Gli auguri di buona Pasqua; la festa di chi vuol cambiare
13 aprile 2001
Vorrei che l’augurio di buona Pasqua portasse con sé la speranza e il desiderio di
una vita nuova. È nella Pasqua che è iniziata la Chiesa, ed è dalla Pasqua che la Chiesa
può attingere sempre di nuovo l’energia per rinnovarsi e crescere. Non è possibile essere
cristiani se non si crede alla resurrezione di Gesù; e non è possibile credere a questa
resurrezione senza essere cristiani.
Il motivo è comprensibile. Che senso avrebbe la proclamazione del Vangelo
nell’Eucaristia se Cristo non fosse risorto? Sarebbe semplicemente la lettura di un testo
significativo dal punto di vista religioso; si potrebbe accostare ad una lettura rispettosa
dei Veda o dei canoni buddisti. Ma se Cristo è risorto, è ancora lui che oggi parla alla
sua Chiesa. E la comunità radunata ascolta non la lettura di un libro, ma la parola di un
vivente. Lo stesso ragionamento va fatto per tutte le azioni della Chiesa: per la
celebrazione dell’Eucaristia e di tutti i Sacramenti. È davvero Cristo che battezza, è lui
che assolve, è lui che comunica lo Spirito… La Chiesa nasce e si edifica attraverso il
rapporto vita con il suo Signore risorto.
La lettera agli Efesini lo dice con un’immagine suggestiva: “Cristo è il capo di quel
corpo che è la Chiesa” (Ef 1, 22-23). La Chiesa è un corpo che va formandosi nella
storia e che va crescendo verso il suo capo, Cristo. Ora, la forma di questa crescita e
l’energia per crescere la Chiesa li riceve da Cristo che, esaltato alla destra del Padre, è
diventato «Spirito datore di vita» (1 Cor 15, 45).
Possiamo allora comprendere: la nostra Chiesa piacentino-bobbiese è il corpo di
Cristo (cioè la sua presenza sensibile) in questa frazione di mondo che il territorio di
Piacenza. Ma non facciamo fatica a confessare che la nostra Chiesa realizza solo
parzialmente la presenza di Cristo: l’amore di Gesù, la sua misericordia, la sua mitezza,
la sua obbedienza al Padre, la sua forza di perdono sono realmente presenti in mezzo a
noi, ma mescolati a tanti limiti e incoerenze. Abbiamo bisogno di crescere, di essere
purificati e santificati; per questo ci accostiamo con desiderio e speranza alla
celebrazione della Pasqua. Sappiamo che da lì viene per noi la forza di «camminare in
una vita nuova» (Rm 6, 4) e non vogliamo sciupare il dono di Dio.
La Pasqua è dunque la festa degli inizi nuovi. Dio ha mostrato la sua potenza
risuscitando Gesù dai morti; ma questa medesima potenza è all’opera per noi, perché la
nostra stessa vita sia liberata da tutti i condizionamenti vecchi del peccato e possa
muoversi nello spazio nuovo creato dall’amore di Dio. Preparandosi a celebrare la
Pasqua gli Ebrei si preoccupano di eliminare in casa ogni traccia del pane vecchio, del
pane fatto con il lievito vecchio; deve cominciare una panificazione nuova, con pani
azzimi senza contaminazione alcuna (cfr. Es 12, 15-17). È un’immagine eloquente di
quello che la Pasqua significa anche per noi cristiani. «Dio ha fatto una cosa nuova» (Is
43, 19) e noi ne siamo i beneficiari. Impariamo a fare nostri i sogni di Dio – quelli che
troviamo espressi nella sua promessa – e a camminare verso la loro realizzazione, senza
avvilimenti o delusioni o recriminazioni. Non c’è tempo da perdere e non ci sono energie
da sciupare: tutto deve essere impiegato per rispondere alle attese di Dio, per vivere il
suo dono.
† Luciano Monari,
Vescovo di Piacenza-Bobbio
l mistero della risurrezione
“Quella polvere che a Pasqua diventa eterna”
31 marzo 2002
È facile “sentire” il Natale. La nascita di un bambino, per di più in contesto di
povertà, suscita sempre commozione e tenerezza. È più difficile “sentire” la Pasqua
perché qui siamo di fronte a qualche cosa di difficilmente immaginabile. Dice l’annuncio
pasquale: «Cristo è risorto!» (1 Cor 15, 20). E per la Chiesa è l’annuncio fondamentale
del Vangelo, la vera notizia che ha cambiato l’ordine del mondo. Ma come immaginare
la Pasqua? Nessuno di noi ha esperienza di resurrezione. E anche i casi di “risveglio”
dopo la morte (ad esempio nel Vangelo il caso di Lazzaro) sono tutt’altra cosa dalla
risurrezione di Gesù. I Vangeli raccontano della tomba vuota, delle apparizioni del
Risorto, ma non dicono nulla del fatto stesso della resurrezione. E così rimaniamo aridi,
senza riuscire a formarci un’immagine che sappia illuminarci e commuoverci.
Eppure, senza la Pasqua, non si riesce neppure a capire il Natale in senso cristiano.
Il Natale appartiene agli inizi, la Pasqua al compimento. Con il Natale inizia
un’avventura che deve portare alla Pasqua; con la Pasqua si inaugura il tempo del
compimento, quando ogni disegno viene portato alla perfezione. Scrive san Paolo ai
Romani: «Il Cristo risorto non muore più; la morte non ha più nessun potere sopra di
Lui» (Rm 6, 9). Proprio in queste parole sta il cuore del messaggio.
Gli avvenimenti del mondo sono legati a un tempo e a uno spazio; e il passare del
tempo li cancella inevitabilmente. Le cose durano, ma solo per un attimo più o meno
lungo; poi passano. Diceva Eràclito:Panta rei; “tutto scorre come le acque di un fiume
che non si possono rincorrere e fermare; bisogna lasciarle passare e accontentarci di
custodire il ricordo fino a quando passerà anch’esso, ingoiato dalla gola vorace del
tempo”. La Pasqua, al contrario, vuol dire un evento che non passa: «il Cristo risorto
non muore più». È uomo, ma vive la vita di Dio al di sopra del tempo; è fatto, come noi,
di “polvere di stelle”, ma questa polvere di stelle in Lui, diversamente da noi, è diventata
eterna. È possibile concepire una cosa del genere? Può avere un senso per l’uomo?
Torniamo al Vangelo: quello che il Vangelo dice è che «il Crocifisso è risorto» (Mc
16, 6). Le due parole vanno tenute strettamente unite: crocifisso-risorto; è risorto,
proprio lui, quello che era stato messo in croce; anzi è risorto proprio perché era stato
messo in croce. “Gli uomini lo hanno ucciso, ma Dio lo ha risuscitato” (cfr. At 2, 23-24);
gli uomini l’hanno espulso dalla storia, ma Dio lo ha costituito signore della storia. Nel
senso che la storia trova proprio in Lui, nel «Crocifisso risorto», il suo significato. La
crocifissione di Gesù è l’uccisione di un innocente, uno dei tanti crimini che hanno
intristito la storia dell’uomo sulla terra. Ma è, nello stesso tempo, una scelta di amore
portata fino all’estremo limite.
Il Vangelo insiste sul fatto che Gesù era ben consapevole del destino che
l’attendeva e verso questo destino è andato liberamente. Perché? Per amore della morte?
No; per amore della vita degli uomini. Di fronte alla violenza degli uomini, anziché
rispondere con una violenza opposta, ha accettato di subire affidando la sua difesa a Dio.
Proprio questo comportamento, fatto di fiducia senza limiti in Dio e di amore senza
limiti agli uomini, ha fatto del “Crocifisso il risorto”. Dio ha riconosciuto in Gesù lo
specchio della sua misericordia e ha risuscitato Gesù ponendolo come sorgente di
salvezza per tutti gli uomini che seguono la sua strada.
All’inizio del terzo millennio forse abbiamo bisogno proprio di questo. Abbiamo
cominciato il millennio diventando testimoni di violenze folli contro innocenti che hanno
scatenato altre violenze in una spirale di paura e di reazione. L’analisi politica degli
avvenimenti rimane tremendamente intricata. Ma l’analisi di fede non lascia dubbi: è
solo attraverso la forza di un amore che si affida a Dio che l’uomo può aprire la strada
verso un ordine di giustizia. La pace verrà, quando verrà, come fioritura della libertà
interiore e della capacità di rischiare il gesto di perdono. Non è garantita la vittoria
storica dell’amore; anzi, la croce di Gesù è il segno che il suo amore, nel corso della
storia, ha conosciuto la sconfitta. Ma la fede sa guardare al di sopra della storia, sa
abitare nel giudizio di Dio e Dio ha dato ragione all’amore contro la violenza, al perdono
contro l’invidia, alla debolezza oppressa contro la forza che opprime.
Non sappiamo verso quale mondo andremo; se sarà più pacifico o violento di quello
attuale. La proposta di Gesù sta nelle parole di un antico inno cristiano: «Quando era
oltraggiato non rispondeva con oltraggi e soffrendo non minacciava vendetta ma
rimetteva la difesa della sua causa a Colui che giudica con giustizia» (1 Pt 2, 23).
Illusione? Secondo una visione “a breve scadenza” è probabile; ma Dio ha risuscitato
Gesù, e in questo modo gli ha dato ragione; e noi?
Luciano Monari
Vescovo di Piacenza-Bobbio
Gli auguri di buona Pasqua; la festa di chi vuol cambiare
13 aprile 2001
Vorrei che l’augurio di buona Pasqua portasse con sé la speranza e il desiderio di
una vita nuova. È nella Pasqua che è iniziata la Chiesa, ed è dalla Pasqua che la Chiesa
può attingere sempre di nuovo l’energia per rinnovarsi e crescere. Non è possibile essere
cristiani se non si crede alla resurrezione di Gesù; e non è possibile credere a questa
resurrezione senza essere cristiani.
Il motivo è comprensibile. Che senso avrebbe la proclamazione del Vangelo
nell’Eucaristia se Cristo non fosse risorto? Sarebbe semplicemente la lettura di un testo
significativo dal punto di vista religioso; si potrebbe accostare ad una lettura rispettosa
dei Veda o dei canoni buddisti. Ma se Cristo è risorto, è ancora lui che oggi parla alla
sua Chiesa. E la comunità radunata ascolta non la lettura di un libro, ma la parola di un
vivente. Lo stesso ragionamento va fatto per tutte le azioni della Chiesa: per la
celebrazione dell’Eucaristia e di tutti i Sacramenti. È davvero Cristo che battezza, è lui
che assolve, è lui che comunica lo Spirito… La Chiesa nasce e si edifica attraverso il
rapporto vita con il suo Signore risorto.
La lettera agli Efesini lo dice con un’immagine suggestiva: “Cristo è il capo di quel
corpo che è la Chiesa” (Ef 1, 22-23). La Chiesa è un corpo che va formandosi nella
storia e che va crescendo verso il suo capo, Cristo. Ora, la forma di questa crescita e
l’energia per crescere la Chiesa li riceve da Cristo che, esaltato alla destra del Padre, è
diventato «Spirito datore di vita» (1 Cor 15, 45).
Possiamo allora comprendere: la nostra Chiesa piacentino-bobbiese è il corpo di
Cristo (cioè la sua presenza sensibile) in questa frazione di mondo che il territorio di
Piacenza. Ma non facciamo fatica a confessare che la nostra Chiesa realizza solo
parzialmente la presenza di Cristo: l’amore di Gesù, la sua misericordia, la sua mitezza,
la sua obbedienza al Padre, la sua forza di perdono sono realmente presenti in mezzo a
noi, ma mescolati a tanti limiti e incoerenze. Abbiamo bisogno di crescere, di essere
purificati e santificati; per questo ci accostiamo con desiderio e speranza alla
celebrazione della Pasqua. Sappiamo che da lì viene per noi la forza di «camminare in
una vita nuova» (Rm 6, 4) e non vogliamo sciupare il dono di Dio.
La Pasqua è dunque la festa degli inizi nuovi. Dio ha mostrato la sua potenza
risuscitando Gesù dai morti; ma questa medesima potenza è all’opera per noi, perché la
nostra stessa vita sia liberata da tutti i condizionamenti vecchi del peccato e possa
muoversi nello spazio nuovo creato dall’amore di Dio. Preparandosi a celebrare la
Pasqua gli Ebrei si preoccupano di eliminare in casa ogni traccia del pane vecchio, del
pane fatto con il lievito vecchio; deve cominciare una panificazione nuova, con pani
azzimi senza contaminazione alcuna (cfr. Es 12, 15-17). È un’immagine eloquente di
quello che la Pasqua significa anche per noi cristiani. «Dio ha fatto una cosa nuova» (Is
43, 19) e noi ne siamo i beneficiari. Impariamo a fare nostri i sogni di Dio – quelli che
troviamo espressi nella sua promessa – e a camminare verso la loro realizzazione, senza
avvilimenti o delusioni o recriminazioni. Non c’è tempo da perdere e non ci sono energie
da sciupare: tutto deve essere impiegato per rispondere alle attese di Dio, per vivere il
suo dono.
† Luciano Monari,
Vescovo di Piacenza-Bobbio
21 aprile 2011
Fonte come da titolazione, rilevato da Ciani Vittorio x l’Ufficio Documentazione
Diocesi Piacenza-Bobbio.
Fiorisce la vita
Naturalmente l’augurio di buona Pasqua non significa solo: possa tu vivere il giorno
di Pasqua in serenità e gioia.
Questo è certamente importante, ma nell’ottica della fede non basta. Ci vuole anche
quello che Paolo scrive ai Colossesi (e che ascoltiamo nella Messa di Pasqua): “Voi siete
morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio!” (Col 3,3) C’è dunque un senso in cui
facciamo esperienza di morte e c’è un senso in cui facciamo esperienza di una vita
nuova. Quella che muore è la vita ‘mondana’ intendendo con questo termine una vita che
si riduce alle dimensioni del ‘mondo’ e non cerca altro se non quello che il mondo può
dare. È mondana l’esistenza del ‘consumatore’ che vive solo di ciò che compera e usa;
dell’arrampicatore sociale che accetta compromessi per conquistare una poltrona ambita;
del libertino che pensa e vive il sesso senza alcun impegno personale; e così via. La
Pasqua uccide questa vita.
L’esistenza nuova che la Pasqua offre è “nascosta con Cristo in Dio.” Dio entra
dunque nello spazio della nostra vita e la fa grande; non è una vita che arriva solo fino al
limite del mondo; sa guardare anche oltre, sa aprirsi al mistero di Dio, è fatta anche di
fede e di speranza. Una vita che sa di essere preceduta e sostenuta dall’amore di Dio, che
a questo amore è riconoscente e che cerca di esprimere la riconoscenza accettando
cordialmente la vita stessa, gli altri, il mondo. San Francesco sa apprezzare lo splendore
del fuoco, l’utilità dell’acqua, la bellezza di un prato fiorito. Ma vive tutte queste realtà
del mondo aperto a Dio, lodando Dio; la sua è un’esistenza nuova, non mondana, che sa
vedere il mondo come creatura di Dio.
Si tratta, dice ancora San Paolo, di un’esistenza ‘con Cristo’. Il modello e l’origine
di questa esistenza nuova è Gesù, la sua esperienza di Dio, il suo modo di vivere nel
mondo. Gesù appartiene a pieno titolo alla famiglia umana. Come scrive Paolo ai Galati,
egli “è nato da donna, nato sotto la legge.”
(Gal 4,4) E tuttavia vive la sua esistenza davanti al Padre; sa di essere amato dal
Padre, di ricevere tutto dal Padre; a sua volta ama il Padre e fa quello che il Padre gli
chiede (Gv 14,31).
Non cerca successi o guadagni mondani, ma desidera solo che la sua vita dia gloria
a Dio (Gv 12,27-28). Per questo vive nel mondo come una persona libera, che le
promesse non possono irretire e le minacce non spaventano. “Il mio cibo – dice – è fare
la volontà di colui che mi ha mandato e portare a compimento la sua opera.” (Gv 4,34)
Con questo stile di vita Gesù introduce nel mondo la volontà di amore del Padre e il
mondo diventa capace di esprimere questo amore che lo supera immensamente.
La vita cristiana è vita ‘con Cristo’ nel senso che la forma di vita di Cristo diventa
nostra. Stare con Gesù, ascoltarlo, guardarlo suscita nei discepoli pensieri e desideri
nuovi. Gesù lava i piedi ai suoi discepoli; è un esempio che i discepoli debbono imitare.
Ma è di più perché il gesto di Gesù, rivolto direttamente a loro, muove dentro di
loro una serie inedita di sentimenti e di affetti: al vedere il maestro che amano e che
stimano piegato ai loro piedi debbono sentirsi per forza imbarazzati; debbono capire
quanto sia inutile cercare posti di prestigio; debbono cominciare a desiderare di essere
loro stessi servi. Fiorisce così la vita ‘con Cristo’. Dunque vita nuova, vita in Dio, vita
con Cristo; questo dice e fa la Pasqua. Allora, di cuore, buona Pasqua a tutti! Possiate
(possiamo!) risorgere con Cristo per una vita nuova!
† Mons. Luciano Monari,
Vescovo Brescia
Diocesi di Brescia
Celebrazione Eucaristica
Lunedì Santo
02 Aprile 2012
Fonte come da titolazione, rilevato da Ciani Vittorio x l’Ufficio Documentazione
Diocesi Piacenza-Bobbio.
* Documento non rivisto dall’autore, ma rilevato come amanuense dal registratore
audio da Marcello Copelli, con l’aggiunta dei riferimenti biblici.
Liturgia Letture:
Dal libro del profeta Isaia (42,1-7)
«Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio. Ho posto il
mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni. Non griderà né alzerà il tono, non
farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno
stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità. Non verrà meno e non si
abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra, e le isole attendono il suo
insegnamento». Così dice il Signore Dio, che crea i cieli e li dispiega, distende la terra
con ciò che vi nasce, dà il respiro alla gente che la abita e l’alito a quanti camminano su
di essa: «Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho
formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli
occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano
nelle tenebre».
Dal Vangelo secondo Giovanni (1,1-11)
«Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betania, dove si trovava Làzzaro, che
egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Làzzaro era
uno dei commensali. Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai
prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si
riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariòta, uno dei suoi discepoli, che
stava per tradirlo, disse: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e
non si sono dati ai poveri?». Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma
perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano
dentro. Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia
sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me». Intanto una
grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù,
ma anche per vedere Làzzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I capi dei sacerdoti
allora decisero di uccidere anche Làzzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa
di lui e credevano in Gesù».
Omelia
La Pasqua ha un duplice significato: primo riguarda Gesù Cristo e poi
riguarda noi.
Riguarda Gesù Cristo: la Pasqua vuole dire che il suo modo di vivere e il
suo modo di morire era così in sintonia con il desiderio di Dio, con la volontà di
Dio, che Dio non lo ha lasciato nella morte ma lo ha introdotto dentro alla Sua
vita. Cioè con la passione Gesù Cristo passa da una condizione di vita umana a
una condizione di vita in Dio, che ha la perfezione della vita di Dio, con la sua
umanità – l’uomo Gesù Cristo – e il motivo di questo passaggio è molto
semplicemente questo: che Gesù ha vissuto una vita umana, ma l’ha vissuta
così bella che la vita umana di Gesù aveva la forma della volontà di Dio. Detto
ancora meglio: aveva la forma dell’amore di Dio!
Dio ama le sue creature, le creature che ha fatto, bene l’uomo Gesù è
passato amando, facendo del bene, guarendo i malati, purificando,
perdonando, cioè ha come fatto vedere e realizzato l’amore di Dio per ogni
uomo.
Dio è infinitamente grande, è al di là di quello che noi possiamo vedere,
ascoltare o capire ma i gesti concreti di Gesù avevano la forma della volontà di
Dio, dell’amore di Dio e, proprio per questo, Dio non ha abbandonato Gesù
nella morte, ma lo ha risuscitato e lo ha collocato accanto a sé nella gloria, cioè
lo ha introdotto dentro ad una condizione di vita più perfetta, perché il «Cristo
risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui» (Rom.
6,9), sopra la sua umanità, è entrato nella perfezione di vita di Dio.
Allora il primo significato è semplicemente questo: una vita come quella
che ha vissuto Gesù è una vita “da Dio”, è una vita piena, perfetta che ha come
traguardo Dio, passa da questo mondo a Dio; non da questo mondo alla morte
ma, attraverso la morte, a Dio.
Il secondo significato diventa molto evidente perché questo riguarda noi,
riguarda me e riguarda voi.
Abbiamo una vita da vivere. Come la viviamo?
La possiamo vivere in riferimento ai nostri interessi, evidentemente
dobbiamo difendere la nostra vita – su questo non ci piove – ma possiamo
vivere la vita badando solo a noi stessi e quindi cercando di realizzare il
successo della nostra vita e, se viviamo così, siamo noi e basta.
Siccome, prima o poi, la morte eserciterà una vittoria sulla nostra vita
saremo alla fine degli sconosciuti. Possiamo avere avuto molto successo nella
vita, essere diventati ricchi, famosi o potenti ma la morte cancella ogni
realizzazione umana.
Se la nostra vita invece di essere orientata solo a sé stessa, al suo successo
si fa carico anche del bene degli altri, si occupa non solo di essere contento ma
di fare contento, si occupa non solo della propria realizzazione ma del rispetto
della vita e del bene degli altri, se la nostra vita si apre a qualche cosa di più
grande di lei, allora si apre anche per noi la speranza della comunione con Dio,
la speranza che la nostra vita sia un passaggio, inevitabilmente attraverso la
morte, ma un passaggio da questo mondo a Dio.
Si potrebbe dire in un altro modo: se noi facciamo qualche cosa di buono
senza pretendere una ricompensa in questo mondo acquistiamo una specie di
credito e Dio accoglie il nostro credito con la ricchezza della sua benedizione,
della vita che Lui desidera dare alle creature, a ciascuno di noi.
Questo è il secondo significato.
Ma volevo dire una terza cosa che è questa: Gesù ha fatto il suo cammino
completo ed è arrivato a Dio; noi dobbiamo fare il nostro cammino per
arrivare a Dio, ma caro mio tra Gesù Cristo e noi c’è un pochino di distanza e
quello che è riuscito Lui a fare molto bene, noi facciamo una fatica cane a
realizzarlo.
Ma è lì che Gesù diventa significativo per noi! Perché il Cristo risorto è
sorgente di vita per tutti gli uomini, cioè dal Cristo risorto, che è pieno della
vita di Dio, la vita di Dio viene trasmessa a me e a voi, la celebrazione che
facciamo la facciamo per questo! Mica noi possiamo qualche cosa a Dio!
Perché celebriamo l’eucarestia? Per ricevere! Per ricevere la ricchezza
della sua Grazia cioè del suo Amore, del suo coraggio, della sua fedeltà, di
quella ricchezza di vita che Gesù ha vissuto, perché arrivi anche a noi e riesca,
questa vita che viene da Gesù, a vincere, a superare il nostro egoismo; perché
istintivamente noi egoisti lo siamo – non è che sia una cosa bellissima, qualche
volta ci viene anche da vergognare per i sentimenti che delle volte vengono
fuori dal nostro cuore, sentimenti di egoismo, ma fa parte della nostra
condizione, siamo deboli, siamo piccoli nella capacità di amare – ma proprio
per questo Dio ci ha donato Gesù Cristo e attraverso Gesù Cristo Dio ci dona la
Sua capacità di amare.
Oh, è proprio così!
Dio ci dona la sua capacità di amare!
Perché dentro all’amore dell’uomo ci sia quella ricchezza di generosità che
Dio solo è capace di produrre e credo che, se andiamo a ripensare al nostro
passato, qualche cosa lo troviamo, perché nell’amore che ci hanno donato i
nostri genitori c’era l’istinto naturale dell’amore per i figli, ma c’era una
generosità, una capacità di rinuncia che è qualche cosa di sorprendente, di
grande, che – credo – possiamo riconoscere come una forza di amore che
viene da Dio.
Perché sacrificarsi per gli altri, anche sacrificarsi per i propri figli, è una
forma di amore, di generosità che non è mondana, che non ha un successo
dentro al mondo, che viene da Dio.
Accanto a questo potete metterci, probabilmente, molte altre esperienze
di amicizia, di affetto, di aiuto che abbiamo sperimentato nella nostra vita da
parte di persone che ci hanno voluto bene gratis, non per un qualche
vantaggio, ma semplicemente per la gioia di farci contenti, o di darci una mano
in un momento difficile.
Questo è la grazia che viene da Dio attraverso il Signore risorto!
Questa è quella grazia che ci permette di vivere anche la nostra vita a
somiglianza con la vita di Gesù, perché anche la nostra vita possa avere, come
traguardo, non semplicemente la morte, ma Dio, e in Dio possa avere come
traguardo la comunione con gli altri, quel legame di rispetto, di amicizia che ci
impegniamo a costruire sulla terra.
Dunque tutte e tre queste cose:

la Pasqua è il successo di Gesù che entra nella vita di Dio;

la Pasqua è il modello della nostra vita che percorriamo il cammino che
ha fatto il Signore;
la Pasqua è la grazia che dal Signore arriva a noi per renderci capaci di
amare con un amore generoso e quindi per aprire la nostra vita al
mistero di Dio, perché diventi un cammino verso Dio.

Questo diventa anche, evidentemente, l’augurio: ce lo scambiamo a
vicenda, lo faccio con tutto il cuore, che il Signore vi metta dentro la gioia di
essere amati da Lui, il desiderio di rispondere all’amore del Signore con
l’amore verso gli altri, e che metta dentro di me e dentro di voi la gioia che
viene nel dare gioia, la soddisfazione che viene nel rendere contento
qualcun’altro.
Negli Atti degli Apostoli c’è una frase che è attribuita a Gesù che dice: «Si è
più beati nel dare che nel ricevere!» (At. 35b), si intende se il cuore è generoso;
il cuore meschino – evidentemente – prende più gioia nel ricevere che nel
dare, ma quando il cuore meschino che abbiamo, incomincia a diventare un
tantino generoso trova più gioia nel dare che nel ricevere e la Pasqua vorrebbe
produrre in noi questo atteggiamento perché quello che riusciamo a donare,
con la gioia di donare, questo rimane per sempre, questo ci apre il dono della
grazia di Dio come compimento della nostra vita.
Quindi auguri a voi di buona Pasqua, auguri a tutte le vostre famiglie,
soprattutto se ci sono delle persone ammalate che possono sentire, anche
attraverso di voi, la speranza che viene dal non essere soli, dal non dovere
combattere da soli contro la fatica di vivere, contro le sofferenze che la vita
contiene.
Che la Pasqua ci aiuti a vivere questa solidarietà con maggiore profondità
e perseveranza!
* Documento non rivisto dall’autore, ma rilevato come amanuense dal registratore audio da Marcello Copelli, con
l’aggiunta dei riferimenti biblici.