La Stagione di Alghero

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CeDAC
Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna
Teatro Civico di Alghero
Stagione di Prosa e Danza 2016-17
Si apre il sipario sulla Stagione di Prosa e Danza 2016-17 al Teatro Civico di Alghero organizzata
dal CeDAC nell'ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna, con il sostegno
della Fondazione META e dell'amministrazione comunale di Alghero. Dieci spettacoli in
cartellone tra febbraio e maggio, con uno speciale omaggio a Dario Fo.
Tra i protagonisti Tullio Solenghi con “Decameron - un racconto italiano in tempo di peste”
ispirato alle novelle di Giovanni Boccaccio, Nicoletta Braschi, musa di Roberto Benigni, nel ruolo
di Winnie in “Giorni Felici” accanto ad Andrea Renzi (che firma anche la regia), e Ugo Dighero
alle prese con il “Mistero Buffo” di Dario Fo.
Sotto i riflettori anche Giorgio Lupano (attore di solida formazione teatrale e volto noto del piccolo
e grande schermo) e l'attrice piemontese – berlinese d'adozione – nativa “segnante” Rita Mazza in
“Figli di un Dio minore” di Mark Medoff e l'attore e drammaturgo Michele Sinisi con la sua
versione di una celebre “farsa” napoletana di Eduardo Scarpetta: “Miseria & Nobiltà”.
Scrittore, giornalista e conduttore televisivo, Carlo Lucarelli è autore e interprete di “Controcanti L’Opera buffa della censura” insieme ai musicisti Alessandro Nidi e Marco Caronna mentre
Beppe Rosso (lo zio di “The Repairman”), figura di spicco della scena torinese, firma la regia di
“Piccola società disoccupata” di Rémi De Vos di cui è protagonista insieme a Ture Magro e
Barbara Mazzi.
Un poetico racconto per quadri con “Zitti Zitti” del Teatro Actores Alidos – diretto e interpretato da
Valeria Pilia accanto a Manuela Sanna, Roberta Locci e Manuela Ragusa, e poi spazio alla
danza con “Nero Tango” scritto e diretto da Nunzio Caponio, in scena con Monica Spanu e
l'evocativo “Carmen K (kimera)” di Artemis Danza da un'idea di Monica Casadei – che firma le
coreografie – sulla falsariga dell'opera di Georges Bizet.
Sapienti intrecci fra letteratura e teatro - sabato 11 febbraio alle 21 – in “Decameron - un racconto
italiano in tempo di peste”, un progetto di Sergio Maifredi (che firma anche la regia) con la
collaborazione di Gian Luca Favetto e la consulenza filologica di Maurizio Fiorilla: sotto i riflettori
Tullio Solenghi, per un'antologia delle più celebri novelle di Giovanni Boccaccio. «Decameron è il
primo grande progetto narrativo della letteratura occidentale», sottolinea Maifredi, «un inno al
potere della mente di inventare la vita attraverso il racconto»: al potere salvifico delle parole si
affidano i dieci giovani sfuggiti dalla peste, e attraverso quelle storie, spesso ironiche e maliziose,
l'autore disegna un minuzioso affresco della società, mettendo l'accento sul gioco delle passioni.
Sullo sfondo delle dieci giornate affiora il ricordo del terribile flagello, e il “Decameron” offre
quindi lo spunto per indagare sulle tante «pesti contemporanee, tutte alimentate dal sentimento della
paura» afferma Favetto, «L’idea è di sfuggirla, di arginarla, questa paura, figlia della confusione e
dei rapidi cambiamenti che stiamo vivendo». La rilettura dell'opera del Boccaccio ne rivela
l'assoluta modernità, per l'universalità dei temi e la capacità di sfruttare al meglio i diversi registri,
dal triviale al sublime, trasformandola in un prezioso strumento per interpretare la realtà e
«comporre una mappa del presente».
Un classico del Novecento come “Giorni Felici” di Samuel Beckett – martedì 21 febbraio alle 21 –
per Nicoletta Braschi (musa di Roberto Benigni da “Tu mi turbi” a “La vita è bella” e “La tigre e
la neve”, diretta da registi come Bernardo Bertolucci, Marco Ferreri, Giuseppe Bertolucci, accanto
a Marcello Mastroianni in “Sostiene Pereira”) protagonista sulla scena nel ruolo di Winnie insieme
ad Andrea Renzi (Willie) – che firma anche la regia. Ritratto di donna – in forma di incessante
monologo, quasi un flusso di coscienza da cui affiorano ricordi e emozioni, rimpianti e antiche
ferite, nel paradossale contrasto tra la banalità del quotidiano e l'immagine di un mondo stravolto,
dopo una non meglio definita catastrofe. Una creatura infitta a metà nella terra – o in un mucchio di
sabbia – metaforicamente imprigionata fino alla vita, si aggrappa con tutte le sue forze ad un'idea di
normalità, cercando di conservare anche in quella situazione estrema e vagamente surreale la
propria dignità. “Giorni Felici” mette a nudo la routine della vita di coppia, il fragile equilibrio tra
caratteri, abitudini, desideri e frustrazioni, aspirazioni e rinunce, in una impegnativa prova d'attrice,
un «tenace corpo a corpo» con il personaggio, «una sfida sull’asse della fragilità e della resistenza...
del candore e della dolorosa consapevolezza, della regola e della libertà, della dipendenza e della
solitudine, del riso e del pianto... della grazia e del caso».
S'intitola “Nero Tango” lo spettacolo scritto, diretto e interpretato da Nunzio Caponio, in scena
con Monica Spanu – in cartellone venerdì 3 marzo alle 21: un viaggio nei labirinti della mente e
del cuore di «due creature immerse nel loro peccato di esistere», tra il fuoco della passione e la
cruda disperazione, tra fatali incroci di sguardi e battute taglienti lanciate come coltelli. Un duello di
parole, un incontro (forse) in una milonga, in cui ciascuno mostra la propria fragilità sfidando la
sorte e l'avversario, in una inedita guerra tra i sessi ispirata alla grammatica del «pensiero triste che
si balla». Una donna, un uomo, una danza che diventa metafora dell'esistenza, dell'incapacità di
esprimersi e comunicare, sia pure attraverso le regole di un galateo, un codice segreto della
seduzione, in cui uno sguardo si trasforma in un invito che non si può rifiutare. Un grido – di dolore
o di rabbia – spezza il silenzio, interrompe la magia, il silenzioso e ben noto rituale del
corteggiamento, in un avvicinarsi dei corpi quasi guidati da fili invisibili secondo le eterne leggi
dell'attrazione, preludio a una storia che si brucia nel tempo di una canzone. La pièce affronta
attraverso l'eleganza e il pathos del tango, quel simbolico amplesso a suon di musica, le inquietudini
del presente, l'incapacità di incarnare appieno e di riconoscersi nei modelli imposti dalla società e
l'impulso irrefrenabile di essere finalmente se stessi.
Riflettori puntati – mercoledì 8 marzo alle 21 – su Carlo Lucarelli, giornalista, scrittore e
conduttore televisivo, nonché autore e interprete di “Controcanti - L’Opera buffa della censura” sulle note del pianoforte di Alessandro Nidi con Marco Caronna alla chitarra, percussioni e voce,
per un inedito itinerario tra i feroci tagli e le strane sviste degli istituti preposti al controllo e alla
limitazione della libertà d'espressione. Un inizio avventuroso e metateatrale – in cui i protagonisti in
fuga per diverse ragioni si ritrovano in uno scantinato dove scoprono un microfono e una vecchia
radio, probabilmente di epoca fascista: da qui lo spunto per una riflessione sui metodi più o meno
drastici e curiosi con cui venivano inesorabilmente cassate melodie e testi sgraditi al regime.
Innumerevoli esempi – non solo del Ventennio con i rigidi censori del MinCulPop – ma di anni ben
più vicini e apparentemente democratici, durante i quali il “comune senso del pudore” segnava il
confine invalicabile della decenza e del buon gusto, ma non erano ammessi neppure brani
vagamente sovversivi o presunti tali. “Controcanti” ripercorre, con ironia e leggerezza, e a tempo
di musica, la storia di un ufficio da sempre diretta o indiretta emanazione del potere, bene attento a
soffocare critiche e lamentele, messaggi ambigui o male interpretabili, magari in aperto o solo
ipotetico contrasto con la propaganda ufficiale, con effetti spesso grotteschi se non esilaranti.
Tra le più celebri e fortunate “farse” napoletane, “Miseria & Nobiltà”, moderna riscrittura del testo
di Eduardo Scarpetta firmata dall'attore e drammaturgo Michele Sinisi con Francesco Maria Asselta
– martedì 14 marzo alle 21 - “reinventa” il personaggio di Felice Sciosciammocca, povero
squattrinato esperto nell'arte di arrangiarsi. Una figura emblematica, resa immortale da grandi
interpreti, primo fra tutti il Principe Antonio De Curtis, alias Totò, in cui si riassumono lo spirito
della città partenopea, tra quotidiana lotta per la sopravvivenza e un'irresistibile, malinconica
allegria da Pulcinella. Un raffinato gioco delle maschere nel quale miserabili e signori si
confrontano, i primi portando in dote una fame plurisecolare, gli altri la sazietà e la dissolutezza di
chi è cresciuto tra gli agi senza mai dubitare della propria sorte. Una trama da commedia tra amori
giovanili e scambi di persona per un vivido affresco della società tra vizi e (rare) virtù. Nel cast –
oltre a Michele Sinisi, che ha curato anche la regia - Diletta Acquaviva, Stefano Braschi, Gianni
D'Addario, Gianluca delle Fontane, Giulia Eugeni, Francesca Gabucci, Ciro Masella, Stefania
Medri, Giuditta Mingucci e Donato Paternoster. In un susseguirsi di colpi di scena, i due mondi
per un istante vengono a contatto e sembrano potersi mescolare, ma la ferrea legge della differenza
di classe segna un confine invalicabile: resta il ricordo di un'avventura assurta a mito collettivo.
Fotografa l'ordinaria precarietà del mondo contemporaneo la “Piccola Società Disoccupata” di
Rémi De Vos – mercoledì 29 marzo alle 21 – con Ture Magro, Barbara Mazzi e Beppe Rosso
(che firma anche la regia): storie e personaggi si intrecciano a disegnare le molteplici sfaccettature
del mondo del lavoro, in una spietata guerra di tutti contro tutti, dove dominano astuzia e follia. Una
lotta senza esclusione di colpi, per un'umanità cinica e disincantata, ferita e umiliata, costretta a
continui esercizi di equilibrismo per far quadrare i conti e disposta a tutto pur di ottenere l'agognato
posto di lavoro, ma ancora capace di innamorarsi, con insospettabili tratti d'ingenuità e pronta
lasciarsi ingannare all'ennesima illusione. Una vorticosa giostra di situazioni per una galleria di tipi
corrispondenti alle varie “posizioni” lavorative: il precario, il disoccupato, il freelance, l’occupato a
tempo indeterminato o l’occupato in via di licenziamento. I singoli individui sembrano incapaci di
sfuggire ad un meccanismo di sfruttamento, un progressivo venir meno di tutele sociali e ricchezza
in una sequenza tragicomica in cui l'uno appare come il riflesso dell'altro, e l'ansia di farsi valere si
traduce in amarezza e solitudine. Schegge impazzite in un mondo alla rovescia, donne e uomini
sono solo ingranaggi di una infinita catena di montaggio, con vite intercambiabili in una società
“liquida” dove non resta molto a cui aggrapparsi, salvo la speranza di un futuro migliore.
Sbarca nell'Isola – sotto le insegne del CeDAC - “Figli di un Dio minore” di Mark Medoff, con
Giorgio Lupano e Rita Mazza, per la regia di Marco Mattolini – ad Alghero martedì 4 aprile alle
21: la pièce teatrale da cui è stato tratto l'omonimo film di Randa Haines con William Hurt e Marlee
Matlin (Premio Oscar per la migliore attrice oltre a quattro nominations, e Orso d'argento a Berlino)
affronta il tema delicato e complesso della diversabilità. La minoranza invisibile delle persone sorde
– immerse in «un silenzio pieno di suoni» - si confronta con il mondo dei cosiddetti “normali”, in
un vero incontro tra culture, oltre i pregiudizi e la paura della diversità. La storia d'amore tra un
insegnante di logopedia e una sua allieva mette in evidenza la difficoltà di capirsi e comunicare,
l'importanza di accettarsi e accogliere l'altro senza per forza tentare di cambiarlo. Nel cast – oltre a
Giorgio Lupano (attore dal solido background teatrale, diretto da registi come Luca Ronconi,
Marco Baliani e Gabriele Lavia, approdato sul grande schermo con “Il manoscritto del principe” di
Roberto Andò e interprete di fiction televisive) e all'attrice piemontese (nativa segnante) Rita
Mazza - Cristina Fondi, Francesco Magali, Gianluca Taneggi e Deborah Donadio. “Figli di un
Dio minore” è uno spettacolo bilingue, in cui s'intrecciano l'italiano e la lingua dei segni,
prefigurando una civiltà futura senza più barriere (fisiche e mentali).
Ugo Dighero interpreta – lunedì 24 aprile alle 21 – il “Mistero Buffo” di Dario Fo, per uno speciale
omaggio al drammaturgo e attore Premio Nobel, recentemente scomparso, con la meravigliosa
“affabulazione” in forma di “giullarata” medioevale, ispirata ai Vangeli Apocrifi. Un'opera
sorprendente e divertentissima, incentrata su una partitura gestuale e un immaginifico grammelot, in
cui si alternano storie sacre e profane, da “Il primo miracolo di Gesù bambino” alla maliziosa
novella de “La Parpàja Topola”, liberamente tratta da un fabliaux del 1100 circa del Nord Est della
Francia. Una raffinata e travolgente prova d'attore, in cui il narratore presta voce e corpo a tutti i
personaggi, evocando sulla scena il Figlio di Dio, ancora fanciullo, con i suoi ingenui esperimenti e
anche la favolosa e temibile ma seducente “Parpàja Topola”. In “Mistero Buffo” - opera
magmatica via via arricchita di nuovi temi e monologhi, trasformati in pezzi di bravura - Dario Fo
riscopre o meglio reinventa la figura del giullare come artista itinerante, attore e saltimbanco,
acrobata e giocoliere, capace di affascinare e divertire i nobili della corte e la gente del popolo.
Fulcro di questa straordinaria partitura è proprio la riscoperta della cultura popolare tra antica
saggezza contadina e un peculiare senso del divino, cosicché anche le figure della religione cristiana
entrano a far parte dei racconti, in una mescolanza di terreno e soprannaturale.
Un racconto senza parole – venerdì 5 maggio alle 21 – con “Zitti Zitti” del Teatro Actores Alidos,
per la regia di Valeria Pilia, anche protagonista sulla scena con un cast rigorosamente al femminile,
formato da Manuela Sanna, Roberta Locci e Manuela Ragusa: uno spettacolo ironico e tenero,
costruito per quadri, che evoca diversi momenti dell'esistenza dalla nascita al momento della fine
«con la delicatezza di una poesia». S'inizia dalla Creazione, in una rilettura surreale dell'origine del
mondo, con l'apparizione del primo uomo e della prima donna e la moltiplicazione della specie, con
il formarsi di una folla di personaggi che amano, sognano, lavorano, s'innamorano, in una piccola
giostra delle emozioni. Tra danza, teatro e clownerie le attrici (celate dietro maschere neutre, quasi
larvali, rese espressive dalla mimica e dalla gestualità) si trasformano di volta in volta in madri con
bambini, anziani, ragazzi, operai, in una sequenza che evoca la frenesia della vita moderna, tra gli
scaffali di un supermercato o i baluginii di moderni strumenti tecnologici. Nel ritmo incalzante delle
varie scene, con una colonna sonora che disegna le atmosfere e sottolinea le azioni, spazio anche al
riaffiorare di ricordi e passioni sopite, di impulsi primordiali che generano situazioni tragicomiche e
microstorie buffe e fantastiche, in bilico tra realtà e sogno, tra eleganti simbolismi e allegorie del
presente.
Chiuderà la Stagione di Alghero un duplice appuntamento – venerdì 12 maggio alle 21 e sabato 13
maggio alle 11 – con “Carmen K (kimera)” di Monica Casadei per Artemis Danza: un'intrigante
coreografia ispirata all'eroina di Prosper Mérimée, sulle note dell'opera omonima di Georges Bizet
remixata dai giovani Dj's Godblesscomputers, Go Dugong, Spinelli, Sartana e rielaborata dal
compositore Luca Vianini, e della suggestiva Carmen Suite di Rodion Ščedrin. Il mito della femme
fatale – la seduttrice che stravolge l'esistenza di Don José, per poi rivolgere altrove i suoi sguardi,
finendo con il morire per mano dell'antico amante - simbolo della passione e della libertà, rivive
sulla scena negli assoli iniziali e poi in un gioco di specchi che moltiplica l'immagine di Carmen. La
trama rimanda al dramma del femminicidio, con un delitto efferato sulla spinta della gelosia – ma la
bella gitana, sprezzante del pericolo, rappresenta anche un archetipo di una femminilità libera e
spregiudicata, una donna che rivendica per sé il diritto di amare – secondo la propria inclinazione, il
proprio desiderio e il proprio cuore. “Carmen K (kimera)” ricostruisce la storia della giovane
sigaraia mettendo l'accento sulla personalità indomabile, sulla fierezza e l'audacia di una creatura
appassionata ma volubile, capace di invaghirsi di un bel sottufficiale per poi lasciarlo, e farsi
conquistare dal fascino di un torero, audace e temeraria fino a sfidare la morte.
info: cell. 349 4127271 – e-mail: [email protected]
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