Paolo Tortonese (cur.), Le Platonisme romantique, Université de Savoie, Chambery
Cedex 2009, p. 150.
Uno degli aspetti più significativi della filosofia della fine del XVIII secolo è senza
dubbio il rinnovato interesse per il platonismo, non solo grazie alla traduzione tedesca
dell’intera opera di Platone da parte di Schleiermacher, ma anche alla disseminazione
delle opere degli esteti e dei moralisti britannici, che riprendevano esplicitamente
dottrine appartenenti al corpus platonico. Il platonismo esercitò una forte influenza
soprattutto in ambito estetico-morale nella fondazione della teoria del romantico. A
questo argomento è dedicato il volume curato da Paolo Tortonese, che raccoglie nove
contributi di un colloquio organizzato dal centro di ricerca Langages, littératures,
sociétés de l’Université de Savoie con la collaborazione del Centro studi filosoficoreligiosi Luigi Pareyson.
I contributi spaziano dall’analisi del platonismo nelle opere più prettamente
filosofiche come anche in quelle specificatamente letterarie. Dagmar Mirbach si occupa
nel suo saggio della ricezione della quinta Enneade di Plotino dedicata al bello
intellegibile soprattutto presso i filosofi del XVIII secolo. A partire dalla riabilitazione
del platonismo da parte di Gottfried Wilhelm Leibniz, Mirbach traccia una linea di
continuità definita dall’estetica razionalistica di Alexander Gottlieb Baumgarten e
Moses Mendelssohn e fondata sulla distinzione fra cognitio sensitiva e cognitio
intellectualis che giunge sino all’elaborazioni estetiche romantiche di Johann Wolfgang
Goethe e di Georg Friedrich Creuzer, attraverso l’analisi delle fonti più importanti quali
la vita di Plotino compilata da Christoph August Heumann negli Acta philosophorum,
come il Philosophisches Lexicon di Johann Georg Walch e l’Historia critica
philosophie di Johann Jakob Brucker. Claudio Ciancio sposta la propria indagine sulla
ricostruzione degli elementi platonici nell’opera di Friedrich Wilhelm Joseph Schelling.
In modo particolare l’autore sottolinea la diretta influenza platonica nell’idea di
“reminiscenza” nel Bruno, nel concetto di “intuizione intellettuale” nello scritto
Philosophie und Religion, così come anche nel problema del rapporto fra finito e
infinito espresso attraverso la relazione fra il mondo intelligibile e il mondo sensibile.
Jean-Pol Madou tratta, invece, delle dottrine platoniche nell’opera filosofica di
Friedrich Hölderlin. Sebbene Platone non sia esplicitamente menzionato da Hölderlin,
Platone fu oggetto di interesse sin dai tempi di Tübingen, come dimostra l’epistolario
con Georg Wilhelm Friedrich Hegel. In particolare Hölderlin fa appello al concetto di
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bellezza platonica come la sola capace di riunire una sintesi fra la natura e la libertà. A
differenza di Platone, tuttavia, Hölderlin concepisce il bello, soprattutto nell’Hyperion,
non come una idea metafisica soprasensibile, ma una emanazione della libertà e della
soggettività, cioè l’atto supremo della ragione che comprende tutte le idee. Se in Platone
il bello e il vero si uniscono nel bene, il vero e il bene si uniscono al bello. Giuseppe
Riconda tratta dell’influenza del platonismo in Schopenhauer in modo particolare per
sottolineare la sua importanza nella genesi dell’opera Die Welt als Wille und
Vorstellung. Platone è interpretato come l’unico filosofo che attribuisce realtà e valore
al divino e in questo senso la sua filosofia sarebbe l’unica veramente critica perché
capace di discerne i concetti veramente veri. In questa direzione sembra andare anche
l’interpretazione dell’etica platonica, un’etica segnata fortemente dal misticismo
anziché dell’eudaimonismo. Platone infatti sarebbe stato più che il filosofo del dualismo
e dell’ascesi, il filosofo del rifiuto del mondo. Al di là dei confini tedeschi, in Francia le
idee del platonismo connesse con il romantico vennero riprese da Alphonse de
Lamartine e da Victor Cousin come dimostra il saggio di Dominique Combe.
Conclude il volume, per la parte filosofica, il saggio di Federico Vercellone
finalizzato a ricostruire il problema della forma e della vita nel platonismo tedesco con
speciale riferimento al secolo ventesimo. L’ipotesi suggerita è che nonostante il
diciannovesimo secolo sia stato il periodo della morte del bello, il ventesimo secolo non
ha rinunciato alle prerogative più proprie della bellezza, ma ha rinforzato l’idea di una
sua significazione scandalosa che ha la sua origine nel passaggio kantiano, ma di
concezione platonica, dalla facoltà di giudizio estetico alla facoltà di giudizio riflettente
attraverso il bello come simbolo della moralità, come ciò che ha in sé un’intrinseca
conformità a scopi.
Nella parte dedicata più propriamente alla letteratura romantica si trova il contributo
di Sergio Givone sui temi neoplatonici nella poesia di William Blake, l’articolo di Jean
Lacoste sui rapporti fra Goethe e il neoplatonismo e infine il saggio di Paolo Tortonese
sull’influenza platonica fra Goethe e Balzac.
Il volume è assai meritorio, soprattutto per la mancanza di bibliografia
sull’argomento e per l’elevato livello di profondità dei temi trattati sia in chiave storicofilosofica, sia in chiave più propriamente teoretica. I contributi si distinguono per per
l’elevata originalità e per la loro capacità di suggerire nuove linee di ricerca. La
sovrapposizione di temi letterari con temi filosofici, ma anche scientifici, d’altra parte
suggerisce come il tema debba essere studiato in un’ampia prospettiva come quella
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della storia dei problemi. Se quindi l’obiettivo del curatore, come egli stesso afferma
nell’Avant-propos, era di caratterizzare il platonismo romantico come un problema
aperto della storia delle idee, esso è stato completamente raggiunto.
Marco Sgarbi, Università di Verona
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