“LA MANO SULLA MIA FERITA” ( Mc 1,40-45 VI domenica t.o.) Oggi il vangelo ci parla di un lebbroso. Chi sia questa persona non si sa. Non ha nome né volto perché è ogni uomo, voce di ogni creatura. Con tutta la discrezione di cui è capace dice solo: se vuoi, puoi guarirmi. Il suo futuro è appeso ad un sé seminato nel cuore di Dio. Dobbiamo chiederci: ma cosa voleva dire, a quel tempo, avere la lebbra? La lebbra non era considerata una malattia, ma una terribile punizione scagliata da Dio per i peccati dell'individuo. Il lebbroso era considerato un maledetto, un cadavere vivente. La lebbra nel libro di Giobbe è chiamata: "Il figlio primogenito della morte" (Gb 18,13). La lebbra quindi non era una malattia come le altre, ma un castigo di Dio. Per questo il lebbroso non poteva stare in paese ma doveva starsene appartato, emarginato dalla società. E quando qualcuno gli si avvicinava o lui passava vicino a qualcuno doveva urlare: "Sono immondo, sono maledetto da Dio, stai lontano da me, non mi toccare! La scorsa domenica, lo ricorderete, Gesù uscito dalla sinagoga inizia a guarire la suocera di Pietro, poi evangelizza, scaccia i demoni e conclude la sua giornata pregando. Gesù trascorre un giorno ed una sera a condividere il dolore per sanarlo… ed una notte per offrirlo e ringraziare il Padre. Nella vita di ognuno di noi il dolore è presente. Un prete ne è travolto quotidianamente. La morte improvvisa di un giovane, la malattia di un bambino, il lutto che decima una famiglia, sono esperienze che, quando bussano alla porta, sminuzzano la fede con una lametta, facendola sanguinare e, spesso, spegnendola. Le parole diventano vuote, il volto di Dio offuscato, le gestualità prive di significato e di forza consolatrice. E quanti modi di dire poi, intorno alla sofferenza e al dolore… modi di dire che negano il vero volto del Dio di Gesù! "Dio ci mette alla prova, facendoci soffrire"… ma a me sembra che in nessuna pagina di vangelo Gesù abbia donato una malattia; anzi se non ricordo male, i suoi interventi hanno sempre guarito!!! "Dio prende con sé sempre i migliori" ho sentito dire da qualcuno, commentando la morte di un giovane… dunque se è così, fratelli cari… comportiamoci malissimo, così almeno Dio ci fa campare fino a 80 anni!!! Per pietà… non voglio certo fare l’avvocato difensore di Dio, non so dare risposte, diffido di chi me le vuole rifilare, di chi usa la verità assoluta come si inzuppa il biscotto nel caffelatte... Nel vangelo odierno il lebbroso, a nome nostro, chiede: che cosa vuole Dio per me? Cosa vuole da questa carne sfatta, da questo corpo piagato, da questi anni di dolore? Gli scribi di ogni tempo hanno già le loro risposte. Per loro Giobbe è un caso teologico. Ma in quella teologia Dio è assente. La fede del lebbroso invece palpita: Dio o è il Dio della compassione o non è Dio! Cosa vuoi per me? Quello che dicono gli scribi o vuoi guarirmi? La svolta del racconto non è contenuta in una riflessione, ma in un verbo che indica l’essere preso allo stomaco, dice di una mano che ti stringe le viscere: provò compassione! Per i sacerdoti il lebbroso è un caso, per Gesù è una lama nella carne. Per gli scribi è un teorema, per lui è un fremito, che muove e genera gesti, che fa quasi violenza alla mano, la fa stendere, la fa toccare. La mano parla prima della voce, le dita sono più eloquenti delle parole: Gesù rompe i tabù, toccare il lebbroso è diventare impuro per la legge. Ma per lui l’uomo è sempre puro e vale più della legge. Una carezza più della legge. È 1 l’eloquenza di toccare il male tremendo: da troppo tempo nessuno toccava più il lebbroso, per paura, per ribrezzo, per obbedienza alla legge. E la sua carne moriva di solitudine, il suo cuore moriva di assenze. La guarigione comincia quando qualcuno si avvicina e mi tocca con amore, mi parla da vicino, non ha paura, patisce con me. Il dolore non domanda spiegazioni, vuole partecipazione. Sentirsi toccati è una delle esperienze più belle e vitali. Chi sa toccarti davvero, chi sa sfiorare il tuo intimo di luce o di piaga, questi solo lascia tracce di vita, è il tuo guaritore. La parola, una voce per esistere dentro il vuoto, viene dopo: lo voglio, guarisci! Eternamente Dio vuole figli guariti. A me, a Lazzaro, alla figlia di Giairo, alla suocera di Simone ripete: lo voglio, alzati, guarisci. Dio è guarigione. Guarigione dal male di vivere… dall’isolamento… dall’esclusione. Non conosciamo i tempi di Dio… ma sappiamo che egli rinnoverà battito su battito il cuore… stella su stella la notte! Dio tace, di fronte al dolore, e lo porta con sé, lo salva, lo riempie di condivisione. Gesù non dona nessuna risposta al dolore, lo condivide con passione… e basta! La vita è dolore, concludono in molti. La vita è dolore, concludeva il Buddha, indicando nel distacco dalle passioni l'unica soluzione per non soffrire. Gesù propone nella solidarietà condivisa l'alternativa. Un dolore condiviso e redento ci rende autentici, dona forza e speranza, mantenendo intatto l'aspetto misterioso (misterico) del dolore del mondo. 2