La crisi - Ivano Fossati

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SASSARI
FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
ANNO ACCADEMICO 2002-2003
MITI, MUSICHE, IMMAGINI DELL’AMERICA
LATINA NELLA CANZONE DI IVANO FOSSATI
PRIMO RELATORE:
SECONDO RELATORE:
PROF. GIAN NICOLA SPANU
PROF. MARCO MANOTTA
TESI DI LAUREA DI CRISTINA MASTINU
Vuelvo al Sur,
como se vuelve siempre al amor,
vuelvo a vos,
con mi deseo, con mi temor.
…
Sueño el Sur,
inmensa luna, cielo al reves,
busco el Sur,
el tiempo abierto, y su despues.
(A. Piazzolla – F. E. Solanas)
2
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SASSARI
FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
MITI, MUSICHE, IMMAGINI
DELL’AMERICA LATINA NELLA
CANZONE DI IVANO FOSSATI
PRIMO RELATORE
PROF. GIAN NICOLA SPANU
SECONDO RELATORE
PROF. MARCO MANOTTA
TESI DI LAUREA DI
CRISTINA MASTINU *
3
ANNO ACCADEMICO 2002-2003
4
INDICE
Introduzione
6
1
QUESTIONI GENERALI
11
1.1
Che cos’è la popular music?
12
1.2
Il mito dell’America Latina e delle sue
musiche nella cultura europea
1.3
I ritmi e le sonorità dell’America Latina
nella musica europea e nella popular music
2
25
28
L’IDEA E IL SUONO DEL NUOVO MONDO
NELLA CANZONE DI IVANO FOSSATI
40
2.1
Ivano Fossati: la sua vicenda artistica
41
2.2
La poesia musicale di Ivano Fossati
135
2.2.1 Un possibile percorso nei testi
142
2.2.1.1
Le strutture
142
2.2.1.2
La rima
168
2.2.1.3
L’intertestualità
171
2.2.1.4
La lingua
180
2.2.1.5
Le figure retoriche
193
5
2.3
La componente latino-americana
nella canzone di Fossati
205
2.3.1 Versioni italiane di canzoni
latino-americane
209
2.3.2 Ritmi, melodie, strumenti: l’uso
della musica per creare immagini
2.3.3 Amore, Passione, Sensualità
230
2.3.4 Malinconia, Saudade, Nostalgia
238
APPENDICI
a.
249
Testi delle canzoni che presentano riferimenti
alla cultura latino-americana
c.
248
Quadro riassuntivo delle componenti
latino-americane nelle canzoni di Fossati.
b.
211
255
Testi delle canzoni latino-americane tradotte
e/o cantate da Ivano Fossati)
284
d.
Discografia
292
e.
Bibliografia generale
313
6
INTRODUZIONE
Può sembrare perlomeno insolito dedicare una tesi di laurea in Storia della
Musica ad un esponente della musica cosiddetta “leggera”, termine che di
per sé sembra sminuire il genere, specialmente in rapporto alla sua
controparte “alta”, “colta” o classica che dir si voglia. Non sta a me ribadire
l’importanza
di
questo
genere
di
studi,
confermato
d’altronde
dall’attivazione di sempre più numerosi corsi universitari di popular music e
dalla presenza costante di saggi su questo vasto ambito di studi nelle più
prestigiose riviste e convegni di musicologia storica. Anche perché, come
cercherò di dimostrare, il confine tra i generi non solo è improponibile nella
nostra epoca di globalizzazione e melting culturale, ma non spiega neanche
il passato. Così ritroviamo nella canzone d’autore italiana strategie
espressive non ignote ai monodisti del primo Seicento; così il mito della
musica sudamericana ha attratto e mosso negli ultimi quattro-cinque secoli
compositori di ogni tipo ed estrazione.
Ma lasciando da parte giustificazioni e motivazioni accademiche al mio
lavoro, devo confessare, in tutta sincerità, che questa tesi vuole anzitutto
unire due mie grandi passioni musicali: quella per l’universo sonoro latinoamericano e quella per la canzone d’autore italiana. Due ambiti musicali
molto vasti, certo, ma che ho cercato di unire nella figura di un cantautore
come Ivano Fossati.
Ho scelto per la mia ricerca questo autore perché ho sempre sentito la sua
musica molto vicina alla mia sensibilità, per una di quelle che si è soliti
definire “affinità elettive”. Tale vicinanza è nata non solo per un
riconoscimento emotivo nelle parole dell’autore, ma è stata condizionata
7
anche dal fatto che la sua musica è legata all’America Latina, mondo che
sempre mi ha affascinato e attratto. Ed è stato proprio questo legame a
spingermi ad incentrare la mia ricerca su tale ambito, e dunque a trovare
l’anello di congiunzione tra questi due soggetti, a me tanto cari.
Questa comune passione per l’America Latina, che certo non è solo mia e di
Fossati, nasce indubbiamente da una comunanza di coscienza collettiva, la
nostra europea, che nel tempo ha riposto nel “Nuovo Mondo” aspirazioni e
miraggi di un sentire romantico e sensuale.
Da più di cinquecento anni ormai la nostra cultura risente degli echi che
giungono d’oltreoceano. L’America, si sa, ha sempre rappresentato un mito,
un luogo utopico e reale in cui convogliare sogni e aspirazioni. Ma in
particolare vogliamo qui soffermarci non sull’America del Nord, bensì sulla
ben diversa America Latina (Sud e Centro America). Un mondo a parte,
l’antico “Nuovo Mondo”, la terra del sole, della giovialità, degli spiriti
vitali, dell’allegria e dell’amore; e la terra anche della sofferenza, della
povertà, delle distese incontaminate e delle misteriose popolazioni
precolombiani. E soprattutto la patria del popolo per cui la musica è vita,
sangue e battito, espressione primaria di gioie, sofferenze, emozioni,
energia. Una musica che da sempre ci affascina e seduce, con la sua
sensuale passionalità, la sua ritmica coinvolgente, la sua vitalità. È infatti
dalla scoperta dell’America che l’Europa si è lasciata influenzare da quei
suoni, da quelle musiche trasportate attraverso i movimenti sinuosi e
energetici delle danze latino-americane.
È questo un impulso che io sento molto forte, poiché ad ogni suono, ritmo,
gesto che richiami quelle terre sento riverberarsi in me tutta la potenza di
vita da cui essi nascono.
8
Lo stesso coinvolgimento che provo anche per molti brani di Fossati,
interprete dei travagli e delle gioie dello spirito umano, abile poeta che sa
essere voce per chi come lui sente la vita, ma non sa sempre trovare i mezzi
per esternare le emozioni che ogni esperienza suscita.
Fossati rappresenta una parte importante della nostra musica leggera, “lo
spirito libero della canzone d’autore italiana”, che con la sua musica e le sue
parole testimonia ormai da trent’anni il valore e l’importanza del ruolo dei
cantautori nella società.
Le sue canzoni sanno penetrare nell’interiorità di chi le ascolta, sanno
parlare al cuore, confortarlo o straziarlo, toccare le corde più remote
dell’emotività.
Artista costantemente alla ricerca, sempre teso al miglioramento, eppure
sempre fedele a se stesso, uomo curioso e attento, Ivano Fossati non ha mai
smesso di impegnarsi per trovare una strada che, attraverso la musica,
esprimesse e comunicasse l’infinito dell’universo umano.
La prima parte della tesi vuole illustrare la definizione di popular music,
definizione non certo scontata, né semplice. Una disciplina ancora poco
studiata dalla musicologia e talvolta presa in scarsa considerazione,
prescindendo dal fatto che la popular music rappresenta ormai una larga
componente della musica mondiale, pervadendo infiniti settori della nostra
quotidianità.
Il secondo capitolo è invece dedicato all’America Latina, al mito utopico
che nel tempo la nostra cultura ha costruito su essa, a ciò che essa
rappresenta per noi.
9
In particolare abbiamo voluto concentrare l’attenzione sulla portata
dell’influenza della musica latino-americana nell’universo sonoro europeo.
Dalla ciaccona del ’500 fino ad arrivare alla follia per il tango nei primi del
’900, e all’esplosione recentissima dei balli latino-americani, con particolare
riferimento a tali influenze nella popular music e nella canzone.
Il terzo capitolo è incentrato sulla figura di Ivano Fossati e sui suoi legami
con la cultura latino-americana.
Per dare una visione d’insieme e il più possibile completa del nostro autore
abbiamo ripercorso la sua carriera artistica, attraverso i suoi album, e
dunque le sue canzoni, ma anche prendendo in considerazione gli altri
lavori, come le musiche per il cinema e per il teatro, e le sue varie
collaborazioni.
Abbiamo voluto dedicare una parte dello studio anche alle caratteristiche
stilistiche della sua canzone, mettendo in luce le prerogative dei testi, dal
punto di vista strutturale, linguistico e retorico, fornendo alcuni esempi più
significativi dei diversi stilemi usati dall’autore.
Infine, last but not least, la parte più originale di questo lavoro: le
componenti latino-americane nella canzone di Fossati, componeneti non
solo musicali, ma culturali in genere.
Abbiamo cercato qui di ricostruire il filo che unisce Fossati all’America
Latina, frugando e scandagliando la sua opera artistica, i suoi interessi, le
sue frequentazioni. E così abbiamo suddiviso l’analisi in diversi ambiti:
quello relativo alle influenze musicali, riscontrabili nelle sei cover che nel
tempo Fossati ha realizzato da brani latino-americani, ma anche nelle sue
creazioni
melodiche,
nei
ritmi
di
ascendenza
latino-americana
particolarmente presenti nella sua produzione, e ancora nell’uso di strumenti
10
e sonorità tipici di quelle terre. Elementi che Fossati usa soprattutto per
creare immagini, suggestioni, sensazioni che rievochino non solo le musiche
ma anche le atmosfere di vari scorci dell’America Latina.
L’altra parte dell’analisi è invece incentrata sulle affinità emozionali di
Fossati con l’America Latina, sulla comunanza di sensibilità, di percezione
della vita. Così è per la concezione dell’amore, sensuale, passionale, un
amore totalizzante, profondamente spirituale ma anche istintivamente
carnale; l’amore acceso degli argentini, e quello dolcissimo e pregnante dei
brasiliani. Amore che è ragione di vita, ma anche di dolore sconfinato, e
dunque di malinconia. Una tristezza che i brasiliani chiamano saudade,
nostalgia per i beni perduti, desiderio lacerante per ciò che ancora non si ha.
Sentimenti melanconici profondamente intrisi nell’animo dei latinoamericani, che trasudano dalle note strazianti delle loro musiche e nelle
parole sempre intense e sentite delle loro canzoni. Così è nella canzone di
Fossati che è spesso espressione di malinconia, nostalgia e mancanza;
sentimenti che non di rado sconfinano nel dolore lacerante, nella sofferenza
inconsolabile.
Abbiamo voluto infine includere in appendice uno schema riassuntivo delle
componenti latino-americane in Fossati e i testi delle canzoni in cui sono
presenti tali influenze, nonché la discografia completa dell’autore, perché il
lettore possa trarre da essa un’ulteriore visione d’insieme della sua
produzione artistica.
11
12
1.
QUESTIONI GENERALI
13
1.1
CHE COS’È LA POPULAR MUSIC?
Definire la popular music non è facile. Non è facile perché è un fenomeno
che viviamo e, come tale, non sentiamo il bisogno di definire; perché tutti,
quando parliamo di popular music crediamo di sapere a cosa pensiamo, e
crediamo che anche i nostri interlocutori lo sappiano. Ma non è esattamente
così: conducendo una piccola inchiesta abbiamo chiesto a parenti e amici
cosa intendessero per popular music. Le reazioni sono state alquanto
differenti, accomunate però da una certa perplessità e imbarazzo del tipo
“perché mi fai queste domande? La popular music è…”. Una pausa
rivelatrice della forte difficoltà definitoria e dell’imbarazzo nel rabberciare,
lì sui due piedi, una definizione accettabile quanto palesemente artificiosa.
Se definire significa circoscrivere semanticamente, è evidente che la
difficoltà maggiore sta proprio nel riunire in una frase tendenze, fenomeni,
suoni e testi assolutamente disomogenei, dispersi in tempi e aree
geografiche molto vaste. Entrano poi in gioco le ambiguità di termini come
popular, e il suo pseudo-corrispondente italiano ‘popolare’, o l’aggettivo
“leggero”, termini usati e abusati in mille contesti e non sempre in modo
neutro.
Nonostante ciò urge definire il concetto, visto che ci occupiamo di un artista
e di canzoni che, di fatto, rientrano nella sfera della popular music, e lo
faremo proprio mettendo in evidenza le difficoltà (non solo le nostre, come
vedremo) di spiegare parole e concetti, a prima vista elementari e comuni,
ma in realtà estremamente complessi.
14
Il lemma popular music è attestato dal 1573 per indicare la musica della
‘gente comune’.1 In tale accezione il referente immediato di questo tipo di
musica è una precisa fascia sociale che si distingue, evidentemente,
dall’élite, comprendente a quell’epoca l’aristocrazia, l’alto clero e l’alta
borghesia. Certamente si trattava della gente comune di ambito urbano e non
rurale (per cui si sarebbe impiegato l’aggettivo folk, country o qualcosa di
simile); pertanto si può supporre che l’attestazione cinquecentesca del
termine contenga già alcune delle componenti semantiche che formano il
senso attuale del lemma: musica tipica del ceto sociale medio urbano e
quindi musica “non classica”, non riferibile cioè alla classis, che nella Roma
repubblicana, come nelle società moderne, rappresenta i ceti alti. Ma proprio
perché tipica della gente comune, non colta (visto che la “cultura” è sempre
stata una prerogativa delle classi egemoni) nella popular music vi è l’idea, di
“semplice”, di “facile accesso”; ma sembra connotare altresì qualcosa d’uso
comune e ampia diffusione, insieme di qualità che, come si è accennato,
definiscono ancora oggi il concetto di popular music e del suo pseudoomologo italiano “musica leggera”.
Queste caratteristiche emergono dalla nostra piccola inchiesta sul significato
di popular music. Nelle risposte abbiamo registrato con un certa frequenza,
nel tentativo di definire il concetto, l’uso di aggettivi come facile, semplice,
memorizzabile, ma anche connotazioni peggiorative come di modeste
pretese, commerciale, molto nota ecc.
Ma le definizioni coincidono solo in parte con quelle degli studiosi che
partono prevalentemente da considerazioni di tipo socio-economico,
1
PRATO 1999: 121
15
comprendendo la popular music tra quei fenomeni connessi alla nascita e
allo sviluppo dell’industria culturale e, per dirla con Benjamin, con la
riproducibilità tecnica dell’evento sonoro in nuovi e amplissimi contesti.
Philipp Tagg, uno dei più autorevoli studiosi degli attuali fenomeni
musicali, fondatore della IASPM (International Association for the Study of
Popular music) basa essenzialmente la sua definizione sull’opposizione del
concetto di popular music a quello di folk-music e musica colta.
Caratteristiche
Mus. Mus. Popular
folk colta music
principalmente da professionisti
x
x
principalmente da amatori
x
comune
x
rara
x
x
trasmissone orale
x
notazione musicale
x
suono registrato
x
nomade o agricola
x
industriale o agricola
x
industriale
x
indipendente
dall’economia
x
monetaria
finanziamento pubblico
x
‘libera’ impresa
x
Prodotta
e trasmessa
Distribuzione
di massa
Principale modo
di immagazzinaggio
e distribuzione
Tipo di società in cui la
categoria di musica è
principalmente presente
Principale
modo
di
finanziamento,
produzione
e
distribuzione
della
musica del XX sec.
Teoria ed estetica
non comune
comune
Compositore/ autore
anonimo
non anonimo
x
x
x
x
x
x
Lo schema2, che fornisce una serie utilissima di osservazioni e spunti di
riflessione, non ci aiuta a definire la popular music, in quanto molti dei
parametri di riferimento non sembrano esclusivi di questo tipo di musica. E
2
TAGG 1994: 48
16
se possiamo essere d’accordo sul fatto che “la popular music è concepita per
la distribuzione di massa”, non siamo d’accordo sul concetto di
distribuzione e mercificazione della musica, che per Tagg è una prerogativa
della popular music, visto che anche i quartetti di Beethoven vennero
venduti all’editore al miglior prezzo possibile per essere venduti nelle
principali città europee al miglior prezzo di mercato.3 Quartetti che
attualmente vengono fruiti da un pubblico eterogeneo (molto più di quello
per il quale furono scritti) e magari diffusi negli ascensori o nei supermarket.
Ancora più vaga è la definizione di Roberto Agostini, co-curatore italiano di
una fondamentale raccolta di testi di Philipp Tagg, secondo cui “il concetto
implica un riferimento al popolare, per indicare quelle attività musicali che
al giorno d’oggi sono le più diffuse e comuni ma che non si prestano ad
essere definite né colte né folk. In questo senso parlare di popular music
significa circoscrivere un campo musicale “popolare” non necessariamente
legato ad una particolare tradizione etnica in senso stretto, bensì inserito nel
mondo contemporaneo euro occidentale, nella vita metropolitana, nelle
comunicazioni di massa, nelle forme di riproduzione sonora”.4
Una definizione basata sul principio, alquanto discutibile, del “se non è
zuppa”, che considera come popular music tutto ciò che non rientra nelle
categorie di musica colta o di tradizione orale.
Basata su un giudizio di valore, più che sulle dinamiche di
produzione/distribuzione appare invece la definizione di Adorno, che lancia
i suoi strali sulla musica leggera e tutta quella musica destinata al consumo
3
Per lui la popular music è “possibile solo in un’economia monetaria industriale, dove diviene
una merce, e nelle società capitaliste dove è soggetta alle leggi della libera impresa”. TAGG 1994,
p.49
4
AGOSTINI 1994: 9-10
17
“direttamente complementare all’ammutolirsi dell’uomo, all’estinguersi del
linguaggio inteso come espressione, all’incapacità di comunicazione. Essa
alberga nelle brecce del silenzio che si aprono tra gli uomini deformati
dall’ansia, dalla routine e dalla cieca obbedienza […]. Questa musica viene
percepita solo come uno sfondo sonoro: se nessuno più è in grado di parlare
realmente, nessuno è nemmeno più in grado di ascoltare […]. Oggi la
potenza del banale si è estesa alla società nel suo insieme.” 5
Prendendo alla lettera la definizione di Tagg, Paolo Prato passa in rassegna
la galassia di generi e sottogeneri musicali che formano la popular music:
“rock, pop, blues, jazz, canzone, musica da film, gospel, tango, fado, enka,
nueva trova, juju, reggae, disco, country, cabaret, fusion, salsa, skiffle, funk,
bossa nova, rap, soul, folk rock, rhythm & blues, canción protesta, bubble
gum, musical, rock ‘n’ roll, punk, calypso, heavy metal, liscio, Schlager,
muzak, techno ecc.”.6 Un elenco variegato e disomogeneo che va dalla
musica da film al jazz, ai più effimeri generi balneari, al country, con un
emblematico “ecc.” finale che lascia quanto mai aperta la questione. Un potpourri “onnicomprensivo che include tutte quelle esperienze estranee alla
musica seria e alla musica di tradizione orale”, uno strano principio
classificatorio che invece di spiegare cosa “è” la popular music ci dice
piuttosto quello che “non è”. Ma evidentemente non basta.
Sul vago si mantiene anche Augusto Pasquali nella voce “Pop Music” del
Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti
(DEUMM), termine “normalmente usato nei paesi anglosassoni per indicare
5
ADORNO 1974: 10-15, in MIDDLETON 2001: 59
6
PRATO 1999: 121
18
un’ibrida ed estremamente varia produzione che non è né diretta espressione
di un gruppo etnico né appartenente alla musica di tradizione colta; in tal
senso è da considerarsi il corrispettivo anglosassone del nostro termine
musica leggera”. Ma, mentre ribadisce il suo non essere né colta né
popolare, aggiunge che “risulta impossibile dare una definizione esaustiva
della popular music in quanto essa sfugge ad ogni rigorosa analisi e
classificazione, variando di volta in volta i generi e le culture musicali da cui
deriva, i gruppi sociali verso cui è indirizzata, gli scopi e le volontà dei suoi
musicisti e infine il rapporto che si instaura fra essa e l’ordine stabilito.”7
Interessante, infine, rimarcare l’equazione, non del tutto scontata, pop music
= popular music = musica leggera, una omologia che genera ulteriori
perplessità e confusione. Senza voler entrare nel merito della questione,
siamo d’accordo nel considerare la pop music come il corrispettivo
anglossassone della nostra musica leggera, mentre siamo portati ad attribuire
al termine popular music un’estensione ben più vasta che, ovviamente,
comprende il genere pop/leggero ma non solo. La prova è data dal fatto che
elencando i vari generi sia la gente comune, sia gli specialisti sono portati a
mettere in alternativa il pop con il rock con il country o la musica celtica e
così via, e non piuttosto a comprendere questi ultimi nel primo. Il termine
popular music appare, infatti, nel linguaggio corrente, come un termine
quasi “specialistico”, usato da critici e musicologi che ha perso ormai la sua
originaria corrispondenza con la sua amichevole abbreviazione pop music.
Lo prova il fatto che nella sesta edizione del prestigioso The new Grove
Dictionary of Music & Musicians troviamo una voce molto estesa che
7
PASQUALI 1984: 692
19
illustra la storia e i protagonisti della popular music8 e una voce più ridotta,
nello stesso volume, riguardante la pop music, categoria di popular music
che, analogamente alla pop art, è legata ai fenomeni di consumo giovanile e
di massa cominciati alla fine degli anni ’50.
Richard Middleton, fra i più grandi studiosi di questo argomento, nonché
fondatore del periodico “Popular music”, analizzando i fenomeni e gli studi
legati alla popular music negli ultimi quarant’anni, critica le definizioni
troppo schematiche e onnicomprensive, prospettando la necessità di definire
caso per caso le caratteristiche di un genere e quindi la sua eventuale
classificazione. Analizza le varie definizioni di popular music (gradita,
popolare, della gente comune, favorita, apprezzata) evidenziandone volta
per volta le incongruenze e i limiti. In particolare prende in considerazione
quattro categorie di definizioni: definizioni normative (popular music come
tipo di musica inferiore); definizioni negative (musica che non rientra in
certi generi); definizioni sociologiche (connessa a un particolare gruppo
sociale); definizioni tecnologico-economiche (diffusa dai mass media e/o in
un mercato di massa). Egli le smonta una per una ritenendole insufficienti in
quanto legate a interessi specifici: la prima si basa su criteri arbitrari e
troppo soggettivi. La seconda è insufficiente e vaga perché è impossibile
stabilire netti confini tra “folk” e “popular” e “seria” e “popular”; ad
esempio la musica seria è comunemente considerata complessa, difficile,
impegnativa; la popular music dovrebbe quindi essere definita come
semplice, accessibile, facile. In realtà molti brani di musica colta appaiono
estremamente semplici; per contro ci sono musiche popular per niente facili
8
LAMB-HAMM 1980: 86-120
20
o accessibili. La terza categoria è inadeguata perché le pratiche e i generi
musicali, anche quelli legati alle minoranze estreme, non potranno mai
essere limitati a particolari contesti sociali. La quarta è anch’essa
incongruente in quanto lo sviluppo dei mezzi di diffusione di massa ha
condizionato tutte le forme di fruizione musicali e tutte le musiche possono
essere considerate oggetto di consumo; inoltre tutte le forme di quella che
viene generalmente considerata popular music possono per principio essere
diffuse con metodi diretti (per esempio concerti) e non attraverso i mass
media, e tutte possono essere gratuite.9
Inoltre
Middelton
è
convinto
che
criteri
di
valutazione
basati
sull’opposizione meglio/peggio, élite/massa, aristocratico/plebeo rischiano
“di dare una definizione oltremodo rigida, spesso fondata sull’incapacità di
riconoscere l’insieme dei presupposti che stanno alla base di ciascuna
distinzione”. Non si può in questo ambito ragionare in termini assoluti: “la
popular music può essere inquadrata opportunamente soltanto come
fenomeno mutevole all’interno dell’intero campo musicale, e questo campo,
insieme ai suoi rapporti interni, non è mai immobile, è sempre in
movimento”.
Bisogna
dunque
individuare
le
categorie
musicali
topograficamente, storicamente e contestualmente.10
Concordando con obbiezioni di Middleton mosse alle definizioni di tipo
normativo negazionista e sociologico, riteniamo invece di trovare una
soluzione per definire il concetto di popular music proprio a partire dai
meccanismi di produzione e diffusione della musica, o piuttosto dai
9
MIDDLETON 2001: 19-21
10
MIDDLETON 2001: 24
21
condizionamenti che questi possono esercitare sulla creazione di un certo
tipo di musiche, quelle appunto popular.
Se consideriamo la musica “eurocolta” e quella di tradizione orale, notiamo
che esse esistono e vivono a prescindere da una loro diffusione massmediatica. È evidente che possono diventare prodotto di scambio nel
moderno mercato della musica, ed essere diffuse in forma di dischi, cd,
trasmissioni radiofoniche e quant’altro ad un pubblico planetario; ma ciò
può essere considerato come un fattore accidentale (benché produttore di
cospicui redditi) rispetto a quelle musiche nate per altri ambienti e per altre
funzioni. Una sinfonia di Beethoven vive indipendentemente dalle centinaia
di incisioni discografiche, e difficilmente si può pensare che la sua forma
subisca variazioni dettate dal mercato (se si escludono i rari e un po’ demodé
arrangiamenti nel genere definito pop-classic), lo stesso si può dire delle
composizioni di musica colta contemporanea che nascono essenzialmente
per il teatro o la sala da concerto e la cui, rara, incisione discografica o
diffusione radiofonica appare ancora come un surrogato del concerto,
considerato ancora l’occasione ottimale d’ascolto. Lo stesso può dirsi per i
repertori tradizionali che continuano ad essere tramandati all’interno della
comunità; anche se possono essere, come la musica colta, ri-prodotti e
inseriti nel mercato discografico. In questo, notiamo però una maggiore
predisposizione rispetto alla musica colta (mancando il supporto scritto) ad
eventuali ri-adattamenti commerciali. Le incisioni di brani per launeddas,
per fare un esempio, presentano tempi notevolmente contratti, rispetto
all’uso solito, per rispettare gli standard di durata delle tracce del disco o del
cd.
22
La popular music, viceversa, viene pensata ormai dagli anni ’40 per essere
distribuita su larga scala, viene concepita, in sostanza, come prodotto massmediatico. La pop-star pensa anzitutto a produrre dischi, il suo successo
viene valutato in migliaia di dischi venduti, gli indici di gradimento e i
rendiconti dei distributori servono per compilare le hit parade e per
assegnare i vari dischi d’oro o di platino. Le musiche vengono registrate
principalmente in studio. I concerti, sapientemente limitati (e sostituiti nella
loro fisicità e corporeità sempre più spesso da artificiali esibizioni in
videoclip), servono il più delle volte per lanciare l’album. Il disco viene
confezionato per essere venduto, e anche gli artisti duri e puri devono fare i
conti con il mercato, o perlomeno con il loro produttore, interessato a far
fruttare il più possibile il capitale investito. L’industria discografica,
insomma, ha condizionato nel secondo Novecento e condiziona, in maniera
più o meno determinante, la popular music attuale.11
Rimane il problema di generi quali il jazz o il rock, che trovano nel concerto
il luogo ideale di esecuzione e che in realtà potrebbero essere estranei alla
popular music, proprio in virtù di questa prerogativa.
Si può infatti ricondurre quanto detto finora al seguente schema:
Musica concepita
principalmente per
essere diffusa dai
mass media
Musica
non
concepita affatto
per essere diffusa
dai mass media e
difficilmente
condizionabile dal
mercato.
Musica
non
concepita
originariamente per
il
mercato
discografico;
tuttavia può essere
diffusa dai mass
media ed esserne
condizionata.
11
Prima della diffusione, su larga scala, dei grammofoni e apparecchi radiofonici, la popular
music era effettivamente quella musica né colta, né tradizionale, espressione del ceto medio urbano e con evidenti finalità di entertaining.
23
POPULAR MUSIC
MUSICA
X
X
EUROCOLTA
MUSICA ETNICA
JAZZ
ROCK
X
X
X
Questo schema può essere ulteriormente semplificato riportandolo alla
consueta tripartizione dei generi popular, colto e tradizionale includendo nel
primo il jazz e il rock proprio in considerazione della loro sostanziale
“connivenza” con l’industria culturale.
Musica
concepita
principalmente
per
essere diffusa dai mass
media
Oppure non concepita
originariamente per il
mercato discografico ma
che tuttavia può essere
diffusa dai mass media
ed esserne condizionata.
POPULAR
MUSIC
(compreso jazz e rock)
MUSICA EUROCOLTA
MUSICA ETNICA
Musica non concepita
affatto per essere diffusa
dai mass media e
difficilmente
condizionabile
dal
mercato.
X
X
X
Possiamo definire, pertanto, la popular music come l’insieme dei generi
musicali concepiti per essere diffusi su larga scala, o che in ogni caso
possono essere inseriti in un mercato che condiziona il processo di creazione
e/o ri-elaborazione del prodotto. La musica classica e quella tradizionale
possono essere, e di fatto lo sono, diffusi dai mass media, ma difficilmente
ne sono condizionate, o perché si tratta prevalentemente di musica di
repertorio, scritta da compositori morti da un pezzo, o perché, nel caso delle
produzioni contemporanee, il compositore continua a pensare per la sala da
24
concerto o il teatro musicale; a meno che non si tratti di compositori di
confine (come Brian Eno o Michael Nyman) che confermano la regola in
quanto la loro “eccentricità” rispetto al genere colto è misurata proprio
perché concepiscono discograficamente le loro musiche, secondo strategie
comuni, appunto, alla popular music; e sono apprezzati (ma anche odiati),
proprio per questo, dagli amanti della popular music e della classica.
Lo stesso si può dire della musica tradizionale, specie dopo l’esplosione del
fenomeno World Music, e anche in questo caso nel momento stesso in cui la
musica etnica viene diffusa e condizionata dai mass media, perdendo
progressivamente le sue connotazioni locali, defunzionalizzandosi e
adattandosi al gusto dei possibili acquirenti cessa di essere musica etnica per
diventare a tutti gli effetti musica popular. È questo il caso del fado o della
musica celtica.
Da tutto ciò ne consegue che non può esistere un confine netto tra i diversi
generi e che il criterio di classificazione appena esposto ha un valore
puramente indicativo, che ammette una gamma infinita di possibilità
intermedie tra i generi colto/tradizionale da una parte e la popular music
dall’altra.
In Italia un termine che approssimativamente indica la popular music così
come l’abbiamo definita nelle precedenti pagine è “musica leggera”. Ma
anche in questo caso le ambiguità non mancano, comprendendo nella
musica leggera un insieme di diversi generi (canzonetta, musica da rivista,
musica pubblicitaria, commenti sonori, musica per danza) prodotti in epoca
borghese per intrattenimento e svago indipendentemente da gerarchie di
genere e valutazioni estetiche. Per certi versi questa accezione coincide con
quella di popular music, ma esclude tutti quei generi che esulano dalla
25
cultura anglosassone, ad esempio la musica francese, o quella latinoamericana e inoltre non pone l’accento sul sistema di produzione
commerciale.12 Una particolarità che, come si è visto, porta a differenziare
nel DEUMM i lemmi Pop music e musica leggera.13
La popular music, per concludere, attira sempre più l’attenzione del mondo
scientifico e accademico; una disciplina che pur entrando, non senza qualche
opposizione,14 nel novero di quelle che formano la moderna musicologia,
diventa oggetto di corsi e attività universitarie. Una disciplina che
certamente deve acquisire un suo metodo d’indagine e di ricerca,
considerando il differente ambito di applicazione che sfocia nella sociologia
e nella antropologia urbana, ma anche, come si vedrà nel corso di questa
tesi, nelle complesse problematiche della cultura e della comunicazione
post-moderna. Una specificità di metodo e di obiettivi che non deve, a
nostro parere, relegarla in una posizione secondaria ma che, al contrario, le
conferisce pieno diritto di cittadinanza e azione nella storia della musica e
nella musicologia sistematica e applicata del XX secolo e del nuovo
millennio, come, d’altronde, la vasta produzione scientifica sulla popular
music inequivocabilmente conferma.15
12
DALMONTE 1983: 672
13
DALMONTE 1983 e PASQUALI 1984
14
Vedi a questo proposito il polemico saggio di Franco Fabbri, (FABBRI 2002) che stigmatizza la
falsa amicizia di certo mondo accademico nei confronti degli studi di popular music che se da
una parte sembra accogliere con “sufficiente” benevolenza questo indirizzo di studi, d’altra parte
è pronto a porre steccati e compilare graduatorie d’importanza e merito tra le discipline musicologiche che si occupano di fatti alti e quelle invece riguardanti i fenomeni “bassi”.
15
Sul valore scientifico degli studi di popular music cfr. l’ampia trattazione che ne fa Middleton
nel capitolo “Popular music e musicologia” del suo libro Studiare la popular music (MIDDLETON
2001), l’inserimento della voce musica leggera nella recente storia della musica (PRATO 1999), e
soprattutto l’apertura di sempre più numerosi corsi di popular music all’interno dei dipartimenti
di musicologia e storia della musica nelle università di tutto il mondo.
26
1.2
IL MITO DELL’AMERICA LATINA
E DELLE
SUE MUSICHE NELLA CULTURA EUROPEA
Orizzonte mitico e lontano, terra di fuoco, di feste e vita semplice,
esplosione di suoni e colori, l’America Latina da sempre ci appare come un
mondo “diverso”, ricettacolo di umanità, ombelico del mondo, patria di
vitalità e leggerezza.
Dai tempi di Colombo la nostra cultura, italiana ed europea, ha sempre
subito il fascino di quelle terre sognate e sognanti. Un fascino che nasceva
proprio perché quel mondo era “Nuovo”, e dunque diverso, selvaggio,
incontaminato, privo dei nostri schemi culturali, delle nostre leggi morali e
civili, dei nostri condizionamenti sociali; in una sola parola “libero” (certo,
si fa per dire, visto che, dal “nostro” arrivo, di lotte per la libertà l’America
Latina ne ha vissuto parecchie): il mondo della non convenzionalità, dove
tutto è consentito, anche il proibito, fino all’eccesso. La patria della
spensieratezza, del divertimento, del carnevale, della gioia assoluta, l’isola
felice di idilliaci orizzonti.
E così, rapiti dall’irresistibile attrazione per quei mondi lontani, abbiamo
cominciato a sognarli, a idealizzarli, a costruire nel nostro immaginario
collettivo un luogo utopico, un luogo “altro”, sede della diversità, della
libertà, della giovialità, della festa, dell’amore.
Ognuno di noi in fondo si costruisce il suo mito, il suo spazio ideale, la sua
vita immaginaria oltreoceanica: per alcuni l’America Latina rappresenta
autenticità, spiritualità, dimensione umana; per altri rappresenta invece il
luogo del “bengodi”, della “cuccagna”, del divertimento sfrenato; o ancora
può essere vista come la culla di antiche civiltà da riscoprire, di culture e
27
tradizioni; o come il luogo dell’amore, della bellezza, dell’edonismo, delle
spiagge immacolate, della fuga dal quotidiano, una dimensione paradisiaca,
insomma.
Un mito costruito e nutrito da racconti di viaggiatori impavidi, di emigrati,
da storie vere o presunte, parole di narratori e poeti, immagini e dipinti, che
nel tempo hanno contribuito a delineare i contorni di quel mondo nuovo. Ma
è soprattutto la musica, spesso legata alla danza che ad essa si accompagna,
l’elemento che più rievoca quei luoghi, con tutta la vita che li anima: ritmi
sincopati, melodie strazianti, passi lenti, giravolte, movimenti che risveglino
nei nostri spiriti la vertigine della sensualità, della gioiosa vitalità, di tutto
ciò che esula dallo scandire della nostra quotidianità. La musica in primo
luogo perché essa è per i latino-americani sangue e respiro, è il ritmo della
vita, e proprio per questo motivo, trasmessa con maggior energia rispetto ad
altre forme di espressione; la musica perché è il mezzo più diretto, più
diffuso, più accessibile, e perché è immediata, comunicando sensazioni
concrete, materialità, onde energetiche che arrivano dirette alla nostra
percezione, facendoci vibrare.
Miti, immagini, archetipi, che si configurano dunque nei ritmi delle danze
languide e vitali che da tempi lontanissimi animano la vita dell’America
Latina, governano il tempo quotidiano, scandiscono le ore e gli eventi. Così
si riverberano in noi, risvegliando le passioni dimenticate e sepolte nei più
remoti anfratti delle nostre coscienze. Ed ecco che si destano sopite
memorie, assopiti palpiti vitali, che pur fanno parte del nostro sangue latino,
di quel filo che da sempre ci lega alle terre d’oltreoceano, ma che a volte,
presi dal ritmo tecnologico della modernità, obliamo o nascondiamo. Entrare
in quel mondo, essere per un momento abitanti di quel mito, significa
28
riappropriarsi di questa vitalità latente, riaprire le stanze socchiuse ove si
celano e conservano i segreti nascosti dello spirito e del corpo.
L’America Latina è intrisa di musica in ogni aspetto della vita: la musica è
nei rituali delle popolazioni indigene, dai tempi precolombiani, la musica è
nelle strade delle grandi città, nei locali, nei cortili; una musica da sempre
espressione e affermazione orgogliosa della propria identità, radicata
indissolubilmente alla cultura, eppure sempre aperta al rinnovamento. La
ricerca musicale latino-americana si è infatti estesa dalla musica da ballo al
rock, al jazz, alla canzone, al rap, e ha a sua volta influenzato, anche col suo
stile e il suo modo di essere, la popular music internazionale, contribuendo
alla sua diffusione nel mondo.
Terra di conquista, da sempre approdo di rotte transoceaniche, crogiuolo di
etnie, laboratorio culturale, l’America Latina ha sempre lottato per non
perdere le proprie radici, che sono profondamente legate alla musica; e
forse proprio per questo la musica latino-americana rappresenta “la forza
vitale della musica del mondo”. “È un altro modo di fare musica”, sempre
attuale, brillante, innovativo, eppure ancora “legato alla manualità, al
rapporto fisico con gli strumenti, a quel tipo di energia che solo il corpo
umano riesce a produrre e a imbrigliare in un ritmo”.16
Le musiche e le danze latino-americane sono ibridi derivati dalla fusione di
elementi della tradizione autoctona, con la sovrapposizione di quelli africani
ed europei. Musica e danza, espressioni favorite in tutte le società afro, sono
indissociabili perchè nascono come balli e insieme come generi musicali,
espressioni ancestrali e vivifiche dell’interiorità umana.
16 16
LAYMARIE 1997: 128-137
29
La danza in primo luogo è infatti “la madre delle arti”, è vita, espressione e
affermazione del corpo e della mente: “tutto è presente nella danza, il corpo,
che nell’estasi viene trasceso e dimenticato per diventare ricettacolo della
sovrumana potenza dell’anima; l’anima, che trae una felicità e una gioia
divina dall’accresciuto movimento del corpo liberato d’ogni peso”.17
“Data la profonda e larga sfera di azione della danza, nulla possiede uguale
valore nella vita delle civiltà primitive”,18 come anche, in un certo modo, in
quelle moderne. La danza è festa, è rito, è spettacolo, è gioco e libertà.
E alla danza è indissolubilmente legata la musica, l’elemento ritmico, il
suono. Per questo non possiamo parlare dell’influenza della musica latinoamericana nel nostro continente prescindendo dall’elemento corporeo e
motorio; dopotutto bisogna tenere in considerazione il fatto che la maggior
parte di quelle musiche latino-americane sono giunte a noi insieme alle
danze ad esse relative.
Caratteristiche fondamentali delle musiche e dei balli latino-americani, sono
la pulsazione ritmica accentuata , il ritmo coinvolgente, la valenza eroticosensuale, la passionalità, i movimenti allusivi, la schematicità dei passi, la
malinconia che spesso si cela dietro l’apparente allegria.19
“Le musiche latino-americane attingono la loro vitalità dal loro continuo
oscillare tra tradizione e tempi moderni. Sempre in contatto con le antiche
correnti madre e sempre disposte ad accogliere nuove idee, rimangono una
17
SACHS 1996: 22
18
SACHS 1996: 23
19
Basti pensare alla famosa lambada che, come vedremo in maniera più approfondita in seguito,
dietro una musica accesa e brillante e movimenti eroticamente “spinti”, nasconde una storia
d’amore triste e dolorosa.
30
fonte feconda alla quale il mondo odierno, a volte stanco della musica
anglosassone, torna e ritorna ad abbeverarsi.”20
Così arrivano a noi, con tutta la loro potenza e intensità. E così le
desideriamo e ricerchiamo, da secoli e secoli, coltivando quel filo diretto che
dalle Americhe ci trasmette tutto quel bagaglio di suoni e gesti, alimentando
quel mito e continuando a farci ballare e sognare.
20
LAYMARIE 1997
31
1.3
I RITMI E LE SONORITÀ DELL’AMERICA LATINA
NELLA MUSICA EUROPEA E NELLA POPULAR MUSIC
Vogliamo dunque ripercorrere brevemente quelli che nel tempo sono stati
gli influssi della musica latino-americana in Europa e nella popular music
internazionale.
La
“colonizzazione musicale” – e in particolare quella che interessa
l’influenza della musica latino-americana nella nostra cultura – è un
fenomeno che dura da secoli e continua tuttora, anche se spesso non tutti
siamo consapevoli di quali siano i meccanismi che lo attivano, quali le rotte
di trasmissione, quali le forme di ricezione; tuttavia è un evento molto
importante che ha condizionato nello spazio e nel tempo la storia e la
geografia musicale mondiale.
Le influenze tra musica latino americana ed europea iniziarono già ai tempi
della conquista del nuovo continente. Dapprima fu infatti l’Europa a portare
all’America le sue conoscenze musicali, quando, per evangelizzare le
popolazioni indigene, i gesuiti integravano musica e dottrina. Quando i
conquistadores arrivarono a colonizzare il Nuovo Mondo, trovarono
popolazioni che avevano forti tradizioni musicali, essendo per loro la musica
una importantissima forma di comunicazione primaria. Musica e danza
erano già allora profondamente legate e parte integrante e fondamentale
della loro cultura.
Le prime testimonianze di danze e musiche latino-americane nel nostro
continente risalgono al 1517, appena venticinque anni dopo la prima
impresa di Colombo. È il poeta spagnolo Torres Navarro a citare una danza
che poi si scoprirà di origine ispanoamericana: la ciaccona. Poco dopo, in un
32
intermezzo di Simon Aguado, El platillo, composto nel 1529 per celebrare
le nozze dell’Infante don Filippo, figlio di Carlo V si legge:
Chiqui, chiqui, morena mia,
si es de noche o si es de dia.
Vamonos, vida a Tampico
antes que lo entienda el mico
que alguien mira la chacona
que ha de quedar echo una mona
Il protagonista di questi versi invita dunque la sua “morena” ad
accompagnarlo a Tampico, in Messico, per ballare la ciaccona. Già in questi
versi è esplicito il carattere erotico e sensuale di questa danza d’origine
americana, la quale è generalmente associata alla baldoria, alla gioia sfrenata
e al piacere dei sensi. Nel Romancero General, risalente alla metà del
Cinquecento, la ciaccona è diventata ormai il sinonimo di “Cuccagna”, di
isola felice. Il romance n° 1347, intitolato appunto La isla de la Chacona
spiega:21
Esta tierra, amigos mios,
es la Isla de Chacona,
por otro nombre Cucaña,
che de ambos modos se nombra
In tutte le testimonianze rimasteci22 si evidenzia il carattere erotico della
ciaccona, e si percepisce come già da allora musiche e danze latinoamericane fossero sinonimo di gioia, vitalità, divertimento.
Subito dopo la ciaccona compaiono altri balli di origine “amerindia”:
21
GIAN NICOLA SPANU: “La Isla de la Chacona”. Riflessioni sulla muscia della Vecchia e Nuova
Spagna, intervento al seminario di studi dal titolo Suoni Immagini Sapori, la vita intorno al 1492,
organizzato dal dipartimento di Storia dell’Università degli Studi di Cagliari il 18 dicembre 1992.
22
Tra cui: LUIS BRICEÑO (Método...para tañer la guitarra a lo español, pubblicato nel 1626);
LOPE DE VEGA (El amante agradecido, del 1618); QUEVEDO (Genealogía de los bailes);
MIGUEL DE CERVANTES (La Ilustre Fregona).
33
Guineo, Paracumbé, Zambapalo, Zarambeque, Sarabanda, tutti accomunati
dal denominatore comune della sensualità.
Ed è proprio la sensualità, e l’erotismo che pervade queste danze la ragione
per cui le autorità, e in primo luogo quelle ecclesiastiche, si erano opposte
fermamente all’introduzione di queste danze in Europa: repressioni
testimoniate da innumerevoli bandi rimastici.23
Divieti destinati però a cadere nel vuoto, visto che non solo i balli latinoamericani continuarono a imperversare, ma nel 1593 troviamo addirittura la
sarabanda tra i balli che accompagnavano i festeggiamenti del Corpus
Domini organizzati dal capitolo della cattedrale di Siviglia.24
Forse anche a causa di questi vincoli morali la ciaccona ed altri balli, dopo
un certo periodo di permanenza in Europa, persero la componente maliziosa
e sensuale, tanto che risulta difficile pensare che la ciaccona della seconda
partita per violino solo di Bach o quella che conclude la Quarta sinfonia di
Brahms abbiano un’origine così ribalda. Già nella Chacona di Antonio
Martìn y Coll, compositore spagnolo della seconda metà del Seicento, la
ciaccona è una musica “seria”, lenta nel suo incedere ternario su un severo
basso ostinato.25
Intanto, col passare del tempo, sempre nuovi bailes arrivavano dal Nuovo
23
Citiamo a questo proposito uno dei più noti, Actas de la sala de Alcades de Casa y Corte de su
Magestad, 3 agosto 1583: “Che nessuno osi cantare né recitare a casa né per la strada né in qualsiasi altro luogo il canto che chiamano Zarabanda, né simili, sotto pena di 200 frustate a ciascuno
contravventore, agli uomini sei anni nelle galere, alle donne l’esilio dal regno”.
24
Le censure non mancarono neanche in tempi più moderni: il Manifesto dell’8 agosto 1990 riporta una notizia diffusa socondo la quale le autorità governative del Vietnam, mettendo in atto
un progetto di radicale moralizzazione della società, proibivano in tutto il paese il ballo della
lambada.
25
GIAN NICOLA SPANU: “La Isla de la Chacona”. Riflessioni sulla muscia della Vecchia e Nuova
Spagna, intervento al seminario di studi dal titolo Suoni Immagini Sapori, la vita intorno al 1492,
organizzato dal dipartimento di Storia dell’Università degli Studi di Cagliari il 18 dicembre 1992.
34
Mondo, come l’habanera (danza originaria dell’Avana) o il paso doble.
Nel 1789 il francese Moreau de Saint-Méry scrive un trattato sulla danza
delle Antille francesi e nel 1820 il famoso maestro di danza parigino Charles
Blasis riserva un capitolo del suo trattato alla descrizione delle danze
negroamericane.26
Durante i secoli XVIII e XIX la composta società borghese nei confronti del
Nuovo Mondo si limitò perlopiù all’ammirazione delle sue espressioni, nel
frattempo che si esaurivano lentamente le risorse della danza europea.
Curt Sachs, padre dell’etnomusicologia, descrive infatti “la crisi di passione
e partecipazione in cui precipitano i balli da sala nell’Europa della fine del
XIX secolo. Essendo il ballo uno specchio sempre fedele del vivere sociale,
il suo impoverimento diventa inevitabile, in una società artificiosa come
quella”. Svuotate di senso e di emozione le danze europee trovano nel
terreno fertile della musica latino-americana, nuova linfa cui attingere. “Un
mondo intero si svela, aprendo il campo ad una dimensione liberatoria”.
“Irrompe la seduzione collettiva: alla ricerca dell’espressività perduta, tutti
si fanno conquistare”.27
A fine Ottocento irrompono con tutta la loro energia, la loro varietà, la loro
libertà di movimento, le nuove danze d’oltreoceano, a liberare finalmente
dalla monotonia della danza europea: arriva la maxime brasiliana, nel 1910 il
tango argentino,28 negli anni Venti la rumba cubana, poco dopo il danzón
26
SACHS 1966: 479
27
LAYMARIE 1997
28
Il Tango: nasce intorno al 1870 dall’habanera (originaria di Cuba), caratterizzato da un melodia sincopata del basso, da una tecnica difficile, densità sonora, fraseggio cadenzato, lamento
lancinante, passionale. A inizio 900 compaiono i primi trii (clarinetto o flauto, violono, chitarra o
arpa), e i quartetti forniti di bandoneon che, sostituendo il flauto, diventerà lo strumento chiave
del tango. Poi l’orchestrà tipica sarà formata da violino, flauto, chitarra o piano, bandoneon, per
poi passare al Sexteto: due violini, due bandoneon, piano, contrabbasso. Verso il 1905 si diffonde
35
(nato dal bolero spagnolo).29 Caratteristica comune è sempre il carattere
erotico molto marcato, accompagnato da ritmi brillanti e coinvolgenti.
Il tango soprattutto arriva sotto forma di delirio per la danza, coinvolgendo
persone di ogni età e ceto sociale: “la follia del tango testimonia che l’uomo
dell’età delle macchine, con il suo orologio da polso dall’ora incalzante, con
il suo cervello in continua azione per preoccupazioni e calcoli, prova la
stessa necessità di danzare proprio come l’uomo primitivo”.30
“Pensiero triste che si balla”,31 il tango è fatto di solitudine, sconforto,
sentimenti melodrammatici, passionalità totale. Censurato negli anni ’30 e
’40, per questa sua natura passionale e le sue allusioni erotiche, il tango
ritrova nuova linfa più tardi, influenzato anche dal jazz, e poi negli anni ’60
con Astor Piazzolla, che rivoluzionerà il genere introducendo il tango da
concerto.32
Siamo passati dunque al secolo scorso, senza dubbio quello “dell’esplosione
latino-americana”: è infatti durante tutto il ’900, anche grazie all’avvento dei
nuovi mezzi di comunicazione – come il grammofono e la radio e più tardi
con i mezzi di comunicazione di massa – che la diffusione delle danze latino
americane si sviluppò più intensamente, dapprima negli Stati Uniti e poi in
tutta Europa, che si infervorò subito per la sensualità di rumba, conga,
mambo e biguine. Insieme alle altre danze latino-americane arrivavarono
anche gli scatenati blues, charleston, fox trot, ragtime: “non si potrebbe
in tutta l’America Latina e anche in Europa e Stati Uniti. Col tempo assume caratteristiche più
complesse, adotta la battuta in 4 tempi, ma mantiene i ritmi del candombe e della milonga.
29
Da “Il baile che risveglia la passione” di Leonetta Bentivoglio, in LAYMARIE 1997: 132-135.
30
SACHS 1966: 480-481
31
Enrique Santos Discepolo, noto paroliere e musicista argentino della prima metà del 900. In
LAYMARIE 1996: 106.
32
LAYMARIE 1997: 16-21
36
immaginare un contrasto più grande rispetto alla monotonia dei passi e delle
melodie della fine del secolo XIX”.33 “Il XX secolo ha riscoperto il corpo;
mai dall’antichità esso è stato così amato, così sentito, venerato”.34
Alla fine degli anni ’30 nasce il latin-jazz dall’incontro di musicisti cubani
con quelli afro-americani (Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Thelonious
Monk) ormai stanchi del swing. Si uniscono così i ritmi delle percussioni
sfrenate di cuba, alle soluzioni armoniche del be-pop. Prima è il jazz a
entrare in un’ orchestra cubana (The Afro-Cubans); è Gillespie che
incorpora invece, per la prima volta nella storia del jazz, i tamburi latini in
una big-band americana.
Il jazz è stato il primo genere musicale ad essere fortemente influenzato
dalle componenti latino-americane, in particolare da quelle brasiliane. La
musica brasiliana e il jazz hanno difatti una lunga storia che li unisce, che ha
radici nella loro comune origine africana. Nel tempo i due generi si sono
reciprocamente influenzati, tanto da aver creato una tradizione che unisce
samba e bossa nova al jazz: il jazz samba. Così la bossa nova ha contagiato
l’intero mondo jazz, che in quel genere trovò nuova linfa vitale, dando inizio
a un processo di infiltrazione della musica brasiliana in quella americana
(soprattutto negli anni ’60 , ’70 e ’80). Protagonisti di questa “brasilian
invasion” furono tra i tanti Baden Powel, Sergio Mendez, Herbie Hancock,
Chick Corea, fino ad arrivare alle più moderne contaminazioni di musicisti
come Egberto Gismondi, che hanno contribuito ad allargare la moderna
concezione del jazz.35
33
SACHS 1966: 479
34
SACHS 1966: 481
35
Da “La musica brasiliana e il jazz” di Paolo Biamonte, in www. terrabrasilis. org/bossaejazz.
html.
37
Tornando agli anni ’40 e’50, in cui queste contaminazioni diventavano
sempre più importanti, l’impulso del latin-jazz in Europa coincide con la
moda della rumba, del mambo (incontro di danzón e jazz) e del cha cha chá
(mambo più strutturato, con uno stacco caratteristico sul terzo tempo). 36 E
ancora negli anni ’50 impazzano biguine, mambo, e il calypso di Harry
Belafonte.
Tutte queste danze non sono state assimilate dagli europei in modo integrale,
sono
invece
sempre
state
adattate alla
nostra
civiltà,
misurate,
ridimensionate: si tratta appunto di influenze, contaminazioni, emulazioni.
Non era possibile infatti che la società borghese europea riprendesse le
movenze ardite del tango, o il ritmo concitato del samba senza assimilarli
alla propria tradizione, alle proprie abitudini. È questione non solo di
mentalità e cultura, ma anche di sangue: nessun europeo può appropriarsi di
una danza latino-americana e padroneggiarla come farebbe un nativo
dell’America Latina, non la sentirebbe e non la interpreterebbe mai allo
stesso modo, poiché non ha uno spirito né un fisico di un habanero o di un
carioca.
Per capire questo concetto basti pensare, non solo alla già citata ciaccona,
che col tempo assunse caratteristiche ben diverse dalla sua versione
originale, ma anche per esempio agli anni ’60, periodo del boom economico,
quando i grandi interpreti italiani si cimentavano in biguine, mambo, rumba
riadattandoli nei vari Abbronzatissima, e Cha Cha Cha della segretaria,
conservando dai modelli originali solo il lato divertente, obliando totalmente
quello sociale e ogni volta diluendo quegli stilemi musicali con la matrice
melodica nostrana.
36
LAYMARIE 1997
38
In quello stesso periodo in Italia ebbe notevole influenza anche l’avvento
della bossa nova (Tom Jobim, João Gilberto, Toquinho, Vinicius de
Moraes) che sedusse cantautori e interpreti come Sergio Endrigo, Mina e
Ornella Vanoni, anche se la tendenza era quella di rifare, più che quella di
produrre materiale originale.37
L’influenza dei ritmi e dei musicisti nella musica leggera in Italia era anche
quella del carnevalesco samba di Carmen Miranda, e del nuovo tango
argentino rappresentato da Astor Piazzolla.
Negli anni ’70, complici il sole delle riviere e l’esplosione dei juke-box, si
diffondono sempre più i ritmi d’oltreoceano, che diventano colonne sonore
del divertimento e dei balli. Ma c’è anche un altro versante musicale che
assume notevole importanza: quello della canción protesta,38 formata da
creatori uniti dalla stessa passione per la musica e dallo stesso ideale per la
libertà, scaturita da una situazione politica repressiva e dalla conseguente
lotta per l’edificazione di una società di giustizia. In Italia particolarmente
significativa fu la presenza degli Inti Illimani, musicisti cileni costretti ad
emigrare per le repressioni e le censure che intorno al ’68 colpirono molti
paesi latino-americani. Molti altri furono i musicisti di diversi paesi
dell’America Latina costretti all’esilio per poter esprimere la loro arte: in
37
La bossa nova (“nuova moda”, “nuovo stile”) nasce a Rio de Janeiro prendendo il posto del
samba-canção: sobria e discreta, con il tipico canto sussurrato (canto falado, parlato), attinge
spunti armonici al cool jazz. Nel 1958 João Gilberto usa un nuovo modo di suonare: a ritmo di
batida, sfalsato rispetto al canto. Lo stesso ritmo con cui poco tempo dopo Antonio Carlos Jobim
comporrà le celebri Chega de saudade e Desafinado. Jobim compone con un sottile equilibrio tra
ritmo, armonia, melodia, parole. Vinícius de Moraes è “o poeta” che “crede alla musica della poesia”, come Jobim “crede alla poesia della musica”. Di Jobim è Garota de Ipanema hit mondiale
della bossa nova che veniva definita allora come il “nuovo jazz brasiliano”.
38
Confronta a tal proposito Meri Franco-Lao, Basta. Storia rivoluzionaria dell’America Latina
attraverso la canzone (FRANCO-LAO 1970).
39
Italia ricordiamo ancora i brasiliani Vinicius de Moraes, Toquinho, Chico
Buarque.
Tutti questi modelli daranno luce a varie tendenze di emulazione e
imitazione da parte di molti artisti italiani, come Fabrizio De Andrè (da
Creuza de ma, devoto alla tecnica raffinata dei chitarristi brasiliani), il già
citato Endrigo, e ancora Ivano Fossati (che come vedremo in seguito attinge
a piene mani dal serbatoio musicale latino-americano), Paolo Conte, Vinicio
Capossela, per non parlare dell’impulso che ha avuto nel tempo la musica
reggae.
Il reggae si diffonde nel mondo negli anni ’70 con Jimmi Cliff e soprattutto
con Bob Marley: cantanti che si esprimono in creolo giamaicano e
rivendicano le radici popolari, denunciano la povertà, l’ingiustizia, la
violenza, diffondendo l’ideologia rasta.39
Da questo impulso in Italia sono nati moltissimi gruppi reggae, tra cui
Africa Unite, Pitura Freska, Rebbae National Ticket, Almamegretta.
Negli anni ’80 queste tendenze latino-americane sono un po’ adombrate
dall’imperare della disco-music, ma tornano negli anni ’90, con le musiche
leggere e ballabili come lambada, soca, macarena, e i ritmi andini e cileni
dei panflutes.40
Ma naturalmente non è stata solo la musica italiana ad essere influenzata da
ritmi, melodie, stilemi di tutta la musica latino-americana. Come abbiamo
visto infatti già dal ’500
troviamo segni di questa “colonizzazione
musicale”, fino ad arrivare ai giorni nostri in cui si assiste a un continuo
39
Nel reggae l’aspetto tecnico è secondario rispetto a quello spirituale, più importante.
L’obiettivo della filosofia reggae è infatti “conivolgere le anime dei fratelli emigrati e senza meta
nel lungo pellegrinaggio che porta a Jah (il dio rasta), alla madre Africa, alla terra promessa dove
tutti potranno tornare senza temere giudizio”. Roberto Mancinelli , in LAYMARIE 1997: 138-141.
40
LAYMARIE 1997: 150-155
40
attingere da quelle musiche, soprattutto nella popular music: dalla musica
ballabile, alla canzone d’autore, al rock, al jazz, il nostro universo musicale
non smette di riverberare la passionalità, la sensualità, l’intensità, la vitalità
che l’America Latina da ormai cinquecento anni infonde, trasmette e
contagia nella sua inconfondibile musica.
41
2.
L’IDEA DEL NUOVO MONDO
NELLA CANZONE DI IVANO FOSSATI
42
2.1
IVANO FOSSATI: LA SUA VICENDA ARTISTICA
Benché il nostro studio riguardi essenzialmente le ascendenze latinoamericane nella canzone di Ivano Fossati, ci sembra opportuno presentare, le
fasi salienti del percorso artistico dell’autore facendo riferimento in primo
luogo ai suoi album, senza tralasciare le altre creazioni.
Proveniente da una famiglia di musicisti e di appassionati di musica, 41 Ivano
intraprese in tenera età lo studio del pianoforte sostenendo, da privatista, gli
esami al Conservatorio di Genova. Il suo interesse “globale” per la musica si
manifestò comunque, ben presto, anche nell’attività in vari complessi rock.42
Si trattava dei consueti gruppi, tipici della cultura giovanile degli anni ’60’70 che trovavano nelle cantine e nei garages i luoghi deputati per le loro
interminabili e appassionate prove. Il giovane Fossati, in questi complessi,
tra cui citiamo i Jerrings, in cui si collezionavano solo fischi e fiaschi, da
vero polistrumentista, suonava la chitarra e il flauto. Ma nelle difficoltà della
“gavetta” il nostro individuava con sempre maggiore chiarezza la sua strada,
rafforzava la sua vocazione e la sua formazione riuscendo a lavorare in
gruppi di qualità sempre maggiore. Nel 1967 fu fondamentale la scoperta del
sassofonista jazz Stan Getz (che all’epoca suonava molta bossanova), un
incontro che lo convinse ancora di più che la sua vita era “dentro la
musica”,43 gli aprì nuovi orizzonti musicali, gli fece capire l’importanza
41
“La musica in casa è sempre girata. Molti di noi erano musicisti professionisti. Un cugino era
direttore d’orchestra […] e un mio zio era clarinettista. Tutti suonavano e pernsavano che la musica fosse un’occupazione seria. Non solo dunque non sono mai stato ostacolato nel diventare un
musicista, ma ho ricevuto consigli e incoraggiamenti continui.” COTTO 1994: 33
42
“Suonavo nei gruppetti senza futuro della città, nelle cantine, ma studiavo da privatista anche al
Conservatorio. […] Studiare la musica mi è servito tantissimo. Mi serve ancora oggi”. COTTO
1994: 37
43
COTTO 1994: 39
43
della tecnica strumentale e fece nascere in lui, come si è accennato, la
passione per il flauto che suonava con il metodo Kirk (cioè parlandoci e
cantandoci dentro). La sua adolescenza, in fatto di gusti musicali, era
“abbastanza atipica”,44 già da allora coltivava l’interesse per vari generi: il
pop (come lo Spancer Davis Group,Procol Harum), il rock, il beat
(Beatles,Equipe 84), il jazz45 (come il Modern Jazz Quartet, Duke Ellington,
Keith Jarret)46, il blues britannico e le sonorità brasiliane (fra cui Tom
Jobim, Chico Buarque de Hollanda, Edu Lobo, Joao Bosco).47
Ci si può chiedere quale sia stato il rapporto con il fertile ambiente musicale
genovese, affollato in quegli anni da nomi del calibro di Fabrizio De Andrè,
Gino Paoli, Bruno Lauzi, Luigi Tenco. In effetti dai suoi scritti e dalle
interviste non si evince un’esplicita influenza di questi musicisti nella sua
formazione, anzi lo stesso Fossati ha negato ripetutamente l’esistenza della
cosiddetta “scuola genovese”. Si trattava di esperienze individuali, non
riconducibili ad una linea unitaria e univoca; è innegabile però la densità di
esperienze e di passioni in un ambito, quello genovese, relativamente
ristretto. Una densità che sicuramente ha coinvolto l’inconsapevole Fossati,
interessato a quell’epoca più a suonare che a scrivere canzoni, ma che
incubava, crediamo, la passione per la “poesia cantata”, la cifra che
innegabilmente, al di là delle specificità dei singoli, accomuna i grandi nomi
che abbiamo appena citato.
44
COTTO 1994: 39
45
A proposito Fossati racconta: “Il jazz è una passione antica, nata attraverso la bossanova, che è
jazz cantabile, soprattutto le composizioni di Jobim”. I primi jazzisti cui si avvicinò furono: Wes
Montgomery, Herbie Mann, Quincy Jones, e poi Herbie Hancock, Ron Carter. COTTO 1994: 98
46
Il Concerto di Colonia fu importante per Fossati, perché gli fece conoscere un modo “nuovo e
coraggioso di suonare il pianoforte”. COTTO 1994: 98
47
Fossati ha un grande legame con la musica brasiliana, rafforzato dall’amicizia con il carioca
Ivan Lins, il suo “fratello musicista”, con cui ha scritto varie canzoni (pubblicate in America).
44
Solo in un secondo momento si avvicinò a cantautori come De André,
Conte, De Gregori e ai chansonniers parigini,48 insomma alla “magia della
parola”, visto che inizialmente considerava la musica solo dal punto di vista
strumentale.49 Insieme a questa varietà c’è naturalmente anche il grande
interesse per la musica classica e contemporanea, diventato col tempo
sempre più presente e importante.
A diciotto anni fu coi Garybaldi, un gruppo “che a Genova era
un’istituzione”,50 e nel ’70 passò ai Saggittari, quelli che poi diventarono i
Delirium e che lo portarono al successo. La prima volta che cantò fu quasi
per caso, e dopo furono gli altri a spronarlo, per quel suo cantare “in modo
strano”.51 Anche per la composizione di parole e musica furono altri a
spingerlo e ad incoraggiarlo, come Oscar Prudente, che fu per la scrittura dei
testi di grande stimolo per lui.52
Lui stesso ci racconta che ha cominciato a scrivere un po’ d’istinto ma non
ha funzionato subito: ci sono voluti anni perché i suoi testi diventassero per
lui importanti quanto le parti musicali, e solo dopo un lungo percorso di
maturazione, passato attraverso cover e traduzioni, essi divennero vera e
sincera espressione di sé. Così accadde per la voce, per il suo modo di
cantare che, da impostato e roco, divenne sempre più spontaneo e naturale.
48
Tra i francesi amava Brel, George Brassens, Charles Trenet, Maurice Chevalier, Edith Piaf,
Gilbert Bécaud, Boris Vian. COTTO 1994: 97-98
49
“All’inizio, la musica era per me un fatto quasi esclusivamente strumentale, era la magia del
suono a colpirmi, non la magia della parola, tant’è vero che nei primi dischi, se avessi potuto,
avrei fatto molto volentieri a meno di cantare”. COTTO 1994: 40
50
COTTO 1994: 40
51
FOSSATI 2001: 29
52
FOSSATI 2001: 30
45
Un viaggio di consapevolezza e maturità dunque è quello che ha percorso
l’autore dal suo incontro con la musica fino ad oggi, una linea ascendente,
sempre in evoluzione, in continua ricerca. Fossati è cambiato molto nel
tempo, tanto che a volte si stenta quasi a riconoscerlo, ascoltando i vecchi
dischi, ma è rimasto sempre fedele a se stesso, al proprio progetto, alla
propria natura.
Ma torniamo dunque al periodo di Fossati con i Delirium, il periodo dei
primi album e dei primi successi. Dalla collaborazione con i Delirium53, tutti
musicisti appassionati di jazz, nacque l’album Dolce Acqua,54 grande
successo del 1971, lavoro per quei tempi “decisamente d’avanguardia ma di
linguaggio chiaro e semplice”,55 pur con certe inesperienze e ingenuità.
Musicalmente il disco passa dal rock alla canzone melodica con notevoli
influenze jazz (come nel brano To satchmo, bird and other unforgettable
friends) e sudamericane (come nel Preludio) e per quanto riguarda la forma
“segue la tendenza di quegli anni: complicare tutto ciò che era semplice e
che poteva essere semplicissimo[…] dare significati reconditi a ogni cosa”.56
L’album è strutturato in preludi, sequenze, movimenti e ogni brano è
distinto da un sentimento, a creare una sorta di percorso musicale all’interno
della sfera affettiva: paura, egoismo, dubbio, dolore, ipocrisia-verità,
perdono, libertà, speranza.
53
I Delirium erano: Ivano Fossati, Marcello Reale, Peppino Di Santo, Ettore Vigo, Mimmo Di
Martino. Prima di chiamarsi Delirium il nome del gruppo era i Saggittari. Il nuovo nome nacque
in coincidenza della produzione per la Fonit Cetra.
54
Prodotto dalla casa discografica Fonit.
55
Note al disco, in COTTO 1994: 46
56
Sulla falsariga anche del gruppo inglese King Crimson.
46
I brani, composti a quattro mani da Fossati (che qui suona flauto, chitarra e
armonica) e Magenta, sono frutto del lavoro collettivo del gruppo e
rappresentativi perciò di quel periodo storico, non certo dell’Ivano Fossati
attuale, il quale confessa di non riconoscersi più in quei lavori, né tantomeno
in quel modo di cantare impostato, per nulla naturale.57
L’album ebbe grande diffusione e fu ben accolto da critica e pubblico,58
come gli altri grandi successi internazionali dei Delirium, due inni popreligiosi misticheggianti: i singoli Il canto di Osanna del 1971 (Fossati-Di
Palo) e Jesahel del 1972 (Fossati-Prudente), vincitore del miglior testo al
festival di Sanremo di quell’anno.
Fu proprio il successo a dare alla testa ai componenti del gruppo, che
persero la spontaneità e l’entusiasmo che li avevano portati sin là. Così,
quando già Fossati l’aveva abbandonato, avendo intrapreso la sua strada da
solista, anche il resto del gruppo si sciolse.
Due anni più tardi, nel 1973, uscì il primo disco da solista col nome di Ivano
Alberto Fossati: Il grande mare che avremmo attraversato.59 L’autore
confessa che, se potesse, cambierebbe ora quel titolo così intriso di
pessimismo, ma che quel lavoro aveva per lui il grande valore di essere il
frutto di un progetto preciso (che coi Delirium era venuto a mancare), di
57
Fossati stesso racconta: “Imitavo consapevolmente David Clayton Thomas dei Blood, Sweet
and Tears. Non possedendo il suo vocione tentavo di ingrossare la voce, con risultati davvero
buffi. Per fortuna con il tempo ho riconosciuto l’errore e ho cominciato a cantare in maniera più
personale”. COTTO 1994: 47
58
L’album fu accostato dalla critica a certe opere dei Traffic e degli Jethro Tull, di cui infatti Fossati all’epoca era appassionato.
59
Nell’album, edito dalla Cetra, Ivano Fossati, oltre ad aver scritto tutti i testi e le musiche, suona
i flauti, l’ottavino, le chitarre, l’armonica, e partecipa agli effetti vocali e all’arrangiamento.
47
un’idea coerente, e di essere rappresentativo dei suoi gusti musicali, che in
quel periodo erano influenzati molto dal jazz.60
Fin da questo primo lavoro si delinea un tema che sarà di costante
importanza nella sua produzione: quello del mare, il mare visto come grande
madre, fonte di vita, mare come mistero, come viaggio, metafora
dell’esistenza.
Il disco è percorso da una profonda malinconia, che si trasforma a volte in
angoscia, espressioni di pessimismo e dolore che si delineano dalla prima
canzone che dà il titolo alla raccolta: Il grande mare che avremmo
attraversato. Il verbo al condizionale infonde un sentimento di tristezza, di
nostalgia per qualcosa di perduto, o meglio di qualcosa che non è mai stato,
sentimenti legati fin d’ora alla presenza del mare. Mare crogiuolo di sogni e
speranze, poiché, aldilà di questa tristezza, è lì che si scorge una via di fuga,
il luogo dove intraprendere un viaggio che porti nuove cose (“partire / qui
davanti a me / c’è il mare / ce la potrei fare”).
Il brano è ripetuto, con qualche variante, alla fine della raccolta (Il grande
mare che avremmo attraversato – parte II e finale), dunque i due brani
omonimi, essendo il primo e l’ultimo, creano una sorta di cornice alla
raccolta; le due collocazioni sono significative visto che, come detto, è la
stessa canzone che dà il titolo all’album. In questo brano finale, che può
dunque considerarsi come seconda parte del primo, c’è un altro riferimento
al viaggio, che smentisce un po’ le speranze accennate nella prima parte:
“Ma dentro me / c’è una barca che non parte / ma dentro me /c’è un uomo
che non sa / che bisogno c’è di partire per poi / non pensare che a tornare”.
60
COTTO 1994: 54
48
Un altro tema fondamentale, oltre quello del mare, si delinea dunque già da
questo primo brano: il viaggio, come speranza, fuga, ritorno, libertà. Temi
che si ripresentano nel brano All’ultimo amico, che come Fossati stesso dice,
è la prosecuzione logica di Il grande mare che avremmo attraversato, ed è
“un’antologia di vene malinconiche”.61 Qui il mare è sentito come qualcosa
di profondamente radicato, un’influenza essenziale che segna la sorte di chi
lo vive: “Con il mare proprio sotto casa mia / il mio destino in fondo quale
vuoi che sia”, poiché come Fossati stesso ha sottolineato, la presenza del
mare, il fatto di averlo davanti ogni giorno, non può non condizionare la
vita, perché è un continuo richiamo a partire, a scoprire cosa c’è aldilà, e alla
libertà (“ho scelto la mia vita libera / può darsi che non torni più”), dunque
anche qui il mare è accostato al viaggio, alla partenza e al ritorno (“il vento
la mia vela sempre più grande renderà”, “se avrò voglia di tornare /
certamente lo farò”).
E ancora questi argomenti si ripetono in Vento caldo, vento caldo che “porta
tempesta”, cattivo presagio in una vita piena di dolore e solitudine in cui
anche la natura è ostile. Infatti qui il mare è visto in maniera negativa
(“L’acqua più è vicina al porto e più sporca è”), come ostacolo, barriera
(“nero fazzoletto di mare tra i miei sogni e me”), qualcosa che “fa paura”;
anche il sole non è fonte di luce (“il sole mi ha bruciato gli occhi”), perciò
ne consegue una vita aspra, dura, senza speranza (“in mezzo a tanto sale il
mio pane si è fatto amaro”, “Le mie mani con il tempo ormai son diventate
reti / navigando tra tempeste di silenzi e di lontani echi / quando penso / che
potrei star meglio mi dico che / l’uomo più è vicino al dolore e più giusto
è”). La via da percorrere è in questa vita una “rotta scura”, e la metafora
61
COTTO 1994: 55
49
continua paragonandosi a una “barca su uno scoglio come un uomo dal
cuore squarciato”, gonfio di dolore e di pianto.
Sentimenti di oppressione e pessimismo percorrono tutto l’album: si
ritrovano in modo simile in La realtà e il resto, canzone intrisa di
insofferenza, e in Riflessioni in un giorno di luce nera (il titolo è abbastanza
esauriente) in cui il sole è scomparso e il cielo è di un “grigio malato”:
atmosfera consona ai pensieri di totale pessimismo verso cose e persone, che
contrasta però con la melodia della canzone, tutt’altro che triste, sottolineata
da un coretto “sanremese” che, Fossati precisa, non corrispondeva proprio
alle sue intenzioni, ma piuttosto al gusto dei coristi.62
Un coro decisamente diverso, di ispirazione brasiliana, si trova invece in
Canto nuovo, canzone altrettanto malinconica delle altre, interamente intrisa
dell’influenza di alcuni musicisti brasiliani come Edu Lobo e Joao Bosco,
interpreti di un “altro Brasile”, meno sdolcinato di quello conosciuto, più
duro, quello cui è rivolto l’amore di Fossati, “quello distante dall’oleografia
di cartolina”.63 Nella raccolta si trovano anche due brani strumentali che
rivelano l’interesse e la passione per il Brasile da parte di Fossati: Jangada e
Da Recife a Fortaleza. Il primo prende il nome dalle barche dei pescatori
brasiliani (anche qui dunque c’è un riferimento al mare), e come l’autore
dichiara è l’imitazione del brano Gula Matari di Quincy Jones, l’altro, più
jazzato, è un omaggio alle coste del Brasile. 64
62
Fossati spiega: “Vent’anni fa il tuo controllo sui cori era praticamente inesistente[…] tu chiedevi un coro[…] loro arrivavano in studio, prendeveno una frase, la cantavano e andavano via.”
COTTO 1994: 57
63
COTTO 1994: 56
64
COTTO 1994: 54-56
50
L’altro brano strumentale della raccolta è Il pozzo e il pendolo ispirato al
racconto di Edgar Allan Poe: le parti strumentali, la cui presenza, inusuale,
non era particolarmente gradita dalla Fonit Cetra, sono in questo lavoro più
curate rispetto ai testi, e rivelano il modo di comporre di Fossati in quel
primo periodo con un approccio più da musicista che da paroliere, “i testi
erano allora funzionali alla musica”, costruiti ritmicamente, con gli schemi
tipici
della
forma
canzone;
fondamentalmente
dunque
non
lo
rappresentavano, erano frutto di un procedimento formale più che spontaneo
e creativo e giudicati meno importanti, dopotutto egli stesso racconta che
inizialmente la sua passione era fare il musicista, non scrivere, né tantomeno
cantare.65
L’album subito seguente è Poco prima dell’aurora,66 uscito nello stesso
anno di Il grande mare che avremmo attraversato, frutto della
collaborazione di Fossati con Oscar Prudente, “grande appassionato di
musica sudamericana e brasiliana in particolare”, ma attento anche alle altre
sonorità americane.
67
Il loro primo lavoro insieme era stato Jesahel ma in
questa nuova opera, rispetto anche al disco precedente di Fossati, ci sono
novità: “cambiano gli strumenti, i suoni, le armonie”, e inoltre entrambi
tentano di “prendere veramente possesso della musica”, scegliendo i
musicisti, gli arrangiamenti, e cercando di far rispettare il più possibile le
loro idee. 68
65
“Le mie erano canzoni di un musicista che casualmente sapeva anche scrivere. Solo in un secondo momento ho unito le due facce della medaglia.” COTTO 1994: 55
66
Edito dalla casa discografica Cetra/Numero Uno.
67
COTTO 1994: 63
68
COTTO 1994: 63
51
Sostanzialmente e qualitativamente questo disco non rappresenta un gran
passo in avanti rispetto a quello precedente, si notano però alcune variazioni
come la minor presenza di influenze jazz e più rock, e come l’impronta di
Prudente, che oltre a essere coautore, canta e suona anche alcuni brani,
senza nascondere nell’insieme l’impronta fossatiana, soprattutto per quanto
riguarda i contenuti.
Si ritrova infatti anche qui una certa malinconia di fondo, il senso della
solitudine, e ancora il viaggio come via di fuga, come desiderio di cambiare;
tuttavia si scorge in lontananza una vena di positività, rispetto al totale
pessimismo che ha caratterizzato i lavori precedenti.
Poco prima dell’aurora manifesta forse uno stadio intermedio, di passaggio
dalla notte, e dunque da una visione scura e negativa, alla luce della
speranza. Ciò si scorge ad esempio nel primo brano: È l’aurora (“È l’aurora
/ è l’aurora / poco ancora /e la notte se ne va”) in cui ad un sentimento di
angosciosa solitudine si accosta un pensiero più positivo (“È l’aurora /
primavera / vita vera / quante cose mi darà”). O ancora nel brano successivo
Prendi fiato e poi vai, si respira un’aria più leggera (“Io credo sia importante
nella vita non fermarsi mai / ripartire, rimanere, ritornare forse mai”), di
viaggio come ricerca che spesso necessita coraggio (“prendi fiato e poi vai”)
perché talvolta la partenza corrisponde ad un addio (“Parto sempre e non
torno mai, io mai”).
Una particolarità di questa raccolta è che gli ultimi quattro brani (di cui il
primo e l’ultimo sono strumentali) sono legati insieme – un po’ sull’esempio
di Dolce acqua – da un filo concettuale: tutti e quattro hanno come
sottotitolo un desiderio: Tema del lupo (voglia di non aspettare), Lo
52
stregone (voglia di sapere), Apri le braccia (voglia di amare), Gil (voglia di
terra).
In quegli anni (’73 -’78) insieme con Oscar Prudente, Fossati si dedicò (più
per necessità che per passione) ad un’altra attività: quella di scrivere
musiche per il teatro, musiche di scena per lo Stabile e il Teatro della Tosse
di Genova69 e per lo Stabile di Torino.
Inoltre scrisse musiche per audiolibri (Il giro del mondo in 80 giorni, 1974; I
viaggi di Gulliver, 1974; Don Chisciotte, 1976) e per un cortometraggio a
cartoni animati (L’uccel Belvedere di Emanuele Luzzati, 1973).
Questo genere di lavori troverà seguito lungo tutta la sua carriera, come ad
esempio nel 1993 con le musiche di scena per lo spettacolo Magoni di Lella
Costa, con colonne sonore per il cinema, o con il Concerto in versi (1999)
con la voce recitante di Elisabetta Pozzi, di cui parleremo più avanti.
Good-Bye Indiana (Cetra 1975) è un album realizzato “in completa
solitudine”,70 cioè in totale autonomia. Fossati infatti, oltre che aver scritto
testi e musiche (a parte due canzoni scritte con Marrow e una con Prudente),
suona anche tutti gli strumenti,71 ed è arrangiatore e produttore di se stesso.
Nonostante questo sia un passo avanti (“un passo da formica”),72 tuttavia il
risultato non fu del tutto soddisfacente, anzi egli stesso lo considera “un
disco bruttissimo”, e riconosce che “le liriche di Good-Bye Indiana sono
69
Fossati era anche socio coofondatore di questo teatro, insieme con Tonino Conte ed Emanuele
Luzzati.
70
COTTO 1994: 67
71
Chitarra elettrica e acustica, mando-guitar, pianoforte, piano elettrico, archi elettronici, flauto,
ocarina, basso sintetizzatore, sassofono, batteria, percussisoni, sistro, campane tubolari.
72
COTTO 1994: 67
53
forse “le più brutte che abbia mai scritto”.73 L’unico testo che regge – per
Ivano Fossati – è quello di I treni fantasma che rappresenta “l’attesa che
passi qualcosa che tu non vedi, non puoi vedere, un treno che corre nella
notte e tu non sai che cosa sia”.74
L’immagine del treno, che sarà molto presente in tutta la sua produzione
(come conferma il suo ultimo disco), è in questo album particolarmente
presente: oltre che in I treni fantasma (“Questa è l’ora in cui treni fantasma /
corrono al mare / e i cani nella notte li stanno ad aspettare”) la troviamo
anche nel primo brano Storie per farmi amare (“La ferrovia mi corre in testa
/ il treno vola sulla costa”) e in Good-bye Indiana (“se sapessi guidare un
treno / lo farei volare”).
In questo disco c’è molta America: il titolo, la copertina (che rappresenta
l’autore in versione “country singer”), due canzoni in inglese scritte con
Marva Jan Marrow (Harvest moon e Where is paradise), oltre che un brano
strumentale dal titolo latino-americano Azteca, e una parte di testo in
messicano nel brano scritto con Oscar Prudente Good-bye Indiana,
esperimento derivato dagli ascolti musicali che faceva in quel periodo (come
la “ritmica rock latina” dei Manassas).75
Con l’album La casa del serpente si apre un nuovo periodo per la
produzione di Fossati. Egli stesso spiega come la sua carriera artistica sia
73
COTTO 1994: 67, 69
74
COTTO 1994: 69
75
“In quel periodo mi avevano colpito i due dischi del rilancio di Eric Clapton. C’era un suono
furbesco, in equilibrio precario su vari generi, con sonorità molto armoniche, molto calde, un po’
sganciate dal blues. È stato quello l’unico momento della mia vita in cui mi sono sentito attratto
dal rock, anche se si trattava di un rock dalle connotazioni se non addirittura dalle matrici latine.”
COTTO 1994: 69-70
54
divisibile in fasi che segnano il suo percorso stilistico: la prima è quella che
abbiamo visto finora, cioè quella che va dalla collaborazione con i Delirium
al 1977 ed è caratterizzata da una “ricerca molto confusa, da molti
esperimenti e da altrettanti disordini […] Il secondo blocco va da dal 1979 al
1983, periodo breve ma ricco di esperienze” in cui rientrano i viaggi e il
lungo periodo dei lavori all’estero,76 le produzioni e le collaborazioni.77 La
casa del serpente si inserisce dunque in questo periodo, ma nasce in un
momento non molto positivo per quanto riguarda la casa discografica, la Rca
(diretta allora da Ennio Melis), che in quel periodo puntava sulla canzone
italiana tradizionale, melodica e orecchiabile.
Produttore di questo disco, nonché arrangiatore e realizzatore, fu Antonio
Coggio, che aveva collaborato a lungo con Claudio Baglioni, e da tale
sodalizio era ancora condizionato. Il risultato fu dunque che Coggio
influenzò a sua volta Fossati, il quale non seppe preservare la propria
originalità e finì per fare un lavoro che di Baglioni sa veramente tanto. Ecco
perché Fossati non ama particolarmente questo disco (come del resto molti
dei suoi primi lavori), perché non rispecchia se stesso, non è frutto di una
sua personale ricerca e di un suo lavoro originale.78
La casa del serpente, canzone che dà il titolo all’album, è forse l’unica
degna di nota, non tanto dal punto di vista della musica, che è molto
semplice – secondo il modello “tipico del primo periodo del cantautore
76
Dice infatti: “Passavo più tempo in America e in Inghilterra che in Italia. Ci stavo per produrre
ad esempio i dischi di Loredana Bertè, una parte dei miei, poi altre cose, alri lavori minori”.
FOSSATI 2001: 35
77
Ad esempio la partecipazione ad un album dei Paley Brothers, la produzione per la Ddd del
giovane Donato Ciresi o la conoscenza di Elio Rivagli, batterista che diventerà suo prezioso collaboratore. COTTO 1994: 71
78
Dice infatti: “Odio i vestiti delle mie canzoni che non erano i miei e mai avrebbero dovuto esserlo”. COTTO 1994: 73
55
ligure, a metà tra canzone e rock melodico con leggeri ed efficaci
arrangiamenti”79 – ma per il testo, una profonda riflessione sull’amore – o
meglio su un amore, uno di quelli tristi e dolorosi che sono spesso soggetto
delle canzoni di Fossati (“Tu lo chiami amore e non lo vedi / eppure lo
chiedi”) – sulle sue insidie, di cui la casa del serpente è simbolo (“Ma la
casa del serpente ha i suoi colori / il sole ne sta fuori”), le sue angosce e
paure, le attese inutili (“Io so soltanto che con te ho aspettato / qualche cosa
che non è arrivato”).
Nonostante ciò e nonostante lo scarso successo commerciale, tuttavia il
disco ebbe un notevole successo editoriale: alcune canzoni furono infatti
riprese da Mina (Stasera io qui e Non può morire un’idea) e da Anna Oxa
(Matto).80
Di grande successo in quel periodo furono anche alcuni brani che Fossati
scrisse proprio per interpreti femminili: Dedicato per Loredana Berté
(interpretata più tardi da lui), e altri due pezzi scritti nell’anno successivo,
Pensiero stupendo scritta con Oscar Prudente per Patty Pravo e
Un’emozione da poco (Fossati-Guglielminetti) per Anna Oxa.
Nel frattempo che lavora ai suoi album infatti Fossati continua a comporre
canzoni anche per altri. Dopo aver scritto per Loredana Berté, Gianni
Morandi,81 Chaterine Spaak,82 nel 1978 scrive e produce l’album Danza83
per Mia Martini, per la quale aveva già scritto due canzoni l’anno prima.84
79
BALDAZZI-CLAROTTI-ROCCO 1990: 312
80
Da segnalare nel disco è anche la presenza di Mia Martini, voce femminile in “Anna di primavera”.
81
Per Morandi Fossati compose l’album Il mondo di frutta candita (Rca 1975) e il brano Facile
così per l’album Uno su mille (Rca 1985).
82
Ancora libera (Fossati-Prudente) del 1976.
56
Lo stesso anno Fossati riceve il Telegatto come miglior compositore. Di
quel periodo infatti sono Mi vuoi per Marcella, e i già citati Pensiero
stupendo per Patty Pravo, Un’emozione da poco e alcune altre canzoni per
l’album Oxanna di Anna Oxa.85
Il 1979 segna un’altra data importante per il successo di Fossati: è l’anno
dell’album La mia banda suona il rock, registrato a Miami, in America, al
Criteria Studio (lo studio dei Bee Gees) con alcuni elementi della Eric
Clapton Band trovata dal produttore Giacomo Tosti, band che contribuì
all’impronta sound rock del disco, in cui si nota però un cambiamento, un
allontanamento dal blues per accogliere un’impronta un po’ più nostrana,
melodica.
La mia banda suona il rock, canzone che – per volontà della casa
discografica (la Rca), diversamente dalle intenzioni di Fossati – venne
assunta come titolo dell’intera raccolta, divenne un vero e proprio
tormentone, a discapito degli altri brani del disco che vennero adombrati da
quel successo, ragione per cui Fossati è arrivato a dire di odiare quella
canzone, che è forse la più celebre di tutta la sua produzione.
La raccolta contiene infatti pezzi ben più degni di nota, come E di nuovo
cambio casa (ripreso poi nell’album dal vivo), riflessione profonda sul
divenire, sul continuo mutare delle cose, degli affetti, dei sentimenti (“E di
nuovo cambio casa / di nuovo cambiano le cose / di nuovo cambio luna e
83
I brani del disco sono: Ci si muove, Buona notte dolce notte (che Fossati riprenderà nel ’84 in
ventilazione), cantate insieme a lei, e poi Danza, C’è un uomo nel mare, Canto alla luna, E parlo
ancora di te, La luce sull’insegna della sera, e La costruzione di un amore, Di tanto amore, Vola.
84
Se finisse qui, Sentimento.
85
Gli altri brani sono: Fatelo con me, Così va se ti va e questo sinchè mi andrà, Se devo andare
via (Fossati-Cini-De Natale).
57
quartiere / come cambia l’orizzonte, il tempo, il modo di vedere”), sul
passare delle stagioni che pur non si accompagna al capirne gli eventi e che
non cambia la solitudine di chi non comprende e non è compreso.
Sentimenti e concetti che compongono similmente Vola, meditazione sul
“volare via” di tutto, sul nostro non poter tenere le cose, sul loro passare
(“Nell’universo della mia pazzia / ho una nuova teoria / per me la gente /
vola”), o ancora Di tanto amore dove si esprime questo senso si trascorrere e
correre di tutto, perfino di se stessi, degli amori, e la paura che questo
sentimento porta, e l’amarezza di sapere che prima o poi tutto finisce. E così
in Dedicato (scritta per Loredana Bertè), una sorta di dedica appunto “a tutti
coloro che hanno un rapporto difficile con gli altri e con se stessi” 86, o come
in Il cane d’argento, metafora della volpe, “un richiamo, una curiosa guardia
al di fuori di te”87, una presenza che osserva la vita nel suo trascorrere, una
nota in cui ancora si sottolinea il passare degli eventi, e il collezionare
passioni, sempre un po’ amare.
Del valore di queste canzoni, poco considerate da critica e pubblico, si
accorsero suoi colleghi, come Mia Martini che riprese le canzoni Vola e Di
tanto amore rendendo loro il successo che non avevano trovato nella
versione originale.
La grande importanza di questo disco sta nel fatto che da qui in avanti
Fossati comincia a dare più importanza ai testi, rispetto a prima, dedicando
“sempre maggiore importanza ai giochi, all’enigmistica, alle combinazioni
che andassero oltre la bella immagine”. Infatti si nota una maggior cura
delle parti liriche, che diventano sempre più riflessive e profonde, a parte
86
BALDAZZI-CLAROTTI-ROCCO 1990: 313
87
“Materialmente il cane d’argento è la volpe, che sta fuori dall’abitato, e dunque fuori di te, e ti
vede. Le cose si muovono, passano, e una parte di te le osserva passare”. COTTO 1994: 76
58
alcuni testi un po’ insulsi e poco comprensibili come La mia banda suona il
rock (“La mia banda suona il rock / e tutto il resto all’occorrenza / sappiamo
bene che da noi / fare tutto è un’esigenza”, “è un rock bambino / soltanto un
po’ latino”), La crisi, o Limonata e zanzare, uno dei primi esperimenti di
Fossati con i ritmi sudamericani, in questo caso con il reggae.88
Panama e dintorni, uscito nel 1981 (Rca), prodotto da Al Garrison e
arrangiato da Steve Robbins, segue il modo di comporre degli anni settanta:
“lineare, piano, con molti riferimenti al gergo della strada”.89
La voglia di comporre “in maniera equilibrata, con pesi e misure anche nei
testi”, aveva portato Fossati a “un’attenzione quasi maniacale per i
particolari, per i tempi della narrazione”.
Il suo modo di comporre diventava sempre più consapevole e metodico,
cercando di far si che tutti gli elementi fossero “ben predisposti”. Sempre di
più Fossati si dedica al “piacere di scrivere parole che rimandino a metafore
e simbologie precise”90, secondo quel suo gusto per l’ambiguità che percorre
tutta la sua produzione. Inoltre egli stesso afferma: “credo che questo sia il
mio primo disco da psicanalisi, perché ci sono temi che si rincorrono in
quasi tutti i brani”.91
88
A proposito della sua passione per la musica sudamericana Fossati racconta: “Mi piaceva
molto anche Bob Marley. Fino a quando ho ascoltato Marley, non ho mai pensato di inserire il
reggae nella mia musica. Più avanti nel tempo, dopo aver sentito alcune intelligenti
contaminazioni americane, su tutte quelle dei 10 CC, ho capito che si poteva prendere qualcosa
dal reggae, se non il linguaggio musicale almeno il movimento ritmico e armonico, e mescolarlo
ad altri suoni. Il mio esempio era l’album dei 10 CC Bloody tourists, dove i suoni reggae erano
dichiaratamente falsi, non un tentativo di riprodurli pedissequamente, di rifarli o copiarli, quanto
piuttosto un modo di giocarci all’europea.” COTTO 1994: 70
89
COTTO 1994: 79
90
COTTO 1994: 79, 80
91
COTTO 1994: 83
59
Il primo brano, Panama, che riassume queste caratteristiche, “è un assurdo
visivo”, ed è una canzone “strutturata come un cortometraggio, un video. Ci
sono entrate e uscite, inquadrature e stacchi”. Questo richiamo alla
metodologia cinematografica, a creare le canzoni come piccole scene, è
tipico di molte canzoni di Fossati, che ama intessere scenografie agli eventi
che racconta, evidenziare concetti come con uno zoom, creando immagini
visive, “nette e precise, costruite in sequenze spezzate in flash e ricomposte
narrativamente attraverso le suggestioni che evoca”.92
Anche il fatto di scrivere spesso in prima persona rimanda alla
drammaturgia, poiché, come egli stesso ha affermato, ogni volta che
racconta in prima persona è come un attore che si cala in un personaggio.
Così in Panama è il “comandante di una galera” che trasporta “esplosivo e
fuoriusciti” e che, perso in mezzo al mare, non trova il suo porto di attracco.
Tornano dunque i temi del mare e del viaggio, metafora della vita, e tornano
quelli del treno e della stazione. La signora cantava il blues (“che fa in
qualche modo riferimento e Billie Holiday”)93, in cui si racconta di un treno
in corsa e di una donna che, cantando blues, aspetta che il treno passi sulle
colline per buttarsi giù; è uno dei primi episodi dove l’autore mette in scena
“la fuga”. Stazione racconta invece un episodio surreale che prende spunto
da un racconto di fantascienza, dove una comunità decide di vivere in una
stazione sotterranea della metropolitana perché la vita in superficie è
diventata impossibile.
Un altro riferimento al treno (“io non sono un treno”) è in Boxe in cui si
accomuna “l’arte del pugilato coi suoni del jazz”. Il riferimento è a Paolo
92
BALDAZZI-CLAROTTI-ROCCO 1990: 313
93
COTTO 1994: 83
60
Conte e a certe immagini di boxeur e jazzisti del cinema anni ’50. Fossati
chiarisce che il brano racconta le storie parallele di un pugile che fa il
benzinaio e di se stesso. La metafora del Boxe più immediata è quella delle
botte prese, ma c’è anche un aspetto che riguarda “l’impotenza affettiva”
(“le dolcezze che non si riescono a mettere in pratica, l’incapacità di certe
persone a esteriorizzare i sentimenti”). Concetti che derivavano anche da
una certa sfiducia in se stesso, o almeno del suo lato sentimentale, che
soprattutto da giovane era turbolento e instabile.94
D’amore trattano invece La costruzione di un amore, J’adore Venise e Se ti
dicessi che ti amo, tra le più belle canzoni scritte da Fossati tanto da averle
riprese, a distanza di anni, dal vivo. La prima, a detta della critica, è una
delle più belle canzoni sull’amore che siano mai state scritte, un piccolo
capolavoro, particolarmente significativo e rappresentativo del suo lavoro.95
Come anche Massimo Cotto osserva, La costruzione di un amore unisce due
termini che quasi mai vengono accostati: “costruzione”, che evoca fatica e
lavoro, e “amore”, che di solito è pensato come fuga dalla fatica e dal
lavoro.96 Per Fossati “l’amore è, fondamentalmente, grande fatica. Prima di
tutto perché bisogna trovarlo, stanarlo, catturarlo. Poi perché bisogna
incanalarlo, pilotarlo, viziarlo. Infine perché bisogna tenerlo, che è sempre la
94
COTTO 1994: 82
95
“Ho ripreso La costruzione di un amore perché quendo uscì ebbe poco successo. […] Ma era
una canzone che mi seguiva ovunque andassi[…]. Rendersi conto che una canzone continua a
camminare con le sue gambe, indipendentemente da me, fu una rivelazione bellissima. Compresi
quanta strada avesse fatto nel 1986, quando tornai a esibirmi dal vivo […], quando attaccai La
costruzione di un amore ci fu un boato spaventoso […], decisi di riprenderla. Per felicità ma anche per riconoscenza verso una canzone che mi aveva atteso tanto a lungo. COTTO 1994: 133
96
Lo stesso Fossati commenta: “L’accezione dell’amore come fuga e sollievo non è più accettata
da nessuno, se non nei film”. COTTO 1994: 132
61
parte più difficile. L’amore è laboriosità, dedizione, impegno. L’amore è
un’impresa che ha bisogno di una costruzione”.
Brano intenso, profondo, per certi versi forte, e a tratti duro, nasconde una
certa sfiducia dell’autore nei confronti di un amore durevole, un amore per
tutta la vita, che possa crescere e durare.97 Una sfiducia frequente in Fossati,
che talvolta si accompagna però alla “meraviglia” di vedere, nonostante
tutto, il proprio amore crescere e innalzarsi “fino al cielo”.
J’adore Venise è una “confessione, la voglia di essere da un’altra parte, di
sfuggire a certe avventure inutili. È una canzone vagamente metafisica.
Racconta la sensazione, imbevuta di ansia e di egoismo, che è propria di
molti uomini e di molte donne, di andare via, una volta concluso un incontro
amoroso. Ci sono anche delle frasi pesanti ma vere come “i motivi di un
uomo non sono belli da verificare”.98
Se ti dicessi che ti amo è “una delle canzoni più tristi” del’intero repertorio;
“più che triste è tragica, con una visione degli affetti drammaticamente
negativa”.99
Tra un album e l’altro, nel 1982 produsse per la Cgd il nuovo disco di
Loredanda Berté, Traslocando. Oltre che delle canzoni Fossati si occupò di
scegliere e contattare i musicisti e dello studio in cui eseguire le
97
Prosegue: “Gli uomini e le donne, per quanto sostengano di divertirsi a collezionare più partner
possibile, in realtà hanno un unico grande sogno in testa: un amore per tutta la vita, un amore che
duri anche oltre. Io credo di essere l’eccezione che conferma la regola, perché non ci ho mai creduto e non l’ho dunque mai cercato. […] Ho intitolato il brano La costruzione di un amore perché
per evitare che l’amore cada miseramente a terra si cerca di costruirgli addosso delle impalcature
che lo sostengono […] Ma secondo me se devono cadere cadono comunque. Il tentativo di salvarli però c’è sempre”. COTTO 1994: 132-133
98
COTTO 1994: 81
99
COTTO 1994: 84
62
registrazioni. Le fatiche del lavoro furono ripagate da un grande successo,
soprattutto grazie alla celebre Non sono una signora.
Nel 1982 ricordiamo anche il premio della critica al festival di Sanremo per
E non finisce mica il cielo, interpretata dall’indimenticabile e insostituibile
Mia Martini, insieme alla quale lo stesso anno scrisse anche Vecchio sole di
pietra, inserita nell’album della cantante intitolato Quante volte…ho
contato le stelle.
L’anno successivo la Berté passò alla Cbs e chiese a Fossati di produrle un
altro disco. Nacque così Jazz, grande successo che conteneva tra le altre il
brano Jazz, un rifacimento della nota canzone brasiliana Sina di Djavan,
tradotta anche in altre lingue. Nonostante le tante richieste di produrre altri
lavori Fossati preferì abbandonare quest’attività, per dedicarsi interamente ai
“suoi” dischi. Farà qualche eccezione più tardi, come nel 1985 per la
produzione di Scacchi e tarocchi e Miracolo a Venezia per Francesco De
Gregori.
Nel 1983 uscì Le città di frontiera, raccolta interamente prodotta e
realizzata da Ivano Fossati, dedicata a Randy Newman, musicista da lui
molto amato; questo nuovo album segna il passaggio a una nuova casa
discografica, la Cbs (ora Sony), che lo accompagna ancora oggi dandogli
costante e totale libertà. Questo cambio calzava a puntino col momento
artistico che Fossati stava vivendo: “avevo appena trovato me stesso, ma ero
ansioso di conoscermi meglio”, in una fase di “eccitazione artistica, con
molta voglia di fare”.100
100
COTTO 1994: 85
63
Su Music (giugno-luglio 1983) di questo LP si dice: “È soltanto un album di
Fossati, un disco dove Fossati è stato solamente se stesso, un musicista che
non si lascia condizionare e cerca di essere coerente anche a costo di
sacrificare a questa coerenza le gratificazioni di un successo più facile.”101
La musica che gira intorno, brano d’apertura, come Fossati spiega, è una
“canzone importante”, “una via di mezzo fra l’autoritratto e una
dichiarazione d’intenti. In quel brano ho cercato di descrivere me stesso non
come ero, ma come sarei voluto essere. […] Così ho provato a descrivermi,
o meglio, a farmi descrivere da un altro, all’infuori di me. Accomunandomi
a una tipologia di uomini comunque in fuga, con i quali è difficilissimo
entrare in contatto, e dei quali si dicono sempre e solo i difetti e mai i pregi.
Il verso “la musica che gira intorno” ha un doppio valore semantico: non è
solo la musica, ma anche i tempi a girarci intorno, a noi che abbiamo nella
testa un maledetto muro.”
A questa canzone si accompagna un altro brano in cui si legano musica e
vita: Ma che sarà questa canzone, che riflette su quanto una canzone possa
diventare “una fotografia” di momenti e stati d’animo che stiamo vivendo.
Le città di frontiera parla naturalmente di città: Milano è la descrizione di
un luogo proiettato verso il futuro, che non dà spazio umano all’individuo,
“anticamera della Milano livida e sprofondata per sua stessa mano di I treni
a vapore (1992)”. Nella canzone l’autore definisce Milano “città di
frontiera” perché lontana, per lui che veniva “dalla provincia”, da Genova,
che per lui più che una città è una “gigantesca provincia”.102
101
BALDAZZI-CLAROTTI-ROCCO 1990: 314
102
COTTO 1994: 86
64
Di città si parla ancora in Un milione di città, piccolo quadro della vita
nomade, di gente per cui il viaggio è la vita, tanto da avere anche “il cuore
con le ruote”.
Traslocando è un brano scritto l’anno prima per Loredana Berté, ed è il
resoconto di un vero trasloco dell’amica. Il trasloco è un tema che affascina
Fossati, e che si può ricondurre a E di nuovo cambio casa, brano che infatti
è citato letteralmente in questa canzone. Il cambiare casa è un avvenimento
che è in qualche modo il bilancio di una vita, perché si riportano in luce tutte
le cose sepolte e dimenticate sotto la polvere del tempo, “tracce di attimi di
esistenza che hanno scavato solchi profondi”.103 Musicalmente richiama
ritmi centro-sudamericani, con un’impronta reggae (con il giro spezzato di
basso ed i contrattempi di chitarre elettriche, mischiati però al jazz-pop
dell’assolo della tromba di Guy Barker).104
Non poteva mancare una canzone sull’amore: Amore degli occhi, una delle
più intense riflessioni sugli intrecci dei sentimenti: amore, gelosia, rabbia,
rancore, perdono. Con una profonda malinconia, ancora una volta Fossati
canta l’amore sentito dolorosamente, e lo fa con parole sempre più intense e
toccanti, che paiono quasi un flusso di coscienza, tant’è che lui stesso l’ha
definita come “una canzone visionaria”.
Ancora più lancinanti sono le parole di Quante estati quanti inverni (“sopra
il mio amore / ci hanno messo una croce / ma era ancora vivo”), canzone sul
ritmo delle stagioni, sul trascorrere del tempo, su come il tempo cambi le
cose, a volte in modo irreversibile.
103
BALDAZZI-CLAROTTI-ROCCO 1990: 314
104
BALDAZZI-CLAROTTI-ROCCO 1990: 314
65
Gli altri brani sono I ragazzi cattivi, “un tentativo di canzone giovanilistica”;
Tico Palabra, “un fumetto serio su un disadattato, senza radici, volutamente
non ben identificato”. L’autore di questo brano inoltre ha detto: “Se avesse
maggior profondità sarebbe una figura letteraria”.105 Tico Palabra è un
“personaggio emblematico della solitudine itinerante”,106 “un guerrigliero
per qualcosa che va via”, “un antico volatore”, “un venditore”.
Cow boys è un brano significativo in quanto manifesta le sue future
intenzioni
di
allontanarsi
“definitivamente
dalla
cultura
musicale
americana”, esprime insomma il desiderio di riappropriarsi di un’italianità
sia musicale sia intellettuale.107
Il 1984 è un’altra data importante per Fossati, in quanto segna una svolta, un
cambiamento radicale e deciso, la scelta di percorrere una nuova strada, di
tracciare nuove linee, una nuova dimensione, non più da mestierante, da
professionista di canzoni, ma cercando e ricercando un prodotto artistico,
autentico,
sincero,
aldilà
del
semplice
successo
commerciale.
“Ventilazione108 – racconta l’autore – è il disco più importante della mia
carriera, perché di totale rottura con me stesso. Decisi che da quel momento
ogni mio disco doveva dire fino in fondo, parlare fino in fondo, fare ricerca
fino in fondo”.109
105
Citazioni tratte da COTTO 1994: 86-87
106
BALDAZZI-CLAROTTI-ROCCO 1990: 314
107
COTTO 1994: 86
108
Il disco fu autoprodotto dall’autore e edito dalla Cbs.
109
Con Ventilazione inizia infatti quella che lui definisce “la terza fase” della sua produzione.
COTTO 1994: 72, 89
66
Il disco è ricco di sperimentazioni, tentativi, prove all’interno della musica.
Esperimento inusuale è, ad esempio, quello della registrazione realizzata
facendo uso di ambienti naturali interni ed esterni allo studio, come scale e
corridoi, al fine di creare un effetto tridimensionale di profondità e
allargamento e dare una maggiore prospettiva, esperimenti che saranno
ripresi anche in seguito.
Questo lavoro nasce dunque dall’esigenza di “aria nuova”, di cambiamenti,
movimenti, dal bisogno di rinnovarsi ed evolversi. Ventilazione, la canzone
che dà il titolo all’album, sta appunto ad evocare questa volontà: bisogna
cominciare a dare aria alle stanze, ad aprire le finestre per tornare a respirare
l’aria della sera, e arieggiare significa anche rinnovare, trovare nuova
energia, per il fiato, e per il cuore. Come Fossati stesso spiega “ci sono
momenti storici in cui bisognerebbe aprire le finestre per far entrare aria
frasca; ci sono altri momenti, più tragicamente gravi e compromessi, in cui
aprire le finestre non basta più: serve la ventilazione forzata. Nel 1984 io
avvertivo l’avvicinarsi di quella situazione e invocavo l’installazione di un
gigantesco impianto di aria condizionata, che non è pura come l’aria fresca
ma aiuta comunque a non morire soffocati”.
Ricerca di aria nuova significa anche ricerca di nuovi luoghi, nuovi cieli,
nuovi orizzonti, e infatti tutto l’album è il continuo racconto di viaggi e
fughe: Viaggiatori d’occidente,110 Fuga da sud est, Le grandi destinazioni
descrivono situazioni troppo strette, l’insoddisfazione di ciò che si ha,
l’inappartenenza a una terra, l’illusione che in un altro continente si possa
trovare maggior fortuna, l’angoscia del fuggitivo.
110
Il brano contiene un riferimento a Checov: “Il finale del Giardino dei ciliegi è buio teatralmente. […] Mi sembrava, quella di Cechov, un’immagine adatta alla storia che stavo raccontando.” COTTO: 91
67
Nel disco si trovano altri brani che richiamano al viaggio: Il pilota, colui che
sorvola le terre e domina i cieli, colui che “non porta mai pensieri pesanti”,
colui per cui “la terra non finisce mai troppo lontano”,111 una figura, quella
del pilota e dell’aviatore, che torna spesso nei soggetti delle canzoni di
Fossati. “ La canzone è un po’ malinconica perché la tecnologia ha tolto la
mitologia”: niente è lontano, ogni luogo è raggiungibile in poco tempo tanto
da poter essere in meno di 24 ore dall’altra parte del mondo. Tutto ciò “è
molto bello ma anche malinconico. Ti viene a mancare la grandezza delle
cose; nessun posto è così lontano da diventare mitico, da consumarsi prima
nella fantasia che nella realtà”.112
La locomotiva, traduzione letterale di The Rail Song di Andrian Belew
(chitarrista dei King Crimson), è il rimpianto di un mezzo antico, “dalla
bellissima voce” e dai “lunghi segnali soffiati” (richiama anche
musicalmente i suoni e il movimento del treno), la cui fine, iniziata con il
primo jet, è descritta come la perdita di una donna amata, qualcosa che “non
tornerà indietro mai”.
Tutta la raccolta è percorsa oltre che da viaggi e viaggiatori, anche da amori
e amanti, sempre e comunque tristi, perduti, amori cui dare aria nuova,
amori lontani, da rincorrere, cercare, amori soli. Parlare con gli occhi è uno
dei brani più belli e intensi sui sentimenti e sull’incapacità di svolgerli (tema
che ritorna in altre canzoni): “I sentimenti sono temi di cui sai il titolo, di cui
hai in mente lo svolgimento, ma che non riesci a mettere giù, a tirare fuori.
111
“Perché al giorno d’oggi le terre una volta lontane sono diventate molto vicine. […] Non c’è
niente di veramente lontano.” COTTO: 92
112
COTTO: 92
68
[…] Parlare con gli occhi è questo: l’incapacità di dire le cose nel modo
giusto”.113
Come Cotto osserva in Ventilazione le donne sono sempre lontane, fuggono
e sfuggono; l’autore stesso lo conferma: “Si, le donne sono tenute lontane,
sullo sfondo. Forse inconsciamente, tenere l’universo femminile in distanza
faceva parte del mio progetto di rigenerarmi e di cambiare. Avevo creato
una barriera, per non lasciar passare le donne. Ogni tanto riuscivano a
filtrare, ma venivano di nuovo subito allontanate. Dovevo tener desta
l’attenzione sulla musica nuova che, in quel momento, mi girava intorno”.114
Musiche e ritmi sono in tutto il disco perlopiù ancora fermi agli schemi del
rock, ma si intravedono accenni a ritmi etnici e a musiche orientali, come
nell’introduzione strumentale e come la presenza di scale greche in Fuga da
sud est e arabe in Buona notte dolce notte.
Il disco contiene anche due canzoni prese in prestito da altri autori: una è la
già citata La locomotiva, l’altra è una rivisitazione di Boogie di Paolo Conte.
700 giorni,115 premiato dal premio Tenco come miglior album del 1986, “è
la logica prosecuzione di Ventilazione, solo fatta con più mezzi e con una
maggiore dimestichezza con le sperimentazioni.[…] 700 giorni è il tempo
minimo per radunare le idee per un album e metterle in pratica (è uscito
113
“È molto autobiografico. Io sono così. So perfettamente che sarebbe sufficiente spostarmio di
un millimetro per risolvere molte cose.” COTTO: 95
114
COTTO: 96
115
Prodotto da Allan Goldberg (sempre pre la Cbs), tecnico e arrangiatore di Johannesburg, porterà sostanziali contributi anche ai due LP successivi, infondendo in questi lavori le sue conoscenze delle tradizioni ritmiche sudafricane.
69
infatti, come di consueto per l’autore, a distanza di due anni dal
precedente)”.116
Già dall’album precedente Fossati aveva manifestato la volontà di rinnovarsi
e di andare avanti nella ricerca. Per realizzare questo lavoro ha infatti
studiato maggiormente diversi tipi di musica, ricercando ritmiche inusuali,
modi differenti dai soliti, spinto dall’esigenza di allontanarsi dagli stilemi
del rock in particolare da quelli americani, troppo legati all’industria
discografica, e mosso inoltre dal desiderio di conoscere e sperimentare
scansioni della musica popolare di varia derivazione.
La costruzione ritmica di alcuni brani della raccolta è infatti ispirata da certa
musica popolare sudafricana contemporanea, come in Buontempo117 che dà
inizio all’album con note di allegria e che dà l’idea del tempo che passa, ma
anche di movimento, attività; è infatti, come l’autore stesso lo definisce, un
“ironico invito all’ottimismo”.118
Altri andamenti ritmici e armonici del disco sono liberamente ispirati a
tradizioni musicali europee, esperimenti che Fossati userà sempre di più nei
suoi lavori.119
L’interesse alle altre culture non è pura curiosità, ma dipende dal fatto che il
suo canto nasce, come sempre, dall’affetto e dall’attenzione verso l’umanità
intera, le diversità, verso terre e mari di ogni dove, verso uomini e donne
sofferenti e non, dall’amore nei confronti della vita tutta, ancora e sempre
con voce di speranza, contro le guerre e ogni forma di male.
116
COTTO 1994: 111, 112
117
Il termine “buontempo” è diventato di uso comune come augurio tra i “fossatiani”.
118
COTTO 1994: 112
119
Vedi le note all’album.
70
In 700 giorni infatti non si parla solo di amori e di amanti, di vite vissute e
danzate, non c’è solo buontempo, bensì anche tempo di guerra, in cui i
soldati vanno a morire, un tempo di desolazioni, di solitudini.
Il secondo brano, Dieci soldati, come manifesta il titolo, parla di guerra,
della guerra vissuta dalla gente, dai ragazzi. Come Massimo Cotto scrive, è
un racconto più metafisico che realista, un miscuglio di tempi, una storia
dalla struttura narrativa in sequenze, come piccole scene, nata dal ricordo
della madre sulla creuza vicino a casa, appiattita contro il suolo per le
bombe.120
Sentimenti simili compaiono nel brano Il passaggio dei partigiani, ispirato
dai racconti di Fenoglio, che rappresenta, anche musicalmente, l’ansia e la
paura di chi vive in guerra, continuamente sotto pressione, per il pericolo
incalzante.
Come si è detto, il tema della guerra è uno dei più presenti nei lavori di
Fossati, egli si schiera fermamente contro ogni forma di violenza, odio,
oppressione, tirannia, contro l’ingiustizia di essere mandati a combattere, ad
uccidere e a morire, proclamando invece l’importanza della vita, della
solidarietà, dell’amore fraterno, per ogni essere vivente, il bisogno di
allegria, di danze, di libertà, di voli.121
120
“Davanti a casa: […] la creuza […]. È qui che mia madre si buttava a terra durante i bombardamenti. Ho scritto alcune canzoni sulla base dei suoi racconti, ma una in particolare, “Dieci soldati”, è nata su questi gradoni, ripensando a quando ritornava dal lavoro e per fare trecento metri
impiegava due ore, perché sentivi il rumore delle bombe e ti dovevi gettare a terra per evitare le
schegge. E i bombardieri che passavano piano sembravano rondini viste da terra”. COTTO 1994:
29-30
121
L’autore ha inoltre dichiarato: “ Sono un pacifista convinto, gandhiano, uno di quelli che oggi
vengono sbeffeggiati dal pensiero dominante. Ancora adesso, a cinquantanni, non riesco a concepire nessuna giustificazione all'idea di guerra. La guerra non è mai, mai giustificabile. Soprattutto
quando si pensa di bombardare un popolo oppresso con la scusa di punire l’aggressore. Ma è già
un errore fare distinzioni: no alla guerra e basta”. Vedi www.ivanofossati.net.
71
La voglia di vivere con leggerezza ma non con superficialità, cantata altre
volte dal nostro autore, in brani come Buontempo, si trova in Una notte in
Italia, una delle sue più belle canzoni (anche a parer suo).122 È un canto
all’amore, alla vita, alla “bellezza di esserci comunque, anche se il momento
non è dei migliori”, alla “fortuna di vivere adesso in questo tempo
sbandato”.123 La fortuna di avere un presente da vivere e un futuro da
costruire (“il futuro che viene a darci fiato”), la fortuna di poter ancora
sognare luoghi lontani (“questo vento che sa di lontano e che ci prende la
testa”), e di poter cantare, anche una canzone semplice (“questa musica
leggera così leggera che ci fa sognare), con umiltà e semplicità, senza grandi
pretese, ma sapendo che si può sempre dare di più, crescere, migliorare. E
ancora canta la fortuna di amare, o almeno di poter provare ad amare (“io
che cerco di copiare l’amore / ma mi confondo”), anche constatando che si
ha ancora tanto da imparare (“o saranno le mie mani che sanno così poco
dell’amore”), la fortuna di vivere comunque (“ma più di tutto questo è già
più di tanto”), anche se la vita è fatta di errori (“i biglietti senza ritorno dati
sempre alle persone sbagliate”), sofferenze, sconfitte, solitudini (“il vino
bevuto e pagato da soli alla nostra festa”) con la speranza che ci saranno
tempi migliori per noi. Il ritmo della canzone è lento e profondo, e ricorda
quello dei battiti del cuore, elemento che, in linea con il testo, richiama alla
vita. Qui Fossati, legando concettualmente vita e musica, come già aveva
fatto, parla di musica leggera (“è tutta musica leggera / ma come vedi la
dobbiamo cantare”), intendendo con questo termine la musica discografica,
e sostenendo che è dalla semplicità di questa musica che bisogna partire,
122
“Una notte in Italia mi piace moltissimo. Me la porto dietro con grande piacere in ogni concerto.” COTTO 1994: 114
123
COTTO 1994: 114
72
anche se si vuole andare molto al di là, così hanno fatto anche i più grandi
cantautori e chansonniers.
Problematiche esistenziali sono anche quelle di Non è facile danzare, in cui
la danza è metafora del vivere umano, visto come un grande saggio, dove
non ci sono solisti ma il movimento di ognuno ha senso come parte di quello
globale. La vita a volte è come un grande palcoscenico, un teatro, dove non
sono ben chiari i confini tra finzione e realtà (“che all’attore l’andata in
scena sembra senza ritorno”), verità e segreti, in cui ognuno ha il suo ruolo
da interpretare, con la paura di sbagliare (“la paura che è una tenaglia / che
ci chiude le gambe a tutti in un artiglio”), di non essere all’altezza, di
perdere tutto in una battuta detta male, o per un gesto sbagliato. E in questa
danza “non è facile danzare”, coordinarsi con gli altri, tenere il ritmo, non è
facile amare, né farsi amare, e spesso ci si sente soli, in mezzo a tanti (“in un
corpo di ballo di oltre centomila”), ma bisogna mostrare il sorriso,
continuare lo spettacolo.
Il sottotitolo è L’uomo da solo, perché quando si è soli ci si confronta con se
stessi, ci si guarda allo specchio, solamente con se stessi non è possibile
recitare una parte. L’uomo da solo “è un grande artista / è un commediante
nato / che prova il suo gesto nel segreto / e si presenta da sé ogni sera / nella
parte difficile di una vita vera”. “L’uomo da solo è un investigatore / che ha
delle piste da seguire”, investigatore di se stesso, il cui compito è autocomprendersi e a se stesso svelare la sua identità e il suo ruolo, in questa
grande commedia umana che è la vita (“e tira i lembi della sua vita / che la
pellicola gli sembra finita / e si domanda cosa ci sta a fare / seduto sul letto a
provare la parte / di una commedia di nessuna arte”).
73
Il tema della danza è anche nel brano finale: Giramore. Il ballo dell’amore
non può essere danzato da soli, perciò perdendo il compagno ci si chiede
come si farà a danzare (“come si balla senza te / come si farà stasera / cosa
succede senza te / come faremo ora”). La canzone è basata su una musica di
ispirazione scozzese che fa pensare ad un’allegra danza popolare, come un
girotondo in cui tutto ruota e passa, e poi ritorna e ancora gira (“gira la
danza giramore”). Girotondo anche di parole, che tornano, sempre le stesse,
come in un gioco, creando anafore, allitterazioni, ripetizioni, che
contribuiscono al ritmo della musica, una sorta di filastrocca.
Musica di stessa matrice celtica è quella del brano Gli amanti d’Irlanda
dove compare la figura dell’aviatore, significativa per l’autore e ripresa
come soggetto di varie canzoni, come il pilota, il volatore,124 figure di
viaggiatori viaggianti, esploratori del cielo, emblemi del viaggio, del volo,
della ricerca.
La casa è un brano che parla dei luoghi della giovinezza di Fossati. La casa,
come egli stesso spiega, non è la sua, ma un vecchio palazzone dove si
incontravano i ragazzi per suonare, ma non solo.125
Del 1987 è il brano Carmen, scritto con Ornella Vanoni, una delle più
grandi interpreti di Fossati, per il suo disco O (per la Cgd). È una canzone
struggente, la storia di un amore “orgoglioso, indiscreto, arrabbiato,
impietoso, sfacciato”, “spezzato, ferito, umiliato, insicuro e senza più fiato”,
124
“Il Volatore” è anche il nome delle edizioni musicali di Fossati.
125
Prosegue: “Ci spiegavamo gli accordi, ci scambiavamo informazioni. […] La casa si affacciava sulla piazza. Da lì vedevamo uscire gente in continuazione, come se quel palazzo fosse una
grande bocca: ragazzi e ragazze si fidanzavano, si guardavano alla finestra, si tiravano i messaggi
dal balcone, si davano gli appuntamenti nel sottoscala, di nascosto alle madri, litigavano e si
mettevano con altri. E sotto, nelle cantine, i ragazzi suonavano. Li guardavamo con sana invidia.”. COTTO 1994: 115
74
un amore “che non si può raccontare”, eppure di cui si coglie tutta la
grandezza e il dramma.
Lo stesso anno la canzone Le notti di Maggio, eseguita a Sanremo da
Fiorella Mannoia, altra importante portavoce di Fossati, vince il premio
della critica. Per la Mannoia Fossati scriverà molte altre canzoni, fra cui
Lunaspina e Baia senza vento, per l’album Di terra e di vento del 1989.
Nel 1999 la cantante interpreterà L’amore con l’amore si paga e Oh che
sarà, traduzione della canzone di Jobim (incise entrambe dalla cantante
nell’album dal vivo Certe piccole voci).
La pianta del tè, prodotto nel 1988 da Allan Goldberg (ancora per la Cbs),
rappresenta per Fossati un salto in avanti, sia qualitativamente (“contiene
emozioni e contenuti espressi in bella forma”)126 sia perché, grazie al
successo del disco, da lì in poi ha potuto “navigare con libertà totale”. Egli
stesso dichiara: “La canzone è diventata il mezzo per dire quello che mi sta a
cuore senza più nessuna preoccupazione commerciale, né mercantile, né di
immagine, né di altro”. Il passo in avanti consiste allora nel fatto che le
canzoni non devono più esser fatte “per suonare bene alla radio, non devono
più prestarsi alle classifiche, non devono fare niente più di ciò che possono,
devono essere soltanto un’espressione di quello che si riesce a dire in quel
momento, con un buon rigore, con una buona forza”.127
Il tè è assunto a emblema di questa raccolta con un grande valore simbolico:
“dimostra che quello che andiamo cercando nella vita, ciò che è davvero
importante, non è detto che sia necessariamente grande e immenso. Magari
126
COTTO 1994: 129
127
FOSSATI 2001: 37-38
75
ha forme e dimensioni ridottissime come le foglie di una pianta di tè, eppure
è importantissimo”.128 Spesso non ci si rende conto del valore delle cose,
della loro essenza, di quanto possano essere fondamentali, essenziali per noi;
siamo ciechi, in questa società di immagine e apparenza non vediamo ciò
che abbiamo davanti, a meno che non sia grande ed eclatante, e non capiamo
invece che anche un sorriso, un gesto, una parola, un piccolo uomo fra tanti,
una nota o una canzone, possono avere un immenso significato.
La copertina rappresenta un’antica carta navale (Mediterraneo orientale e
Mar Nero), e ha la funzione, oltre che di richiamare al viaggio, tema come
sappiamo fondamentale per Fossati, di simboleggiare l’importanza del
mediterraneo (e non solo), presente in tutto il disco, attraverso viaggi e
miraggi, viaggiatori, terra da cercare e dove andare, posti davanti al mare,
ponti, e ancora attraverso Genova e i genovesi, e poi amori, e lontananze.
La pianta del tè, la canzone che dà il titolo all’album, fa subito entrare in
un’atmosfera etnica attraverso suoni magici, suggestioni di colori e
fragranze esotici, terre lontane, a metà fra il Mediterraneo e l’oriente, per
sconfinare negli orizzonti andini evocati dal flauto di Uña Ramos, presenza
fondamentale in tutto il disco.129 Dietro le immagini del brano si nasconde
un significato più profondo, un viaggio all’interno della coscienza, volto a
mostrare e dimostrare che le cose vanno sapute guardare: basta una luce
diversa, come quella della luna, per farle vedere in maniera differente, e poi
c’è un modo di guardare che non ha bisogno di occhi perché “chi si guarda
nel cuore / sa bene quello che vuole / e prende quello che c’è”: bisogna
128
COTTO 1994: 130
129
Quello con Uña Ramos “è stato un incontro molto importante, quasi fondamentale[…] mi fece
capire che ero sulla strada giusta. […] Il suono era rivoluzionario, non vecchia musica andona.
Uña suonava il flauto di pan, flauto a canne che loro chiamano antara”. COTTO 1994: 131
76
saper riconoscere il valore di ciò che abbiamo, perché spesso, da qualcosa
apparentemente semplice e piccolo, come per esempio le foglie di tè, si
possono avere cose molto importanti e preziose.
La canzone ha anche una seconda parte, strumentale, inserita a metà della
raccolta, caratterizzata anch’essa dalla melodia andina del flauto di Uña
Ramos che crea un’ambientazione etnica e la rende piena di fascino e
mistero.
Terra dove andare ha un ritmo del tutto diverso (in levare), più occidentale,
quasi un reggae italiano, caratterizzato dal suono della fisarmonica che dà
un’impronta popolare.
Dal titolo ci aspetteremmo una canzone sul viaggio; in realtà, come l’autore
spiega, è un pezzo scritto in un periodo politicamente difficile, in cui la
sinistra non era più la stessa, non dava più punti di riferimento, perciò le
giovani generazioni cresciute sotto i suoi ideali, rimanevano disorientate,
senza sapere cosa fare, come muoversi, senza terra dove andare.
Di terra dove andare, di viaggi, questa volta in senso letterale, si parla nel
brano Le signore del ponte-lance, “canzone da naviganti” sulla seduzione
reciproca tra le belle signore francesi piene di charme che viaggiano sulle
navi, e gli affascinanti e affascinati marinai italiani, che lentamente si
vedono invecchiare sulla nave.
L’uomo coi capelli da ragazzo prende spunto da una storia vera: nel periodo
in cui venivano chiusi i manicomi un uomo era stato rimandato a casa, ma
non c’era più nessuno ad aspettarlo, era completamente solo e privo di
orientamento per continuare a vivere.
L’uomo ha i capelli da ragazzo
perché l’autore immagina “i malati di mente con facce da bambino e capelli
77
folti e cortissimi, da persone non cresciute”.130 Il suo mondo immaginario, è
quello che lui stesso si è creato, l’unico in cui può vivere e che naturalmente
pensa essere il mondo oggettivo, tanto da pensare che “chi venisse a
prenderlo / una domenica / vedrebbe che bel mare che c’è”. Ma nessuno
andrà a prenderlo perché è rimasto solo, solo nella sua realtà fantastica
(“quando a un acuto dolore segue / una più acuta fantasia”), in cui è
possibile anche trovare il mare in Lombardia. In una condizione come la sua
si perde la cognizione della realtà, e il valore delle cose, si perde la
memoria, per cui anche un ricordo “non è uomo / e il più delle volte
nemmeno donna”, “è il tempo che sta seduto a mettere i numeri in colonna”,
e non si può “tracciare una rotta”, “dare una via”, immaginare un futuro; c’è
solo il presente, visto in maniera offuscata, con gli occhi dalla follia, in
totale solitudine (“tiene l’anima per sé”).
Ancora una volta dunque Fossati affronta un tema d’impegno sociale,
prendendo come soggetto una vita sofferta, una vita consumata nel dolore e
nella solitudine, eppure ricca di valore, e perciò degna di essere cantata.
La volpe131 è una canzone enigmatica, piena di mistero, di ombre. Il brano
infatti inizia con una domanda: “che sarà quest’ombra in fondo al viale di
casa mia?”. Una domanda che genera immediatamente inquietudine,
agitazione, soprattutto per la presenza dell’ombra, che ha solitamente una
connotazione negativa, e ancor più per il fatto che quest’ombra è vicino alla
propria casa, e dunque fa insorgere la paura che possa essere qualcosa di
pericoloso. L’autore spiega: “La volpe è l’incognito, il mistero, un’ombra
che si muove sulla strada di casa o su qualsiasi percorso umano. E tu provi a
130
COTTO 1994: 134
131
La canzone è cantata insieme con Teresa De Sio.
78
spiegarla razionalmente, a interpretarla, ma sai fin dall’inizio che
quell’interpretazione non basterà, non sarà sufficiente a spiegare il
mistero.”132
La canzone si chiude – o non si chiude – comunque con un interrogativo
(“sarà?”), che lascia aperta ogni ipotesi, anche che quell’ombra fosse
soltanto un miraggio, un’illusione di qualcuno che sta ad aspettare e a
guardare che non ci sia qualcosa di nuovo, magari proprio quello che stava
aspettando, forse, chissà, proprio l’amore, “l’amore che ha trovato la
strada”.
Questi posti davanti al mare (miglior canzone all’edizione del 1988 del
premio Tenco) è una “dichiarazione d’amore”133 da parte del nostro autore
genovese per la riviera ligure, per i suoi posti, quelli che ama di più, ma è
anche una canzone sui liguri, in particolare sui genovesi.
Da “questi posti davanti al mare / con questi cieli sopra il mare / quando il
vento riscalda a suo tempo il mare”, dunque nella bella stagione, i ragazzi
(le cui voci, nel brano, oltre quella di Fossati sono quelle di Fabrizio De
Andrè e di Francesco De Gregori) aspettano le ragazze che arrivano da
Firenze, Milano, Torino, per andare al mare, e loro le osservano, le
descrivono, divertiti e inebriati dal loro passaggio. Qui si manifestano
dunque i difetti dei liguri, le loro debolezze:134 “ siamo come orsi, goffi e un
po’ ridicoli, e inclini ad accusarci di tutto, a dire che la colpa è nostra anche
132
COTTO 1994: 69
133
“Questi posti daventi al mare è una grande cartolina, una dichiarazione d’amore per questi
trenta chilomerti di costa che vanno da Recco a Sestri Levente, che sono, è giunto il momento di
ammetterlo, gli unici posti al mondo dove potrei vivere. Posso viaggiare in eterno ma devo tornare qui.” COTTO 1994: 134
134
“I genivesi, come tutti i liguri, sono esattamente come li dipingono: chiusi, musoni, parsimoniosi”. COTTO 1994: 21
79
quando non lo è. Non ci piacciono le giustificazioni, ecco. Siamo fin troppo
capaci di vedere i nostri difetti senza perdonarci”.135
La Liguria è presente anche in un altro brano della raccolta e ha come
protagonista Genova. Chi guarda Genova contiene “alcune descrizioni della
città e delle atmosfere genovesi che sono valide ancora oggi e che
probabilmente lo saranno sempre”.136 È una canzone critica, ma che
nasconde l’affetto che l’autore continua a provare per la sua città. 137 “Chi
guarda Genova sappia che Genova / si vede solo dal mare: infatti come lo
stesso Fossati spiega, “se vuoi avere un’idea della sua bellezza antica,
Genova la devi vedere dal mare. Essendo schiacciata sulle colline, è stata
costruita per forza di cose in modo teatrale. Quando cammini fra i vicoli,
nelle strade, è come se fossi sul palco, in quinta. Vedi tutto il brutto[…]. Se
invece prendi una barchetta e ti sposti di sole due miglia, meglio se in un
giorno di sole, vedi una città meravigliosa e rimani incantato.[…] I marinai
che salpano o ritornano a Genova si innamorano ogni volta, perché è come
se ne prendessero di nuovo possesso, dopo tante difficoltà e tanto
viaggiare.[…] Nessun luogo ti consente di stringere Genova in un grande
abbraccio come il mare”.138
Nella canzone Genova viene definita come “un porto di guerra senza nessun
soldato / senza che il conflitto sia mai stato dichiarato”. Questo è un
riferimento al fatto che “dopo le guerre commerciali e gli splendori del
135
COTTO 1994: 134-135
136
COTTO 1994: 135
137
Ad un certo punto della canzone l’autore si rivolge direttamente a Genova: “bella signora che
mi lusinghi / citando a memoria le mie canzoni / il tuo divano è troppo stretto / perché io mi faccia delle illusioni”. Questa parte è spesso fraintesa perché viene interpretata con un doppio senso.
In realtà, si riferisce a quando la città, durante un concerto, lo accolse finalmente con l’affetto e la
stima che prima non gli aveva mai dimostrato.
138
COTTO 1994: 17-18
80
passato, negli scorsi decenni è stata teatro di grandi lotte sindacali, quando il
porto cominciava a perdere colpi.[…] Il dramma è stato che Genova da
sempre risente dell’atmosfera del porto, si specchia in ciò che avviene
intorno all’acqua. Quindi le alterne fortune del porto di Genova sono state
anche le alterne fortune della città”.139
“Genova è una città assopita, sonnacchiosa, sorniona. Genova è come quei
gatti che fingono di dormire, ma ti guardano di sottecchi. Un occhio aperto e
uno chiuso, per controllare quello che succede, per essere sempre pronti in
caso di pericolo. Genova ha sempre avuto mille problemi. La sua grande
forza era il porto, e quel porto oggi è quasi morto, incapace di riprendersi.
[…] Per lungo tempo Genova è stata causa del suo male. Genova ha subito
un decadimento lento ma inesorabile per anni. […] L’unica vera grandezza
di Genova è stata la sua capacità di non morire mai, nonostante le mille
ferite. Perché, non chiedetemi come, la cultura genovese non muore, subisce
cambiamenti magari anche in peggio ma non si arrende. Per questo Genova
è una città disastrata, danneggiata, offesa, scalfita, graffiata. Ma non
morente”.140 E per questo nella canzone si dice: “restiamo volentieri ad
aspettare / che la nostra casa riprenda il mare / e non dovremmo sbagliare”.
Perché ci si aspetta che Genova ritorni ad essere la bella e splendente città
che era ai tempi della sua grande potenza sul mare.141
139
COTTO 1994: 135-136
140
COTTO 1994: 19-20
141
Chi guarda Genova è stata paragonata a Genova per noi di Paolo Conte. In realtà, come Massimo Cotto spiega (anch’egli è astigiano, come Conte), Genova per noi non è una canzone su Genova, ma sugli astigiani che guardano Genova. E Fossati d’altra parte dice: “Paolo Conte ha una
visione di Genova meravigliosamente lontana, come fosse l’orizzonte inarrivabile di un sogno.[…] Io ho raccontato Genova da dentro, la sua lentezza, i suoi errori, i suoi limiti”.
81
La costruzione di un amore è una “vecchia” canzone che faceva parte
dell’album Panama e dintorni del 1981. Con qualche piccola modifica è
stata qui ripresa dall’autore (caso più unico che raro, a parte la raccolta e gli
album dal vivo) come gesto di gratitudine e di affetto vesto il brano.142
Con Caffè lontano il disco si chiude, come era iniziato, evocando un altro
elemento che è stato, ed è ancora, molto importante per il commercio e gli
scambi nel mondo: il caffè, come il tè, piccolo ma prezioso. A richiamare
posti lontani ed esotici è anche la musica, quasi orientaleggiante.
Caffè lontano è la canzone di un addio, carica di sentimenti nostalgici,
desolante come l’irrimediabilità del destino, una delle più tristi ma intense
dell’intera produzione del nostro autore.
Discanto è “un atto di affetto e di stima per la gente del Mediterraneo. Un
disco scavato, ricavato dalla parte latina della mia coscienza”.143
Svincolandosi da una diffusa sudditanza nei confronti dello stile e del
pensiero musicale anglossassone, Fossati sembra voler ritrovare qui, nello
spirito latino e mediterraneo, nuovi percorsi artistici e poetici. Attraversa
così le terre che vanno dalla Liguria al Portogallo passando per il Sud della
Francia e l’Andalusia fino al confine ultimo dell’Europa, Cabo de Roca,
traendo ispirazione, nei nove brani di questa raccolta, dalle musiche di
tradizione orale e, in generale, dalle narrative popolari di quelle regioni.
142
“Ho ripreso La costruzione di un amore perché quendo uscì ebbe poco successo. […] Ma era
una canzone che mi seguiva ovunque andassi[…]. Rendersi conto che una canzone continua a
camminare con le sue gambe, indipendentemente da me, fu una rivelazione bellissima. Compresi
quanta strada avesse fatto nel 1986, quando tornai a esibirmi dal vivo […], quando attaccai La
costruzione di un amore ci fu un boato spaventoso […], decisi di riprenderla. Per felicità ma anche per riconoscenza verso una canzone che mi aveva atteso tanto a lungo. COTTO 1994: 133
143
COTTO 1994: 140
82
Rispetto ai dischi precedenti Discanto, inciso nel 1990 (Cbs), vincitore del
premio Tenco come miglior album dell’anno, appare più meditato e, per lo
stesso Fossati, “costruito ed elaborato”. Motivo per cui è stato giudicato uno
dei suoi album più difficili, una difficoltà derivante non dall’artificio, ma
piuttosto dall’intensità della poesia. È infatti il risultato di un profondo
lavoro di ricerca, di fatica, di viaggi, di coraggio, alla riscoperta di nuovi
orizzonti, nuove immagini, nuove storie da raccontare, con un nuovo
linguaggio.144 “Il titolo – sempre nelle parole dell’autore – è polisemico:
indica una forma musicale discantica,145 ma anche la mia voglia di giocare
con due parole: incanto e disincanto”.146
Fossati ama usare parole con opposte connotazioni: come se, accostando due
significati contrastanti, le parole acquistassero un nuovo e più intenso
significato. Egli ama le ambiguità semantiche, perché, in effetti, tutte le cose
hanno un doppio lato: quello che si vede e il rovescio della medaglia.
Tutte le canzoni dell’album ruotano, infatti, intorno al tema dell’incanto e
del disincanto, immagini poeticamente dolci e leggere o dure, frutto di
un’amara disillusione; parole che, aggregandosi, producono questo singolare
“Discanto”: canto e controcanto che si intrecciano e contrappuntano.
Terra, terra secca, acqua e fuoco, vento: Discanto si presenta poeticamente
come una geografia di elementi, attraversati, vissuti, osservati da luoghi
144
“È stato giudicato il mio album più difficile. Credo sia una considerazione assurda, una leggerezza.[...] come si fa a criticare qualcosa definendola difficile, quando siamo quotidianamente
bombardati da prodotti facili e banali?[…] Vorrei che fosse maggiormente rispettato lo sforzo, la
fatica di chi cerca di proporre qualcosa di diverso. […] Nonostante quello che dicono i critici è il
mio disco migliore in quanto a energia e concentrazione, a desiderio e capacità di esprimere le
idee”. (COTTO 1994: 139)
145
Il termine Discantus è un termine latino impiegato dai teorici musicali del medioevo in diverse
accezioni, in particolare per indica una seconda voce, aggiunta ad un cantus firmus (melodia preesistente) e da essa complementare e contrastante.
146
COTTO 1994: 139
83
conosciuti, dalla storia. Barche, cammini, passi lenti, intermittenze e
speranze, lavoro; ancora una volta in viaggio: paesi lontani e luoghi
familiari, storie intime di affetti da ricordare, natura non sempre amica. Il
disco raccoglie attraverso i versi la persistenza stessa di quegli affetti, nomi,
parole, cose. E Fossati autobiograficamente racconta, scava, dona e
suggerisce il senso della parola, aperta, rivelata, offerta al suono.
Discanto, canzone che dà il titolo all’intera raccolta, appare quasi un
enunciato, costruito su continue anafore e asindeti. Un testo che può
sembrare un flusso di coscienza incontrollato o, al contrario, un’artificiosa
costruzione.
In questo discanto discantato, si trova la vita tutta, la vita semplice fatta di
respiro, pane e vino buono, di parole leggere, domande, risposte che non
arriveranno; una vita fatta di attese e incontri, feste, fortune rincorse e
raccontate, promesse, bellezze, sguardi, della vita che sorride al dolore, uno
qualunque fra i tanti. Dolore che nasce spesso da una vita velata, segreta,
mascherata come in un teatro, dalla vita amara, gridata, quella delle leggi e
dei divieti che limitano la libertà, quella delle ingiustizie; la vita delle falsità
e delle superficialità; dolore, vissuto, cercato, trovato in cammino o
conosciuto semplicemente nelle pieghe dei petali dell’unica rosa, dell’unico
amore, da sempre atteso.
Compaiono ancora una volta gli elementi fondamentali: acqua, vento, terra,
fuoco. E ritroviamo il tema del viaggio, che è anche il movimento
quotidiano, movimento incerto, intermittente che è quello scandito dai
“battiti del cuore”, dalle “fasi della luna”, dai “ritmi della terra”, o è il
movimento di una danza, di un ballo sociale, oppure è il cammino stanco di
chi fatica, passi sparsi, passi sbagliati, o ancora il rotolare via di tutto ciò che
84
corre e scorre. Ma c’è un ritmo diverso, quello della lentezza, del tempo che
ci afferra e ci inchioda, e ancora il tempo prezioso che si dedica alla
costruzione di qualcosa, e il tempo delle attese e della solitudine.
Un’altra amara canzone sul tempo e il suo passare è Passalento.147 Tempo
che non si fa raccontare, tempo a cui si ripensa, tempo di amore, di acqua, di
fuoco, di naufragi nel deserto.148 Tempo, nonostante tutto, di speranza, in cui
si può ancora cantare alla vita, alla fortuna di viverla, di avere ancora vele
tese verso un porto, vicino o lontano, un luogo dove tornare per farsi ancora
abbracciare. Perché il viaggio implica anche il ritorno, un ritorno al porto
amato, dove si ritrovano la casa e gli affetti.
Qui Fossati si allontana dalla forma-canzone classica, costruita sullo schema
strofa-ritornello, per tendere ad una testualità destrutturata vicina, a tratti, al
verso sciolto della poesia contemporanea, alla parola “in libertà”, quasi un
flusso di coscienza.149
Per quanto riguarda invece la musica, facciamo presente come, l’intera
canzone sia costruita sul ticchettio di un orologio da polso,150 che richiama il
tema dello scorrere del tempo evocato già dal titolo, una scansione
accentuata dall’ostinato fruscio delle spazzole sulla batteria.
Lusitania, titolo del primo brano, è il nome antico del Portogallo 151, “terra
dimenticata” e “terra d’oro”, per Fossati una delle più ricche di fascino e di
147
Nota anche nella bellissima versione dal vivo di Fiorella Mannoia (1999).
148
Tornano qui gli elementi fondamentali: acqua, fuoco, terra-deserto, vento che tende le vele.
149
Significativo è anche, nella prima quartina, il neologismo “passalento”, ottenuto con l’inusuale
accostamento di due termini, tecnica usata dall’autore anche in altri brani (vedi “quantomar” in
Italiani d’Argentina).
150
Come si legge anche nelle note del booklet.
151
Il termine deriva da Lusus, figlio di Bacco, secondo la mitologia il conquistatore del Portogallo.
85
bellezze da scoprire e riscoprire. Da sempre porto, approdo, fine e inizio di
nuove rotte. L’intera canzone, da un punto di vista poetico, è impostata sulla
figura retorica della personificatio della regione, una sorta di invocazione ad
un’ipotetica divinità eponima, che evoca la tradizione innodica medievale,
un devoto omaggio a questa grande “Bella Signora Nostra che ci appari e
scompari.”
Nel brano sono contenuti parole e concetti che si ritrovano in tutta la
raccolta: la terra, naturalmente, il viaggiare e camminare, fra salite e discese,
attese e rotte, e poi la gente, con i suoi volti e le sue fatiche, il lavoro.
Ancora il tema del viaggio, e ancora una volta il ritorno, viaggio per mare,
che si trasforma in viaggio all’interno del paese e della sua vita. Fossati usa
unire nelle immagini del viaggio terra, acqua, aria (come il naufragare nel
deserto in Passalento), accomunando i marinai agli aviatori, uniti dal
comune destino di viaggiatori erranti. Questo è il concetto che Fossati ha del
viaggiatore, affatto differente dal turista:152 “il Grande Viaggiatore è quello
che va in una terra e fa di tutto per conoscerla, per impararla, perché una
terra si può imparare. Si mette umilmente in ascolto, con la giusta apertura
d’animo, e attende di ricevere segnali. E impara la lingua (anche poco), la
cucina, come si legge, come si scrive, come si vive. Odio la figura del
turista, di quello che va all’estero con gli spaghetti nella borsa e la macchina
fotografica a tracolla[…]. I viaggiatori non fanno mai fotografie, perché
ricordano tutto, hanno ogni particolare nella mente e nel cuore. […] I
152
A tale proposito vedi anche la distinzione fatta da Alain de Botton: “I turisti hanno una mentalità ostile alle sorprese; possono gradire le novità[…] ma soltanto se conformi alle aspettative.
Odiano il dubbio, l’incertezza, l’equivoco […]. I viaggiatori, d’altra parte, viaggiano con pochissimi preconcetti, e sono meno sconvolti se le loro idee vengono contraddette da ciò che trovano.
La differenza sta nell’attitudine nei confronti dell’ignoto. BOTTON 1994
86
viaggiatori sono spesso gente da salvare,153 in quanto si ficcano in situazioni
impensabili per il turista. Il rischio di chi viaggia davvero è quello di
innamorarsi delle situazioni e dei luoghi, delle persone e delle culture,
dunque di fare naufragio per il troppo amore.”154
Nel finale c’è un coro femminile, quasi un canto di sirene, che richiama
melodie tipiche portoghesi, come il fado. Fra gli strumenti musicali
troviamo anche la chitarra a cinque corde doppie, strumento tipicamente
portoghese suonata però in modo differente da quello tradizionale;
caratteristica comune a molti altri strumenti popolari che appaiono qua e là
nella raccolta offrendo sonorità nuove e originali.
Un altro elemento di musica tradizionale usato in modo inconsueto si trova
in Lunario di settembre e in Confessione di Alonso Chisciano: è la corale
“Ars antiqua” che si occupa di musica del ’500 e ’600.
Lunario di settembre, scritta con la poetessa Anna Lamberti Bocconi, è la
storia vera del processo di Nogaredo (14 aprile 1647), in cui sette donne
furono processate per stregoneria e cinque di esse vennero condannate a
morte. La canzone è articolata in tre parti nettamente distinte: la prima è
costituita dall’accusa, in cui vengono elencati tutti i sacrilegi attribuiti alle
imputate; la parte centrale, che si distingue dalle altre due per minor
durezza, e per un certo lirismo, è un dialogo fra l’inquisitore e un’imputata
ed è tratto dalla poesia Alla luna della poetessa Lamberti Bocconi. La terza e
ultima parte riporta invece la sentenza, in cui, in forma declamatoria, le
accusate vengono dichiarate colpevoli e condannate.
153
Confronta il verso “viaggiatori viaggianti da salvare” nel brano I treni a vapore.
154
COTTO 1994: 60
87
Da notare la presenza di un coro che rappresenta voci femminili che
attraversano la canzone evocando il dolore e l’angoscia delle sfortunate
donne di Nogaredo e con esse, idealmente di tutte le vittime sacrificali della
prepotenza dei più forti.155 “Lunario di settembre […] non è una canzone
sulla caccia alle streghe, ma sui deboli impossibilitati a difendersi”.156
Anche Confessione di Alonso Chisciano è scritta, come Lunario di
settembre, con Anna Lamberti Bocconi. Qui prende vita un personaggio
letterario: don Chisciotte. “Mi sono divertito a scrivere una canzone
sull’unico punto che non condivido di quel lavoro, ovvero il rinsavimento
del don Chisciotte vecchio, sul letto di morte. Cervantes[…] non ha osato
andare fino in fondo nella sua provocazione. Don Chisciotte è l’uomo che
fugge dalla realtà ma Cervantes non ti fa mai capire se fugge perché è pazzo
oppure perché è semplicemente stanco, se ha perso la ragione o si è rotto i
coglioni di vivere una vita diversa da quella che ha sempre sognato. Don
Chisciotte, in ultima analisi, vuole giocare, recuperare l’anima surreale, in
una sola parola vuole vivere.[…] E allora mi sono inventato, con Anna
Lamberti una canzone dove Alonso Chisciano157 rimprovera Cervantes: ma
come, mi disegni, mi aiuti, mi costruisci, fai di me un eroe, incapace ma per
questo grande e assurda meraviglia di umanità, e poi mi fai pentire? Don
155
“Musicalmente il timore era che il brano si risolvesse in un quadro fiammingo o barocco, con
il conseguente rischio, ancora maggiore, che si trattasse una scenografia da film dell’orrore con
toni oleografici. L’intervento della corale polifonica Ars Antiqua sulla ritmica basso-batteria ha
evitato il cadere nella trappola”. COTTO 1994: 146
156
COTTO 1994: 146
157
In base alle ricerche da noi effettuete Alonso Chisciano sarebbe il personaggio di un romanzo
scritto dallo storico arabo Cide Hamete Benengeli, trovato e tradotto in seguito da un morisco, da
cui deriva la storia scritta da Cervantes. Sono proprio i libri a provocare la pazzia di Alonso Chisciano: la lettura di troppi romanzi cavallereschi gli ha bruciato il cervello, producendo un'inversione tra realtà e finzione, egli scambia i mulini a vento per giganti, le contadine per madonne, le
osterie per castelli, i catini per elmi. Dunque Alonso Chisciano sarebbe il vecchio nome di Don
Chisciotte. Qualcuno identifica Cide con Cervantes.
88
Chisciotte è il vero uomo comune: perde ogni battaglia, è pieno di acciacchi,
pasticcione, credulone, innamorato di una donna che non esiste se non nei
suoi sogni[…]. Il finale di Cervantes è la sconfitta dell’uomo. Per questo
non l’ho accettata.”158
Don Chisciotte rappresenta dunque la sana follia, il bisogno di sognare, di
costruirsi un’altra realtà, più nostra, e per questo forse anche più vera, il
desiderio di viaggiare con la fantasia, un personaggio che nei secoli ha
saputo sopravvivere oltre la figura che il suo narratore ha creato, e che,
come vediamo, per qualcuno ha un altro destino da quello che è stato scritto
per lui, forse perché si ha bisogno di quella follia, di credere che non sia del
tutto fuori dal normale, perché a volte crearsi un’altra realtà possibile è
l’unico modo per vivere, l’unico mondo in cui vivere.
Particolarmente efficace, verso la metà e alla fine del brano è un breve
vocalizzo, eseguito a cappella da un coro misto (la corale “Ars Antiqua”);
una sorta di corale omoritmico con la melodia che, significativamente tende
a salire rimandando, fino all’ultimo, la cadenza. L’inserto ha probabilmente
una funzione metalinguistica, richiamando uno stile e un linguaggio tardo
rinascimentale (nel quale evidentemente Fossati colloca idealmente il suo
Alonso Chisciano), ma allo stesso tempo conferisce un tocco di celeste
spiritualità al sogno “negato” dell’anziano cavaliere, che immaginiamo
ormai prossimo alla fine.
Italiani d’Argentina parla di emigrati, quelli di terza generazione, sospesi tra
due culture, non più italiani e non completamente argentini. Qui ancora
Fossati, prendendo spunto dai dati presentati dal professor Donato Bosca,
158
COTTO 1994: 118-119
89
presidente dell’Associazione Italiani nel Mondo, si interessa della gente
comune, quella che lavora, soffre, fa sacrifici.
Il brano si presenta come un’ipotetica conversazione radiofonica di emigrati
italiani che dall’Argentina cercano di stabilire una comunicazione, di
raccontarsi
ai
loro
(ex-)compatrioti;
una
conversazione
che
drammaticamente risulterà essere un monologo, un messaggio in una
bottiglia lanciato da una costa all’altra dell’oceano, che vive d’incertezza e
allo stesso tempo di speranza, quella di riannodare un filo spezzato, di
recuperare le radici, di colmare distanze spazio-temporali “atlantiche”, cioè
incommensurabili.
L’ignoto trasmettitore, personaggio collettivo che parla a nome di tutti,
dichiara oltre l’oceano la memoria “cattiva e vicina” degli emigranti e i loro
desideri, le frustrazioni, la nostalgia, la rassegnazione, gli amori; si rivolge
alla terra d’origine, l’Italia, cercando orecchie e cuori amici: “Ecco, ci siamo
/ ma ci sentite da lì?”; poiché in tanta distanza, “atlantica”, in uno “sfondo
infinito”, si cercano conferme, si vuole essere capiti, da quel popolo lontano,
in cui sono le loro radici, e di cui loro sono solo “ombre impressioniste”,
d’italianità sfumata.
Nella raccolta Piumetta, Unica Rosa e Albertina formano quella che Fossati
chiama “la trilogia delle donne”, tre canzoni che hanno come protagonista
tre differenti figure femminili viste ed evocate da altrettante (e nascoste)
figure maschili, figure di innamorati. Piumetta è la donna amata che va
sposa ad un altro, Unica rosa è un vero e proprio inno di lode e venerazione,
Albertina è la donna che vive, evocata da un uomo chiuso in casa, frustrato
forse, amato, chissà.
90
Piumetta prende spunto dalla musica popolare e dal topos, anch’esso
d’ascendenza popolare, della “malmaritata”, della donna, cioè, che per
motivi d’opportunità deve andare in sposa a chi non ama, e abbandonare lo
sfortunato, nonché squattrinato amante. Come lo stesso autore spiega, la
canzone trae ispirazione dalla narrativa portoghese: un innamorato vede la
sua donna sposarsi con un altro e le augura, con un dolore infinito, ogni
bene, accantonando la propria sofferenza e rinunciando ai propri sogni:159
“Difendi la sua casa / Signore Del Buonfine / una casa coi Santi / e carte
buone per andare avanti”.
La storia è attraversata dalla presenza delle carte del gioco dei tarocchi, cui
si affidano i fatalisti, che aspettano il susseguirsi delle carte, una per una,
finchè arriva quella della morte: l’uomo augura a Piumetta tutte carte buone,
“ e se saranno carte brutte / venga la morte ultima di tutte”, poiché secondo i
tarocchi la carta della morte annulla il valore delle altre.
Il riferimento al popolare si coglie, nella musica, nell’ostinato ritmico che
accompagna tutto il brano, un cellula che riprende, come si legge nel booklet
del CD, alcuni passi di danza di Elio Rivagli, batterista del gruppo, marcati
su un pavimento di legno. La pulsazione della danza (leggera come il nome
della protagonista) anima infatti la canzone, un girotondo (“gira la gonna
contro il vento / si potesse fermare / gira la gonna contro il tempo / si
potesse aiutare”) che vede danzare tutti i tarocchi e i fantasmi dello
sfortunato amante, riportato alla realtà dal suono delle campane che
annunciano, con il matrimonio di Piumetta, la fine del suo sogno.
159
“Mi sono ispirato a certe cose della letteratura e della musica popolare. I portoghesi, ad esempio, sono intrisi, impregnati di attraversamenti esoterici e magici, più ancora di noi.” COTTO
1994: 144
91
Unica rosa, “un piccolo esperimento” costruito come una canzone brasiliana
degli anni ’70, evoca lo spirito della bossanova. Il riferimento più
immediato è Samba della Rosa di Vinicius de Moraes, una dolce samba per
ogni rosa-donna che è “Rosa da vedere / rosa da sognare / rosa da volere”.160
La rosa è per i brasiliani, sempre simbolo della donna, donna fiore
profumato e gentile, delicato e sottile, e così è anche per Fossati per il quale
questa rosa-donna rappresenta tutto un universo, la “stella meridiana”, la
“campana nel mare”, la “linea di una costa conosciuta”, donna voce di un
dolore, e “piega dolorosa”, ombra e luce, peso e fortuna, vita tutta, “unica
rosa”, solo amore.
La canzone, che si apre petalo a petalo con la delicatezza di un fiore, è
dedicata a Gildana, allora sua moglie, e a tutto quello che lei ha
rappresentato.
Albertina, la canzone che conclude la raccolta, “stempera la tensione”,
dall’epica alta del viaggio e del sogno, dalla donna angelo e Madonna,
all’eroina della quotidianità. Una donna comune, e proprio per questo
eroica, una donna che ama e che ritornerà dal suo girovagare per portare
all’uomo, un po’ grigio invero, una ventata di vita.
Non è proprio una storia ma “è un gioco, la presa in giro di me stesso, di un
certo tipo di uomini che si chiude” per difesa, resta tranquillo in cucina,
convinto di sapere già tutto della vita, un uomo serrato, incapace di accettare
160
Riportiamo qui il testo integrale della canzone, nella traduzione di Sergio Bardotti: “Rosa da
vedere / rosa da sognare / rosa da volere / rosa da strappare / rosa da vestire / rosa da spogliare /
rosa da capire e da perdonare / rosa da servire / e da imprigionare / rosa da impazzire / rosa da
implorare / rosa da fuggire / e da ritrovare / e se c’è una rosa-donna di più / È primavera: / una
rosa tu sei / vieni a piantare / una rosa nei sogni miei”.
92
i tempi, quasi oblomoviano161, che se ne sta a guardare la sua attivissima
Albertina.
Tra un disco e l’altro, nel 1991 viene pubblicato da Millelire Stampa
Alternativa un suo racconto: Il giullare. Una storia al limite tra fantasia e
reale, costruita con l’antico sistema della concatenazione ad anello e
percorsa da vari stralci di testi della tradizione trobadorica medioevale e da
altri piccoli brani estrapolati da varia letteratura.162
A proposito di questo lavoro Fossati racconta: “Il giullare è una mia antica
fissazione, un mio leggero incubo che riguarda l’inutilità dei mestieri come
il mio. […] Nella storia che ha poi pubblicato Marcello Baraghini nella
collana Millelire, ho estremizzato la situazione, inserendo il giullare in un
caso limite, dopo il crollo del sistema socio-economico, aggravando il tutto
con un totale degrado delle condizioni ambientali, con devastazioni
ecologiche irrimediabili. L’ho fatto per dimostrare che in situazioni
drammatiche come quella, l’artista non conta più nulla, la sua figura è
superflua, la sua esistenza inutile”.
E prosegue: “L’argomento mi aveva sempre affascinato e preoccupato, così
quando Baraghini mi contattò per chiedermi se volessi scrivere qualcosa per
loro, pensai subito al ruolo del giullare nella società”. “Ho scritto Il giullare
proprio con la schizofrenia che l’artista vive fra il momento della
161
Oblomov è il protagonista dell’omonimo romanzo di I.A.Gongarov. Uomo di non comuni doti
di sensibilità e intelligenza, viveva in un’immobilità fisica e mentale.
162
Da Giambattista Marino, Colin Muset, José Saramago, Michail Bulgakov e da varia letteratura
cortese francese e italiana.
93
composizione e quello della rappresentazione, che è mestiere da
saltimbanchi”.163
Nel 1992, a due anni dalla precedente raccolta, nacque l’album
Lindbergh,164 che fece meritare al suo autore un altro premio Tenco. Lavoro
maturo e intenso, il disco segna uno dei momenti più importanti all’interno
dell’intera produzione di Fossati; raccoglie il bagaglio delle esperienze
precedenti, proiettandosi in avanti e anticipando, con le sue complesse parti
strumentali, le scelte future. “Disco solare”, lo definisce l’autore, una
raccolta che rappresenta una “svolta”, la sua voglia di farsi “leggere meglio
e più facilmente”.165 (Un desiderio che anticipa di dieci anni la scelta del suo
ultimo disco, che vedremo più avanti). In realtà, dietro un’apparente
semplicità si riscontra, come in Discanto, una notevole complessità formale
e concettuale, di lettura, spesso, non agevole.
Ancora una volta il tema dominante (anche se non esclusivo) sembra essere
quello del viaggio, evocato già dal titolo: Lindbergh,166 “il pazzo
dell’aria”167, il primo trasvolatore dell’Atlantico appare coma une delle tante
“figure emblematiche”, una figura in un certo modo vicina a quella di
Fossati. Lindbergh incarna la volontà di scoprire nuovi orizzonti, di “nuotare
contro la corrente”, di percorrere il cielo come la terra e il mare, di viaggiare
per aprire nuove vie di comunicazione; ma anche la temerarietà, il coraggio
163
COTTO 1994: 121-123
164
Edito dalla Epic.
165
COTTO 1994: 149
166
Charles August Lindbergh, aviatore americano, nel 1927 compì a bordo del monoplano Spirit
of Saint Luis il primo volo senza scalo da New York a Parigi
167
Charles A. Lindberg, Spirit of Saint Louis, ed it. 1955, in COTTO 1994: 149.
94
di chi, andando contro corrente, tenta qualcosa di nuovo e difficile,
consapevole di compiere una grande impresa, e non si ferma finché non la
porta a compimento.
Il sottotitolo dell’album, Lettere da sopra la pioggia, offre ulteriori chiavi di
lettura che ci aiutano a comprendere non solo le dieci canzoni della raccolta
ma gran parte della produzione del cantautore genovese: anzitutto la sua
aspirazione ad osservare dall’alto la realtà, in un’utopica regione, nel senso
letterale del termine, estranea alle tempeste e alla grigia quotidianità. Ma
anche la predilezione di Fossati per la comunicazione epistolare:168 per
lettera si esprimono i viaggiatori, i raccontatori di mondi lontani; un mezzo
che porta, per sua natura alla riflessione, a una scrittura meditata e pacata;
ma rimanda altresì alla professione dello stesso Lindbergh, postino volante,
che idealmente consegna all’ascoltatore le canzoni-lettera che compongono
la silloge.
A volo d’uccello in Lindbergh si osservano e raccontano, come in Discanto,
i colori, le danze, si ascoltano i ritmi e le tradizioni musicali dei paesi
sorvolati, dal Mediterraneo al Sud America.
“Lindbergh è composto da dieci storie di acqua e di aria secondo i dettami
della vecchia tradizione marinaresca, in base alla quale la linea che in
apparenza separa mare e cielo è in realtà il filo che li lega”.169
I temi sono dunque quelli consueti: oltre il viaggio e il volo che troviamo nel
brano Lindbergh e in Sigonella, ritroviamo il mare, grande madre che ci
accomuna e riunisce, come in La barca di legno di rosa. Non mancano
168
“La lettera è il mezzo d’espressione che più mi affascina[…], mezzo di comunicazone completo, l’unico che riesce a far passare la profondità del pensiero. […] La lettera ha tempi lunghi,
anche di preparazione, e questo ti consente di aprire e di aprirti. Ogni volta che posso, e ogni
volta che devo comunicare qualcosa di importante, scrivo una lettera.” COTTO 1994: 144
169
COTTO 1994: 150
95
neppure tematiche di tipo sociale e pacifista e storie segnate dalla
malinconia ma anche dalla speranza in un futuro più solare.
Nel brano Lindbergh il personaggio del titolo si rivolge in prima persona
all’ascoltatore per presentare se stesso. Il grande eroe dell’aria sembra, quasi
per pudore, voler ridimensionare se stesso, ridimensionare la grandezza
della sua impresa e del suo saper volare. Questo è il senso del “Non sono
che…” all’inizio delle prime due strofe, e del suo “piccolo aereo” citato
all’apertura della terza e conclusiva. Il viaggiare, il volare, non è difficile per
uno come Lindbergh che il volo, il viaggio l’ha nel sangue; in fondo è nella
sua natura, il difficile è accettare la solitudine delle alte quote, il distacco
“senza un saluto”. Eroe romantico, il recordman, non sa quanto durerà il
viaggio, ma la meta, quella sì, l’ha scelta e vuole raggiungerla. La canzone
più che cantata è declamata, con quel tono salmodiante che caratterizza
molta produzione del nostro artista, declamata sottovoce, con un lento
crescendo del sottofondo, una sorta di tappeto sonoro, formato da note
lunghe in cui si intrecciano le frasi “minimali” della tastiera e della chitarra
acustica; un sottofondo che sopravvive alla voce e che accompagna
idealmente il volo del “piccolo” Spirit of Saint Louis che lentamente
scompare dal nostro sguardo nel cielo azzurro. E così termina l’album.
Il tema del racconto, del viaggio, si ritrova anche nella canzone La barca di
legno di Rosa. In una dimensione fiabesca, e infatti la canzone è ispirata ad
un racconto di Giovanni Arpino, compaiono varie barche, metafora di varie
umanità, di varie aspirazioni e debolezze, barche con pescatori e pesci
ancora vivi, con un gendarme e un assassino, con povera gente, emarginati;
donne e bambini “con canzoni ma senza acqua per bere”, persone
insoddisfatte della propria esistenza, prive di quello che neanche sanno di
96
aver perso. E in tutto questo “Passa una barca tagliata a metà” che,
ricordando Calvino,170 si riempie di persone dimezzate: un mezzo capitano e
mezzo motore che non va / un mezzo marinaio, mezza faccia sorridente /
che ha perso l’anima e non ha sentito niente / in mezzo al mare, l’anima in
mezzo al mare, in mezzo al mare di gente questo mare.”
Un “mare di gente”, gente che lavora e fatica, stranieri, donne coi loro
bambini, spose, e in ogni barca i viaggiatori sono uniti in qualche modo,
perché trasportati dallo stesso vento e dalla stessa onda e accomunati tutti
dallo stesso tempo che incalza, tempo che “non aspetta” e “non rispetta”,
tempo che “corre disperato”. L’espressione “un gran mare di gente” unisce
l’amore di Fossati per il mare e quello per la gente, da cui nasce la sua
voglia di raccontare storie, in cui realtà e favola si uniscono. In tutto l’album
(come in tutta l’opera del nostro artista) sono narrate vicende e vissuti di
uomini e donne, luoghi, popoli, avvenimenti importanti o situazioni comuni,
di un solo uomo, come Lindbergh, o di molti, leggende, racconti, episodi
della vita di tutti, affetti, amori, non solo tra uomini e donne, ma anche verso
le persone che ci sono vicine, soprattutto quelle che soffrono, i “diversi”, gli
emarginati.
Il tema del “sociale” ritorna anche in Mio fratello che guardi il mondo, un
fiducioso inno alla solidarietà nei confronti degli stranieri, degli emarginati,
dei diversi. Componimento semplice e breve, si presenta come un canto
dolce e affettuoso, rivolto direttamente, con un vocativo, ad ogni fratello che
ascolta: “mio fratello che guardi il mondo”, con un ottimistico e consolatorio
“se c’è una strada sotto il mare / prima o poi ci troverà”; come un fiume
sotterraneo che deve venire in superficie, una strada alternativa, nuova, che
170
Il visconte dimezzato.
97
nessuno ancora conosce ma che si farà presente, “se non c’è strada dentro il
cuore degli altri / prima o poi si traccerà”.
Musicalmente si sente l’impronta etnica, data dalle intense percussioni
dell’indiano Trilok Gurtu. Fossati fa uso, qui come in altre canzoni, di
inserti sonori che richiamano elementi della natura, come il temporale finale,
evocazione di pioggia e vento, acqua che purifica, aria nuova.
Sorella di questa canzone è Ci sarà in cui in una vita incerta e controvento ci
si augura ancora un cielo e una terra migliori, novità e movimento,
rivolgendosi a qualcuno che vive in modo diverso (“fratello attento a fare
questa vita tutta controvento”), controcorrente, in un mondo di “incertezza
che non passa”, di “perdita di dignità”, “mancanza di felicità”, “sotto un
cielo che non assolve”, cielo ancora una volta avverso, o comunque non
favorevole.
La canzone popolare, la prima nel disco, deve la sua popolarità anche al
fatto di essere stata adottata come “colonna sonora” della campagna
elettorale dell’Ulivo nel 1996, in virtù forse dell’inizio incitativo. Come lo
stesso autore spiega “è un manifesto, un tatzebao, una piccola esortazione a
mettersi alla finestra e guardare quel che accade”,171 un richiamo ad agire e
reagire.
Ancora una volta si parla di gente, e qui è il titolo stesso a rivelare la dedica
della canzone: il popolo. Un popolo fatto di persone che condividono
esperienze comuni, e per questo si identificano le une nelle altre (questo è
171
“Si intersecano due storie nel brano. Una è un invito a guardare fuori, l’altra è un riconoscimento dei propri errori, la constatazione che si è sempre nella condizione di chiedere perdono a
qualcuno di qualcosa, che dopo aver sbagliato si va a bussare sempre alle stesse porte. La canzone popolare è, in un certo senso, figlia di I treni a vapore.” COTTO 1994: 152
98
certamente il senso dell’incipit delle tre strofe “sono io oppure sei tu”), si
confondono, perdono la propria individualità per diventare popolo.
Un altro gruppo di canzoni ruota invece intorno al tema della guerra come
Poca voglia di fare il soldato. Questa è una triste dichiarazione d’amore, che
pare quasi una lettera, da parte di un soldato che parte per la guerra ed è
costretto a dire addio alla sua amata. Una canzone contro l’inutilità della
guerra, tenera e sentimentale, vagamente retrò, con lo stesso Fossati al
pianoforte che abbozza un accompagnamento salottiero che lascia spazio,
sul finire ad una struggente melodia irlandese o scozzese, affidata al tin
whistle, evocatrice di spazi sconfinati, ma alla quale attribuiamo anche un
carattere vagamente militare. E militaresca ci sembra anche la citazione
dell’habanera dalla Carmen di Bizet (“L’amour est un oiseau rebelle”),
opera “in divisa”, trabordante di passione, che come motto, Fossati accenna
al pianoforte alla fine del brano.
Un’altra canzone antimilitarista è Sigonella172. Qui la forma epistolare è
esplicita (“senti cosa ti scrivo amore”): lo scrivente racconta alla persona
amata la desolazione del luogo, parla di una natura irrimediabilmente
contaminata da “certe macchine per la guerra”. Il messaggio è chiaro: la
negatività non sta nel luogo, non negli aeroplani che volano in cielo, ma
nell’uso che della natura e della tecnologia viene fatto in guerra. È evidente
qui la polemica contro le basi Nato, come quella di Sigonella appunto,
presenze che solitamente occupano località incontaminate e amene,
impedendo ai civili l’accesso alle bellezze naturali ma soprattutto stendendo
172
“Sigonella è un posto dove nessuna agenzia turistica ti spingerà mai ad andare. C’è una base
Nato, a due chilometri da una città strangolata dalla piccola criminalità, alle pendici di un vulcano ancora attivo. Non riesco a immaginare un luogo più cupo e desolante, in una zona che, geograficamente, è invece bellissima. Ma intrisa di tristezza antica, quasi di disperazione”. COTTO
1994: 153
99
ovunque un opprimente senso della morte, per cui “non c’è profumo di
melograno, non c’è arancio che sia veramente in fiore”.
La canzone denuncia dunque una situazione, tristemente attuale, piena di
angoscia e paura, un continuo sentirsi sotto pressione; sentimenti cantati con
rabbia dallo scrittore di Sigonella: “trema l’aria come tremo io / tremano i
vetri in camera mia / tremano le parole della mia povera calligrafia”. Resta
solo pregare: “se si alzasse la speranza / che come gli aeroplani può volare /
se questa terra smettesse di tremare”, “se questa terra smettesse di
affondare”. Parole che contrastano con i suoni della natura incastonati nella
musica: canti di uccelli, versi di altri animali, richiamano a una natura
intatta, desiderata quanto inconciliabile con i venti di guerra che spirano
sulla piana di Catania.
Il tema della guerra, ancora una volta in forma epistolare, torna ancora nel
brano Il disertore, traduzione di una canzone scritta da Boris Vian (Le
déserteur, 1954),173 che già all’epoca suscitò non poche polemiche. Una
sorta di lettera aperta, scritta da un “milite ignoto” al Presidente della
Repubblica (francese) per annunciargli la sua volontà di disertare.
Il soldato non accetta di partire per andare ad uccidere e a morire, si ribella
all’ordine costituito, alle armi, alla violenza, e preferisce vivere da disertore,
andando in giro ad annunciare la pace e l’amore, non la guerra. La forma,
nella traduzione di Giorgio Calabrese, nel complesso, dà l’idea di una
canzone popolare, una sorta di ballata. Musicalmente il brano è molto
semplice, una stessa melodia riveste le dodici strofe accompagnata in modo
molto discreto dalla chitarra acustica. Nel complesso questo declamato
173
Boris Vian (1920-1959) è un intellettuale francese autore di poesie, romanzi, opere teatrali,
canzoni, libretti d’opera, che si distinse sempre per il suo anticonformismo. Le sue opere nascono
da una sofferta meditazione sulla crisi della società e del costume.
100
musicale è molto scorrevole e fluido (il brano dura appena un minuto e 44, il
più breve dalla raccolta e forse in assoluto nella discografia fossatiana); una
fluidità che rende egregiamente la spontaneità del testo, di questa accorata
lettera, scritta di getto da un pacifista radicale.
Come in altre raccolte si ritrovano qui oltre che ritmi della musica popolare,
anche alcune immagini tratte dalla letteratura sudamericana: è il caso del
brano La madonna nera. Il brano racconta un fatto di cronaca: un blocco
stradale dovuto al rovesciamento sulla strada della statua di una Madonna
nera. In realtà non si capisce bene il senso di questo racconto che appare
assolutamente staccato da ciò che precede e ciò che segue. L’enigma è
svelato però dall’autore nel suo libro-intervista: “ È un’allegoria, il racconto
breve di una processione cattolica, dove, a un certo punto, la Madonna Nera,
cara anche in tante parti d’Italia, soprattutto nel sud, s’impantana. E
impantanandosi attira l’attenzione di un uomo che sta tornando a casa dalla
sua donna. E quest’uomo si ferma, per tentare di risollevare questo grande
simbolo cristiano. Nel fare questo dimentica la sua donna, che davanti alla
sua scrivania, nel suo luogo di lavoro, s’ inclina, a mano a mano che la
Madonna Nera si rialza”.174
“Musicalmente il brano è costruito al rovescio: è la batteria che parla con
una scansione incontabile, e il canto dà il ritmo. Pare quasi un rap
mediterraneo dove l’armonia vocale è stata abolita quasi completamente”.
Fondamentale è a questo proposito la presenza del percussionista Trilok
Gurtu “essendo tradizione della musica indiana far parlare su tutto le
percussioni”.175
174
COTTO 1994: 153
175
COTTO 1994: 154
101
Più leggera, grazie anche al ritmo Notturno delle tre,176 prendendo in
prestito le parole di Massimo Cotto, “è quasi una milonga, l’arredamento di
un’idea”,177 in cui si parla di un amore passeggero, delle strategie di
conquista di una donna (“la ragazza lo sa…”), di un incontro che dura una
notte e finisce senza quasi dolore (“se dolore c’è / quando son quasi le tre”),
passando come tutto passa.
L’autore la descrive come “una storia di quelle che si vivono da sempre: la
separazione notturna fra due persone, la seduzione cui fa seguito, dopo
poche ore, l’abbandono. Sedotti e abbandonati, senza colpe di nessuno e
senza vittime. Una storia che si porta in dote sempre le stesse immagini: una
persona di spalle che lascia la stanza, che puoi essere tu o la donna; un’alba
malinconica che illumina la città; un misto di soddisfazione e di delusione;
strade semideserte percorse da filobus vuoti; baretti poco illuminati che
servono i primi caffè.”178
È una delle canzoni meno “impegnate” della raccolta, in cui emerge un altro
aspetto fondamentale della personalità di Fossati, quel suo spirito vagamente
decadente e accidioso che si traduce in pura malinconia.
Nel 1993 furono realizzati Buontempo e Carte da decifrare, i due album dal
vivo, prodotti da Beppe Quirici,179 frutto di un lavoro intenso e maturo
dell’autore con i musicisti “storici” che ormai da diversi anni lo seguivano,
“compagni di viaggio” della tournee che ha dato alla luce questi album: il
già citato Beppe Quirici (contrabbasso e bassi elettronici), Elio Rivagli
176
La canzone è stata recentemente ripresa da Mina, nel suo disco Veleno.
177
COTTO 1994: 155
178
COTTO 1994: 155
179
Per la Epic.
102
(batteria e percussioni), Armando Corsi (chitarra acustica), Vincenzo Zitello
(arpa, tin whistle), Mario Arcari (strumenti a fiato), Stefano Melone
(pianoforte e tastiere).
A proposito di questo lavoro Fossati racconta: “Ho atteso così a lungo
prima di pubblicare un live per due motivi: innanzitutto perché non avevo
mai sentito, prima dello scorso anno, di avere una band adatta a riprodurre
bene, sul palco, le mie canzoni. Ora l’avevo, e mi sembrava giusto sfruttarla.
[…] Il secondo motivo per cui ho atteso tanto è che, in generale non ho mai
gradito tanto gli album dal vivo. […] Ho ceduto alle insistenze di chi mi
chiedeva da anni un disco dal vivo solo dopo aver ottenuto precise garanzie:
che sarebbe stata impiegata, nella realizzazione di questo lavoro, la stessa
attenzione, anche finanziaria, solitamente dedicata a un album in studio; che
avrei pubblicato tutto senza sovraincisioni (a parte 15 secondi di chitarra che
si sono resi necessari) e trucchetti vari; che avrei potuto registrare tutto in
non più di un paio di sere”.180
Le registrazioni sono la “fedele testimonianza” dei concerti effettuati le sere
del 2 e 4 marzo (1993) al Teatro Amilcare Ponchielli di Cremona, scelto per
diversi motivi: “perché è uno dei più bei teatri italiani, quasi un tempio della
musica
classica
in
Italia”
e
soprattutto
“perché
ha
un’acustica
eccezionale”.181
Inizialmente l’idea era di produrre un unico volume, poi l’autore si rese
conto che rappresentare un percorso di vent’anni sarebbe stato possibile solo
raddoppiando il lavoro. E il risultato è davvero eccellente: i due dischi
contengono le sue più belle canzoni, quelle che hanno saputo resistere al
180
COTTO 1994: 160-161
181
COTTO 1994: 161
103
passare del tempo, saldamente conservate per la loro forza intrinseca e per la
magia di emozioni che ancora riescono a comunicare. L’autore stesso svela
di essersi reso conto che queste canzoni “inseguono lo stesso improbabile
sogno e destino”.182
I 25 brani contenuti nelle due raccolte abbracciano l’arco di tempo, “ampio,
profondo e felice”183 che va dal 1979 al 1992 e sono qui riproposti con una
“nuova veste”, rinnovati e migliorati, secondo le esigenze dell’autore che
non abbandona mai la ricerca e la sperimentazione, e arricchiti dalla
maturità e dall’esperienza raggiunta dopo tanti anni.
I brani più “vecchi”, anche se lui non li definirebbe così, sono quelli che
appartengono al disco La mia banda suona il rock e sono Vola e E di nuovo
cambio casa. Poi si passa a quelli del 1981: Panama, J’adore Venise e La
costruzione di un amore (che era stata ripresa per un’altra versione in La
pianta del tè) tratti da Panama e dintorni. Da Le città di frontiera (1983)
sono stati scelti i brani Amore degli occhi e La musica che gira intorno, da
700 giorni invece Una notte in Italia, Buontempo e La casa. Il disco La
pianta del tè offre Terra dove andare, La pianta del tè, Questi posti davanti
al mare, La volpe. Da Discanto si ripropongono Discanto e Italiani
d’Argentina, da Lindbergh La canzone popolare, Mio fratello che guardi il
mondo, L’uomo coi capelli da ragazzo e Lindbergh.
Oltre a questi brani già noti, Fossati presenta dei pezzi inediti: La pioggia di
marzo, traduzione (di Giorgio Calabrese) del brano Águas de Março di Tom
Jobim, del 1973, ritenuto da Fossati, e anche da noi, “uno dei più grandi
182
Vedi booklet dell’ album.
183
Vedi booklet dell’ album.
104
compositori di canzoni di questo secolo che ha cambiato faccia alla musica
latino-americana”, come pochi altri.
Altra canzone nuova è Carte da decifrare, che dà il titolo al secondo disco,
“una canzone sulla paura dei sentimenti, sulla paura di metterli in atto”, “la
voglia di sapere come si pilota quest’auto da corsa che, appena accendi il
motore, parte da sola”.184
Naviganti, già cantata anche da Bruno Lauzi, “è una storia, molto semplice,
di fatica fatta insieme, di cammino di due persone che procedono a testa
bassa, come due ciclisti. E si danno il cambio, prima tira uno e poi l’altro, e
si aiutano sempre”. La metafora di un viaggio e di due viaggiatori che si
accompagnano percorrendo le strade della vita.
Sulla stessa tematica della vita come viaggio è I treni a vapore, brano scritto
l’anno prima per Fiorella Mannoia, che rappresenta “la consapevolezza che,
se la corsa continua, anche attraverso i dolori e le contrarietà, anche
fermandosi ad ogni stazione e sottoponendosi a ogni prova, alla fine il
dolore si scioglie e va via”:185 “Come i treni a vapore / come i treni a vapore
/ di stazione in stazione / e di porta in porta / e di pioggia in pioggia / e di
dolore in dolore / il dolore passerà”.
La raccolta, nel primo volume, contiene inoltre un brano strumentale a
chitarra: Sonatina, costituito da un’introduzione e un contrappunto eseguiti
da Armando Corsi e un tema suonato da Fossati.
È del 1994, Il toro, colonna sonora del film omonimo di Carlo Mazzacurati,
piccola parentesi prima del nuovo disco di canzoni. Prodotto da Il
184
COTTO 1994: 162
185
COTTO 1994: 162
105
Volatore186 e realizzato da Beppe Quirici, questo lavoro è composto da brani
tutti strumentali a parte Naviganti, tratta dall’album dal vivo volume 1,
Buontempo, e il brano La neve, in cui compare un frammento di funzione
liturgica di rito ortodosso.
I musicisti sono Ivano Fossati (pianoforte, chitarra classica), Stefano Melone
(tastiere, archi digitali), Edoardo Lattes (contrabbasso ad arco), Claudio
Fossati (batteria, percussioni), per la prima volta fra i musicisti del padre.
Altre colonne sonore per Mazzacurati sono quelle per L’estate di Davide,
per La lingua del santo e per A cavallo della tigre.
Del 1996 è il disco Anime Salve, scritto a quattro mani con Fabrizio De
Andrè. Dopo la precedente collaborazione per l’album Le nuvole di De
Andrè (1990),187 i due autori genovesi hanno lavorato interamente insieme a
questo nuovo progetto, sia per le musiche sia per i testi, unendo le capacità
dell’uno e dell’altro. Fossati riferisce che nel corso della lavorazione sia
diventato naturale che De Andrè si occupasse soprattutto dei testi, dei
“pensieri scritti”, mentre lui si dedicava principalmente alle parti musicali,
mettendo in pratica il suo desiderio iniziale di fare il “musicista”.
Ancora Fossati racconta: “era un modo quasi perfetto di lavorare: Fabrizio
aveva lo stesso tipo di regole mio, cioè nessuna, se non di avere
responsabilità di quel che si scrive”.188 Il loro metodo di comporre, sempre a
detta di Fossati, non era esattamente lo stesso, tuttavia, forse proprio grazie
alle reciproche diversità, i due artisti seppero trovare i loro spazi di
186
Edizioni musicali di Fossati.
187
I brani scritti insieme sono Megu megun e A cimma.
188
FOSSATI 2001: 87, 88
106
compatibilità, lavorando in “un’atmosfera particolare, molto rilassata e
rilassante”.189
Una prima parte del lavoro di creazione del disco fu fatta a Santa Teresa di
Gallura nel 1993. Il resto dell’opera è stato creato nel 1996, quando i due
autori si sono “rinchiusi” in un palazzo del ’600 sulle alture di Camaiore,
isolandosi per mantenere una migliore concentrazione. Tuttavia una parte
del loro lavoro nasceva anche da esperienze “sociali”, dalla loro curiosità e
dal loro interesse per la gente: infatti ad entrambi piaceva “ girare,
incontrare persone e sentirle raccontare le loro storie”, da cui trarre
ispirazione. Ivano Fossati descrive quei momenti: “Giravamo soprattutto il
Sud dell’Italia, dove la gente ha molte scintille giuste. La nostra è stata, ed è
tuttora, una ricerca di fatti umani che si possano raccontare”.
Il loro interesse era volto naturalmente anche alla musica che dovesse
accompagnare questi racconti. E così ascoltavano le nuove tendenze, la
musica popolare, il jazz e la sperimentazione, per capire l’aria di rivoluzione
musicale che li circondava, per poi reinterpretarla, rielaborarla fondendo
dunque il classico, il popolare, il moderno in un processo di aggiornamento
e progressione musicale, ma anche di recupero delle proprie radici, delle
proprie tradizioni, dei propri valori, anche attraverso l’uso di strumenti
musicali di varia origine e provenienza.190
Anime salve è infatti una raccolta di canzoni che esprime le voci di un’unica
grande umanità, attraverso parole di genti, vicine e lontane, genti in
189
COTTO 1994: 173. Le divergenze sorsero per quanto riguardava gli arrangiamenti (di Piero
Milesi, coproduttore dell’album con De André). Motivo per cui Fossati rinunciò alla cointestazione dell’album.
190
Cotto 1994: 173, 174
107
cammino, in viaggio, in fuga, di cui si raccontano le storie, le fatiche, i
dolori, gli amori, le speranze.
Princesa191 racconta la storia di Fernandino, nato fisicamente uomo ma
cresciuto con l’animo da donna, diventata poi Fernanda, una prostituta di
Bahia (una parte della canzone è in brasiliano). Khorakhanè è il racconto di
un popolo rom, in parte cantato in lingua romanes dall’intensa voce di Luvi
De Andrè. In lingua genovese sono Dolcenera e A cùmba, la colomba
(cantata in parte da Fossati, la cui voce è presente anche in Anime Salve), è il
resoconto della richiesta di un pretendente che domanda in sposa la sua
amata, di cui si parla come di una colomba, e della successiva concessione
della mano della ragazza al giovane da parte del padre. Le acciughe fanno il
pallone 192 è la voce di un pescatore, che narra di mare, pesci, stelle marine,
lacrime e sogni. Disamistade, in sardo “disamicizia”, “faida”, è il racconto
di una gente divisa dall’odio, consumata dal sangue, una “storia sospesa”.
Ho visto Nina volare è una storia al limite tra il reale e l’onirico, mentre
Smisurata preghiera, l’ultima della raccolta, è liberamente tratta dalla Saga
di Maqroll.193
Nel 1996, a circa tre anni dai due album live, l’autore realizzò Macramè,
“intreccio” di musiche e immagini, mescolanza di jazz e musica popolare,
rock e canzone d’autore. Un disco ricco di varietà, poeticamente più
ermetico e complesso delle precedenti opere, “disco incosciente, per certi
191
Storia liberamente tratta dall’omonimo romenzo-intervista di Maurizio Jannelli e Fernenda Farias (Ed. Sensibili alle foglie, Roma)
192
Nelle note al disco si legge che così si usa dire in Liguria quando in autunno le acciughe inseguite dall’alalunga (grande pesce azzurro) scappano verso la superficie e si possono vedere saltare fuori dall’acqua a formare scintillanti emisfere.
193
Il gabbiere di Alvaro Mutis, ed. Einaudi.
108
versi coraggioso. Tecnicamente molto diverso dai precedenti. E con
linguaggi musicali distanti dai miei abituali”.194 Lavoro e intenso e maturo,
nasce da profonde riflessioni: “Quando mi sono messo a lavorare a questo
album ho pensato alla facilità, mia e di tutti, con cui dimentichiamo le cose,
i sentimenti e le persone. E a come ormai sembriamo incapaci di trattenere
le cose, i sentimenti; perfino la paura. Siamo diventati tutti coraggiosi, forse
perché riflettiamo poco. Un modo per raccontare questo mio timore era
simboleggiarlo con i nodi di una rete. In fondo nella vita continuiamo tutti
ad annodare e snodare in continuazione. […] Con questo album ho cercato
di rieducarmi a ricordare meglio. E questo è il primo e il più importante
nodo del mio macramè”. Macramè significa infatti intreccio, trama.195
“Come nel macramè i fili importanti sono tre: tentare di non dimenticare;
contemporaneamente incastrarsi, intrecciarsi l’uno con l’altro, imparando a
pensare al tempo stesso da vincenti e da perdenti; imparare a fare coesistere
la rete dei ricordi con quella telematica dell’attualità ”.196 E della trama di
questo macramè possiamo distinguere i fili che la intessono: come in un
grande arazzo della coscienza, vi troviamo la memoria, la vita segreta, un
intreccio di canti, un coro di voci, di lettere, di sussurri e grida. È un
recipiente traboccante di vita e di amore, a tratti drammatico e doloroso,
194
Da Rockonline: 7-8 maggio 1996.
195
Macramè: [genov. macramè, dal turco makramà 'fazzoletto'] Trina di fili o cordoncini intrecciati e annodati, per passamani, frange, reticelle (Zingarelli). Il temine si rifà all'antica arte araba
(apparsa nel XII secolo) e poi turco-ottomana dell'intreccio e annodatura di fili e cordoncini in
trame ornamentali raffinate e preziose. Il suo nome deriva dall'arabo mahramatun (fazzoletto) e
migramah (frangia), e dal turco makrama (asciugamano, fazzoletto o piccolo tessuto di pregio
decorato a frangia). L'arte del macramè sopravvive in Spagna (nella zona di Barcellona) e nella
Liguria orientale. costruendo - proprio come nel macramè - una trama ornamentale raffinata e
preziosa.
196
Da Rockonline: 7-8 maggio 1996.
109
profondamente triste, desolato ma anche gioioso, sensuale, istintivo,
energico; e ancora, matassa da sbrogliare, scandaglio all’interno delle
profondità interiori, percorso dell’anima, dei suoi angoli più segreti, e forse
proprio per questo così insondabile, arcano, indecifrabile, come un lungo
flusso di coscienza.
La canzone iniziale, La vita segreta, è emblematica, interrogativa, costellata
di frasi istintive, misteriose, che nascondono concetti complessi, intrecciati
come fili sottilissimi difficili da sciogliere e capire. “Ferire e incassare” è
ripetuto estenuantemente come una regola, il principio essenziale della “Vita
segreta”, o forse il “segreto della vita”, che è quello di saper ferire, attaccare,
difendersi, ma di saper allo stesso tempo incassare i colpi, accettare le
sconfitte, saper perdere.
L’impianto musicale è chiaro e semplice,
caratterizzato da un ritmo teso e drammatico, percorso da suoni etnici,
rumori elettronici (come un allarme), per sfociare, in un incalzante
crescendo, nel caos delle incursioni jazzate dal sax di Mario Arcari.
Il canto dei mestieri prosegue con un inizio che sembra angoscioso ma poi
prende un tono più leggero. È una sorta di dichiarazione d’amore, di un
uomo che non ha un altro lavoro, un lavoro normale, se non quello di
cercare il suo amore, sbagliarlo, scordarlo (“sotto il peso delle montagne”), e
cercarlo ancora.
Queste parole potrebbero essere di tutte quelle persone che mettono da parte
ogni altra cosa per l’amore, per cui si può leggere anche come “la mia vita
non è il mio mestiere”, non vivo di questo, non è il lavoro la cosa più
importante (come invece è per moltissime persone, specialmente nella
società moderna), ma la cosa più importante, che ha impegnato la sua vita,
fu cercare il suo amore, e cercarlo anche nella fatica, cercarlo ovunque,
110
arrivando “fino nel cuore delle montagne”, ma la malinconia della canzone
sta nella domanda a cosa è servito tutto questo, se poi il suo destino fu
scordare e perdere quest’amore “sotto il peso delle montagne”, cioè lì stesso
dove l’aveva trovato. Anche qui i ritmi e i suoni sono d’impronta etnica, in
cui spiccano le percussioni e i flauti.
Una simile ma più profonda tristezza si trova in L’amante, un “amante
amato”, “arido” e “dimenticato”, aridità che si fa qui più dura, a tratti
violenta. È un amore che ferisce, rovina, divora (“il viso non l’ho più m’è
cascato”; “ho costole divaricate disossate” – che diventano “corde”, della
sua arpa, che è quindi lui stesso; “cupi tamburi battono le reni”). Gli
rimangono le lacrime (“ho acqua agli occhi”), i “fremiti alle dita”, i muscoli,
che sono “da uomo” e “da cane”, come i pensieri (“specialmente da cane”),
perché in questo dolore è diventato come un animale, una bestia, con una
“corda al collo” e “trappole alla vita”. Allora in una vita così, in cui “niente
era garantito”, pur tradendo il suo destino di uomo e di amante, si è fatto
lupo, per salvare se stesso (e il proprio pasto), ma era una “povera bestia
cattiva / “non abbastanza cattiva”, perché il tempo (“e chi lo serve”) “ha
bocca più feroce e più grande”, non si può fermare, prendere, né domare con
nessuna forza. Si rivolge poi al suo amore, quell’amore che ha visto arrivare,
“fra le gambe delle donne arroventare / come il metallo nero / di un motore”,
che ha sorpreso a cercarlo e ritornare, che ha sentito “frusciare, strisciare e
rovesciare”, che ha guardato “abbattersi e salire e accendersi (“finalmente”)
come le luci di un ponte / in mezzo all’estate”. Un amore che è arrivato, che
è cresciuto, ma è comunque andato via, è finito, e nella solitudine rimane
solo l’aridità dei sentimenti delusi, la sterilità, in cui non c’è più traccia
nemmeno di memoria, per cui l’amante, un tempo amato, si ritrova solo nel
111
suo deserto. In conclusione l’attrice Mercedes Martini legge un frammento
tratto dalle Lettere portoghesi.197
L’abito della sposa, dolorosa e amara, è una storia di violenza, di una sposa
e di un soldato in tempo di guerra, conclusa da una malinconica melodia
jazzata del sax di Mario Arcari. Il brano è scritto insieme all’amico
musicista Tony Levin.
L’angelo e la pazienza ci porta in America Latina (“c’è una femmina in
Buenos Aires”), grazie anche al ritmo delle percussioni e a un organetto
(Riccardo Tesi) che sa di tango, ma anche perché esprime una concezione
dell’amore tutta sensuale. Questo è infatti il racconto di un amore
voluttuoso, la voglia di corpo, di amare non solo in senso platonico, perciò
bisogna prendere “quel bell’angelo prima che voli via”, non è più tempo di
aspettare, “dopo centomila ore non c’è un minuto di più” perché l’amore “va
consumato, va accontentato”: finalmente, “dove termina il dolore c’è un
trionfo di stendardi”, dove si può godere la vita, l’amore, la sensualità.
Labile è un canto apparentemente più leggero, ma in realtà racchiude
anch’esso una profonda riflessione sul tempo, sull’amore, sulle debolezze,
sulle incertezze, sulle domande che ci poniamo, domande qui rivolte
direttamente a Dio (“ti ricorderai di me?”). Fossati infatti descrivendola
dice: “È un mio piccolo parlare con Dio. Lo rimprovero di aver storicamente
dimostrato di avere la memoria corta. Gli rivolgo qualche domanda. E
com’è naturale, non ottengo risposta”.198
197
Le lettere portoghesi vennero pubblicate a Parigi nel 1669. Erano cinque lettere in cui una
suora portoghese di nome Mariane esprimeva a un ufficiale francese tornato in Francia dal Portogallo, la sua passione, le sue sofferenze e poi, di fronte al suo silenzio la decisione di non amarlo
più. Il fatto che si sia messa in dubbio la loro autenticità non toglie che siano tra le opere più belle
della letteratura d’amore. L’amore vi appare come una follia irresistibile, una terribile e voluttuosa seduzione da cui la persona esce spezzata e inasprita. BRUNEL 1999: 281-282
198
Da Rockonline: 7-8 maggio 1996.
112
Particolarmente intenso e arcano è il verso finale: “Ho sognato una vita di
stagioni sicure / ero il padre e la madre di azioni del caso e dell’orgoglio”.
Bella speranza dal titolo sembrerebbe una canzone positiva, ma in realtà è
assolutamente disperata: una disperazione esistenziale espressa con parole
toccanti, che la rendono forse la più dolorosa di tutte le sue canzoni.
In L’orologio americano troviamo ancora il tempo e l’amore, ancora una
storia d’amore complessa ed enigmatica in cui lei è un “colpo di vento”,
fugace e leggera come il tempo. Amaramente il protagonista constata che
“l’amore dura quanto deve durare”, “ci si insegue per un morso
d’immortalità”: “è il meccanismo ottuso di un orologio falsoamericano”.
Amore che ferma il tempo, dunque, come nella più remota mitologia, ma il
tempo, comunque, passa, e il suo scorrere e correre è ribadito dal ritmo, dato
dal ticchettio di un orologio, che scandisce tutta la canzone. Nel finale
Mercedes Martini recita un altro frammento dalle Lettere portoghesi.199
Stella benigna, è un’altra storia di sofferenza, mentre La scala dei santi,
similmente a L’angelo e la pazienza, ripropone ancora amore, “amore
volontario”, “soluzione di ogni disperanza”, e ancora tempo, “sentimento
per il sentimento”, “carne per la carne”, “tempo per il tempo”. Appare più
serena, una nota di speranza in mezzo a tanto dolore.
Il disco si chiude con un brano strumentale, Speakering, in cui sono inserite
voci radiofoniche in diverse lingue. Ultimo nodo del tessuto che, pur privo
di testo, non meno degli altri brani esprime e comunica con raffinatezza
emozioni profonde, intime, che lasciano alla mente un ampio spazio in cui
viaggiare sull’onda della musica.
199
Vedi sopra.
113
È del 1998 il primo disco antologico di Fossati: Canzoni a raccolta – Time
and silence, una raccolta di brani recenti e meno che tracciano il suo
autoritratto, attraverso le linee del percorso artistico.
In un certo senso, come tutte le raccolte, è anche una manovra commerciale,
come l’autore stesso confessa: “Non c’è dubbio che questo genere di
operazione nasca da logiche commerciali dell’industria. Ho assecondato il
legittimo desiderio della mia etichetta cercando di dare un senso compiuto al
disco, curando la scelta delle canzoni e legandole secondo una linea di
sensatezza”.200 E prosegue: “Questa antologia mi permette intanto di
continuare a lavorare con tranquillità al mio prossimo disco. Mi prenderà
ancora un anno e sarà molto più impegnativo”, disco preannunciato dalle
sonorità dell’unico brano inedito dell’album, Il talento delle donne, con le
sue robuste aperture orchestrali.
Canzoni a raccolta segna la fine di un certo periodo artistico per Fossati, e
inizia a delinearne un altro. Stanco di “quel modo di fare musica, fortunato
negli anni ’70 e ’80”, che “oggi ha il sapore di cosa vecchia”, e dunque della
canzone da cantautore sempre uguale a se stessa dichiara: “Ci ho messo
dentro le canzoni meno cantautorali, le più vicine alla musicalità della
scrittura, come composizione e lavoro di strumenti e musicisti. Perché mi
sembra che si volti pagina: anzi, la pagina è già voltata”. E prosegue: “Non
vorrei essere sgradevole. Non voglio affermare che certi autori non hanno
più niente da dire: ma il modo non può più essere lo stesso. Quel modo di
far canzoni mi dà una sensazione di vecchio, di peso. Come quando ti manca
un po’ l’aria nei polmoni e fatichi a respirare”. “Mi sono convinto che la
200
Queste dichiarazioni, e quelle successive, sono tratte dalle interviste fatte in occasione
dell’uscita del disco e si trovano nel sito internet www.ivanofossati.net.
114
musica più importante che rappresenta il nostro secolo è quella del
Novecento. Comincio per fortuna a vedere musicisti che la utilizzano, come
Henry Threadgill, Egberto Gismondi, Hermeto Pascoal. Gente che ha
abbandonato l’800, mentre tutti sono ancora appesi alla musica tonale. Si
tende a rimanere incollati al passato, si sono trascurati Satie o Fauré, che
rompevano con l’800. Qualcuno potrebbe obiettare che noi cantautori non ci
dovremmo occupare di questo: invece siamo ancorati ad un ritmo usurato”.
Come dicevamo la raccolta è composta da brani già editi, a parte un’unica
eccezione, l’inedita canzone che apre il disco: Il talento delle donne (Time
and silence), che l’autore identifica “nel misterioso talento di rinascere più
volte, a differenza di noi uomini che abbiamo una vita sola. Ma non voglio
fare il femminista. Nella canzone c’è un mantra nascosto, il più famoso:
perché la concezione della rinascita è tutta orientale”. E l’oriente è
richiamato anche dalle sillabe sacre “Om Mani Padme Hum”, inserite nel
brano “affinché mi aiutassero a tracciare la linea d’ombra il più possibile
netta fra l’idea ciclica del tempo orientale e quella lineare che è la nostra. Le
parole tempo e silenzio sono espresse in lingua inglese perché più di ogni
altra sembra rappresentare oggi il modello occidentale” ed “esprime il
bisogno di darsi tempo, di arrestare la corsa quotidiana per una sosta salutare
di riflessione. Magari per ristrutturarsi internamente”.
“Le restanti canzoni sono un frammento di quindici anni di personalissima
meditazione occidentale”. Partendo dalla più vecchia sono: Panama (1981)
proposta però nella versione dal vivo del ’93, come anche Una notte in Italia
(1986), La musica che gira intorno e Cow-boys (1983), che conclude il
115
disco,201 Ventilazione (1984), Buontempo (1986)202, La pianta del tè (1988);
dall’album Discanto (1990) vengono invece tratte tre canzoni, Italiani
d’Argentina, Unica Rosa e Discanto; tre anche i brani tratti da Lindbergh
(1992): La canzone popolare, Mio fratello che guardi il mondo, Notturno
delle tre; da Macramè (1996) è tratta invece Labile.
Nel 1999 Fossati, mosso dal desiderio di allontanarsi un poco dalla scrittura
delle canzoni e dalla sua costante curiosità, decise di intraprendere una
nuova impresa, di cercare qualcosa dove trovare nuovi stimoli e da cui trarre
nuove idee, una reazione a una certa stanchezza per la scrittura che altre
volte l’aveva portato a lavori alternativi, come quello di scrivere musiche
per il teatro o per il cinema.
Così egli, insieme all’amica Elisabetta Pozzi, attrice ligure di teatro di prosa,
elaborarono le idee per mettere in scena un “concerto recitato”, quello che
divenne il Concerto in versi, prodotto poi da Cose di Musica ed edito nel
2001 insieme al suo libro Carte da decifrare (Einaudi).
Non ci fu una lunga preparazione né prove vere e proprie. L’esperimento,
raccontano i due artisti, era accostare in maniera inconsueta musica e parole,
ponendole non l’una a servizio dell’altra, ma l’una contro l’altra, per provare
a decostruire quello che si è soliti costruire, una sfida, insomma un gioco
fatto di improvvisazione musicale, jam session e la lettura dei testi con la
voce di Elisabetta Pozzi.203 Naturalmente ogni concerto (furono circa
201
La canzone ha una certa importanza: "Dopo 15 anni, mi sono accorto che questa canzoncina
breve è la piu' importante fra tutte quelle che ho scritto. È il minuscolo cardine che ha impresso
una nuova direzione alla mia carriera".
202
Brano riscoperto da Ornella Vanoni nel ’97.
203
A proposito di musica e parole Fossati racconta: “Certe parole vengono esaltate dalla musica.
Ci sono frasi che senza accompagnamento perdono qualsiasi peso, credo che si debba sempre
116
cinque) fu diverso dall’altro, ogni volta una sorpresa, una nuova creazione di
equilibri e disequilibri nei dialoghi fra gli “attanti” in scena.
Tra i brani per le letture, scelti perlopiù dall’attrice, dopo averli sottoposti a
giudizio a Fossati, ricordiamo i Quattro quartetti di T. S. Eliot, l’Amleto di
Shakespeare, Mi ami? di Ronald D. Laing, e ancora Senzatitolo di Edoardo
Sanguineti, Cose che sono, parole che restano di Costa, Ad ora incerta di
Primo Levi, Il Tautofono di Alfredo Giuliani, Il giardiniere di Tagore, il
tutto, come detto, accompagnato dalle note improvvisate dei musicisti in
scena (Ivano Fossati: pianoforte, piano fender, piano preparato, Caudio
Fossati: batteria, Edoardo Lattes: basso elettrico, Roy Paci: tromba e
flicorno, Mario Arcari: oboe, sax soprano, ocarina, flauti, melodica) e da
qualche intervallo concesso a poche canzoni dell’autore, scelte tra quelle che
ama di più (come Poca voglia di fare il soldato e Mio fratello che guardi il
mondo).
Ritroviamo letture di testi abbinate a canzoni, anche se in modo differente,
anche in alcuni album, come in Macramè e in La disciplina della terra,
oltre che in occasione di qualche concerto (come ad esempio nella sua
ultima tournee).
Nel 2000, a quattro anni di distanza dal precedente album (senza contare la
raccolta del 1988), uscì La disciplina della terra,204 lavoro particolarmente
maturo, introspettivo, spesso malinconico (caratteristica alquanto frequente
fare la prova di leggere una canzone come fosse poesia, e si ha subito la sensazione di quanto sia
importante la stampella della musica. […] Ugualmente ci sono musiche che accompagnano
parole suggestive, private delle quali diventano composizioni di poco conto”. FOSSATI 2001: 53
204
Produzione: Beppe Quirici.
117
nel nostro autore), che dimostra quanto Fossati sia capace di rinnovarsi pur
rimanendo sempre fedele a se stesso.
Quest’album, come e forse più di altri, rappresenta un particolare momento
creativo dell’artista: “A giudicare dal piacere con cui l’ho registrato, direi un
momento molto fortunato. Credo proprio che questa sia la mia «forma
canzone» più evoluta. Forse un po’ obliqua, slargata, ma mia al cento per
cento. Quattro anni dopo l’ultimo album in studio volevo focalizzare
appieno il mio essere artista, poi farò altri esperimenti, a cominciare dal
disco strumentale cui sto pensando da tempo”.205
La raccolta appare complessivamente come una summa delle migliori
composizioni dell’autore, dall’alchimia di Discanto agli intrecci di
Macramè passando per i viaggi di Lindbergh e le terre sconfinate di La
pianta del tè. Musiche, suoni, parole, immagini, luci, colori, che
compongono un autoritratto (come appare quello della copertina), visto
attraverso uno specchio che riflette anche tutto ciò che sta dietro di lui,
mostrando così, dal suo punto di vista, l’ordine (e il disordine) del mondo, i
principi costitutivi del vivere umano, “la disciplina della terra”.
La disciplina della terra è l’ordine che governa la vita, e il disordine del
caos da cui essa nasce, è un’alchimia, in cui gli elementi costitutivi sono i
principi essenziali della nostra esistenza: “l’amore nelle sue versioni”, amore
disperato e disperante, beffardo e sensuale, vicino da poterlo toccare o
lontano fino a diventare assente, l’amore sognato, taciuto, l’amore che si
attende e quello che si finge. E ancora “amore e altre deviazioni”, “come la
malinconia, come la nostalgia”, le sofferenze, i dolori, i sentimenti
universali, quelli di sempre, quelli di tutti. Fossati racconta così, spesso
205
Dalle recensioni in www.ivanofossati.net.
118
autobiograficamente, la storia di tutti, e parla di tempo, il tempo che
inesorabilmente, e/o per fortuna, passa, il tempo presente e il tempo futuro,
quell’avvenire in cui si ripongono i sogni e le speranze, quell’orizzonte di
attese cui si aspira costantemente, percorrendo il viaggio di ogni giorno.
Come sempre ci parla di sentimenti, scandagliando in profondità “la
condizione umana” attraverso un viaggio negli angoli segreti dello spirito.
Racconta di sogni, di “sognatori di mondi”, di viaggiatori erranti, solitudini,
e sempre e comunque descrive la vita tutta, quella vita che, nonostante tutto
è “più bella di ieri”, e “a tutti ci fa battere il cuore”, una vita fatta anche di
“invisibile”, di angeli, e naturalmente di musica. Musica composta anche di
sussurri, voci in falsetto, grida, canti lirici, rumori, ma anche di silenzio, un
silenzio a volte evocato ed invocato, a dire l’indicibile, l’invisibile, il fluire
inarrestabile e irraccontabile della vita.
La disciplina della terra è composta da canzoni che richiamano la
leggerezza, l’impalpabile, l’etereo, come Invisibile, Angelus, La rondine, e
da altri brani che invece evocano concretezza, se non pesantezza: Treno di
ferro,
Sono tre mesi che non piove, Il motore del sentimento umano,
Iubilaeum Bolero. Il binomio ideale (disciplina) e fisico (terra) è del resto
celato anche nello stesso titolo.
Queste canzoni a loro volta ruotano intorno ai temi consueti del viaggio,
dell’amore o più in generale a tematiche esistenziali come La mia giovinezza
o La disciplina della terra.
Quest’ultimo brano, da cui prende titolo l’intera opera, racchiude in sé,
nascosti tra gli arcani segreti della ruota della vita, alcuni dei principi
essenziali della “disciplina della terra”: “che non si china la testa”, che “non
si regala l’intelligenza o la compagnia”, e “che non è il caso di aspettare”,
119
perché “desiderare non basta”, non basta passare il tempo ad “innamorarsi
dei colori delle cose”. Davvero è difficile spiegare i misteri di questo nostro
vivere umano, i ritmi della terra, lo scorrere del tempo, l’amore, e tutti
quegli eventi che, per fato o per caso, ogni istante ci piovono addosso. E
forse neanche Fossati è riuscito a farlo, ma ha di certo saputo in qualche
modo – forse con “un contratto con gli angeli” – entrare in uno di quei
profondi antri del sentimento umano, riuscendo ad esprimere, come lui sa
fare, quell’inspiegabile (e inestricabile) intreccio di emozioni che tutti
proviamo e sentiamo, ma che spesso non sappiamo dire.206
Indicibile e inesplicabile sono categorie che appartengono anche a ciò che è
Invisibile.207 Altro brano che si addentra nei percorsi misteriosi di quello che
è difficile (con mani o cervello) afferrare. “Invisibile” è “il vertice puro
dell’allegria”, “la misura del tempo”, “l’amore nelle sue versioni”. E
invisibile è anche “la strategia miserabile del cacciatore che si fa invisibile”,
o quella di chi, secondo un “ordine superiore”, si fa invisibile anche verso
ciò che ama (“io sto sempre lontano da ciò che amo io sto / invisibile”).
E ancora indecifrabile è il funzionamento di quello strano meccanismo che è
Il motore del sentimento umano, altra riflessione sull’amore, in cui si
inseriscono i vari interrogativi di chi si è perso in un momento di “musica
dura”; questioni sulla “trama del cielo”, sulle parole (“spediscimi le parole
che ti dovrei dire”), le parole “che servono oggi a chi non sa scrivere che
206
In questo brano, come in altri, si fa riferimento alla musica: qui con il verso “tutti quei nomi
dimenticati sotto la mano sinistra del suonatore”; in La mia giovinezza si legge invece
“strofinando un pianoforte si incontra il mondo dei vincitori”; in Invisibile si legge invece “il
pianoforte del dio del silenzio”, e “l’ambizione muta del compositore”; in Angelus la donna è vista “pronta e muta come un pianoforte”; in Iubilaeum bolero troviamo “musica del 900” e “ musica forte di trombe e di tamburi”, in Il motore del sentimento umano “c’è musica dura intorno
per certi angeli”.
207
“Invisibile” doveva inizialmente essere il titolo dell’album.
120
lettere d’amore”, e ancora sul tempo (“che tempo è questo, che strada e che
ora del giorno è”) e soprattutto ci si chiede la chiave per entrare negli
ingranaggi del sentimento umano.
In Sono tre mesi che non piove208 è espressa, con parole ruvide e dure, la
sofferenza dell’aridità data dalla mancanza d’amore, invocato qui come una
pioggia, e la disperazione di un dolore “senza difesa”.
Un altro brano sull’amore è Angelus, un amore questa volta vicino, che
esprime, come altri brani del nostro autore, il lato sensuale e fisico
dell’amore. Lo stesso amore carnale è raccontato in La rondine,209 ma qui la
metafora non è di un “angelo da collezione”, bensì di una “rondinetta
traditora”.
La mia giovinezza, brano d’inizio, è forse il più autobiografico dell’album.
Richiama concettualmente la fugacità del tempo, il desiderio di afferrare la
vita e viverla senza rimpianti, e rappresenta, proseguendo la metafora
dell’autoritratto, il tassello della retrospettiva. L’autore racconta di una
giovinezza mai tradita, “perché la vita si alimenta di poco”, di un passato
“pieno di donne”, una vita vissuta (ma non consumata) “sulle labbra
dell’avvenire”, cercando soddisfazione per quella continua “sete e fame” di
esperienze che è degli spiriti come lui, esperienze che a volte, per i casi della
vita, lasciano a mani vuote, come sa bene chi “ha conosciuto tutte le braccia
e tutte le ha perdute”. Ma, dopotutto, seguendo uno dei principi della
“disciplina della terra”, quello di “confidare nel silenzio e nella condizione
umana”, “strofinando un pianoforte si incontra il mondo dei vincitori”.
208
Scritta originariamente per Tosca.
209
Canto tradizionale trascritto e rielaborato da Fossati ed eseguito qui con Luvi De André.
121
Treno di ferro, dedicata “ai ragazzi che partono, in pace e in guerra”, come
recita il sottotitolo, è il racconto di una partenza, dura e pesante come le
lamiere del treno che sta per partire, un “treno di ferro con il cuore di calce”
e “il soffio di acido e di veleno”. Il momento dell’addio è uno dei più
dolorosi, ancor più se si parte perché “si deve”, e per andare in un posto
senza ritorno. C’e qui anche un richiamo al tempo visto in chiave di
speranza, ma carico di amarezza: “anche quest’ora passerà”, passeranno
questo tempo difficile e questo momento doloroso, così “come il tempo
tutto”.
Iubilaeum Bolero (Ai giubilanti dell’anno duemila),210 si stacca dalle altre,
col suo tono di polemica e di critica sociale che appartiene al Fossati più
indignato (quello di Discanto e Lunario di Settembre), qui impegnato in una
feroce satira contro la superstizione travestita da religione, nell’anno santo
del Giubileo. L’impianto sonoro, in cui è inserita una lunga parte
strumentale (il brano dura in tutto quasi dieci minuti), è duro e nervoso,
percorso da suoni vibranti, sferzanti più delle parole, e da cori di giubilanti.
Il brano si chiude con una preghiera popolare in genovese e con un
recitativo (voce di Mercedes Martini).
Dancing sopra il mare (Panama parte seconda e finale) e Finale (Al tempo
che si muove) sono i brani strumentali che concludono il disco con note
leggere che richiamano al viaggio, affievolendo un po’ dalla “pesantezza”
degli altri brani più “impegnati e impegnativi”.
210
“È la canzone meno progettuale di tutto l’album, mi è venuta in scrittura automatica. Ho inteso
fare un affresco che fosse una processione profana, di un’umanità alla ricerca periodica di riscatto
e purificazione. E volevo che fosse chiaro che la mia è una posizione di semplice osservatore.
Tanto che, alla fine dell’allegoria, dico: attenzione, se fossi là dentro sarei proprio come voi. Insomma non voglio giudicare”. Da Rockol 25-01-01 in www.ivanofossati.net.
122
I due brani sono uniti dalla voce recitante di Mercedes Martini le cui parole
ci portano alla conclusione di questo viaggio attraverso “la disciplina della
terra”, e fuor di metafora, del viaggio di tutte quelle “voci erranti” cui
finalmente “la terra all’orizzonte / tenue / di nuovo appare”.
Queste parti strumentali, amate e usate da sempre dal nostro autore,
anticipano il lavoro “senza parole” che verrà finalmente realizzato dopo
questo. Le parti musicali sono ben curate in tutto il disco e vanno da brani
più semplici, suonati solo da pianoforte e orchestra, ad altri più ritmati e
jazzati, percorsi da sonorità latino americane, a parti dolci e sussurrate, ad
altre aspre e sonore: una varietà dovuta anche alla presenza di musicisti
come Enrico Rava, Roberto Gatto, Gianluigi Trovesi, la London session
orchestra, Yoyo Mundi, Le giaculanti genovesi.
Nel 2001 Ivano Fossati avverò finalmente il suo antico desiderio di fare il
“musicista” realizzando il suo primo album solo strumentale: Not One
Word, il progetto “senza una parola” annunciato da tempo, a lungo coltivato,
rimandato, e finalmente concretizzato. Un disco che rivoluziona un po’ il
mondo della musica leggera italiana, poichè fatto di riferimenti popolari,
musica da film, jazz, tango, ma non di canzoni, almeno nel senso
tradizionale del termine.
Ma vogliamo illustrarlo direttamente attraverso le parole dell’autore, che
racconta la genesi e la lavorazione del disco in un’intervista a Rockonline
(28 maggio 2001):211
211
Le citazioni qui riportate sono tutte riportate (a parte quelle con altra nota) nel sito ufficiale di
Ivano Fossati: www.Ivanofossati.net.
123
“È un progetto che ha richiesto una lunga gestazione. Se lo avessi realizzato
allora (quando due anni prima aveva mostrato quest’idea), ne sarebbe uscito
un lavoro completamente diverso. In questi due anni e mezzo trascorsi dal
primo annuncio fino ad oggi l’idea è cambiata, si è modificata fino a
diventare quella che è finita su disco. È questa la ragione del ritardo: sentivo
che l’idea stava cambiando e avevo timore ad affrontare un progetto che
neanche io avevo ancora ben chiaro. Alla base c’era il desiderio di utilizzare
il pianoforte, di provarmi su certe tessiture musicali nuove, c’era la voglia di
fare un salto. Un salto che non è piccolo, ma grande: la rinuncia alla parola è
una svolta importante per uno che ha scritto canzoni per trent’anni. Scrivere
canzoni significa scrivere pensieri: più o meno riusciti, più o meno alti, ma
sempre pensieri. Significa quindi usare le due ruote dell’espressione
musicale, testo e musica. E, poi, nel mio caso, sono riuscito a fare quello che
desideravo dall’inizio della mia carriera: io volevo suonare, mi sono sempre
considerato uno che, cantando, aveva sbagliato mestiere. Può darsi che a
cinquant’anni abbia riequilibrato questa situazione. Se per tutti questi anni
ho desiderato fare una cosa di questo genere, significa che c’era una brace
forte che covava”.
Il progetto non esce a nome di Ivano Fossati ma come “Ivano Fossati
Double Life”. Egli spiega che ha scelto questo nome “perché questo
progetto andrà avanti”. E prosegue: “Intendo Double Life come un’entità
artistica diversa da me che scrivo canzoni. Era per dare un segnale netto:
non un autore di canzoni che si mette al pianoforte e scrive anche della
musica, ma uno che reinventa completamente la propria vita artistica. Io
credo che, se mi riuscirà, porterò avanti queste due maniere di esprimermi,
una con la parola, una con la musica.” […] “Ivano Fossati Double Life è un
124
progetto aperto nella forma e nel tempo. Può essere inteso come un gruppo
musicale di entità variabile e come una forte volontà di affrontare un lavoro
sulla composizione che sia alternativo alla canzone. Intanto, grazie
all’esperienza inaugurata dai Double Life, stiamo mettendo su con Claudio
(il figlio) un laboratorio musicale che dovrebbe favorire l’incontro con altri
musicisti anche stranieri.”
Il titolo del disco è in inglese, e buona parte delle composizioni hanno titoli
stranieri (in francese, inglese, spagnolo). “È una scelta voluta – continua
l’autore – per sottolineare che una volta che si rinuncia alla parola allora
qualunque parola in qualunque lingua ha senso. Un titolo può diventare più
evocativo in spagnolo o in francese.”
Per quanto riguarda la scelta dei titoli dei brani dice: “Per la prima volta mi
sono trovato nella posizione in cui si trovano tutti i compositori puri, come i
jazzisti. In questi casi o si rinuncia completamente alla profondità del
significato, dando titoli fittizi, oppure si caricano le proprie composizioni di
significati precisi. Io vengo da un’attività di composizione, come quella
delle canzoni, in cui il titolo è fondamentale e deve essere ben radicato
dentro il significato della canzone. Quindi non posso fare a meno di
significare un pezzo musicale con un titolo adeguato. Mi sono trovato per la
prima volta di fronte ad una situazione per me problematica, che non
conoscevo: il vuoto di parole ma non di significato, al quale bisogna dare un
nome. […] In questo disco affiorano diverse influenze musicali: c’è il tango,
c’è la musica da cinema, ci sono i pianisti.212 Quando si apre questa enorme
finestra e si pensa che si ha di fronte tutto il possibile musicale, è una
212
“Not one word, per esempio, è venuto fuori dal pianoforte dopo aver ascoltato Ahmad Jamal,
anche se poi non gli assomiglia per niente”.
125
situazione pericolosissima. È come se i tuoi binari, stretti e rigorosi, fossero
saltati. In questa meravigliosa selva di cose che ti attirano bisogna trovare la
propria strada espressiva. È stato difficilissimo, ma anche uno dei lavori più
entusiasmanti che abbia fatto negli ultimi anni”.
Poi l’autore prosegue parlando dei musicisti che lo hanno maggiormente
influenzato: “Come chiunque metta le mani più o meno bene sul pianoforte,
adoro Jarrett. Però, se devo pensare a qualcuno che ho nella mente ogni
volta che suono, dovrei citare John Lewis del Modern Jazz Quartet. Al mio
livello, infinitamente più basso, ricordo un suo modo di armonizzare, di
portare gli accordi, forse perché sono cresciuto ascoltandolo.” E ancora, nei
14 brani della raccolta (13 originali e Besame mucho213 di Consuelo
Velasquez), Fossati lascia trasparire la sua predilezione per il jazz più lirico
di pianisti come Ahmad Jamal e Bill Evans, per il tango coltoappassionato
di Astor Piazzolla e per altre risonanze latino americane, come quelle di
Egberto Gismonti, e ancora per le colonne sonore di Ennio Morricone, per
Michel Legrand e poi per Ryuichi Sakamoto, Carla Blay, Glenn Gould.
L’album esce per la casa discografica Sony Classical, una scelta
significativa: “Ci abbiamo pensato assieme tutti, perché essere pubblicati da
quest’etichetta ha un suo significato e può essere scambiato come un atto di
presunzione. Per cui ho lasciato che decidessero loro: la Sony Classical fa le
proprie scelte su cosa pubblicare direttamente in America, e io mi sono
213
“Besame mucho mi sembrava una cosa dovuta, innanzitutto al mio divertimento, perché è un
brano che mi piace molto suonare. Poi dovuta al pubblico: prendendo a pretesto il racconto della
storia della sua autrice, Consuelo Velasquez, l'ho suonata dal vivo negli ultimi due anni con
grande successo. Così ho pensato che a molti avrebbe fatto piacere riascoltarla. Poi è un brano a
cui sono molto affezionato”.
126
sottomesso volentieri, inviando loro tre-quattro composizioni. È stato un
ulteriore esame che ho affrontato volentieri. Poi la Sony Classical ha creato
un recinto per gli anomali, per i pazzi. Un disco come il mio non viene
pubblicato insieme a quelli di Mozart, ma insieme a quelli di musicisti che
provano a fare un tipo di musica difficilmente etichettabile, che
diversamente non avrebbe un territorio. Così mi sono trovato in buona
compagnia con Joe Jackson, con Ryuichi Sakamoto.”
E in effetti è davvero difficile trovare una classificazione per questa musica,
ormai lontana dalla canzone italiana, che non è pop, non è classica, non è
jazz. Molti critici, fra i quali Franco Fabbri, hanno sottolineato questo
aspetto chiedendosi quanto queste “canzoni senza parole” siano vicine ai
generi “alti”. Ma è Fossati stesso a dichiarare di non considerarsi “un
compositore nel senso classico e “alto” del termine”, bensì, come abbiamo
già accennato, c’è in lui e in questo lavoro un atteggiamento nei confronti
del suono, della melodia, della costruzione armonica, che trova
corrispondenze nel jazz, nella canzone, nella musica da film di qualità, e
anche nella musica da camera, ma non è quello dei musicisti “colti”
contemporanei (“Conosco bene il jazz e la musica da camera, ma conosco
anche i miei limiti: non ho voluto invadere territori che non mi
appartengono”).
E allora Not One Word che cos’ è? Fossati ama definirla come “la raccolta
di temi musicali per un film che non c’è”, una colonna sonora su “autocommissione”: “vuol dire che uno pensa a un film perfetto, a un musical
ideale e fa la musica per questa ipotesi che è solo sua”. E oltre questo
rappresenta per lui “una bella via di fuga”, il concretizzarsi di “una doppia
vita artistica”: “la mia vera passione, quella per il canto degli strumenti
127
musicali, che in me rimane paradossalmente disgiunta dall’altro profondo
amore per la lingua che parliamo, i pensieri, la parola appunto, e la sua
fonetica”. “Not one word, il primo album che realizzo nell’ambito del
progetto Double Life è la trasparenza totale delle mie passioni con il
contributo e l’interferenza degli amori musicali e della preparazione altrui.
Un titolo così perentorio non lo spiego altrimenti se non in chiave giocosa,
uno sberleffo alle parole anzi alle mie stesse parole, quelle che ho scritto per
tanto tempo e che continuerò a scrivere”. “Le passioni cui accennavo e che
attraversano Not one word sono le mie certamente, ma anche per esempio
quelle del direttore d’orchestra Paolo Silvestri”, o quelle dei musicisti, fra
cui Martina Marchiori e Claudio (Fossati),214 “altamente irriverenti nei
confronti degli strumenti”. E conclude: “Il giorno in cui ho terminato le
registrazioni di questo lavoro mi sono sentito un musicista più libero di
quanto non sia stato fino a oggi e credetemi, perfino un po’ più felice”.215
Forse Not one word fa da contrappeso a una certa stanchezza creativa che si
avverte nella nostra canzone d’autore. L’autore è d’accordo: “Esperimenti
come il mio servono in parte a rompere l’intollerabile ripetitività dello
scrivere canzoni. Anche se la grande pagina dei cantautori è stata forse già
scritta, penso che gli unici ad avere il diritto di ripetersi sono coloro che
hanno cominciato. Quei pochi, come De André o De Gregori, che sanno
214
I musicisti sono: Ivano Fossati (pianoforte, vibrafono, armonium, oscillatori), Martina Marchiori (violoncello), Claudio Fossati (batteria, percussioni), Paolo Silvestri (arrangiamenti e direzione d’orchestra), “Orchestra di Roma” (primo violino: Ettore Pellegrino), inoltre: Gabriele Mirabassi (clarinetto), Luciano Biondini (fisarmonica), Michael Applebaum (tromba e flicorno),
Pietro Cantarelli (tastiere e sonorizzazioni), Fabio Severini (corno inglese), Edoardo Lattes (contrabbasso).
215
Dichiarazioni fatte durante la rassegna stampa per l’uscita del disco.
128
cos’è la poesia. Gli altri, i più giovani, è meglio che partano da altre
posizioni, che sperimentino altre vie”.216
L’ultimo lavoro dell’artista ligure è Lampo viaggiatore (febbraio 2003),217
un disco volutamente immediato, senza giochi enigmistici, lontano dalla
malinconia che ha contraddistinto fino ad ora la sua canzone, e dunque più
solare, leggero, giocoso. Un disco che nasce da una ritrovata capacità di
scrivere “semplici canzoni”, una sorta di ritorno al passato, che scaturisce
(paradossalmente) dalla volontà di rinnovamento, come a voler dare una
“rinfrescata” alla sua canzone.218
Come di consueto ci piace spiegare il suo lavoro attraverso le sue stesse
parole: “Credo di avere scritto le canzoni di Lampo viaggiatore pensando
più ai juke box sulle spiagge d’estate, al mio mai dimenticato mestiere di
autore di canzoni, a certi successi Tamla Motown degli anni Sessanta, che al
ponderoso concetto di canzone d’autore. Forse proprio in relazione e per
umana reazione al periodo difficile che il mondo sta affrontando, ho scelto
ogni parola e ogni soluzione musicale di questo album desiderando che
valga soltanto per se stessa, senza le enigmistiche doppie letture che spesso
hanno costituito la materia dei miei lavori. Nessuna abiura del passato,
beninteso, solo credo di dovere molto, anzi moltissimo, all’esperienza
«muta» del mio album precedente: Not one word. Il naturale scollamento fra
musica e parole mi appare oggi più netto e significativo, ancora più degno di
216
La Repubblica del 22 maggio 2001.
217
Columbia/Sony music.
218
Questo cambio è accompagnato anche dal totale rinnovamento della band (a parte il figlio
Claudio).
129
essere esplorato con determinazione”.219 Quel lavoro strumentale “mi ha
fatto capire che la musica è come lo scafo d’una barca, le parole come il
timone. E avendo capito cosa vuol dire viaggiare senza timone, mi sono
molto semplificato, con un utile alleggerimento”. “Scrivendo quel disco di
sola musica mi è venuta voglia di reinnamorarmi della canzone, della sua
semplicità, e ho voluto costruire un disco senza possibilità di una doppia
lettura, senza metafore o complicazioni, senza nascondermi e senza zone
d’ombra come la nostalgia, perché in momenti come questi non ce n’è
bisogno”. “Mi sono trovato a scrivere canzoni che volevo avessero testi
leggibili e comprensibili, che alla prima lettura si potesse dire subito “mi
piace” o “non mi piace”, evitando di divertirmi con l’enigmistica. Mi sono
liberato del desiderio di fare di più. È un po’ il ritorno a un certo mio modo
di comporre di molto tempo fa, solo che queste canzoni, che di solito
scrivevo per altri, questa volta me le sono tenute per me e ho fatto io
l’interprete di me stesso”. “In passato, quando scrivevo per me e non per gli
altri, ero terrorizzato dallo scrivere cose banali. Diventavo un complicatore.
Per questo disco, invece, sono riuscito ad essere un semplice autore di
canzoni. Come se, quei testi, li avessi scritti per un interprete. Solo che
l’interprete ero io”.
I dieci nuovi brani toccano i temi di sempre e ruotano intorno al viaggio,
elemento costante in tutta la produzione di Fossati e anche in questo disco. Il
viaggio infatti è evocato innanzi tutto dal titolo dell’album220 e
219
Dichiarazioni dalla rassegna stampa.
220
Fossati racconta: “Lampo era il cane di un capostazione di Campiglia Marattima: un bastardino bianco e marrone che saliva sui treni, prendeva coincidenze e trovava sempre la via per tornare a casa. Conosceva a memoria gli orari e sapeva distinguere gli accelerati dai direttissimi.
Avevo letto la sua storia (scritta da Elio Barlettini) da bambino (era su tutti i sussidiari) e l’avevo
conservata nella memoria”. La scorsa estate l’autore si è recato alla stazione di Campiglia per vedere il monumento dedicato al cane.
130
dall’immagine in copertina di una vecchia locomotiva del 1935 (la
E.428.096)221. Viaggio nello spazio ma anche nel tempo, nel passato e nel
futuro, attraverso il mondo dei sentimenti e della fantasia, viaggio onirico,
quello del visionario, con “una macchina che riavvolge il tempo”, o un
congegno capace di fermarlo: “Ho pensato che si può anche essere
dignitosamente spaventati dal tempo in cui si vive. Io sono abbastanza
spaventato in una misura che comunque mi garantisce la dignità. Volere un
congegno che sposta il tempo significa aver paura, e si può affermare che ci
sono angoli del tempo che appaiono migliori, con una miglior temperatura
morale di questi momenti in cui sembra che gli uomini, la gente tutta, si
stiano allineando in basso. Ci stiamo disgregando e lo diceva Gaber in una
delle ultime interviste che ho letto”. Così Fossati ha provato, per parte sua, a
cambiare il tempo, ha abbandonato la tecnologia, i computer e ha provato a
scrivere come faceva “negli anni ’70 con Oscar Prudente. C’è un po’ di
Panama e di canzoni nate con grande giocosità. Ho cercato leggerezza, che
è anche una reazione a quello che viviamo, sentiamo tutti i giorni. Io sono
un uomo antico. Inutile negarlo”.222
Ma intraprendiamo un breve percorso all’interno della raccolta. Lampo
(Sogno di un macchinista ferroviere) “è una metafora. Il macchinista sogna
un viaggio siderale. Arrivare dove non ci sono binari, sulla spiaggia, sul
ghiacciaio: capricci impossibili per una locomotiva. Dopo questa unica
‘notte brava’, in cui arriva ovunque, ‘senza fari e senza corrente’, rientra nel
percorso obbligato della sua vita. Come tutti noi. E il suo pensiero ultimo,
221
“In copertina ho messo un vecchio locomotore che mi piaceva e mi chiedevo perché. Poi mi è
venuto in mente che era quello che da bambino guidava il treno che mi portava alla colonia
estiva. Sono fotografie, cartoline, cose vissute che restano lì. Senza nostalgia”. (dalle recensioni
nel sito ufficiale).
222
Dichiarazioni inserite nelle recensioni nel sito internet uffiaciale.
131
da bravo macchinista, è quello di ritornare, puntuale, dopo il sogno, al
mattino, accanto alla donna che ama”. Nel testo si può leggere un doppio
significato del “passare”: uno come attraversare, e dunque in senso spaziale
(“Passa l’acqua di uno stagno / veloce di fretta va via / la piazza del borgo il
ponte / il vicolo di fronte”) e l’altro invece in senso temporale (“Passano la
febbre, la sete / col tempo l’amore, la gelosia”), riprendendo un concetto più
volte usato da Fossati, che sottolinea il continuo divenire delle cose che
accadono, che sono nella nostra vita sempre e comunque di passaggio.
Questa canzone, come altre del disco, è molto ritmata, sia nella musica che
nella parte cantata, e ha un’impronta jazzata negli inserti del sax tenore
(Valentino Bianchi dei Quintorigo).
Un altro genere di viaggio è quello raccontato in Pane e coraggio, un brano
sugli emigranti che richiama per la tematica Italiani d’Argentina. Fossati
non cessa dunque di interessarsi a tematiche sociali e a farle soggetto delle
sue canzoni. Questo brano “va oltre lo steccato politico, ha solo riferimenti
umani, potrebbe pure essere sugli emigranti del secolo scorso”.223 Racconta
il dramma di tutti quegli uomini, spesso clandestini, spesso in fuga da una
“terra che li odia”, che inseguono il miraggio della terra straniera, alimentati
di sogni e illusioni, il cui destino poi è di approdare (quando non vengono
dispersi lungo il viaggio), delusi e offesi, in una “terra che non li vuole”.
Musicalmente è un incontro di ritmi latino americani e di un’impronta
popolare data dalla fisarmonica (suonata dallo stesso Fossati).
Cartolina (che è il brano di chiusura) è in realtà “una cartolina al contrario”,
racconta Fossati. “Ero in un paesino dell’Appennino ligure: di solito si
scrive «non vedo l’ora di partire per rivederti». Io invece canto «non ho
223
La Stampa 7 febbraio 2003.
132
nessuna intenzione di scendere a valle perché in questo fare niente sono
felice»”, è una fotografia di benessere “dell’uomo che va a guardare la
corriera che parte per essere sicuro di restare dov’è”. È dunque un po’ la
canzone del non-viaggio: la cartolina è mandata non da un luogo di vacanza,
ma da un posto da cui non si vuole partire, un luogo strano dove “non nevica
e non piove”, dove “passano gli orsi in bicicletta”, ma da questo posto di
“niente da fare” lui “non vuole ritornare”, e alla corriera ci va, ma per
“guardarla ripartire”, senza lui. Un rifugio ideale da un mondo sociale che è
a volte avverso e inospitale, per cui, come realmente Fossati spesso fa, si
preferisce stare in un posto tranquillo, senza grandi svaghi, ma con pace e
silenzio. Similmente agli altri brani fin qui presi in considerazione questo
brano è molto ritmico, anche nel cantato, ma queste caratteristiche si trovano
in misura maggiore in Contemporaneo. Qui il nostro autore, rimpiangendo il
lontano ’900, con ironia e sarcasmo dà uno sguardo al tempo moderno, un
tempo di corsa, in un mondo di desideri mediocri, di “sogni raggiungibili”,
di vite che si vogliono perfette (“figlie obbedienti”, “casa spaziosa,
elettronica, luminosa, vistosa”, “amministrata da una donna silenziosa”). Un
tempo in cui la società vuole “meno ideale”, “meno sentimento” e “più
ragione”, in cui bisogna avere la “capacità di stare collegato all’ordine del
mondo”, e in cui si immagina un futuro “feroce”, dove si pensa solo a
“sbranare chi capita”, e a “volere di più”, fino a desiderare perfino un
prototipo, “un congegno in mezzo al cuore” che potesse programmare e
controllare i sentimenti.
Torna dunque il Fossati polemico, quello che scaglia frecce contro i difetti
della società moderna, ma qui è diventato meno duro rispetto ai tempi di
Discanto e di Iubilaeum bolero, o forse nasconde la stessa durezza in una
133
satira più sottile, non più gridata ma celata dietro una canzone
apparentemente più “leggera”. “È una critica anche nei miei confronti,
anch’io sono tra quelli che corrono e desiderano. Cado nelle stesse trappole
in cui cadiamo tutti”, confessa l’autore.
Lo stesso spirito muove La bottega di filosofia, il primo brano della
raccolta,224 in cui Fossati manifesta ancora la sua percezione del presente, un
presente di cui fa parte, ma che lo inquieta. La canzone “è nata dalla volontà
di scrivere una canzone partendo da Mondo in Mi7”. L’autore racconta: “Per
giorni ho strimpellato quel brano alla chitarra, alla fine il pezzo è nato”.
Un’“illogica allegria”, “una leggerezza di reazione”, come la chiama lui, a
questi tempi cupi.225 È una polemica contro i presuntuosi, pseudo filosofi o
pseudo sapienti, che credono di sapere e conoscere tutto. “Viviamo in tempi
in cui tutti sono filosofi e nessuno rinuncia a parlare. Si parla troppo. I
lunghi periodi che trascorro nei paesini dell’entroterra ligure sono stati la
mia università. Lì, ho capito il senso della parola opportuna, né troppo né
poco, quella che serve”.226 E dunque a questo “visionario filosofo di
bottega” non rimane che sognare “una macchina che riavvolge il tempo”
(che è forse quella rappresentata in copertina).
Musicalmente anche qui stupisce un po’ l’impianto che ricorda in qualche
modo i tempi di La mia banda suona il rock e che si allontana da quelle che
erano state le ultime scelte di Fossati.
224
Questo brano è quello che è stato mandato in onda su tutte le radio in anteprima all’uscita
dell’album.
225
Il Manifesto 7 febbraio 2003.
226
Le dichiarazioni qui riportate sono fatte dall’autore in occasione della pubblicazione
dell’album, come riportate nel sito ufficiale www.ivanofossati.net.
134
Io sono un uomo libero, scritta per Celentano,227 esprime lo stesso spirito
critico e “ribelle”. Un uomo che dichiara: “Esco di rado e parlo ancora
meno”, “ma osservo molto”, in questa vita che è “un viaggio lento”, “un
ballo verticale che si impara un passo al giorno”, in cui ha visto “la feroce
bellezza
del
mondo lentamente trasformare”, un
mondo
in
cui
paradossalmente si crede di fare “la pace con le armi”, lui sceglie “di
camminare in silenzio”, da uomo libero, la cui sola direzione non è “né
destra né sinistra”, ma è vivere la propria vita secondo la propria regola, una
vita cui lui si vende tutto, “dalla testa ai piedi”. Anche qui i ritmi sembrano
richiamare il Sud-America (come abbiamo già riportato infatti l’autore
stesso riconosce di aver riscoperto un modo di comporre legato ad album del
passato come Panama e dintorni).
Ma oltre queste canzoni sul tempo, ci sono brani lirici e poetici, meno
ritmati e più “orchestrati”, brani che parlano d’amore, di bellezza, come C’è
tempo, unanimemente una delle più belle composizioni di Fossati, figlia
della sua parte più romantica. È una lirica in cui parole e suoni avvolgono
l’ascoltatore in un misto di emozione e immedesimazione che solo i grandi
artisti sanno suscitare. Fossati ha saputo qui raccontare il tempo che
scandisce la colonna sonora della nostra vita, quel tempo “che sfugge”
(“niente paura”), “che prima o poi ci riprende”, il tempo che abbiamo
perduto, e quello che ci rimane, il tempo degli errori e del pianto e il tempo
per l’amore, il tempo che “ci inchioda” (Discanto), che preme alle spalle
accentuando la nostra sete di vivere e di afferrare ogni istante, e il tempo che
invece ci dà tempo. “C’è un tempo / per seminare / e uno che haivoglia ad
227
È un brano che definisce “un bi-posto”,: “Mi piaceva che ci fosse una versione sua e la mia.
Dal punto di vista vocale è duro competere con Adriano, per questo ho cercato di renderla diversa per evitare paragoni'”.
135
aspettare”, c’è “un tempo sognato” che bisogna sognare, “un tempo negato”,
“uno segreto”, “uno distante”, “c’è un tempo perfetto per fare silenzio”, e
“un tempo bellissimo tutto sudato”, “una stagione ribelle”, ma (l’autore ci
consola) arriva anche “l’istante in cui scocca l’unica freccia / che arriva alla
volta celeste e trafigge le stelle”, “è un giorno in cui tutta la gente / si tende
la mano”, un tempo in cui “ci si capisce”, ma non bisogna avere fretta,
bisogna saper attendere (ché il tempo per aspettare è sempre quello più
lungo), perché “c’è tempo per questo mare infinito di gente”.228
Il bacio sulla bocca è “un unicum nella mia produzione, una canzone
d’amore che non finisce male”.229 Il testo è intimamente rivolto all’amata, la
“bella” cui chiede “volami addosso”, per vivere intensamente il tempo del
loro amore, aldilà degli errori, delle incertezze, di ciò che succede nel
mondo.230 La bellezza stravagante parla ancora di amore e desiderio. A
proposito di questi brani l’autore dice: “Non posso competere con la
sensibilità femminile. È inarrivabile. Mi sfugge. La vita senza donne è
impossibile, inesistente. E allora ho cercato delle metafore – «la pioggia
sull’asfalto d’estate» – o dei lampi tipo «alla fine di ogni notte ho desiderio
di incontrare l’amore che arriva senza ritegno», per sfiorare il tema delle
donne, della bellezza, dell’amore. In queste canzoni ho cercato di evitare
l’effetto ridondante dell’orchestra, preferendo la semplicità dei quartetti
degli anni ’50”.
228
L’espressione “mare di gente” è stata altre volte usata da Fossati, come in La barca di legno di
rosa in Lindbergh, o in C’è un uomo nel mare (scritta per Mia Martini).
229
“Un brano dove ho voluto fare l’interprete puro. È stato divertente”. (Il Manifesto 7 febbraio
2003)
230
Questo brano, come anche C’è tempo, è arrangiato e diretto da Paolo Silvestri.
136
Così è anche nel brano Ombre e luce (domenica al cinema), una canzone
che racconta ancora d’amore, una storia vera che si intreccia a quella “finta”
del film cui i protagonisti assistono, tra i bagliori della macchina da presa e
quelli della gelosia, ombre e luce, sogni reali e sceneggiati, in quell’intreccio
di verità e bugia, finzione e realtà come quello che compone tutta la sua
canzone, che, come egli stesso ha dichiarato, non è sempre vera espressione
di se stesso, ma è a volte, come ogni forma d’arte, la “messa in scena” di
una storia immaginata, sognata o riferita che per mestiere e per diletto si
vuole raccontare.
137
2.2
LA “POESIA MUSICALE” DI IVANO FOSSATI
Come “carte da decifrare” le parole di Ivano Fossati si aprono alla musica,
per giungere alle nostre orecchie e ai nostri cuori dirette, nonostante la loro
elevata cripticità. Sussurrate o gridate, dolci o severe, sempre e comunque
rivelatrici di un animo-poeta. Suoni, lettere, sillabe, parole, frasi, come una
sorgente inesauribile di pensieri da comunicare: il primo e più importante
obiettivo dell’artista, sia esso attore, pittore, poeta, cantautore o giullare.
Per chi si avvicina alla canzone di Fossati, i testi sono la componente che di
solito colpisce di più. Nonostante egli continui a dire che si sente più
musicista che paroliere, è opinione comune a tutti quelli che amano le sue
creazioni che sono le parole a colpire anzitutto. Come i grandi scrittori,
Fossati riesce infatti, molto spesso, a suscitare in chi lo sente quella
sensazione di appagamento che si prova sentendo parole che, in quel
momento, descrivono esattamente la nostra condizione, quelle parole che
non abbiamo saputo trovare, e che invece qualcun altro magicamente ci
regala. Le sue canzoni, la sua poesia, aiutano quindi a dare un senso al
nostro dolore, alla nostra gioia, alla nostra rabbia; quei testi talvolta oscuri
nascondono profonde riflessioni che hanno il respiro della verità.
Per questo motivo abbiamo ritenuto indispensabile mettere in luce le
caratteristiche dei suoi testi: parole in musica degne a volte di essere definite
poesie, anche se, come sostengono i critici, e come lui stesso ha dichiarato,
bisogna sempre tener presente che nelle canzoni il testo è concepito per
essere accompagnato dalla musica; questi due elementi nascono per
funzionare insieme, sono inscindibili e dunque presi separatamente perdono
138
di significato, mentre la poesia, come anche la prosa, si reggono benissimo
da sole.
Nel panorama della canzone del ’900 spesso e volentieri molti cantautori e
parolieri vengono assimilati ai poeti, ma questa definizione non sempre li
trova d’accordo. È il caso, per esempio, di Fabrizio De Andrè, che diceva di
non voler essere chiamato poeta, e dello stesso Fossati che ama distinguere
canzone e poesia, e dunque cantautori e poeti: nella canzone la parola è
sempre parola cantata, una parola in cui suoni, timbri, gesti contribuiscono e
condizionano il significato; “le parole sono il corpo della canzone […] come
la musica ne è l’anima”.231
È proprio Fossati a chiarire questo concetto: “La vera poesia non ha nessun
bisogno della musica perché i veri poeti sanno benissimo quanto spendono
di sé a fare in modo che la loro opera abbia già una musica interna. Certe
parole vengono esaltate nella musica. Ci sono frasi che senza
accompagnamento perdono qualsiasi peso, credo che si debba sempre fare la
prova di leggere una canzone come fosse poesia, e si ha subito la sensazione
di quanto sia importante la stampella della musica”.232
Lui stesso ha raccontato di non aver gradito affatto un episodio in cui alcuni
testi delle sue canzoni vennero letti come poesie. È questo un gesto che non
rispetta la natura della canzone, quasi la violenta, poiché la priva della
musica, componente del tutto complementare e necessaria al testo. “La
musica è come una barca, la parola ne è il timone, ciò che dà la direzione al
lavoro musicale”.233
231
Cesare Pavese in ACCADEMIA DEGLI SCRAUSI 1996: 27
232
FOSSATI 2001: 53
233
Dalla conferenza “L’astuzia delle emozioni (come la finzione artistica svela ciò che siamo)”,
Milano, 20 febbraio 2003.
139
E ancora a proposito della poesia l’autore racconta: “Ho intrattenuto dei
rapporti di frequentazione con la produzione di alcuni singoli poeti e in
particolar modo con la secchezza di quella poca poesia dei liguri. Sono
sempre stato affascinato da questo tipo di poesia che mi porta sempre alla
nostra realtà, vera, reale, come di un’asciuttezza generale di un pensiero.”
Fossati ha spesso sottolineato l’importanza che riveste la letteratura per chi
come lui scrive canzoni, in particolare ha constatato con amarezza che i
cantautori si mettono sempre meno in relazione con i poeti contemporanei,
cosa che invece, lui ha fatto e fa, traendone sempre nuova linfa.
Infatti egli non solo attinge in continuazione dagli stimoli dei grandi scrittori
che ama (Pavese, Saramago, Checov, Fenoglio, Amado, Marquez) e ha
collaborato con altri cantautori (come Fabrizio De Andrè) e poeti (come
Anna Lamberti Bocconi), ma “da sempre intrattiene un rapporto particolare
con la poesia, nel senso che, come il poeta, scrive e riscrive continuamente
quello che fa, cercando in questo modo di raggiungere obiettivi che vanno
molto oltre il senso e la forza di una semplice canzone”.234 Come il poeta
ricerca l’asciuttezza della forma, cura la tecnica, possiede il rigore, la smania
irrefrenabile della trascrizione e della riscrittura. Tuttavia, lui sottolinea, e
noi ribadiamo, le sue canzoni, come tutte, sono un’alchimia, un tutt’uno
inscindibile di note e parole, e dunque i testi non dovrebbero essere
considerati come fossero poesia.
Ciò nonostante vogliamo isolare per un momento la parte testuale dal contesto musicale, per analizzarla e per capire meglio da dove nasce, come
cresce e in che modo si sviluppa.
234
GIUSTINI 1996: 111
140
Come abbiamo accennato Fossati non nasce cantautore, e in questa
definizione egli stesso non si riconosce tuttora. All’inizio della sua carriera
artistica voleva essere solo musicista,235 voleva suonare e comporre musica;
lo scrivere è arrivato più tardi, quasi per caso, e sono stati gli altri ad
incoraggiarlo, primo fra tutti Oscar Prudente236 che ha scritto con lui i primi
testi, a cominciare dalla famigerata Jesahel.237
“Ho cominciato a scrivere un po’ d’istinto ma non ha funzionato subito”,238
racconta Fossati, e prosegue: “non è stato automatico, è stato un percorso
lungo, passato attraverso le versioni”,239 le canzoni per altri interpreti, gli
insuccessi e gli errori. Un continuo lavoro di ricerca, di perfezionamento, di
labor limae, degno di un poeta.
L’autore racconta: “Sono convinto che il mio mestiere, sopra molti altri, sia
proprio fatto di affinamento continuo, di mai fermarsi, di nessuna stasi, di
nessun riposo […]. Il lavoro di correzione degli scrittori lo considero un
esempio da imitare: il lavoro continuo di ritocco, di rimodificazione. Le
canzoni per me non sono mai compiute fino in fondo, ma sempre
modellabili e modulari, devono andare avanti nel tempo, espandersi,
crescere, modificarsi. Io credo che tutto sommato lavoro, e lo dico con
l’umiltà del caso, con la stessa tecnica che usano certi scrittori, che prima di
ritenere che la loro opera sia realmente conclusa, la modificano e la
rimodificano per anni. Perché in realtà, quando si dà per terminata una
235
L’autore stesso dice: “A me interessava la musica, e avrei tanto voluto scrivere solo quella,
non i testi”. FOSSATI 2001: 30
236
FOSSATI 2001: 30
237
Canzone premiata per il migliore testo al festival di Sanremo del 1972.
238
FOSSATI 2001: 30
239
FOSSATI 2001: 29
141
piccola opera come una canzone, la si condanna anche a rimanere nel suo
tempo bloccata e inchiodata per sempre.”240
“Il mio metodo è non avere metodo. Niente di originale, lo ammetto. Certo
qualche regola c’è, ma sono regole non scritte, non codificate. Però c’è
qualcosa che mi preme sottolineare. Una regola? Forse la si può chiamare
così. Mi piace riuscire sempre a collaborare con me stesso”.241
E ancora Fossati parlando del suo metodo: “Mi piace dire che scrivo canzoni
in forma obliqua, ovvero in maniera un po’ spostata rispetto ai canoni
tradizionali”.242
“Quella che entra nelle canzoni, nei testi, è una miscela che amo moltissimo
di realtà e bugia, che ho fatto diventare una specie di linguaggio personale.
Quando scrivo cerco di raccontare alcune verità nitide, immediatamente
controbilanciate da menzogne altrettanto precise, altrettanto chirurgicamente
precise, perché le bugie quando si raccontano devono essere perfette. Tanto
più nelle canzoni, devono essere quasi enigmistiche. C’è una capacità di
menzogna divertita, quindi enigmistica che nelle mie canzoni è sempre
presente”.243
Più che artista Fossati ama definirsi un artigiano, riferendosi all’aspetto
manuale dell’attività musicale: “ci si lavora sulla musica, ci si traffica
dentro. […] Come strumenti ci sono il pianoforte, la penna, la carta, la voce,
tutta la fase solitaria, poi entrano batteria, basso, tastiere, rapporti con gli
240
GIUSTINI 1996: 112
241
FOSSATI 2001: 65
242
FOSSATI 2001: 50
243
FOSSATI 2001: 74
142
altri musicisti, tentativi riusciti, meno riusciti. A un certo punto da qui si va
nell’officina, e quella è la zona più divertente”.244
La molla che l’ha sempre spinto è la curiosità, il voler cercare le cose,
scovarle, scoprirle e studiarle. Cercare la meraviglia. Le canzoni nascono
dalle esperienze, dalle emozioni, dalle riflessioni e, come lui stesso dice,
anche dal talento e dal caso, da un miscuglio di cose e sensazioni che nasce
da un’intuizione. Quando questa arriva bisogna però saperla afferrare e
materializzarla, saper capire che quell’idea va portata a fondo, e lì nasce il
progetto e non si lavora più solo dell’intuizione ma di quella ricerca
continua che è la sua prerogativa.245 Una ricerca che l’ha sempre portato ai
confini della canzone melodica, in un continuo prendere e lasciare le forme
tradizionali della canzone, in un continuo percorso di rinnovamento, anche
attraverso coraggiosi tentativi. A tale proposito egli stesso ha detto:
“L’evoluzione della forma canzone, delle formule che danno modo di
narrare le storie con le parole attraverso la musica e il divenire di queste
forme non sta più a noi, non è più un fatto soltanto europeo, ma sempre più
diventa un fatto mondiale, a causa della frenesia e della velocità di
comunicazione”.246
Ecco dunque che la sua ricchezza lessicale, la complessità dei testi, la
circolarità semiotica, le trame fitte, le strutture frasali, i rimandi arguti, sono
tutti elementi di un percorso che ricerca la comunicazione autentica, la fuga
dall’ordinario, dalla multimediale e ipercinetica “non-comunicazione”
moderna; è il suo modo per ricercare e ritrovare il valore della
244
FOSSATI 2001: 83-84
245
Vedi anche in COTTO 1994 e FOSSATI 2001.
246
BISACCA 1996: 157-158
143
comunicazione, quella “umana” e personale prima di tutto, “un modo
sempre nuovo per non dire banalità”247 ma per inviare ogni volta sempre
nuovi e veridici messaggi.
È questa una delle più importanti funzioni della letteratura e di tutti gli artisti
come Ivano Fossati che si fanno, e sono, interpreti della società: la deautomatizzazione del sistema linguistico, letterario e comunicativo in
genere. La riscoperta delle parole, dei significati sepolti nei libri che il
nostro linguaggio non sa più ricercare.
Fossati ritiene che la nostra comunicazione quotidiana si stia appiattendo
sempre più; solo la letteratura, e talvolta la musica, continuano ad offrire
strumenti di creatività e fantasia. Egli sottolinea l’importanza di questo
aspetto del suo lavoro; sente e dichiara di aver “bisogno di recupero delle
parole, persino dei fonemi. Ci sono parole che i muscoli della nostra bocca
non sono più abituate a pronunciare, che le nostre orecchie non sono più
abituate a ricevere: parole che sembrano obsolete e che invece hanno un
effetto dirompente, una rara efficacia. Non dimentichiamo che la nostra
lingua si è impoverita, sgangherata: è diventata una lingua commerciale. In
parte è normale perché la lingua si evolve, ma nell’evolversi naturale e
giusto fa anche dei danni a se stessa. Un esempio è la povertà degli usi dei
verbi: il colore, la gradazione dei verbi si stanno perdendo, come pure la
gradazione di forza delle parole”.248
“Riprendere e scavare un po’ dentro certi fonemi che passino di nuovo per
la glottide, che arrivino alle orecchie, che picchino sui muri e rimbalzino
come suoni di uno strumento, diventa un fatto nuovamente interessante che
247
BISACCA 1996: 156
248
BISACCA 1996: 156
144
non è ricerca, ma semplicemente il piacere di parlare una lingua ricca. Noi
abbiamo una lingua ricca […]: disponiamo di un’enorme ricchezza e
viviamo in indigenza, ma la vera comunicazione del pensiero non può
passare per un numero ridotto di termini: è negare, per esempio, alla
generazione più giovane uno spazio vero di comunicazione”.249
Ricerca comunicativa significa per Fossati anche contaminazioni tra arti e
artisti di culture diverse: egli sente quella necessità di “acqua nuova e
diversa che può essergli fornita solo da persone provenienti da altre culture e
da altre esperienze”.250
Per questo nel suo lungo percorso artistico si è interessato a forme d’arte di
diversi generi e di tutto il mondo, ha sentito l’esigenza di fare traduzioni da
altre canzoni, si è occupato di musiche per il teatro e per il cinema, ha scritto
un racconto, “Il giullare”, ha collaborato con artisti di svariate provenienze
(tra gli altri citiamo il suo “fratello brasiliano” Ivan Lins, con cui ha scritto
diverse canzoni edite in America).
2.2.1 UN POSSIBILE PERCORSO NEI TESTI
2.2.1.1
Le strutture
Ivano Fossati, più volte definito dalla critica “lo spirito libero della canzone
italiana”,251 non è un cantautore “classico”, nel senso che i suoi testi non
rientrano quasi mai negli schemi tradizionali della musica leggera,
249
BISACCA 1996: 157
250
BISACCA 1996: 157
251
GIUSTINI 1996: 111
145
nonostante alcuni degli stilemi che vedremo siano comuni al repertorio della
canzone.
Fossati usa raramente le strutture e le tecniche standard della canzone,
prediligendo invece forme più libere, “aschematiche”, un linguaggio
ricercato, fatto spesso di neologismi, forme inusuali o desuete, doppie
letture.
La musica leggera, italiana e straniera, è infatti composta prevalentemente
da canzoni costruite su schemi base, soprattutto su quelli della ballad – cioè
la forma canzone costituita da due strofe simili consecutive, una parte
differente che di solito è il ritornello, e un’altra parte come quella iniziale
(AABA) – e della classica struttura bipartita strofa-ritornello (AB oppure
AA1). Questi schemi, come vedremo, in Fossati si trovano raramente.
La forma ballad tanto usata in moltissime canzoni, dai Beatles a Battisti, in
Fossati è poco presente e si riscontra per lo più nel primo periodo, per
esempio in Vento caldo,252 Where is paradise,253 Harvest moon,254 Manila
’23,255 La casa del serpente,256 e più avanti nel tempo in brani come Ci
sarà257 e La vita segreta.258
Prendiamo per esempio il testo di Ci sarà:
Ci sarà, ci sarà
252
Il grande mare che avremmo attraversato, 1973.
253
Good bye Indiana, 1975.
254
Good bye Indiana, 1975.
255
La casa del serpente, 1977.
256
La casa del serpente, 1977.
257
Lindbergh, 1992.
258
Macramè, 1996.
146
più di una buona ragione ci sarà
più di una lunga questione
in questo mondo che già si muove
io lo sento già, io lo vedo già
So che ci sarà.
Poi ci sarà
una buona generazione
e più sottile distrazione
e spostamento al centro
sull’orizzonte che abbiamo tutti dentro
verso un punto preciso che si intuisce già
e so che ci sarà.
E in mezzo ci sei tu
fratello attento
a fare questa vita tutta controvento
ci sarà, ci sarà
ma in mezzo ci sei tu
e come la chiamiamo
l’incertezza che non passa
e non passa la mano
poi come si risolve
questa perdita di dignità
questa mancanza di felicità
sotto un cielo che non assolve
e questa porta di casa nostra senza novità.
Ci sarà, ci sarà
che la televisione sostituirà
che la religione allontanerà
che l’informazione indicherà
che l’informazione distorcerà
questo mondo che già si muove
io lo sento già
so che ci sarà.
E in mezzo ci sei tu
fratello attento
a fare questa vita tutta controvento
e ci sarà, ci sarà
e in mezzo ci sei tu
e come la chiamiamo
l’incertezza che non passa
e non passa la mano
poi come si risolve
147
questa perdita di dignità
questa mancanza di felicità
sotto un cielo che non assolve
e questa porta di casa nostra senza novità
ma ci sarà, ci sarà
Vediamo qui come la tipica struttura AABA cioè strofa-strofa-ritornellostrofa, qui nella variante con ritornello finale, abbia un particolare senso
legato strettamente al contenuto della canzone. Infatti nella prima strofa ci si
augura, con la formula “ci sarà”, ancora un cielo e una terra migliori in una
vita incerta e controvento. La seconda strofa prosegue in questo senso (“poi
ci sarà”), contribuendo a delineare la situazione immaginaria che serve ad
introdurre quella che poi appare la parte centrale: il ritornello.
Il ritornello, o inciso, è la parte di solito più orecchiabile e quindi facile da
ricordare. Infatti si nota subito uno stacco: qui il testo cambia (come cambia
la musica e l’intonazione), diventa più interessante anche perché si rivolge a
un “tu” che diventa soggetto (“e in mezzo ci sei tu”), un tu chiamato
“fratello” cui è rivolto un avvertimento, e con il quale si sente una
comunanza, data anche dal riferimento al plurale (“come la chiamiamo”;
“casa nostra”).
Riprende quindi la strofa, similmente all’inizio (“ci sarà, ci sarà”),
proseguendo l’elencazione attraverso l’uso di anafore e asindeti, per poi
lasciare di nuovo spazio all’ampio ritornello, esattamente uguale al primo,
tranne che per l’ultimo verso che ribadisce, per concludere non
concludendo, il “ci sarà”.
Il “ci sarà…” è una formula che offre due possibilità di lettura tra loro
opposte: se da una parte apre l’ascoltatore alla speranza certa di un mondo
migliore, d’altra parte sottolinea la negatività della situazione attuale (e
148
quindi la vanità della speranza). In questo caso la canzone assume un
significato per niente ottimista, come lo stesso autore ha rimarcato, anche se
non in questi termini: “è il mio piccolo tentativo di divinazione. Ho preso la
mia palla di vetro e ho provato a vedere il futuro. Spero di essermi sbagliato,
perché la visione che è emersa è cupa e pessimistica, sebbene sia abbastanza
mascherata.”259
Vediamo qui l’ambiguità, o se si vuole, la polisemicità che risulta essere,
come vedremo anche in seguito, un aspetto particolarmente caratteristico
nella poesia musicale di Fossati, un’incertezza costantemente voluta e
alimentata.
Abbiamo visto come la struttura non sia casuale, ma sia solitamente
funzionale al messaggio che si vuole comunicare nel testo, nonché al
bisogno di attirare l’attenzione e di concentrarla su un determinato punto.
Così accade per la forma che alterna strofa-ritornello (AB), che si trova in
Fossati più di frequente rispetto alla forma ballad. Su questo schema, con
diverse varianti, sono costruite, ad esempio, Buontempo,260 Poca voglia di
fare il soldato,261 La canzone popolare.262
Prendiamo anche in questo caso una di queste canzoni come modello:
Buontempo.
Oggi non si sta fermi un momento
oggi non si sta in casa che è buontempo
259
COTTO 1994: 155
260
700 giorni, 1986.
261
Lindbergh, 1992.
262
Lindbergh, 1992.
149
oggi non si rischia né pioggia e né vento, no
e poi non ci si muove come sempre a stento
vedi si va a tempo
Tu vestiti come un angelo caduto sulla terra
da questo cielo che oggi il mio occhio non afferra
tu vestiti come un angelo che giri per la terra
fallo per questo cuore senza pace e senza guerra, per me.
Al lavoro non stavo fermo un momento, no
sono tornato a casa col buontempo
oggi non si sogna di navigare
il mare lo andiamo a salutare
il mare lo andiamo a salutare
Tu vestiti come un angelo caduto sulla terra
da questo cielo che oggi il mio occhio non afferra
tu vestiti come un angelo che giri per la terra
fallo per questo cuore senza pace e senza guerra, per me.
Oggi non si sta fermi un momento
oggi non si sta in casa che è buontempo
oggi non si rischia né pioggia e né vento, no
Similmente alla canzone che abbiamo visto poco fa, anche qui la strofa
introduce e descrive una situazione generale, ed è dunque più narrativa,
descrittiva; il ritornello invece si rivolge ad un “tu” e quindi coinvolge
maggiormente l’attenzione dell’ascoltatore. In questo brano le strofe non
sono tutte uguali ma presentano piccole variazioni, per esempio nella prima
il racconto è in generale, come si percepisce dalla particella “si”, mentre
nella seconda strofa il racconto è personale, in prima persona. La terza
strofa, che chiude la canzone, ripropone invece la prima, ma eludendo gli
ultimi due versi. I due ritornelli che si alternano alle strofe sono invece,
come di norma, esattamente uguali.
Buontempo “è un ironico invito all’ottimismo”, e il titolo, parola creata della
fusione di due termini (tecnica, come vedremo, molto usata da Fossati),
150
manifesta chiaramente questo significato. È il racconto di una giornata di
gioia, di energia positiva, in cui si ha voglia non solo di sognare, ma di fare,
di andare a toccare il mare, di godersi la bellezza della vita, vissuta
nell’attimo: quell’oggi, ripetuto anaforicamente, che sottolinea la volontà di
cogliere il buon-tempo che è arrivato.
Più particolare, ma molto frequente, è invece la struttura tripartita, cioè
quella che presenta tre parti del tutto differenti tra loro (ABC o ABA1); così
sono per esempio strutturate Amore degli occhi,263 Passalento,264 La
madonna nera.265 Analizziamo Passalento, che riprende un tema
particolarmente frequente nella poetica di Fossati, il tempo:
Come posso dire
come passa il tempo
come posso dire
come passalento
mani e faccia da uomo
fanno poca pena
ma le nostre intelligenze
da cani alla catena
è così che si ripensa
a tutto l’amore detto
è così che si ripensa
a tutto l’amore scritto
che era acqua da bere, fuoco
sete da morire
ma come passa il tempo
non sappiamo dire.
È che in questo deserto
a tutti piace naufragare
vivi e fortunati di poterne
263
Le città di frontiera, 1983.
264
Discanto, 1990.
265
Lindbergh, 1992.
151
respirare
così non rimane che lasciarsi dire
cosa fare
così non rimane che lasciarsi
ancora abbracciare
come posso dire
come passa il tempo
come posso dire
come passalento
Signore di questo porto
vedi mi avvicino anch’io
vele ancora tese
bandiera genovese
sono io
Qui Fossati si allontana dalla forma-canzone classica, sia dalla ballad sia da
quella costruita sullo schema strofa-ritornello, per avvicinarsi al verso
sciolto della poesia contemporanea, alla parola “in libertà”, quasi un flusso
di coscienza.
Già dalle parole iniziali infatti sembra introdurci in un’atmosfera molto
intima, data anche dalla lentezza e dal cantare sommesso. I primi versi,
ripetuti anche più avanti, sottolineano, forse, nell’anafora basata sulla parola
“come”,
l’incertezza,
l’incapacità
di
spiegare.
Inoltre
osserviamo
l’allitterazione di “posso” e “passa”, che troviamo più avanti nel più tenue
“poca pena”. Anafore e allitterazioni creano comunque una texture piuttosto
densa, una pacata cantilena data, oltre che dallo stile recitativo del canto, da
una scansione ossessiva di parole simili nel suono ma diverse, come al
solito, nei significati. Emblematica a questo proposito la differente funzione
grammaticale dell’avverbio “come” che apre la canzone. Il testo, qui ne
abbiamo la prova, favorisce il suo caratteristico modo di cantare
152
“appoggiando” le note, le vocali,266 distribuendo il peso delle parole in base
al loro valore semantico.
Significativo è anche, nella prima quartina, il neologismo “passalento”,
ottenuto con l’inusuale accostamento di due termini, tecnica, come abbiamo
visto e vedremo, molto usata dall’autore.
La seconda parte della canzone si apre con una reminiscenza leopardiana:
“È che in questo deserto / a tutti piace naufragare / vivi e fortunati di poterne
/ respirare”.267 Come in altri brani (per esempio in “Una notte in Italia” “la
fortuna di vivere adesso, in questo tempo sbandato”; o in “La disciplina
della terra” “tu sei più bella di ieri vita, che a tutti ci fai battere il cuore”),
Fossati ribadisce qui il suo attaccamento alla vita, la fortuna di viverla,
perché comunque, anche nella sventura, è un dono immenso. L’infinito di
Leopardi con la sua pessimista e amara voglia di vivere (“e mi sovvien
l’eterno, / e le morte stagioni, e la presente / e viva, e il suon di lei”) ritorna
ancora nel testo di Fossati che esprime la profondità del vivere, la bellezza e
la dolcezza della vita, anche nel dolore, che ne è comunque parte.
Il canto si conclude con un’invocazione, o forse una preghiera, in cui il
discorso si priva di ogni legame sintattico, accrescendo l’impatto emotivo di
questo finale intenso.
Andando avanti nell’excursus sulle strutture più usate da Fossati, c’è poi
quella monostrofica – caratteristica della tradizione trobadorica268 e usata
molto negli anni ’60 e ’70 – che ripete sempre la stessa sezione (A) per un
266
Questo modo di cantare, secondo Fossati è analogo a quello che usano gli strumentisti a fiato.
267
L’idea del naufragio “terrestre” richiama il ben noto “e il naufragar m’è dolce in questo
mare” che chiude L’infinito, dodicesima lirica dei canti di Giacomo Leopardi.
268
SALVATORE 1997: 152
153
numero variabile di volte, solitamente quattro, ma anche cinque, sei o più:
esemplari per questo tipo di forma sono Canto nuovo,269 Dedicato,270 E di
nuovo cambio casa,271 Passa il corvo,272 Una notte in Italia:273
È una notte in Italia che vedi
questo taglio di luna
freddo come una lama qualunque
e grande come la nostra fortuna
la fortuna di vivere adesso
questo tempo sbandato
questa notte che corre
e il futuro che arriva
chissà se ha fiato.
È una notte in Italia che vedi
questo darsi da fare
questa musica leggera
così leggera che ci fa sognare
questo vento che sa di lontano
e che ci prende la testa
il vino bevuto e pagato da soli
alla nostra festa.
È una notte in Italia anche questa
in un parcheggio in cima al mondo
io che cerco di copiare l’amore
ma mi confondo
e mi confondono più i suoi seni
puntati dritti sul mio cuore
o saranno le mie mani
che sanno così poco dell’amore.
Ma tutto questo è già più di tanto
più delle terre sognate
più dei biglietti senza ritorno
dati sempre alle persone sbagliate
269
Il grande mare che avremmo attraversato, 1973.
270
La mia banda suona il rock, 1979.
271
La mia banda suona il rock, 1979.
272
La mia banda suona il rock, 1979.
273
700 giorni, 1986.
154
io qui ho un pallone da toccare col piede
nel vento che tocca il mare
è tutta musica leggera
ma come vedi la dobbiamo cantare
è tutta musica leggera
ma la dobbiamo imparare.
È una notte in Italia che vedi
questo taglio di luna
freddo come una lama qualunque
e grande come la nostra fortuna
che è poi la fortuna di chi vive adesso
questo tempo sbandato
questa notte che corre
e il futuro che viene
a darci fiato
In questo brano sembra che la ripetizione della stessa strofa, e dunque della
stessa melodia, crei man mano una maggiore intensità, come in un
crescendo emotivo. Significativa è poi la ripresa finale della prima strofa,
quasi a voler tornare al pensiero da cui era iniziato questa sorta di flusso di
coscienza. In ogni strofa c’è un piccolo taglio di vita, c’è il tempo che passa,
il futuro che arriva portando con se speranza, c’è la musica, quella musica
leggera che ci fa sognare, ci sono gli insuccessi, le fatiche, le solitudini,
l’amore, quello che si perde, quello che si tenta, quello che confonde, e ci
sono gli errori, e i ricordi di cose perdute.
Una notte in Italia è una delle più belle canzoni di Fossati (anche a parer
suo).274 Intensa e profonda, canta la fortuna di esserci, di vivere il momento
presente, anche sé è un momento “sbandato”. Quel carpe diem che Fossati
in più di un’occasione ha mostrato, nei suoi testi, di seguire come filosofia
di vita.
274
“Una notte in Italia mi piace moltissimo. Me la porto dietro con grande piacere in ogni concerto.” COTTO 1994: 114
155
Abbiamo finora visto brani con strutture piuttosto regolari, schematiche, e
dunque facilmente identificabili in un genere. La maggior parte delle
canzoni di Fossati sono però in forma “libera”, hanno cioè strutture
particolari, non schematiche, irregolari, non scritte secondo delle formule
strutturali codificate e codificabili.
È egli stesso a spiegare: “Da Ventilazione275 in poi le cose le ho pensate,
anzi la parola giusta è architettate. Faccio un esempio: la struttura delle
canzoni cambia, diventa asimmetrica, diventa dal punto di vista tonale più
ricca di modulazioni, spariscono i ritornelli, gli incisi, i refrain e si aprono
delle finestre abbastanza ampie per l’espressività degli strumenti”.276
Le canzoni in forma “sciolta”, sono infatti molte e varie, tanto che
risulterebbe oltremodo difficile citarle tutte, per cui vedremo solo qualche
esempio più significativo, individuando comuni denominatori formali e
tipologie.
Una di queste forme particolari è costituita dall’elencazione, una
configurazione che si basa sull’accumulo, su lunghe enumerazioni che si
fanno simboli di concetti, assumono significati ulteriori, proprio per la
struttura che vanno a formare, o, verrebbe da dire, a disfare.
Così è Discanto:277
Di acqua e di respiro
di passi sparsi
di bocconi di vento
275
Album del 1984.
276
FOSSATI 2001: 38-39
277
Discanto, 1990.
156
di lentezza
di incerto movimento
di precise parole si vive
di grande teatro
di oscure canzoni
di pronte guittezze si va avanti
di come fare
di come dire
di come fare a capire
di alti
di bassi
battiti del cuore
fasi della luna
e ritmi della terra
di intelligenza
di intermittenza
si vive di danze
di ballo sociale
di una promessa
di un faccia differente
di mediocri incontri
di bellezze
di profumi ardenti
di accidenti
rotolando si gira, si balla
si vive, si fa festa
quella, questa
si picchia forte col piede
nella danza
e si sbaglia il passo
si vive di fortune raccontate
e di viaggiare
e si cammina stanchi
è lavoro
è opposizione
è corruzione
si vive di lenta costruzione
e di tempo che ci inchioda
e di diavoli al culo
di fianchi smorti
di fuochi desiderati
si vive di pane
di speranza di bere
un vino buono per l’estate
rotolando si vive
di discorsi leggeri
157
cori
di maschere notturne
canto e discanto
e giù divieti
e oli sulla pelle
e sorrisi di fantasmi
e fantasmi fotografati
e giù campane annuncianti
si vive di sguardi fermi
di risposte folgoranti
di lettere partite
che aspettiamo in cima al mistero
di essere così soli.
Di questo si vive
e di tant’altro ancora
che inseguiamo come i cani
respirando dal naso
per finire invece
ancora sorridenti, ancora abbaianti
di un dolore a caso
Questa canzone, una delle più belle e interessanti dal punto di vista formale,
appare strana, quasi un enunciato, fatta di anafore, che generano
interminabili asindeti. Un testo che, ad una prima lettura, potrebbe apparire
o artificiosamente costruito o, al contrario, improvvisato sull’onda delle
emozioni, una congeries di concetti, di oggetti, di azioni che sgorga come un
fiotto. Un vero e proprio instant song; immagine caleidoscopica di una realtà
fatta di aspirazioni, di oggetti ideali e quotidiani che danno la dimensione
del vivere.
“Il titolo è polisemico: indica una forma musicale discantica,278 ma anche la
mia voglia di giocare con due parole: incanto e disincanto”.279 Una ricchezza
278
Il termine Discantus è un termine latino impiegato dai teorici musicali del medioevo in diverse
accezioni, in particolare per indica una seconda voce, aggiunta ad un cantus firmus (melodia preesistente) e da essa complementare e contrastante.
279
COTTO 1994: 139
158
semantica che l’autore ricerca continuamente, come vedremo anche più
avanti.
Il “si vive” appare come il nucleo concettuale della canzone, una vita che si
porta dietro, inevitabilmente quell’infinità di “annessi e connessi” che
formano la stessa canzone: così, anche qui, Fossati sembra voler mettere in
una sola canzone tutto ciò che riguarda la vita tutta; ritroviamo gli elementi
fondamentali (acqua, vento, terra, fuoco), il viaggio, il tempo, l’amore, il
dolore, insomma tutto ciò di cui viviamo, e “tant’altro ancora”, noi che ci
troviamo sempre sfiniti e felici di fronte alla meravigliosa fatica di vivere.
In forma simile di elencazione sono costruite anche La volpe,280 La pioggia
di marzo281 (rifacimento di Águas de março di Jobim), e Unica rosa,282 in
cui “il termine consueto, ripetuto oltremisura, si depaupera del valore
originale e diventa ornamento stilistico”.283 In tutti questi brani la
ripetizione, la mancanza di pause nette, di parti con più respiro e altre più
intense, crea una tensione continua, un carico incontenibile di significati e di
reazioni emotive.
Altri brani, o parti di essi, al contrario, sono più vicini alla configurazione della
narrazione, cioè raccontano una storia e seguono il ritmo e i movimenti di essa, come se
la forma fosse guidata dagli eventi stessi che vengono narrati. Così accade, ad esempio,
280
La pianta del tè, 1988.
281
Buontempo, Dal vivo vol. I, 1993.
282
Discanto, 1990.
283
ACCADEMIA DEGLI SCRAUSI 1996: 107
159
in L’uomo coi capelli da ragazzo,284 Naviganti,285 La Madonna Nera,286 La barca di
legno di rosa.287
La barca di legno di rosa (Un gran mare di gente)
Passa una barca di legno d’ulivo
con sopra un pescatore e un pesce ancora vivo
e il tempo li insegue
il tempo li circonda
il tempo li dondola e gli fa l’onda
l’onda del mare
di gente questo mare
l’onda del mare
di gente questo mare.
Passa un barca di voci leggere
piena di canzoni e senza acqua per bere
sono le donne dei paesi vicini
sono le donne coi loro bambini
sono le operaie povere malpagate
sono le operaie povere abbandonate
in braccio al mare
di gente questo mare
in braccio al mare
di gente questo mare.
Passa una barca di legno di pino
con sopra un gendarme e con sopra un assassino
e i loro pensieri sono legati insieme
i loro pensieri gettati in catene
in fondo al mare
catene in fondo al mare
in fondo al mare
di gente questo mare.
Passa una barca tagliata a metà
284
La pianta del tè, 1988.
285
Il toro, 1994.
286
Lindbergh, 1992.
287
Lindbergh, 1992.
160
con mezzo capitano e mezzo motore che non va
e mezzo marinaio, mezza faccia sorridente
che ha perso l’anima e non ha sentito niente
in mezzo al mare
l’anima in mezzo al mare
in mezzo al mare
di gente questo mare.
Passa una barca di legno di rosa
che arriva al mattino e porta già la sposa
e la sposa è bella quasi come in una favola
bambini giù dal letto, bambini tutti a tavola
che il tempo tac, il tempo non ci aspetta
il tempo tac, non ci rispetta
e corre disperato
disperato come un cane
ma oggi c’è da mangiare
perfino per chi ha fame
in questo mare
di gente questo mare
in questo mare
di gente questo mare.
Ah, se potessi raccontare
tutto quello che vedo e sento
dall’orizzonte di questo cielo
che picchia giù nel mare
in questa notte cieca di luna
e te
se stai ad ascoltare
Quest’ultima riprende nel racconto ancora il tema del viaggio. In realtà in
questa canzone, ispirata ad un racconto di Giovanni Arpino, non si parla di
esplorazioni, né di terre lontane, ma l’idea del viaggio è evocata anzitutto
dalla struttura del brano, un resoconto che accumula eventi e oggetti
straordinari, proprio come le cronache dei viaggiatori, una congeries
confermata dai primi versi dell’ultima strofa che recita: “Ah, se potessi
raccontare tutto quello che vedo e sento dall’orizzonte di questo cielo”.
161
Ogni barca è una piccola storia fantastica, un piccolo, strano mondo, come
quelli che incontrava di volta in volta il “Piccolo Princepe” di SaintExupéry; tra questi c’è anche un’inverosimile “barca tagliata a metà” che,
con un gioco degno del miglior Calvino, si riempie di persone dimezzate: un
mezzo capitano e mezzo motore che non va / un mezzo marinaio, mezza
faccia sorridente / che ha perso l’anima e non ha sentito niente / in mezzo al
mare, l’anima in mezzo al mare, in mezzo al mare di gente questo mare.”
Il gioco qui è complicato dalla polisemia del mezzo come aggettivo e come
avverbio (“mezzo capitano”, “mezzo marinaio” ecc. e “in mezzo al mare”).
Uno “scivolamento” di significato che si evidenzia anche nel verso che,
epiforicamente, conclude ciascuna strofa:288 abbiamo la convinzione che il
mare sia quello in cui scorrono le varie barche della canzone, mentre
l’asserzione conclusiva in forma di anastrofe ci suggerisce che questo è “un
gran mare di gente”, che è anche il sottotitolo della canzone. Significati che
in ogni caso convivono e, come al solito, nella loro ambiguità criptica
arricchiscono l’ambito della significazione.
Un’altra forma molto amata da Fossati e da lui usata in diversi brani è quella
della lettera: “La lettera è il mezzo di comunicazione che più mi affascina
[…] l’unico che riesce a far passare la profondità del pensiero. […] La
lettera ha tempi lunghi, anche di preparazione, e questo ti consente di aprire
e di aprirti. Ogni volta che posso, e ogni volta che devo davvero comunicare
qualcosa di importante, scrivo una lettera”.289
288
In realtà ciascuna delle prime cinque strofe inizia anche in forma di anafora “Passa una
barca…”, che abbinata all’epifora finale realizza la figura retorica della complexio, molto frequente nella poesia di Fossati.
289
COTTO 1994: 143-144
162
Una canzone in forma di lettera diventa, crediamo, più coinvolgente, è come
se ci introducesse in un’atmosfera molto personale, intima, permettendoci di
assistere segretamente ad una “conversazione” privata, o addirittura di
sentirci di volta in volta il mittente che scrive o il destinatario della lettera.
Dunque è questo un altro espediente strutturale per tenere alta l’attenzione
dell’ascoltatore e per renderlo più partecipe di ciò che si sta raccontando.
Vediamo qualche esempio:
Senti cosa ti scrivo amore
che non c’è profumo di melograno
e non c’è arancio che sia veramente in fiore
che tutta l’isola è un vulcano
dove non passa la paura
come da noi cambia una stagione
Sono le tristi parole di Sigonella,290 lettera scritta da un abitante della
località siciliana alla persona amata. Come vediamo qui la forma epistolare è
esplicita: lo scrivente racconta la desolazione del luogo, piegato e avvilito
dalla violenza delle inutili macchine da guerra, cioè gli aeroplani militari che
hanno “occupato” il territorio di Sigonella, dove si trova una delle più grandi
basi nato in Italia.
Il disertore,291 contro la guerra, come la precedente, è la traduzione di una
canzone scritta da Boris Vian (Le déserteur, 1954),292 che già all’epoca
suscitò non poche polemiche.
290
Lindbergh, 1992.
291
Lindbergh, 1992.
292
Boris Vian (1920-1959) è un intellettuale francese autore di poesie, romanzi, opere teatrali,
canzoni, libretti d’opera, che si distinse sempre per il suo anticonformismo. Le sue opere nascono
da una sofferta meditazione sulla crisi della società e del costume.
163
È una sorta di lettera aperta, nella forma simile a una ballata, scritta da un
“milite ignoto” al Presidente della Repubblica (francese) per annunciargli la
sua volontà di disertare.
Cartolina293 è in realtà “una cartolina al contrario”, racconta Fossati: “Ero in
un paesino dell’Appennino ligure: di solito si scrive «non vedo l’ora di
partire per rivederti». Io invece canto «non ho nessuna intenzione di
scendere a valle perché in questo fare niente sono felice», è una fotografia di
benessere dell’uomo che va a guardare la corriera che parte per essere sicuro
di restare dov’è”.
Io ti scrivo
che sto bene
in questo niente da fare
scrivo una cartolina
che non voglio ritornare
Al pomeriggio la corriera
la sento arrancare
mi siedo sopra un muro
per guardarla ripartire
Senza me
Ci sono poi canzoni che, per il linguaggio usato, ed il tono intimo e
colloquiale, somigliano alla comunicazione epistolare ma non sono
esplicitamente in forma di lettera come Poca voglia di fare il soldato294 e
Bella speranza.295
293
Lampo viaggiatore, 2003.
294
Linbergh, 1992.
295
Macramè, 1996.
164
Frequenti sono poi nei testi le incursioni del discorso dialogico, diretto, o
implicito, come accade, per esempio, nelle forme epistolari che abbiamo
appena visto, in cui è sempre presente un destinatario sottinteso.
Alcune parti di dialogo si trovano in Prendi fiato e poi vai,296 Ehi amico,297
Anna di primavera,298 Le signore del ponte-lance,299 Lunario di
settembre,300 L’abito della sposa.301 In tutti questi casi il dialogo ha la
funzione di rendere più interessante e movimentato il testo, e la storia che si
sta raccontando nella canzone, come se, il fatto di creare un altro
personaggio che interagisca nell’azione, aumenti gli orizzonti di
immaginazione e dunque il potere intrigante della canzone.
Altro stilema usato nei testi è quello della narrazione in prima persona,
come se l’autore, immedesimandosi in un ruolo, recitasse, come un attore, la
parte del personaggio di volta in volta protagonista. Strategia, anche questa,
volta a rendere più interessante la canzone, più intensa, e a dare anche una
diversa componente di credibilità, come a dire, non è una storia raccontata
da un narratore ma è il protagonista stesso che parla. Così accade per
esempio in Lindbergh:302
Non sono che il contabile
dell’ombra di me stesso
se mi vedete qui a volare
296
Poco prima dell’aurora, 1973.
297
Poco prima dell’aurora, 1973.
298
La casa del serpente, 1977.
299
La pianta del tè, 1988.
300
Discanto, 1990.
301
Macramè, 1996.
302
Lindbergh, 1992.
165
è che so staccarmi da terra
e alzarmi in volo
come voialtri stare su un piede solo
difficile non è partire contro il vento
ma casomai senza un saluto.
Non sono che l’anima di un pesce
con le ali
volato via dal mare
per annusare le stelle
difficile non è nuotare contro la corrente
ma salire nel cielo
e non trovarci niente.
Dal mio piccolo aereo
di stelle io ne vedo
seguo i loro segnali
e mostro le mie insegne
la voglio fare tutta questa strada
fino al punto esatto
in cui si spegne
la voglio fare tutta questa strada
fino al punto esatto
in cui si spegne
Qui è particolarmente significativa l’affinità di Fossati con un viaggiatore
come Lindbergh.303 Il “volatore”, nome tra l’altro delle sue edizioni
discografiche, colui che viaggia percorrendo le strade del cielo, è un
personaggio che da sempre affascina Fossati, non solo viaggiatore, non
semplice pilota ma sorvolatore atlantico, coraggioso e impavido scopritore
di percorsi celesti. È insomma un po’ una canzone autobiografica, una
canzone sulla vita come volo e sul volo come scelta di vita, che sia reale
trasvolata su ali di ferro, o percorso ideale di una mente-alata.
303
Charles August Lindbergh, aviatore americano, nel 1927 compì a bordo del monoplano Spirit
of Saint Luis il primo volo senza scalo da New York a Parigi.
166
Raccontati in prima persona sono anche Confessione di Alonso Chisciano,304
in cui il personaggio letterario di Don Chisciotte si rivolge direttamente al
suo creatore, Cervantes; Italiani d’Argentina,305 in cui un personaggio
collettivo si rivolge agli ex-conterranei, e Panama,306 racconto diretto
dell’avventuroso comandante di una veliero.
Un’espressione particolare, che ricorre in diversi brani, è quella in forma di
preghiera: invocazione alla divinità, al cielo, al destino, o ad una persona
reale, è quasi sempre in posizione di clausola, una collocazione che
evidentemente è relazionata alla funzione che la preghiera detiene. Vediamo
qui, in ordine cronologico, i casi più significativi:
Canto di Osanna307
Osanna
Osanna
Osanna
Jerusalem
Passalento308
Signore di questo porto
vedi mi avvicino anch’io
vele ancora tese
bandiera genovese
sono io
Lusitania309
304
Discanto, 1990.
305
Discanto, 1990.
306
Panama e dintorni, 1981.
307
1971.
308
Discanto, 1990.
167
Bella Signora Nostra che ci appari e scompari
vedi come poco sappiamo di te
Piumetta310
Difendi la sua casa
Signore Del Buonfine
una casa coi Santi
e carte buone per andare avanti.
Venga l’Angelo sul Carro
la Torre, venga il Cielo Stellato
l’Eremita, la Temperanza
il Mondo
venga il Sole, la Luna
gli Amanti, la Forza, la Ruota
vengano tutte ad una ad una
e se saranno carte brutte
venga la Morte ultima di tutte
La madonna nera311
tutto il santo giorno
tutti i santi giorni
tutto il santo giorno
tutti i santi giorni
tutto il santo giorno.
E così sia
La barca di legno di rosa312
Ah, se potessi raccontare
tutto quello che vedo e sento
dall’orizzonte di questo cielo
che picchia giù nel mare
309
Discanto, 1990. Qui l’invocazione sembra rivolta alla terra portoghese, o forse alla luna, in
ogni caso suona come un’invocazione.
310
Discanto, 1990. Il Signore del Buonfine può essere anche lo sposo di Piumetta; è più un augurio pagano, dato anche dalla presenza dei tarocchi.
311
Lindbergh, 1992. Il brano racconta di una processione religiosa.
312
Lindbergh, 1992. Qui l’espressione è più un desiderio, ma è molto vicina alle forme della preghiera e il “tu” potrebbe essere dio.
168
in questa notte cieca di luna
e te
se stai ad ascoltare”
Sigonella313
Qui se si alzassero gli orizzonti
e riabbassassero gli orizzonti
ci troverebbero a pregare
se si alzasse la speranza
che come gli aeroplani può volare
se questa terra smettesse di tremare
Carte da decifrare314
Perdona
se non ho avuto il tempo di imparare
se io non ho avuto il tempo
di imparare
Iubilaeum bolero315
San Bernardo e San Simone
proteggetemi dal lampo e dal tuono
Santa Vergine benedetta
proteggetemi dal lampo, dal tuono e dalla saetta
portate questa burrasca sul monte di Messina
dove non canta né gallo né gallina
il tempo passa e la morte viene
beati coloro che hanno fatto del bene
Pane e coraggio316
pane e fortuna e così sia
2.2.1.2 La rima
313
Lindbergh, 1992. Anche questo è un desiderio, una richiesta al cielo.
314
Carte da decifrare, dal vivo vol. II, 1993. È una richiesta di perdono all’amata.
315
La disciplina della terra, 2000. In genovese.
316
Lampo viaggiatore 2003. È come una richiesta implicita alla fortuna.
169
Nella ricchezza strutturale dei testi di Fossati non poteva mancare l’uso della
rima, un uso così fortemente presente tanto da far pensare che egli non
riesca quasi a fare a meno di trovarla.
Tuttavia la rima, baciata, alternata o incrociata, è sempre distribuita
equilibratamente, in modo da non creare mai una sensazione di
“sovraccarico”; è un elemento che invece contribuisce alla musicalità dei
versi, alla loro piacevolezza e leggerezza, come se una rima qua e là
contribuisse a far scivolare meglio lo scorrere del testo.
Procederemo qui ad illustrare alcuni esempi dei diversi tipi di rima presenti
nelle canzoni del nostro autore.
Esempi di rime baciate:
La barca di legno di rosa317
Passa un barca di voci leggere
piena di canzoni e senza acqua per bere
sono le donne dei paesi vicini
sono le donne coi loro bambini
sono le operaie povere malpagate
sono le operaie povere abbandonate
L’angelo e la pazienza318
Con rose di Normandia
o con fiori di ferrovia
aggancia quel bell’angelo
prima che voli via
però madre che spavento
però madre che tormento
sognare nudi e crudi
in mezzo a questo via vai
317
Lindbergh, 1992.
318
Macramè, 1996.
170
Ci sarà319
Poi ci sarà
una buona generazione
e più sottile distrazione
e spostamento al centro
sull’orizzonte che abbiamo tutti dentro
verso un punto preciso che si intuisce già
e so che ci sarà
Esempi di rime alternate:
Lusitania320
Loro hanno facce di muta cera
così com’è normale immaginare
chi vede sempre da sempre ultimo la sera
e se ha già visto non è neanche stanco di guardare
Pane e coraggio321
Proprio sul filo della frontiera
il commissario ci fa fermare
su quella barca troppo piena
non ci potrà più rimandare
su quella barca troppo piena
non ci possiamo ritornare
Esempi di rime incrociate:
La canzone popolare322
Alzati che si sta alzando la canzone popolare
se c’è qualcosa da dire ancora
se c’è qualcosa da fare
alzati che si sta alzando la canzone popolare
319
Lindbergh, 1992.
320
Discanto, 1990.
321
Lampo viaggiatore, 2003.
322
Lindbergh, 1992.
171
se c’è qualcosa da capire ancora
ce lodirà
La pianta del tè323
Ci si inginocchia su questo sagrato immenso
dell’altipiano barocco d’oriente
per orizzonte stelle basse
per orizzonte stelle basse
oppure niente
2.2.1.3
L’intertestualità
Un elemento particolarmente interessante che riguarda stilemi e strategie
poetico-narrative di Ivano Fossati è quello dell’intertestualità, ovvero il
rimando, voluto o inconsapevole, ad altre fonti letterarie. Caratteristica di
tutta la letteratura, l’intertestualità si basa sull’uso, esplicito o allusivo, di
reminiscenze o citazioni attinte da altri testi; uno scambio letterario,
insomma, che nei testi di Fossati possiamo riscontrare in diversi casi.324
In Carte da decifrare,325 ad esempio, è piuttosto evidente l’associazione con
il celebre sonetto S’i’
fosse
foco di Cecco Angiolieri (XIII secolo).
Vediamo qui di seguito una parte di esso, confrontato con un tratto della
canzone di Fossati:
“S’i’ fosse foco, arderei ’l mondo;
s’i’ fosse vento, lo tempesterei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, mendereil’ en profondo”
323
La pianta del tè, 1988.
324
Confronta in SEGRE 1985: 85-90.
325
Carte da decifrare, dal vivo vol. I, 1993.
172
Se fossi un vero viaggiatore t’avrei già incontrata
e ad ogni nuovo incrocio mille volte salutata
se fossi un guardiano ti guarderei
se fossi un cacciatore non ti caccerei
se fossi un sacerdote come un’orazione
con la lingua tra i denti ti pronuncerei
se fossi un sacerdote come un salmo segreto
con le mani sulla bocca ti canterei
Gli elementi di affinità tra i due testi sono diversi. In primo luogo l’uso
dell’anafora “se fossi”, ripetuta numerose volte. C’è poi la particolarità
dell’espressione che al sostantivo fa seguire sempre il verbo ad esso relativo:
come in Angiolieri si trova “S’i’ fosse foco, arderei”, così in Fossati si ha
“se fossi un guardiano ti guarderei”. Questa caratteristica in Fossati è
particolarmente evidente anche nel resto della canzone: “io se avessi una
penna ti scriverei”, “e guai se avessi un coltello per tagliare”, “se avessi
buona la bocca ti parlerei”, con inusuali ed inaspettati accostamenti: “se
facesse ombra ti ci nasconderei”, “se avessi labbra migliori ti abbatterei”,
“se avessi buone le parole ti fermerei”.
Un riferimento molto interessante è quello del brano C’è tempo,326 che
sembra richiamare il passo che inizia con Omnia tempus habent nel
veterotestamentario Ecclesiaste, o Qoelet.327 Si riflette qui sul tempo, sul
fatto che nella vita ogni evento necessiti del suo momento opportuno, della
sua stagione: per ogni cosa c’è il suo tempo. Dove il davidico Qoèlet scrive:
C’è un tempo per nascere e un tempo per morire,
326
Lampo viaggiatore, 2003.
327
Qoèlet: 3, 1-8
173
un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.
C’è un tempo per piangere e un tempo per ridere,
un tempo per gemere e un tempo per ballare
Fossati canta che “C’è un tempo per seminare / e un tempo più lungo / per
aspettare”, “un tempo sognato che viene / di notte / e un altro di giorno teso /
come un lino a sventolare”. E ancora che “ C’è un tempo negato / e uno
segreto / un tempo distante / che è roba degli altri”; “c’è un tempo perfetto
per fare silenzio”, e “un tempo che sfugge / niente paura / che prima o poi ci
riprende”, ma soprattutto l’autore ci rincuora col verso “c’è tempo / c’è
tempo / c’è tempo / c’è tempo / per questo mare infinito di gente”.
Altri riferimenti letterari sono quelli, che già abbiamo visto, di
Passalento,328 in cui si trova “il naufragare nel deserto” de L’infinito di
Leopardi:329
È che in questo deserto
a tutti piace naufragare
vivi e fortunati di poterne
respirare”
e quello di La barca di legno di rosa,330 con un possibile richiamo al
Calvino del “Visconte Dimezzato”:331
Passa una barca tagliata a metà
con mezzo capitano e mezzo motore che non va
328
Discanto, 1990. Vedi sopra.
329
L’idea del naufragio “terrestre” richiama il ben noto “e il naufragar m’è dolce in questo
mare” che chiude L’infinito, dodicesima lirica dei canti di Giacomo Leopardi.
330
Lindbergh, 1992. Vedi sopra.
331
Italo Calvino, Il visconte dimezzato, 1951.
174
e mezzo marinaio, mezza faccia sorridente
che ha perso l’anima e non ha sentito niente
in mezzo al mare
l’anima in mezzo al mare
in mezzo al mare
di gente questo mare
Viaggiatori d’occidente332 contiene invece un esplicito riferimento a Checov
che l’autore stesso spiega: “Il finale del Giardino dei ciliegi è buio
teatralmente. […] Mi sembrava, quella di Cechov, un’immagine adatta alla
storia che stavo raccontando”.333
Buia come un finale
da «Giardino dei ciliegi»
lei ci pensa ma non lo chiama
(mai tornare a ieri)
In Traslocando334 si riscontra l’unico esempio di “meta-canzone”, ossia di
canzone nella canzone. Esso è costituito dall’auto-citazione del brano E di
nuovo cambio casa, affine a questo per tematica. Nel testo di Traslocando,
cantata, nella versione originale, da Loredana Bertè, troviamo infatti:
E di nuovo cambio casa, cantava dalla radio
la voce di un amico mio
oh come ti capisco, ma chi cambia qualche cosa qui
sono io
Unica rosa335 è invece “un piccolo esperimento” costruito come una
canzone brasiliana degli anni ’70, che evoca lo spirito della bossa nova. Il
332
Ventilazione, 1984.
333
COTTO 1994: 91
334
Le città di frontiera, 1983.
335
Discanto, 1990.
175
riferimento più immediato è Samba della Rosa336 di Vinicius de Moraes, in
cui la rosa diventa emblema e simbolo della donna, una donna-rosa che è per
i brasiliani il centro gravitazionale dell’amore e della vita, il più prezioso
bene, l’essenziale.
Così nella canzone di Fossati troviamo la stessa concezione della donna, e lo
stesso uso della simbologia della rosa.
Formalmente il brano si presenta come un interminabile accumulo di qualità
e metafore della donna amata, un’elencazione basata sulla figura
dell’anafora ossessiva della parola rosa, a somiglianza della samba della
rosa brasiliana; quasi un perdersi in un nome, come nel mitico zahir dei
poeti medievali arabi, progenitori di quella lirica cortese alla quale ci riporta,
inequivocabilmente, il lessico, delicato e languido.
Rosa,
Rosa di una rosa
Rosa torturata
Rosa amata
Rosa,
Rosa ballerina
Rosa bambina
Poca voglia di fare il soldato337 “da un lato rimanda ai Lieder alla Plaisir
d’amour, dall’altro è la voluta ricostruzione dei moduli di certe canzoni
popolari di inizio secolo e del periodo fra le due guerre”.338 Si riconosce
336
Riportiamo qui il testo integrale della canzone, nella traduzione di Sergio Bardotti: “Rosa da
vedere / rosa da sognare / rosa da volere / rosa da strappare / rosa da vestire / rosa da spogliare /
rosa da capire e da perdonare / rosa da servire / e da imprigionare / rosa da impazzire / rosa da
implorare / rosa da fuggire / e da ritrovare / e se c’è una rosa-donna di più / È primavera: / una
rosa tu sei / vieni a piantare / una rosa nei sogni miei”.
337
Lindbergh, 1990.
338
“C’era in quegli anni, un modo di scrivere particolare ma nitido: un testo semplice e chiaro,
una musica semplice e chiara”. COTTO 1994: 155
176
infatti all’inizio la citazione del tema della celebre romanza di Johann Paul
Martini (1741-1816) Plaisir d’amour, “Piacere d’amore” che non dura più
d’un istante. Un motto che, a chi lo riconosce, dà il senso della provvisorietà
della vita e dell’amore, una caducità d’ungarettiana memoria che ben si
addice all’addio di un soldato. Lo schema è semplice (ABA), una sorta di
lettera in cui un soldato si rivolge alla sua donna con le parole: “Garbato
amore mio / ti voglio anch’io ma me ne devo andar / che poca voglia di fare
il soldato / io sono nato per stare qui”. E prosegue richiamando una serie di
luoghi comuni negli addii soldateschi per evocare la triste eventualità di un
non ritorno:339 “se in questa guerra morissi anch’io / amore mio non ti
disperar / che in ogni posto lontano dal cuore/ c’è sempre un fiore che la
guardia ti fa”, “garbato amore mio / ti dico addio che me ne devo andar / che
poca voglia di fare il soldato / io sono nato per stare con te”. Ma con
l’eroismo dei primi due versi contrasta la conclusione antieroica, alla
Fabrizio De André.340
Un’immagine tratta dalla letteratura sudamericana341 è invece quella del
brano La madonna nera,342 racconto di una processione cattolica in cui la
statua della madonna cade per terra e viene rialzata con fatiche e sacrifici da
parte della popolazione devota.
339
Tra tutte basti citare la celeberrima Bella ciao.
340
La ballata dell’eroe; La guerra di Piero.
341
Come Fossati stesso dichiara in COTTO 1994: 150.
342
Lindbergh, 1990.
177
Un esempio particolarmente interessante è costituito da Lunario di
settembre343 in cui c’è una doppia citazione. La canzone è infatti ricalcata
sugli atti del processo di Nogaredo e inoltre la parte centrale del brano è il
riadattamento della poesia Alla luna di Anna Lamberti Bocconi, coautrice
della canzone.
Per la sua particolarità, anche strutturale, vogliamo analizzare meglio questo
brano. Esso è dunque la storia vera del processo di Nogaredo (1647), in cui
sette donne furono processate per stregoneria e cinque di esse vennero
condannate a morte.344 Tutto nacque da una banale lite fra due donne che,
insultandosi, si chiamarono streghe; il fatto giunse alle orecchie
dell’Inquisizione che aprì un procedimento che, come si è detto, si concluse
tragicamente. Le donne in realtà confessarono, ma solo perché sottoposte a
tortura e furono perciò condannate, nonostante il processo non fosse stato,
come si può immaginare, per niente giusto.
La struttura della canzone segue lo schema ABA1C. A costituisce
“l’accusa”, è una sorta di recitativo che declama, riprendendoli dagli atti del
processo (secondo l’edizione fattane dal Dandolo nel 1855), i capi
d’imputazione delle donne incriminate: esse “hanno rinunciato al
sacramento del battesimo” e hanno permesso di essere ribattezzate “con una
nuova infusione d’acqua / sopra il capo / essendosi sottoposte a tal legame /
di obbedienza / al Nemico del genere umano”. E inoltre che “a ore comode,
ai malfatti propizie/ erano portate in aria / invisibilmente / in maledetti
congressi / dove venivano compiute / diversità e quantità di incantagioni,
343
Discanto, 1990.
344
Fossati qui non è chiaro: in base alle notizie a noi pervenute le donne condannate furono solo
cinque delle sette, mentre Fossati nel testo e nelle note al disco fa intendere che vennero condannate tutte.
178
sortilegi / giochi bestiali ed ereticali”. La lunga teoria di misfatti prosegue
con “i venefici, i danni infiniti, le infermità incurabili alle persone, agli
animali” e di aver causato “la distruzione dei raccolti”, “mediante la
sollevazione di venti e tempi impetuosi”.
La seconda parte, più lirica nel testo e nella musica, è occupata dal “dialogo
fra l’inquisitore e un’imputata”, adattamento della poesia Alla luna di
Lamberti Bocconi. La poetessa stessa, che abbiamo contattato, ci ha
raccontato che Fossati, rimasto colpito particolarmente da quella poesia, l’ha
voluta riprendere per Lunario di Settembre, modificandola però in qualche
parte, per adattarla al con-testo. Egli ha infatti trasformato l’originale
rendendola un dialogo, quello fra l’inquisitore e un’imputata, appunto.
Riportiamo qui, per gentile concessione dell’autrice, il testo integrale della
poesia Alla luna, costruita tutta su endecasillabi; sottolineando le parti che
nella canzone sono state modificate riportando in nota le variazioni di
Fossati.
Ma tu chi sei, cos’hai, perché non parli,
non argenti di stelle anche345 lo scialbo
mattino? Sei346 tu stessa a incasellarli,
gli astri lucenti, dentro il347 grande albo
del cielo, o sei anche tu una figurina
senza potere, se non nelle notti
di ferire gli amanti come spina?
E quanto più sei gelida più scotti.348
345
Nella canzone si ha questo.
346
Non sei.
347
Nel.
348
Questo verso è omesso da Fossati: egli introduce invece a questo punto un’interruzione che
trasforma la struttura in forma dialogica.
179
Ahi, bella,349 se potesse tutto il male
che mi consuma mutare la spada
di luce tua 350in un giro di scale
armoniche, ascendenti, in una strada
che a te351 mi conducesse! Ma non vale
niente che io faccia, che resista o cada.
Tu non mi ami: questo è352 il grande lutto
che oscura le mie vesti. Ma ora353 voglio
dirti la verità del354 lato brutto,
paradossale,355 a cui non si rimedia:
Tu non mi ami356 - questo è il grande male.
Io non ti amo: questa è357 la tragedia.
Anche qui, la poetessa ci consenta, ci sembra di ritrovare il Leopardi del
Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, oppure la celebre aria della
Norma belliniana (“Vaga luna che inargenti”), con l’apostrofe alla luna,
chiamata a testimoniare, impotente, le sventure del protagonista.
La terza sezione A, ci fa conoscere “la sentenza”, anch’essa in forma di
recitativo, come la prima, riprende dalle carte processuali il linguaggio
giudiziario, caricato con evidente sarcasmo (“visto il processo”, “visti le
dottissime difese”, viste “le cose che devono vedersi / e considerate quelle
che devono essere considerate”, “in via definitiva sentenziamo e
condanniamo”). Segue un’ulteriore appendice, che in forma di asciutto
resoconto cronachistico ci fa sapere come la condanna comminata sia stata
349
Signore. La poesia si rivolge ancora alla luna, Fossati invece qui cambia soggetto: mentre
prima era l’inquisitore che parlava, adesso è l’imputata che si rivolge a lui.
350
Tua.
351
Via.
352
Capisci: è questo.
353
Omesso da Fossati.
354
Dal.
355
Omesso da Fossati.
356
Capisci.
357
È questa.
180
realmente eseguita, fino al un secco accordo finale che, con indubbia
efficacia drammatica, chiude la vicenda come una lapide tombale.
2.2.1.4
La lingua
Una prerogativa linguistica di Fossati sono le sue “parole composte”, quelle
cioè derivate dall’unione di due o più parole, procedimento che crea
accostamenti inconsueti o impensati neologismi. Tale strategia arricchisce la
nuova parola di ulteriori significati, e dunque di maggior forza significativa
ed espressiva.
Vediamo qui, in ordine cronologico, i neologismi plasmati dall’autore,
alcuni dei quali già incontrati durante il precedente percorso:
“buontempo”358 in Buontempo359
Oggi non si sta fermi un momento
oggi non si sta in casa che è buontempo
Al lavoro non stavo fermo un momento, no
sono tornato a casa col buontempo
“malaluna” in La volpe360
Sarà la luna fra le piante "malaluna"
Sarà la luna fra le piante "malaluna"
Sarà la luna fra le piante, ma la luna non è
Sarà la luna fra le piante, ma la luna non è
“discanto”361 in Discanto362
358
Titolo della canzone, del disco live e contenuto due volte nel brano.
359
700 giorni, 1986.
360
La pianta del tè, 1988.
361
Titolo della canzone, del disco e contenuta anche nel testo.
181
“passalento” in Passalento363
Come posso dire
come passa il tempo
come posso dire
come passalento
“Buonfine” in Piumetta364
Difendi la sua casa
Signore Del Buonfine
“quantomar” in Italiani d’Argentina365
Ahi, quantomar quantomar per l’Argentina
“disperanza” in La scala dei santi366
“haivoglia” in C’è tempo367
Dicono che c’è un tempo
per seminare
e uno che haivoglia
ad aspettare
“Ah-ccidenti” in Lampo368
362
Discanto, 1990. Il termine Discantus è un termine latino impiegato dai teorici musicali del
medioevo in diverse accezioni, in particolare per indica una seconda voce, aggiunta ad un cantus
firmus (melodia preesistente) e da essa complementare e contrastante. Vocabolo “polisemico:
indica una forma musicale discantica, ma anche la mia voglia di giocare con due parole: incanto e
disincanto”. COTTO 1994: 139
363
Discanto, 1990.
364
Discanto, 1990.
365
Discanto, 1990. Anche qui il termine unico accentua la dimensione “atlantica” della distanza.
366
Macramè, 1996.
367
Lampo viaggiatore, 2003.
368
Lampo viaggiatore, 2003. Parola escalamativa che contiene a sua volta un’ulteriore esclamazione.
182
“falsoamericano” e “lucidochimico” in L’orologio americano369
Un elemento assimilabile ai “neologismi fossatiani” è l’uso di quelle che
definiamo “giustapposizioni inconsuete”, cioè il fatto di affiancare nel testo
sostantivi e/o aggettivi che nel linguaggio comune non vengono mai
accomunati. Facciamo qualche esempio significativo:
“La costruzione di un amore”370
“Distanza atlantica” in Italiani d’Argentina371
“Desiderio tutto bagnato dal dolore ” in L’angelo e la pazienza372
“Morso d’immortalità” in L’orologio americano373
“Parole-femmina”, “fango-selciato” in Angelus374
“Tempo negato”, “ Tempo segreto”, “ Tempo sudato” in C’è tempo375
“Volami addosso” in Il bacio sulla bocca376
“Mare di gente” in La barca di legno di rosa377 e C’è tempo378
369
Macramè, 1996.
370
Panama e dintorni, 1981.
371
Discanto, 1990.
372
Macramè, 1996.
373
Macramè, 1996.
374
La disciplina della terra, 2000.
375
Lampo viaggiatore, 2003.
376
Lampo viaggiatore, 2003.
377
Lindbergh, 1992.
378
Lampo viaggiatore, 2003.
183
Come abbiamo già avuto occasione di accennare, una prerogativa stilistica
di Fossati è l’ambiguità, l’interpretabilità, l’obliquità semantica. Egli stesso
dice: “Amo la doppia lettura, le diverse interpretazioni dei brani; uno
schema quasi a incastro non dettato dalla presunzione bensì dal desiderio di
giocare con questo mestiere altrimenti, forse, noioso”.379
E in questo Fossati è un maestro, riesce sempre a dire sottintendendo, ad
eludere evocando, a lasciare aperte diverse possibilità di interpretazione; le
sue parole sono “carte da decifrare”, come abbiamo più volte affermato.
Un esempio è quello di C’è tempo:380 “C’è un tempo bellissimo / tutto
sudato / una stagione ribelle”.
In questo caso il tempo sudato può essere un tempo di fatica, in una stagione
ribelle, e dunque problematica; ma può anche essere il tempo invernale, in
cui i fenomeni meteorologici si alternano con più variabilità rispetto alle
altre stagioni, per questo ribelle, e dunque il tempo è sudato perché bagnato
dalla pioggia. Ma il bellissimo tempo ribelle può anche intendersi come un
clima di rivoluzione, e dunque potrebbe evocare gli anni delle contestazioni.
Insomma è questo un esempio di come Fossati lasci aperta l’interpretazione
alla fantasia soggettiva.
O ancora un caso di ambiguità è quello di Albertina381 in cui dietro le righe
la figura femminile potrebbe intendersi come prostituta, ma niente è
esplicitato in questo senso:
Albertina cerca dollari
379
BISACCA 1996
380
Lampo viaggiatore, 2003
381
Discanto, 1990.
184
in un modo che non so
son le ore otto e quindici
dovrebbe stare a casa già da un po’.
Albertina cerca limiti
raggiunti mai
io sto in cucina
dietro la tendina
perché a vivere
so come si fa.
Albertina cerca strade
percorse mai
fasi analitiche
fasi politiche
e io non le distinguo mai
E ancora in Carte da decifrare382 si legge: “amarti di notte quando il sonno
dura / e amarti per ore, ore, ore / e ucciderti all’alba di altro amore” che
potrebbe leggersi “ucciderti all’inizio di un nuovo amore che non sono io”,
oppure “ucciderti all’alba, con un amore diverso da quello che conosci”.
Per quanto riguarda il lessico notiamo una varietà estrema di registro. Il
linguaggio che Fossati usa nelle sue canzoni è infatti alquanto vario: passa
dallo stile alto, del tutto ricercato, poetico, delicatamente gentile, a quello
medio della comunicazione quotidiana, colloquiale, per arrivare allo stile
basso, che talvolta diventa triviale e scurrile.
Facciamo qui qualche esempio dei casi più estremi, cioè del registro basso e
di quello alto.
Esempi di linguaggio basso:
382
Carte da decifrare, dal vivo vol.II, 1993.
185
Non ti riconosco più:383 “frega”
Dedicato:384 “schifo”
Limonata e zanzare:385 “coglione”
Vola:386 “frega niente”
Panama:387 “maledetta”
Questa guerra come va:388 “bastardo”
J’adore Venise:389 “che cavolo”
La musica che gira intorno:390 “maledetto”
Lampo:391 “buffi”
Esempi di linguaggio poetico:
Unica rosa: “Fiore cantato / Voce sottile / Stella Meridiana”
Discanto: “oscure canzoni”, “pronte guittezze”, “profumi ardenti”
Lunario di settembre: “non argenti di stelle / questo scialbo mattino”
Confessione di Alonso Chisciano:392 “E più mi accorgo di amare l’ignota
destinazione / più lungo sterpi e rovesci / non ritorno”
Poca voglia di fare il soldato:393 “Garbato amore mio”
383
La casa del serpente, 1977.
384
La mia banda suona il rock, 1979.
385
La mia banda suona il rock, 1979.
386
La mia banda suona il rock, 1979.
387
Panama e dintorni, 1981.
388
Panama e dintorni, 1981.
389
Panama e dintorni, 1981.
390
Le città di frontiera, 1983.
391
Lampo viaggiatore, 2003.
392
Tutti da Discanto, 1990.
186
E ancora un linguaggio poetico e ricercato si trova in La barca di legno di
rosa,394 Carte da decifrare,395 L’amante,396 Invisibile, Jubilaeum bolero,
Angelus, La rondine.397
Un esempio significativo è quello di Dancing sopra il mare,398 un testo che
si avvicina particolarmente alla forma poetica, anche perché non nasce per
essere cantato ma recitato (dalla profondissima voce di Mercedes Martini)
su accompagnamento musicale:
Che triste storia dare nome a un’ombra
ci imbarcammo in un tempo dimenticato perfino dai sogni
pronti al beffardo amore e ad altre spese
ma qui dov’è la luna?
siamo giocatori di carte
lo spettatore comprende
con gli anni si misura la distanza
siamo sognatori di mondi
ragazze a cui piacevano i poeti
capitani di tavole imbandite
destini a scomparsa
siamo voci erranti
cui oggi e soltanto oggi
la terra all’orizzonte
tenue
di nuovo appare
Sempre per quanto riguarda le particolarità linguistiche Fossati fa uso in
alcuni brani di un linguaggio duro, crudo, quasi violento. È una forma
393
Lindbergh, 1992.
394
Lindbergh, 1992.
395
Carte da decifrare, 1993.
396
Macramè, 1996.
397
Tutte da La disciplina della terra, 2000.
398
La disciplina della terra, 2000.
187
espressiva che si discosta molto dalla delicatezza che contraddistingue la
maggior parte delle sue canzoni, ma tuttavia ci sembra un altro lato
importante del suo modo di scrivere. Un linguaggio che nasce
evidentemente dal Fossati più indignato, arrabbiato, ferito, che sente
talvolta, come tutti, il bisogno di esprimere con decisione e schiettezza
sentimenti che non possono, e non vogliono, trovare un’espressione
addolcita.
Troviamo così la durezza e il dolore profondo che nascono dalle sofferenze
d’amore, un’associazione, quella di amore e dolore estremo, che fa pensare a
Pavese, alle sue parole scavate nel dolore, pur con le mani dell’amore, le sue
poesie del disamore, il suo amore della solitudine, la sua disperazione
sentimentale. Tuttavia Fossati non è quasi mai così tragico, ma di solito
lascia aperta la porta della speranza e trova, pur nella sconfinata sofferenza,
sempre una luce di vita.
Così accade in La costruzione di un amore:399
La costruzione di un amore
spezza le vene delle mani
mescola il sangue col sudore
se te ne rimane
Un amore così grande che diviene il più grande bene e il peggiore male,
“tanto che se finisse adesso lo so io chiederei che mi crollasse addosso”.
Espressioni dure per parlare d’amore: sangue, vene, sudore, crollare, dure
efficaci per esprimere quella che a volte diventa davvero una grande fatica,
un peso, un dolore fisico.
399
Panama e dintorni, 1981.
188
Così è anche l’amore di Carte da decifrare400 in cui l’amante ha un senso
del possesso che ha confini piuttosto violenti:
se avessi più fantasia ti disegnerei
su fogli di cristallo da frantumare
e guai se avessi un coltello per tagliare
se avessi braccia migliori ti costringerei
se avessi labbra migliori ti abbatterei
se avessi buona la bocca ti parlerei
se avessi buone le parole ti fermerei
ad un angolo di strada io ti fermerei
ad una croce qualunque ti inchioderei
Anche queste sono parole un po’inconsuete per parlare alla persona amata,
ma esprimono evidentemente una situazione estrema, la disperazione di chi
si vuole riprendere “l’oggetto” del suo “amore” e farlo “proprio”, tanto da
immaginare di “amarti per ore, ore, ore e ucciderti all’alba di altro amore”.
Altrettanto “brutali” sono le espressioni di L’abito della sposa,401 una storia
di violenza carnale:
Ha lo stomaco magro
questa giovane sposa
dovreste farla mangiare
di più
[…]
quando anche l’ultimo soldato
ebbe fatto scorta di lei
in quel freddo carnale
lei si sentì ancora bella
col suo profumo volgare
come la sete di vittoria
da consumare per giorni”
400
Carte da decifrare, dal vivo vol. I, 1993.
401
Macramè, 1996.
189
e quelle che compongono L’amante:402
il viso non l’ho più, m’è cascato
una fulgida notte
di Casino
ho costole divaricate
disossate
sono tutte corde della mia arpa
cupi tamburi battono le reni
E ancora possiamo citare le crudezze lessicali di Sono tre mesi che non
piove:403
Sono tre mesi che non piove
ho sabbia e sale nel letto
peccato e pentimento
ho l’anima falciata
da cui discende la mia razza intera
che ha cuore e pancia di ametista
senza regola di vita
senza luce di luna
oro negli occhi
e soprattutto senza difesa dal dolore
Bella speranza:404
Scusa se non telefono
ma ho già il mio bel daffare
a non morire
[…]
Adesso ho giorni buoni
e aria lunga
ma ho tanto desiderato essere nessuno
solo un grande scrittore fa muovere insieme
i vivi e i morti
e solo un grande dio può accudire i disperati
402
Macramè, 1996.
403
La disciplina della terra, 2000.
404
Macramè, 1996.
190
in un posto così
Ci sono luoghi dove il bisogno di violenza
è molto più forte della volontà
ci sono ore in cui il bisogno di violenza
è molto più in alto della volontà
ed è ben altro che bastoni e coltelli
non essere visto e non vedere
essere piombo caduto fuso
sulla terra
[…]
Vivo con prudenza
come un buon mercante in un grande affare
Più spesso, come i topi
sento la mia ombra fra i muri
scivolare
Altra caratteristica linguistica di Fossati è l’uso di lingue straniere, a
costituire interi testi, o più spesso parti di essi, riscontrabile inoltre
attraverso l’uso di forestierismi in uso nel linguaggio corrente (come
whiskey, abat-jour, cocktails, cow boy).
Il francese è usato in J’adore Venise405 (“Al terzo doppio whiskey quasi le
gridai: «J’adore Venise»”), e in Le signore del ponte-lance,406 che contiene
in questa lingua due intere strofe:
C’est un petite chanson
sur le temps qui passe
et le temps qu’on passe
a courir la mer
le capitaine est un brave homme d’içi
il a de bon marins
qui viennent d’Italie
e in La vita segreta,407 che presenta la stessa frase oltre al francese anche in
inglese:
405
Panama e dintorni, 1981.
406
La pianta del tè, 1988.
191
C’èst la vie secrète mon amour
it’s the secret life
è la vita segreta (amore mio)
L’inglese si trova in parecchi brani. In il Il talento delle donne408 il
sottotitolo è Time and silence, e viene ripetuto anche nel testo; si trova poi
qui la formula di un mantra buddista. Queste scelte sono spiegate dall’autore
stesso: “Ho utilizzato in perfetta coscienza le sillabe sacre Om Mani Padme
Hum, affinché mi aiutassero a tracciare la linea d’ombra il più possibile
netta fra l’idea ciclica del tempo orientale e quella lineare che è la nostra. Le
parole tempo e silenzio sono espresse in lingua inglese perché più di ogni
altra sembra rappresentare oggi il modello occidentale.”409
Sono in inglese inoltre i testi completi delle due canzoni scritte da Fossati
con Marrow: Where is paradise e Harvest moon.410 In Good-bye Indiana411
in inglese oltre al titolo (che è anche il titolo dell’album cui appartiene) si
trovano alcuni inserti nel testo, che contiene inoltre parti in messicano
(spagnolo), presente tra l’altro anche in Panama (“Oh mamaçita Panama
dov’è”).412
Good-bye Indiana train
[…]
Te quiero, te quiero
e no puedo vivir
yo me muero, me muero
407
Macramè, 1996.
408
Canzoni a raccolta, 1998.
409
Dalla conferenza stampa in www.ivanofossati.net.
410
Good-gye Indiana, 1975.
411
Good-gye Indiana, 1975.
412
Panama e dintorni, 1981.
192
te quiero aquì.
[…]
Go and go
se sapessi guidare un treno
lo farei volare
[…]
In latino sono invece i titoli di Angelus e Iubilaeum bolero; quest’ultima
contiene inoltre, come abbiamo visto precedentemente, una preghiera in
genovese.413
2.2.1.5
Le figure retoriche
La meticolosità costruttiva di Fossati emerge anche nell’utilizzo frequente di
figure retoriche che contribuiscono a dare spessore emotivo e musicale al
testo.414 Le strategie della retorica classica servivano in primo luogo a
movere l’uditorio, a commuoverlo con figure di parole e di pensiero
adeguate, intensificando il discorso, convogliando l’interesse e le passioni
del pubblico. L’accumulo di concetti, la varietas, le licenze servivano a
stupire e nello stupore a convincere, a mantenere il contatto e l’interesse dei
destinatari del discorso. D’altra parte, e lo sapevano bene i teorici musicali e
i filosofi del primo Seicento, il discorso retorico mostra strette analogie con
quello musicale: la ripetizione di parole/temi a distanza o reiterati, i climax
simili a veri e propri crescendo. Per non parlare della possibilità , nel
discorso, di variare i concetti mediante i tropi come si può variare, nel corso
413
414
La disciplina della terra, 2000.
Per quanto riguarda le definizioni delle figure retoriche abbiamo fatto riferimento a AC1996 e a MORTARA GARAVELLI 2002.
CADEMIA DEGLI SCRAUSI
193
della composizione, un tema. In questo senso, siamo convinti che la retorica
giovi non solo al discorso, ma ancor più al testo per musica.
Riprendendo, grosso modo, la classificazione scolastica delle figure
retoriche in figure di parola e di pensiero, cercheremo dunque di individuare
qualche esempio di strategie di “ascendenza” retorica nella canzone di
Fossati. Una esemplificazione che mira semplicemente ad offrire una
casistica approssimativa e non certo esaustiva della “retorica” fossatiana.
Per quanto riguarda le figure di parola – cioè quelle che riguardano la
scelta e l’ordine delle parole o di gruppi di parole415– che ci sembrano quelle
che Fossati predilige, la più frequente è l’anafora, cioè la ripetizione di una
o più parole all’inizio di frasi o versi successivi ( / x… / x…/).
L’anafora, in quanto figura di accumulo, può creare una certa intensità, per
far risaltare una parola, o una frase, e per segnare più nettamente i contorni
dell’immagine che di volta in volta si vuole dare. Ma allo stesso tempo crea
delle fitte connessioni intratestuali nella stessa canzone che trovano una
stretta corrispondenza, il più delle volte, con lo sviluppo ciclico del discorso
musicale.
Vediamo qui qualche esempio.
Lo stregone:416
Sono un uomo, sono terra, sono buona terra
io davanti al fuoco non mi fermerò
sono un nome, sono un canto, sono i vostri canti
415
Quelle “di pensiero” riguardano invece l’ambito concettuale e connotativo della comunicazione.
416
Poco prima dell’aurora, 1973.
194
voi cercate la fortuna e non la porterò
E di nuovo cambio casa:417
E di nuovo cambio casa
di nuovo cambiano le cose
di nuovo cambio luna e quartiere
La volpe:418
Che sarà quell’ombra in fondo al viale di casa mia
Che sarà quell’ombra in fondo al viale di casa mia
Sarà il cane che ritorna, ma il cane non è
Sarà il cane che ritorna, ma il cane non è
Che sarà quell’ombra in fondo al viale di casa mia
Che sarà quell’ombra in fondo al viale di casa mia
Sarà la luna fra le piante «malaluna»
Sarà la luna fra le piante «malaluna»
Sarà la luna fra le piante, ma la luna non è
Sarà la luna fra le piante, ma la luna non è
Discanto:419
Di acqua e di respiro
di passi sparsi
di bocconi di vento
di lentezza
di incerto movimento
di precise parole si vive
di grande teatro
di oscure canzoni
di pronte guittezze si va avanti
di come fare
di come dire
di come fare a capire
di alti
di bassi
battiti del cuore
fasi della luna
e ritmi della terra
417
La mia banda suona il rock, 1979.
418
La pianta del tè, 1988.
419
Discanto, 1990.
195
Passalento:420
Come posso dire
come passa il tempo
come posso dire
come passalento
Unica Rosa:421
Rosa,
Rosa di una rosa
Rosa torturata
Rosa amata
Rosa,
Rosa ballerina
Rosa bambina.
Rosa,
Fiore cantato
Voce sottile
Stella Meridiana
Rosa,
Rosa colombina
Rosa che s’inchina
L’angelo e la pazienza:422
L’amore va consumato va
L’amore va accontentato va
la voglia e l’innocenza
faranno come si può
l’amore va trasudato va
l’amore va comandato va
l’angelo e la pazienza
s’accordano come si può
In questi segmenti di testi, e in quelli che abbiamo visto in precedenza, si
possono ritrovare diverse altre figure retoriche.
420
Discanto, 1990.
421
Discanto, 1990.
422
Macramè, 1996.
196
Come si può vedere, l’anafora coincide spesso con l’enumeratio, spesso
asindetica, di cose o fatti, che porta ad un esagerato accumulo di indubbia
efficacia. “Caratteristica precipua dei testi di Fossati è il “parossismo
nominale”,423
la
ripetizione,
l’accumulo,
come
se
egli
sentisse
continuamente l’esigenza di compensare una necessità ripetitiva. Ciò è
riscontrabile nelle figure retoriche che usa di più, che sono quelle per
aggiunzione e per ripetizione: oltre alla molto frequente anafora troviamo
anche l’epifora – figura opposta all’anafora e dunque creata dalla
ripetizione di una o più parole alla fine di frasi o versi successivi (/ …x /
…x/) .
Per esempio nella prima strofa de La casa del serpente,424 in cui la parola
“amore” ricorre continuamente: “tu lo chiami amore […] / chi provoca
amore […] / dici amore di quale amore […] / se c’è amore […]”.425
E ancora in Lusitania,426 dove troviamo, in posizione vicinissima un’epifora
e una reduplicatio (o anadiplosi) – ovvero la ripetizione dell’ultima parte di
un segmento nella prima parte del segmento successivo (/… x / x…/): “è
terra / compagni è terra / terra secca da guardare”. Tali figure sono presenti
in diversi altri casi, per esempio, l’epifora si trova ancora in L’angelo e la
pazienza427 (“l’amore va consumato va / l’amore va accontentato va”), in un
caratteristico caso in cui sono presenti sia epifora che anafora, a costituire la
figura detta complexio o simploche (/ x…y / x…y/).
423
ACCADEMIA DEGLI SCRAUSI 1996: 106
424
La casa del serpente, 1977.
425
ACCADEMIA DEGLI SCRAUSI 1996: 106-107
426
Discanto, 1990.
427
Macramè, 1996.
197
Sempre per quanto riguarda le figure di parola per aggiunzione, in La
volpe428 troviamo continue geminatio (o epanalessi, figura che consiste nel
raddoppiare un’espressione ripetendola all’inizio, al centro, o alla fine di un
segmento testuale: /xx…/, oppure /…xx…/, oppure /…xx/), figure che, in
questo caso, rendono la struttura della canzone molto particolare, ripetitiva,
quasi come una filastrocca. Una geminatio così ampia da formare
un’accumulazione dello stesso verso è quella di La vita segreta,429 dove il
verso “ferire e incassare” è ripetuto prima per quattro e poi addirittura per
otto volte consecutive.
Unica rosa430 presenta invece uno dei diversi casi di epanadiplosi, altra
figura di ripetizione, che consiste nel reiterare una o più parole all’inizio e
alla fine di un segmento (/x…x/): “Rosa di una rosa”.
Quest’ultima canzone, come anche Discanto,431 sono caratteristiche, oltre
che per continui anafore e asindeti, anche per essere costruite col metodo
dell’accumulazione
(o
congeries),
quella
figura
che
si
basa
sull’elencazione, l’enumerazione di elementi diversi, che serve per
amplificare una parte di testo, e ancora una volta per creare maggior
intensità.
Sempre per quanto riguarda le figure di parola riportiamo qui qualche caso
di allitterazione (ripetizione di vocali, consonanti o sillabe uguali all’inizio
o all’interno di due o più parole successive):
428
La pianta del tè, 1988.
429
Macramè, 1996.
430
Discanto, 1990.
431
Discanto, 1990.
198
“la costruzione del mio amore mi” in La costruzione di un amore432
“maledetto muro” in La musica che gira intorno433
“posso passa” e “poca pena” in Passalento434
“la notte è adatta” in Piumetta435
“cuore di calce” in Treno di ferro436
“sabbia e sale”, “peccato e pentimento”in Sono tre mesi che non piove437
Tutte queste figure, basate sulla reiterazione, mirano sempre ad intensificare
il concetto, a creare enfasi, a ribadire un’idea, o a definire meglio
un’immagine.
Per le figure che riguardano la coordinazione troviamo il polisindeto
(coordinazione mediante congiunzioni ricorrenti: e…e…) in Discanto come
anche in Carte da decifrare438 (“per rubarti il passo, il passo e la figura / e
amarli di notte quando il sonno dura / e amarti per ore, ore, ore / e ucciderti
all’alba di altro amore / e amarti per ore, ore, ore / e ucciderti all’alba di
altro amore”).
Passando invece alle figure di parola per soppressione, sempre per quanto
riguarda la coordinazione, molto frequente si riscontra l’uso dell’asindeto,
cioè della coordinazione priva di congiunzioni, presente per esempio ancora
432
Panama e dintorni, 1981.
433
Le città di frontiera, 1983.
434
Discanto, 1990.
435
Discanto, 1990.
436
La disciplina della terra, 2000.
437
La disciplina della terra, 2000.
438
Carte da decifrare, 1993.
199
in Discanto (in cui come si è detto, è presente anche il polisindeto) e in
Unica Rosa.
Nei testi di Fossati, anche se ci sembra in misura minore rispetto a quelle di
parola, è riscontrabile anche l’uso di figure di pensiero, cioè di quelle che
riguardano le idee (come l’allegoria, l’ossimoro, la similitudine, ecc.).
In Lusitania439 troviamo la personificatio, cioè la
raffigurazione di un
essere inanimato, come fosse una persona. Qui l’invocazione “Bella Signora
nostra che ci appari e scompari / vedi come poco sappiamo di te”, che sia
rivolta alla terra portoghese, o alla luna (l’interpretazione non è chiara), è
comunque una prosopopea, poiché vengono attribuite delle qualità umane a
un’entità che umana non è.
In Italiani d’Argentina440 troviamo invece uno dei casi di dubitatio, ossia
un’esitazione, l’incertezza tra due possibilità, costituito qui dal ripetuto
interrogativo “ma ci sentite da lì?”.
Molto ricorrenti sono invece le similitudini, quelle figure di pensiero che
consistono nel confronto analogico tra due elementi che hanno
caratteristiche somiglianti e paragonabili. Vediamo alcuni esempi:
La costruzione di un Amore:441
La costruzione di un amore
non ripaga del dolore
è come un altare di sabbia
in riva al mare
La costruzione del mio amore
mi piace guardarla salire
439
Discanto, 1990.
440
Discanto, 1990.
441
Panama e dintorni, 1981.
200
come un grattacielo di cento piani
o come un girasole
I treni a vapore:442
Come i treni a vapore
come i treni a vapore
di stazione in stazione
e di porta in porta
e di pioggia in pioggia
e di dolore in dolore
il dolore passerà
Labile:443
Scivolo come le nuvole di notte
e sto contento
[…]
Scivolo come le acque delle regioni
senza vento
Angelus:444
Eccoti qui
pronta e muta come un pianoforte
pettinata e vestita
come un angelo da collezione
[…]
Eccoti qui
pronta e muta come un calendario
Infine citiamo qualche esempio di tropi: figure retoriche in cui “si dice
qualcosa con qualcos’altro”; i tropi sono quelle espressioni il cui contenuto
originario viene diretto a rivestire un altro contenuto, e si ottengono dunque
442
Buontempo, 1993.
443
Macramè, 1996.
444
La disciplina della terra, 2000.
201
sostituendo un’espressione propria con un’altra di senso figurato (nonpropria).
Fra questi in Fossati riscontriamo soprattutto la metafora, una delle figure
retoriche in generale più usate, che consiste nell’accostamento di parole o
concetti apparentemente distanti nel significato ma legati tra loro da una
qualche analogia, da un denominatore comune che li accosta per
somiglianza. Per esempio in Unica Rosa445 la rosa è metafora della donna, o
in La pianta del tè446 il tè sta a simboleggiare le piccole cose che hanno
grande importanza. In questi brani, come anche in altri, fra cui La volpe,447
Naviganti,448 Carte da decifrare,449 la metafora, poiché su essa è costruita
l’intera canzone, va quasi a costituire un’allegoria, che può definirsi come
una “metafora allungata”.
Fra le immagini metaforiche molto usate da Fossati c’è anche la sinestesia,
la figura che consiste nel trasferimento di un significato dall’una all’altra
percezione sensoriale, tecnica molto usata dai poeti simbolisti. Riportiamo
qui qualche esempio dell’uso che ne fa Fossati:
“annusare le stelle” in Lindbergh450
“desiderio […] bagnato dal dolore in L’angelo e la pazienza451
“sentimenti adornati”, “sentimenti armati” in La mia giovinezza
445
Discanto, 1990.
446
La pianta del tè, 1988.
447
La pianta del tè, 1988.
448
Buontempo, 1993.
449
Carte da decifrare, 1993.
450
Lindbergh, 1992.
451
Macramè, 1996.
202
“mese d’agosto accecante” in La disciplina della terra
“parole-femmina” in Angelus
“musica dura” in Il motore del sentimento umano452
“un bacio anche distratto a bassa voce” in Ombra e luce
“tempo distante”, tempo segreto”, “tempo negato” in C’è tempo453
Casi di sineddoche, espressione di un concetto per mezzo di un termine ad
esso correlato da un rapporto di quantità, sono invece quelli di Lusitania,454
in cui la forma “occhi che hanno visto terra / e terra d’oro / e sono nasi,
bocche, piedi trascinati” nomina la parte per il tutto, cioè parti del corpo, per
dire persone; e di Una notte in Italia455 in cui l’espressione “saranno le mie
mani che sanno così poco dell’amore ” sta evidentemente a significare
l’inesperienza in amore, non solo pratica, ma anche sentimentale (anche qui
la sineddoche consiste nel nominare la parte per il tutto).
Già da questo breve e, per forza di cose, incompleto excursus abbiamo
notato la totale libertà dell’autore nell’uso di questi artifici retorici, scevro
da ogni accademismo e formalismo fine a se stesso. Non sappiamo se l’uso,
da parte di Fossati, di questi stilemi e artifici (e di tutti quelli che un’analisi
mirata e attenta potrebbe individuare) codificati da millenni di storia della
retorica sia stato consapevole o meno, o piuttosto sia dovuto alla sua
sensibilità poetica, alla sua capacità di leggere la poesia e, a sua volta, di non
lasciare intentata, baroccamente, nessuna strada dell’invenzione poetica, pur
452
Tutte da La disciplina della terra, 2000.
453
Tutte da Lampo viaggiatore, 2003.
454
Discanto, 1990.
455
700 giorni, 1986.
203
di coinvolgere e movere il suo ascoltatore. Noi propendiamo per questa
seconda ipotesi.
204
2.3
LA COMPONENTE LATINO AMERICANA
NELLA CANZONE DI IVANO FOSSATI
Il legame di Ivano Fossati con il Nuovo Mondo si tende come un filo
conduttore tra Europa e America. Trasvolata atlantica, volo, fuga dalla
modernità e dal mare ligure. Come Lindbergh, che per “collegare” i due
continenti si è servito di un mezzo volante, come gli “italiani d’Argentina”,
che tentano il contatto via radio, così Fossati, nei suoi tanti viaggi reali e
ideali, trova spesso la linea diretta che unisce il Vecchio al Nuovo Mondo. È
un pensiero nostalgico, una nota, una fotografia, la voce di un amico, un
amore, un nome, una suggestione. Dal porto di Genova alle coste della
Lusitania, fino ad arrivare sulle spiagge del Brasile o a Buenos Aires, è tutto
uno stesso mare, un’unica distesa d’acqua che unisce e divide, accomuna e
allontana. Un unico cielo sopra il mare, un unico destino di naviganti e
viaggiatori erranti.
Una suggestione, quella dell’America Latina che non ha toccato solo
Fossati, ma che evidentemente nasce da una propensione comune radicata
nel substrato culturale collettivo che è della nostra cultura.
Dalla scoperta dell’America non ci siamo mai stancati di scoprire e
riscoprire i segreti e le bellezze di un mondo lontano e, tutto sommato,
ancora poco conosciuto.
Un’attrazione che, come già abbiamo sottolineato, nasce da tutto ciò che
quell’orizzonte mitico rappresenta per noi, per quello che il nostro
immaginario ha costruito, per quello che i nostri occhi hanno visto o che le
nostre orecchie hanno sentito. Un mondo “nuovo”, “diverso”, fatto di
libertà, bellezze, misteri. Una riserva di esotismo, di colori, di vita.
205
Così per Ivano Fossati, genovese per nascita e sognatore per natura, il mito e
la realtà di tutto ciò che l’America Latina coinvolge e rappresenta, hanno da
sempre influenzato il suo modo di vedere, percepire, interpretare il mondo.
Nella sua canzone infatti, attraverso la quale egli si esprime e
autorappresenta, tale componente latino-americana si incontra di frequente,
anche se non sempre in modo particolarmente eclatante ed evidente.
Le suggestioni latino-americane e la passione per quelle musiche sorsero in
Fossati molto presto, quando, ancora ragazzo, andava alla ricerca dei dischi
di musica brasiliana affascinato dalle sonorità della bossa nova.
Determinante fu poi l’incontro con il latin-jazz di Stan Getz,456 e altrettanto
importanti furono più tardi le collaborazioni con Oscar Prudente e con il
produttore Allan Goldberg, appassionati entrambi di musica sudamericana:
esperienze che dovettero certo incrementare e stimolare il suo interesse per
la cultura latino-americana. C’è poi da citare la sua grande amicizia con Ivan
Lins, suo “fratello carioca”,457 cantautore brasiliano con cui Fossati ha
composto varie canzoni edite in America (tra cui Nada sem você).
Ma non dobbiamo dimenticare che negli anni ’60 e ’70 in Italia erano
presenti diversi artisti sudamericani, da Chico Buarque, a Toquinho, a
Vinicius de Moraes, agli Inti Illimani: la presenza di questi artisti e l’apporto
456
A proposito dell’incontro con Stan Getz, avvenuto in occasione di un concerto del jazzista
Fossati racconta: “Quell’incontro mi fece capire l’importanza della tecnica e mi diede la consapevolezza nuova che la musica non era solo quella dei complessi, del beat.” COTTO 1994: 39
457
“In comune abbiamo lo stesso nome, figli musicisti che si chiamano Claudio e, fatto per lui
ancora più decisivo, lo stesso protettore: San Giorgio. A me piace pensare che suoniamo anche lo
stesso strumento, amando la stessa musica. Lui è molto vicino a me, è talmente vicino da esserlo
perfino troppo: abbiamo lavorato insieme per un po’ di tempo, abbiamo provato a scrivere musiche che ci sono sembrate, che sono, un serbatoio di idee, sulle quali nel tempo lavoreremo, pigrizie carioca e ligure permettendo”. FOSSATI 2001: 91-92
206
notevole che la loro cultura, non solo musicale, ha portato nel mondo
intellettuale di allora, certo ha lasciato un segno.
Quei musicisti al loro arrivo hanno certamente trovato un humus favorevole
in Italia, poiché in quel periodo la nostra musica era particolarmente aperta
all’internazionalismo, offriva insomma alle novità in arrivo, un substrato già
formato, ma fertile e disponibile a ricevere nuova vitalità. Possiamo citare
Sergio Endrigo, Mina, la Vanoni, Fabrizio De Andrè, Paolo Conte, e sono
solo alcuni dei nomi italiani che hanno recepito e reinventato le suggestioni
arrivate dall’America Latina, affascinati particolarmente dal samba, dalla
bossa nova e dalla saudade sudamericana, che apriva dolcemente il suo fiore
della malinconia, della nostalgia per ciò che non prenderemo mai.
E certo, come detto, anche in Fossati, per indole curioso e propenso a
rinnovarsi, pur rimanendo sempre fedele a se stesso, l’apporto della vecchia
e nuova musica latino-americana ha lasciato una significativa impronta.
Elementi di ascendenza latino-americana sono infatti riscontrabili in diversi
aspetti della sua produzione, dalla musica, ai testi, dal sentimento, alla
sensualità.
Un’influenza, dunque, che ha agito su diversi fronti lasciando segni leggibili
ovunque: in primo luogo nei ben sei rifacimenti di canzoni latino-americane
che nel corso del tempo l’autore ha realizzato – contro una sola
dall’inglese458 e una dal francese459. Oltre a questo dato significativo ci sono
canzoni che, come lui stesso ha dichiarato, nascono ispirate dall’ascolto di
precisi brani latino-americani, e altre che invece nascono da suggestioni, più
458
La locomotiva, traduzione letterale di The Rail Song di Andrian Belew (chitarrista dei King
Crimson), Ventilezione, 1884.
459
Il disertore, da Le deserteur di Boris Vian, Lindbergh, 1992.
207
o meno vaghe, o ancora dal desiderio di riprendere un ritmo, o evocare
un’atmosfera attraverso la ricerca timbrica.
Sembra che Fossati non faccia quasi mai un uso chiaro e netto di un
particolare stilema, ma voglia creare atmosfere, visualizzare immagini,
riverberare nelle sue creazioni le suggestioni che lo hanno stimolato. Così il
suo stile compositivo rimane sempre intatto, seppur percorso da questi
elementi che conferiscono alle canzoni un’aura, un’ambientazione dal
sapore chiaramente o velatamente latino-americano.
Una costante della sua musica che ci rimanda all’America Latina è
quell’indefinito senso di malinconia, quella saudade dolce e suadente, ma
tristemente profonda che contraddistingue molta musica latino-americana.
Quel senso di mancanza e allo stesso tempo di immensità, di pienezza di
vita, eppure di perdita.
Così è per la sua concezione dell’amore, sensuale, passionale, malinconico,
talvolta doloroso; un amore che è il centro di gravità, ma che qualche volta
disorienta, annienta, atterra, disarma, ma anche un amore carnale, sentito
con ogni senso, nel cuore e nella mente, intenso come è solo ciò che riempie
gli occhi, le mani, la bocca, la vita tutta.
Ma vediamo questi aspetti riprendendoli per tematiche, associate di volta in
volta alle canzoni più rappresentative dell’aspetto preso in considerazione.
208
2.3.1 Versioni italiane di canzoni latino-americane
Un aspetto particolarmente importante e significativo dell’influenza
dell’America Latina sulla musica di Fossati sono le sue cover di brani latinoamericani: nel corso del tempo infatti l’autore ha ripreso ben sei canzoni,
reinterpretandole, traducendole, riarrangiandole.
Ci sembra significativo il fatto che in tutta la sua produzione ci siano
soltanto altri tre rifacimenti, uno dal francese (Le deserteur di Boris Vian),
uno dall’inglese (The Rail Song di Andrian Belew), e la cover di Boogie di
Paolo Conte: è dunque importante il fatto che abbia sentito l’esigenza di
riprendere e reinterpretare quei brani, facendoli propri, anche se qualcuno di
essi lui personalmente non l’ha mai inciso.
Si tratta di quattro brani che appartengono alla tradizione della bossa nova
brasiliana:
-Jazz (Fossati-Djavan), incisa nell’album di Loredana Bertè Jazz (1983) da
Sina di Djavan;
-Petala (Fossati-Djavan), incisa nell’album di Loredana Bertè Savoir faire
(1984) da Petala di Djavan;
-La pioggia di marzo (Fossati-Calabrese -Jobim), incisa da Fossati
nell’album dal vivo (1993) da Águas de março di Tom Jobim;
-Oh che sarà (Fossati-Buarque) da Oh que serà di Chico Buarque, incisa in
due album di Fiorella Mannoia, Di terra e di vento (1989) nella versione
cantata in duetto con Fossati e Certe piccole voci (1999);
209
il noto brano della messicana Consuelo Velasquez: Besame mucho, inciso da
Fossati in una versione strumentale nell’album Not One Word (2001);
un brano del cubano Silvio Rodriguez: Piccola serenata diurna, interpretata
da Fiorella Mannoia nell’album I treni a vapore (1992)
da Pequena
serenata diurna.
Nei confronti delle traduzioni Fossati ha detto di aver sempre avuto molto
senso del rispetto, nel senso che non ha mai voluto modificarle troppo,
perché non si snaturassero, non perdessero la loro impronta originale.
Tuttavia in questi brani troviamo alcune variazioni, dovute probabilmente
anche a esigenze tecniche, di traduzione, per esempio, per quanto riguarda i
testi, e di arrangiamenti, per le musiche.
Per quanto riguarda le musiche infatti ritmi
e timbri ricordano quelli
sudamericani ma la struttura ritmica non è quasi mai quella dell’originale,
spesso modificata anche rendendola più lenta o più veloce.
Un caso a parte costituisce Besame mucho, che può essere considerato ormai
un “classico”, per i tanti rifacimenti che ne sono stati fatti,460 anche
nell’ambito jazz, ripreso da Fossati in versione strumentale.
Fossati spiega questa scelta, in occasione della presentazione del disco
strumentale Not One Word: “Mi sembrava una cosa dovuta, innanzi tutto al
mio divertimento, perché è un brano che mi piace molto suonare. Poi dovuta
al pubblico: prendendo a pretesto il racconto della storia della sua autrice,
Consuelo Velasquez, l’ho suonata dal vivo negli ultimi due anni con grande
460
Ricordiamo, fra le altre, la versione di Joao Gilberto e quella di Carmen Consoli.
210
successo. Così ho pensato che a molti avrebbe fatto piacere riascoltarla. Poi
è un brano a cui sono molto affezionato”.461
2.3.2 Ritmi, melodie, strumenti: l’uso della musica
per creare immagini.
Vogliamo qui soffermarci sull’aspetto linguistico-musicale della cultura
latino-americana in Fossati, cioè su quel che riguarda l’uso di particolari
ritmi, melodie, strumenti tipici di un dato genere. È questo un aspetto
particolarmente rilevante per l’argomento che stiamo studiando, poiché
tocca la sostanza “musicale” della sua canzone. Ma, in quanto suono, ritmo,
quello più facilmente mascherabile.
È possibile infatti rilevare, nella presenza di questi elementi, diversi ambiti
di influenza, come l’Argentina, il Brasile, i Caraibi, le Ande.
L’uso di particolari stilemi musicali, quali il ritmo o alcune melodie, e di
particolari strumenti o richiami timbrici, serve a Fossati per creare
immagini, atmosfere, suggestioni. Egli infatti non sembra voler riproporre
fedelmente determinate musiche o ritmiche, facendo un uso chiaro di
elementi evidentemente appartenenti a un dato genere; sembra invece di
volta in volta riprendere tali elementi per suggestionare, evocare, richiamare
alla mente immagini o atmosfere caratteristiche di un particolare luogo,
utopico o reale, dell’America Latina. Ciò è possibile anche perché c’è una
sorta di “codice sonoro” che tutti noi abbiamo in comune, una sorta di
linguaggio musicale che sappiamo decifrare: tutti riconosciamo il ritmo del
461
Dalla rassegna stampa in www.ivanofossati.it.
211
tango, o del reggae, o comunque identifichiamo facilmente una certa “aria
di famiglia”462 con sonorità a noi note. Certamente anche Fossati è partecipe
di questo bagaglio, di questo linguaggio, e ne fa uso per i suoi vari “viaggi”
che ci conducono di volta in volta sulle coste brasiliane, o al centro di
Buenos Aires, o nell’antica Amazzonia incontaminata, o ancora sulle Ande
o sul mar dei Caraibi.
Per quanto riguarda l’Argentina, per esempio, Fossati crea nelle sue canzoni
vaghe ambientazioni, atmosfere, suggestioni, attraverso l’uso di particolari
ritmi, come quello cadenzato del tango o della milonga, di strumenti tipici
della musica argentina (fisarmonica, armonium, organetto che ricordano il
bandoneon, e poi chitarra classica, pianoforte, violoncello, contrabbasso); di
percussioni con particolari timbri, ed anche attraverso suoni caldi e suadenti,
melodie lente e languide, appassionate e malinconiche. Ognuno di questi
elementi, evocando le sonorità della musica argentina, contribuisce ad
esprimere quello spirito sensuale e passionale, ma anche nostalgico e
languidamente malinconico per cui son noti gli animi argentini.
Ci introduce così in Tango disorientato463 l’armonia lenta e suadente della
fisarmonica, conducendoci in un percorso emozionale intenso, coinvolgente,
profondamente malinconico, come è quello tipico del tango argentino. Non
ci sono percussioni nel brano, poiché il ritmo è dato dall’andamento
“disorientato” dei pochi strumenti (fisarmonica, clarinetto, archi), come
462
L’espressione “aria di famiglia” è un’espressione usata da Gino Stefani: “Certe melodie hanno
un’aria di famiglia. Ci sembra di averle già sentire, anche se non precisamente in quella data canzone o situazione musicale. Richiamano altre melodie che si assomigliano, ossia che dicono pressappoco le stesse cose piu o meno allo stesso modo.” STEFANI-MARCONI 1992: 27
463
Not One Word, 2001.
212
affidato ai palpiti inquieti del sentimento, un andamento quasi smarrito che
ricorda molto tipiche melodie come la celebre Vuelvo al sur di Astor
Piazzolla.
Similmente accade in Notturno delle tre464 che è “quasi una milonga,465
l’arredamento di un’idea, di un’immagine. Fossati riprende ancora una volta
il tema dell’osservazione del mondo da dietro le tende di una finestra. Una
visione molto latino-americana, dove la realtà e il vissuto sono sublimati dal
semplice atto del guardare.”466
Le sonorità argentine suggeriscono qui un’atmosfera di sensualità e
seduzione che serve da sfondo all’immagine della ragazza seduttrice
protagonista della storia: l’andamento ritmico della milonga, così affine al
tango, e la timbrica, composta in prevalenza da suoni caldi e suadenti
(percussioni, chitarra, contrabbasso, pianoforte), introducono infatti in
un’atmosfera di calda e voluttuosa sensualità.
C’è una femmina in Buenos Aires
con gli occhi che fan moneta
e con l’anima sta inquieta
e più lontana che può
è un desiderio qui in casa mia
tutto bagnato dal dolore
e dopo centomila ore
non c’è un minuto di più467
464
Lindbergh, 1992.
465
Milonga: danza delle zone urbane di Rio de la Plata il cui ritmo proviene dall’habanera, caratterizzata da un tempo vivace,in 2/4. La milonga, diffusa nell’area di Buenos Aires sul finire del
secolo XIX , diede poi origine al tango.
466
COTTO 1994: 155
467
L’angelo e la pazienza, Macramè, 1996.
213
Sono parole di L’angelo e la pazienza,468 altro brano in cui si accostano
sonorità e passionalità argentine. Gli influssi musicali argentini sono
riscontrabili anche qui nella ritmica, che evoca i movimenti sinuosi del
tango, nella timbrica di alcune percussioni e nel suono dell’organetto, così
vicino, anche nel modo in cui è suonato, alle sonorità dolci e malinconiche
del bandoneon.
La concezione dell’amata è anche in Angelus469 affine a quella del sangue
caldo-appassionato dei cuori latino-americani e in particolare argentini.
L’America Latina e la sensualità sono presenti musicalmente anche in
questo brano che, similmente ai precedenti e ad un altro molto affine a
questo, La rondine,470 racconta di storie d’amore carnali. Elementi musicali
connotativi di questi significati si riscontrano nel ritmo argentino,
nell’accento delle percussioni, dai timbri caldi ed ovattati, nel suono
suadente dell’armonium o dell’organetto (che ricorda il suono della
fisarmonica e del bandoneon) che entra a poco a poco, dolce e delicato, e
nelle corde sfiorate della chitarra classica.
Eccoti qui
pronta e muta come un pianoforte
pettinata e vestita
come un angelo da collezione
e non c’è sentimento
ch’io non sappia desiderare
anche una luce piccola basta
io so farla bastare
io so farla bastare471
468
Macramè, 1996.
469
La disciplina della terra, 2000.
470
La disciplina della terra, 2000.
471
Angelus, La disciplina della terra, 2000.
214
Le parole naturalmente contribuiscono con la musica a visualizzare
immagini, a suscitare sensazioni, ad evocare situazioni. Parole dirette,
sensuali e accattivanti, come spesso sono quelle delle canzoni argentine,
animate dallo stesso sentimento di dolce passionalità.
La sensualità sonora si accompagna inoltre in tutti questi brani a movimenti
melodici sinuosi, che evocano calma e morbidezza e sono connotativi di
tutto ciò che è seduttivo e avvolgente. Movimenti languidi spesso insinuati
da quel dolceamaro sentimento di malinconia che riscontriamo come un
ostinato in queste musiche.
Particolarmente intensa, pur nella sua essenzialità è la melodia della
strumentale Sonatina472 abilmente suonata dal vivo dalle chitarre di
Armando Corsi e dallo stesso Fossati, con prerogative non distanti da certe
melodie suonate dal chitarrista argentino Egberto Gismonti, molto amato dal
nostro autore.473
L’influenza latino-americana, in particolare argentina, si percepisce infatti
anche qui nella chiara affinità delle melodie e del modo di suonare le
chitarre, ardente e appassionato, con il flamenco e con il tanguillo474 che,
seppur spagnolo, è riconducibile alle sonorità d’oltreoceano caratterizzate da
una sensuale passionaltà. Altro elemento caratterizzante sono le percussioni,
il cui suono, che è quello delle mani sulla cassa della chitarra, dona ancora
una volta una connotazione di concretezza carnale.
472
Buontempo (live vol. I), 1993.
473
Un altro richiamo ci sembra quello con i Mazurke Choros di Heitor Villa Lobos, musicista
brasiliano dei primi del ’900.
474
Tango-flamenco spagnolo.
215
In Italiani d’Argentina475 Fossati non solo canta lo spirito latino-americano,
ma vi si immedesima, interpretando in prima persona il dramma degli
emigrati italiani in Argentina, assumendo nella propria pelle i loro
sentimenti e pensieri, la loro doppia latinità di italiani e di argentini.
Trasmettiamo da una casa d’Argentina
con l’espressione radiofonica di chi sa
che la distanza è atlantica
la memoria cattiva e vicina
e nessun tango mai più ci piacerà
Il richiamo all’Argentina è qui palese, e l’evocazione del tango si riverbera
anche nella musica, attraverso la cadenza ritmica che ricorda vagamente
quel genere e attraverso armonie e timbri di strumenti come la chitarra
classica, il clarinetto, il contrabbasso, le percussioni: elementi che, come
abbiamo visto, il nostro autore utilizza per creare la suggestione di
un’ambientazione argentina.
Altra presenza molto forte nella musica di Ivano Fossati è quella del Brasile:
la passione per questo paese e per la sua musica, in particolare per la bossa
nova, nacque in Fossati quando, ancora molto giovane, si appassionava per
Edu Lobo e Joao Bosco, Stan Getz, Tom Jobim. Negli anni Settanta erano
poi presenti in Italia, come già abbiamo accennato, personaggi come Chico
Buarque de Hollanda, Vinicius de Moraes e Toquinho che, con il loro
carisma, affascinarono e influenzarono l’ambiente musicale locale.
Fossati ha spesso infatti sottolineato la sua stima e passione per questi
artisti; ma l’amore di Fossati per il Brasile, per il suo popolo e la sua musica,
475
Discanto, 1990 e Carte da decifrare (live vol. II), 1993.
216
nasce, crediamo, da un’affinità (elettiva), da un comune modo di sentire, di
percepire, da un sentimento di saudade, una concezione dell’amore e della
vita, che, pur nella tristezza, trova sempre un sorriso di speranza, un
attaccamento alla vita, amata e goduta, nonostante tutto.
Fossati manifesta in musica questo amore prendendo a prestito elementi
musicali tipici del Brasile (particolari percussioni, ritmi, strumenti),
evocando, attraverso le sonorità, immagini, luoghi, atmosfere.
In particolare ci sembra costante una certa “sensibilità” brasiliana, come se
queste
influenze giungessero
nelle musiche velate, spesso
quasi
inavvertibili, ma identificabili in un “non so che”, in una “aria di
famiglia”,476 presente in molte delle sue canzoni, dai primi album sino agli
ultimi, come per esempio in Il pilota (Ventilazione 1984), Buona notte dolce
notte (Ventilazione 1984), Mio fratello che guardi il mondo (Lindbergh,
1992 e live), Ci sarà (Lindbergh, 1992), Invisibile (La disciplina della terra,
2000), La rondine (La disciplina della terra, 2000).
È senza dubbio un dato significativo che quattro dei sei rifacimenti che
prendiamo in analisi nella nostra tesi derivino da canzoni brasiliane: La
pioggia di marzo, Jazz, Petala, Oh che sarà.
In tutti questi brani Fossati rispetta l’originale, variando solo negli
arrangiamenti, tendenti al pop, e in qualche parte nei testi. Per quanto
riguarda l’uso di stilemi, come per la ritmica e la timbrica (chitarra, flauti,
percussioni, pianoforte), Fossati solitamente non usa elementi chiaramente
presi in prestito dalla tradizione musicale brasiliana, per esempio non usa il
476
Per l’espressione “aria di famiglia” vedi nota sopra.
217
ritmo del samba, o caratteri nettamente appartenenti alla bossa nova.477
Riproduce però delle sonorità che rievocano quelle originali e che suscitano
in noi evocazioni della musica brasiliana.
È ma è forse è
è quando tu voli
rimbalzo dell’eco
è stare da soli
è conchiglia di vetro
è la luna e i falò
è il sogno e la morte
è credere o no
margherita di campo
è la riva lontana
è Artù, ahi, è la fata Morgana
è folata di vento
onda dell’altalena
un mistero profondo
una piccola pena478
La pioggia di marzo,479 per esempio, ripresa dalla celebre Águas de março
di Antonio Carlos Jobim, non riprende la musica dell’originale, decisamente
costruita sui canoni della bossa nova. Nella versione di Fossati timbri e ritmi
ricordano però quelli sudamericani: troviamo suoni affini a quelli latinoamericani come quello della fisarmonica (in realtà è la tastiera), delle
percussioni (spazzole e bacchetta sul bordo), della chitarra classica, dei
flauti (tin whistle), in un risultato che ha quell’aria di famiglia di cui
parlavamo prima, richiamandoci quella gioiosa vitalità che è tipica del
samba brasiliano.
477
La bossa nova contiene diverse componenti: fado portoghese, base popolare, samba, jazz, negritudine.
478
La pioggia di marzo.
479
La canzone, del 1973, si trova nell’album dal vivo del 1993 (non c’è una versione in studio).
218
Riguardo Tom Jobim, Fossati racconta: “Ho imparato molto da Jobim, che è
veramente uno dei più grandi compositori di questo secolo, anche se si è
dedicato ad un tipo di musica «leggera». Per esempio da lui non è che si può
imparare a scrivere, perché aveva una scrittura eccelsa, specialmente per
quanto riguarda l’armonia, però una cosa che si poteva imparare – e io me la
sono studiata – è stata la leggerezza assoluta del pianoforte. […] Jobim
insegnava questa leggerezza, questa rarefazione: mi mancherebbe una
gamba se non lo avessi mai sentito”.480
La versione di Fossati di Oh che sarà,481 che deriva da O que será (1986) di
Chico Buarque, altro compositore brasiliano particolarmente amato dal
nostro autore, è molto semplice (solo pianoforte e voce) e molto più lenta
dell’originale, che è costruita invece, come la precedente di Jobim, sui ritmi
della bossa nova, molto ritmata (prevalgono le percussioni sul tappeto di
archi che suona la melodia e sul piano quasi nascosto).
Ma quest’anno
stelle del mare
come sarà
ci vuole più forza
e chissà se verrà
barca o rondine
a curarci
accanto al sogno
da dentro il cuore
nell’anima
o da dove sarà482
480
DAMIANI 1988: 36-37
481
Questa canzone ci è nota nell’interpretazione di Fiorella Mannoia incisa nell’album dal vivo
Certe piccole voci del 1999 (Fossati non l’ha mai incisa ma l’ha cantata in concerto).
482
Da Jazz.
219
Jazz e Petala
sono rifacimenti di due canzoni del brasiliano Djavan,
rispettivamente Sina e Petala, interpretate entrambe da Loredana Berté.483
La versioni di Fossati, rispettano abbastanza le originali di Djavan, ma
variano nell’arrangiamento, più pop che jazz.
Fossati prende anche spunto da specifici riferimenti di musica brasiliana,
come per Unica rosa e Amore degli occhi, nate entrambe da particolari
suggestioni infuse da canzoni brasiliane.
“Unica rosa484 (dedicata alla moglie Gildana) è un piccolo esperimento
basato sul modo di scrivere dei brasiliani negli anni Sessanta, quando
utilizzavano la rosa come simbolo della donna,485 donna-fiore profumato e
gentile, fragile e sottile.
Il riferimento più immediato è Samba della rosa486 di Vinicius de Moraes
nota in Italia nella versione di Ornella Vanoni e Toquinho, una dolce samba
per ogni rosa-donna che è “Rosa da vedere / rosa da sognare / rosa da
volere”. La donna nella musica brasiliana, e in particolare nella bossa nova,
è sempre rappresentata come il bene più prezioso, il seme dorato da cui
nasce l’amore, pane quotidiano dello spirito latino. Vinicius de Moraes non
a caso è stato definito il poeta dell’amore totale, dell’amore nostalgia,
dell’amore morte e smarrimento.487 E in questa samba della rosa si
483
Jazz fa parte dell’album Jazz, Cbs, 1983; Petala di Savoir faire, Cbs, 1984. Non abbiamo notizia di interpretazioni di Fossati.
484
Discanto, 1990.
485
Vedi anche in COTTO 1994: 147
486
Originale brasiliana: Samba da rosa. Riportiamo qui il testo integrale della canzone, nella traduzione di Sergio Bardotti: “Rosa da vedere / rosa da sognare / rosa da volere / rosa da strappare /
rosa da vestire / rosa da spogliare / rosa da capire e da perdonare / rosa da servire / e da imprigionare / rosa da impazzire / rosa da implorare / rosa da fuggire / e da ritrovare / e se c’è una rosadonna di più / È primavera: / una rosa tu sei / vieni a piantare / una rosa nei sogni miei”.
487
“Introduzione” in DE MORAES 1981.
220
percepisce bene l’importanza che la donna riveste e custodisce, in ogni suo
aspetto, in ogni suo petalo. E così è anche per Fossati per il quale questa
rosa-donna rappresenta tutto un universo, rosa torturata e amata, ballerina e
bambina, temuta e violata, la “stella meridiana”, la “linea di una costa
conosciuta”, voce sottile di un dolore, “piega dolorosa”, ombra e luce, peso
e fortuna, vita tutta, “unica rosa”, solo amore.
Nella struttura del testo si nota una forte corrispondenza tra questi due brani
nella continua elencazione delle caratteristiche della “rosa” nei suoi diversi
aspetti.
La musica, dolce e caldamente avvolgente, non sembra presentare elementi
sudamericani, ma probabilmente risente delle suggestioni della più melodica
e romantica musica latino-americana.
Amore degli occhi,488 come l’autore ha dichiarato, nasce, similmente alla
precedente canzone, dalla suggestione di una musica brasiliana, (non
sappiamo quale). L’ascendenza brasiliana si riscontra qui in particolare nella
presenza di particolari accordi tipici del jazz e della bossa nova e nella
struggente malinconia di cui la canzone è pervasa.
Altre canzoni sono “omaggi” al Brasile, e vogliono ricreare atmosfere,
immagini, suscitando suggestioni evocatrici di quel paese, come accade per
esempio in Jangada,489 nell’introduzione di Canto nuovo,490 e in Da Recife a
Forteleza491 e Brazzhelia.492
488
Le città di frontiera, 1983 e live, 1993.
489
Jangada (Il grande mare che avremmo attraversato, 1973), è il nome delle barche dei pescatori brasiliani. È “una spudorata imitazione” del brano Gula Matari di Quincy Jones (COTTO
1994: 54), mentre le note iniziali richiamano il brano Venha ca di Caetano Veloso. È infatti presente un’impronta jazzata con caratteristiche riconducibili al latin jazz di Jones e alla corrente
tropicalista cui appartiene il brasiliano Veloso.
221
Questi brani, che risentono particolarmente dell’influenza brasiliana, hanno
molte caratteristiche in comune: oltre che essere strumentali, hanno nel
titolo un richiamo al Brasile (a parte Canto Nuovo); inoltre sono accomunati
da elementi musicali che evidentemente Fossati ha identificato e scelto,
come un linguaggio sonoro, perché potessero trasmettere precisi messaggi o
suggestioni. Una serie di mezzi che contribuiscono a creare anche qui
quell’aria di famiglia poiché richiamano chiaramente o inconsciamente
sonorità che ci “trasportano” immediatamente nelle affascinanti terre del
Brasile. Infatti una prima caratteristica che li accomuna è la descrittività
della musica, cioè il fatto che gli elementi musicali siano strutturati in modo
da suscitare determinate reazioni emotive, e visive, come per esempio
l’immagine di spazi aperti, o di scorci di vita.
Questi elementi sono di diversa natura: nell’aspetto ritmico perlopiù
indirizzati verso l’afro-samba o la bossa nova, raramente al calypso, quasi
sempre affini al latin-jazz, genere che nasce dalla fusione di entrambe le
componenti, latino-americana e jazzistica. Per quanto riguarda gli influssi
jazz, si possono riscontrare negli arrangiamenti, ma anche in particolari
vocalizzi o assoli strumentali tipici dell’improvvisazione jazz. Elementi
490
Canto Nuovo (Il grande mare che avremmo attraversato, 1973), “risente dell’influenza delle
prime cose di Edu Lobo; nelle armonie di quel pezzo c’è l’amore per l’altro Brasile, quello distante dall’oleografia da cartolina, il Brasile del nord di Lobo o di altri grandi autori come Joao
Bosco, che lavoravano su armonie dure, senza le famose seste negli accordi, senza dunque quella
strana e zuccherosa dolcezza di altre zone del Brasile”. (COTTO 1994: 56). In questo brano “c’è
una bella sequenza di accordi minori” e un coro a due voci tipicamente brasiliano accompaganto
da percussioni e flauti che contribuiscono a dare l’impronta sudamericana. Questi elementi sono
solo nell’introduzione, il resto della canzone non presenta influenze latino americane.
491
Da Recife a Forteleza (Il grande mare che avremmo attraversato, 1973) è un “omaggio al Brasile”. (COTTO 1994: 56) Qui Fossati ci porta a percorrere la costa brasiliana che va da Recife a
Forteleza, due città che si affacciano sull’oceano Atlantico, un percorso che costringe il viaggiatore a percorrere il punto più orientale di tutto il Sud America.
492
Not One Word, 2001.
222
tipici della musica latino-americana ed in particolare della bossa nova sono i
cori all’unisono e l’uso di particolari accordi; per quanto riguarda gli
strumenti ricorrono la chitarra, il flauto, molte percussioni (marimba,
maracas, spazzole, ecc.), e altri elementi riconducibili alla timbrica tipica
delle sonorità brasiliane come xilofono e vibrafono, o anche pianoforte e
violoncello che sono spesso usati in particolari arrangiamenti della bossa
nova. 493
Altra influenza latino-americana presente nelle canzoni di Fossati è quella
del reggae giamaicano.
A tale proposito Fossati racconta: “Fino a quando ho ascoltato Marley non
ho mai pensato di inserire il reggae nella mia musica. Più avanti nel tempo
dopo aver ascoltato intelligenti contaminazioni americane, su tutte quelle dei
10CC, ho capito che si poteva prendere qualcosa dal reggae, se non il
linguaggio musicale almeno il movimento ritmico e armonico, e mescolarlo
ad altri suoni. Il mio esempio era l’album dei 10CC Bloody Tourists, dove i
suoni reggae erano dichiaratamente falsi, non era un tentativo di riprodurli
pedissequamente, di rifarli o copiarli, quanto piuttosto un modo di giocarci
all’europea. Limonata e zanzare494 è un altro dei miei primi esperimenti col
reggae. Anche la mia prima versione di Panama495 era un reggae che
realizzai con la mia band americana”.496
493
Come quello di Casa, l’ultimo lavoro di Ryuichi Sakamoto – musicista che Fossati ha dichiarato di apprezzare particolarmente – con Paula e Jaques Morelembaum in cui con essenzialità e
intensità si intrecciano i suoni di pianoforte, violoncello e percussioni.
494
La mia banda suona il rock, 1979.
495
Panama e dintorni, 1981. Questa canzone ha un riferimento all’America Latina anche nel soggetto, essendo lo stretto di Panama collocato nell’America Centrale, non lontano dalla Jamaica.
496
COTTO 1994: 70
223
Caratteristica di questi brani, cui aggiungiamo anche Traslocando497 e, in
misura minore, Terra dove andare498 e alcuni brani dell’ultimo disco (Pane
e coraggio, Lampo, Io sono un uomo libero, Cartolina) è dunque
un’impronta reggae, più o meno marcata a seconda dei casi. Essa è data
dall’uso di elementi tipici di questo genere: ritmo cadenzato in levare,
predominanza del basso, percussioni; elementi cui si aggiungono di volta in
volta altre contaminazioni che vanno dal pop (arrangiamenti con batteria,
chitarra elettrica, tastiere, ritmica elettronica), al jazz (improvvisazioni del
sax), ad altre influenze latino-americane (chitarra, fisarmonica, xilofono).
Di andare ai cocktails con la pistola
non ne posso più
piña colada o coca cola
non ne posso più
Di trafficanti e rifugiati
ne ho già piena la vita
oh maledetta traversata
non sarà mai finita, ma
vedete a nove nodi appena
si è un punto fermo nel mare
che sa di nafta e lo nasconde
con l’odore del tè e dell’erba da fumare.
Oh mamaçita Panama dov’è
ora che stiamo in mare
sull’orizzonte ottico non c’è
si dovrà pur vedere
signori ancora del tè
fra breve il porto di attracco darà segno di sé499
497
Le città di freontiera, 1983. “È il resoconto di un vero trasloco di Loredana (Bertè). Mi affascinava l’idea di scrivere una canzone sul tema del trasloco. Mi diverte ancora adesso.” COTTO
1994: 87.
498
La pianta del tè, 1988 e live vol. I, 1993.
499
Panama, Panama e dintorni, 1981.
224
Ancora un’altra influenza è quella che deriva dalla musica delle Ande.
Probabilmente a tale proposito ha avuto una certa importanza, intorno agli
anni Settanta, la presenza in Italia degli Inti Illimani, il famoso gruppo
cileno che ha diffuso la musica andina in Italia e non solo.
Fossati, per evocare quel genere di musica fa uso di diversi elementi: le
melodie richiamano molto quelle andine, come anche i ritmi (ritmo ternario
a metà tra 3/4 e 6/8); lo strumento prevalente è quello tradizionale delle
Ande, il flauto di pan (flauto a canna, antara, kena);500 altri strumenti
(chitarra, arpa, percussioni) contribuiscono a creare un’atmosfera fortemente
evocatrice delle terre andine.
I brani in cui questi elementi sono più evidenti sono la parte strumentale del
brano Preludio (Paura) 501 che melodicamente è una velata citazione di una
frase strumentale del brano La fiesta di San Benito degli Inti illimani, e il
brano strumentale Azteca502 che, attraverso un uso della musica
particolarmente descrittivo, crea un’atmosfera che ci porta in un viaggio
nella storia e nel tempo, richiamando non solo le antichissime popolazioni
indigene precolombiane, ma anche le genti che ancora oggi abitano quei
posti, conservando gelosamente le proprie tradizioni.
In Fossati ha inoltre avuto una certa rilevanza anche l’incontro con Uña
Ramos,
503
il musicista andino che ha suonato i flauti nell’album La pianta
500
Sono diversi tipi di flauto usati nelle musiche delle canzoni di Fossati.
501
Di Fossati-Magenta, Dolce acqua, 1971.
502
Good bye Indiana, 1975.
503
Parlando del musicista andino Fossati riferisce: “È stato un incontro molto importante, quasi
fondamentale[…] mi fece capire che ero sulla strada giusta. […] Il (suo) suono era rivoluzionario, non vecchia musica andina”.Cotto: 130
225
del tè (1988). In particolare le influenze andine sono presenti nei brani La
pianta del tè, ripresa anche nell’album dal vivo (1993) e La pianta del tè –
parte II. Nella parte II, solo strumentale, è molto più pregnante l’ascendenza
latino-americana: predomina il flauto (antara; kena) con un canto acuto e
“piangente” sul tappeto in sottofondo.
Nell’ascolto di questi brani, con questi caratteristici suoni e melodie, ci
coglie immediatamente l’evocazione di luoghi lontani, di un’atmosfera di
viaggio, condizionata forse anche dall’impronta del disco omonimo che ci
riporta continuamente in luoghi reali e ideali inebriati e percorsi da esotismo
e magia. Un percorso, richiamato anche dall’antica carta navale scelta come
copertina dell’album, alla scoperta di nuove terre, ma anche di orizzonti
emotivi ed emozionali, che ha dunque un forte valore simbolico, come ogni
elemento del disco.
Le piccole foglie della pianta del tè non solo rappresentano qualcosa di
importante e prezioso, motivo di viaggi e ricerche dai tempi più lontani, ma
simboleggiano anche, per esteso, il grande valore delle piccole cose:
“dimostra che quello che andiamo cercando nella vita, ciò che è davvero
importante, non è detto che sia necessariamente grande e immenso. Magari
ha forme e dimensioni ridottissime come le foglie di una pianta di tè, eppure
è importantissimo”.504 Perciò a volte non ci sarebbe bisogno di cercare ciò
che desideriamo rincorrendo l’orizzonte lontano, la distanza più immensa, il
viaggio più lungo, ma basterebbe fermarsi ad ascoltare il silenzio della
nostra mente. Concetti questi profondamente radicati nella cultura latinoamericana, e anche nel nostro modo di vederla: una visione della vita
semplice, genuina, che non aspira ad arrivare sulla luna ma gode delle
504
COTTO 1994: 130
226
piccole gioie di ogni giorno, pur conoscendo molto spesso situazioni di
estrema miseria e desolazione, “per orizzonte stelle basse”. Inoltre i latinoamericani hanno una concezione della vita talvolta fatalista, non rassegnata
ma profondamente convinta che “la fortuna è appesa al cielo”.
Chi si guarda nel cuore
sa bene quello che vuole
e prende quello che c’è
Ha ben piccole foglie
ha ben piccole foglie
ha ben piccole foglie
la pianta del tè505
Riconducibili alla matrice afro, tanto importante in moltissime musiche
latino-americane, sono infine i ritmi di Buontempo,
506
La rondine,
507
La
casa,508 Brazzhelia.509
A proposito di Buontempo Fossati dice: “Ritmicamente parlando è preso di
peso da un andamento sudafricano su cui si innesta una canzone che avevo
scritto in precedenza. […] È un ironico invito all’ottimismo, più o meno
ironico a seconda dell’aria che passa. Nel 1986 aveva un colore, nel 1993,
quando l’ho ripresa per l’album dal vivo, aveva un altro colore. Sfumature,
gradazioni diverse di ottimismo, perché fra le due versioni sono passati sette
anni. Buontempo non ha una trama, ma è una storia, una raffigurazione di
gente che lavora. E che, come capitava anche a me da ragazzo, quando
505
La pianta del tè (1988).
506
700 giorni, 1986 e Buontempo (dal vivo I), 1993.
507
La disciplina della terra, 2000.
508
700 giorni, 1986 e Carte da decifrare (dal vivo II), 1993.
509
Not One Word, 2001.
227
faceva festa andava a salutare il mare, perché il mare spesso è una festa,
anche solo da vedere.”510
Altre immagini latino-americane non sono chiaramente collocabili in una
regione, in un contesto preciso. Riferimenti linguistici o concettuali ci
rimandano in qualche modo a luoghi utopici o reali dell’America Latina, ma
spesso il rimando del testo non corrisponde a quello della musica, che
appartiene a tutt’un altro contesto.
Good bye Indiana511 per esempio musicalmente riprende il country ma nelle
parole più che con l’Indiana, come suggerisce il titolo, ha a che fare con il
Messico. Infatti non solo il Messico è richiamato nel testo (“Bellissima
madre messicana / ascolta tuo figlio ti chiama”), ma una parte della canzone
è in lingua messicana:
Te quiero, te quiero
e no puedo vivir
yo me muero, me muero
te quiero aquì
Oh amor, oh amor
In Tico Palabra512 è il titolo stesso a dare una suggestione latino-americana,
sia per l’assonanza di questo nome con le lingue latino-americane, sia
perché Tico evoca in qualche modo “tico-tico”, il famoso motivetto. Inoltre
nel testo apprendiamo che Tico Palabra è un guerrigliero, una figura che
dunque ci rimanda alle realtà di protesta e rivoluzione che ha segnato, e
510
COTTO 1994: 112-113
511
Good bye Indiana, 1975.
512
Le città di frontiera, 1983.
228
tuttora segna, molta parte dell’America Latina. Musicalmente però non
identifichiamo niente che riguardi musiche latino-americane.
C’è poi la canzone La Madonna nera,513 di cui abbiamo più volte parlato,
che è tratta da un’immagine della letteratura sudamericana, ma non offre
riferimenti geografici, neanche nella musica.514
Che triste storia dare nome a un’ombra
ci imbarcammo in un tempo dimenticato perfino dai sogni
pronti al beffardo amore e ad altre spese
ma qui dov’è la luna?
siamo giocatori di carte
lo spettatore comprende
con gli anni si misura la distanza
siamo sognatori di mondi
Sono parole di un brano che rappresenta un caso ancora differente, quello di
Dancing sopra il mare (Panama parte II e finale).515 È un brano
strumentale, su cui è inserito un testo recitato (voce Mercedes Martini). La
melodia ricorda molto il tema di una canzone messicana, La paloma di
Yradier,516 e il ritmo ricorda quello del calypso, ritmo del carnevale
caraibico di Trinidad; i timbri (organetto, percussioni, ecc.) richiamano
invece le terre dell’America Latina in generale, in un insieme che risulta
come un misto di suoni, danze, genti, immagini.
Gli elementi musicali, il sottotitolo (Panama), e il testo che parla di
naviganti, ci condizionano forse, facendoci immaginare una scena sul mar
513
Lindbergh, 1992.
514
Vedi anche in COTTO 1994: 153.
515
La disciplina della terra, 2000.
516
Vedi in Mexico, cd appartenente alla collana “Word of music”.
229
dei Caraibi, antichi viaggiatori cui dopo tanto navigare “la terra all’orizzonte
tenue di nuovo appare”.
2.3.3 Amore, Passione, Sensualità
Componente essenziale dello spirito latino-americano è l’amore. Amore
come presenza costante della vita, zucchero e sale di ogni esistenza,
orizzonte costante degli spiriti romantici, “peso e fortuna”, 517 “vertice puro
dell’allegria”.518 Amore, “piega dolorosa” e “unica rosa”,519 amore che si
trasforma talvolta in tristezza infinita, mistero, dolore, rimpianto, rancore,
ma che è anche, e per fortuna, il grande miracolo del cuore degli uomini, il
bene prezioso, che riempie la vita, “la stella meridiana”, l’orizzonte infinito
del viaggio più bello che il sentimento possa compiere.
La tematica amorosa, come si può bene immaginare, è trattata in tutte le sue
sfaccettature nell’opera di Fossati. E c’è da dire che, per quanto riguarda il
nostro studio, i ritmi, le melodie, i suoni tipicamente sudamericani gli
servono per sviluppare, oltre che il lato romantico e spirituale, anche un altro
aspetto particolarmente intrigante ed intenso dell’universo amoroso: quello
dell’erotismo e della sensualità. Una sensualità che noi europei da sempre
abbiamo individuato nelle musiche del Nuovo Mondo, nei ritmi, nei
movimenti delle danze. Infatti, forse in maniera un po’ mitica, il nostro
517
Unica rosa in Discanto, 1990.
518
Invisibile in La disciplina della terra, 2000.
519
Unica rosa in Discanto, 1990.
230
immaginario ha sempre collegato America Latina e amore, sia come
passione dell’anima sia come sensualità fisica. Ma a ben vedere la nostra
visione di quel mondo corrisponde alla realtà: dal tango appassionato di
Astor Piazzolla, alle dolci serenate della bossa nova brasiliana di Vinicius de
Moraes o Tom Jobim, alle canzoni popolari cubane, alla messicana Besame
mucho, passando per le varie danze erotiche come lambada, salsa,
merengue; dal “lungo mare di Bahia”520 a Buenos Aires, dai Caraibi alla
Terra del Fuoco, l’America Latina da sempre e in ogni dove canta le gioie e
i dolori degli amori che dilettano e straziano i cuori.
Ivano Fossati, partecipe dei miti e delle immagini del nostro immaginario
collettivo, sente fortemente ognuna di queste componenti, “l’amore nelle sue
versioni”,521 e le fa sue esprimendole nelle parole e nella musica delle sue
canzoni.
Vivo di amore volontario
della mia vita che cola via
col cuore storto per oltraggio
da umanissimo amore
da normalissimo amore
umanissimo amore
soluzione dei misteri dei dolenti
soluzione di ogni disperanza
per occasione d’amore perduta
se vuoi sentimento io ho sentimento
e carne per la carne
e tempo per il tempo522
520
Princesa in Anime salve, 1996
521
Invisibile in La disciplina della terra, 2000.
522
La scala dei santi in Macramè, 1996.
231
Ritroviamo così, fra i suoi brani, il tango che esprime dell’amore la calda
passionalità, l’infuocata sensualità, non senza una certa drammaticità e
tristezza. Passione accesa e accecante, è quella che si trasforma nella
melodia un po’ nostalgica di Besame Mucho,523 o in quella più sanguigna di
Sonatina,524 in cui la sensuale passionalità scaturisce dalle corde delle due
chitarre che suonano un flamenco caldo e intenso – molto vicino alle
sonorità dell’argentino Egberto Gismonti. Troviamo il tango puro di Tango
disorientato525 in cui il ritmo è dato dall’andamento “smarrito” dei pochi
strumenti (fisarmonica, clarinetto, archi), che cantano nella loro melodia la
sconfinata perdizione di pensieri alla deriva. Poiché l’amore, soprattutto
quello totale dei latini, è perdizione e smarrimento, talvolta dolore, tanto più
se è un amore ormai finito, come è spesso quello che dolorosamente cantano
le melodie latino-americane. Affinché la musica potesse più intensamente
comunicare il travaglio sentimentale del cuore, Fossati ha voluto che questi
brani nascessero senza parole. Le armonie lente e suadenti conducono infatti
in un percorso emozionale intenso e coinvolgente, scandito dal tempo del
flamenco o del tango argentino che sentiamo “perso”, “disorientato” fra i
percorsi della passione, spesso accecante, appunto, straniante, desolante.
Altre composizioni, sempre incentrate sul ritmo cadenzato del tango,
raccontano la sensualità e l’erotismo con la dura crudezza di Princesa,526
523
Versione strumentale dell’omonimo brano di Consuelo Velasquez, in Not One Word, 2001.
524
Buontempo (Live vol. I), 1993.
525
Not One Word, 2001.
526
Anime salve, 1996. Questo brano ha una parte di testo in lingua brasiliana, altro elemento che
ci riporta in un contesto preciso.
232
transessuale di Bahia, o con la placida voluttà di Notturno delle tre,527 storia
di un amore veloce e fugace, di una seduzione notturna, di un incontro
appena finito che ha lasciato quel misto di soddisfazione, amarezza,
malinconia, di una conquista consumata troppo in fretta. In questi brani la
sensualità si riconosce nella musica attraverso precisi rimandi alle sonorità
argentine: l’andamento ritmico del tango, e della milonga in Notturno delle
tre, e la timbrica, composta in prevalenza da suoni caldi e suadenti
(percussioni, chitarra, contrabbasso, pianoforte, fisarmonica), introducono
infatti in un’atmosfera di calda e voluttuosa sensualità che ruota tutta intorno
alla figura della “femme fatale”, protagonista di questi due racconti, e alle
sue capacità di seduzione.
L’amore va consumato va
l’amore va accontentato va
la voglia e l’innocenza
faranno come si può
l’amore va trasudato va
l’amore va comandato va
l’angelo e la pazienza
s’accordano come si può
Io non ti voglio parlare, parlare ma
fra le ginocchia salire
Io non ti voglio sfiorare, sfiorare
io ti voglio amare528
Una certa durezza che si trova in questi due ultimi brani si riscontra anche in
Carte da decifrare.529 Un testo a tratti violento, che esprime una particolare
sensualità, un senso del possesso che sconfina a tratti nel dominio. È un
527
Lindbergh, 1993.
528
L’angelo e la pazienza, Macramè, 1996.
529
Carte da decifrare, dal vivo vol. II, 1993.
233
Fossati alquanto insolito questo, quasi minaccioso e nervoso anche nel modo
di cantare.
Ci sembra di trovare qui una forte corrispondenza con il brano Se eu fosse o
teu patrão (Se fossi il tuo padrone) di Chico Buarque.530 In entrambi i brani
c’è infatti un contenuto simile, un amore violento, un uomo padrone che
tratta la “sua” donna come una schiava, un oggetto da trattare e maltrattare;
una visione deviata certo, ma che esprime un altro aspetto del sentimento
passionale, della sensualità, del rapporto a due, forse influenzato,
consciamente o inconsciamente, dal forte ruolo che lo schiavismo ha avuto
nei paesi dell’America Latina. In Fossati l’uomo “dittatore” si redime poi,
chiedendo perdono per le sue debolezze, insicurezze, incapacità, da cui
nasce evidentemente quella reazione brutale e aggressiva.
Se avessi braccia migliori ti costringerei
se avessi labbra migliori ti abbatterei
se avessi buona la bocca ti parlerei
se avessi buone le parole ti fermerei
ad un angolo di strada io ti fermerei
ad una croce qualunque ti inchioderei531
Amore sensuale ma dolce e intrigante è quello ancora da godere e
consumare, di Angelus532 e L’angelo e la pazienza:533 Fossati canta ancora il
desiderio, l’amore vissuto nella sua carnalità, sentito nel corpo, nella pelle,
nelle mani, in modo affine a quello del sangue caldo-appassionato dei cuori
latino-americani e in particolare argentini. Un amore sensuale e intenso, che
530
Suggerimento di Anna Lamberti Bocconi.
531
Carte da decifrare.
532
La disciplina della terra, 2000.
533
Macramè, 1996.
234
rapisce la mente ed il cuore e piega l’amante alla devozione nei confronti
dell’amato, in un continuo darsi e richiedere:
Alla mia volontà affamata
tu parlavi gentile
voglio dirti che le parole
non mi bastano più
così vengo nel nome
delle carezze dimenticate
parole-femmina scompagnate
sul fango-selciato del mondo534
Amore e sensualità sono dunque raccontati da Fossati non solo con le
parole, ma anche attraverso la musica. Infatti, sulla scia della più consolidata
tradizione musicale latino-americana, per esprimere questi significati
l’autore fa spesso uso, come in Invisibile,535 di strutture melodiche
appaganti, di suoni avvolgenti e sinuosi, di timbri caldi e intensi, sonorità
vellutate affidate a spazzole, pianoforte, violoncello, suoni languidi e
suadenti che insinuano frequentemente una nota di malinconia.
Una diversa visione ha invece l’amore della bossa nova, un amore totale,
amico e amante, “amore degli occhi”,536 del cuore e della pelle, amore che
vuol dire eternità, eppure anche separazione, addio, dolore infinito; amore di
tenerezza, di baci e semplicità, libertà e desiderio, amore senza misteri, così
forte da poterne morire. È infatti in questo genere ricorrente il concetto che
“senza te io non sono niente”, poiché è un amore così grande che invade, ma
quando finisce crea un vuoto incolmabile che lascia senza più ragione di
534
Angelus, La disciplina della terra, 2000.
535
La disciplina della terra, 2000.
536
Amore degli occhi, Le città di frontiera, 1983.
235
vita. Per questo, nonostante la dolcezza costante che della bossa nova è
essenza, sentiamo sempre il sapore amaro della saudade, quella malinconia
costante accettata ormai come compagna dell’anima.
Rosa,
Rosa di una rosa
Rosa torturata
Rosa amata
Rosa,
Rosa ballerina
Rosa bambina.
Rosa,
Fiore cantato
Voce sottile
Stella Meridiana
Rosa,
Rosa colombina
Rosa che s’inchina537
Riscontriamo così in Fossati questa sensibilità tenera e profonda,
riconoscibile, se non in precisi stilemi ripresi dalla bossa nova, in una certa
familiarità di spirito, come accade in Unica Rosa538 o Il canto dei
mestieri.539 Fossati canta qui l’amore più puro, quello dolce delle anime,
quell’amore totalizzante e assoluto che è degli spiriti romantici, l’amore dei
sognatori che, aldilà di ogni amara disillusione, sanno ancora credere che
l’amore è il bene più prezioso, il pane quotidiano dello spirito. La donna è
vista in questi brani come il seme dorato da cui l’amore nasce, la ragione di
vita, “la stella meridiana”, esaltata in ogni suo aspetto, in ogni suo petalo, in
tutta l’importanza che riveste e custodisce. Una donna-rosa, vista con lo
537
Unica rosa, Discanto, 1990.
538
Unica rosa, Discanto, 1990.
539
Macramè, 1996.
236
sguardo dolcemente appassionato dei brasiliani, donna che rappresenta tutto
un universo, ballerina e bambina, amica e sposa, voce sottile di un dolore e
“piega dolorosa”, ombra e luce, peso e fortuna, vita tutta, “unica rosa”, solo
amore.
Da questa stessa sensibilità, ispirate alle dolci-amare melodie della saudade
brasiliana, nascono storie di amori tristi e ormai perduti, come quelle di
Petala540 – dolceamara riflessione sull’amore, sul sacrificio, la dedizione,
l’amore che “invade e finisce”, delicato e fragile come un petalo, “luce che
tiene in seno la ricchezza del suo proprio destino” – e di Amore degli
occhi541 che, raccontando di un amore vaneggiato, esprime sentimenti
tormentati, rancore, amarezza.
Come ben sanno i cantautori brasiliani della bossa nova, da Vinicius de
Moraes a Toquinho, da Tom Jobim a Joao Gilberto, a Chico Buarque, anche
Fossati riconosce che l’amore è un oceano che riempie come una marea,
dolce e vorticoso, placido e intenso, ma tanto è grande, tanto può essere
fatale: è il fado542 a deciderne la sorte e a volte trasforma quell’oceano in
una sconfinata distesa di dolore e lacrime.
Forse amore è luce
che tiene in seno la ricchezza
del suo proprio destino
chiarezza del giudizio e petalo
di stella che cadendo
ci lascia guardare.
Oh mio amore
540
Versione italiana dell’omonimo brano di Djavan, in Loredana Bertè, Savoir faire, 1984.
541
Le città di frontiera, 1983.
542
Il “destino” dei portoghesi, da cui prende il nome il tradizionale genere musicale, caratterizzato, come la bossa nova brasiliana, dal sentimento della saudade (nostalgia, malinconia).
237
che prendi più del sacrificio
fatto insieme per vivere
quanto più io vedo e vedo
e vedo in me
molto più io vivo col gusto di te
per essere amato
l’amore in sé non basta
per essere incantato
l’amore si rivela
e l’amore invade e finisce543
2.3.4 Malinconia, Saudade, Nostalgia
Altra componente essenziale dello spirito latino-americano è la malinconia:
quella saudade sempre presente nei loro animi nostalgici, come un filo
sottile che tende costantemente il cuore, un colore di fondo, un suono
continuo che accompagna ogni movimento, ogni emozione. È la nostalgia
per tutto ciò che non si ha in quell’istante, per ciò che si è perso, per ciò che
non si potrà mai avere, o per una terra lontana, per un ricordo sbiadito, per
una felicità svanita; un senso di mancanza, di perdita, di lontananza, che è a
volte sottile, quasi impercettibile, latente nel posto più profondo del cuore,
ma che a volte si fa più presente, tangibile, e diventa tristezza mordente,
dolore che attanaglia. Eppure, nonostante questa amara presenza costante,
gli spiriti nostalgici dei latini d’oltreoceano sanno sorridere alla vita, poiché
543
Petala, Loredana Bertè, Savoir faire, 1984.
238
sanno che dietro ogni dolore, ogni perdita, ogni sconforto, essa riserva
sempre nuovi fiori, gioie inattese, nuovi sogni.
Malinconia e vitalità sono due componenti che si ritrovano in tutta la cultura
dell’America Latina, che, seppur grande, è evidentemente accomunata da
una stessa anima. In ogni forma di musica latino-americana è possibile
infatti riscontrare entrambi questi aspetti, miscelati di volta in volta nei ritmi
coinvolgenti delle danze più allegre, come il samba brasiliano e il danzón
cubano, o nelle melodie più travagliate come quelle del tango argentino.
Così il tango, “pensiero triste che si balla”,544 da Carlos Gardel ad Astor
Piazzolla, mette in musica storie tristi e fatali, tragiche e desolate, eppure
non è mai lamentoso, la sua nota dolente, il suo suono a volte stridente, ha
un’intonazione emotiva mai patetica, sempre infusa di un istinto vitale che
fa percepire energia positiva anche quando canta il dolore.
E perfino la lambada, a noi nota come danza erotica, nasce in realtà dal
dolore e dal pianto, da una desolante separazione:
Chorando se foi quen um dia so me fez chorar
Chorando se foi quen um dia so me fez chorar
Chorando estara, ao lembrar de um amor que un dia nao soube cuidar
Chorando estara, ao lembrar de um amor que un dia nao soube cuidar
A recordaçao vai estar com ele aonde for
A recordaçao vai estar pra sempre aonde zu for545
eppure risuona nella sua musica la positività dell’amore, tutta l’energia di un
sentimento che è vita, pur nella tristezza più sconfinata.
544
Enrique Santos Discepolo, noto paroliere e musicista argentino della prima metà del 900. In
LAYMARIE 1996: 106.
545
“Se n’è andato piangendo chi mi ha fatto piangere… / Piangendo rimmarrà, al ricordo di un
amore che, / Un giorno, non ha saputo curare… / Il ricordo sarà con lui; dove andrà / Il ricordo
sarà per sempre dove io sarò…” STEFANI-MARCONI 1992: 219-224
239
Anche Fossati sa che “c’è un trionfo di stendardi dove termina il dolore”546 e
dalle sue canzoni si respira una sottile vena di malinconia, talvolta dolorosa
e inquieta, ma anche un profondo e sentito attaccamento alla vita, la voglia
di sorridere anche dopo il pianto, di amare anche dopo un abbandono, di
sperare anche dopo la più mordace delusione.
Anche per questo l’abbiamo “legato” allo spirito latino-americano, perché
evidentemente, trasuda dalle sue parole in musica questa strana alchimia
fatta di riso e pianto. Non è tristezza pura quella che pervade le sue canzoni,
o perlomeno, non sempre e non solo. Sembra veramente di ritrovare gli
ingredienti tanto tipici e caratterizzanti dello spirito latino-americano, certo,
miscelati diversamente, ma fatti dalle stesse componenti: malinconia e
vitalità.
Vogliamo qui soffermarci in particolar modo sull’aspetto della malinconia,
della nostalgia, e provare a scovarlo in alcuni brani del nostro autore, per
meglio delineare i caratteri e le forme di questo aspetto.
La nostalgia è un sentimento a volte lacerante, che sia per una persona, per
un luogo, per un affetto, e tuttavia, come tutti i sentimenti intensi, fa sentire
vivi, fa palpitare il cuore di sentimento, ché la vita è traboccante di gioia, ma
anche di pianto.
Ahi, quantomar quantomar per l’Argentina.
La distanza è atlantica
la memoria cattiva e vicina
e nessun tango mai più
ci piacerà
Ahi, quantomar
546
L’angelo e la pazienza, Macramè, 1996.
240
Ecco, ci siamo
ci sentite da lì?
ma ci sentite da lì?
Sono le parole degli Italiani d’Argentina,547 emigrati che, affidandosi alla
comunicazione radiofonica, tentano di ristabilire un contatto con la loro terra
d’origine.
Tutti noi conosciamo il dramma di emigranti ed emigrati, sradicati
dolorosamente dalle loro patrie per andare a cercar fortuna in terra straniera.
Tutt’oggi è una realtà che vive sotto i nostri occhi; in tutto il mondo c’è
sempre un popolo che deve partire, per guerra, fame, persecuzione o
carestia, la storia dell’umanità è costellata di popoli in fuga.
Ci vuole coraggio a trascinare le nostre suole
da una terra che ci odia
ad un’altra che non ci vuole
Recita il testo di Pane e coraggio,548 altro brano del nostro autore che tratta
di questo delicato tema, e in particolare sulle tante storie di immigrati che
approdano con mezzi di fortuna in Italia.
Fossati è dunque sensibile a chi si sente “lontano”, lontano dalla propria
gente, dalle proprie terre, dalle proprie tradizioni, ed è per questo che gli
italiani d’Argentina dicono “nessun tango mai più ci piacerà”, perché non si
sentono ancora partecipi della cultura di quel luogo, bensì, rimangono
ancorati alla loro italianità fatta di “vino e sigarette e amori tanti”, e dunque
sospesi tra due culture. Il loro dramma appare più intenso per le parole forti
547
Discanto, 1990.
548
Lampo viaggiatore, 2003.
241
che Fossati ha saputo trovare: il “quantomar”, la “distanza atlantica”,
l’incertezza della comunicazione (“ci sentite da lì?”), esaltano la loro
distanza, che “la memoria cattiva e vicina” rende ancor più incolmabile.
Questa volta Fossati non solo canta lo spirito latino americano, ma vi si
immedesima, interpretando in prima persona il dramma degli emigrati
italiani in Argentina, assumendo nella propria pelle i loro sentimenti e
pensieri, la loro doppia latinità di italiani e di argentini. Così, nella propria
voce, comunica il messaggio di tanti emigrati, che cercano disperatamente
un contatto con l’Italia (“ci sentite da lì?”), per trovare sollievo a quella
nostalgia, per trasmettere dal loro “sfondo infinito”, anche se solo
radiofonicamente, i loro desideri, le frustrazioni, la nostalgia, la
rassegnazione, gli amori.
La malinconia è spesso un sentimento che si accompagna all’amore, che,
come i latino-americani sanno, tanto più è grande, tanto più può far
soffrire.549 L’amore, croce e delizia di ogni cuore, fa infatti continuamente
perdere e trovare, è sorriso e dolore, ombra e luce, speranza e disperazione.
Così l’America Latina nelle sue canzoni, dalle tradizionali alle più
contemporanee, canta con voce accorata il dramma dei cuori più straziati,
storie tristi, amori impossibili, lontananze ed addii.
Il tango in primo luogo, come abbiamo visto, è sinonimo di tristezza,
struggimento, passione ferita: sentimenti affidati solitamente al suono
melanconico e suadente del bandoneon. Nei ritmi della sua musica, spesso
sincopati, nei movimenti scattosi e ardenti della sua danza, il tango scatena
sempre una potente ondata emotiva caratterizzata da tristezza e travaglio.
549
Viene da citare il verso sardo “tanto prus mannu est s’amore, tantu prus triste est sa vida”.
242
Anche in Fossati è fortemente rilevante questa componente, riscontrabile
spesso nelle melodie, nei ritmi, nella scelta degli strumenti, per giungere a
sonorità del tutto affini a quelle argentine.
Accade così nel brano strumentale Tango disorientato,550 struggente e
appassionato come un brano di Piazzolla, dolce e delicato, intenso e
penetrante, forse anche per l’assenza di parole. Ritroviamo qui l’armonia
lenta e suadente della fisarmonica che ci conduce in un percorso emozionale
coinvolgente, profondamente malinconico, straziante. Il clarinetto insinua
un’ulteriore amara nota di solitudine, mentre gli archi, con il loro andamento
sinuoso, contribuiscono a dare quella sensazione di struggimento che sembra
ogni volta stringere il cuore.
Una malinconia penetrante, straniante, è quella che si infonde da questa
melodia “smarrita”, il cui ritmo, non essendoci percussioni, è scandito
dall’incedere degli strumenti che paiono anche loro disorientati, confusi
(fusi insieme), persi fra i meandri della più sconfinata e indicibile tristezza.
Altrettanto struggenti sono le note di Besame mucho,551 versione strumentale
della famosa canzone di Consuelo Velasquez.
Besame,
besame mucho,
como si fuera esta noche,
la ultima vez
besame,
besame mucho,
que tengo miedo perderte,
perderte despues
550
Not One Word, 2001.
551
Not One Word, 2001.
243
Anche qui imperversa la malinconia, affidata alla melodia creata da
pianoforte e violoncello, appena ritmata dai suoni delicati di percussioni e
vibrafono, anch’essa particolarmente vicina alle sonorità argentine. Amore e
passione sono ancora una volta legati alla sofferenza, a un sentimento
nostalgico di perdita, alla paura dell’abbandono, che, pur se non ancora
presenti, attanagliano fatalmente lo spirito, quasi presagendo una fine
imminente.
Più propria della saudade brasiliana è invece quella malinconia sottile e
tenera, nascosta velatamente dietro la dolcezza della bossa nova,
diversamente dalla più esplicita passionalità del tango argentino.
Anche la bossa nova vive di un eterno sentimento nostalgico, come un
fiume silenzioso che scorre sotto terra, senza dramma. Sottile, leggera,
verrebbe da dire, ma non meno intensa è questa saudade, innato sentimento
di tutti i brasiliani, e non solo; intraducibile in altre lingue perché ricca di
sfaccettature la saudade comprende in se la nostalgia per i beni perduti e il
desiderio dei beni futuri.
Anche in questo caso Fossati si appropria degli stilemi tipici di quel genere,
per esprimere quella che anche lui sente una presenza costante nel suo
sentire. Sensibilità dolce e profonda è quella da cui nascono diversi brani
ispirati alla sentimentalità brasiliana, da Petala552 a Unica rosa, 553 da Amore
degli occhi,554 a Canto nuovo,555 a Oh que serà.556
552
Versione italiana dell’omonima canzone di Djavan, in Loredana Bertè, Savior faire, 1984.
553
Discanto, 1990.
554
Le città di frontiera, 1983.
555
Il grande mare che avremmo attraversato, 1973.
244
la parola giusta non è perdono
perché non c’è mai perdono
perché il rancore è più forte del perdono
perché il rancore è più forte di un uomo,
più forte è la malinconia
più lungo l’inverno
e la notte
di più557
Gradi diversi di dolore, ognuno relativo a una diversa situazione: amarezza
per la fine di un amore, rancore, rassegnazione, sconcerto, sdegno di fronte
all’orrore del mondo; oppure malinconia sottile, dolce, velata, sempre e
comunque mai gridata, ostentata, bensì raccolta in poche linee, concentrata
in una significativa semplicità, come delle espressioni pacate dei brasiliani.
Oh, che sarà, che sarà
che vanno sospirando nelle alcove
che vanno sussurrando in versi e strofe
che vanno combinando in fondo al buio
che gira nelle teste, nelle parole
che accende le candele nelle processioni
che va parlando forte nei portoni
e grida nei mercati che con certezza
sta nella natura nella bellezza
quel che non ha ragione
nè mai ce l’avrà
quel che non ha rimedio
nè mai ce l’avrà
quel che non ha misura558
Musicalmente questi concetti sono espressi da Fossati secondo i canoni della
retorica musicale, utilizzando cioè mezzi quali la tonalità minore, o toni
556
Versione italiana di O que será di Chico Muarque, in Fiorella Mannoia, Certe piccole voci,
1999.
557
Amore degli occhi.
558
Oh che sarà.
245
gravi, ritmi lenti, che caratterizzano comunemente le musiche espressive di
stati d’animo dolorosi. Stilemi ben conosciuti anche dai latino-americani,
che ne hanno però nel tempo formato degli altri, ormai riconosciuti
caratteristici della loro musica. La fisarmonica, per esempio, è sempre
accostata alla tristezza del tango argentino, così come violoncello o
clarinetto assumono connotazioni di profonda malinconia, mentre la chitarra
classica contribuisce spesso a dare un’impronta di struggente passionalità. Il
ritmo, a volte instabile, incerto, è altre volte marcato dalle percussioni che
talvolta, unendosi agli strumenti, accrescono la drammaticità degli
andamenti melodici.
siamo voci erranti
cui oggi e soltanto oggi
la terra all’orizzonte
tenue
di nuovo appare559
559
Panama parte II e finale, La disciplina della terra, 2000.
246
APPENDICI
247
a.
QUADRO RIASSUNTIVO DELLE COMPONENTI LATINO-AMERICANE
NELLE CANZONI DI FOSSATI
Canzoni
Elementi
musicali
Preludio
(Dolce acqua1971)
Jangada (Il
grande mare
che avremmo
attraversato1973)
Musica andina
Canto nuovo
(Il grande
mare che
avremmo
attraversato1973)
Da Recife a
Forteleza (Il
grande mare
che avremmo
attraversato1973)
La pioggia di
marzo
(FossatiCalabreseJobim) 1973
(live-1993)
Azteca (Good
bye Indiana1975)
Good bye
Indiana
(Fossati-
Riferimenti al
latin-jazz e al
tropicalismo.
Strumenti
della musica
latinoamericana.
Coro.
Coro
brasiliano.
Strumenti
della musica
brasiliana.
Ritmo e
strumenti
della bossa
nova.
Elementi
latin-jazz.
Elementi di
bossa nova.
Riferimenti
lessicali e/o
geografici
Riferimenti
culturali
Traduzioni
Jangada è la
barca dei
pescatori
brasiliani
Esprime il suo
amore per il
Brasile.
Influenzato da
Edu Lobo e
Joao Bosco.
Città della costa Omaggio al
nord del
Brasile
Brasile.
Da Águas de
março di
Jobim.
Melodia e
Civiltà
strumenti
precolombiana
della musica (Messico).
andina
Parte del testo
è in lingua
messicana.
248
Prudente)(Go
od bye
Indiana-1975)
Limonata e
zanzare (La
mia banda
suona il rock1979)
Panama
(Panama e
dintorni-1981;
live-1993)
Traslocando
(Le città di
frontiera1983)
Amore degli
occhi (Le città
di frontiera1983)
Jazz (FossatiDjavan-1983)
Petala
(FossatiDjavan1984)
Introduzione
(Ventilazione1984)
Il pilota
(Ventilazione1984)
Buona notte
dolce notte
(Ventilazione1984)
Buontempo
(700
giorni1986;
live-1993)
La pianta del
tè (La pianta
del tè-1988;
live-1993)
Terra dove
andare (La
Ritmo reggae
Ritmo reggae
Ritmo reggae
Stilemi della
Bossa nova.
Ispirata dalla
suggestione di
una canzone
brasiliana.
Da Sina di
Djavan.
Dal brano
omonimo di
Djavan.
Latin-jazz.
Ricorda certa
musica
brasiliana
Ricorda certa
musica
brasiliana
Ritmo
africano
(riconducibile
a quelli afroamericani)
Musica andina
suonata da
Uña Ramos.
Positività.
Reggae.
249
pianta del tè1988;live1993)
Italiani
d’Argentina
(Discanto1990; live1993)
Unica rosa
(Discanto1990)
La madonna
nera
Lindbergh1992)
Mio fratello
che guardi il
mondo
(Lindbegh1992; live1993)
Elementi
Argentina
musicali
latinoamericani
(tango).
Modo di
comporre dei
brasiliani
degli anni ’60.
Riferimento
alla donna-rosa
della
bossanova.
Immagine
ereditata dalla
letteratura
sudamericana.
Ritmo e
percussioni
possono
ricordare certa
musica
brasiliana.
250
Ci sarà
(Lindbegh1992)
Ritmo e percussioni possono ricordare certa
musica
brasiliana.
Notturno delle Milonga.
tre
(Lindbergh1992)
Piccola
Cuba
serenata
diurna
(FossatiRodriguez)
1992
Sonatina
Ricorda il
(live-1993)
flamenco e
sonorità
latinoamericane
Princesa
(Fossati-De
Andrè)
(Anime salve1996)
Il canto dei
Ritmi e timbri
mestieri
richiamano
(Macramécerta musica
1996)
latinoamericana
L’angelo e la Percussioni e
pazienza
fisarmonica
(Macramé(Argentina)
1996)
Oh, che sarà
(FossatiBuarque1999)
Sensualità.
Da Pequeña
serenada
diurna (Silvio
Rodriguez)
Parte in
brasiliano.
Citazione di
Bahia.
Concezione
dell’amore.
Riferimento a
Buenos Aires.
Concezione
dell’amore
sensuale.
Da Oh que será
di Chico
Buarque.
251
Invisibile (La
disciplina
della terra2000)
Il ritmo
sembra
richiamare
certa musica
brasiliana.
Angelus (La
Il ritmo e i
disciplina
timbri
della terrarichiamano
2000)
certa musica
brasiliana.
La rondine
Il ritmo
(La disciplina sembra
della terrarichiamare
2000)
certa musica
brasiliana.
Dancing
Ricorda ritmi
sopra il mare: latinoPanama parte americani
seconda e
(Calypso).
finale (La
disciplina
della terra2000)
Brazzhelia
Ritmica e
(Not one
strumenti
word-2001)
(Calypso).
Tango
disorientato
(Not one
word-2001)
Besame
Musica.
mucho
(FossatiVelasquez)
(Not one
word-2001)
Pane e
Ritmo
coraggio
(Reggae)
(Lampo
viaggiatore2003)
Amore
sensuale.
Amore
sensuale.
Titolo.
Amore.
Da Besame
mucho di
Consuelo
Velasquez
(autrice
messicana)
252
Lampo
(Lampo
viaggiatore2003)
Io sono un
uomo libero
(Lampo
viaggiatore2003)
Cartolina
(Lampo
viaggiatore2003)
Ritmo
(Reggae)
Ritmo
(Reggae)
Ritmo
(Reggae).
253
b.
Testi delle canzoni che presentano riferimenti
alla cultura latino-americana
Amore degli occhi
(Le città di frontiera, 1983)
Amore degli occhi
che occhi hai
col tuo seno ferito
dal tuo senso del pianto
dopo aver corso e cercato tanto
adesso che ci fai.
E lo so tu vuoi me
e hai paura di me
e mi vorresti un altro uomo,
e lo so tu vuoi me
e hai paura di me
e la parola giusta non è perdono
perché non c’è mai perdono
perché il rancore è più forte del perdono
perché il rancore è più forte di un uomo,
più forte è la malinconia
più lungo l’inverno
e la notte
di più.
Amore degli occhi
che occhi avrai
quando d’affanno e d’incanto
fatto il giro del tempo
dopo aver corso e cercato tanto
ti risveglierai,
nuove cose e persone
danzeranno con te
i nuovi ritmi della vita,
sai già bene fin d'ora,
ma saprai meglio allora
che non è mai finita,
perché non è mai finita
perché se il rancore era un’altra vita
se era un altro uomo
254
più dolce è la malinconia
più breve l’inverno
e la notte
di più.
Angelus
(La disciplina della terra, 2000)
Eccoti qui
pronta e muta come un pianoforte
pettinata e vestita
come un angelo da collezione
e non c’è sentimento
ch’io non sappia desiderare
anche una luce piccola basta
io so farla bastare
io so farla bastare.
Alla mia volontà affamata
tu parlavi gentile
voglio dirti che le parole
non mi bastano più
così vengo nel nome
delle carezze dimenticate
parole-femmina scompagnate
sul fango-selciato del mondo.
E tu lo senti o no
l’esatto suono delle mie ragioni
lo capisci cos’è
la rinuncia al pudore.
Vuol dire chiamami come vuoi
ma non chiamarmi amore
chiamami come vuoi
io sono degno del mio nome
vuol dire chiamami come vuoi
ma non chiamarmi amore
chiamami come vuoi
chiamami come vuoi.
Eccoti qui
pronta e muta come un calendario
adornata e gentile
eccoti qui.
255
Io, e quelli come me
aspettiamo miracoli.
Buontempo
(700 giorni, 1986)
Oggi non si sta fermi un momento
oggi non si sta in casa che è buontempo
oggi non si rischia né pioggia e né vento, no
e poi non ci si muove come sempre a stento
vedi si va a tempo
Tu vestiti come un angelo caduto sulla terra
da questo cielo che oggi il mio occhio non afferra
tu vestiti come un angelo che giri per la terra
fallo per questo cuore senza pace e senza guerra, per me.
Al lavoro non stavo fermo un momento, no
sono tornato a casa col buontempo
oggi non si sogna di navigare
il mare lo andiamo a salutare
il mare lo andiamo a salutare
Tu vestiti come un angelo caduto sulla terra
da questo cielo che oggi il mio occhio non afferra
tu vestiti come un angelo che giri per la terra
fallo per questo cuore senza pace e senza guerra, per me.
Oggi non si sta fermi un momento
oggi non si sta in casa che è buontempo
oggi non si rischia né pioggia e né vento, no.
Carte da decifrare
(Carte da decifrare, 1993)
L'amore è tutto carte da decifrare
e lunghe notti e giorni per imparare
io se avessi una penna ti scriverei
se avessi più fantasia ti disegnerei
su fogli di cristallo da frantumare
E guai se avessi un coltello per tagliare
ma se avessi più giudizio non lo negherei
che se avessi casa ti riceverei
256
che se facesse pioggia ti riparerei
che se facesse ombra ti ci nasconderei
Se fossi un vero viaggiatore t'avrei già incontrata
e ad ogni nuovo incrocio mille volte salutata
se fossi un guardiano ti guarderei
se fossi un cacciatore non ti caccerei
se fossi un sacerdote come un'orazione
con la lingua tra i denti ti pronuncerei
se fossi un sacerdote come un salmo segreto
con le mani sulla bocca ti canterei
Se avessi braccia migliori ti costringerei
se avessi labbra migliori ti abbatterei
se avessi buona la bocca ti parlerei
se avessi buone le parole ti fermerei
ad un angolo di strada io ti fermerei
ad una croce qualunque ti inchioderei
E invece come un ladro come un assassino
vengo di giorno ad accostare il tuo cammino
per rubarti il passo, il passo e la figura
e amarli di notte quando il sonno dura
e amarti per ore, ore, ore
e ucciderti all'alba di altro amore
e amarti per ore, ore, ore
e ucciderti all'alba di altro amore
Perché l'amore è carte da decifrare
e lunghe notti e giorni da calcolare
se l'amore è tutto segni da indovinare
Perdona
se non ho avuto il tempo di imparare
se io non ho avuto il tempo
di imparare.
Dancing sopra il mare (Panama, parte seconda e finale)
(La disciplina della terra, 2000)
Che triste storia dare nome a un’ombra
ci imbarcammo in un tempo dimenticato perfino dai sogni
pronti al beffardo amore e ad altre spese
ma qui dov’è la luna?
siamo giocatori di carte
257
lo spettatore comprende
con gli anni si misura la distanza
siamo sognatori di mondi
ragazze a cui piacevano i poeti
capitani di tavole imbandite
destini a scomparsa
siamo voci erranti
cui oggi e soltanto oggi
la terra all’orizzonte
tenue
di nuovo appare.
Good-bye Indiana (Fossati-Prudente)
(Good-bye Indiana, 1975)
Traversate le colline
e il ponte sul confine
good-bye Indiana, train.
Terra rossa sulla faccia
che non dico che mi piaccia
ma oggi piangerei.
Scende il sole dalle rocce
città nessuna traccia
good-bye Indiana train.
C’è una lunga canzone
go dolce canzone
che attraversa la notte.
Te quiero, te quiero
e no puedo vivir
yo me muero, me muero
te quiero aquì.
Il vento le colline
il ponte sul confine
comincia a pregare
potresti non tornare.
E la polvere d'oro
su cui stai seduto
ora vale più di te.
Mercanti e maghi
stregoni, ciarlatani, ladri
good-bye Indiana train.
C’è una lunga canzone,
go, lunga canzone
258
che attraversa la notte.
Go and go
se sapessi guidare un treno
lo farei volare.
Go, let’s go
anche senza sapere come fare proverei.
Bellissima madre messicana
ascolta tuo figlio ti chiama
good-bye Indiana train.
Vecchio stregone dormi sereno
Coi filtri d'amore su un treno
che faresti mai?
Te quiero, te quiero
mi querida, mi hermosa
yo te quiero, te quiero
te quiero aquì.
Oh amor, oh amor.
Bellissima madre messicana
ascolta tuo figlio ti chiama
good-bye Indiana train.
Vecchio stregone dormi sereno
coi filtri d’amore su un treno
che faresti mai?
Go and go
se sapessi guidare un treno
lo farei volare.
C’è una lunga canzone
go, dolce canzone
che attraversa la notte.
Te queiro, te quiero
yo te quiero, te quiero
sabe que te quiero
sabe que te espero
sabe que te quiero
te quiero aquì.
Traversate le colline
e il ponte sul confine
good-bye Indiana train
259
Indiana train.
Te quiero mariposa
te miro rosa
te miro rosa
te quiero amor.
Traversate le colline
e il ponte sul confine,
good-bye Indiana train.
Terra rossa sulla faccia
che non dico che mi piaccia
ma oggi piangerei.
Scende il sole dalle rocce
città nessuna traccia
good-bye Indiana train.
C'è una lunga canzone
go lunga canzone
che attraversa la notte.
Yo te quiero, te quiero
mi querida, mi hermosa, mi alma
yo te quiero, te quiero
te quiro aquì.
260
Il canto dei mestieri
(Macramè, 1996)
Guardami bene diritto negli occhi
che il mio mestiere non è il soldato
guardami bene diritto negli occhi
che il mio mestiere non è
né di spada né di cannone
quello che ero io l’ho scordato
se fosse spada se fosse cannone
il mio mestiere saprei qual’è.
Adesso guardami le mani
ti sembrano mani da padrone?
coraggio e toccami le mai
che la mia vita non è
né col denaro né col potere
oppure l’avrò dimenticato
se fosse denaro e ci fosse ragione
il mio cammino saprei qual'è
ma il mio mestiere non è.
Guarda la punta delle mie scarpe
quello che faccio non è la spia
né informatore né polizia
che il mio mestiere non è
di sicuro non è.
Quello che faccio è cercare il tuo amore
fino nel cuore delle montagne
quello che ho fatto è scordare il tuo amore
sotto il peso delle montagne.
Quello che faccio è cercare il tuo amore
fino nel cuore delle montagne
quello che ho fatto è scordare il tuo amore
sotto il peso delle montagne.
Guarda i vestiti che porto addosso
non sono quello di un sacerdote
per i vestiti che porto addosso
il mio mestiere non è
né rosario né estrema unzione
quello che ero io l’ho scordato
se fosse rosario se fosse olio santo
il mio mestiere saprei qual’è.
261
E vedi che il bianco fra i miei capelli
non porta al titolo di dottore
e la sveltezza delle mie dita
la mia vita non è
né di taglio né di dolore
né di carne ricucita
né di taglio né di dolore
anche questo non è
il mio mestiere non è.
Il mio mestiere fu cercare il tuo amore
fino nel fuoco delle montagne
il mio destino scordare il tuo amore
sotto il peso delle montagne
Il mio mestiere fu cercare il tuo amore
fino nel fuoco delle montagne
il mio destino scordare ogni amore
sotto il peso delle montagne.
Guardami bene diritto negli occhi
ti sembrano gli occhi di un soldato?
leggimi bene in fondo negli occhi
che la mia vita non è
il mio mestiere non è.
262
Invisibile
(La disciplina della terra, 2000)
Invisibile
il vertice puro dell’allegria
invisibile
il pianoforte del dio silenzio
invisibile.
Invisibile
ogni buon maestro che si fa invisibile
l’atto e la parola
né sciabola né bastone
invisibile.
Invisibile
una pace anche piccola
un caso d'amore
un popolo che sia capace di ricostruire il silenzio
dalla simulazione di un sogno
invisibile.
E l’invisibile limpidità
la misura del tempo
la grande arte è un mestiere piccolo
invisibile.
Invisibile
l’amore nelle sue versioni
invisibile
la luna tutta
il sangue senza rivali
la rosa nuova nel giardino
la cometa d’oro nel cielo stellato
invisibile
un camion di angeli
santeria e santità
l’ambizione muta del compositore
invisibile.
Io sto sempre lontano da ciò che amo io sto
invisibile
come un ordine superiore il mio disegno natale.
È la strategia miserabile del cacciatore
che si fa invisibile.
263
Italiani d’Argentina
(Discanto, 1990)
Ecco, ci siamo
ci sentite da lì?
in questo sfondo infinito
siamo le ombre impressioniste
eppure noi qui
guidiamo macchine italiane
e vino e sigarette abbiamo
e amori tanti.
Trasmettiamo da una casa d’Argentina
illuminata nella notte che fa
la distanza atlantica
la memoria più vicina
e nessuna fotografia ci basterà.
Abbiamo l’aria di italiani d’Argentina
oramai certa come il tempo che farà
con che scarpe attraverseremo
queste domeniche mattina
e che voglie tante
che stipendi stani
che non tengono mai.
Ah, eppure è vita
ma ci sentite da lì?
in questi alberghi immensi
siamo file di denti al sole
ma ci piace, sì
ricordarvi in italiano
mentre ci dondoliamo
mentre vi trasmettiamo.
Trasmettiamo da una casa d’Argentina
con l'espressione radiofonica di chi sa
che la distanza è grande
la memoria cattiva e vicina
e nessun tango mai più
ci piacerà.
Abbiamo l’aria di italiani d’Argentina
ormai certa come il tempo che farà
264
e abbiamo piste infinite
negli aeroporti d’Argentina
lasciami la mano che si va.
Ahi, quantomar quantomar per l’Argentina.
La distanza è atlantica
la memoria cattiva e vicina
e nessun tango mai più
ci piacerà
Ahi, quantomar
Ecco, ci siamo
ci sentite da lì?
ma ci sentite da lì?
265
L’amante
(Macramè, 1996)
Arido sono amante amato
il viso non l’ho più, m’è cascato
una fulgida notte
di Casino
ho costole divaricate
disossate
sono tutte corde della mia arpa
cupi tamburi battono le reni
Ho acqua agli occhi benedetto iddio
e fremiti alle dita
ho muscoli da uomo
e muscoli da cane
ho corda al collo
anima mia
e trappole alla vita
ho pensieri da uomo
e pensieri da cane
specialmente da cane
Lupo mi sono fatto invece
così ebbi salvo il pasto
tradito il mio destino
che niente era garantito
se non che il tempo e chi lo serve
ha bocca più grande e feroce
della mia
povera bestia cattiva
non abbastanza cattiva
Caro amore io t’ho visto arrivare
fra le gambe delle donne arroventare
come il metallo nero
di un motore
Caro amore io t’ho visto arrivare
fra le gambe delle donne arroventare
come il metallo nero
di un motore
Mi sono sentito mancare e tossire
e t'ho sorpreso a cercarmi e ritornare
Dio, se t’ho sentito frusciare
strisciare e rovesciare
266
io t’ho guardato abbatterti e salire
abbatterti e salire
e accenderti finalmente
come le luci di un ponte
in mezzo all’estate
in mezzo all’estate
Arido sono e dimenticato
amante amato
Caro amore io t’ho visto arrivare
fra le gambe delle donne arroventare
come il metallo nero
di un motore
Caro amore io t’ho visto arrivare
le gambe delle donne arroventare
come il metallo nero
di un motore
Caro amore io t’ho visto arrivare
Caro amore io t’ho visto arrivare
Caro amore io t’ho visto arrivare
Caro amore io t’ho visto arrivare
Arido sono e dimenticato
amante amato.
267
L’angelo e la pazienza
(Macramè, 1996)
Con rose di Normandia
o con fiori di ferrovia
aggancia quel bell’angelo
prima che voli via
però madre che spavento
però madre che tormento
sognare nudi e crudi
in mezzo a questo via vai
che c’è una femmina in Buenos Aires
con gli occhi che fan moneta
e con l’anima sta inquieta
e più lontana che può
è un desiderio qui in casa mia
tutto bagnato dal dolore
e dopo centomila ore
non c’è un minuto di più
L’amore va consumato va
L’amore va accontentato va
la voglia e l’innocenza
faranno come si può
l’amore va trasudato va
l’amore va comandato va
l’angelo e la pazienza
s’accordano come si può
Io non ti voglio parlare, parlare ma
fra le ginocchia salire
Io non ti voglio sfiorare, sfiorare
io ti voglio amare
Con rose di Normandia
o con fiori di gelosia
blocca quel tuo angelo
prima che corra via
L’amore va consumato va
l’amore raccomandato va
la voglia e l’innocenza
faranno come si può
l’amore va rispettato va
l’amore va rammendato va
l’angelo e la pazienza
268
s’accordano come si può
Io non ti voglio parlare, parlare ma
fra le ginocchia salire
Io non ti voglio sfiorare, sfiorare
io ti voglio amare
C’è un trionfo di stendardi
dove termina il dolore
e dopo centomila ore
non c’è un minuto di più
È una strada lastricata, amore
dove passa l’innocenza
e dopo noi che siamo senza
poi l’angelo senza di noi.
La Madonna nera
(Lindbergh, 1992)
Io penso a me
che fra andata e ritorno
tutto il santo giorno
un’ora per mangiare
un’ora per dormire
ben poco ti potrò vedere
poi penso a te
piegata sulla scrivania
con davanti una rosa
che sarà la mia
sciupata mia.
Alla festa del dieci luglio
che era quasi sera
la Madonna Nera
s’impantanò
venne l’autorità con la ferrovia
tutta la sacrestia
e venne il coro con la melodia
a salvare l’oro e l’argento
il marmo e il cemento
il bronzo e il paramento
e il mantenimento
e dall’ingorgo che c’era
non si poté andare via
269
che alle dieci di sera
quando la Madonna Nera
noi spingendo e tirando
piangendo e sperando
inclinando e strepitando noi
si risollevò.
Io penso a te
inclinata sulla scrivania
con davanti la rosa
che sarà la mia
appassita mia
poi penso a me
che fra andata e ritorno
tutto il santo giorno
un’ora per mangiare
un’ora per dormire
tutti i santi giorni
tutto il santo giorno
tutti i santi giorni
tutto il santo giorno
tutti i santi giorni
tutto il santo giorno.
E così sia.
La pianta del tè
(La pianta del tè, 1988)
Come cambia le cose
la luce della luna
come cambia i colori qui
la luce della luna
come ci rende solitari e ci tocca
come ci impastano la bocca
queste piste di polvere
per vent’anni o per cento
e come cambia poco una sola voce
nel coro del vento
ci si inginocchia su questo
sagrato immenso
dell’altipiano barocco d'oriente
per orizzonte stelle basse
per orizzonte stelle basse
oppure niente.
270
E non è rosa che cerchiamo non è rosa
e non è rosa o denaro, non è rosa
e non è amore o fortuna
non è amore
che la fortuna è appesa al cielo
e non è amore
Chi si guarda nel cuore
sa bene quello che vuole
e prende quello che c’è
Ha ben piccole foglie
ha ben piccole foglie
ha ben piccole foglie
la pianta del tè.
La rondine
(La disciplina della terra, 2000)
Soldato entra in stanza
in stanza di quella signora
ch’era distesa sul letto
e che dormiva sola
e che dormiva sola.
Soldato le dà un bacio
e lei non ha sentito
soldato ne dà un altro
ahimè che son tradito
ahimè che son tradito.
Se tu sarai tradito
sarai lo sposo mio
padrone del mio campo
e della vita mia
e della vita mia.
Rondine rondinetta
sei stata traditora
cantavi quella notte
e non era la tua ora
e non era la tua ora.
271
La scala dei santi
(Macramè, 1996)
Se vuoi sentimento io ho sentimento
e carne per la carne
e tempo per il tempo
ho la mano leggera come l’ombra
che dà un’ultima pettinata alla vita
la vita che sfolgora e distrugge
non mi trova da nessuna parte
se non fra i giacinti romani
dove ho la mia tana segreta
e nessuna spada straniera sale
per la scala dei santi
vivo di amore volontario
della mia vita che cola via
col cuore storto per oltraggio
da umanissimo amore
da normalissimo amore
umanissimo amore
soluzione dei misteri dei dolenti
soluzione di ogni disperanza
per occasione d’amore perduta
se vuoi sentimento io ho sentimento
e carne per la carne
e tempo per il tempo.
Notturno delle tre
(Lindbergh, 1992)
La ragazza lo sa
come non farmi dormire
la ragazza lo sa
e lo sapeva già bene
ancora prima di uscire
lei cammina dondolando
e non ancora al portone
sperimentava su me
il passo poco innocente
di chi innocente non è.
272
La ragazza ci lascia qui
nella casa deserta
senza luci, né candele
e una persiana che rimane aperta
tutta la gente non sa
dietro quale segreto
dietro quale divieto
si perde una notte così
tutta la gente non sa
dietro quale dolore
se dolore c’è
quando son quasi le tre.
La ragazza invece lo sa
lei che cammina dondolando
sulla strada di casa
in qualche vetrina buia
si starà specchiando
e passerà un lampione, un muro, un ponte, un bar
poi passerà anche me
e senza quasi dolore
per tutti e due
passeranno le tre
e passerà un automobile un’ombra e un tram
poi passerà anche me
e senza quasi dolore
anche questa notte
passeranno le tre.
La ragazza lo sa
come non farmi dormire
la ragazza lo sa
e lo sapeva già bene
ancora prima di uscire
lei cammina dondolando
e non ancora la portone
sperimentava su me
il passo poco innocente
di chi innocente
(per fortuna)
non è.
273
Panama
(Panama e dintorni, 1981)
Di andare ai cocktails con la pistola
non ne posso più
piña colada o coca cola
non ne posso più
Di trafficanti e rifugiati
ne ho già piena la vita
oh maledetta traversata
non sarà mai finita, ma
vedete a nove nodi appena
si è un punto fermo nel mare
che sa di nafta e lo nasconde
con l’odore del tè e dell’erba da fumare.
Oh mamaçita Panama dov’è
ora che stiamo in mare
sull'orizzonte ottico non c'è
si dovrà pur vedere
signori ancora del tè
fra breve il porto di attracco darà segno di sé.
Quando a Londra il comando
di questa galera mi sembrò un affare
un comandante per quanto giovane
dovrebbe stare in mare
La compagnia non fece storie
no no no e lo credo bene
portare esplosivo ai fuoriusciti
mica a tutti conviene.
Oh mamaçita Panama dov’è
ora che stiamo in mare
sull'orizzonte ottico non c'è
si dovrà pur vedere
signori ancora del tè
fra breve il porto di attracco darà segno di sé.
Della francese che si sente sola
non ne posso più
274
sta a proravia di un cameriere
che invece guarda giù
con l’ambasciata portoricana
è al quinto mambo stasera
chissà le facce sapessero di agitarsi
su una polveriera.
Di andare ai cocktails con la pistola
non ne posso più
piña colada o coca cola
non ne posso più
Oh mamaçita Panama dov’è
ora che stiamo in mare
sull'orizzonte ottico non c'è
si dovrà pur vedere
signori un ultimo tè
il nostro porto di attracco non dà segno di sé.
Prinçesa (Fossati - De André)
(Fabrizio De Andrè, Anime salve, 1996)
Sono la pecora sono la vacca
che agli animali si vuol giocare
sono la femmina camicia aperta
piccole tette da succhiare.
Sotto le ciglia di questi alberi
nel chiaroscuro dove son nato
che l’orizzonte prima del cielo
ero lo sguardo di mia madre.
“Che Fernandino è come una figlia
mi porta a letto caffè e tapioca
e a ricordargli che è nato maschio
sarà l'istinto sarà la vita”.
E io davanti allo specchio grande
mi paro gli occhi con le dita a immaginarmi
tra le gambe una minuscola fica
nel dormiveglia della corriera
lascio l’infanzia contadina
corro all”incanto dei desideri
vado a correggere la fortuna
275
nella cucina della pensione
mescolo i sogni con gli ormoni
ad albeggiare sarà magia
saranno seni miracolosi
perché Fernanda è proprio una figlia
come una figlia vuol far l'amore
ma Fernandino resiste e vomita
e si contorce dal dolore
e allora il bisturi per seni e fianchi
in una vertigine di anestesia
finché il mio corpo mi rassomigli
sul lungomare di Bahia
sorriso tenero di verdefoglia
dai suoi capelli sfilo le dita
quando le macchine puntano i fari
sul palcoscenico della mia vita
dove tra ingorghi di desideri
alle mie natiche un maschio s’appende
nella mia carne tra le mie labbra
un uomo scivola l’altro si arrende
che Fernandino mi è morto in grembo
Fernanda è una bambola di seta
sono le braci di un’unica stella
che squilla di luce di nome Princesa
a un avvocato di Milano
ora Princesa regala il cuore
e un passeggiare recidivo
nella penombra di un balcone.
O matu (la campagna)
o cèu (il cielo)
a senda (il sentiero)
a escola (la scuola)
a igreja (la chiesa)
a desonra (la vergogna)
a saia (la gonna)
o esmalte (lo smalto)
o espelho (lo specchio)
o baton (il rossetto)
o medo (la paura)
a rua (la strada)
a bombadeira (la modellatrice)
a vertigem (la vertigine)
o encanto (l'incantesimo)
a magia (la magia)
os carros (le macchine)
276
a policia (la polizia
a canseira (la stanchezza)
o brio (la dignità)
o noivo (il fidanzato)
o capanga (lo sgherro)
o fidalgo (il gransignore)
o porcalhao (lo sporcaccione)
o azar (la sfortuna)
a bebedeira (la sbronza)
as pancadas (le botte)
os carinhos (le carezze)
a falta (il fallimento)
o nojo (lo schifo)
a formusura (la bellezza)
viver (vivere).
Tico Palabra
(Le città di frontiera, 1983)
Tico Palabra, non è una fotografia
è un guerrigliero
per qualcosa che va via
un capitolo da scordare
di quest'antologia.
Tico Palabra, non ha niente
da inseguire questa notte
gira per la capitale
con le ossa rotte
dal vino e dall'amore.
Però ha fortuna
è un antico volatore
un venditore
nella luce della sera
si distingue appena
se si confonde bene.
La stessa fortuna, amore
dietro le persiane chiuse ha quella luna
niente da sapere, niente
niente questa notte
nemmeno da cantare.
E Tico Palabra, gratterà via
277
dal portone quella luna
noi non sentiremo e lui
continuerà da solo
così com'è abituato.
Tico Palabra, non è una malinconia
è un guerrigliero
per qualcosa che va via
un capitolo "fratello"
di questa vita tua
e mia.
Unica rosa
(Discanto, 1990)
Rosa,
Rosa di una rosa
Rosa torturata
Rosa amata
Rosa,
Rosa ballerina
Rosa bambina.
Rosa,
Fiore cantato
Voce sottile
Stella Meridiana
Rosa,
Rosa colombina
Rosa che s’inchina.
Rosa temuta
Rosa violata
Ombra immaginata
Rosa,
Sola
Rosa pettinata.
Profumo
Quando c’è del buono
Campana nel mare
Rosa,
Rosa,
Rosa carezzata
Povera e ingannata.
278
Sorriso e perdono
Rosa respirata
Lontano.
Mio peso
Mia fortuna
Rosa che è arrivata
Rosa,
Barca avvistata
Linea di una costa
Conosciuta
Rosa,
Acqua che ne piove
Su una sola rosa.
Rosa,
Piega dolorosa
Unica rosa.
279
c.
TESTI DELLE CANZONI LATINO-AMERICANE TRADOTTE
E/O CANTATE DA FOSSATI
Besame mucho (Consuelo Velasquez)560
Besame, / besame mucho, / como si fuera esta noche, / la ultima vez / besame, / besame
mucho, / que tengo miedo perderte, / perderte despues… / Besame, / besame mucho, /
como si fuera esta noche, / la ultima vez / besame, / besame mucho, / que tengo miedo
perderte, / perderte despues… / quiero sentirte muy cerca, / mirarme en tus ojos, / verte
junto a mi / piensa que tal vez mañana, / yo estare lejos, / muy lejos de ti… / Besame, /
besame mucho, / como si fuera esta noche, / la ultima vez / besame, besame mucho, / que
tengo miedo perderte, / perderte despues…
Jazz (Fossati-Djavan)
(Loredana Berté, Jazz, 1983)
Padre, madre
oro e miniera
cuore aperto
strada e frontiera
quanto andare
poco normale
jazz
ci vorrà il suo nome
per poter parlare ancora
pura bellezza
art nouveau
naturalezza
la nostra vita
non costruzione
jazz
questo senso del futuro
irrimediabilmente con noi
la pressione sulle ali
ci tiene in aria.
Ma quest’anno
stelle del mare
come sarà
ci vuole più forza
e chissà se verrà
barca o rondine
560
La versione di Fossati è solo strumentale (Not One Word, 2001).
280
a curarci
accanto al sogno
da dentro il cuore
nell’anima
o da dove sarà.
Ma quest’anno
stelle del mare
come sarà
ci vuole più forza
e chissà se verrà
barca o rondine
a curarci
accanto al sogno
da dentro il cuore
nell’anima
o da dove sarà.
Sina (Djavan)
Pai e mãe / Ouro de mina / Coraçao / Desejo e sina / Tudo o mais / Pura rotina: “jazz” /
Tocarei seu nome / Pre poder falar de amor / Minha princesa / Art-noveau / Da natureza
/ Tudo o mais / Pura beleza: “jazz” / A luz de um grande prazer / È irrimediável: / Neon /
Quando o grido do prazer / Açoitar o ar: reveillon… / O luar, / Estrela do mar, / O sol e
o dom / Quiçá / Um dia, a fúria / Desse front / Virá lapidar o sonho / Até gerar o som /
como querer / Caetanear / O que há de bom
281
La pioggia di marzo (Fossati-Calabrese -Jobim)
(Buontempo, 1993)
È ma è forse è
è quando tu voli
rimbalzo dell’eco
è stare da soli
è conchiglia di vetro
è la luna e i falo
è ll sognio e la morte
è credere o no
margherita di campo
è la riva lontana
è Artù ,ahi, è la fata Morgana
è folata di vento
onda dell’altalena
un mistero profondo
una piccola pena
tramontana dai monti
domenica sera
è il contro e il pro
è voglia di primavera
è la pioggia che scende
è vigilia di fiera
è l’acqua di marzo
è c’era o non c’era
è si è no
è il mondo com’era
è madamadorè
burrasca passeggera
è una rondine a nord
una cicogna e una gru
un torrente, una fonte,
una briciola in più
è il fondo del pozzo
una nave che parte
un viso col broncio
perché stava in disparte
è vero è credo
è una conta e un racconto
una goccia che stilla
un incanto e un incontro
è l’ombra di un gesto
è qualcosa che brilla
il mattino che è qui
è la sveglia che trilla
282
è la legna sul fuoco
è il pane e la piaga
la caraffa di vino
il vivavai dalla strada
è un progetto di casa
uno scialle di lana
un incanto cantato
è un altana è un’altana
è la pioggia di marzo
è quello che è
la speranza di vita che porti con te.
Águas de março (Antonio Carlos Jobim)
É pau, é pedra, é o fim do caminho / É o resto de toco, é um pouco sozinho / É um caco
de vidro, é a vida, é o sol / É a noite, é a morte, é o laço, é o anzol / É peroba do campo, é
o nó da madeira / Caingá, candeia, é matita-pereira / É madeira de vento, tombo da
ribanceira / É o mistério profundo, é o queira ou não queira / É um vento ventando, é o
fim da ladeira / É a viga, é o vão, festa da cumeeira / É a chuva chovendo, é conversa
ribeira / Das águas de março, é o fim da canseira / É o pé é o chão, é a marcha estradeira /
Passarinho na mão, pedra de atiradeira / É uma ave no céu, é uma ave no chão / É um
regato, é uma fonte, é um pedaço de pão / É o fundo do poço, é o fim do caminho / No
rosto o desgosto, é um pouco sozinho / É um estrepe, é um prego, é uma ponta, é um
ponto / É um pingo pingando / È uma conta, é um conto / É um peixe, é um gesto, é
uma prata brilhando / É a luz da manhã, é o tijolo chegando / É a lenha, é o dia, é o fim
da picada / É a garrafa de cana, o estilhaço na estrada / É o projeto da casa, é o corpo na
cama / É o carro enguiçado, é a lama, é a lama / É um passo, é uma ponte, é um sapo, é
uma rã / É um resto de mato, na luz da manhã / São as águas de março fechando o verão /
É a promessa de vida no teu coração / É uma cobra, um pau, é João, é José / É um
espinho na mão, é um corte no pé / São as águas de março fechando o verão / É a
promessa de vida no teu coração / É um passo, uma ponte / É um sapo, é uma rã / É um
Belo Horizonte / É uma febre terçã / São as águas de março fechando o verão / É a
promessa da vida no teu coração.
Oh, che sarà (Fossati-Buarque)
(Fiorella Mannoia, Di terra e di vento, 1999)
Oh, che sarà, che sarà
che vanno sospirando nelle alcove
che vanno sussurrando in versi e strofe
che vanno combinando in fondo al buio
che gira nelle teste, nelle parole
che accende le candele nelle processioni
che va parlando forte nei portoni
283
e grida nei mercati che con certezza
sta nella natura nella bellezza
quel che non ha ragione
nè mai ce l'avrà
quel che non ha rimedio
nè mai ce l'avrà
quel che non ha misura.
Oh, che sarà, che sarà
che vive nell’idea di questi amanti
che cantano i poeti più deliranti
che giurano i profeti ubriacati
che sta sul cammino dei mutilati
e nella fantasia degli infelici
che sta nel dai-e-dai delle meretrici
nel piano derelitto dei banditi.
Oh, che sarà, che sarà
quel che non ha decenza
nè mai ce l’avrà
quel che non ha censura
nè mai ce l’avrà
quel che non ha ragione.
Ah che sarà, che sarà
che tutti i loro avvisi non potranno evitare
che tutte le risate andranno a sfidare
che tutte le campane andranno a cantare
e tutti gli inni insieme a consacrare
e tutti i figli insieme a purificare
e i nostri destini ad incontrare
persino il Padreterno da così lontano
guardando quell'inferno dovrà benedire
quel che non ha governo
nè mai ce l’avrà
quel che non ha vergogna
nè mai ce l’avrà
quel che non ha giudizio.
O que será (À flor da Terra) (Chico Buarque de Hollanda)
O que será que será / Que andam suspirando pelas alcovas / Que andam sussurrando em
versos e trovas / Que andam combinando no breu das tocas / Que anda nas cabeças,
andas nas bocas / Que andam acendendo velas nos becos / Que estão falando alto pelos
botecos / E gritam nos mercados / Que com certesa está na natureza / será que será / O
que não tem certeza, nem nunca terá / O que não tem conserto, nem nunca terá / O que
não tem tamanho / O que será que será / Que vive nas idéias desses amantes / Que
284
cantam os poetas mais delirantes / Que juram os profetas embriagados / Está na romaria
dos mutilados / Está na fantasia dos infelizes / Está no dia-a-dia das meretrisez / No
planos dos bandidos, dos desvalidos / Em todos os sentidos / será que será / O que não
tem decência, nem nunca terá / O que não tem censura, nem nunca terá / O que nao vai
sentido / O que será que será / Que todos os avisos não vão evitar / Porque todos os risos
vão desafiar / Porque todos os sinos irão repicar / Porque todos os hinos irão consagrar /
E todos os meninos vão evitar / E todos os destinos irão se encontrar / E mesmo o padre
eterno, que nunca foi lá / Olhando aquele inferno vai abençoar / O que nunca tem
governo, nem nunca terá / O que não tem vergonha, nem nunca terá / O que não tem
juizo.
285
Petala (Fossati-Djavan)
(Loredana Bertè, Savoirfaire, 1984)
Forse amore è luce che tiene in seno la ricchezza del suo proprio destino
chiarezza del giudizio e petalo
di stella che cadendo ci lascia guardare.
Oh mio amore che prendi più del sacrificio fatto insieme per vivere
quanto più io vedo e vedo e vedo in me
molto più io vivo col gusto di te.
Per essere amato l’amore in sé non basta
per essere incantato l’amore si rivela
e l’amore invade e finisce.
Per essere amato l’amore insieme passa
per essere incantato l’amore si rivela
e l’amore invade e finisce
per essere amato
per essere incantato
l’amore invade e finisce.
Pétala (Djavan)
O seu amor / Reluz / Que nem riqueza / Asa do meu destino / Clareza do tino / Pétala /
De estrela caindo / Bem devagar / Ó meu amor / Viver / È todo sacrifício / Feito am seu
nome / Quanto mais desejo / Um beijo seu / Muito mais eu vejo / Gosto am viver, viver /
Por ser exato / O amor não cabe em si / Por ser encantado / O amor revela-se / Por ser
amor / Invade / E fim.
Piccola serenata diurna (Fossati-Rodriguez)
(Fiorella Mannoia, I treni a vapore, 1992)
Vivo come si vive
in un paese libero
e in questa terra
in questo istante
sono felice
mi sento grande.
Ho un amore sincero
che amo e che mi ama
e mi chiede poco
ma così poco che non è uguale
o forse sì.
E se non basta ancora
ho le canzoni che a poco a poco
disfo e rifaccio abitando il tempo
286
come conviene ad un uomo attento.
Sono felice, sono così felice
da chiedere perdono
per questo giorno della mia felicità.
Sono felice, sono così felice
e chiedo che mi perdoni
chi ha pagato per la mia felicità.
Sono felice, sono così felice
da chiedere perdono
per questo giorno della mia felicità.
Sono felice, sono così felice
e chiedo che mi perdoni
chi ha pagato per la mia felicità.
Pequeña serenata diurna (Silvio Rodriguez)
Vivo en un país libre, / cual solamente / puede ser libre / en esta tierra / en este istante, / y
soy feliz / porque soy gigante. / Amo una mujer clara / Que amo y me ama / Sin perdir
nada / O casi nada, / que no es lo mismo / pero es igual. / / Y si esto fuera poco, / tengo
mis cantos / que poco a poco / muelo y rehago, / habitando el tiempo, / como la cuadra a
un hombre despierto. / Soy feliz / soy un hombre / feliz, y quiero / que me perdonen /
por este día / los muertos / de mi felicidad.
287
d.
DISCOGRAFIA
DOLCE ACQUA (Fonit 1971)
Con i Delirium: Ivano Fossati, Marcello Reale, Peppino Di Santo, Ettore Vigo, Mimmo
Di Martino.
Preludio (paura) (Fossati-Magenta)
Movimento I(egoismo) (Fossati-Magenta)
Movimento II (dubbio) (Fossati-Magenta)
To satchmo, bird and other unforgettable friends (dolore) (Magenta)
Sequenza I & II (ipocrisia – verità) (Magenta)
Johnnie Sayre (perdono) (Fossati-Magenta)
Favola o storia del lago di Kriss (libertà) (Fossati-Magenta)
Dolce acqua (speranza) (Fossati-Magenta)
Jesahel (Fossati-Prudente)
IL GRANDE MARE CHE AVREMMO ATTRAVERSATO (Cetra 1973)
Testi e musiche di Ivano Alberto Fossati tranne: La realtà e il resto testo di Ivano
Alberto Fossati musica di Mauro Culotta; Il pozzo e il pendolo testo di Ivano Alberto
Fossati ispirato al racconto di E.A.Poe, musica di Ivano Alberto Fossati.
Registrazioni effettuate negli studi Fonit-Cetra di Milano.
Musicisti: Ivano Alberto Fossati, Mauro Culotta, Andrea Sacchi, Luigi Cappellotto,
Clandio Farinatti ,Beppe Moraschi, Pippo Colucci, Amleto Zanca, Giorgio Azzolini,
intterventi vocali di Paola Orlandi & Wanda Radicchi.
Il grande mare che avremmo traversato
Jangada
All’ultimo amico
Canto nuovo
Il pozzo e il pendolo
Vento caldo
Da Recife a Fortaleza
La realtà e il resto (Fossati-Culotta)
Riflessioni in un giorno di luce nera
Il grande mare che avremmo traversato (parte seconda e finale)
POCO PRIMA DELL’AURORA (Cetra/ Numero Uno 1973)
Prodotto e arrangiato da Ivano Alberto Fossati e Oscar Prudente. Testi e musiche di
Ivano Fossati e Oscar Prudente tranne Tema del lupo e Gil testi e musiche di Ivano
Alberto Fossati; Apri le braccia di Celano-Prudente. Registrazioni effettuate presso lo
studio Fonorama di Milano.
Musicisti: Ivano Alberto Fossati, Oscar Prudente, Guido Guglielmetti, Gianni Dall'Aglio,
Franco Pacchierotti, Reginaldo Ettore, Claudio Pascoli
288
E’l’aurora (Fossati-Prudente)
Prendi fiato e poi vai (Fossati-Prudente)
Ehi amico (Fossati-Prudente)
Dieci Km dalla città (Fossati-Prudente)
L’Africa (Fossati-Prudente)
Tema del lupo (voglia di aspettare)
Lo stregone(voglia di sapere) (Fossati-Prudente)
Apri le braccia (voglia di amare) (Celano-Prudente)
Gil (voglia di terra)
GOOD-BYE INDIANA (Cetra 1975)
Interamente prodotto, arrangiato e suonato da Ivano Fossati. Testi e musiche di Ivano
Fossati tranne: Where is paradise e Harvest moon (Marrow - I. Fossati); Good-bye
Indiana (I. Fossati - O. Prudente).
Il grano e la luna
Where is paradise (Marrow-Fossati)
Azteca
I treni fantasma
Storie per farmi amare
Harvest moon (Marrow-Fossati)
Good-bye Indiana (Fossati-Prudente)
LA CASA DEL SERPENTE (Rca 1977)
Parole e musiche di Ivano Fossati. Arrangiamenti e realizzazione di Antonio Coggio. Mia
Martini voce femminile in Anna di primavera.
Musicisti: Ivano Fossati, Euro Cristiani, Antonio Coggio, Guido Guglielminetti, Sandro
Centofanti, Luciano Ciccaglioni, Mike Fraser, Gianni Oddi,Goran Tavcar,Roberto
Zanaboni.
Stasera io qui
Matto
Non ti riconosco più
Manila’23
La casa del serpente
Anna di primavera
Non può morire un’idea
La vedette non c’e’
LA MIA BANDA SUONA IL ROCK (Rca 1979)
Testi e musiche di Ivano Fossati. Produzione: Giacomo Tosti. Registrato ai “Criteria
Recording Studios”, Miami, Florida(luglio/agosto1979).
289
Musicisti: Ivano Fossati (chitarra elettrica, flauto, minimoog, vocoder, marimba, piano
Fender, cori nel brano Vola), George Terry (chitarra elettrica ed acustica), George
“Chocolate” Perry (basso), Scott Kirkpatrick (batteria), Paul Harris (pianoforte e organo
Hammond), Tim Devine (Prophet synthesizer), Christopher Colclesser (alto sax, oboe),
Nelson “Flaco” Padron (percussioni), Mike Lewis (sezione d’archi),
Rhodes/Chalmers/Rhodes (cori).
La mia banda suona il rock
Di tanto amore
Limonata e zanzare
Vola
Passa il corvo
Dedicato
E di nuovo cambio casa
La crisi
Il cane d’argento
PANAMA E DINTORNI (Rca 1981)
Testi e musiche di Ivano Fossati. Produzione: Al Garrison. Arrangiamenti: Steve
Robbins. Registrazione effettuata al “Mammouth Studio” di Roma (Luglio-AgostoSettembre 1980).
Musicisti: Ivano Fossati (chitarra elettrica-acustica-classica, flauto), Leo Adamian
(batteria, percussioni), Francisco Centeno (basso), Steve Andrew Love (chitarra elettrica
ed acustica), Steve Robbins (pianoforte, piano elettrico, sintetizzatori, clavinet, vocoder),
Roberto Zanaboni (sintetizzatore), Antonio Marangolo (saxofoni contralto e tenore),
Carlo Pennisi (chitarra acustica).
Panama
La costruzione di un amore
J’adore Venise
Boxe
La signora cantava il blues
Stazione
Questa guerra come va?
Se ti dicessi che ti amo
LE CITTA’ DI FRONTIERA (Cbs 1983)
Prodotto e realizzato da Ivano Fossati. Registrato da Alan Douglas. Testi e musiche di
Ivano Fossati . Dedicato a Randy Newman
290
La musica che gira intorno
Milano
Traslocando
Ma che sarà questa canzone
Amore degli occhi
I ragazzi cattivi
Quante estati , quanti inverni
Un milione di città
Tico Palabra
Cow Boys
VENTILAZIONE (Cbs 1984)
Prodotto da Ivano Fossati. Registrazione e mixaggio: Alan Douglas
Testi e musiche di Ivano Fossati tranne: La locomotiva (The rail song) di I. Fossati e A.
Belew; Boogie di P. Conte. Registrato allo studio Umbi-Maison Blanche di Modena Luglio/Agosto 1984.
Musicisti: Ivano Fossati, Gilberto Martellieri, Elio Rivagli, Guido Guglielminetti, Phil
Palmer, Bernardo Lanzetti, Flavio Boltro, Marco Colombo.
Introduzione
Ventilazione
Viaggiatori d’Occidente
Il pilota
La Locomotiva (The Rail Song) (Fossati-Belew)
Boogie (Paolo Conte)
Fuga da sud est
Le grandi destinazioni
Parlare con gli occhi
Buona notte, dolce notte
700 GIORNI (Cbs 1986)
Prodotto da Allan Goldberg. Testi e musiche di Ivano Fossati. I brani: Il passaggio dei
partigiani, Una notte in Italia, La casa e Non è facile danzare sono registrati su 48 piste.
Per la registrazione di alcuni strumenti sono state usate diverse stanze e il cortile interno
del Castello di Carimate. La costruzione ritmica di alcune canzoni è stata ispirata da certa
musica popolare sudafricana contemporanea. Altri andamenti ritmici ed armonici sono
invece liberamente ispirati a tradizioni musicali europee.
Musicisti: Ivano Fossati (Roland syntguitar, chitarra elettrica ed acustica, flauto, tastiere),
Gilberto Martellieri (tastiere), Elio Rivagli (batteria, percussioni, ritmiche digitali),
Guido Guglielminetti (basso), Silvio Puzzolu (chitarra elettrica ed acustica), Claudio
Pascoli (saxofoni), “Jim” (tromba), Domenico De Maria (chitarra elettrica in
Buontempo), Aldo Banfi (programmazione Synclavier), Stefano Melone
(programmazione Emulator).
291
Buontempo
Dieci soldati
Gli amanti d’Irlanda
Il passaggio dei partigiani
Una Notte In Italia
La casa
Non è facile danzare (L’uomo da solo)
Giramore
LA PIANTA DEL TE’ (Cbs 1988)
Prodotto da Allan Goldberg. Testi e musiche di Ivano Fossati. Lavorazione effettuata tra
il 21 settembre ’87 e il 10 gennaio ’88.
Musicisti: Ivano Fossati, Uña Ramos, Beppe Quirici, Elio Rivagli, Gilberto Martellieri,
Vincenzo Zitello, Fabrizio De Andrè, Francesco De Gregori, Teresa De Sio
La pianta del tè
Terra dove andare
L’uomo coi capelli da ragazzo
La volpe
La pianta del tè (parte seconda)
Questi posti davanti al mare
Le signore del ponte-lance
Chi guarda Genova
La costruzione di un amore
Caffè lontano
DISCANTO (Cbs 1990)
Prodotto da Allan Goldberg. Testi e musiche di Ivano Fossati (Edizioni Musicali “Il
Volatore”) tranne Confessione di Alonso Chisciano e Lunario di settembre (Testi di
Ivano Fossati e Anna Lamberti Bocconi). Registrazione effettuata durante i mesi di
marzo, aprile, maggio 1990. Piumetta è cantata da Ivano Fossati e Fiorella Mannoia.
Lunario di settembre è una libera trasposizione degli atti del ‘Preocesso di
Nogaredo’(1647). Il dialogo tra l’inquisitore e una delle imputate è un adattamento della
poesia “Alla luna” di Anna Lamberti Bocconi. Lo svolgimento ritmico di Passalento è
sviluppato intorno al ticchettio di un orologio da polso. Quello di “Piumetta” sul suono di
alcuni passi di danza eseguiti su pavimento in legno.
Musicisti: Mario Arcari (oboe), Stefano Melone (tastiere), Elio Rivagli (batteria,
percussioni), Beppe Quirici (bassi elettrici e contrabasso), Ivano Fossati (chitarra classica
ed elettrica, chitarra breguesa (chitarra portoghese a cinque corde doppie), pianoforte),
Vincenzo Zitello (arpa), Federico Senese (darabuka, tamburo usato in Medio Oriente e
Nordafrica). Voci: Fiorella Mannoia e Lalla Franca. Cori: Gruppo polifonico Ars
Antiqua.
Lusitania
292
Discanto
Piumetta
Lunario di settembre ( Il processo di Nogaredo) (Fossati-Lamberti Bocconi)
Italiani d’Argentina
Passalento
Confessioni di Alonso Chisciano (Fossati- Lamberti bocconi)
Unica rosa
Albertina
LINDBERGH – LETTERE DA SOPRA LA PIOGGIA (Epic 1992)
Prodotto da Beppe Quirici e Ivano Fossati. Testi e musiche di Ivano Fossati (Edizioni
Musicali “Il Volatore”) tranne Il disertore di B. Vian, traduzione G. Calabrese (Edizioni
Beuscher). Decollati il 18 novembre 1991 atterrati di nuovo sani e salvi il 5 marzo 1992.
Musicisti: Mario Arcari (oboe), Maria Caruso (interventi vocali), Armando Corsi
(chitarra classica), Claudio Fossati (batteria, percussioni), Ivano Fossati (chitarra acustica
e classica, inserti sonori, pianoforte, ocarina messicana, tastiere), Trilok Gurtu (batteria,
effetti sonori, tabla, percussioni), Stefano Melone (archi elettronici, tastiere,
programmazione), Beppe Quirici (basso, contrabbasso), Elio Rivagli (batteria, rullante
tamburello), Vincenzo Zitello (arpa celtica, tin whistle).
La canzone popolare
La barca di legno di rosa (Un gran mare di gente)
Sigonella
La Madonna nera
Il disertore (Calabrese-Boris Vian)
Mio fratello che guardi il mondo
Notturno delle tre
Poca voglia di fare il soldato
Ci sarà (Vita controvento)
Lindbergh
IVANO FOSSATI DAL VIVO VOLUME I – BUONTEMPO (Epic 1993, dal vivo)
Dal vivo I e II: Prodotti da Beppe Quirici. Testi e musiche di Ivano Fossati. “Le
registrazioni contenute in questi album non sono state sottoposte a rielaborazioni
posteriori ma sono la fedele testimonianza, nel bene e nel male, di ciò che le nostre forze
ci hanno consentito di fronte al pubblico del Teatro Amilcare Ponchielli, nella città di
Cremona, le sere del 2 e 4 marzo 1993.”
I “compagni di viaggio” della tournee che ha dato alla luce i due album “Dal Vivo” sono:
Ivano Fossati(voce, chitarra, pianoforte), Beppe Quirici(contrabbasso e bassi elettronici),
Elio Rivagli(batteria e percussioni), Armando Corsi(chitarra acustica), Vincenzo
Zitello(arpa, tin whistle), Mario Arcari(strumenti a fiato), Stefano Melone(pianoforte e
tastiere).
293
Terra dove andare
La pianta del té
Una notte in Italia
Buontempo
I treni a vapore
Mio fratello che guardi il mondo
Vola
Sonatina
Naviganti
Panama
La pioggia di marzo
Questi posti davanti al mare
Amore degli occhi
IVANO FOSSATI DAL VIVO VOLUME II – CARTE DA DECIFRARE (Epic
1993)
vedi vol. I
Lindbergh
Discanto
L’uomo coi capelli da ragazzo
Italiani d’Argentina
J’adore Venise
La casa
Carte da decifrare
La canzone popolare
E di nuovo cambio casa
La costruzione di un amore
La musica che gira intorno
La volpe
IL TORO (Epic 1994)
Produzione musicale: Il Volatore Srl. Realizzazione: Beppe Quirici. Musiche di Ivano
Fossati. Naviganti è tratta dall'album “Ivano Fossati dal vivo volume 1 – Buontempo”.
Nel brano La neve compare un frammento di funzione liturgica di rito ortodosso.
Musicisti: Ivano Fossati (pianoforte, chitarra classica), Stefano Melone (tastiere, archi
digitali), Edoardo Lattes (contrabbasso ad arco), Claudio Fossati (batteria, percussioni).
A testa bassa
Franco e Loris
Corinto
L’addio a Maria
Klanjec
Verso la frontiera
294
neve
Il toro
Naviganti
A testa bassa (ripresa per piano solo)
MACRAME’ (Columbia / Sony Music 1996)
Prodotto da Beppe Quirici. Arrangiato da Beppe Quirici e Stefano Melone. Testi e
musiche di Ivano Fossati (Edizioni Musicali “Il Volatore”) tranne Stella benigna e
L’abito della sposa di Ivano Fossati-Tony Levin (Edizioni Il Volatore / T-Lev Music).
Lavorazione: 22 ottobre 1995 - 29 marzo 1996.
Musicisti: Beppe Quirici, Stefano Melone, Mario Arcari, Trilok Gurtu, Riccardo Tesi,
Walter Keiser, Tony Levin, Lucio Bardi, Claudio Fossati, Naco, Vocinblù.
Macramè: [genov. macramè, dal turco makramà 'fazzoletto'] Trina di fili o cordoncini
intrecciati e annodati, per passamani, frange, reticelle (Zingarelli).
La vita segreta
Il canto dei mestieri
L’amante
L’abito della sposa
L’angelo e la pazienza
Labile
Bella speranza
L’orologio americano
Stella benigna
La scala dei santi
Speakering
CANZONI A RACCOLTA –TIME AND SILENCE (Columbia / Sony Music 1998)
Edizioni: Il Volatore. Produzione: Beppe Quirici.
Musicisti: Ivano Fossati (voce e pianoforte), Nguyen Le (chitarra elettrica), Beppe
Quirici (basso), Stefano Melone (tastiere e programmazioni), Claudio Fossati (batteria e
percussioni), Naimy Hackett, Antonella Melone, Stefano Melone, Carlo Fava, Vincenzo
Zitello (cori).
Il talento delle donne
La musica che gira intorno
Ventilazione
Panama (live)
Buontempo
La pianta del tè
Italiani d'Argentina
Unica rosa
Discanto
La canzone popolare
295
Mio fratello che guardi il mondo
Notturno delle tre
Labile
Una notte in Italia (live)
“Cow boys”
LA DISCIPLINA DELLA TERRA (Sony 2000)
Testi e musiche di Ivano Fossati (eccetto La rondine - tradizionale). Prodotto da Beppe
Quirici e Ivano Fossati.
Musicisti: Ivano Fossati (pianoforte, glass flute, armonia, chitarra classica), Fabrizio
Barale (chitarra elettrica), Fabio Martino (fisarmonica), Paolo Archetti Maestri (chitarra
elettrica), Walter Keiser (batteria, percussioni), Claudio Fossati (batteria, percussioni),
Roberto Gatto (batteria), Louise Hopkins (violoncello), Dario Faiella (chitarra elettrica),
Saverio Porciello (chitarre), Pietro Cantarelli (tastiere), Beppe Quirici (chitarra classica,
basso), Enrico Rava (tromba, flicorno), Luvi De Andrè (voce), Gianluigi Troversi (sax
contralto, clarinetto), Mercedes Martini (voce recitante), Riccardo Tesi (organetto),
Edoardo Lattes (contrabbasso, arco), Andrea Cavalieri (basso), Eugenio Merico
(percussioni), Gianfranco Lombardi (direttore d'orchestra), London session orchestra, Yo
Yo Mundi , Le giaculanti genovesi.
La mia giovinezza
Treno di ferro
La disciplina della terra
Invisibile
Sono tre mesi che non piove
Angelus
Iubilaeum Bolero (Ai giubilanti dell’anno duemila)
La rondine
Il motore del sentimento umano
Dancing sopra il mare (Panama, parte seconda e finale)
Finale
CONCERTO IN VERSI(Il Volatore 2001)
Con Elisabetta Pozzi
Edito con il libro “Carte da decifrare”.
Musicisti: Ivano Fossati (pianoforte), Elisabetta Pozzi (voce recitante), Claudio Fossati
(batteri, percussioni), Edoardo Lattes (basso elettrico), Roy Paci (tromba, flicorno),
Mario Arcari (oboe, sax soprano, ocarina, flauti, melodica).
Presentazione
Introduzione per pianoforte solo
E così eccomi qua (Testo recitato: T.S.Eliot. Quattro quartetti )- Jam n. 1
Essere o non essere (Testo recitato: W. Shakespeare. Amleto) - Jam n. 2
Vocalese
296
Cow boys
Novissimum testamentim (Testo recitato: E. Sanguineti. Senzatitolo) - Jam n. 3
Ferroviario per piano preparato
Come se non lo sapessero (Testo recitato: C.Costa. Cose che sono, parole che restano)
Poca voglia di fare il soldato - Voci (Testo recitato: P.Levi. Ad ora incerta)
Favola dell’indigestione (Testo recitato: A.Giuliani. Il Tautofono) - Jam n. 4
Quintet
Nel mio principio è la fine (Testo recitato: T.S.Eliot. Quattro Quartetti) - Jam n. 5
Mi ami? (Testo recitato: R.D.Laing. Mi ami?) - Jam n. 6
Pianoforte solo
Mio fratello che guardi il mondo - Finisci allora quest’ultima canzone (Testo recitato:
R.Tagore. Il giardiniere)
NOT ONE WORD-DOUBLE LIFE (Sony 2001)
Musiche di Ivano Fossati eccetto: milos di Claudio Fossati; Besame mucho di Consuelo
Velazquez; tango disorientato di Ivano Fossati e Paolo Silvestri. Prodotto da Ivano
Fossati.
Musicisti: Ivano Fossati (pianoforte, vibrafono, armonium, oscillatori), Martina
Marchiori (violoncello), Claudio Fossati (batteria, percussioni), Paolo Silvestri
(arrangiamenti e direzione d'orchestra), “Orchestra di Roma” (primo violino: Ettore
Pellegrino), inoltre: Gabriele Mirabassi (clarinetto), Luciano Biondini (fisarmonica),
Michael Applebaum (tromba e flicorno), Pietro Cantarelli (tastiere e sonorizzazioni),
Fabio Severini (corno inglese), Edoardo Lattes (contrabbasso in Lampi).
Not one word
Roobenia
Theme for trio
Milos
Brazzhelia
The wolves’ house
Theme for duet
Le mot immaginaire
Besame mucho
Lampi
Tango disorientato
Bells
A due voci per orchestra
Raining at my door
LAMPO VIAGGIATORE (Sony 2003)
Testi e musiche di Ivano Fossati. Edizioni musicali: Il Volatore S.r.l. (eccetto Io sono un
uomo libero edizioni musicali Lunaparck-Il Volatore). Produzione: Ivano Fossati. Preproduzione e realizzazione: Ivano Fossati, Pietro Cantarelli, Claudio Fossati.
Registrazione: Marty Jane Robertson. Arrangiamenti e direzione d’orchestra: Paolo
297
Silvestri (C’è tempo, Il bacio sulla bocca). Sezione d’archi e fiati dell’orchestra da
camera “I Virtuosi Italiani”. Mixaggio: Renato Cantele.
La bottega di filosofia
Pane ecoraggio
Lampo
C’è tempo
Contemporaneo
Il bacio sulla bocca
Labellezza stravagante
Io sono un uomo libero
Ombre e luce
Cartolina
SINGOLI:
I (Fonit 1971)
Con i Delirium
Canto di Osanna (Fossati-Di Palo)
Deliriana (Di Palo)
II (Fonit 1972)
Con i Delirium
Jesahel (Fossati-Prudente)
King’s road (Magenta)
III (Fonit 1972)
Con i Delirium
Haum! (Fossati-Prudente)
Movimento II : dubbio (Fossati-Magenta)
IV (Fonit 1972)
Con i Delirium
Dolce acqua (Fossati-Magenta)
Favola o storia del largo di Kriss (Fossati-Magenta)
298
V (Fonit 1972)
Con i Delirium
E’ l’ora
Treno
VI (Cetra/Numero Uno 1973)
E’ l’aurora (Fossati-Prudente)
L’Africa (Fossati-Prudente)
VII (Cetra/Numero Uno 1974)
Tema del lupo
VIII (Cetra 1975 )
Cane di strada
Concerto di plenilunio in un castello di Stoccarda
IX (Cetra 1975)
Goodbye Indiana (Fossati-Prudente)
X (RCA 1977)
La casa del serpente
Matto
XI (RCA 1979)
La mia banda suona il rock
…e di nuovo cambio casa
XII (RCA 1981)
Panama
J’adore Venise
XIII (RCA 1981)
La signora cantava il blues
Stazione
XIV (Cbs 1983)
La musica che gira intorno
I ragazzi cattivi
XV (Cbs 1984)
Tico Palabra
Quante estati, quanti inverni
XVI (Cbs 1988)
Terra dove andare
L’uomo coi capelli da ragazzo
299
XVII (Cbs 1988)
Questi posti davanti al mare
XVIII (Epic 1990)
Lusitania
Panama
La musica che gira intorno
XIX(Epic 1992)
La canzone popolare
Italiani d’Argentina
Terra dove andare
Una notte in Italia
DISCHI CON ALTRI ESECUTORI
Mia Martini
DANZA (Warner Bros 1978)
Ci si muove
Buona notte dolce notte
Fiorella Mannoia
DI TERRA E DI VENTO (Epic 1989)
Oh, che sarà (Fossati-Buarque)
Eugenio Finardi
LA FORZA DELL’AMORE (Wea 1990)
Una notte in Italia
Esecutori vari
CLUB TENCO, 20 ANNI DI CANZONE D’AUTORE (I dischi del Club Tenco / Ala
Bianca 1991)
Confessione di Alonso Chisciano
Esecutori vari
CLUB TENCO, 20 ANNI DI CANZONE D’AUTORE II (I dischi del Club Tenco /
Ala Bianca 1993)
Luna spina
Esecutori vari
LATINO (Rca 1994)
Dedicado (Hidalgo-Fossati)
(produzione 1980)
300
INCISIONI DI FOSSATI INCISE DA ALTRI INTERPRETI
Loredana Berté
Per effetto del tempo (Fossati-Prudente)
(NORMALE O SUPER, Cgd 1975)
Stare fuori
Non sono una signora
I ragazzi di qui (Fossati-Daniels-Jones)
(TRASLOCANDO, Cgd 1982)
Un’automobile di trent’anni
Jazz (Fossati-Djavan)
(JAZZ, Cbs 1983)
Petala (Fossati-Djavan)
(SAVOIRE FAIRE, Cbs 1984)
Fabrizio De André
Megu Megun (De André-Pagani-Fossati)
A cimma (De André-Pagani-Fossati)
(LE NUVOLE, Fonit Cetra 1990)
Prinçesa (Fossati - De André)
Khorakhanè ( A forza di essere vento) (Fossati - De André)
Anime Salve (Fossati - De André)
Dolcenera (Fossati - De André)
Le acciughe fanno il pallone (Fossati - De André)
Disamistade (Fossati - De André)
 cùmba (La colomba) (Fossati - De André)
Ho visto Nina volare (Fossati - De André)
Smisurata preghiera (Fossati - De André)
(ANIME SALVE, Bmg/Nuvole-II Volatore 1996)
Delirium
Preludio: paura (Fossati-Magenta)
Movimento II: dubbio (Fossati-Magenta)
(DOLCE ACQUA, Fonit 1971)
Donno
No, stella no (Fossati-Prudente)
(45, Numero Uno 1980)
301
Fiorella Mannoia
Le notti di maggio
(CANZONI PER PARLARE, Ddd 1988)
Baia senza vento
(DI TERRA E DI VENTO, Epic 1989)
302
1991 L’Amore Per L’Amore
Piccola serenata diurna (Fossati-Rodriguez)
(I TRENI A VAPORE, Epic 1992)
L’amore con l’amore si paga
(CERTE PICCOLE VOCI, Sony 1999)
Fotogramma (Quelli siamo noi)
(FRAGILE, Columbia / Il volatore 2001)
Marcella
Mi vuoi (Fossati-Prudente)
(45, Cgd 1978)
Mia Martini
Se finisse qui (Fossati-Davies-Hodgson)
Sentimento
(PER AMARTI, Civ 1977)
Danza
C’è un uomo nel mare
Canto alla luna
E parlo ancora di te
Ci si muove
La luce sull’insegan della sera
(DANZA, Warner Bros 1978)
E non finisce mica il cielo
(45, Ddd 1982)
Vecchio sole di pietra (Miamartini-Fossati)
(QUANTE VOLTE…HO CONTATO LE STELLE, Ddd 1982)
Gianni Morandi
La caccia al bisonte
Sette di sera
Autostrade, no!
Favole di mare
Io vado a sud
Due ore di polvere
Io domani me ne vado
La mia gente
(tutte di Fossati-Prudente)
(IL MONDO DI FRUTTA CANDITA, Rca 1975)
303
Facile così
(UNO SU MILLE, Rca 1985)
Anna Oxa
Fatelo con me
Un’emozione da poco (Fossti-Guglielminetti)
Così va se ti va e questo finché mi andrà
Se devo andare via (Fossati-Cini-De Natale)
(OXANNA, Rca 1978)
Patty Pravo
Pensiero stupendo (Fossati-Prudente)
(MISS ITALIA, Rca 1978)
Oscar Prudente
Ehi amico (Fossati-Prudente)
(POCO PRIMA DELL’AURORA, Cetra/Numero Uno 1973)
La casa vecchia
I vetri della scuola
Otto ore
Infinite fortune
Solo no
Il furgone della banca del Commercio
Io vado a sud
(tutte di Fossati-Prudente)
(INFINITE FORTUNE, Numero Uno 1974)
Mi vuoi (Fossati-Prudente)
E magari ritorni (Fossati-Prudente)
(DONNA CHE VAI, Cgd 1977)
Scarpe da poco (Pace-Avogadro-Prudente-Fossati)
(45, Cgd 1976)
Stefano Pulga
Mezzocuore
Uomo di ieri
Macina-stazioni
(tutte di Pulga-Fossati)
(SUSPICION, Cgd 1979)
Catherine Spaak
Ancora libera (Fossati-Prudente)
(CATHERINE SPAAK, Cgd 1976)
304
Sunday Band
Mary Martinica (Caputo-Fossati-Rossi-Lollio)
Magic Congregation (Caputo-Fossati-Rossi-Lollio)
(45, Fonit 1976)
Ornella Vanoni
Carmen (Fossati-Vanoni-Fossati)
(O, Cgd 1987)
305
e.
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PHILIP TAGG, Popular music. Da Kojac al Rave. Analisi e interpretazioni, a cura di
Roberto Agostini e Luca Marconi, Bologna, Cooperativa Libreria Universitaria Editrice,
1994
JACHIA 1998
PAOLO JACHIA, La canzone d’autore italiana 1958-1997. Avventure della parola cantata,
Milano, Feltrinelli, 1998
VASSIA 2001
FRANCO VASSIA, “Ivano Fossati. L’incanto incantato”, in I campi della memoria. Semi di
beat, folk, rock, S.Sebastiano da Po, ELECTROMANTIC MUSIC, 2001
ZEA 1961
LEONARDO ZEA, America Latina e cultura occidentale, Milano, Silva Editore, 1961
*&
 fec.
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Ringrazio i miei genitori, di tutto; Gian Nicola Spanu per l’affetto e per aver fatto
sì che la prima persona plurale, in questa tesi, non fosse un plurale maiestatis ma
l’effetto di una collaborazione costante; i miei fratelli per avermi fatto conoscere
la bossa nova e Massimo per avermi “presentato” Fossati; Anna Lamberti
Bocconi ed Elisabetta Pozzi per le loro preziose parole; e ancora il Prof.
Manotta, Chiara, Davide Soddu, Gg, Laura, Marco, Paul, Samuele, la famiglia
Sechi e poi Simone, Alessandra e Vittorio della mailing-list di Fossati per il loro
aiuto e quanti mi hanno sostenuto, incoraggiato e abbracciato.
Sassari, 30 giugno duemilatré *
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