La situazione della comuntà italiana in Belgio Premessa Per valutare la situazione di una comunità d’immigrati nel contesto del paese e della società che li ospita si fa in genere riferimento ad alcuni concetti-chiave, quali integrazione, assimilazione, inserimento. Il concetto di integrazione è un concetto complesso, da usare con una certa prudenza poiché difficile da definire in modo univoco; secondo una definizione del CNEL, esso implica un processo graduale in cui sono coinvolti aspetti “sociali” (la cultura, il territorio, ecc.) e aspetti “individuali” (la personalità, la condizione psicologica, ecc.). Lo stesso termine viene usato talvolta per indicare la collocazione socioeconomica degli immigrati nel mercato del lavoro, nell’accesso all’alloggio e al consumo, nella friuzione dei servizi pubblici. In tal senso, si può avere una situazione di totale segregazione, quando gli immigrati sono confinati nelle attività più dequalificate e precarie, alloggiano in condizioni inferiori agli standard minimi e sono esclusi dai servizi pubblici, fino ad una d peina integrazione, quando gli immigrati hanno le stesse probablilità della popolazione autoctona di accedere alle posizioni occupzionali più elevate e sicure, di raggiungere buoni livelli di vita e di usufruire delle prestazioni pubbliche. Il processo di assimilazione concerne invece piuttosto gli aspetti culturali: lingua, religione, costumi, abitudini, abbigliamento, ecc. Anche per questa dimensione si può quindi andare da una totale separazione, per cui gli immigrati conservano in tutti i suoi aspetti la cultura del paese di origine, a una di peina assimilazione, qualora si identifichino nella cultura della società di arrivo. Il processo di assimilazione culturale richiede tempi molto più lunghi che non quello di integrazione socioeconomica e di regola investe le generazioni successive, cioè i figli o i nipoti di che è immigrato. I due termini, integrazione e assimilazione, vengono talvolte usati in contrapposizione tra loro, per esprimere il rifuto di quelle politiche di naturalizzazione (francese, soprattutto, ma anche belga per taluni aspetti) secondo le quali le comunità d’immigrati dovrebbero non soltanto essere “integrate”, ma anche “assimilate” nella vita sociale del paese di accoglienza. Il fatto di sottolineare la differenza tra i due processi (integrazione e assimilazione) corrisponde insomma ad affermare il fatto che la società multiculturale non può essere intesa come una completa omologazione degli straniei alla nuova cultura del paese ospite, ma come un avvicinamento reciproco e più o meno profondo dei modi di vita e dei costumi degli immigrati a quelli della popolazione loclale. I due processi tendono inoltre ad alimentarsi reciprocamente. Un immigrato ben integrato per occupazione e alloggio è probabile assimili meglio gli stili di vita della società che lo ha accolto; mentre chi è rimasto segregato sul mercato del lavoro è utile avere comportamenti e atteggiaminti simili a quelli della popolazione locale; mentre chi resta chiuso nei valori originari incontrerà grandi difficoltà ad uscire dalla segregazione socioeconomica. Purtroppo, entrambi i termini sono stati spesso confusi, utilizzati a sproposito, senza chiarrire il senso dell’uno e dell’altro. E’per questa ragione che molti studiosi italiani dei fenomini migratori preferiscono da un po’di tempo parlare, più sempliecente, di inserimento, distenguendono i diversi aspetti (inserimento sociale, abitativo, occupazionale) e i diversi tempi (primo inserimento di lungo termine). Nel dibattito scientifico e politico sui temi dell’immigrazione si avvete, insomma, l’esigenza di fare maggiore chiarezza circa i termini e i criteri da utilizzare. Di quest’esigenza dovremmo anche noi tener conto in un prossimo futuro, per meglio valutare e comparare la situazione dell’immigrazione italiana nei diversi paesi. Anche la relazione qui allegata, sulla situazione degli italiani in Belgio, è ovviamente poco “oggettiva”. Il termine stesso integrazione viene infatti usato in senso abbastanza generico, senza voler sposare una o l’altra posizione di un dibattito che si sta facendo sempre più complesso. Vorremmo, quindi, soltanto attirare l’attenzione sull’opportunità di definire per le nostre prossime analisi, se non proprio un “modello”, perlomeno una serie di parametri e metodi comuni. Al tempo stesso, vorremmo dare già un nostro modesto contributto. A nostro avviso, un’analisi del processo d’integrazione della comunità italiana nei diversi paesi dovrebbe, nella misura del possibile: tener conto di una pluralità di dimensioni che vanno dagli aspetti, per cosi dire, primari e materiali (lavoro, alloggio, ecc.) ad aspetti via via più immateriali e, quindi, maggiormente difficili da stimare, come cultura, il prestigio, ecc.1 Il livello d’integrazione delle nostre comunità non può, infatti, essere analizzato soltanto tenendo conto della capacità dei nostri connazionali ad ‘entrare” nel funzionamento della società locale. Mercato del lavoro Habitat Istruzione formale Cultura Partecipazione Livelli di disoccupazione, tipo di professioni, accesso alle professioni di maggiore prestigio, presenza di donne nel mercato del lavoro, ecc. Tipologia di alloggi, accesso alle locazioni e alla propietà, alloggi sociali, zone di residenza, partecipazione alla vita del comune o del quartiere, ecc. Livelli d’istruzione, insuccessi scolastici, ecc. Conoscenza della lingua italiana e del paese ospitante, principali consumi culturali (cinema, teatro, TV, libri, giornali), ecc. Partecipazione alla vita politica (diritto di voto, partecipazione al voto, iscrizione ai partiti, accesso alle cariche politiche,ecc.) Partecipazione alla vita sindacale ( iscrizioni, accesso alle cariche, mobilitazione, ecc.) Prestigio Partecipazione alla vita associativa (adesione ad associazioni italiane, belge, miste, assunzione di cariche sociali, ecc.) Accesso a posizioni considerate di prestigio nella scala sociale (dirigenti d’azienda, cariche politiche ed elettive, mondo dell’arte, della scienza e dello spettacolo, ecc.) 1 Un modello che – con gli opportuni adattamenti – si potrebbe perendere come base di partenza per le nostre analisi è forse quello degli “Indici di inserimento territoriale” messo a punto di recente dal CNEL, con la consulenza del servizio statistico della Caritas.