La corte de le pignate - Proposta Teatro Collettivo

PROPOSTA TEATRO COLLETTIVO
ARQUA’ POLESINE
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Arquà Polesine, 26.06.2007
OGGETTO: La Corte de le Pignate di Eugenio Ferdinando Palmieri.
La presente per proporre lo spettacolo "La Corte de le Pignate" di Eugenio Ferdinando
Palmieri, nell’allestimento della compagnia teatrale “Proposta Teatro Collettivo”.
Si tratta di una commedia, con musica, ambientata in una corte sull’Adigetto della Rovigo
del 1910, quasi un ritratto di una città oramai scomparsa, fatta rivivere dalla poesia e dalla divertita
ironia del Palmieri.
L’ allestimento privilegiando la coralità dell’opera risulta una valida proposta teatrale che ha
avuto largo riscontro sia di pubblico sia di stampa, con lusinghiere recensioni di G. A. Cibotto e S.
Garbato.
Una messa in scena che vuole essere un prezioso omaggio ad un autore del novecento, così
importante per la cultura letteraria nazionale e del Polesine in particolare.
Un autore che ha molto amato Rovigo ed il Polesine e di cui il Collettivo ha voluto
celebrare, con questo allestimento, il centenario della nascita.
Ringraziando per l’attenzione, porgo distinti saluti.
Giorgio Libanore
La commedia
La corte de le pignate
Commedia con musiche e canti in due atti
di Eugenio Ferdinando Palmieri
Testo corale ambientato nel 1910 a Rovigo in una Corte simile a tante altre presenti in altri luoghi del Veneto,
quasi un affresco in cui il passato torna a rivivere attraverso le chiacchiere, i pettegolezzi, gli amori e gli
intrighi, spesso innocenti stratagemmi di uomini e donne del popolo.
La vicenda gira attorno all’amore contrastato di Nena, brava ragazza povera, e Nicoleto pupillo di un ricco e
burbero zio, Menego, che non vuol sentire parlare di un matrimonio cosi inadeguato. Marieta, sua madre,
preoccupata per la salute della figlia, si reca alla fiera della Madonna di Lendinara per procurarsi l’acqua
miracolosa. Ma perde l’acqua che viene sostituita con semplice acqua di rubinetto. Nena comunque beve
fiduciosa in un miracolo riuscendo ad affrontare Menego e a strappargli l’assenso alle nozze.
Ancora una volta, la compagnia utilizza numerose foto d’epoca come elemento scenografico. Ricca di
personaggi, vivace nel ritmo e nei dialoghi, sottolineata da stacchi con canti e balli, la commedia non manca
di comicità e sorprese. Sullo sfondo si intravede un mondo in trasformazione: una città in cui si intuiscono i
primi elementi di sviluppo in senso moderno di un’area caratterizzata da secoli di subordinazione politica, di
sfruttamento, di emarginazione. Non più un mondo solo contadino ma un tessuto sociale più composito con
operai, artigiani, impiegati. Un coro urbano dove la tradizionale religiosità (il pellegrinaggio) si confonde con
linee di libertarismo sociale (le società operaie, la boje). Il tutto filtrato dall’ironia e dalla poesia di Palmieri,
autore veneto di grande rilievo.
PROPOSTA TEATRO COLLETTIVO
La compagnia
Il gruppo nasce ufficialmente nel febbraio dei 1975 nel desiderio di unire all’amicizia e al divertimento
un’esperienza anche di impegno nell’ambito teatrale. Durante il lavoro di allestimento della prima opera, La
bisbetica è domata?, dall’omonimo lavoro di Shakespeare, matura infatti tra i componenti la coscienza di
poter divenire evento culturale all’interno della propria realtà sociale. Da qui nasce l’esigenza di un confronto
con un pubblico più ampio e diverso, con il quale interagire: il gruppo porta le proprie rappresentazioni alla
scuola media di Arquà Polesine e all’Ospedale Psichiatrico di Ferrara. A questo primo allestimento seguono
nel 1976 Il tartufo o l’impostore di Molière e La Venexiana di Anonimo veneto del ’500. Già da questi
interventi si va evidenziando quella che sarà la caratteristica dei lavori successivi, ovvero un approccio al
testo che parte da premesse di tipo filologico per individuare una chiave di lettura legata a tematiche
contemporanee e, quindi, piegare la messinscena ad una godibilità teatrale di sapore più prettamente
popolaresco, attraverso il coinvolgimento, la musica, il grottesco. In questa prospettiva sono i lavori che
vanno dal 1977 al 1991: I due gemelli veneziani di Carlo Goldoni, Bertoldo a corte di Massimo Dursi,
Macbeth di Eugène Ionesco, La presa di potere di Ivan lo Sciocco di Antonio Porta. La compagnia arriva
finalista allo “Schiofestival” del teatro veneto nel 1983 e prima classificata al “Festival del teatro padano” di
Bondeno nel 1984 con La corte de le pignate di Eugenio Ferdinando Palmieri; ottiene i premi per la
migliore interpretazione maschile e la migliore regia nel 1984 e nel 1987, al “Teatro in corte” di Sandrigo,
con Nina ’no far la stupida di Rossato e Giancapo; arriva seconda finalista, con segnalazione per il migliore
lavoro originale, al “Premio G. Totola” di Verona, nel 1989, con L’erba garba. Nei lavori di questo periodo si
accentua il gusto ironico e grottesco: I Lazzaroni, di Eugenio Ferdinando Palmieri (1992), Il Tutore in
balanza, ovverosia La Pupilla ritrovata da Carlo Goldoni (1993) e El Barbajozo, di Gianni Sparapan
(1995), finalista al "Teatro in corte di Sandrigo" nel 1999 con il premio per il miglior attore non protagonista
e la nomination per la migliore attrice protagonista.
In El borghese zenti l’omo (1998), libera rielaborazione del Borghese gentiluomo di Molière, il gruppo
lavora sulla contemporaneità di alcuni caratteri umani, resi grottescamente drammatici dal vivere moderno
di oggi. La “sperimentazione” avviata con il Borghese segna il passaggio verso una fase nuova per la
compagnia, dove la scenografia si riduce sempre più all’essenziale, lasciando che le emozioni dei personaggi
e le atmosfere raccontate vengano evocate da un gioco di immagini, luci, ombre, suoni e voci: il teatro
diventa una fusione di poesia e immagine. Nel 2000, è in modo particolare l’immagine che caratterizza
l’allestimento di 14 novembre 1951, La rotta del Po, dal libro omonimo di Vittorino Vicentini, una lettura
a più voci e per immagini, appunto, per raccontare l’esperienza tragica collettiva attraverso la vicenda
umana di una famiglia “alluvionata”, i disagi, le umiliazioni, la solidarietà, ma anche le profonde ingiustizie
viste e subite.
Nel gennaio 2002, nella chiesa di Pezzoli (Ceregnano), si realizza un evento unico: L’uomo che cammina
di Christian Bobin, vero e proprio happening dedicato alla figura del Cristo-Uomo, mai nominato nel testo,
ma riconoscibile, attraverso le voci e i corpi degli attori, nelle parole scomode e sconvolgenti, e nel suo
camminare in mezzo al pubblico, metafora del percorso esistenziale di amore e dolore che lo accomuna al
genere umano.
Del luglio 2003 è la nuova messainscena, con musiche e danze, de La corte de le pignate di Eugenio
Ferdinando Palmieri, , già allestita nel 1982, testo corale ambientato nel 1910 a Rovlgo, quasi un affresco in cui il
passato torna a rivivere attraverso le immagini, le musiche, i pettegolezzi, gli amori di uomini e donne del popolo.
Nel gennaio 2007 debutta Rumori fuori scena, commedia liberamente tratta da un testo di Michael Frayn, una
esilarante storia che offre uno spaccato della vita quotidiana di una scalcinata compagnia impegnata a
provare e rappresentare lo spettacolo "Con niente addosso". Una divertentissima commedia in tre atti, un
irresistibile lavoro del teatro contemporaneo.
Da un testo di E. Ferdinando Palmieri un 'originale messa in scena della compagnia "Proposta
Teatro Collettivo"
La corte de le pignate è, nel teatro veneto, la prima voce del Polesine ed è una commedia
da leggere d'autunno, sgranocchiando caldarroste." Così inizia il testo di Eugenio Ferdinando
Palmieri, invero un'opera valida in tutte le stagioni e ancora più apprezzabile se vista a teatro, col
suo corredo di musiche, canti e balli.
Va dato merito alla compagnia "Proposta Teatro Collettivo" di Arquà Polesine, diretta da Giorgio
Libanore, di aver inserito nel proprio repertorio una commedia ambientata a Rovigo e a Lendinara
nel 1910, nella quale i riferimenti storici, sociali e topografici al capoluogo e a tutto il Polesine sono
un elemento caratterizzante.
Nella Rovigo di cento anni fa la "Corte de le pignate" era un luogo reale, ben definito, una
piazzetta collocata sulla riva sinistra dell'Adigetto, di rimpetto alla chiesetta di S. Michele, un luogo
periferico, per quel tempo, ubicato al di fuori delle mura e delle porte della città, circondato dalle
abitazioni di semplici artigiani e popolani. Il riferimento alle "pignate" trarrebbe spunto dal fatto
che in quello spazio ristretto per secoli artigiani esperti avrebbero forgiato stoviglie di terracotta,
lasciando nella toponomastica un orgoglioso segno del loro lavoro.
Palmieri, di origini vicentine ma vissuto alcuni anni a Rovigo, è riuscito a cogliere con straordinaria
sagacia i caratteri di una città in trasformazione, in cui si intuiscono i primi elementi di sviluppo in
senso moderno di un'area caratterizzata da secoli di subordinazione politica, di sfruttamento, di
emarginazione: non più solo un mondo contadino ma un tessuto sociale più composito con operai,
artigiani, impiegati e commercianti.
La coralità del testo riproduce, sia con ironia di grana ora grossa ora sottile, sia con pennellate di
autentica poesia, un mondo urbano in cui la tradizionale religiosità (il pellegrinaggio alla
Madonna di Lendinara) si confonde con innovative linee di libertarismo sociale (le società operaie,
"la boje").
"Quadro di maniera" viene definito dallo stesso Palmieri questo affresco di un mondo che si anima
attraverso le chiacchiere, i pettegolezzi, gli amori, gli intrighi, gli stratagemmi spesso innocenti ma
acuti, di uomini e donne del popolo.
La vicenda gira attorno all'amore contrastato di Nena, brava ragazza ma di umili condizioni
sociali, e Nicoleto, pupillo di un ricco e burbero zio, Menego, che non vuole sentire parlare di un
matrimonio così inadeguato. Marieta, madre di Nena, preoccupata per la salute della figlia, si reca,
accompagnata dal sagrestano della chiesa di S. Bortolo, soprannominato "Canarin", alla fiera della
Madonna di Lendinara, per procurarsi dell'acqua miracolosa, che possa vincere le resistenze
dell'intransigente zio. Durante il pellegrinaggio, però, un furto la priva dell'acqua che, per un lampo
di genio della vicina di casa. Teresa, al ritorno a Rovigo, viene sostituita con semplice acqua di
rubinetto. Nena, ignara di tutto, la beve, fiduciosa in un miracolo ma "ciò che non potè l'acqua potè
la passione": la ragazza rimane incinta e, dopo aver affrontato lo zio Menego, gli strappa l'assenso
alle nozze.
Attorno alla trama l'autore ha, però, ideato un'ampia cornice entro la quale si muovono altri
personaggi, non meno
importanti per tratteggiare uno spaccato completo della Rovigo dei primi del '900. Su tutti svettano
le genuine personalità di Napoli (diminutivo di Napoleone) Soasa, ciabattino e membro della
Commissione Comunale del Gas, con un passato di comparsa e corista al Teatro Sociale, pretenzioso autodidatta con l'aspirazione di divenire deputato e della moglie Giustina, per contrapposizione
donna più realista e più concreta.
Una "commedia nella commedia" è rappresentata, infine, dalla rievocazione della Fiera di
Lendinara: qui Palmieri dimostra tutte le proprie doti di fine osservatore (era pur sempre un
giornalista...) per descrivere situazioni e personaggi che caratterizzavano questo evento. La
cantastorie, la chiromante, gli artisti di strada, la donna dei puoti (un elementare tiro al bersaglio), la
ciarlatana, venditrice di "mirabolanti rimedi" per tutti i mali, compongono un chiassoso ma ben
orchestrato quadro, arricchito da musiche, da canti e da coreografie folclo-ristiche d'annata,
deliberatamente valorizzate da una precisa scelta registica.
La Fiera è degnamente coronata dall'intervento del "Torototela", un noto personaggio
caratterizzato dall'omonimo strumento musicale, che rievoca in modo ora allegro e scanzonato, ora
serio e lirico vicende personali ambientate nella realtà del territorio polesano.
La messa in scena della commedia, come sempre realizzata con l'apporto di tutti i componenti
della compagnia, punta su una scenografia essenziale ma significativa, un lampione, un tavolo di un
ciabattino, delle sedie, una finestra, arricchita, però dallo scorrere sullo sfondo di immagini storiche
della città e del territorio polesano, frutto di un accurato lavoro di ricerca, proiettate in sintonia con i
temi e i riferimenti contenuti nel testo.
Ricca di personaggi, vivace nel ritmo e nei dialoghi, contraddistinta da numerosi stacchi con canti e
balli, la commedia diverte ma fa anche riflettere e rievoca nell'animo dei Polesani, soprattutto di
quelli non più giovani, nomi, luoghi, atmosfere di un tempo cronologicamente lontano ma emotivamente ancora molto vicino.
Ex. Da Ventaglio. Luglio 2004