RELAZIONE DI MONS.SEVERINO PAGANI
AL CONVEGNO GATAL DEL 20 -9 – 2008 (Teatro Orione)
TEATRO : Un’esperienza da trasmettere e da fare con i giovani.
Certamente l’esperienza dell’espressione teatrale sta molto a cuore alla Pastorale complessiva della Diocesi
e in modo particolare alla Pastorale Giovanile perché si tratta di un linguaggio che intercetta molto le
generazioni di sempre e che diventa più necessaria per la Pastorale giovanile nella condizione attuale. E’
questa un’affermazione di principio che si coniuga immediatamente anche con l’esigenza di profondi
rinnovamenti e perché sono i giovani che ce lo impongono. Rinnovamento di linguaggi, di presenze, di
esposizioni, soprattutto se pensiamo che consideriamo l’aspetto dell’espressione teatrale all’interno di un
cammino educativo più ampio e quindi all’interno del cambiamento generale della struttura della Pastorale
della Chiesa milanese e di conseguenza la ricaduta anche dei cambiamenti della Pastorale giovanile
soprattutto quando si pensa alla costituzione delle unità di Pastorale giovanile, all’affermazione della
validità dell’oratorio tendenzialmente per ogni parrocchia e alla costituzione di centri giovanili più ampi
che non la singola parrocchia.
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Ritengo che l’espressione estetica e teatrale è certamente qualcosa che attraversa tutti questi aspetti.
Dobbiamo pensare ai ragazzi, agli adolescenti, ma anche ai giovani che studiano e lavorano
nell’Università perché in fondo si tratta di un linguaggio e di un’occasione trasversale.
Il teatro ha questa grande caratteristica in quanto il teatro è un’operazione di confine perché è in
grado di intercettare molte persone: credenti, quasi credenti, non più credenti, vicine all’oratorio,
ma non dentro, vicine alla comunità cristiana, simpatizzanti, amici del teatro e amici dei preti,
nemici dei preti… li abbiamo tutti. Quindi linguaggio trasversale, un linguaggio di confine
preziosissimo che credo debba essere ripreso e analizzato.
E d’altra parte dobbiamo tener presente molto bene che cos’è il teatro, ma soprattutto cosa sono i
giovani oggi. Quelli di oggi, con tutte le loro caratteristiche positive e tutte le loro problematicità.
Dico questo per dire che dentro il quadro diocesano della P.G. questa espressione ha una sua
importanza, a cui va una grande riconoscenza per tutta la storia che ha alle spalle, perché è una
storia molto grande di decenni e insieme va tutto l’incoraggiamento, l’inventiva e la voglia di
coinvolgere in questo mondo forze giovani, a tutti i livelli come operatori, come registi, animatori
del teatro, come anche quadri dirigenziali. Un rinnovamento che dia onore alla grandezza di questa
storia.
Passando ora al tema del Convegno: Teatro,esperienza da trasmettere e da fare con i giovani”
vorrei riassumere alcuni concetti per cercare di dare un quadro teorico di questa esperienza, che ci
aiuti a riflettere, in modo molto semplice, cosa può essere il teatro, da una parte come riflessione
teorica, dall’altra come proposta educativa e come coscienza pastorale. E vorrei sostenere questa
tesi: il teatro è una maniera di stare al mondo che aiuta i giovani a uscire dalla confusione
verso una esposizione autentica di se stessi. E’ una maniera di stare al mondo. Una maniera, una,
non è l’unica, però non è semplicemente qualcosa di marginale, essa riassume tutte le facoltà,
l’intelligenza, il cuore, il gusto, è un atteggiamento complessivo; quando noi abbiamo una persona
che fa teatro coinvolge, più che in altri linguaggi, la totalità di se stesso, quindi non è
semplicemente una figura, è proprio una maniera, una, ma una fra le più complete.
Una maniera di stare al mondo, dove questo “stare” ha il significato profondo di qualche cosa che
indica anzitutto l’essere al mondo, con tutto ciò che oggi comporta l’essere al mondo e lo stare al
mondo, come ci si mette di fronte a qualcosa che chiede una interpretazione, una sfida, che chiede
misura, che chiede anche iniziativa, coraggio, trasformazione, come quando si dice che uno è
capace di stare al mondo. Vuol dire che uno è nel mondo ma non è nel mondo così come si pone
oggetto sul tavolo, ma che uno è nel mondo perché lo respira, lo accoglie, lo contesta, lo soffre, lo
ama, lo costruisce.
Ecco il teatro è una maniera di stare al mondo che aiuta i giovani a uscire dalla confusione.
Cosa significa confusione? Non si tratta semplicemente di un’accezione negativa, confusione si
riferisce al contesto in cui oggi un giovane si trova in mezzo, confuso è colui che è costretto ad
intercettare un’infinità di messaggi che arrivano da tutte le parti,che si incontrano, si scontrano, si
assommano, si elidono. E i ragazzi sono in mezzo a tutti questi messaggi visivi, verbali, emotivi,
messaggi relazionali. Un ragazzo è lì in mezzo e si trova dentro e quindi il risultato di questo essere
in mezzo, bombardato da infiniti messaggi convergenti,ma insieme anche capaci assommarsi ed
elidersi, costituiscono la confusione.
Termine alto, questo della confusione, quasi biblico come quando si prega: “ Signore fa che non
restiamo confusi”. Ora noi dobbiamo assumere e dipanare l’esperienza della confusione
contemporanea, la confusione dei giovani d’oggi. Lo dico con molto affetto, perché se uno non ama
i ragazzi deve smettere di fare l’educatore.
Ebbene, dentro questa confusione, facendo teatro, noi mettiamo in moto una iniziativa globale,
perché da questa confusione si vada verso una esposizione autentica di sé.
Esposizione significa come un ragazzo si presenta al mondo, una esposizione che fa venir fuori,
come lo tiriamo su, come aiutiamo uno a venir fuori, a diventar grande, questa è l’esposizione, ma
occorre che sia vera e autentica, non falsa, non banale, ma autentica di sé stessi.
E’ un’alta operazione umana l’espressione teatrale, per alcuni aspetti molto più del cinema, perché
immediatamente coglie l’attivo, esibisce dal vivo, fa soffrire, e fa provare dal vivo.
Dunque io credo allora che il teatro è una maniera di stare al mondo che aiuta i giovani a uscire
dalla confusone, verso un’esposizione autentica di sé stessi.
Vorrei esporre questa tesi in tre capitoli.
Primo: il miracolo della creazione teatrale
Secondo: l’esperienza dell’esposizione giovanile
Terzo: la costruzione dell’agire estetico
Primo- Il teatro rappresenta più che altre espressioni dell’umano, il fenomeno della Genesi.
Genesi vuol dire che col teatro si possono creare dei ragazzi, ricreare dei ragazzi. Oggi abbiamo
bisogno tantissimo di una ricreazione che è assunzione positiva, etica, entusiasmante del
divertimento.
Dobbiamo strutturare una ricreazione, vuol dire che quando uno fa teatro mette in moto una serie di
energie, di conflitti, che dopo supera, i passaggi difficili, i parti dolorosi, perché si tratta di ricreare.
Chi fa teatro sa che deve scegliere: mettere insieme chi ci sta, chi non ci sta, chi litiga e alla fine c’è
l’esplosione della gioia, quando si chiude il sipario sembra che tutto sia ritornato in armonia. E’ un
fenomeno interessantissimo dal punto di vista antropologico, prima che tecnico ed è anche una cosa
bellissima, che commuove, questo tipo di esperienza.
Il teatro è innanzitutto come la genesi e la genesi nasce dal buio, come il teatro parte dal buio della
sala e c’è innanzitutto il buio, poi c‘è uno spiraglio dentro il sipario che si apre man mano e questa
apertura del sipario è come il fenomeno della genesi che, adagio adagio, crea coloro che
partecipano a diverso modo alla grande opera teatrale. E il buio della sala che cosa vede? Penso che
veda tre fattori principiali: in principio la luce, in principio la voce, in principio la comparsa.
Come la genesi. E’ così. In principio la luce, la luce dice che c’è uno spazio per te, che si comincia
a vedere uno spazio, una distinzione, una persona. La luce fa vedere e allora credo che quando uno
fa teatro e ha dei ragazzi e dice: ecco a questo ragazzo dò la luce, lo metto alla luce, viene alla luce,
con tutto quello che vuol dire questa parola. Venire alla luce, è l’atto del nascere. Viene alla luce e
trova uno spazio, dove stare al mondo, dove muoversi,dove rapportarsi, dove esprimersi. All’inizio
c’è questa la luce che dischiude l’espressione della possibilità. Ecco: puoi vivere, puoi fare, puoi
dire, puoi incontrarti, puoi piangere, puoi esprimerti. E’ un lungo itinerario verso l’esposizione. Un
ragazzo viene alla luce attraverso l’espressione teatrale.
Poi c’è la voce: in principio c’è la voce, c’è il suono, c’è il rumore che non è ancora né musica, né
parola, ma è l’antefatto di ogni musica e di ogni parola. Però c’è il suono, c’è una percezione di
qualcosa che si muove, che si sente e, man mano che questo sentire si costruisce, diventa questa due
espressioni fortissime del sentire umano: la musica che ha un suo codice segreto e la parola che ha
un suo linguaggio espressivo.
E terzo, in principio c’è la comparsa. Quando uno per la prima volta viene in pubblico, esce e lo
vedono tutti. Ora, aiutare un ragazzo a farsi vedere da tutti, aiutare un ragazzo, un giovane a uscire
alla luce, con una voce,in una comparsa è un’impresa miracolosa. Quando uno compare , lo si può
vedere e lui è così abbagliato dalla luce che ha di fronte che non può vedersi, lui è semplicemente lì,
pronto a esibirsi perché altri lo vedano e lui non si vede, ma c’è. L’atto della comparsa è una cosa
bellissima: quando un ragazzo si lancia, si espone, quando rischia, quando perde qualcosa, quando
esce dal privato e si mette di fronte a un pubblico dal quale può essere giudicato, lodato, applaudito,
o essere fischiato. La comparsa è uno dei passaggi fondamentali della maturità.
Questo è il miracolo della creazione e questo miracolo che passa in questo principio della genesi,
attraverso il buio della sala,con la luce, la voce, la comparsa ha due momenti teorici fondamentali
che definiscono molto la cultura contemporanea e quella dei giovani in particolare.
Primo momento è quello della decostruzione, che è caratteristica della filosofia contemporanea.
Significa che a un certo punto si smonta tutto; oggi si è smontato tutto, anche come accezione del
valore. Decostruire vuol dire smontare tutto: c’è una persona, dividila nel suo aspetto tecnico,
scientifico, emotivo, perché noi viviamo in una cultura decostruttiva.
L’altro grande momento è quello della costruzione, dal punto di vista storico possiamo dire che
tutta l’epoca moderna ha avuto un movimento costruttivo: costruisco il soggetto, il personaggio, lo
costruisco in unità, il postmoderno che cosa fa? Destruttura il personaggio, lo divide, lo frammenta,
diciamo che siamo in una società frammentata. Questo ha una valenza antropologica, umana: i
ragazzi sono a pezzi e li devi rimettere insieme come un lego, come un puzzle.
Ora, il teatro ha questa straordinaria capacità nell’evento della sua genesi che deve accogliere la
destrutturazione e ricostruire il soggetto, oppure deve rompere il soggetto banale o il soggetto
sofferente e lo deve rompere a pezzetti per poi ricostruirlo in un soggetto autentico.
Voglio credere che questo è una delle funzioni più grandi dell’arte in genere e anche del teatro che
continuamente, in una circolarità mai finita, destruttura e ricostruisce. Oppure toglie la
banalizzazione del già costruito che è ormai vecchio, amorfo, impreciso, banale e lo rifà nuovo.
Questo è uno dei procedimenti che riguarda prima di tutto la struttura sociale, ma è un principio
generale che va bene anche per il teatro. Guardate tutti questi fenomeni: da una parte si lavora per
mettere insieme e dall’altra si lavora per dividere. Da una parte si costruiscono sistemi di
mondializzazione e dall’altra si sentono spinte fortissime verso le localizzazioni.
Sempre lo stesso principio: decostruire per poi costruire. Alcuni teorizzano che è meglio stare
nella decostruzione, altri teorizzano che è meglio stare nella ricostruzione del soggetto. Noi
pensiamo che il meglio stia nell’autentica espressione del soggetto. Certamente un ragazzo per
diventare grande butta via il vestito vecchio e gli si compra quello nuovo. Ne ha bisogno non solo
per coprirsi e per stare bene, non solo per il freddo e il caldo, ma per soddisfare un gusto estetico,
Per essere alla moda,ci sono ragazzi che rinunciano a beni primari pur di vestire firmati.
Tutto questo significa che il miracolo della creazione avanza e il palcoscenico è il mondo, con le
sue belle e brutte figure. La figura cos’è: è entrare interamente nel personaggio ma vivendolo come
distaccato, rimanendo distaccati ma rimanendo dentro. La figura è uno strumento di mediazione.
Quali sono le belle e brutte figure, quali sono le espressioni di questo miracolo della genesi teatrale
che si può far emergere? Credo che siano sostanzialmente quattro.
La prima è l’estetica: bisogna ricostruire la scena, che è una delle cose più belle. Estetica deriva dal
greco, da un verbo che significa percepire, sentire, poi nel tempo è andato unificandosi nel senso del
bello, ma l’estetica non è semplicemente il senso del bello, è qualcosa che si concede alla totalità
dei sensi. Noi dobbiamo, attraverso questa operazione estetica, ricostruire la scena, è come dover
ricostruire il mondo sul palcoscenico e non è semplice ricostruire la scena , tanto è vero che quando
la scena non è ricostruita in tutta la sua armonia, si dice che siamo al di fuori della scena, che è il
vero criterio interpretativo per decidere che cosa è l’osceno. L’osceno è ciò che non si concede alla
costruzione in scena : questa cosa è oscena. L’osceno non è immediatamente legato alla dinamica
sessuale. L’osceno è molto più ampio, c’è una oscenità che esprime il fatto che non ci sta nella
scena, oppure che è eccedente, che è troppo fuori. Ora il primo atto che porta a far belle o brutta
figura è la capacità di una creazione estetica. Cioè ricostruire la scena, e non indico semplicemente
quello che c’è in scena, certo avviene in scena, ma sul palcoscenico io devo portare la vita, si porta
la vita in tutte le sue dimensioni che piacciano o non piacciano, credenti o non credenti, questo è un
altro problema, ma il problema non è lì. Bisogna portare la vita. Quindi la prima grossa espressione
è l’estetica.
Seconda grossa espressione è la drammatica. Che cos’è la drammatica? E’ fare esplodere le
contraddizioni. Le contraddizioni che, praticamente, non si possono far esplodere in un aula di
scuola, in famiglia, nel cortile di un oratorio, invece si possono far esplodere in teatro. Lì è il
dramma, la bellezza, l’esplosione del dramma, far esplodere la contraddizione, ecco tu sei in grado
di avvicinarti e tentare di capire se c’è e da che parte sta il bene e da che parte sta il male, da che
parte sta la gioia e da che parte sta il dolore, da che parte sta la solitudine e da che parte la relazione,
da che parte sta l’anima e da che parte sta il corpo. E lì nella drammatica queste cose si accozzano,
si scontrano, si dilatano, si riprendono ed è il bello del dramma. Quando penso a queste cose penso
al dramma dei ragazzi che sono dentro nel dramma, soli, molto soli. I ragazzi di oggi sono molto
più soli di quanto non sembri.
Terzo elemento che sul palco fa fare bella o brutta figura è quello che viene chiamato la poetica.
Che cos’è la poetica, la poesia? E’ la capacità di trasfigurare, cioè di prendere la figura e di metterla
nella sua espressione più vera. La trasfigurazione: ci può essere una trasfigurazione del gioioso e
una trasfigurazione del triste. La poetica trasfigura, inventa, trova ed esibisce le possibilità che
ancora ci sono. Questo è il bello della poetica: esibire, mostrare le possibilità che ci sono
E infine il termine più inusitato, l’altro grande evento del palcoscenico è la poietica , cioè
potremmo dire la pratica. In greco il termine vuol dire fare. Che cosa fa? Costruisce la trama, che è
trama della libertà. Cosa è meglio fare, dove voglio andare, chi voglio essere, cosa vogliamo dire.
E’ la trama della rappresentazione teatrale che, partendo dalle espressioni più periferiche
conduce al centro del soggetto e espone decisamente, se fatto bene, verso una possibile
trascendenza. Oltre se stessi.
Questo è quello che avviene sul palcoscenico tra belle e brutte figure, nel miracolo della creazione
teatrale. Così si impara a stare al mondo.
E alla fine del teatro che cosa c’è? C’è la riconoscenza, come la struttura più matura del conoscere.
Alla fine si ringrazia si fanno i complimenti. Che cosa si sa alla fine? Si sa quello che si è imparato
ma soprattutto si sa immediatamente la riconoscenza. Alla fine c’è l’applauso. Perché si dice bravo,
grazie, mi hai commosso. Perché l’applauso? Se noi fossimo realmente capaci di applaudire con
sincerità avremmo il termometro del mondo. Qui si impara a stare al mondo. Alla fine c’è
l’applauso, ma non solo, insieme alla riconoscenza, abbiamo la responsabilità. Quando si è vista
una cosa a teatro, nasce una responsabilità che sprigiona l’energia di una stagione matura della
libertà che invita ad andare, diventa una missione, un partire, un cambiare, un fare qualcosa e non è
un caso che, se l’applauso è profondamente sentito, senza che ci si accorga, ci si alza in piedi:
andiamo, ci si alza, c’è come un traguardo, un qualcosa dove andare, un qualcosa da costruire.
Questo è il miracolo della creazione teatrale.
Secondo capitolo : L’esperienza dell’esposizione
C’è una premessa: è difficile trovare anche nei nostri contesti educativi un’espressione di confine
così ampia come il teatro. Il confine ha un grande pregio, vuol dire che sei sempre lì, oscillante,
tra qui e là. La preghiera non è un’espressione di confine perché è già nella fede, la carità non è
espressione di confine perché è già nell’esperienza credente cristiana. Il teatro ha questa
straordinaria possibilità all’interno delle nostre comunità, perché è un’espressione di confine.
Ci sono ragazzi che non puoi chiamare a pregare, a fare un teatro sì. Il confine è prezioso. Non è
necessario scomodare il concetto di missione, è più bello, ha un senso più largo, più culturale.
Il confine è un territorio fondamentale, il confine è dove si parlano più lingue, Il confine come
luogo antropologico è fondamentale nella comunità cristiana perché si parlano le lingue, certo non
si è tutti omologati, ma è il suo pregio. Ora, il teatro ha questa grande capacità di confine, per quello
che l’approccio al teatro non deve essere immediatamente etico, l’approccio al teatro deve avere …
l’altezza, la profondità e l’umanità dell’estetica che certamente va verso la trascendenza etica.
Ma se uno guarda un teatro e comincia a misurare se ci sono dentro le parolacce non è l’approccio
immediato; è vero che è meglio parlare con educazione, ma il dramma tante volte esplode.
Ecco il confine. Ora, dentro l’espressione del confine comincia ad avvenire l’esposizione che è
come uno esce sul palco, come si presenta. Ora noi l’esposizione la dobbiamo costruire.
Esposizione è l’esibizione di un cammino educativo, uno si mostra, interviene, parla, cambia.
Qual è la cifra della giovinezza? Io penso che oggi la cifra dei ragazzi è questa: va tra
un’esposizione a volte violenta, a volte nascosta, a volte intimidita, a volte senso positivo e
dall’altra parte la confusione. Ho detto prima che noi dobbiamo togliere la confusione e
promuovere un’esposizione autentica. Come avviene questa esposizione. Avviene attraverso questi
passaggi.
Primo: la posizione, come un ragazzo si pone. Oggi nel contesto culturale attuale si pone con una
identità abbastanza debole. Cioè il mondo giovanile, i ragazzi non sanno chi sono (…anche gli
adulti), perché sono al centro di una intercettazione infinita di messaggi. Siccome l’identità avviene
attraverso una posizione, se uno mi dice una cosa io capisco, ma se uno me ne dice cento io faccio
fatica a capire. Oggi i ragazzi nascono e crescono in un contesto in cui è difficile costruire
un’identità, per quello che esistono tanti disadattati nel corpo, nel cibo, nel vestire, nel parlare,
perché è un’identità difficile da costruire.
La posizione deve curare la costituzione dell’identità. Ora, l’espressione nel teatro perlomeno una
identità, anche se provvisoria, la dà,un personaggio te lo dà.
Secondo: la relazione. Uno non si pone mai da solo, si pone nei rapporti con altri, conflittuali o
amicali, ma è sempre un rapporto con altri, oppure tante volte si pone con un grosso digiuno di
relazione…sono sempre l’uno accanto all’altro ma non sanno stare insieme.
L’identità, la relazione: insieme a chi cammino?
E terza cosa: il futuro dei ragazzi. Dove sto andando, verso che cosa? Il mio studio, il mio lavoro, il
mio amore, i miei affetti, le mie frustrazioni. Se noi riusciamo a dire tutte queste cose, veramente il
teatro è una creazione.
L’identità, la relazione, il futuro, un ragazzo si pone così, noi dobbiamo aiutarlo ad esporsi in modo
tale che la sua identità, la sua relazione, il suo futuro, sappiano far sorgere la gioia di vivere.
Dobbiamo affrontare la confusione del soggetto. Il soggetto è debole i ragazzi fanno fatica a
concepirsi nella durata, il soggetto è frammentato, oggi si dice cosa farai da grande, ti sposerai, cosa
pensi del tuo lavoro, cosa farai , ti rispondono: occupiamoci del prossimo week end. Poi vedremo.
Ora noi dobbiamo aiutare il ragazzo a uscire dalla confusione. In modo tale che si percepisca nella
durata.Insieme dobbiamo far superare la tentazione terribile dell’ideologia. Il soggetto spesso è
ideologico, vuol dire che prende un parte e crede di avere tutto, per cui oggi a un certo punto prende
l’apparenza prende il modo di vestire, prende i soldi, prende la sessualità, o magari anche la
preghiera questa è l’ideologia, la confusione del tutto, prendendo solo una parte. Tante volte i
ragazzi prendono una parte noi dobbiamo dire loro che c’è il tutto, c’è il diritto c’è il dovere, c’è la
gioia, e c’è il dolore, c’è l’istante e c’è la durata, c’è la relazione e c’è la solitudine, dobbiamo
abituare i ragazzi all’espressione estetica e a superare l’ideologia del soggetto.
Molto spesso il ragazzo vive une soggettività miope, non riesce a vedere lontano , non ha memoria,
e non sa progettare il futuro perché tutto è incerto; cosa devono pensare questi ragazzi che fanno
l’Università e non sanno poi cosa faranno.
Io penso che il teatro è l’altra faccia del mondo, la funzione espositiva del teatro fa crescere
in modo particolare quando sul palcoscenico l’esposizione nascosta viene presentata. Quando il
ragazzo riesce finalmente a dare ciò che dentro è nascosto. Quando il ragazzo riesce finalmente a
dire ciò rischierebbe di rimanere nascosto. E’ una grande confidenza il palcoscenico è la decisione
di mettersi in pubblico.
L’attore finalmente agisce, può mascherarsi ma intanto si espone. Il soggetto timido si espone.
Poi le luci, è interessante vedere le luci dal palco e vedere le luci dalla sala. In ogni caso la luce ha
lo straordinario potere di far vedere ciò che prima era spento. Fa emergere dati che prima non si
vedevano: ci sono quelli che si mettono in compagnia e discutono su tutto e prima di arrivare alla
fine per due o tre volte hanno pensato di smettere. E’ così la vita, litigano e poi una luce li rimette
insieme, vengono alla luce le idee, le opinioni, i rapporti tra il grigio e il colorato.
E infine il testo. Il testo è fondamentale, permette alle sensazioni di entrare nella spiegazione.
L’estetica diventa ragione. E’ uno dei traguardi più belli. Credo che tutto questo possa essere
descritto come avviene l’espressione dell’esposizione giovanile dentro il teatro.
Ultimo capitolo : la costruzione dell’agire estetico.
Come faccio a costruire? Oggi si parla di agire economico, agire comunicativo, agire estetico.
Ci sono alcune categorie del vivere, che vanno riprese e che sono il frutto dell’antropologia del
secolo scorso. In generale, credenti o non credenti, interpretano l’essere come l’esistere. L’essere è
una cosa che è ferma, l’esistenza è una cosa che danza, brilla, si muove. L’essere è una cosa fissa,
una cosa, l’esistere è una persona.
Ora, credo che noi dobbiamo costruire l’agire estetico, quindi dobbiamo portare tante espressioni
che sono a livello minimale dell’essere – come una sedia - e portarli a un livello più espressivo,
come un ragazzo che balla. Cioè si tratta di passare dall’essenza di una cosa all’esistenza.
Non solo, un’altra categoria del vivere da valorizzare è portare l’essere alla misura del condividere.
L’essere deve diventare un esistere “insieme”. Condividere che vuol dire essere insieme; non basta
più l’essere solo perché l’essere insieme è di tutti, il credente cristiano dirà che è la comunione, la
Chiesa, ognuno capisce che si passa da un essere banale al soccorrere. Mi prendo cura dell’altro, mi
preoccupo dell’altro; la preoccupazione come espressione dell’essere che, nel teatro, posso
accogliere, posso partecipare, posso proiettare.
Dentro queste categorie del vivere dobbiamo rivalutare il peso dell’estetica nella vita. Dobbiamo
renderla maiuscola. Quando diciamo estetica non dobbiamo semplicemente dire la decadenza del
bello. L’estetica è una cosa seria, perché non possiamo vivere senza le nostre sensazioni.
L’estetica è l’arte delle sensazioni e passa attraverso due grandi figure.
Da una parte la fantasia che nel teatro è fondamentale. La fantasia è il luogo dei fantasmi, è ciò che
partendo dal reale, trasfigura il reale. Il fantasma salta, va, non ha la concretezza del reale, ma è di
più del reale. Ora, l’estetica deve raccontare il fantasma che si muove; il balletto che cos’è se non
la danza dei fantasmi che prendono dalla realtà il meglio per farla esprimere in pienezza.
Il fantasma da una parte e dall’altra parte la polis, la città, la politica, per cui noi prendiamo il
fantasma perché diventi città, politica, coscienza etica.
Questa è la rivalutazione dell’estetica e dentro questo possiamo dire che la costruzione dell’agire
estetico manifesta tre compiti: leggere, scrivere, recitare.
Innanzitutto leggere: Dobbiamo imparare a leggere i vissuti, imparare a osservare il teatro.
Pensiamo al mestiere del regista, egli deve avere questa capacità sintetica di osservazione. Anche
gli attori e gli spettatori devono leggere i vissuti, imparare a osservare, osservare se stessi, sapersi
riconoscere. Poi leggere l’altro; è l’esperienza dell’accoglienza: prendo anche il diverso da me.
Poi prendere il mondo, con le sue possibilità, le sue frustrazioni, anche quando mi nega qualcosa
“hanno preso un altro per una parte che piaceva a me”. L’esperienza del leggere i vissuti è un
leggere me, l’altro e il mondo.
In questo senso dobbiamo rivalutare l’analisi della situazione, dobbiamo avere una grande
fotografia della situazione giovanile, altrimenti il teatro invecchia prima di nascere. Il teatro ha una
vita intensa ma breve. Le grandi opere teatrali sono quelle che hanno sempre avuto storie con la
capacità di esprimere la giovinezza. Se invecchiano vengono dimenticate, se invece parlano della
giovinezza, pur rifatte e reimpostate, l’intuizione dell’opera originale rimane.
Poi lo scrivere. Il teatro deve scrivere il futuro, anche se va nel passato, il teatro scrive il futuro,
deve dare consistenza stabile al futuro e cioè deve scrivere il desiderio: Il teatro deve interpretare i
desideri dei popoli.
Quale desiderio? Dove deve essere rivolto? I ragazzi cosa devono fare da grandi. Il teatro deve
esprimere il desiderio, deve dare progettualità dinamica, deve scrivere un compito. Il teatro
scrivendo il futuro, deve dare utopia al quotidiano, cioè deve scrivere il fine, è l’occasione per il
fine che coincide con il senso,con il significato.
E la pienezza del significato è qualcosa che oscilla dalla sensazione estetica al senso della cosa.
Il significato non è qualcosa di astratto, il significato ha queste due componenti: va dalla sensazione
percettiva e arriva fino al senso del vivere. Ecco il teatro, scrivendo il futuro, deve scrivere il fine.
Infine in teatro, per costruire l’agire, è necessario recitare. Recitare come? Certamente dobbiamo
uscire dalla banalità del recitare come se fosse ripetizione, un qualcosa di scontato. La recitazione è
creazione. Recitare significa mettere in moto, mettere nel testo tutta l’ energia, se stesso, il futuro, il
desiderio, E come si fa a recitare bene? Si recita bene quando recitare diventa il coraggio di osare,
quando diventa una prova del vivere, perché ti mette alla prova, perché noi dobbiamo introdurre nel
mondo giovanile il giusto rapporto tra gratificazioni e frustrazioni (perché fanno bene anche le
frustrazioni). Quindi recitare è una prova del vivere. E recitare è anche ascoltare l’alterità, cioè
uno recita bene quando recita, parla, interviene in un gioco di tempi, spazi, disegni che lasciano
spazio all’altro. Coraggio di osare, prova del vivere, e ascolto dell’altro.
Ora, per questo, se uno recita bene dove conduce il suo recitare? Il recitare conduce a ritrovare
l’origine, dentro questo c’è lo spazio per indurre quella che i cristiani chiamano l’idea della
vocazione. Se uno recita bene è portato a interrogarsi sulla gratuità dell’origine: da dove vieni, non
può non farsi l’ipotesi che “qualcuno” l’ha voluto. D’altra parte il recitare indica anche
l’espressione del viaggio, se uno recita sta camminando e, da questa espressione del camminare,
viene la bellezza del vivere, I teatri sono belli, anche quelli più drammatici sono belli.
E poi il recitare opera il miracolo, il teatro fa far l’ipotesi che ci potrebbe essere una rivelazione, che
ci potrebbe essere un altro autore, ci potrebbe essere un altro suggeritore, dove questo suggeritore
sia Colui che ha sempre una rivelazione che mi spinge sempre un po’ più in alto.
Il credente saprà che nome dare a questo Suggeritore.
Mons.Severino Pagani - relazione al Convegno Gatal 2008 (Teatro Orione 20/09/2008)
(testo non rivisto dall’Autore)