Omero Odissea, Proemio
῎Ανδρά μοι ἔννεπε, Μοῦσα, πολύτροπον, ὃς μάλα πολλὰ
πλάγχϑη, ἐπεὶ Τροίης ἱερὸν πτολίεϑρον ἔπερσε·
πολλῶν δ' ἀνϑρώπων ἴδεν ἄστεα καὶ νόον ἔγνω,
πολλὰ δ' ὅ γ' ἐν πόντῳ πάϑεν ἄλγεα ὃν κατὰ ϑυμόν,
ἀρνύμενος ἥν τε ψυχὴν καὶ νόστον ἑταίρων.
ἀλλ' οὐδ' ὧς ἑτάρους ἐρρύσατο ἱέμενός περ·
αὐτῶν γὰρ σϕετέρῃσιν ἀτασϑαλίῃσιν ὄλοντο,
νήπιοι, οἳ κατὰ βοῦς ῾Υπερίονος ᾽Ηελίοιο
ἤσϑιον· αὐτὰρ ὁ τοῖσιν ἀϕείλετο νόστιμον ἦμαρ.
τῶν ἁμόϑεν γε, ϑεά, ϑύγατερ Διός, εἰπὲ καὶ ἡμῖν
Proemio, traduzione letterale
L’uomo a me narra, o Musa, multiversatile, che molto assai
errò, dopo che di Troia la sacra rocca distrusse;
di molti uomini vide le città e la mente conobbe,
molti nel mare soffrì dolori nel suo cuore,
lottando per la sua vita e per il ritorno dei compagni;
ma neppur così i compagni salvò, benché desideroso:
per le loro proprie empietà perirono,
stolti, che i buoi dell’Iperione Elios
mangiarono; ma egli a loro tolse il reduce giorno.
Di queste cose, da qualunque punto, dea, figlia di Zeus,
[parla anche a noi.
uomo…multiversatile: iperbato; vide le città e la mente conobbe: chiasmo; molti…dolori: iperbato; Iperione: che si muove in alto; reduce: del
ritorno.
Traduzione di Ippolito Pindemonte (1753-1828)
Musa, quell'uom di multiforme ingegno
Dimmi, che molto errò, poich'ebbe a terra
Gittate d'Ilïòn le sacre torri;
Che città vide molte, e delle genti
L'indol conobbe; che sovr'esso il mare
Molti dentro del cor sofferse affanni,
Mentre a guardar la cara vita intende,
E i suoi compagni a ricondur: ma indarno
Ricondur desïava i suoi compagni,
Ché delle colpe lor tutti periro.
Stolti! che osaro vïolare i sacri
Al Sole Iperïon candidi buoi
Con empio dente, ed irritâro il nume,
Che del ritorno il dì lor non addusse.
Deh! parte almen di sì ammirande cose
Narra anco a noi, di Giove figlia e diva.
Dal Trattato del Sublime (I sec. a.C / I d.C.)
Invece nell’Odissea (…) mostra che è tipico di un grande
genio, quando si avvicina alla vecchiaia, l’amore per il
racconto. Da molti altri indizi è evidente che compose per
seconda questa opera, ma anche dal fatto che egli ha trattato
in una serie di episodi il seguito delle vicende dell’Iliade e vi
ha aggiunto persino i compianti e i lamenti funebri per gli
eroi dell’Iliade come fossero personaggi già noti. L’Odissea
non è niente altro che l’epilogo dell’Iliade;
lì giace Aiace guerriero, lì Achille,
lì Patroclo, di saggezza pari agli dei,
lì il mio caro figliolo.
Per questo motivo, io credo, dato che l’Iliade fu scritta
quando la sua forza creatrice era al culmine, egli riempì
l’opera di dialoghi e di azione, mentre l’Odissea ha un
aspetto prevalentemente narrativo, com’è caratteristico
della vecchiaia.
Perciò l’Omero dell’Odissea potrebbe essere paragonato al
sole quando tramonta: è ancora ugualmente grande, ma
meno ardente. Infatti qui egli non conserva una tensiona
paragonabile ai grandi canti dell’Iliade, né la grandezza
sempre uguale senza cadute, né qual continuo susseguirsi
di passioni, né la capacità d’improvvise variazioni,
Traduzione di Salvatore Quasimodo (1901-1968)
Narrami, o Musa, l'uomo dall'agile mente
che a lungo andò vagando poi che cadde Troia,
la forte città, e di molte genti vide le terre
e conobbe la natura dell'anima, e molti dolori
patì nel suo cuore lungo le vie del mare,
lottando per tornare in patria coi compagni.
Ma per la loro follia (come simili a fanciulli!),
non li potè sottrarre alla morte,
poi che mangiarono i buoi del Sole, figlio del cielo,
che tolse loro il tempo del ritorno.
Questo narrami, o dea, figlia di Zeus,
e comincia di dove tu vuoi.
l’eloquenza, la densità di immagini realistiche: è come
Oceano che si ritira in se stesso, e trova in sé la sua misura,
mentre ancora compaiono i riflussi dell’antica grandezza
anche in quelle divagazioni favolose e incredibili.
Quando dico questo, non voglio trascurare le tempeste
dell’Odissea, l’episodio dei Ciclopi e altri ancora: è una
vecchiezza, ma la vecchiezza di Omero! Però in questi
episodi l’elemento narrativo (τὸ μυθικόν) prevale su quello
drammatico (τὸ πρακτικόν).
Questa digressione, come ho detto, ha lo scopo di mostrare
che talvolta i grandi geni quando declinano tendono alla
futilità: e alludo all’episodio dell’otre dei venti, agli uomini
trasformati in porci da Circe (…); e Zeus nutrito dalle
colombe come fosse un pulcino, e un naufrago che rimane
dieci giorni senza toccare cibo, e le inverosimili vicende
dell’uccisione dei pretendenti. Come potremmo definire tali
episodi, se non veramente “sogni di Zeus”?.
Ma v’è un’altra ragione per parlare dell’Odissea: perché ti
sia chiaro che il declino della passione, nei grandi scrittori e
poeti, si stempera nella raffigurazione dei caratteri: così la
descrizione della vita familiare nella casa d’Odisseo ricorda
quasi una commedia di costume.
Gli epiteti caratteristici di Odisseo
πολύτροπος = molto versatile (che è molto abile a destreggiarsi nelle situazioni o che ha molto viaggiato, da τρέπω,
volgo, giro)
πολύμητις= =molto sapiente (Metis era la sapienza divorata da Zeus, dalla cui testa sarebbe nata Atena)
πολύτλας= =che molto sopporta (riferimento alle sofferenze passate, ma anche alla capacità di non reagire
impulsivamente, da τλῆναι, sopportare)
πολυμήχανος = molto ingegnoso (capace di molte macchinazioni)