Opera Diocesana dei Ritiri gratuiti - CASA SAN GIUSEPPE
Viale Martiri della libertà, 6/A - 24019 Zogno (Bg) - Tel 0345-60001
SCUOLA DI PREGHIERA: 15 Marzo 2015
Ore 15.30 Catechesi in sala riunioni
Ore 16.30 Adorazione nella Cappella della Casa di Riposo
Ore 17.45 Termina l’incontro
NELLA PERSECUZIONE,
LA GIOIA CRISTIANA
Lettera ai Filippesi, di san Paolo Apostolo *
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Parte I - La fecondità misteriosa della persecuzione: 1,12-14. Il Vivere e il morire in Cristo:
1,19-21.23-25.
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Parte II - La gioia cristiana 4,4-7.8-9
*Tutti i testi della catechesi sono tratti da “La lettera della gioia” di don Alberto Maffeis
(Pag. 203-206; 208-211; 215-218) - Scuola della Parola 2009
Parte I
LA FECONDITA’ MISTERIOSA NELLA PERSECUZIONE
IN ASCOLTO
“Desidero che sappiate, fratelli, come le mie vicende si siano volte
piuttosto per il progresso del Vangelo, al punto che, in tutto il palazzo del
pretorio e dovunque, si sa che io sono prigioniero per Cristo. In tal modo la
maggior parte dei fratelli nel Signore, incoraggiati dalle mie catene, ancor
più ardiscono annunciare senza timore la Parola”. (Fil 1,12-14)
Paolo si trova in catene in un’ altra città, eppure nella lettera ai Filippesi la
carcerazione non è tanto una brutta notizia da dare, ma occasione per
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proclamare con più forza il Vangelo. Se l’apostolo è in catene, il vangelo
non è incatenato né mortificato, anzi è ancora più fecondo.
Paolo, che vive nel Signore, ha maturato criteri di valutazione che non si
lasciano chiudere nei fatti materiali. Questo è significativo per i credenti
di ogni epoca…
Siamo portati a ritenere che il Vangelo sia efficace a patto che si trovi in
condizione di libertà e di rilevanza sociale. Certo, il Nuovo Testamento
non insegna affatto a desiderare né tanto meno a procurarsi la
persecuzione, ma infonde la certezza che in situazione di tribolazione o di
minoranza, la Parola non è mortificata, ma ancor più eloquente. La Chiesa
si è talora scoperta molto più libera quando è osteggiata e perseguitata,
che non in regime di cristianità.
La parola del Vangelo mostra la sua efficacia vitale quando prende i
connotati della croce.
Paolo, nelle pesanti vicende che sta vivendo, in un contesto
assolutamente drammatico, parla di grazia, di dono di Cristo, di fecondità
evangelica.
Accenna con discrezione alla sua condizione, della quale evita di fornire
particolari.
Ciò che gli sta a cuore è leggere la propria situazione in riferimento a
Cristo e condividere con i cristiani di Filippi questo sguardo di fede sugli
eventi, avendo come criterio di valutazione il Vangelo del Signore.
A volte sembra di poter servire bene il Signore soltanto se siamo in buona
salute, liberi, efficienti, se tutto va per “il verso giusto” (secondo i nostri
progetti): ma non è così. Chi vive nel Signore sa bene che si può glorificare
Dio con la vita e con la morte; nella salute e nella malattia; con una vita
breve o una vita lunga; sia nella prigionia sia nella libertà.
Dobbiamo avere la serena certezza che Cristo può essere proclamato
sempre, anche e soprattutto nella croce.
Gli avversari di Paolo credevano di metterlo a tacere in carcere, invece
l’oscurità della cella si è illuminata di una presenza evangelica che ha
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comunicato grazia nuova e molti fratelli, all’inizio spaventati, si sono
rinsaldati dalla testimonianza di Paolo, guadagnando anch’essi il coraggio
di parlare più apertamente senza timore e addirittura nel palazzo del
pretorio!
Paolo per esperienza personale ha imparato a fidarsi della forza della
Parola, una potenza che si manifesta nella debolezza.
Spesso è dalle persecuzioni – di allora e di oggi – che emergono le realtà
di Chiesa più splendide e trasparenti.
D’altronde se Cristo stesso è venuto tra i suoi e non accolto, perché il
discepolo dovrebbe scandalizzarsi se il suo annuncio non smuove le
masse e le coscienze, ma giace inascoltato? Il Vangelo ha una sua efficacia
che sfugge ai criteri mondani e non può essere misurato in termini di
“audience”. E’ soltanto di fronte alla croce che il centurione riconosce che
“veramente costui era figlio di Dio!”
IL VIVERE E IL MORIRE IN CRISTO
“So infatti che questo servirà alla mia salvezza…anzi nella piena fiducia
che, come sempre, anche ora Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che
io viva sia che io muoia. Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un
guadagno”. (Fil 1,19-21)
Paolo desidera vivamente che Cristo sia glorificato non in un ipotetico
futuro ideale, ma in questa contingenza materiale, nella concretezza fisica
di questo momento, nel suo corpo attuale, che raccoglie visibilmente
tutta la sua storia di uomo con quella rete di rapporti che lo radicano in
questo mondo. Manifesta una fede salda, ora che l’ipotesi della morte si
profila come una possibilità prossima! La situazione lo costringe a
soppesare la propria esistenza: entra l’alternativa tra la vita e la morte .
In una riflessione emotivamente carica, Paolo trova il suo splendido
vertice nell’affermazione: “Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un
guadagno”.
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Non c’è nulla di tanto radicale quanto pensare la propria morte: è la
questione!
La domanda non è aggirabile, anche se certa cultura contemporanea
emargina volentieri il discorso morte; quando la Chiesa medita il Venerdì
Santo o nelle esequie pronuncia una parola sulla morte facendone una
celebrazione comunitaria e pubblica, fa qualcosa di sovversivo per la
nostra cultura.
Di fronte alla morte, incatenati come Paolo ai muri di una cella o aggiogati
ad altri “ceppi”, affiorano comprensibilmente sentimenti di frustrazione,
di paura, di rabbia impotente o di fatalismo.
Paolo trova nella fede una forza e una luce diverse: emerge in lui una
fiducia totale. E’ profondamente convinto che anche il vivere e il morire
siano accidenti rispetto alla sostanza che è “l’essere in Cristo”, fino al
punto di definire la morte un guadagno. La morte, che è la negazione
della vita, la grande rapinatrice che toglie tutto ciò che è per me
vantaggioso e desiderabile!
Ma Paolo ha trovato la perla preziosa, ha scoperto che il centro del suo
essere è Cristo, che non è soltanto la vita, ma il vivere , con la sua
dinamicità pulsante.
Sembra evidente che la vita è transitoria, mentre la morte, quando
sopraggiunge, è per sempre. Nella visione di Paolo, al contrario, è la
morte ad essere irrevocabilmente provvisoria, mentre la vita è per
sempre: non la vita umana in quanto tale, ma la vita in Cristo. “Non sono
più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). La morte accade, ma non
è tutto; la vita in Cristo invece rimane, anzi è l’unica cosa che resta, al di
qua e al di là della morte.
Se siamo radicati nel Risorto, neppure la morte è più un ostacolo, anzi è
un “guadagno” perché è il morire a noi stessi per un amore gratuito, il
consumarsi quotidiano di un discepolato fedele, il rinunciare al proprio
“io” affinché sia fatta la sua volontà, e conduce a una comunione più
piena con il Signore, immette in un “di più” rispetto alla vita terrena, apre
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alla pienezza di vita reale e gioiosa propria del Risorto. La morte è un
guadagno come lo è per il seme, che marcisce sotto terra per germogliare
a vita nuova e portare molto frutto.
L’unica discriminante è la relazione con Cristo: “per me vivere è Cristo”!
“Non so davvero cosa debba scegliere. Sono stretto infatti fra queste due
cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che
sarebbe assai meglio; ma per voi è più necessario che io rimanga nel
corpo. Persuaso di questo, so che rimarrò e continuerò a rimanere in
mezzo a voi per il progresso e la gioia della vostra fede”. (Fil 1,23-25)
Sono frasi che ci pongono in contatto con la personalità e l’interiorità di
Paolo: nella prima parte manifesta una spiritualità altissima, dai
lineamenti mistici, nella seconda la consapevolezza della sua vocazione: la
sollecitudine apostolica per le chiese e il servizio ai fratelli. Le alternative
sono entrambe in Cristo, ma Paolo sa che la precedenza sta sul versante
dell’amore per i fratelli, che ha a cuore più della sua stessa vita.
Questo testo offre non tanto una “dottrina”, quanto un’esperienza
esemplare di cristiano di fronte alla vita e alla morte. Un uomo che ama la
vita e la gioca con straordinaria intensità, ma che ha trovato in Cristo
libertà di fronte al dilemma della fine, perché la morte non contraddice la
vita in Dio.
PER PREGARE
Di fronte alle contraddizioni, ai casi avversi delle nostre giornate, ai
fallimenti della nostra vita… sappiamo usare come criterio di valutazione
il Vangelo? Abbiamo il coraggio e l’umiltà di farci aiutare e guidare per
essere cristiani anche e soprattutto nel tempo della croce?
Di fronte ai fallimenti delle attività pastorali, alle opposizioni che la Chiesa
incontra… temiamo per il frutto del Vangelo, ci scoraggiamo? Crediamo
davvero, come Paolo, che la potenza di Dio si manifesta nella debolezza
del nostro agire e ci fidiamo della forza della Parola?
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La Parola di Dio ci insegna a entrare nelle situazioni che la vita propone –
e non di rado impone – non tanto inseguendo ad ogni costo i nostri
desideri e progetti, quanto a fare della volontà del Padre il proprio cibo,
senza alcuna amarezza.
Siamo pronti a dare priorità al bene degli altri, come segno di un cammino
sempre più profondo del “vivere in Cristo”?
Parte II
LA GIOIA CRISTIANA
IN ASCOLTO
“Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità
sia nota a tutti: Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni
circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche
e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i
vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.” (Fil. 4,4-7)
Riemerge in questa pagina la tonalità che tinteggia tutta la lettera, quella
della gioia cristiana. “Rallegratevi nel Signore”, era la traduzione di prima;
“Siate sempre lieti nel Signore”, è la nuova traduzione; preferibile
sarebbe: “Gioite nel Signore, sempre, ve lo ripeto ancora, gioite”.
L’allegria infatti può essere legata semplicemente a circostanze esterne
ed occasionali, mentre la gioia dice una profondità e una pienezza che
investono la persona nella sua radice (un amore ricambiato, la nascita di
un figlio…)
In questa lettera le espressioni della gioia (charà) si trovano una ventina
di volte e non si tratta di una generica esortazione; è un imperativo con il
suo senso forte, grazie anche alle ripetizioni. Non è un generico augurio,
ma un comando apostolico!
Non si colloca dunque sul piano dell’emotività, ma su un piano profondo
e sostanziale. Per il cristiano la gioia è costitutiva perché sgorga
dall’essere inseriti nell’evento di Cristo.
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Paolo infatti ci invita a gioire nel Signore, nel Cristo pasquale, morto e
risorto.
E non è solo “a causa” del Signore, cioè per quello che ha fatto a nostro
favore, per la nostra redenzione, ma è una gioia che nasce dalla nostra
unione con Cristo, che ha la sua fonte in Dio.
La gioia è il dono messianico per eccellenza, insieme alla pace.
Il vocabolo “gioia” (charà) si ritrova nella radice del vocabolo “grazia”
(chàris), che dice gratuità, benevolenza, amore, bellezza, dono e che è
una parola assolutamente cristiana. La gioia ha radice nella grazia,
l’amore gratuito di Dio che sta alla radice di tutto e che si riversa a noi nel
dono dello Spirito Santo, dono da chiedere con perseveranza e con la
certezza di venire esauditi.
Solo in questa luce è possibile comprendere la specificazione: “gioite
sempre!”, che ci pare persino eccessiva… Non si tratta di strategia umana
per conservare la gioia di un momento particolare e dilatarla poi nella
memoria; è condizione costitutiva del cristiano. Se è una gioia che ci viene
dall’essere radicati in Cristo, nessuno può rapirla, né le prove possono
distruggerla.
Questo dono è anche impegno: è grazia e compito. La gioia va perseguita,
coltivata, custodita con intelligenza e nella preghiera, preservata da
quella tristezza, che dai padri della Chiesa è additata come tentazione.
“Non angustiatevi per nulla…” Una tentazione che può assomigliare alla
preoccupazione ansiosa (Marta), oppure all’accidia, quando la tristezza
non consente di far nulla volentieri, diventa tedio, disinteresse profondo
e necessità del rumore.
Quando Paolo parla della gioia non pensa solo alla dimensione intima del
singolo e della comunità: essa chiede di traboccare in una manifestazione
esterna.
“La vostra amabilità sia nota a tutti gli uomini”: amabilità, affabilità, che
abbraccia una serie di atteggiamenti: benevolenza, moderazione,
clemenza, dolcezza, equità, generosità, mansuetudine… La gioia e la
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saldezza interiori si rendono visibili nel rapporto con tutti. In altre parole,
la gioia è per la carità.
Infine Paolo mette in luce la dimensione escatologica della gioia: “il
Signore è vicino!” La gioia diventa la manifestazione della virtù cristiana
della speranza, di chi riposa sicuro nella promessa di Dio. La vicinanza del
Signore, già reale per tanti aspetti, va verso un compimento dove la pace
e la gioia, che già ora accarezzano la nostra esistenza, troveranno la loro
pienezza senza più ombra di contraddizione.
Lo sguardo rivolto al fine non è fuga consolatoria dalla storia, ma invito a
vivere sia la dimensione etica e spirituale sia quella pubblica e sociale
nello stile dell’incarnazione, che indica al cristiano la via di una umanità
ricca, piena e matura.
PER PREGARE
Teniamo presenti le indicazioni che Paolo ci dà: “In conclusione, fratelli,
quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è
puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che
merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri. Le cose che avete
imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio
della pace sarà con voi!” (Fil 4,8-9)
E’ possibile che nel cuore delle persone o delle comunità rimanga e sia
coltivata la gioia cristiana quando si lascia spazio a qualsiasi genere di
“spazzatura”?
Come saggia modalità per custodire la gioia si suggerisce anche di
coltivare un sano senso dell’ironia, virtù apprezzata da molti santi. E’ la
capacità di elevarsi, di prendere dalle cose quella distanza che basta a
sorriderne, a capire che non sono “il tutto”. Il saper sorridere di se stessi
indirizza verso una liberante umiltà evangelica.
La vita in Cristo è fonte della nostra gioia: viviamo ogni giorno con Lui, in
Lui, per Lui e saranno semi di gioia, che daranno frutto a suo tempo…
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