Problemi di etica procedurale
ANNA PINTORE
1. Questioni di definizione
Quella di “procedura” è una nozione centrale nella teoria etico-politica contemporanea
la quale, archiviata ormai la svolta linguistica, parrebbe ultimamente avere subito una
parimenti radicale svolta proceduralista. Ciò è attestato dal successo delle concezioni di
filosofi come Habermas, Rawls, Ackerman (per menzionare solo i nomi più noti).
Le ragioni di questo successo sono presto dette: si ha la sensazione che la strada
proceduralista sia in grado di conciliare due cose apparentemente inconciliabili: lo
scetticismo circa la possibilità di una fondazione oggettiva di norme e valori da un lato,
e il consenso intorno ad alcuni principi etici e politici “strutturanti” dall’altro lato.
Insomma, la strada proceduralista sembra garantire la possibilità di conseguire un
consenso su norme e valori non fondati né fondabili: certamente un passo avanti,
questo, rispetto allo stallo prodotto dall’alternativa secca tra oggettivismo e non
oggettivismo in etica. Tale strada, com’è ovvio, attrae specialmente il non oggettivista,
dato che pare esentarlo dall’astinenza normativa cui la sua metaetica lo condanna (se i
valori e le norme non sono suscettibili di fondazione, non si vede infatti quale speciale
titolo avrebbe il filosofo nel proporre i suoi, come filosofo).
Nondimeno, le nozioni di “procedura” e “etica procedurale” sono insidiose, e la
strada proceduralista sul terreno della filosofia pratica è lastricata di difficoltà. Mi
propongo in questa relazione di portare un contributo all’elucidazione delle prime, e
all’indicazione delle seconde1.
Di solito si parla di etiche procedurali per indicare quelle concezioni che ci dicono
non quali valori e norme morali individuare, scegliere, preferire, bensì come
individuarli, sceglierli, preferirli.
Ma questa distinzione tra il che cosa e il come, su cui viene basata l’identificazione
di un’etica come procedurale, pur intuitivamente plausibile, è anche assai
problematica2. Ad esempio, in un libro recente di Stuart Hampshire si legge che
giustizia ed equità sono sempre valori procedurali, nel senso che sono articolazioni
della nozione di razionalità pratica, la quale richiede che il ragionamento che fonda una
decisione sia adeguato e siano state soppesate in maniera imparziale le varie ragioni pro
e contra3. E’ chiaro che in questo senso genericissimo qualunque valore può essere
considerato procedurale e non pare più possibile distinguere tra ciò che è procedurale e
ciò che procedurale non è (perché sostanziale). Sempre con l’obiettivo di depotenziare
la distinzione tra concezioni procedurali e sostanziali è stato anche osservato che "i
giusteorici che si affidano alla metafora della rappresentazione accurata finiscono per
essere ossessionati dal problema del metodo. Se la mente è uno specchio della realtà
1Al tema dei rapporti tra giustizia e procedure è dedicato il n. 9, 1988, di Ragion Pratica.
2Sulle critiche a tale distinzione vedi anche le osservazioni di Bayles (1990, 3ss.).
3Così Hampshire (1995, 61). Vedi anche Hampshire (1993, 43-7).
esterna, allora lo scopo della teoria giuridica deve essere di lucidare lo specchio così che
le rappresentazioni del mondo esterno siano accurate e dettagliate. Questa
preoccupazione della lucidatura rende le teorie sostantive simili alle teorie basate
solamente sul metodo" (Singer ??, 30, corsivo dell’autore).
La distinzione tra procedura e sostanza può essere attenuata fino ad annullarla anche
a partire da una prospettiva capovolta, ossia non tanto col sostenere che ogni valore o
norma sostanziali hanno anche un aspetto procedurale, quanto, all’inverso, col sostenere
che ogni procedura è sempre anche sostanza. Ad esempio, si potrebbe osservare che la
procedura dell’esame imparziale delle ragioni pro e contra esprime anche un valore
sostanziale (quello dell’uguale peso delle opinioni di tutti), da valutare per il suo merito,
e non solo perché istituisce un metodo produttivo di conseguenze giudicate positive.
Dunque l’intuizione che ci porta a distinguere tra procedura e sostanza è puramente
illusoria? A me pare di no: la distinzione, se opportunamente precisata, continua ad
essere plausibile e può diventare uno strumento utile per valutare alcuni aspetti delle
etiche contemporanee4.
Nei contesti giuridici, viene considerata intrinseca all’idea della procedura quella di
ordine (si è parlato di "costitutiva vocazione della procedura giudiziaria per la categoria
dell’ordine"), ordine che traduce la procedura in «une collection de formalités"5.
Dunque la procedura nel diritto appare come una sequenza ordinata di forme o formalità
proiettate verso un dato risultato6. Si osserverà subito che il collegamento tra la nozione
di procedura e quella di forma, per quanto attendibile, non rappresenta un grande
vantaggio dal punto di vista dell’elucidazione del nostro concetto, perché porta a
spiegare una nozione oscura con una ancora più oscura e problematica. Ciononostante
mi pare che qualche spunto interessante si possa ricavare da alcuni usi della nozione di
forma nella dogmatica e nella teoria del diritto.
Un primo spunto è dato dalla distinzione tracciata dagli studiosi di diritto
processuale tra la verità formale e la verità materiale: "il risultato della ricerca
giuridicamente limitata o disciplinata non è più la verità materiale o, come si direbbe
con un efficace truismo, la verità vera, ma una verità convenzionale, che si battezza per
verità formale, in quanto ad essa conduce una indagine regolata nelle forme, o per verità
giuridica, in quanto essa è ricercata mediante leggi giuridiche, non solo mediante leggi
logiche e solo per effetto di queste leggi giuridiche si sostituisce alla verità materiale"
(Carnelutti 1915, 31-32 corsivi dell’autore). Detto altrimenti: "la verità formale,
insomma, è il prodotto vincolato di un meccanismo di verifica". Viceversa nel caso
della verità tout court o materiale, "considerando la cosa dal punto di vista della
4In generale sulle etiche procedurali vedi Tugendhat (1980, 1-20).
5Giuliani (1991, 138 e 137). Secondo Giuliani, questa è l’idea moderna della procedura giuridica.
6Si veda Fazzalari (1991, 1): «in prima approssimazione, il “procedimento” consiste in una
determinata sequenza di norme, nonché degli atti da esse disciplinati e delle posizioni soggettive da esse
estraibili, in vista del —e compreso il— compimento di un atto finale». Nel processo, che è un tipo di
procedimento, «la sequenza è disposta in modo che all’iter di formazione dell’atto partecipino, oltre al
suo autore, coloro nella cui sfera l’atto finale è destinato a svolgere i suoi effetti». Si veda anche Kelsen
(??, 201): «quando una funzione è composta di più atti parziali, è necessario regolare il fondersi di questi
atti nella loro risultante. Si parla, ad esempio, di “processo” o di “procedimento” legislativo. Il processo
in senso stretto — processo civile o penale — è soltanto un’espressione particolare di questo concetto
generale di “processo”, poiché pure la funzione giudiziaria deve venir considerata come una sequenza di
atti parziali".
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procedura … vi è libertà di accertamento…vale a dire che non vi sono altre regole se
non quella di utilizzare ogni mezzo … concretamente idoneo alla ricostruzione di ciò
che ci interessa" (Lantella 1979, 86). Dunque, non è che il profilo del come sia assente
nel caso della verità materiale; si tratta però di un come libero da vincoli giuridici e
perciò irrilevante ai fini del valore giuridico del risultato.
Un altro spunto è dato da un recente tentativo di collocare la nozione di procedura
(insieme con quella di competenza) al centro di una teoria generale degli ordinamenti
normativi. In quest’ordine di idee, la procedura (insieme con la competenza) viene
considerata come una tipica tecnica formalistica di selezione di norme, di cui fa
caratteristicamente uso il diritto (ma non solo il diritto), e identificata con qualunque
atto o fatto al cui verificarsi il diritto ricolleghi come risultato la validità di una norma e
più in generale un effetto giuridico. La tecnica della procedura può essere meglio
caratterizzata in contrapposizione alla tecnica di scelta che si impernia sul contenuto
delle norme: qui il contenuto della norma da considerare appartenente all’ordinamento
normativo è direttamente ricavato tramite deduzione logica dal contenuto di una
metanorma; nel caso della procedura, viceversa, occorre che si siano realmente
verificati i fatti o compiuti gli atti in cui essa consiste, fatti e atti che "non risultano
direttamente dal testo che esprime la prescrizione" (Jori 1980, 21) e che "in realtà
possono essere di qualunque tipo" (ibid.). Caso tipico di procedure sono i processi
giudiziari e i procedimenti di creazione di norme generali (legislazione).
Questo richiamo alle procedure giuridiche e gli accenni fatti poc’anzi a proposito
della verità processuale aiutano a precisare e a trasformare in un utile strumento
analitico la distinzione altrimenti elusiva tra etiche procedurali ed etiche sostanziali.
Non sembra infatti opportuno adagiarsi passivamente sulle intuizioni linguistiche e
definire come etiche procedurali quelle etiche che ci dicono in qual modo arrivare a
scegliere o trovare i valori o le norme morali, perché qualunque etica ci dice anche
questo. E neppure sembra opportuno definire come etiche sostanziali quelle etiche che
ci dicono quali siano i valori o le norme morali da far propri, perché questo viene fatto
anche dalle etiche procedurali, le quali, ovviamente, prescelgono una procedura tra tutte
le altre possibili proprio perché ascrivono ad essa un valore positivo (ossia la
considerano buona in sé oppure in quanto produttiva di risultati positivi: per la
distinzione tra queste due possibilità si veda ancora infra nel testo)7.
Orbene, la mia proposta è di chiamare sostanziali quelle etiche che ci dicono qual è
il contenuto delle norme e valori da eleggere, e lasciano alla ragione deduttiva, fin dove
questa può arrivare e, laddove questa non arriva più, al libero giudizio di ciascuno, di
applicare tali norme e valori ai casi e alle persone. Viceversa, propongo di chiamare
procedurali quelle etiche che non specificano il contenuto dei valori o delle norme da
adottare, bensì indicano i criteri di scelta delle norme e dei valori, criteri che non
devono fare riferimento al contenuto delle norme e dei valori che verranno prescelti8.
E’ quest’ultima clausola che fa la differenza tra i due tipi di etica, per il resto del tutto
7Per un esempio del modo di impostare la distinzione criticato nel testo vedi Diciotti (1995, 197s.).
In modo ancora più generico, quantunque non privo di suggestioni, si può parlare della ragione come
della "nostra procedura decisionale innata": vedi Singer (??, 38).
8Tale definizione mi pare preferibile a quella di Chambers (1996, 17), per la quale "il
proceduralismo accentua la distinzione tra principi morali di primo o di second’ordine". Ma i principi
morali di secondo’ordine possono essere sostanziali a tutti gli effetti.
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simili. Infatti le etiche procedurali hanno anch’esse, com’è evidente, dei contenuti
normativi e valutativi, perché le procedure devono essere indicate in modo non del tutto
vacuo, ed è per segnalare questo aspetto che spesso si nega (anche a rischio di
provocare fraintendimenti) l’esistenza di etiche meramente procedurali. Ma la
peculiarità delle etiche procedurali nel senso qui indicato è di essere, non tanto vuote di
contenuti, quanto per così dire incomplete come guide della condotta, giacché
comprendono solo norme di seconda istanza, e vanno completate con la scelta delle
norme di condotta di prima istanza, scelta da compiere seguendo appunto le modalità
indicate come procedure9. Continuando ad usare come punto di riferimento l’esperienza
giuridica, si potrebbe dire che un’etica procedurale è paragonabile a un ordinamento
giuridico composto di sole metanorme sulla produzione10: il caso (immaginario)
potrebbe essere quello di un ordinamento appena sorto a seguito di una rivoluzione
giuridica, e composto della sola norma di riconoscimento che disciplina le modalità di
creazione delle altre norme, al momento non ancora create11. Vale la pena di
sottolineare, per inciso, che mentre non è neppure concepibile un diritto positivo che,
tranne per brevi istanti della sua storia, risulti composto di sole metanorme sulla
produzione, sembra invece del tutto naturale pensare a una morale che sia solo
procedurale nel senso qui stipulato: ironia della sorte che ha riservato al solo diritto le
accuse di formalismo12.
Tirando le fila del discorso, si può osservare che nessuna etica è “meramente”
procedurale o formale, se con questo si vuole intendere che è vuota di contenuti: i
contenuti ci sono, e sono quelli che specificano appunto le procedure della scelta delle
norme di prima istanza. Inoltre le etiche procedurali oggi in circolazione non sono mai
puramente tali, ma sovente sono “contaminate” attraverso l’addizione di limiti,
condizioni e principi sostanziali, ossia, nel lessico qui adoperato, direttamente
concernenti la condotta buona o giusta. Questo argomento della contaminazione viene
spesso adoperato come una critica nei confronti delle etiche procedurali, ciò che deve
indurre a riflettere: infatti, se la contaminazione di un’etica con principi sostanziali
suona come un’accusa, è evidente che la proceduralità viene considerata una
caratteristica desiderabile delle concezioni etiche. Si tratta perciò di vedere in che cosa
consista questa superiorità delle etiche procedurali13.
9Il discorso fatto nel testo è in sintonia con la distinzione tra diritto naturale sostanziale e
procedurale tracciata da Lombardi Vallauri (1990, 320s.).
10Habermas (1992, 16-7), opportunamente richiama, parlando di etiche procedurali, la teoria
hartiana delle norme secondarie.
11Il paragone deve essere preso con le dovute cautele, e “creazione” e “scelta” di norme vanno intesi
in senso ampio, senza nessun pregiudizio in favore del non oggettivismo.
12In tema di formalismo giuridico occorre citare almeno Bobbio 1965; Tarello 1961, 571-80; Jori
1980.
13Ad integrazione del discorso fatto nel testo, va osservato che in base al criterio proposto è
possibile giudicare del carattere procedurale di una norma (o insieme di norme), non quello di un valore,
dato che i valori prospettano obbiettivi o fini e non propongono modelli di comportamento. Un valore può
esser detto procedurale solo per metonimia, per sottolineare la sua congruenza con le norme di un’etica
procedurale, ossia per sottolineare che un’etica fa senso solo se quel valore ne viene considerato il
presupposto o l’obbiettivo. S’intende che questo giudizio è incerto e largamente arbitrario, essendo legato
ai parametri poco rigorosi della diagnosi di congruenza.
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2. Etiche procedurali e neutralità metaetica
La ragione della superiorità delle etiche procedurali è presto detta: tali concezioni
sembrerebbero super partes, ossia parrebbero collocarsi in una posizione neutrale
rispetto alle divergenti concezioni morali sostanziali. Esaminerò ora brevemente i
termini di tale vantaggio, procurando di tener distinti, nella discussione, il piano
metaetico dal piano etico.
Il primo vantaggio delle etiche procedurali parrebbe dunque quello di rappresentare
un punto di incontro più agevole per i sostenitori di concezioni metaetiche opposte. Le
etiche procedurali sarebbero in grado di attenuare gli inconvenienti derivanti dalla
mancanza di una fondazione etica incontroversa.
Tuttavia, a una medesima procedura potrebbero essere attribuite valenze diverse dal
punto di vista della fondazione. Infatti, le procedure etiche possono ricevere
un’interpretazione forte o oggettivista e una debole o non oggettivista. La distinzione è
stata tracciata in modo impeccabile da Letizia Gianformaggio, la quale chiama
l’interpretazione debole “teoria delle regole del gioco”; in base ad essa la procedura
appare «solo un surrogato, per quanto prezioso, e addirittura ad avviso di alcuni
inevitabile» della ragione o verità (Gianformaggio 1994, 154)14. Per questa concezione,
la procedura, che è intesa come un’attività decisionale e non cognitiva, è considerata
necessaria non tanto per scegliere le regole, quanto per imporle, e ciò perché il suo
presupposto è quello della arazionalità dei valori (ibid., 155).
Nella interpretazione forte, viceversa, la procedura non è vista come un surrogato,
bensì come la sostanza medesima della razionalità teoretica e pratica: la correttezza o
verità sono reputate sussistenti e sono il risultato, appunto, del rispetto delle regole
procedurali e del corretto svolgimento della procedura. Quest’ultima è la concezione
della procedura adoperata, ad esempio, da Habermas e da Alexy (ibid., 156ss.)15.
Proseguendo nella direzione tracciata da Gianformaggio, si potrebbe illustrare la
distinzione tra interpretazione debole e interpretazione forte della procedura anche nel
modo seguente. Nell’interpretazione debole, la procedura viene concepita come un
modo per reperire le regole di condotta morale (e giuridica) di primo livello (contesto
d’invenzione), e un modo per giustificare l’obbligatorietà di tali regole (contesto di
giustificazione), ma non come un modo per fondare il loro contenuto (contesto di
fondazione)16. Dalla constatazione del fatto che quelle sono le regole prescelte a seguito
dell’espletamento della procedura indicata, e dalla norma (in realtà meta-meta-norma)
che giustifica la procedura come metodo di scelta di norme, viene derivata la
conclusione che le norme prescelte devono essere seguite (per esempio devono valere
come diritto positivo). Si noti che il precedente ragionamento non può essere accusato
14Questa concezione avrebbe secondo Gianformaggio come suo esempio paradigmatico il metodo
della deliberazione parlamentare.
15Secondo Gianformaggio il modello di procedura adottato in quest’interpretazione forte è quello
del processo giudiziario.
16La tripartizione indicata nel testo non pretende di rimpiazzare la classica bipartizione tra contesto
d’invenzione e contesto di giustificazione, ma solo riproporre questa bipartizione distinguendo
ulteriormente, all’interno del contesto di giustificazione, tra il discorso normativo di giustificazione
dell’imposizione della regola e il discorso di giustificazione (qui: fondazione), pur esso normativo, del
contenuto della regola.
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di fallacia naturalistica perché in questo caso la morale sostanziale non viene derivata
da una mera descrizione di fatti, bensì da una descrizione di fatti congiunta alla (metameta-)norma giustificativa della procedura. Viceversa, nell’interpretazione forte, la
procedura viene concepita come un metodo di invenzione, e al tempo stesso come un
metodo di giustificazione e di fondazione della morale (e del diritto), e tra questi tre
aspetti non viene tracciata alcuna distinzione: anzi, il contesto di invenzione, quello di
giustificazione e quello di fondazione vengono sovrapposti e fatti coincidere
perfettamente. In questo caso sembrerebbe addirittura impossibile criticare il
ragionamento anzidetto come viziato da fallacia naturalistica perché parrebbe mancare
una precondizione di tale fallacia, ossia la separazione tra il descrittivo e il prescrittivo,
di cui denunciare l’indebito superamento.
La critica principale alla interpretazione forte delle teorie procedurali è che esse non
possono pretendere di fondare la verità di asserti e la correttezza di norme, giacché non
determinano in alcun modo il contenuto degli asserti da considerare veri e delle norme
da considerare corrette17. Sul terreno delle verità pratiche, pensare di collegare la
giustezza di una norma a un requisito puramente formale come può essere il suo modo
di creazione o di scelta equivale a esporsi alla stessa obiezione sollevata riguardo al
formalismo etico di Kant: come si possa, da un principio formale, ricavare qualcosa di
più che una tautologia18. Sul terreno delle verità teoretiche si può osservare che
attraverso una procedura che non dice alcunché sul contenuto degli asserti da vagliare
possono essere trovate e provate solo verità analitiche; le altre verità, se anche devono
essere provate discorsivamente, devono essere però ricercate andando al di là del
discorso, attingendo all’esperienza19. Perciò, anche chi sia disposto a ridurre tout court
la verità alle modalità del suo conseguimento (cosiddette teorie criteriologiche della
verità), non può limitarsi a identificare puramente e semplicemente le procedure della
sua scoperta e le procedure della sua giustificazione, come l’interpretazione forte delle
etiche procedurali pretende di fare20.
Mettendo ora da parte queste considerazioni, si può sostenere che lo stesso
vantaggio di cui parrebbero godere le etiche procedurali, di essere in grado di attenuare
le divergenze tra opposte concezioni metaetiche, è solo apparente e illusorio. Infatti
un’etica procedurale, così come ogni altra etica, non si può giustificare da se stessa, e
perciò resta aperto il problema della giustificazione e fondazione della procedura
prescelta, che, come si è già sottolineato, non è mai un elemento indifferente
moralmente21.
Sotto questo profilo è possibile rimproverare a Habermas e Alexy di avere alquanto
sottovalutato e alla fin dei conti eluso il problema della fondazione delle procedure
17Kaufmann (1986, 440) perciò conclude affermando che è giusto dire che la verità è nel discorso,
non invece che è attraverso il discorso.
18Di ciò è consapevole lo stesso Habermas 1994, 5ss.
19Osserva Bohman (1990, 98) che la scienza è una forma di giustificazione pubblica fondata su basi
che non hanno direttamente a che fare con la discussione in sé considerata e col modo in cui viene
sviluppata.
20Kaufmann (1986, 440). Ed infatti non le identifica il verificazionismo, che è la teoria
criteriologica più nota e influente di questo secolo.
21La fondazione delle regole procedurali non può essere a sua volta, in ultima istanza, di tipo
procedurale: vedi Habermas 1976, 111.
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giustificative su cui si impernia l’etica del discorso. Habermas si muove, come
sappiamo, nel quadro dell’etica trascendental-pragmatica di Apel, ma, contrariamente a
quest’ultimo, rinuncia alla pretesa di una fondazione ultima, pretesa da lui considerata
"troppo forte". Per Apel (1991, 103ss.; 1992, spec. 32ss.), com’è noto, sarebbe possibile
fondare le regole del discorso semplicemente mostrando che il critico, nel rifiutare tali
regole, si irretisce in una contraddizione performativa perché anche il suo argomento
presuppone precisamente la validità delle regole contestate22. Habermas (1993, 50), dal
canto suo, non considera questo argomento capace di fornire una fondazione
trascendentale con mezzi linguistico-pragmatici; anzi, a suo avviso l’argomento
trascendental-pragmatico di Apel nulla può contro lo scettico estremo e coerente23.
Quanto a Alexy, questi prospetta quattro possibili vie, tra loro non alternative, di
giustificazione delle regole del discorso (Alexy 1989, 180ss.). La prima via consiste nel
concepire queste regole come regole tecniche, prescriventi mezzi appropriati a fini
particolari. La seconda via consiste nel considerare le regole del discorso giustificate per
il solo fatto di essere seguite. La terza via consiste nel trattare le regole del discorso
come definizioni costitutive della pratica del discorso. L’ultima via giustificatoria è
rappresentata dall’argomento trascendental-pragmatico di Apel, al quale si è appena
fatto cenno. Ciascuna di queste modalità di fondazione presenta dei difetti e dei limiti,
che Alexy illustra in modo equanime. Fatto questo, egli abbandona l’argomento,
osservando che lo svolgimento del discorso non è pregiudicato dalla impossibilità di
fondazione di alcune delle regole del discorso (Alexy 1989, 185)24.
In definitiva il problema metaetico della fondazione delle teorie procedurali non
viene affrontato, ma semplicemente accantonato, da Habermas e Alexy.
2.1. Principi etici e procedure
Ma il vantaggio di cui parrebbero godere le etiche procedurali, vale a dire di essere in
grado di attenuare le divergenze tra opposte concezioni metaetiche, è solo apparente e
illusorio. Infatti un’etica procedurale, così come ogni altra etica, non si può giustificare
da se stessa, e perciò resta aperto il problema della giustificazione e fondazione della
procedura prescelta, che, come si è già sottolineato, non è mai un elemento indifferente
moralmente. E’ plausibile che, di fatto, un’etica procedurale riesca ad attrarre maggiori
consensi di quanto non riesca un’etica imperniata su principi sostanziali. Tale
circostanza, tuttavia, non attribuisce all’etica procedurale alcun privilegio sul piano
della fondazione poiché, ovviamente, anche la rilevanza attribuita al consenso di fatto
va a sua volta giustificata.
22Sull’argomento trascendentale come adoperato da Apel esiste una vasta letteratura: vedi, fra gli
altri, Skirbekk (1983, 393ss.); Ingram (1993, 307ss.); Höffe (??, 193-219); Ilting (??, 220-55); Misak
(1994, 739-775). In generale sul ricorso alla strategia dell’argomento trascendentale vedi Watt (1975, 4057).
23Vedi anche Habermas (1993, 108): "senza dubbio, se neghiamo alla fondazione trascendentalpragmatica il carattere di una fondazione ultima, non ne deriva alcun danno", e Habermas (1994, 193ss.).
Sulle aporie del discorso di fondazione di Habermas e Apel, si veda Celano (1995, 439-63).
24Sull’insufficienza dei quattro criteri di fondazione prospettati da Alexy, vedi da ultimo GizbertStudnicki (1992, 170-1).
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Oltre a non poter fondare se stessa, si può anche dubitare che una procedura riesca a
fondare le regole morali che i fautori della versione forte dell’etica procedurale
pretendono di poter derivare da essa25.
Alexy (1994, 136) ha colto lucidamente la differenza tra l’interpretazione forte e
l’interpretazione debole delle procedure etiche, osservando che per le prime la
procedura è un procedimento di negoziazione e decisione razionale, mentre per le
seconde essa è un procedimento di argomentazione e giudizio razionale26.
L’alternativa tra l’interpretazione debole e l’interpretazione forte della procedura
corrisponde dunque alla alternativa tra un resoconto volontarista e costitutivo delle
procedure, in base al quale gli individui arrivano ai principi morali tramite un atto di
scelta o accordo, e un resoconto cognitivista e descrittivo, in base al quale le parti
arrivano ad essi attraverso un atto di scoperta o di invenzione.
Ma anche le etiche che la intendono in modo forte, non concepiscono la procedura
come un veicolo per l’accesso a una realtà morale preesistente. Questa idea è anzi del
tutto estranea alle etiche procedurali contemporanee, le quali in genere sono costruite
proprio in opposizione consapevole e polemica a quelle che potremmo chiamare etichespecchio, ispirate all’oggettivismo etico e all’intuizionismo27.
Tuttavia, se la procedura consiste in un processo di deliberazione di agenti umani, è
difficile conciliare l’affermazione che costoro non scoprono una realtà morale
precostituita con l’affermazione che essi non decidono ma dichiarano, con la tesi che la
procedura ha carattere non costitutivo ma appunto, dichiarativo o ricognitivo. Infatti ci
si deve domandare: dichiarativo o ricognitivo di che cosa, se non esiste una realtà
morale preesistente da dichiarare o da riconoscere, o almeno un insieme di principi
morali giudicati veri prima e indipendentemente dallo svolgimento della procedura?
Un’obiezione siffatta è stata spesso avanzata con riferimento a quelle classiche
teorie procedurali che sono le teorie politiche contrattualiste, ma può essere facilmente
estesa anche all’etica del discorso di Habermas. Ad esempio, Sandel (1982, 119),
riferendosi al contrattualismo, ha lucidamente osservato che "talvolta la ricerca di una
giustificazione ultima sembra una danza infinitamente elusiva di procedura e di
principio, in cui ciascuno recede a turno dietro l’altro. Infatti, date le assunzioni della
teoria del contratto, nessuno dei due sembra offrire una base stabile sulla quale fondare
l’altro. Se le parti del contratto originario scelgono i principi di giustizia, come si può
dire che abbiano scelto giustamente? E se scelgono alla luce di principi
antecedentemente dati, in che senso si può affermare che abbiano scelto? La questione
della giustificazione diventa allora una questione di priorità; che cosa viene prima —
alla fin dei conti, realmente prima — il contratto o il principio?"(Sandel 1982, 119,
corsivi dell'autore)28.
25Si mostra consapevole della distinzione tra questi due aspetti Skirbekk (1983, 394).
26Alexy attribuisce il primo orientamento alle teorie procedurali che egli considera neohobbesiane
(Buchanan, Gauthier) e il secondo alla teoria del discorso. Per un’applicazione della distinzione tra i due
concetti — negoziazione e argomentazione — ai dibattiti costituenti nrodamericano e francese, vedi
Elster 1993.
27Per la posizione di Rawls si veda infra, la nota 36. Per la posizione di Habermas, si veda
Habermas 1993, 50ss.
28Sandel aggiunge: "ma se i principi sui quali ci si è accordati sono giusti perché solo sui principi
giusti ci si può accordare, l’aspetto volontarista dell’impresa non è così ampio come sembrerebbe a prima
8
Se si opta per la priorità dei principi di giustizia, si opta dunque per un modello di
procedura-specchio, in cui la procedura viene intesa come un modo di trovare ciò che
già esiste e vale indipendentemente da essa. Se si opta per la priorità del contratto, si
opta invece per un modello volontarista di procedura, e si deve lasciare aperta la
possibilità che l’esercizio della facoltà di scelta dei contraenti dia luogo a esiti diversi,
magari divergenti dai principi del diritto di natura.
A tali osservazioni si potrebbe replicare facendo notare che, in realtà, la segnalata
incompatibilità tra i due principi ispiratori della tradizione contrattualista non c’è,
perché il ruolo dei principi del diritto di natura è quello di fondare, mentre il ruolo del
contratto è quello di imporre le regole di giustizia (Steinvorth 1986, 24). Questa
considerazione sembra del tutto corretta, a patto di riconoscere che, in tal modo, viene
però stravolto lo spirito originario delle teorie procedurali intese in senso forte, e le si
trasforma in sostanza in teorie procedurali in senso debole. Infatti non si attribuisce più
alla procedura il triplice compito di trovare, giustificare e al contempo di fondare la
morale (e il diritto), ma si deferisce la fondazione a elementi esterni alla procedura e
fondanti la procedura medesima: nel caso della tradizione contrattualista, al diritto
naturale, che funge da limite contenutistico del contratto sociale e nello stesso tempo da
fondamento giustificativo della procedura contrattuale medesima.
Ho l’impressione che, tra i proceduralisti contemporanei, Rawls abbia avvertito più
acutamente di quanto non abbia saputo fare Habermas, questa tensione tra principi etici
precostituiti e fondazione tramite procedure, ed abbia ritenuto di poter trovare la via
d’uscita al problema operando una netta separazione di ambiti tra la sfera della politica
e quella della morale. Nella prima deve dominare, secondo Rawls, il costruttivismo
procedurale, che si oppone polemicamente alla teoria del rispecchiamento di marca
intuizionista29. Ma questa opzione in favore del costruttivismo, come intesa da Rawls, è
solo "politica, non metafisica", e non pregiudica, nella sfera morale, la possibilità di
credere nell’esistenza di principi morali veri (veri, s’intende, indipendentemente dalla
procedura del contratto: vedi Rawls 1985). Si può naturalmente dubitare del successo
dell’operazione di separazione tra le due sfere, politica e morale, così come condotta da
Rawls, ma si deve riconoscere che la scelta di Rawls in favore di un atteggiamento di
“astinenza epistemica” è un implicito riconoscimento delle difficoltà in cui s’imbatte
ogni etica procedurale interpretata in senso forte30.
In conclusione, le concezioni forti dell’etica procedurale riescono ad apparire
attraenti perché danno l’illusione di aver eliminato il problema della fondazione e
vista. La distinzione tra giustizia procedurale pura e giustizia procedurale perfetta si dissolve, e diventa
poco chiaro se la procedura ‘trasferisca la sua equità sul suo esito’ o se l’equità della procedura sia data
dal fatto che necessariamente conduce al giusto risultato" (Sandel 1982, 127). Sulla distinzione tra
giustizia procedurale pura e perfetta vedi infra nel testo.
29"Gli intuizionisti considerano corretta una procedura quando, seguendola correttamente, si ottiene
in genere il giudizio corretto dato indipendentemente, mentre i costruttivisti politici considerano corretto
un giudizio quando deriva dalla procedura ragionevole e razionale di costruzione" (Rawls 1994, 94).
Habermas (1994, 133-4) critica Rawls perché questi "distingue la procedura della formazione della
volontà dalla conoscenza teoretica" e intende la procedura etica in modo volontaristico e non
epistemologicamente, "vale a dire, come una procedura di ricerca della verità".
30L’espressione tra virgolette nel testo è di Raz (1990). Secondo Raz (1990, 14), poiché Rawls
ritiene che una teoria morale possa essere vera o falsa, deve giocoforza considerare vera la sua, e quindi
dismettere l’astinenza epistemica.
9
quindi le controversie metaetiche, presentando le procedure come autogiustificantisi o
comunque non (troppo) bisognose di giustificazione. Inoltre tali concezioni riescono ad
avere appeal perché danno l’impressione di esser riuscite a conciliare il potere
(auto)fondativo delle procedure con un atteggiamento agnostico, la capacità delle
procedure di produrre verità o giustezza con la loro neutralità rispetto ai possibili esiti.
Ma questa sensazione, come si è notato, trae alimento dall’irrisolto ordine di priorità tra
principi sostanziali e procedure, e in definitiva dall’ambiguità dell’interpretazione in
senso cognitivista delle procedure etiche.
3. Etiche procedurali e neutralità etica
Il maggior pregio di solito riconosciuto alle etiche procedurali è quello di essere
concezioni aperte a esiti diversi e quindi di essere in grado di mettere d’accordo
sostenitori di etiche sostanziali anche profondamente distanti tra loro. Perciò le etiche
procedurali potrebbero favorire la "coesistenza, entro una società, di individui e di
gruppi che non condividono gli stessi impegni morali, non riconoscono i medesimi
valori sostanziali" (Borsellino, 1992, 34-5) e si sposerebbero naturalmente con la
tradizione del pensiero laico e liberale31.
Questa considerazione può essere senz’altro condivisa. Tuttavia essa non deve
indurre a credere che una procedura sia sempre qualcosa di neutro, ossia in sé
indifferente e per nulla influente sul valore morale dei suoi possibili risultati e quindi
superiore a ogni giudizio etico. Inoltre essa non deve indurre a credere che le etiche
procedurali siano sempre per loro natura pluraliste, ossia aperte a una molteplicità di
esiti diversi.
Sul primo aspetto, ossia sulla presunta neutralità della procedura, va osservato,
anche a costo di ripetere cose del tutto ovvie, che le procedure possono essere valutate
come mezzi, strumenti idonei a realizzare determinati risultati, ma che ciò non esclude
che esse possano e debbano essere apprezzate anche per il loro valore intrinseco. Il
carattere metanormativo delle procedure non pone infatti certamente queste al di sopra
del giudizio morale. Insomma, noi certamente valutiamo la giustezza o bontà di una
procedura per la sua capacità di conseguire risultati corretti, ma anche perché essa
incorpora valori morali positivi32. L’esito di ambedue le valutazioni dipenderà dai valori
sostanziali che si siano adottati e dalle idee che si abbiano intorno ai rapporti tra fini e
mezzi. Così, ad esempio, la procedura della conta dei voti di solito oggi è considerata
moralmente superiore a quella del taglio delle teste per ragioni intrinseche, e la
procedura della elezione delle rappresentanze politiche superiore a quella del sorteggio
per ragioni strumentali; ma è ben possibile, viceversa, che la prima sia preferita per
31Si deve però ammettere che non sembra possedere tale vantaggio una procedura che richieda il
consenso unanime dei partecipanti, qual è quella divisata da Habermas. Il candidato più attendibile di
questa facilitazione della convivenza è la procedura decisionale imperniata sul principio maggioritario, di
cui lo stesso Habermas (1996, 121-3) riconosce i pregi allorché afferma che "la regola di maggioranza
conserva un’interna relazione con la ricerca della verità per il fatto che la decisione maggioritaria
rappresenta solo un’interruzione nel corso d’una discussione incessante. Essa fissa, per così dire, un
risultato provvisorio nella formazione discorsiva dell’opinione".
32Tra le infinite formulazioni di questa osservazione, vedi quella di Resnick 1977, 217.
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ragioni strumentali e la seconda per ragioni intrinseche. I due aspetti della procedura e
del risultato peraltro possono essere distinti solo a scopi analitici; essi sono infatti
inestricabilmente collegati, e il giudizio etico sulla procedura in sé considerata sarebbe
pointless se non venisse integrato dal giudizio sui suoi risultati necessari o possibili.
Rawls (1995, 170) ha osservato a tal proposito che "la distinzione tra giustizia
procedurale e sostanziale corrisponde a quella tra la giustizia (o equità) di una
procedura e la giustizia (o equità) del suo risultato: entrambi i tipi di giustizia
esemplificano certi valori, rispettivamente della procedura e del risultato; ed ambedue i
tipi di valori procedono insieme, nel senso che la giustizia della procedura dipende
sempre dalla giustizia del suo probabile risultato […], ossia dalla giustizia sostanziale.
Quindi giustizia procedurale e giustizia sostanziale sono collegate e non separate"33.
Rawls (1995, 178) aggiunge che nessuna procedura istituzionale senza limitazioni
sostanziali può cancellare la massima garbage in garbage out. Da queste
considerazioni, dal mio punto di vista del tutto accettabili, Rawls ricava però la
conclusione del carattere “illusorio” di ogni idea puramente procedurale di giustizia
politica: le fattezze della procedura andrebbero sempre giudicate solo alla luce degli
esiti di questa.
Tale conclusione di Rawls mi sembra troppo radicale, e temo rappresenti un passo
indietro rispetto al suo discorso sul tema della giustizia procedurale in A Theory of
Justice (1971). Infatti, la considerazione che la giustizia procedurale e la giustizia
sostanziale sono intimamente collegate non prova affatto che non possano esistere
concezioni etiche puramente procedurali: semmai prova soltanto che le procedure non
sono mai irrilevanti moralmente, sia in sé e per sé sia in quanto mezzi a certi fini, e
come tali devono essere valutate e giustificate.
3.1. Etiche puramente procedurali
L’argomento di Rawls tende a minare la presunta neutralità etica delle concezioni
procedurali, e dunque a contestare il vantaggio, che tali concezioni offrirebbero, di
fungere da punto d’incontro tra fautori di etiche sostanziali diverse. Occorre allora
domandarsi se sia davvero plausibile, indipendentemente dalle opinioni di Rawls,
continuare a parlare di neutralità delle procedure etiche, e dunque di una superiore
capacità delle etiche procedurali di attrarre consensi34.
Sul piano fattuale, non è detto che il consenso su regole di secondo livello, quali
sono le regole procedurali, sia più probabile del consenso sulle regole di primo livello:
ad esempio, che abbia maggiori chances di essere approvato un metodo per dividere le
torte piuttosto che una norma che sancisca il risultato del taglio di questa torta. Nel
primo caso infatti è richiesta un’attitudine alla generalizzazione che è psicologicamente
ben più impegnativa e rara che non l’attitudine individualizzante (ossia alla decisione
caso per caso se non addirittura alla decisione a caso).
33Aggiunge Rawls (1995, 170) che "ogni concezione liberale deve essere sostanziale, ed è corretto
che sia così" e che "la giustizia come equità è sostanziale non procedurale" e "non può essere altrimenti"
(Rawls 1995, 178). Come si farà notare più oltre, la frase citata nel testo segnala un cambiamento di
vedute di Rawls, il quale in precedenza, in A Theory of Justice, aveva trattato la procedura della posizione
originaria come esemplificativa di un tipo di giustizia procedurale pura, ossia priva di esiti precostituiti.
34In difesa del principio di neutralità si veda Ackerman (1984, 89ss., 429ss.); Ackerman 1983;
Ackerman 1989; Larmore 1990.
11
Sul piano dell’etica normativa le cose probabilmente non stanno in modo troppo
diverso. Le regole procedurali infatti sono anch’esse regole a tutti gli effetti, e
presentano problemi di giustificazione e fondazione, come già si è detto, identici a
quelli di ogni altra regola. La maggiore facilità di consenso intorno a regole procedurali
potrebbe dipendere semmai da altri due fattori.
Il primo fattore è dato dalla circostanza che le etiche procedurali, trattandosi di solito
di etiche pubbliche, per lo più concernono un numero limitato di aspetti della vita etica,
di solito affrontati in modo molto generale35. Questo è però un fattore puramente
contingente: il campo d’azione e il grado di minuziosità delle regole di un’etica
procedurale non sono elementi essenziali che possano essere determinati a priori. Ad
esempio l’etica del discorso di Habermas è un’etica procedurale e tuttavia globale, non
circoscritta alla sfera pubblica. Inoltre, quanto al grado di generalità, è ben vero che di
solito le costituzioni sono più concise dei codici, ma i codici di procedura (che
comprendono molte norme procedurali nel senso qui adoperato) non sempre sono più
concisi dei codici sostanziali.
Il secondo fattore è dato dal pluralismo, ossia dall’apertura delle etiche procedurali a
molteplici e differenti esiti, un fattore a cui, come tutti sanno, viene di solito ricollegata
la riconducibilità di tali etiche alla tradizione della tolleranza laica e del relativismo
liberale. Per portare qualche chiarimento su questo aspetto, va qui richiamata la
notissima distinzione di Rawls tra giustizia procedurale pura da un lato e giustizia
procedurale perfetta e imperfetta dall’altro lato36.
Si ha la giustizia procedurale perfetta, dice Rawls, quando esiste un criterio di
giustizia indipendente dalla, e preesistente alla, procedura medesima, ed è possibile
elaborare una procedura che porti infallibilmente al risultato desiderato. Per esempio: se
il risultato equo è la divisione di una torta in parti uguali, il metodo infallibile sembra
quello di farla dividere da chi sceglierà per ultimo37. Si ha la giustizia procedurale
imperfetta allorché esiste un criterio di giustizia indipendente e preesistente, ma la
procedura non garantisce che esso venga soddisfatto in tutte le situazioni. L’esempio
fatto da Rawls è quello del processo penale, in cui il risultato desiderato è la condanna
dei colpevoli e solo dei colpevoli, ma le procedure apprestate non garantiscono che tale
risultato sia sempre e infallibilmente conseguito. Si parla infine di giustizia procedurale
pura quando non esiste un criterio indipendente per il giusto risultato, e qualunque
risultato cui si pervenga a seguito dell’effettivo, corretto espletamento della procedura
deve essere considerato giusto. L’esempio fatto da Rawls (1971, 85ss.) è quello del
gioco d’azzardo: se le scommesse sono libere, qualunque distribuzione dei premi alla
fine del gioco è equa. La nozione di giustizia procedurale pura è proprio quella che
Rawls (1971, 136), adopera come base della sua concezione della giustizia come equità.
Mi pare che questa distinzione tra tipi di giustizia procedurale metta in evidenza —
meglio di quanto non siano riuscite a fare le più recenti considerazioni di Rawls
35Su questo aspetto fa leva l’idea rawlsiana dell’overlapping consensus circoscritto alla sfera
pubblica.
36Su tale distinzione, e in particolare sulla nozione di giustizia procedurale pura, si vedano
specialmente Lyons 1978, 155ss.; Nelson (1980); Vitale 1988.
37Di ciò tuttavia si può dubitare. Se all’ultimo non dovesse piacere la torta, o se costui volesse
favorire se stesso o qualcun altro, il metodo divisato da Rawls non garantirebbe in via assoluta la
divisione in parti uguali.
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ricordate poc’anzi — il seguente punto. Quando si parla di neutralità e di pluralismo
delle etiche procedurali, si deve fare riferimento a una speciale categoria di etiche
procedurali basate su uno speciale tipo di procedura: la procedura che Rawls chiama
pura, ossia priva di risultati predeterminati e completamente aperta a qualunque esito.
Ad esempio, le procedure imperniate su decisioni di singoli individui o di assemblee
sono esattamente di questo tipo perché, se nessun limite di contenuto è posto alle
deliberazioni assembleari o del singolo, allora esse sono aperte a qualunque esito
(compreso quello autoreferenziale di modificare o abolire la procedura medesima). Ciò
può per molte ragioni non apparire opportuno, e condurre di conseguenza a
ridimensionare alquanto l’appeal della nozione di etica procedurale.
Le distinzioni di Rawls mostrano altresì che la nozione di etica procedurale è
ambigua e potenzialmente ipocrita.
E’ una nozione ambigua, dato che il rapporto tra mezzi (procedure) e fini
(incorporati nelle norme sostanziali di condotta di primo livello, cui l’applicazione della
procedura dà luogo) può essere di varia natura: può trattarsi di un rapporto aperto,
quando una procedura è strumento buono per una pluralità indeterminata di risultati, ma
anche di un rapporto a senso unico, quando un dato risultato può essere ottenuto solo
con l’ausilio di una data procedura; oppure quando una data procedura è buona solo per
un dato risultato. Ecco che su questa base si possono distinguere tipi assai diversi di
etiche procedurali.
La nozione di etica procedurale è inoltre potenzialmente ipocrita. Infatti il
pluralismo e la neutralità, pur se intesi nel senso molto circoscritto di cui sopra, si
attagliano a un solo tipo di etiche procedurali, quelle imperniate su procedure pure in
senso rawlsiano, che qui possiamo chiamare etiche puramente procedurali. Ma tali
caratteristiche vengono spesso indebitamente estese a tutti i tipi di etiche procedurali, e
in tal modo la proceduralità viene assunta indebitamente a sinonimo di laicità,
pluralismo etc.38.
La nozione di etica procedurale si presta dunque a usi persuasivi, atti a convogliare
connotazioni valutative più che denotazioni precise. Si spiega così come mai la critica
mossa più di frequente alle etiche procedurali sia quella di essere “contaminate” da
elementi sostanziali. Ma anche tale critica rischia di avere un valore solo persuasivo
finché non si siano adoperate cautele analitiche come quelle proposte nelle pagine
precedenti e se ne sia precisato il senso.
L’argomento della contaminazione è adoperato scambievolmente, ad esempio, da
Rawls e da Habermas, ciascuno dei quali accusa l’altro di avere tralignato dalla via
procedurale e avere inserito nella propria concezione degli elementi sostanziali. Nel
caso di Rawls, questa contaminazione sostanziale, secondo molti suoi commentatori, tra
i quali Habermas, si concreterebbe essenzialmente in una concezione normativa della
persona: la concezione di Rawls, secondo questa lettura, si impernia sull’elemento
normativo della persona morale, dotata di senso di equità e capace di una propria
concezione del bene39. Viceversa, secondo Rawls, Habermas avrebbe “contaminato” la
38In tal modo, i critici comunitari delle etiche procedurali hanno buon gioco nel rilevare che tali
etiche non riescono a mantenere la loro promessa di neutralità. Sul dibattito tra liberals e communitarians
è utile l’antologia di Ferrara 1992.
39Habermas (1995, 119). Ciò è ammesso dallo stesso Rawls il quale, come si è detto, considera
ormai ogni concezione procedurale come imbevuta di principi sostanziali.
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situazione linguistica ideale impregnandola di una molteplicità di valori. Tali valori
sono: imparzialità ed eguaglianza, pubblicità, assenza di coercizione e unanimità. Rawls
(1995, 173) ammette la natura procedurale di tali valori, ma li considera “contaminati”
perché sarebbero collegati a giudizi sostanziali e necessari per rendere gli esiti della
procedura discorsiva giusti o ragionevoli.
Non interessa qui stabilire se siano più fondate le osservazioni di Rawls su
Habermas oppure quelle di Habermas su Rawls. Del resto, le critiche reciproche dei due
studiosi non sono nuove né originali. Per quel che riguarda Rawls, infatti, critici di
ispirazione diversa hanno da tempo fatto notare che la sua concezione presuppone una
nozione razionalistica, individualistica e “borghese” dell’individuo40. Quanto a
Habermas, è stata segnalata anche in queste pagine la potenziale compromissione
dell’etica del discorso con una antropologia filosofica quantomeno irrealistica.
E’ assai difficile però interpretare queste critiche come prove decisive di abbandono
della strada procedurale in etica. In generale, una diagnosi siffatta è molto ardua,
allorché si tratti di giudicare sotto questo profilo dei valori, ossia degli elementi assai
vischiosi, ai quali la distinzione tra forma e sostanza non può essere facilmente
applicata, nonché altri elementi difficilmente classificabili, come sono delle
presupposizioni conoscitive, un’antropologia filosofica.
Infine, sotto il profilo della proceduralità tradita, si deve riconoscere che l’etica del
discorso di Habermas (e di Alexy) appare meno colpevole e colpibile di quanto non
appaia la teoria della giustizia di Rawls41. Infatti, mentre nella concezione di Rawls
troviamo enunciati i principi normativi sostanziali cui si dovrebbe pervenire tramite la
posizione originaria e il contratto42, nelle concezioni di Habermas e di Alexy non
troviamo alcun cenno ai possibili esiti cui l’applicazione delle regole del discorso
potrebbero condurre43. Ma si può anche osservare che nell’etica del discorso questa
sottodeterminazione del risultato non nasce tanto dalla purezza procedurale, quanto
piuttosto dalla circostanza che le regole del discorso dicono pochissimo, quasi niente44.
40Vedi ad esempio Sandel (1982, 54ss.) e, in generale, per la critica della nozione liberale
d’individuo, MacIntyre (1988, 44ss.).
41In questo senso si esprime anche Tuori (1989, 137). In senso opposto Benhabib (???, 56ss.), che
considera invece le assunzioni sostanziali di Habermas più forti di quelle di Rawls.
42Che il contratto e la posizione originaria siano uno strumento di presentazione, ma non di
giustificazione dei principi di giustizia di Rawls, è osservazione comune (se ne veda la chiara
formulazione in Lyons 1978, 157ss.). Tale osservazione è stata in buona sostanza fatta propria dallo
stesso Rawls in una serie di lavori scritti negli anni ‘80 ed ora raccolti in Rawls 1994.
43Si veda Habermas (1993, 114-5): "Il principio dell’etica del discorso si riferisce a una procedura,
cioè alla soddisfazione discorsiva di rivendicazioni di validità normativa; perciò l’etica del discorso può a
buon diritto essere connotata come formale. Non indica alcun orientamento di contenuto, bensì un modo
di procedere: il discorso pratico, che è senza dubbio un procedimento non già per produrre norme
giustificate, bensì per verificare la validità di norme proposte e valutate in via ipotetica".
44Rescher (1993, 180), osserva che le presupposizioni metodologiche del discorso pubblico
razionale sono troppo sottodeterminative, troppo astratte e prive di contenuto per portare a qualche
risultato concreto. Si veda anche Cunico (1987, 235): "le regole di pariteticità e illimitata libertà del
dialogo argomentativo sono da un lato (sul piano operativo-criteriologico) troppo formali e insufficienti
(stabiliscono condizioni solo necessarie), ma non in senso rigoroso, dall’altro (sul piano normativoideale) troppo ovvie e inadeguate (una volta che ci sia il dialogo)". Weinberger (1983, 193), riferendosi
ad Alexy, osserva che pressoché qualunque norma potrebbe essere provata come giusta sulla base delle
regole alexiane del discorso.
14
Questa genericità, pur non essendo certo un difetto connaturato alle etiche procedurali, è
tuttavia una tentazione incombente, che nasce dall’esigenza di attribuire a tali etiche una
parvenza di maggiore neutralità45. L’insufficienza e ovvietà delle regole procedurali
habermasiane rende ancor meno plausibile la tesi per cui è tramite la loro applicazione
che possiamo derivare principi morali veri o comunque dotati di validità obbiettiva.
4. Conclusioni
Nella discussione precedente si sono sottolineate le difficoltà incombenti
sull’interpretazione forte delle etiche procedurali (difficoltà a giudizio di chi scrive
insuperabili), ma non si è ritenuta accettabile in quanto tale neppure la rappresentazione
corrente della versione meno potente ed “eroica” della procedura, la procedura come
pura regola del gioco. Si è ritenuto necessario ridimensionare alquanto la neutralità e il
pluralismo, fiori all’occhiello dell’etica procedurale, col rilievo che tali valori si
accompagnano a un solo tipo di etiche procedurali e, anche in tal caso, hanno una
portata alquanto limitata e possono talora celare il carattere indeterminato o vuoto delle
procedure etiche: in tali casi la diagnosi circa il carattere puramente procedurale o meno
di un’etica finisce per rivelarsi futile e inutile.
L’altro risultato della discussione è l’indicazione di alcune cautele e distinzioni che
occorre aver presenti per incamminarsi a ragion veduta sulla strada proceduralista in
etica, tanto più se in una versione modestamente e non eroicamente procedurale. Per
concludere indicherò sinteticamente, sotto forma di opzioni alternative, le distinzioni
che reputo più rimarchevoli.
La prima e principale alternativa, come si è detto, è quella tra una procedura “forte”,
produttiva di verità e una procedura “debole”, surrogato di una verità morale
inattingibile, e produttiva di sola obbligatorietà morale.
Una procedura può essere intesa come uno strumento esclusivamente finalizzato a
fornirci gli strumenti per meglio rendere visibile una verità morale preesistente e
indipendente dalla procedura medesima, oppure può essere concepita come uno
strumento artificiale, finalizzato a creare piuttosto che a trovare le regole morali, a
imporle piuttosto che a coglierle. L’adesione al modello della procedura produttiva di
verità, ripeto, sospinge irresistibilmente verso un’interpretazione cognitiva della
procedura medesima, interpretazione della quale si può almeno dire che riserva un ruolo
poco chiaro agli agenti umani.
Per fare solo un esempio, nel caso della procedura di decisione politica per
eccellenza, ossia quella democratica, l’interpretazione cognitiva porta infatti al risultato
paradossale di considerare l’esito della procedura democratica come produttivo sempre
e comunque di verità o oggettività morale. Per contro, nella versione debole e
45 Singer (???, 31) osserva che per apparire intersoggettivamente validi, i principi primi delle etiche
procedurali sono resi talmente vaghi da non poter essere respinti da nessuno. Walzer (1990, 48) illustra in
questi termini il dilemma della concezione habermasiana: se le condizioni di svolgimento del Diskurs
sono specificate in dettaglio, allora può esser detto solo un numero limitato di cose, e queste cose
potrebbero essere dette dal filosofo stesso, che rappresenta tutti noi. Se invece tali condizioni sono solo
approssimativamente specificate, allora niente esclude che gli esiti del discorso possano essere "molto
strani e contrari alla buona morale".
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costitutiva, la procedura democratica vien intesa come un artificio reso utile proprio
dalla inattingibilità della verità pratica; essa ricava il proprio fondamento etico non da
una sua presunta infallibilità, bensì da un valore morale superiore e ad esso precostituito
— il valore dell’autonomia della persona morale — nonché da valori morali incorporati
nella procedura medesima — il suo essere un metodo pacifico di composizione del
conflitti, e metodo aperto a qualunque esito sostanziale il gioco delle maggioranze possa
produrre.
La seconda alternativa è quella tra una procedura produttiva di sola moralità politica
e una procedura produttiva anche di moralità personale, tra un’etica procedurale
onnicomprensiva, come è l’etica del discorso, e un’etica procedurale di carattere
settoriale, circoscritta alla sfera del politico, come sono le vecchie e anche le nuove
teorie contrattualiste. La grande novità della concezione procedurale di Habermas è data
forse proprio dalla sua pretesa globalistica, che si traduce nell’assenza di confini
predeterminati non solo rispetto alla sfera dell’attività conoscitiva, ma anche nella
direzione dell’etica personale46. Tale pretesa potrà non piacere a chi è propenso a
escludere che qualunque valore e norma morale, anche strettamente personale, debba
necessariamente passare sotto il vaglio di una ragione pubblica e la certificazione di un
consensus omnium, sia pure ideale47. Se il principio del dialogo teorizzato da Habermas
non può essere trattato come il fondamento ultimo dell’etica, ma come un principio a
sua volta fondato sul valore primario dell’autonomia individuale, esiste una forte
ragione (la salvaguardia dell’intangibilità delle scelte personali) per circoscrivere
siffatto principio alla sfera pubblica48.
La terza alternativa è fra una procedura che precostituisca i propri risultati
(procedura perfetta o imperfetta) e una procedura aperta a molteplici esiti (procedura
pura). Molti saranno disposti ad ammettere l’apertura indefinita dei risultati, la pura
proceduralità, ma solo in un ambito dell’etica ben circoscritto (la sfera pubblica) e a
condizione che questa apertura sia protetta da esiti indesiderati anche attraverso
l’introduzione di limiti e di condizionamenti sostanziali alle procedure medesime (in
primo luogo, il limite finalizzato ad escludere che le procedure possano venir eliminate
coi loro propri mezzi). La purezza della procedura non può apparire come un valore in
sé, da difendere ad ogni costo. Ciò vale ancora una volta in particolar modo per la
procedura democratica, procedura pura per eccellenza, ma accettabile solo a date
condizioni, la principale delle quali è che la stessa procedura democratica venga protetta
contro il rischio che si autodistrugga con i suoi propri mezzi (è il classico caso
dell’abolizione della democrazia con mezzi democratici).
La quarta alternativa è quella tra la costruzione della procedura come un modello
ideale da adoperare in situazioni ipotetiche, e la sua raffigurazione come un’attività
effettiva per la soluzione di problemi concreti e sotto condizioni reali. E’ sempre
46Questa pretesa globalistica è criticata da Rawls 1995, 135.
47 Habermas (1996, 365) affronta questo problema adducendo la necessità di distinguere tra la
possibilità indefinita di tematizzare ogni questione anche della sfera privata nei discorsi pubblici tramite
procedure, e la delimitazione delle competenze a intervenire normativamente su tali ambiti.
48L’idea che le materie controverse moralmente debbano essere per quanto possibile estromesse
dalla pubblica discussione è sottintesa nel concetto di overlapping consensus basato sull’astinenza
epistemica elaborato da Rawls (vedi Rawls, 1994, 123ss.). Con maggiore radicalità tale idea è espressa da
Larmore 1990, 67ss.
16
incombente il sospetto, nel caso delle procedure ideali, che si tratti di costruzioni ad
hoc, utili solo a rivestire la realtà dei panni desiderati, e comunque inutilizzabili per via
dell’enorme distanza che separa la realtà dal modello. Questo sospetto è particolarmente
forte sul terreno delle decisioni politiche, in cui l’esperimento mentale, o l’ipotesi
controfattuale circa le possibili scelte compiute da agenti disincarnati, rischiano di
essere artifici finalizzati unicamente a precostituire l’ineluttabilità dei risultati
desiderati. Nella sfera etico-politica l’idealizzazione rischia dunque di condurre a una
vanificazione della pura proceduralità.
Ci si può collocare dall’uno o dall’altro lato delle alternative appena illustrate, pur
continuando a sostenere un’etica procedurale nel senso qui adoperato. Si deve però
essere consapevoli che, senza adeguate distinzioni e opzioni, alcune delle quali si è
cercato di indicare qui in estrema sintesi, si corre il rischio di trovarsi a percorrere la
strada dell’etica procedurale insieme a compagni disparati, taluni dei quali forse non del
tutto graditi: non solo rawlsiani e habermasiani, ma anche scettici e intuizionisti, realisti
morali e non oggettivisti (ed altri ancora). La nozione di procedura è una formula aperta
a molteplici usi, e non giova alla chiarezza analitica trattarla come uno slogan.
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