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PRIMI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI SUL LAVORO A PROGETTO
La giurisprudenza, in questo primo scorcio di applicazione della riforma del lavoro di cui al d. lgs.
276/03, riforma che ha introdotto nuove tipologie di contratto, si è dovuta occupare in tre occasioni
del c.d. lavoro a progetto. Mi riferisco alle pronunce edite ed in particolare alla sentenza del
tribunale di Torino del 5.4.2005, del tribunale di Ravenna del 25.10.2005 e del tribunale di Milano
del 10.11.2005. Considerando che la normativa è entrata in vigore nell’ottobre 2003, la
giurisprudenza si è dovuta subito occupare della riforma ed in particolare di uno degli istituti (il
lavoro a progetto, appunto) che nella dottrina aveva suscitato non poche perplessità perché
considerato controtendenza rispetto allo spirito liberista ad essa sotteso.
Le tre sentenze offrono lo spunto per una riflessione su alcuni nodi di cui alcuni, già nei primi
commentatori, avevano costituito oggetto di serrato dibattito.
Le sentenze hanno in particolare trattato le seguenti questioni:
 se la stipula del contratto a progetto debba coincidere con l’inizio della prestazione (trib.
Torino, Ravenna, Milano);
 quale sia la natura della forma del contratto (trib. Torino, Ravenna e Milano);
 quale sia la natura della presunzione ex art. 69, comma 1 (trib. Torino, Ravenna);
 in cosa debba consistere il progetto (trib. Torino, Ravenna, Milano);
 come debba intendersi la disposizione sulla risoluzione del contratto (trib. Ravenna).
Peraltro prima di passare in esame le varie questioni sopra delineate occorre dare conto delle
fattispecie esaminate nella tre sentenze:
tribunale di TORINO:
i progetti riguardavano tre distinte tipologie contrattuali:
promoter:
La D& P Italia srl, che opera nel campo della promozione e distribuzione dei servizi, deve
realizzare un progetto finalizzato alla distribuzione dei servizi di telecomunicazione e internet
individuati dai clienti della medesima. L’obiettivo finale del progetto consiste nel miglioramento e
nella diffusione dei servizi della società committente. A tal proposito al collaboratore è richiesto di
presentare il prodotto Tele2, e i suoi servizi, ai soggetti interessati. Tale presentazione dovrà attuarsi
mediante la realizzazione, da parte del collaboratore di interviste (sondaggi) ai soggetti di cui sopra,
per un numero stimato di contratti non inferiore a 690 per mese;
consulente di stand:
La D& P Italia srl, che opera nel campo della promozione e distribuzione dei servizi, deve
realizzare un progetto finalizzato alla distribuzione dei servizi di telecomunicazione e internet
individuati dai clienti della medesima. L’obiettivo finale del progetto consiste nel miglioramento e
nella diffusione dei servizi della società committente. A tal proposito, al collaboratore è richiesto di
assistere la squadra dei promoters operanti negli stand della società committente (preoccupandosi
inoltre di inoltrare giornalmente a mezzo corriere alla società committente quanto prodotto negli
stand), anche al fine di risolvere eventuali problemi insorti all’interno della squadra stessa. Al
collaboratore è altresì richiesto di supervisionare il montaggio e lo smontaggio degli stand ed il
trasporto degli stessi. Inoltre il Collaboratore è richiesto di presentare il prodotto Tele2, e i suoi
servizi, ai soggetti interessati, mediante la realizzazione di un numero stimato di interviste
(sondaggi) non inferiore a 690 mensili nonché di collaborare al fine del perfezionamento dei relativi
contratti”
consulente di agenzia
La D& P Italia srl, che opera nel campo della promozione e distribuzione dei servizi, deve
realizzare un progetto finalizzato alla distribuzione dei servizi di telecomunicazione e internet
individuati dai clienti della medesima. L’obiettivo finale del progetto consiste nel miglioramento e
nella diffusione dei servizi della società committente. A tal proposito, al collaboratore è richiesto di
assistere la squadra dei promoters operanti negli stand della società committente anche al fine di
risolvere eventuali problemi insorti all’interno della squadra stessa. Al collaboratore è altresì
richiesto di supervisionare il sistema di distribuzione dei servizi della società committente,
formando ed informando consulenti di stand, promoters, consulente regionale e società committente
tribunale di RAVENNA:
realizzazione di un ufficio commerciale/operativo pienamente efficiente; a questo fine la persona
responsabile dovrà istruire i propri collaboratori circa l’ordine e la coordinazione dei vari compiti
affinché il risultato sia la gestione esemplare del cliente a partire dall’ordine in arrivo, alla partenza
della merce, al buon andamento della spedizione. Il tutto sempre rivolto al buon mantenimento della
attuale clientela ed all’acquisizione della nuova. Il mercato esige sempre più maggior
professionalità ed il servizio deve rispondere a tale requisito, è dunque essenziale che il personale
venga instradato a questo scopo con attenzione;
tribunale di MILANO:
attività di informatore medico scientifico.
SE LA STIPULAZIONE DEL CONTRATTO DEBBA COINCIDERE CON L’INIZIO DELLA
PRESTAZIONE
La risposta unanime dei giudici sul punto è stata negativa. Per verità il tribunale di Milano ha risolto
la questione in fatto (e così anche in parte il tribunale di Ravenna), ritenendo cioè non provato che
la prestazione fosse iniziata prima della stipula del contratto.
Peraltro il tribunale di Ravenna non si è sottratto dall’evidenziare come la forma richiesta non è ad
substantiam ma appunto ad probationem sicchè mancando la mancanza di forma incide ai soli fini
della prova e non sulla validità del contratto sul piano sostanziale, contratto che pertanto neppure
potrebbe essere convertito in altro contatto. Dice il tribunale di Ravenna che da ciò deriva che <si
potrebbe lavorare a progetto anche prima della redazione del contatto per iscritto o senza mai
redigere alcuno scritto; senza altre conseguenze diverse dalle limitazioni dettate in materia
probatoria in mancanza dello scritto e rilevanti unicamente sul terreno processuale>.
Comunque nessuna disposizione porta a ritenere infatti che un contratto a progetto iniziato prima
della sua stipula sia un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
LA NATURA DELLA FORMA
Si è così introdotta la seconda questione che è sicuramente tra le più delicate e che la
giurisprudenza sembra risolvere senza ombra di dubbio nel senso della natura ad probationem del
requisito formale.
Il tribunale di Torino, muovendo dal tenore letterale dell’art. 62, 1° co., ha ritenuto senza troppi
problemi la forma ad probationem e ciò gli ha consentito di ritenere provata la sussistenza e
l’esistenza dei progetti per quei lavoratori per i quali il datore di lavoro non aveva prodotto in causa
i contratti (perché mai stipulati), contratti però di cui i lavoratori non ne avevano contestato
l’esistenza.
Infatti nel caso di forma ad probationem l’esistenza del contratto può essere provata con le
limitazioni di cui agli artt. 2725, 1° co., e 2729, 2° co., cod. civ.
Anche il tribunale di Ravenna conclude per la natura ad probationem ma lo fa in maniera più
articolata.
Innanzitutto respinge la tesi proposta dal lavoratore secondo cui il contratto di lavoro a progetto
sarebbe sottoposto alla forma scritta ad substantiam mentre la forma ad probationem sarebbe
riferita solo agli elementi che la norma indica come contenuto del contratto di collaborazione: in
sostanza la forma ad substanziam per il contratto, la forma ad probationem per il progetto.
Poi ricorda la regola generale secondo cui il contatto si considera a forma libera, mentre la forma a
pena di nullità deve essere indicata espressamente dalla legge (1350 c.c.) oppure prevista dalle parti
convenzionalmente (art. 1352 c.c.). Comunque qualora si ritenesse la forma ad substantiam,
secondo il tribunale di Ravenna, l’effetto non sarebbe quello della trasformazione prevista dall’art.
69, 1° co., ma la nullità del contratto (cioè il venir meno dello stesso vincolo contrattuale).
LA PRESUNZIONE EX ART. 69, COMMA 1°
In realtà la questione della forma è strettamente connessa alla questione della presunzione di cui
all’art. 69, 1° co., e non è infatti casuale che il tribunale di Ravenna abbia tratto dalla presunzione
elementi per affermare indirettamente la natura ad probationem della forma richiesta.
Invero l’art. 62, 1° co e l’art. 69, 1° co. sembrerebbero tra loro in insanabile contrasto.
Infatti nel primo si legge che la forma scritta è richiesta ai fini della prova, nell’art. 69, 1° co., si
legge invece che <i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza
l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’articolo
61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla
costituzione del rapporto>.
L’art. 69 introduce una regola che sembrerebbe afferire la forma ad substantiam e non la forma ad
probationem.
In altri termini la presunzione riguarda la fattispecie sostanziale (e si tratta quindi di presunzione
assoluta iuris et de de iure) oppure incide sull’onere della prova (presunzione relativa e quindi iuris
tantum)?
I giudici non hanno dubbio nel ritenere la presunzione dell’art. 69, 1° co., iuris tantum, e ciò fanno
utilizzando il principio costituzionale secondo cui il tipo contrattuale non è né nella disponibilità
della parti né tantomeno del legislatore. Al riguardo netta è da sempre stata la presa di posizione
della Corte costituzionale sul punto (Corte cost. 121/93 e 115/94, entrambe citate dal tribunale di
Torino).
I giudici si sono preoccupati di dare una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 69, 1°
co., escludendo quindi che possa ravvisarsi una presunzione assoluta di subordinazione. In
particolare il tribunale di Torino ha rilevato non tanto un contrasto con le inderogabili garanzie di
cui agli artt. 36 e 38 cost. quanto col principio di eguaglianza dell’art. 3, perché la norma
arriverebbe ad imporre le specifiche e forti tutele del lavoro subordinato ad attività che in nessun
modo abbiano concretamente presentato le caratteristiche che tali garanzie giustificano.
Trattandosi di presunzione relativa essa può quindi essere superata mediante prova contraria alla
sussistenza della subordinazione.
Sul punto deve peraltro registrarsi che in dottrina è stato sostenuto che la ratio della normativa nel
suo complesso nonchè il dato testuale (“sono considerati”), indurebbero a ritenere invece la
presunzione assoluta, nel senso che i contratti di collaborazione autonoma continuativa a tempo
indeterminato non sono vietati, ma soltanto parificati al contratto di lavoro subordinato quanto alla
disciplina applicabile, ovvero allo standard minimo di trattamento. “Non <sono> rapporti di lavoro
subordinato, ma <sono considerati> come tali: espressione che ben può essere letta nel senso che
essi non sono di per sé contra legem, ma sono semplicemente assoggettati alla stessa disciplina dei
rapporti di lavoro subordinato, pur restando legittima la pattuizione circa l’autonomia della
prestazione, ovvero il suo non assoggettamento pieno a eterodirezione” (ICHINO, Lezioni di diritto
del lavoro, Milano 2004, 212).
Questa sarebbe invero la novità dirrompente della riforma e cioè che i collaboratori autonomi
continuativi a tempo indeterminato (quando non godano di pensione di vecchiaia e non siano iscritti
a un albo professionale) godono di tutte le protezioni poste dall’ordinamento per i lavorati
subordinati.
Resta però da registrarsi il fatto che la tesi giurisprudenziale trova rispondenza nella circolare n.
1/2004 del Ministero del lavoro che al punto X afferma che <si tratta di una presunzione che può
essere superata qualora il committente fornisca in giudizio prova della esistenza di un rapporto di
lavoro effettivamente autonomo>.
La questione dianzi trattata consente di venire a parlare del progetto, elemento che i giudici hanno
cercato, per quanto possibile, di evitare di definire.
IL PROGETTO
Le tre pronunce non danno soddisfazione all’interprete per quanto riguarda
la nozione di
<progetto>.
La ragione deve individuarsi nel fatto che, in tutte e tre le controversie, secondo il principio della
domanda (art. 99 c.p.c.) il giudice è stato chiamato a pronunciarsi non sulla legittimità dei progetti
ma sulla sussistenza o meno della subordinazione. Probabilmente per aversi pronunce che mettano a
fuoco il progetto occorrerà attendere che siano le imprese ad agire in giudizio con azioni di
accertamento ad esempio nei confronti dell’INPS per fare accertare la legittimità del contratto a
progetto dichiarato non genuino da un verbale ispettivo dell’Istituto.
Invero solamente il tribunale di Torino enuclea dall’art. 61, comma 1, gli elementi minimali del
progetto: 1) il progetto deve caratterizzarsi per la specificità; 2) il collaboratore deve conservare
margini di autonomia, ancorché coordinabili con l’organizzazione del committente; 3) in ogni caso
l’attività deve essere valutata e valutabile indipendentemente dal tempo di esecuzione.
In realtà poi, di questi elementi il tribunale utilizza appieno il primo: il giudice ha infatti escluso la
specificità, perché si trattava di progetti standard identici per tutti i collaboratori ed identici anche
all’oggetto sociale, sicchè la specificità, anche a non intenderla come individualizzazione del
progetto sul singolo collaboratore, doveva escludersi proprio per la standardizzazione dei progetti
che confermava che ai collaboratori non era stato affidato uno specifico incarico o progetto o una
specifica fase di lavoro ma, in totale, l’unica attività che non può che essere identica per tutti,
l’attività aziendale in se stessa>.
Occorre dire che il caso esaminato dal tribunale di Torino è un caso limite laddove una società che
aveva solo sei dipendenti (amministrativi) poteva invero contare su ben 80 collaboratori a progetto,
ed il tribunale ha ritenuto non specifico il progetto perché in esso non era ravvisabile nulla di più
rispetto all’oggetto sociale dell’impresa e ai progetti degli altri collaboratori.
Invero il tribunale si abbandona anche ad altre considerazioni, francamente discutibili, in ordine al
fatto che la struttura aziendale era in realtà composta esclusivamente da collaboratori a progetto il
che non rendeva distinguibile l’organizzazione aziendale dall’attività dei collaboratori: in realtà tale
affermazione sembrerebbe in contrasto con l’art. 69, 3° co., non potendo il giudice entrare nel
merito delle scelte aziendali inerenti alla sua struttura.
In sostanza mi sembra che il tribunale abbia voluto provare troppo perché probabilmente un
imprenditore, ad esempio nel settore pubblicitario o del merchandising, potrebbe dotarsi di una
struttura di segreteria che si relazioni con la clientela e poi affidare a singoli collaboratori a progetto
ad esempio singole campagne pubblicitarie o promozionali limitate nel tempo
Quanto agli altri elementi della fattispecie (autonomia del collaboratore nell’esecuzione
dell’obbligazione lavorativa, ancorché coordinabile con l’organizzazione del committente) il
tribunale rilevava una tale ingerenza del committente nell’attività del collaboratore, da evidenziare
inequivocabili indici di subordinazione (controllo quotidiano da parte del committente dell’attività
svolta ed assenza di autonomia del prestatore che era organizzato in turni di lavoro da parte del
committente).
Sempre per quanto attiene il progetto il tribunale di Ravenna, invece, ha fatto leva sul fatto che il
compito assegnato alla lavoratrice configurasse <una precisa attività, delimitata funzionalmente e
temporalmente, cui ineriva un chiaro risultato finale (una più efficace implementazione
dell’organizzazione dell’ufficio commerciale)>: tali elementi secondo il Giudice erano sufficiente
senza dover indagare se si trattassi di progetto in senso stretto o programma di lavoro e fase
dell’uno o dell’altro.
Secondo infatti il tribunale l’attività sopra descritta, per sua natura delimitata nel tempo e
richiedente una elevata professionalità nel collaboratore, si attaglierebbe, anche all’interno della
nozione restrittiva (innovativa, creativa ed eccezionale) di lavoro a progetto, nozione restrittiva che
invece non sarebbe stata accolta dal legislatore come risulterebbe dalla interpretazione data dalla
circolare ministeriale prima ricordata che <estende il concetto di progetto-programma-fase ad una
qualsiasi attività anche ordinaria, connessa all’attività principale o accessoria, che risulti
identificabile in base al risultato finale ovvero in base ad un risultato parziale destinato ad essere
integrato da altre lavorazioni o risultati parziali>.
LA RISOLUZIONE DEL CONTRATTO
La questione è trattata solamente dal tribunale di Ravenna.
Secondo la ricorrente anche a ritenere il contratto a progetto legittimo, non così doveva ritenersi il
recesso anticipato perché avvenuto in un contratto con termine minimo risolto anticipatamente in
violazione del suddetto termine, sicchè la clausola contrattuale doveva ritenersi nulla.
Il tribunale risolve la questione sul dato testuale della normativa di riferimento (art. 67) che
consente il recesso prima della scadenza del termine, oltre che per giusta causa anche secondo
causali o modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle partii nel contratto di lavoro individuale. Nel
caso in esame la previsione di un preavviso, anche se afferente ad un contratto a termine, anche
acausale sarebbe quindi consentita. Sul punto il tribunale fa leva sul fatto che la disposizione in
esame reca una disgiuntiva o e non la congiuntiva e, errore peraltro in cui cade, oltre la ricorrente,
anche la circolare ministeriale n. 1/2004. Secondo il tribunale inoltre il recesso non riguarderebbe
un contratto di lavoro subordinato ma un contratto autonomo e che quindi anche in assenza della
specifica disposizione dell’art. 67, le parti, dal combinato disposto degli artt. 1322 e 2222 e ss c.c.,
sarebbero state comunque libere di regolare con analoghe pattuizioni in recesso dal contratto
inserendo la clausola di preavviso.
ALCUNE CONSIDERAZIONI
Partendo proprio dalla disposizione in tema di recesso, mi sembra quanto meno meritevole di
maggior approfondimento, la conclusione del tribunale. Invero se è condivisibile l’interpretazione
offerta dal tribunale sul mero dato letterale della disposizione in esame, non può non evidenziarsi
come la fattispecie dell’art. 67 si presenti come una anomalia nel sistema.
Infatti se è vero che il contratto a progetto è un contratto a termine, è altresì vero che nei contratti a
termine, solo la giusta causa giustifica il recesso prima della scadenza del termine contrattuale. Il
preavviso infatti si pone come elemento determinativo, integrativo della fattispecie, solo nei
contratti di durata a tempo indeterminato.
Se poi funzione del preavviso è la protezione della parte che lo riceve, occorrerà che esso dia diritto
ad un termine <ragionevole>: diversamente si introdurrebbe la possibilità di recedere di fatto ad
nutum, possibilità che peraltro, dovrebbe poi fare i conti con la orami consolidata giurisprudenza in
tema di abuso del recesso ad nutum.
Per quanto riguarda invece il tema del progetto gli orientamenti giurisprudenziali hanno a mio modo
di vedere risentito, come del resto è inevitabile, delle fattispecie portate alla loro attenzione e
soprattutto degli elementi di prova emersi dall’istruttoria.
In realtà più che ad indagare analiticamente sui progetti in quanto tali si è posta somma attenzione a
come le prestazioni di collaborazione venivano in concreto svolte.
Infatti, una volta ritenuta dai Giudici la presunzione ex art. 69, 1° co. presunzione relativa, i
ragionamenti effettuati per decidere le cause sono stati quelli che da sempre si fanno quando si deve
decidere se una attività umana è stata realizzata in regime di autonomia o subordinazione. I tribunali
sono infatti andati alla ricerca degli indici elaborati dalla giurisprudenza in questi sessant’anni per
affermare poi con metodo tipologico se lo svolgimento del rapporto era più vicino al tipo autonomo
o subordinato. Emblematica la decisione del tribunale di Milano che muove proprio dalla
affermazione tralaticia della cassazione che ogni attività può svolgersi in regime di autonomia e
subordinazione, per rilevare come fin dal ricorso nessun elemento suffragava la sussistenza della
subordinazione, essendo stata data la mera descrizione della declaratoria contrattuale
dell’informatore farmaceutico.
Del resto la lettura dell’intero articolo 69 porta inevitabilmente a concludere che:
a) in assenza del progetto, il committente può comunque provare l’autonomia del rapporto (comma
1°);
b) in presenza di un progetto, il collaboratore può invece provare la sussistenza di un rapporto di
lavoro subordinato (comma 2°).
Il progetto, che probabilmente nelle intenzioni del legislatore doveva essere l’indice, il rilevatore
formale della genuinità del rapporto perché capace di coagulare in se indici di autonomia, non
sembra adempiere nella realtà tale funzione, proprio perché la sua esistenza consente comunque al
lavoratore di provare la subordinazione, ed il rapporto si trasforma nel rispetto della tipologia
negoziale di fatto realizzatasi tra le parti.
Ancora una volta, e le pronunce esaminate lo confermano, il principio di effettività e di
indisponibilità del tipo emergono quali punti di riferimento incomprimibili del diritto del lavoro
Enrico Ravera
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