LA PATRIA = RODINA
Te ne sei andata, e io nel deserto
Sto, prostrato sulla sabbia ardente.
E nessuna parola d'orgoglio
La mia lingua può ora pronunciare.
Quel che c'è stato non rimpiango.
E ho capito la tua grandezza:
Sì. Tu sei la materna Galilea
Per me, Cristo che non è risorto.
Che un altro ti accarezzi pure,
Che moltiplichi la voce selvaggia:
Il Figlio dell'Uomo non sa
Dove potrà appoggiare la testa.
(30 maggio 1907)
Nella folta erba t'infoltirai,
Senza bussare, nella casa silenziosa entrerai...
Con forza ti abbraccerà, con la treccia ti avvolgerà,
E, snella, ti dirà: "Ti saluto, o principe.
Ecco, presso di me c'è un cespo di rose bianche.
Ieri qui si è avviluppato il vilucchio.
E tu? Dov'eri? Che fine hai fatto?
Chi ama? Chi non ama? Chi ci scaccia?"
Come prima i giorni dimenticherai che se ne vanno.
Come prima perdonerai, chi è superbo, cattivo.
Guarda dunque: lontane s'alzano le nubi,
E i canti tu ascolti dei villaggi lontani...
Per una terra lontana il cuore piangerà,
Invocherà la battaglia, attirerà, chiamerà...
Solamente dirà: "Ti saluto. Ritorna da me".
E ancora oltre l'erba risuona il campanellino...
(12 luglio 1907)
Ripide erte coperte di folta foresta:
Lassù in alto, un tempo,
Costruivano i nonni le dimore che bruciano.
E cantavano del loro Cristo.
Ora più non sibila la frusta del pastore,
E canti il flauto non canterà.
Solo dal burrone penderà l'umido muschio,
Come consunto capecchio di strega.
Le ciglia dei muschi sono ricoperte
Da un'ombra per sempre invalicabile,
Dormono, dalla pigrizia cullate,
Di un silenzio così nemico dell'uomo.
E l'uomo il triste airone
Sul tumulo di padule non spaventerà,
Ma in ogni cheta e rugginosa goccia
C'è l'inizio dei fiumi, dei laghi e paludi.
E le rugginose gocciole della foresta,
Nascendo nell'oscurità remota,
Portano alla Russia spaventata
La notizia di un Cristo che brucia.
(Ottobre 1907 - 29 agosto 1914)
SUL CAMPO DI KULIKOVO
1
Il fiume s'è allargato. Scorre, s'angoscia, pigro,
E lava le rive.
Sopra la misera creta della rupe gialla
Nella steppa s'intristiscono i pagliai!
O, mia Rus'! Sposa mia! Fino al dolore
Ci è chiaro il lungo cammino!
Il nostro cammino come la freccia tatara dell'antica libertà
Ci ha trafitto il cuore.
La nostra strada è nella steppa, nella sconfinata angoscia,
Nella tua angoscia, o Rus'!
E persino la tenebra, notturna e straniera,
Io non temo.
Che sia pure la notte. Arriveremo. Con i falò illumineremo
La lontananza della steppa.
Nel fumo della steppa risplende la santa bandiera
E l'acciaio della sciabola del khan...
E la lotta è eterna! La pace la si sogna soltanto
Attraverso il sangue e la polvere...
Corre, vola la giumenta della steppa
E calpesta l'erba bianca...
E non si vede la fine! Scorrono le pietre miliari, le erte.
Férmati!
Le nubi spaventate vanno, vanno,
E tramonto è nel sangue!
Il tramonto è nel sangue! Il sangue sgorga dal cuore!
Piangi, cuore, piangi...
Non c'è pace! La giumenta della steppa
Corre al galoppo!
(7 giugno 1908)
2
Io e l'amico ci siamo fermati a mezzanotte nella steppa:
Non c'è ritorno, indietro non si può guardare.
Oltre la Neprjadva gridavano i cigni,
E di nuovo, di nuovo essi gridano...
Sulla strada c'è una bianca pietra ardente.
Oltre il fiume, l'orda pagana.
Il luminoso stendardo sulle nostre schiere
Non sventolerà mai più.
E con la testa china verso terra
Mi dice l'amico: "Affila la tua spada,
Per non combattere invano contro i tatari,
Per non giacere morto invano per la sacra impresa!"
Io non sono il primo guerriero, né l'ultimo,
Per lungo tempo la patria sarà malata.
Ricorda dunque durante la messa mattutina
Il caro amico, o sposa luminosa!
(8 giugno 1908)
3
Di notte, quando Mamaj coprì con la sua orda
Le steppe e i ponti,
Nel campo oscuro c'eravamo Tu ed io.
Forse che tu lo sapevi?
Davanti al Don oscuro e funesto,
Fra i campi notturni,
Io ho sentito la Tua voce con profetico cuore
Nelle grida dei cigni.
A mezzanotte come una nube si sollevò
La schiera del principe.
E lontano, lontano contro la staffa
Si agitava, piangeva una madre.
Tracciando cerchi gli uccelli notturni
Si libravano lontano.
E sulla Rus' lampi silenziosi
Vegliavano il principe.
Il grido dell'aquila sul campo tataro
Minacciava sciagura
E la Neprjadva si avvolgeva nella nebbia
Come una principessa col velo.
E con la nebbia sulla Neprjadva addormentata,
Diritta verso di me
Tu sei scesa, nell'abito che emanava luce
Senza spaventare il cavallo.
Come l'argento dell'onda Tu risplendevi all'amico
Nella spada d'acciaio.
Rinfrescavi la corazza impolverata
Sulla mia spalla.
E quando, al mattino, come una nera nube
L'orda si mosse,
C'era nel Tuo scudo il Volto non dipinto da mano umana,
Luminoso per l'eternità.
(14 giugno 1908)
4
Di
Si
Di
Tu
nuovo con un'angoscia secolare
sono piegate a terra le erbe.
nuovo oltre il fiume nebbioso
mi chiami di lontano...
Sono fuggiti, dispersi chissà dove
Gli armenti delle giumente della steppa,
Si sono sciolte le selvagge passioni
Sotto il giogo della luna calante.
Ed io con la secolare angoscia,
Come un lupo sotto la luna calante,
Non so che devo fare con te,
Dove posso volare dietro a te!
Ascolto i rumori della battaglia
E le grida di tromba dei tatari.
Vedo sulla Rus', di lontano,
Un ampio e silenzioso incendio.
Avvinto da un'angoscia potente,
Io mi aggiro su un bianco cavallo...
Si vedono libere nubi
Nell'alto buio della notte.
Si innalzano luminosi pensieri
Nel mio cuore straziato,
E cadono i luminosi pensieri,
Bruciati da un fuoco oscuro...
"Appari, o mio prodigioso prodigio!
Insegnami ad essere di luce!"
Si solleva la criniera del cavallo...
E le spade invocano il vento.
(31 luglio 1908)
5
E dal buio di indicibili sciagure
È avvolto il giorno venturo.
Vl. Solov'jov
Di nuovo sul campo di Kulikovo
Si è alzata, si è sparsa la tenebra
E come in una nuvola tetra
Ha avvolto il giorno futuro.
Oltre il silenzio che non si sveglia,
Oltre l'oscurità ovunque diffusa,
Non s'ode il suono della straordinaria battaglia,
Non si vede il lampo della guerra.
Ma ti riconosco, principio
Di alti e turbolenti giorni!
Sul campo nemico, come un tempo,
Il frusciare e le trombe dei cigni.
Il cuore non può vivere in pace,
Non invano si sono radunate le nubi.
L'usbergo è pesante, come prima della battaglia.
Adesso è giunta la tua ora. - Prega!
(23 dicembre 1908)
LA RUSSIA
Di nuovo, come negli anni d'oro,
Si logorano tre lise bretelle,
E affondano i raggi pitturati
In slabbrate rotaie...
Russia, misera Russia,
Per mele tue izbe grigie,
Per me i tuoi canti di vento
Sono come le prime lacrime d'amore!
Non so rammaricarmi per te
E con cura porto la mia croce...
A qualunque stregone
Tu dai la tua brigantesca bellezza!
Lascia che ti chiami e ti inganni,
Tanto non morirai, non svanirai,
E solo un turbamento annebbierà
I tuoi lineamenti meravigliosi...
E allora? Per un affanno in più,
Per una lacrima non sarà più rumoroso il fiume,
E tu sei sempre la stessa: il bosco, e il campo,
E uno scialle ricamato fino alle sopracciglia...
E l'impossibile è possibile,
Lieve è la lunga strada,
Quando balena all'orizzonte della via
Il lampo di uno sguardo sotto lo scialle,
Quando risuona il dolore delle carceri
Nel sordo canto del carrettiere!...
(18 ottobre 1908)
Eccolo il vento
Che suona l'angoscia delle carceri,
Sulla palude infinita
Un fuoco impossibile,
Il fantasma steso
Lungo la strada di un salice.
Questo tu mi hai predetto:
La tomba.
(4 novembre 1908)
GIORNO D'AUTUNNO
Andiamo per le stoppie, senza fretta.
Con te, mia umile amica.
E profluisce l'anima
Come in una buia chiesa di campagna.
Alto e silenzioso è il giorno d'autunno.
Si ode soltanto un corvo che sordamente
Chiama i suoi compagni,
E una vecchia tossisce.
L'essiccatoio spande un basso fumo,
E a lungo sotto l'essiccatoio
Seguiamo con sguardo attento
Il volo delle gru...
Volano. Volano in angolo obliquo,
La loro guida canta e piange...
Che cosa canta, che cosa?
Che significa questo pianto d'autunno?
I poveri, bassi villaggi
Non si contano, né si misurano con l'occhio,
E splende nel giorno che si oscura
Un falò in un prato lontano...
O mio misero paese,
Che significhi tu per il cuore?
O mia povera sposa,
Che cosa tu piangi amaramente?
(1 gennaio 1909)
Non andartene. Resta con me.
È da così tanto che ti amo.
Il fumo
Fluisce
Solo il
Solo la
del falò in azzurrina striscia
nel buio, nel buio del giorno.
velluto scarlatto di una scarlatta pianeta,
luce dell'alba mi ha ricoperto.
Tutto, tutto è inganno, come nebbia grigia
Striscia la tristezza dei cupi luoghi.
E solo un abete, come una croce purpurea
Proietta all'orizzonte una aerea croce...
Amica, nel festino della sera
Indugia qui, resta con me.
Dimentica, dimentica il mondo terribile,
Respira la profondità celeste.
Guarda con triste dolcezza
Come striscia nella luce dell'alba il fumo.
Con un riparo io ti proteggerò,
Con l'anello delle braccia, anello d'acciaio.
Con un riparo ti proteggerò
Con il vivo anello delle braccia.
Anche noi dobbiamo fluire come il fumo,
Come la grigia nebbia, nel cerchio scarlatto.
(Agosto 1909)
Mia Rus', mia vita, insieme dovremo sempre soffrire?
Lo zar, e la Siberia. Ermak, e le carceri!
Ehi, non è forse il tempo di lasciarci, di pentirci...
A che serve la tua oscurità al libero cuore?
Sapevi qualcosa? O forse hai creduto in Dio?
Che cosa sentirai, là, delle tue canzoni?
Che hai fatto con i Cudi, come hai misurato i Meri,
I sentieri di legno, le strade, le pietre miliari...
Nel legno costruivi barche e città lungo i fiumi,
Ma fino ai santuari di Bisanzio non sei giunta...
Hai liberato falchi e cigni nella steppa,
Dalla steppa si precipitò la tenebra nera...
Oltre il mar Nero, oltre il mar Bianco,
Nelle notti nere e nei bianchi giorni
Selvaggio guarda il giorno fattosi muto,
Gli occhi dei Tatari lanciano fuochi...
Un placido, lungo, rosso bagliore
C'è ogni notte sul tuo accampamento...
Che cosa fai apparire tu, miraggio di sonno?
Giochi con il mio libero spirito?
(28 febbraio 1910)
SULLA STRADA FERRATA
A Marija Pavlovna Ivanova
Sotto la scarpata, nel fosso incolto,
Giace, e guarda, come se fosse viva.
Con uno scialle a fiori, gettato sulle trecce,
Essa è giovane e bella.
Di solito camminava con incedere superbo,
Al rumore e al fischio, oltre il bosco vicino.
Oltrepassata la lunga piattaforma
Aspettava, turbata, sotto la tettoia.
Ecco che arrivavano tre occhi luminosi,
Più tenero il colorito, più folta era la ciocca:
Forse, qualcuno tra i passeggeri
Guardò più attento dai finestrini...
Viaggiavano i vagoni nel solito ordine,
Sferragliavano e scricchiolavano:
Tacevano i gialli e gli azzurri:
Nei verdi piangevano e cantavano.
Si alzavano assonnati dietro i vetri
E guardavano con sguardo indifferente
La piattaforma, il giardino dai cespugli scolorati,
Lei, e il gendarme che le stava vicino...
Solo una volta un ussero, con mano incurante
Appoggiata al velluto rosso,
Fece scorrere su di lei un tenero sorriso:
Fece scorrere, e il treno lo portò lontano.
Così s'era perduta l'inutile giovinezza,
Estenuata nei vuoti sogni...
L'angoscia della strada, della strada ferrata
Fischiava, e straziava il cuore...
Macché: da tempo il cuore non c'è più,
Tanti inchini sono stati fatti,
Tanti avidi sguardi sono stati lanciati
Negli occhi deserti dei vagoni...
Non avvicinarti a lei con domande,
Per voi, tanto, è lo stesso, e lei ne ha abbastanza:
Dall'amore, dal fango o dalle ruote
È stata schiacciata, ed è tutta dolore.
(14 giugno 1910)
LA VISITA
Una voce
Non sono gli abeti, gli abeti sottili
Che innalzano al tramonto le croci,
Ma diventano scarlatte all'orizzonte di neve
Le mie tenere dita, o caro.
Portata via dalla bianca bufera,
Nella profondità, nel mio stato senza respiro,
Eccomi di nuovo, mi sono chinata
Sul tuo letto, respiro, riconosco...
Attraverso le notti, le lunghe notti,
Attraverso le oscure notti, incoronata.
Eccoli, ancora gli azzurri occhi
Sul mio volto invecchiato!
Nella ma voce vi sono gli echi del mare,
Sul tuo volto i pungiglioni del fuoco,
Ma io leggo nello sguardo spaventato,
Che tu mi ricordi e mi ami.
La seconda voce
La mia vecchia casa è avvolta dalla bufera,
Freddo è divenuto il solitario focolare.
Mi sono abituato a che su questo letto
Si chinasse solo un attento nemico.
La mia anima non è più veggente,
Se ricordo, solo il vento volerà,
Solo un rubino incandescente dalla cenere
Brucerà il mio volto carbonizzato!
Non oso guardare nei tuoi occhi,
Tutto quello che c'è stato è lontano.
Nei lunghi anni di una notte infinita
Il cuore è colmo di un terribile ricordo.
(Settembre 1910)
Là il fondo illuminato del cielo
Tra macchie fumose.
Là il ciarlare di stormi di oche
Si sente chiaro.
Libero, allegro e forte,
All'orizzonte amato
Io sento lo smisurato suono,
Irraggiungibile.
Là l'autunno come ala tenebrosa
Ampio si libra.
Là il vecchio bosco sotto la scure
Si fa rado.
(Settembre 1910)
Un suono si avvicina. E, docile al suono struggente,
L'anima ringiovanisce.
Anche nel sogno premo alle labbra la tua mano di un tempo,
Senza respirare.
Sogno di essere di nuovo un bambino, e di nuovo un amante.
E il burrone, e l'erba selvatica,
E tra l'erba, la rosa di rovo pungente,
E la nebbia della sera.
Attraverso i fiori, e le foglie, e i rami pungenti, lo so,
La vecchia casa guarderà nel mio cuore.
Guarderà ancora il cielo, rosato da un orlo all'altro,
E la tua finestra.
Questa voce ò la tua, e al suo suono incomprensibile,
Darò la vita e il dolore.
Almeno nel sogno, la tua cara mano di un tempo
stringendo alle labbra.
(2 maggio 1912)
SOGNI
È tempo di dormire, ma, peccato,
Non voglio addormentarmi!
Il cavallo a dondolo si dondola,
Vorrei sul cavallo saltare!
Il raggio della lampada, come nella nebbia,
Un-due, un-due, un!...
Va la cavalleria... e la tata
Tira in lungo il suo racconto...
Ascolto la fiaba antica, antica,
La fiaba degli eroi,
Quella della zarina d'oltremare,
Sì, della reginotta...
Un-due, un-due! Il cavaliere in corazza
Muove il cavallo,
E mi attira, e mi porta
Chissà dove...
Oltre i mari, oltre gli oceani,
Mi attira e mi porta.
Nelle nebbie azzurre e fumose
Dove dorme la reginotta...
Dorme in un lettino di cristallo,
Dorme cento notti lunghe,
E l'azzurra luce della lampada
Le cade negli occhi...
Sotto i broccati, sotto i raggi,
Lei sente, attraverso i sogni
Come risuonano e colpiscono le spade
Contro il cristallo della parete...
Con chi si batte l'irato cavaliere,
Si batte per sette notti?
E la settima notte sulla reginotta
Splende un cerchio luminoso di raggi...
E attraverso gli assonnati mantelli
Si stendono i raggi,
Contro le catene delle prigioni
Risuonano le chiavi...
Dolce dorme nel suo lettino.
Dormi?... Ascolto... dormo.
Un raggio verde, il raggio della lampada.
Io ti amo!
(Ottobre 1912)
LA NUOVA AMERICA
Festa gioiosa, festa grande.
E dietro le nubi non si vede la stella...
Tu stai sotto la selvaggia bufera,
Paese fatale, paese nativo.
Oltre le nevi, i boschi, le steppe
Io non vedo il tuo volto.
C'è solo forse davanti agli occhi lo spazio terribile,
L'incomprensibile vastità senza fine?
Affondando in un cumulo profondo,
Mi siedo su una slitta marcita.
Non riposi tu in una ricca bara,
Tu misera, finnica, Rus'!
Là fingerai di essere una credente,
Là fingerai di essere una vecchietta,
La voce delle preghiere, il suono delle campane,
Oltre le croci, ci sono croci e croci.
Solo il tuo incenso blu e di rugiada
Passa attraverso me, talvolta, diverso...
No, non c'è un volto vecchio ed emaciato
Sotto lo scialle moscovita a fiori!
Attraverso gli inchini fino a terra, le candele,
Litanie, litanie, litanie
Parole piane, sussurrate,
Che infiammano le tue guance...
Più lontano, lontano... Si è scatenato il vento,
Volando per le radure della terra nera...
Il cespuglio lungo la strada si scuote al vento,
Come un diacono che agiti la stola...
E già laggiù, oltre il fiume colmo d'acqua,
Dove fino a terra si sono piegate le erbe,
Trascorre l'odore di bruciato, libero,
Si sentono rimbombi al lontano orizzonte...
O forse è di nuovo qui il campo dei Polovcy,
E il tumultuoso dominio dei Tatari?
O forse con l'incendio di un fez turco
Impazzisce la steppa selvaggia?
No, non si vede lo stendardo del principe,
Né con gli elmi attingono nel Don,
Né la bellissima nipote dei Varjaghi
Maledice la prigionia dei Polovcy...
No, non svolazzano là al vento i ciuffi,
Né si vedono i colori delle variopinte insegne...
Là nereggiano le ciminiere delle fabbriche,
Là si lamentano le sirene delle officine.
La strada della steppa è senza fine, senza uscita,
La steppa, e il vento, e il vento, e d'improvviso
L'edificio a molti piani di una fabbrica,
E le città di catapecchie operaie...
Nella vastità deserta e selvaggia
Tu sei sempre com'eri, e non lo sei,
Hai voltato verso di me un nuovo volto,
E mi agita un altro sogno...
Il
ll
Ma
La
nero carbone, il messia sotterraneo,
nero carbone è qui zar e fidanzato,
non è terribile, fidanzata, Russia,
voce delle tue canzoni di pietra!
Il carbone geme, e il sale s'è imbiancato,
E urla il minerale di ferro...
Sulla vuota steppa ora si è accesa
Per me la stella di una nuova America!
(12 dicembre 1913)
A mia madre
Il vento si è calmato, e la gloria dell'alba
Ha avvolto quegli stagni.
Ecco un monaco. Chiuso il suo libro
Attende umilmente la stella.
Ma scorre la strada maestra,
Da qualche parte sparisce...
Fammi respirare, sii più lenta, in nome di Dio.
Non scricchiolare, sabbia!
Della gloria dell'alba s'indora
Da lontano, la croce del monastero.
Non dovremmo forse svoltare verso l'eterna pace?
E che cos'è la vita senza cappello monacale?...
E di nuovo irresistibile mi trascina
Lontano dai tranquilli posti
La strada maestra, che passa accanto,
Accanto al monaco, agli stagni, alle stelle...
(Agosto 1914)
L'ULTIMO VIATICO
Passa il dolore, a poco a poco.
Non ci è dato per sempre.
Hanno fine i ribelli lamenti,
Il malo tormento, e l'inquietudine
Li vince il silenzio.
Tu hai chiuso le dolenti palpebre,
Tu non aspetti: ella è entrata.
Eccola: con suono di cristallo
Ti ha colmato di speranza,
Ti ha circondato di luce.
Senti tu attraverso il dolore dei tormenti,
Proprio come un amico tuo, l'antico amico,
Che ha toccato il cuore con tenero violino?
Come di lievi visioni di sogno
Ti ha raggiunto d'un tratto un veloce sciame?
Questa è un'immagine lieve di paradiso,
È la tua amata, la cara.
Mettiti sul letto di morte con un sorriso,
Per sognare piano, chiudendo
Il cerchio odioso della vita.
Per tendersi senza desideri,
Sorridere per sempre,
perché aleggino per l'ultima volta
Accanto, sonnolenti come in una nebbia,
La gente, le case, le città...
Perché i suoni, appena turbando
Con la lieve musica della terra,
Risuonino, languidi,
Sull'ultima pace del letto
E in un altro mondo ti trascinino...
Lusinghe, perfidia, gloria, oro:
Via, via, via per sempre...
L'umana ottusità, tutto
Quello che un tempo ci tormentava,
E a volte ci divertiva...
E di nuovo perfidia, gloria,
Oro, adulazione, una conclusione per tutto:
La stupidità umana
È senza rimedio, maestosa,
infinita... E che cos'è, la fine?
No... ancora boschi e valli,
Vie di paese e strade maestre,
Il nostro cammino russo,
Le nostre nebbie russe,
Il nostro frusciare dell'avena...
E quando tutto sarà passato via,
Tutto ciò per cui la terra ci turbava,
Colei che hai tanto amato
Ti condurrà con l'amata mano
Fino ai Campi Elisi.
(14 maggio 1914)
Peccare senza vergogna, senza risveglio,
Perdere il conto delle notti, dei giorni,
E, con la testa pesante per l'ebbrezza,
Entrare di lato nel tempio del Signore.
Tre volte chinarsi al suolo,
Sette volte farsi il segno della croce,
Di nascosto il suolo sputacchiato
Sfiorare con la fronte ardente.
Ponendo nel piattino un soldo di rame,
Tre e ancora sette volte di seguito
Baciare la povera centenaria
Cornice dell'icona, logorata dai baci.
E tornando a casa, squadrare qualcuno
Su quello stesso soldo,
E con un singhiozzo scacciare
Col piede, dalla porta, un cane affamato.
E sotto il lume, davanti all'icona,
Bere il tè, controllare i conti,
E poi contare insalivandole le cedole,
Dopo aver aperto il panciuto comò.
E sui soffici piumini
Abbandonarsi a un sonno pesante...
Sì, anche così, mia Russia,
Tu mi sei più cara di tutti i paesi.
(26 agosto 1914)
Il cielo di Pietrogrado si intorpidiva di pioggia,
Un reparto andava alla guerra.
Senza fine, plotone dopo plotone, baionetta dopo baionetta
Riempivano un vagone dopo l'altro.
In questo treno in migliaia di vite fiorivano
Il dolore del distacco, i tormenti dell'amore,
La forza, giovinezza, speranza... Nell'orizzonte al tramonto
C'erano nuvole fumose di sangue.
E, salendo, cantavano "Il variago",
E gli altri, stonati, "Ermak",
E gridavano "urrah", e scherzavano,
E la mano furtiva si faceva la croce.
A un tratto volò, sotto il vento, una foglia che cadeva.
Oscillando, ammiccava un lampione,
E sotto la nera nube un suonatore allegro di tromba
Suonò il segnale di partenza.
E un corno piangeva la gloria guerriera,
Riempiendo di inquietudine i cuori.
Lo sferragliare delle ruote e il rauco fischio
Assordavano gli urrah senza fine.
Già erano scomparsi nella tenebra i respingenti,
E scese il silenzio fino al mattino,
E dai campi di pioggia veniva a noi l'urrah,
Nel richiamo minaccioso risuonava: è l'ora!
No, non provavamo tristezza, e neppure rimpianto,
Nonostante l'orizzonte piovoso.
Questo chiaro, fermo, fedele acciaio
Aveva forse bisogno del nostro dolore?
Questa pietà, la soffoca l'incendio,
Il tuono delle armi, il calpestio dei cavalli.
Questa tristezza la ricopre il vapore velenoso
Che viene dai campi insanguinati di Galizia...
(1 settembre 1914)
Non ho tradito la bianca bandiera,
Assordato dal grido dei nemici,
Tu sei passata per strade notturne,
Siamo soli, presso i baluardi.
Sì, i sentieri notturni, fatali,
Ci hanno separati e poi di nuovo uniti,
E ancora verso di te, o Russia,
Siamo giunti da terre estranee.
La croce e il terrapieno della fossa comune,
Ecco dove ora tu sei, o silenzio!
Solo del canto struggente di un soldato
Ci giunge l'eco di lontano.
E, vicino, tutto è vuoto e muto,
Nel sonno di morte stanno nemici e amici.
E splende la stella di Betlemme
Così luminosa, come il mio amore.
(3 dicembre 1914)
A Z. N. Gippius
I nati in anni solitari e remoti
Non ricordano il loro cammino.
Noi, figli degli anni spaventosi della Russia,
Non riusciamo a dimenticare nulla.
Anni che inceneriscono!
C'è in voi la notizia di una follia o di speranza?
Dai giorni della guerra, dai giorni della libertà,
C'è sui volti un riflesso di sangue.
C'è
Che
Nei
C'è
un silenzio, oppure il rintocco di una campana,
ci ha costretti a sbarrare le labbra.
cuori, un tempo entusiasti,
un vuoto fatale.
E che sul nostro letto di morte
Volteggino i corvi gridando.
Coloro che saranno più degni, o Dio, Dio,
Che vedano il Tuo Regno!
(8 settembre 1914)
Il vento selvaggio
Preme i vetri,
Le imposte dai gangheri
Furiosamente strappa.
L'ora del mattutino pasquale,
Suono lontano, suono triste,
Sordità e negrezza.
Solo il vento, ospite sfacciato,
Scuote i portoni.
Oltre la finestra, nero e vuoto,
La notte è piena di passi, e scricchiolante,
Là il fiume spezza il ghiaccio,
La fidanzata mi aspetta...
Come
Come
Come
A un
liberarsi dal dormiveglia maligno,
scacciare l'ospite?
riuscirò l'amata a un estraneo,
maledetto, non dare?
Come non abbandonare tutto al mondo,
Non essere disperato di tutto,
Se come un ospite viene il vento,
Solo il selvaggio, negro vento,
Che scuote la mia casa?
Perché, o vento,
Premi contro i vetri?
E le imposte dai gangheri
Furiosamente strappi?
(22 marzo 1916)
IL NIBBIO
Volteggiando con placidi cerchi
Sul prato assonnato gira il nibbio
E guarda il prato deserto.
Nella piccola izbà la madre piange davanti al figlio:
"To', per il pane, to', succhia il petto.
Cresci, ubbidisci, porta la croce".
Passano i secoli, rumoreggia la guerra,
Si alza la ribellione, bruciano i villaggi,
E tu sei sempre lo stesso, mio paese,
Nella tua bellezza antica e di pianto.
Fino a quando piangerà la madre?
Fino a quando volteggerà il nibbio?
(22 marzo 1916)
POESIE NON COMPRESE IN "RODINA"
E RIFERITE ALLA RUSSIA
Introduzione
Tu nei campi sei andata senza ritorno,
Sia santificato il Tuo Nome!
Di nuovo le rosse lance del tramonto
Hanno teso contro di me le punte.
Solo al Tuo flauto d'oro
Nel nero giorno appoggerò le labbra.
Se non risuonano più le preghiere,
Io, oppresso, mi addormenterò nel campo.
Tu passerai nella porpora d'oro,
Ormai non potrò più chiudere gli occhi.
Fammi respirare in questo mondo assonnato,
Baciare il tuo cammino irradiato...
O, strappa l'anima arrugginita!
Dammi la pace con i santi,
Tu, che reggi il mare e le terre
Immobilmente con la Mano sottile.
(16 aprile 1905)
DANZE D'AUTUNNO
Darmi di nuovo e di nuovo emozioni,
In questo è la tua segreta volontà,
La gioia attende la parola segreta,
E già il tessuto d'oro è pronto
Perché possa ridere la mia anima.
Sorride l'autunno attraverso le lacrime,
Vola nei cieli una preghiera,
E oltre il merletto della sottile betulla,
Si è messa a suonare una tromba.
Così turbano i suoni trasparenti,
Come se risuonasse la tua cara voce,
Ma tu taci, alzando le braccia,
Rivolgendo allo zenit le tue braccia.
E le tornite braccia tremano,
Scendono le chiome dalle bianche spalle,
Dietro a te si sciolgono nelle danze.
Le tue vesti di signora dell'autunno.
Bagnata da una
Tu hai sciolto
Sul burrone si
L'anello d'oro
pioggia aerea
le ciocche di capelli.
è allargato
delle tue danze.
Incantato dalla musica dell'acqua,
Io non posso non cantare, non danzare,
E non possono prati e burroni
Non ardere sotto il tuo piede.
Con noi è la giovinezza dalle ali lievi,
A noi è data un'aerea sorte...
E da dove giunge a noi la Gioia,
E da dove fluttua il Silenzio?
Il silenzio delle erbe che muoiono,
Questo è un tempo luminoso nel mondo:
Un sogno colmo di segni sacri,
Che l'oggi passerà come l'ieri,
Che i voli dei tempi e dei desideri
Sono solo il battere di mani di fanciulla,
Sulla terra, sulla radura verde,
Un cerchio indissolubile e gioioso.
E il sole pacifico non dovrà
Violare e turbare il Silenzio,
E l'erba del bosco non dimenticherà,
Non dimenticherà mai la Primavera.
E i fiocchi di neve per le erte del burrone
Cancelleranno, appianeranno gli orli,
Là, dove l'acqua ha loro ordinato,
Là dove c'è la tua danza, la tua libertà.
(1 ottobre 1905)
LIBERTÀ D'AUTUNNO
Esco fuori sulla strada, aperta agli sguardi,
Il vento piega gli elastici cespugli,
La pietra battuta giace sui pendii,
Avari strati di gialla argilla.
Ha galoppato l'autunno nelle umide valli,
Ha scoperto i cimiteri della terra,
Ma nei villaggi che attraversiamo
Arde lontano il rosso colore dei fitti sorbi.
Eccola la mia gioia, che danza
E canta, canta, immersa nei cespugli!
E lontano, lontano si agita nel richiamo
La tua manica ricamata, la tua manica fiorita.
Chi mi ha attratto sulla nota strada,
Mi ha sorriso alla finestra del carcere?
O forse, attratto dalla strada di pietra
Sono un povero mendicante che recita i salmi?
No, vado per una strada
E che mi sia leggera la
Ascolterò la voce della
Riposerò sotto il tetto
non chiamato da nessuno,
terra!
Rus' ebbra,
di un'osteria.
Mi metterò a cantare del mio successo,
Come ho distrutto nel vino la mia giovinezza...
Piangerò sulla tristezza dei tuoi campi,
Amerò per sempre le tue distese...
In molti siamo, liberi, giovani, belli,
Che muoiono senza amore...
Accoglici nelle tue pianure immense!
Come è possibile vivere e piangere senza di te!
(Strada di Rogacevo, Luglio 1905)
A Evgenij Ivanov
Eccolo, il Cristo, in catene e rose
Oltre l'inferriata della mia prigione.
Ecco l'Agnello Mite in bianche pianete
Che è venuto e guarda alla finestra del carcere.
Nella semplice cornice del cielo azzurro
La Sua icona guarda alla finestra.
Un povero artista ha creato il cielo.
Ma il Volto e il cielo azzurro sono una sola cosa.
Unico, Luminoso, un poco triste
Dietro a Lui sale l'erba del grano,
Sul monticello c'è un orto di cavoli.
E betulle e abeti corrono verso il burrone.
E tutto è così vicino e così
Che, stando a fianco, non si
E non raggiungerai l'azzurro
Finché non diverrai anche tu
lontano,
può raggiungere,
occhio,
come un sentiero...
Finché non sarai anche tu così povero,
Non giacerai, calpestato, nell'oscuro burrone.
Non dimenticherai tutto, non disamerai tutto,
E non diverrai pallido come una morta erba.
(10 ottobre 1905)
LA RUS'
Tu anche nel sogno sei straordinaria.
Non sfiorerò la tua veste.
Dormo e oltre il sonno c'è il mistero,
E nel mistero tu riposi, o Rus'.
Rus', circondata da fiumi,
E avvolta da forre,
Con gli stagni e le gru,
E con il torbido sguardo dello stregone.
Dove popoli dal volto diverso
Di paese in paese, di valle in valle
Guidano danze notturne
Al bagliore dei villaggi in fiamme.
Dove maghi e
Incantano le
E le streghe
Sulle pietre
incantatrici
erbe nei campi,
se la spassano con i diavoli
miliari di neve.
Dove furiosamente spazza la bufera
Fino al tetto la fragile casupola,
E la ragazza contro l'amico traditore
Affila la lama sotto la neve.
Dove tutte le strade e tutti i crocicchi
Sono calpestati come da un vivo bastone,
E il vortice, che fischia nei nudi pruni,
Canta le tradizioni antiche...
Là, io ho conosciuto nel mio sonno
La povertà del paese nativo...
E nei suoi stracci e brandelli
Nascondo la nudità dell'anima.
Un sentiero triste, notturno
Fino al cimitero ho percorso,
E là, passando la notte
Ho cantato a lungo una canzone.
E io stesso non capivo, non sapevo
A chi dedicavo le canzoni,
In quale Dio appassionatamente credevo,
Quale fanciulla amavo.
Cullavi la mia anima viva,
O Rus', nei tuoi spazi,
Ed ecco, ella non ha macchiato
La sua primitiva purezza.
Io dormo e oltre il sonno c'è il mistero,
E nel mistero riposa la Rus'.
Essa anche nei sogni è straordinaria.
Non sfiorerò il suo vestito.
(24 settembre 1906)
AMORE D'AUTUNNO
1
Quando tra le foglie umide e rugginose
Rosseggia il grappolo di sorbo,
Quando il carnefice con mano ossuta
Ficcherà nella palma l'ultimo chiodo,
Quando sull'incresparsi dei fiumi plumbeo,
Nell'umida e grigia altitudine,
Davanti al volto della patria severa
Io penderò sulla croce,
Allora, in modo ampio e lontano,
Guarderò attraverso il sangue delle lacrime
Prima della morte, vedrò: sul fiume a me
Verrà nella sua barca il Cristo.
Negli occhi, le stesse speranze,
Indosso avrà gli stessi cenci.
E tristemente guarderà dalla veste
Il palmo trafitto dal chiodo.
Cristo! La distesa della patria è triste!
Vengo meno sulla croce!
E la tua barca approderà mai
Alla mia altezza di crocifisso?
2
Ed ecco già sconvolti e uccisi dal vento
I rami del salice, volate via le foglie.
E con la polvere delle strade
La cupa vecchiaia si è posata sulle guance.
Ma nelle oscure orbite
Hanno guardato, scintillato occhi impossibili...
E la gioia, e la gloria C'è tutto in questo splendore senza fondo
E lontano.
Ma le erbe calpeste
Sono tristi,
E le foglie si attorcigliano nel bosco nudo.
E sogno, sogno, sogno:
Il sole c'è stato!
E ho sempre più compassione di te...
O stupido cuore,
Fanciullo che ride,
Quando smetterai di battere?
3
È così bello abbracciare
Sotto il vento le tue spalle fredde:
Tu pensi - una tenera carezza,
Io so, il tumulto della ribellione!
E si scaldano gli occhi come candele
Notturne, e avido ascolto
Muoversi uno spaventoso racconto,
E respira il sentiero stellare...
O, in questa sera scintillante
Tu sarai sempre così bella,
E, fedele all'oscuro paradiso,
Per me tu sarai la stella luminosa!
Io so che il vento è freddo,
Io credo che l'autunno è senza passioni!
Ma nell'oscuro mantello non sapranno
Che tu hai festeggiato con me!...
E galoppiamo nelle vastità d'autunno,
E ascoltiamo le trombe lontane,
E misuriamo le strade notturne,
Le mie altitudini fredde...
Sono passate le ore del trionfo
Le mie labbra inebriate
Baciano nel turbamento che precede la morte
Le tue labbra fredde.
(3 ottobre 1907)
UNA VOCE DAL CORO
Come sovente piangiamo voi ed io
Sulla misera nostra vita!
O se voi sapeste, amici,
Il freddo e la tenebra che verranno!
Ora tu stringi la cara mano,
Giochi con lei scherzando,
E piangi, sentendo la menzogna,
O il coltello nella mano amica,
Bambino, bambino!
Alla menzogna e perfidia non c'e misura,
E la morte è lontana.
Sempre più nera sarà la luce spaventosa,
E sempre più folle il vortice dei pianeti
Ancora per secoli e secoli!
E l'ultimo tempo, il più orrendo di tutti,
Lo vedremo, voi ed io.
Il vergognoso peccato coprirà il cielo,
Il riso si gelerà su tutte le labbra,
L'angoscia del non essere...
Tu, bambino, aspetterai la primavera,
La primavera t'ingannerà.
Tu chiamerai in cielo il sole
E il sole non sorgerà.
E un grido, quando tu comincerai a gridare,
Cadrà come una pietra...
Siate contenti della vostra vita,
Più silenziosi dell'acqua, più umili dell'erba!
O se sapeste, figli, voi,
Il freddo e l'orrore dei giorni che verranno!
(6 giugno 1910 - 27 febbraio 1914)