tomba; la si circondi di ricordo, di preghiera, di gratitudine; e tali sentimenti vengano
trasmessi anche ai più giovani che non hanno avuto la fortuna di conoscerlo, perché rimanga
imperituro l'insegnamento della vita di Don Dino e la generosità della missione sacerdotale
del Canonico Dulcini, con la quale gli stessi Paesi di Migliaro e Borgo Cascina sono stati
plasmati nei sessant’anni trascorsi.
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