RISCHIO ANESTESIOLOGICO Il rischio anestesiologico può essere definito come la possibilità che avvengano conseguenze infauste nel periodo perioperatorio, come risultato dell’anestesia. Le conseguenze variano dalla morte alla malattia, fino alla disfunzione e all’insoddisfazione. Tra il 1984 e il1995 il tasso di mortalità anestesiologica era compresa tra 1/10.000 e il 1/85.000. I pazienti però, raramente sono sottoposti ad anestesia senza essere contestualmente sottoposti a procedure chirurgiche, per questo l’anestesia non è il solo fattore di rischio nel periodo perioperatorio. Possiamo dire quindi che il rischio anestesiologico ha una componente multifattoriale e si riconoscono tre componenti: paziente, intervento chirurgico, anestesia. Ciascuna componente del rischio ha propri fattori esclusivi VALUTAZIONE PREOPERATORIA La valutazione preoperatoria permette raccogliere i dati su cui basare la valutazione del rischio e decidere quindi la gestione pre e perioperatoria. I sistemi di punteggio (ASA o indice cardiaco di Goldman), possono essere utilizzati per confrontare un’ampia popolazione e danno una valutazione globale dello stato di salute. Essi, però, non possono essere utilizzati per decidere la condotta anestesiologica. Infatti, ciò richiede informazioni sulle componenti individuali della storia. L’anamnesi anestesiologica è spesso scarna sebbene contenga di norma una panoramica completa dei sistemi. Sia un’anamnesi è positiva o un tipo d’intervento chirurgico possono imporre ulteriori approfondite indagini. In una condizione ideale, la valutazione preoperatoria dovrebbe essere esauriente e contenere informazioni precise sulla patologia in atto. Tradizionalmente venivano richieste batterie di esami ematologici e, biochimici e strumentali; più recentemente i test di laboratorio sono stati sostituiti Dalla valutazione diretta della storia clinica e dall’esame fisico. Negli ultimi anni si è cercato di codificare la valutazione preoperatoria in forma di parametri applicabili. La società degli anestesisti americani (ASA) ha stabilito uno schema per classificare la severità della malattia. Tale schema era stato inizialmente sviluppato per comparare i pazienti in base alla gravità della patologia. Nonostante la classificazione ASA non usi definizione precise, essa sembra essere ben riproducili fra gli anestesisti. Più recentemente ha assunto varie connotazioni. Il risarcimento è modificato dalla classificazione ASA. La mortalità nella classe ASA 1 o 2 è stata usata quale variabile d’indice allo scopo assicurativo. Numerosi studi, infatti, hanno documentato un aumento dell’incidenza della morbilità e della mortalità perioperatoria con aumento dell’indice ASA. Perciò la classificazione ASA è (rispetto ad altri mezzi) il sistema più valido per valutare il rischio. Fattori di rischi specifici sono le cardiopatie, le patologie polmonari, il diabete mellito, le patologie tiroidee e paratiroidee, alcune malattie ematologiche, la distrofia miotonica, l’epidermiolisi bollosa, l’obesità, la sindrome da immunodeficienza acquisita (HIV) e le alterazioni delle vie aere. Gli esami di laboratorio eseguiti di routine costituiscono un metodo poco efficace nell’indicare gli effettivi problemi nei pazienti da sottoporre ad intervento chirurgico. PREPARAZIONE PREOPERATORIA La condotta anestesiologica in pazienti che devono sottoporsi a trattamento chirurgico inizia con la preparazione psicologica preoperatoria, se necessario, con la premedicazione. Una soddisfacente premedicazione e preparazione preopertoria facilitano in decorso perioperatorio privo di 1 complicanze. C’è generalmente accordo sul fatto che i pazienti debbano entrare in sala operatoria dopo che, attraverso la preparazione e la premedicazione preoperatoria, si sia ottenuto un buon controllo dell’ansia e di altri obiettivi specifici. Gli obiettivi da ottenere sono intimamente connessi ai processi di scelta. Gli obiettivi desiderati possono essere personalizzati alla necessità di ogni paziente. Il principale intento della premedicazione è ridurre l’ansia del paziente. Per ottenere questo scopo, vengono usati barbiturici, benzodiazepine e oppiacei. Gli analgesici preoperatori dovrebbero essere presi in considerazione in pazienti particolarmente sensibili al dolore o, che devono sottostare a procedure dolorose prima dell’induzione dell’anestesia generale. Si può anche ottenere una riduzione del dolore postoperatorio somministrando preoperatoriamente narcotici e antinfiammatori non steroidei. In studi sperimentali si é visto che l'andamento del dolore acuto o l’ipereccitabilità dei neuroni delle corna dorsali, può essere eliminata o ridotta se l’impulso afferente viene prevenuto raggiungendo il sistema nervoso centrale con un blocco neurale preventivo con anestetici locali, o sopprimendo l’eccitabilità del S.N.C con oppiacei prima che questo riceva l’informazione nocicettiva. Questo fenomeno viene chiamato analgesia preventiva. Atropina, scopolamina sono usati estesamente per ridurre la salivazione e le secrezioni bronchiali in modo da assicurare una ventilazione agevole sia in maschera che durante la laringoscopia e l’intubazione endotracheale. Lo svuotamento gastrico è rallentato nelle gravide e nei pazienti obesi. In questi pazienti, se sottoposti ad interveti urgenti, ci si aspetta uno stomaco pieno. Ogni qualvolta ci si trovi in condizioni di alto rischio d’inalazione di succhi acidi vanno somministrati anti H2, inibitori della pompa protonica e antiacidi, allo scopo di diminuire il volume e l’acidità del succo gastrico. La premedicazione può controllare sia la severità sia l’incidenza di nausea e vomito postoperatori (PONV). Nella chirurgia ambulatoriale questi effetti collaterali possono ritardare la dimissione dall’ospedale. Basse dosi di deidrobenzoperidolo o meclopramide hanno avuto successo per prevenire l’insorgenza della PONV. La componente psicologica della preparazione preoperatoria è fornita dalla visita anestesiologica preoperatoria. Una dettagliata descrizione della condotta anestesiologica e degli eventi legati al periodo perioperatorio riducono la componente d’ignoto e stabiliscono un rapporto personale con il paziente. Una visita preoperatoria informativa e tranquillizzante può sostituire molti mg. Di farmaci per la premedicazione. ATTREZZATURA E’ una responsabilità personale dell’anestesista verificare il corretto funzionamento dell’attrezzatura. Nonostante sia appropriata ed efficiente la collaborazione di tecnici e personale di sala operatoria per il controllo dell’attrezzatura, la responsabilità definitiva per l’uso sicuro dell’attrezzatura per l’anestesia non può essere derogata. I controlli saranno fatti su: 1. Apparecchi di anestesia 2. Erogazione gas 3. Monitor 4. Piccole attrezzature (coperte termiche, riscaldatori, aspiratori, mezzi d’infusioni, laringoscopi.) 5. Farmaci. E’ utile utilizzare l’acronimo SOAP: S= Suction O= oxigen A= Air way P= Pharmacy 2 POSIZIONAMENTO DEL PAZIENTE Il posizionamento del paziente è un atto preparatorio all’intervento tanto importante quanto tutta l’anestesia. E’ necessario venga accuratamente controllato, per evitare che quando un paziente si sveglia dall’anestesia possono insorgere complicanze dovute ad uno scorretto posizionamento: evento frequente quando non viene posta particolare attenzione. Piccoli dettagli, se trascurati, possono portare ad evenienze tragiche con possibili complicazioni che possono portare evenienze tragiche con possibili complicazioni che possono limitare notevolmente i vantaggi della procedura chirurgica. CONDUZIONE DELL’ANESTESIA GENERALE Generalmente la narcosi viene definita come uno stato d’incoscienza, analgesia, rilasciamento muscolare e depressione dei riflessi. Teoricamente è relativamente semplice assicurare questa condizione attraverso la somministrazione di farmaci. La sfida consiste nel mantenere e ottimizzare l’omeostasi. La conduzione dell’anestesia generale mira a raggiungere due obiettivi distinti, ma in correlazione fra loro: 1. Depressione del S.N.C. 2. Mantenimento, miglioramento o non danneggiamento degli organi. 3. Quest’obiettivo deve essere raggiunto nonostante la malattia preesistente, il trauma chirurgico, gli effetti indesiderati degli anestetici e delle procedure stesse e dei fattori di rischio legati all’attività del personale e dell’equipe chirurgica. La conduzione dell’anestesia generale comprende quattro fasi: induzione, mantenimento dell’anestesia, risveglio, trasferimento del paziente dalla sala operatoria. INDUZIONE Lo scopo della fase d’induzione è di produrre una perdita di coscienza progressiva e rapida, fino al raggiungimento dello stato di narcosi mantenendo stabile la funzione cardiocircolatoria. L’anestesista sceglie il tipo d’induzione (inalatoria, endovenosa) i farmaci da usare, l’indicazione all’intubazione endotracheale o all’uso di altri “mezzi” (maschera facciale, maschera laringea, ecc). I farmaci comunemente usati per indurre l’anestesia per via endovenosa sono: i barbiturici, le benzodiazepine, la ketamina, il propofol. L’induzione inalatoria (preferita nei pazienti pediatrici) viene eseguita generalmente con alotano, e sevoflorane. MANTENIMENTO All’induzione segue l’approfondimento e il mantenimento dell’anestesia che utilizza farmaci somministrati per via endovenosa (neuroleptoanalgesia), endovenosa e inalatoria, (anestesia bilanciata) inalatoria (soltanto anestetici inalatori) o, ancora l’aggiunta dell’anestesia locale per il controllo del dolore intra e postoperatorio. Durante questa fase possono essere utilizzati miorilassanti (curarici depolarizzanti o non) che deteminano appunto il rilasciamento muscolare del paziente e, permettono al chirurgo di operare in condizioni di massima tranquillità e sicurezza. ANESTESIA SPINALE, EPIDURALE E CAUDALE Le tecniche di anestesia loco-regionale sono divenute via via sempre più popolari in sala operatoria grazie ai vantaggi evidenziati nell’analgesia e nel decorso postoperatorio. In particolare l’analgesia epidurale ha guadagnato un ruolo importante nel trattamento del dolore postoperatorio nel paziente chirurgico, grazie all’evidenza che essa è in grado non solo di migliorare l’analgesia, se confrontata 3 con metodi tradizionali, ma anche di accelerare il recupero postoperatorio e la dimissione del paziente. Allo stesso modo l’anestesia spinale è considerata estremamente efficace ed affidabile, utile nella chirurgia del paziente non ospedalizzato, capace di evitare problemi come la nausea, il vomito e la sedazione prolungata. Entrambe queste teniche anestesiologiche sono tecnicamente facile da eseguirsi, se comparate con i blocchi nervosi periferici e di conseguenza rappresentano le tecniche di anestesia loco-regionale più comunemente usate in sala operatoria. Anche l’anestesia caudale ha avuto una diffusione importante, particolarmente in anestesia pediatrica, grazie alla vantaggiosa analgesia intra e postoperatoria. L’utilizzo appropriato di queste tecniche anestesiologiche richiede conoscenza della farmacologia degli anestetici locali e dell’anatomia della colonna spinale. L’anestesia peridurale si ottiene iniettando anestetico nello spazio tra il canale vertebrale e la dura madre, bloccando così le afferenze dolorifiche a livello dell’ingresso del canale vertebrale. Il prolungamento dell’analgesia, si ottiene mediante posizionamento di un catetere che permette successive introduzione di anestetico (peridurale continua). La subaracnoidea si ottiene iniettando anestetico locale nello spazio tra dura madre ed aracnoide, ove si si trova il liquor; tale metodica permette d’interessare anche il blocco delle fibre motorie, producendo quindi il blocco muscolare con minore quantità di anestetico locale rispetto alla peridurale. In anestesia locoregionale il paziente generalmente è sveglio durante l’intervento e può comunicare con l’anestesista. Il compito dell’anestesista, in questa fase è quindi importante anche sotto l’aspetto psicologico. La sua presenza assicurerà e proteggerà il suo paziente, secondo i bisogni espressi, da quelle attivazioni emozionali-affettive che investono quest’ultimo durante le varie fasi dell’intervento chirurgico. RISVEGLIO In fase di chiusura dell’intervento inizia l’alleggerimento dell’anestesia; ci si avvia verso il risveglio dell’anestesia, grazie anche all’ausilio di farmaci in grado di antagonizzare quelli usati precedentemente. Le tappe di questa fase del trattamento anestesiologico sono le seguenti: 1. Estubare la trachea in modo atraumatico; 2. Ristabilire rapidamente i normali riflessi delle vie aere e la capacità, da parte del paziente, di controllare le normali funzioni vitali. Il controllo delle normali funzioni consiste nella capacità di mantenere pervie le vie aere, di ventilare adeguatamente, e di rendere stabili e appropriata la PA, la FC e il ritmo, e la distribuzione del flusso e del volume di sangue. La sfida è di raggiungere lo scopo rapidamente alla fine dell’intervento pur mantenendo il paziente in condizioni operatorie ed adeguate fino alla fine. Il recupero della coscienza non è parte essenziale dell’immediato postoperatorio. TRASFERIMENTO DEL PAZIENTE DALLA CAMERA OPERATORIA La fine dell’intervento non coincide con la fine del trattamento anestesiologico. La maggior parte dei problemi respiratori e cardiologici possono avvenire tra la fine dell'intervento e il trasferimento del paziente in corsia. Lo scopo di questa fase del trattamento è di prevenire complicanze, controllare il dolore e di trasferire il paziente sveglio dalla camera operatoria al letto di corsia. Possibili complicazioni includono: ostruzione delle vie respiratorie, aspirazioni, ventilazione inadeguata, ipotensione, ipertensione, aritmie, eccitazione al risveglio, lacerazione della sutura chirurgica, sanguinamento. Il trattamento del dolore deve cominciare prima che il paziente si renda conto di avere dolore (oppioidi, utilizzo di anestesie locoregionali) 4