UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SASSARI FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA ANNO ACCADEMICO 2002-2003 MITI, MUSICHE, IMMAGINI DELL’AMERICA LATINA NELLA CANZONE DI IVANO FOSSATI PRIMO RELATORE: SECONDO RELATORE: PROF. GIAN NICOLA SPANU PROF. MARCO MANOTTA TESI DI LAUREA DI CRISTINA MASTINU Vuelvo al Sur, como se vuelve siempre al amor, vuelvo a vos, con mi deseo, con mi temor. … Sueño el Sur, inmensa luna, cielo al reves, busco el Sur, el tiempo abierto, y su despues. (A. Piazzolla – F. E. Solanas) 2 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SASSARI FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA MITI, MUSICHE, IMMAGINI DELL’AMERICA LATINA NELLA CANZONE DI IVANO FOSSATI PRIMO RELATORE PROF. GIAN NICOLA SPANU SECONDO RELATORE PROF. MARCO MANOTTA TESI DI LAUREA DI CRISTINA MASTINU * 3 ANNO ACCADEMICO 2002-2003 4 INDICE Introduzione 6 1 QUESTIONI GENERALI 11 1.1 Che cos’è la popular music? 12 1.2 Il mito dell’America Latina e delle sue musiche nella cultura europea 1.3 I ritmi e le sonorità dell’America Latina nella musica europea e nella popular music 2 25 28 L’IDEA E IL SUONO DEL NUOVO MONDO NELLA CANZONE DI IVANO FOSSATI 40 2.1 Ivano Fossati: la sua vicenda artistica 41 2.2 La poesia musicale di Ivano Fossati 135 2.2.1 Un possibile percorso nei testi 142 2.2.1.1 Le strutture 142 2.2.1.2 La rima 168 2.2.1.3 L’intertestualità 171 2.2.1.4 La lingua 180 2.2.1.5 Le figure retoriche 193 5 2.3 La componente latino-americana nella canzone di Fossati 205 2.3.1 Versioni italiane di canzoni latino-americane 209 2.3.2 Ritmi, melodie, strumenti: l’uso della musica per creare immagini 2.3.3 Amore, Passione, Sensualità 230 2.3.4 Malinconia, Saudade, Nostalgia 238 APPENDICI a. 249 Testi delle canzoni che presentano riferimenti alla cultura latino-americana c. 248 Quadro riassuntivo delle componenti latino-americane nelle canzoni di Fossati. b. 211 255 Testi delle canzoni latino-americane tradotte e/o cantate da Ivano Fossati) 284 d. Discografia 292 e. Bibliografia generale 313 6 INTRODUZIONE Può sembrare perlomeno insolito dedicare una tesi di laurea in Storia della Musica ad un esponente della musica cosiddetta “leggera”, termine che di per sé sembra sminuire il genere, specialmente in rapporto alla sua controparte “alta”, “colta” o classica che dir si voglia. Non sta a me ribadire l’importanza di questo genere di studi, confermato d’altronde dall’attivazione di sempre più numerosi corsi universitari di popular music e dalla presenza costante di saggi su questo vasto ambito di studi nelle più prestigiose riviste e convegni di musicologia storica. Anche perché, come cercherò di dimostrare, il confine tra i generi non solo è improponibile nella nostra epoca di globalizzazione e melting culturale, ma non spiega neanche il passato. Così ritroviamo nella canzone d’autore italiana strategie espressive non ignote ai monodisti del primo Seicento; così il mito della musica sudamericana ha attratto e mosso negli ultimi quattro-cinque secoli compositori di ogni tipo ed estrazione. Ma lasciando da parte giustificazioni e motivazioni accademiche al mio lavoro, devo confessare, in tutta sincerità, che questa tesi vuole anzitutto unire due mie grandi passioni musicali: quella per l’universo sonoro latinoamericano e quella per la canzone d’autore italiana. Due ambiti musicali molto vasti, certo, ma che ho cercato di unire nella figura di un cantautore come Ivano Fossati. Ho scelto per la mia ricerca questo autore perché ho sempre sentito la sua musica molto vicina alla mia sensibilità, per una di quelle che si è soliti definire “affinità elettive”. Tale vicinanza è nata non solo per un riconoscimento emotivo nelle parole dell’autore, ma è stata condizionata 7 anche dal fatto che la sua musica è legata all’America Latina, mondo che sempre mi ha affascinato e attratto. Ed è stato proprio questo legame a spingermi ad incentrare la mia ricerca su tale ambito, e dunque a trovare l’anello di congiunzione tra questi due soggetti, a me tanto cari. Questa comune passione per l’America Latina, che certo non è solo mia e di Fossati, nasce indubbiamente da una comunanza di coscienza collettiva, la nostra europea, che nel tempo ha riposto nel “Nuovo Mondo” aspirazioni e miraggi di un sentire romantico e sensuale. Da più di cinquecento anni ormai la nostra cultura risente degli echi che giungono d’oltreoceano. L’America, si sa, ha sempre rappresentato un mito, un luogo utopico e reale in cui convogliare sogni e aspirazioni. Ma in particolare vogliamo qui soffermarci non sull’America del Nord, bensì sulla ben diversa America Latina (Sud e Centro America). Un mondo a parte, l’antico “Nuovo Mondo”, la terra del sole, della giovialità, degli spiriti vitali, dell’allegria e dell’amore; e la terra anche della sofferenza, della povertà, delle distese incontaminate e delle misteriose popolazioni precolombiani. E soprattutto la patria del popolo per cui la musica è vita, sangue e battito, espressione primaria di gioie, sofferenze, emozioni, energia. Una musica che da sempre ci affascina e seduce, con la sua sensuale passionalità, la sua ritmica coinvolgente, la sua vitalità. È infatti dalla scoperta dell’America che l’Europa si è lasciata influenzare da quei suoni, da quelle musiche trasportate attraverso i movimenti sinuosi e energetici delle danze latino-americane. È questo un impulso che io sento molto forte, poiché ad ogni suono, ritmo, gesto che richiami quelle terre sento riverberarsi in me tutta la potenza di vita da cui essi nascono. 8 Lo stesso coinvolgimento che provo anche per molti brani di Fossati, interprete dei travagli e delle gioie dello spirito umano, abile poeta che sa essere voce per chi come lui sente la vita, ma non sa sempre trovare i mezzi per esternare le emozioni che ogni esperienza suscita. Fossati rappresenta una parte importante della nostra musica leggera, “lo spirito libero della canzone d’autore italiana”, che con la sua musica e le sue parole testimonia ormai da trent’anni il valore e l’importanza del ruolo dei cantautori nella società. Le sue canzoni sanno penetrare nell’interiorità di chi le ascolta, sanno parlare al cuore, confortarlo o straziarlo, toccare le corde più remote dell’emotività. Artista costantemente alla ricerca, sempre teso al miglioramento, eppure sempre fedele a se stesso, uomo curioso e attento, Ivano Fossati non ha mai smesso di impegnarsi per trovare una strada che, attraverso la musica, esprimesse e comunicasse l’infinito dell’universo umano. La prima parte della tesi vuole illustrare la definizione di popular music, definizione non certo scontata, né semplice. Una disciplina ancora poco studiata dalla musicologia e talvolta presa in scarsa considerazione, prescindendo dal fatto che la popular music rappresenta ormai una larga componente della musica mondiale, pervadendo infiniti settori della nostra quotidianità. Il secondo capitolo è invece dedicato all’America Latina, al mito utopico che nel tempo la nostra cultura ha costruito su essa, a ciò che essa rappresenta per noi. 9 In particolare abbiamo voluto concentrare l’attenzione sulla portata dell’influenza della musica latino-americana nell’universo sonoro europeo. Dalla ciaccona del ’500 fino ad arrivare alla follia per il tango nei primi del ’900, e all’esplosione recentissima dei balli latino-americani, con particolare riferimento a tali influenze nella popular music e nella canzone. Il terzo capitolo è incentrato sulla figura di Ivano Fossati e sui suoi legami con la cultura latino-americana. Per dare una visione d’insieme e il più possibile completa del nostro autore abbiamo ripercorso la sua carriera artistica, attraverso i suoi album, e dunque le sue canzoni, ma anche prendendo in considerazione gli altri lavori, come le musiche per il cinema e per il teatro, e le sue varie collaborazioni. Abbiamo voluto dedicare una parte dello studio anche alle caratteristiche stilistiche della sua canzone, mettendo in luce le prerogative dei testi, dal punto di vista strutturale, linguistico e retorico, fornendo alcuni esempi più significativi dei diversi stilemi usati dall’autore. Infine, last but not least, la parte più originale di questo lavoro: le componenti latino-americane nella canzone di Fossati, componeneti non solo musicali, ma culturali in genere. Abbiamo cercato qui di ricostruire il filo che unisce Fossati all’America Latina, frugando e scandagliando la sua opera artistica, i suoi interessi, le sue frequentazioni. E così abbiamo suddiviso l’analisi in diversi ambiti: quello relativo alle influenze musicali, riscontrabili nelle sei cover che nel tempo Fossati ha realizzato da brani latino-americani, ma anche nelle sue creazioni melodiche, nei ritmi di ascendenza latino-americana particolarmente presenti nella sua produzione, e ancora nell’uso di strumenti 10 e sonorità tipici di quelle terre. Elementi che Fossati usa soprattutto per creare immagini, suggestioni, sensazioni che rievochino non solo le musiche ma anche le atmosfere di vari scorci dell’America Latina. L’altra parte dell’analisi è invece incentrata sulle affinità emozionali di Fossati con l’America Latina, sulla comunanza di sensibilità, di percezione della vita. Così è per la concezione dell’amore, sensuale, passionale, un amore totalizzante, profondamente spirituale ma anche istintivamente carnale; l’amore acceso degli argentini, e quello dolcissimo e pregnante dei brasiliani. Amore che è ragione di vita, ma anche di dolore sconfinato, e dunque di malinconia. Una tristezza che i brasiliani chiamano saudade, nostalgia per i beni perduti, desiderio lacerante per ciò che ancora non si ha. Sentimenti melanconici profondamente intrisi nell’animo dei latinoamericani, che trasudano dalle note strazianti delle loro musiche e nelle parole sempre intense e sentite delle loro canzoni. Così è nella canzone di Fossati che è spesso espressione di malinconia, nostalgia e mancanza; sentimenti che non di rado sconfinano nel dolore lacerante, nella sofferenza inconsolabile. Abbiamo voluto infine includere in appendice uno schema riassuntivo delle componenti latino-americane in Fossati e i testi delle canzoni in cui sono presenti tali influenze, nonché la discografia completa dell’autore, perché il lettore possa trarre da essa un’ulteriore visione d’insieme della sua produzione artistica. 11 12 1. QUESTIONI GENERALI 13 1.1 CHE COS’È LA POPULAR MUSIC? Definire la popular music non è facile. Non è facile perché è un fenomeno che viviamo e, come tale, non sentiamo il bisogno di definire; perché tutti, quando parliamo di popular music crediamo di sapere a cosa pensiamo, e crediamo che anche i nostri interlocutori lo sappiano. Ma non è esattamente così: conducendo una piccola inchiesta abbiamo chiesto a parenti e amici cosa intendessero per popular music. Le reazioni sono state alquanto differenti, accomunate però da una certa perplessità e imbarazzo del tipo “perché mi fai queste domande? La popular music è…”. Una pausa rivelatrice della forte difficoltà definitoria e dell’imbarazzo nel rabberciare, lì sui due piedi, una definizione accettabile quanto palesemente artificiosa. Se definire significa circoscrivere semanticamente, è evidente che la difficoltà maggiore sta proprio nel riunire in una frase tendenze, fenomeni, suoni e testi assolutamente disomogenei, dispersi in tempi e aree geografiche molto vaste. Entrano poi in gioco le ambiguità di termini come popular, e il suo pseudo-corrispondente italiano ‘popolare’, o l’aggettivo “leggero”, termini usati e abusati in mille contesti e non sempre in modo neutro. Nonostante ciò urge definire il concetto, visto che ci occupiamo di un artista e di canzoni che, di fatto, rientrano nella sfera della popular music, e lo faremo proprio mettendo in evidenza le difficoltà (non solo le nostre, come vedremo) di spiegare parole e concetti, a prima vista elementari e comuni, ma in realtà estremamente complessi. 14 Il lemma popular music è attestato dal 1573 per indicare la musica della ‘gente comune’.1 In tale accezione il referente immediato di questo tipo di musica è una precisa fascia sociale che si distingue, evidentemente, dall’élite, comprendente a quell’epoca l’aristocrazia, l’alto clero e l’alta borghesia. Certamente si trattava della gente comune di ambito urbano e non rurale (per cui si sarebbe impiegato l’aggettivo folk, country o qualcosa di simile); pertanto si può supporre che l’attestazione cinquecentesca del termine contenga già alcune delle componenti semantiche che formano il senso attuale del lemma: musica tipica del ceto sociale medio urbano e quindi musica “non classica”, non riferibile cioè alla classis, che nella Roma repubblicana, come nelle società moderne, rappresenta i ceti alti. Ma proprio perché tipica della gente comune, non colta (visto che la “cultura” è sempre stata una prerogativa delle classi egemoni) nella popular music vi è l’idea, di “semplice”, di “facile accesso”; ma sembra connotare altresì qualcosa d’uso comune e ampia diffusione, insieme di qualità che, come si è accennato, definiscono ancora oggi il concetto di popular music e del suo pseudoomologo italiano “musica leggera”. Queste caratteristiche emergono dalla nostra piccola inchiesta sul significato di popular music. Nelle risposte abbiamo registrato con un certa frequenza, nel tentativo di definire il concetto, l’uso di aggettivi come facile, semplice, memorizzabile, ma anche connotazioni peggiorative come di modeste pretese, commerciale, molto nota ecc. Ma le definizioni coincidono solo in parte con quelle degli studiosi che partono prevalentemente da considerazioni di tipo socio-economico, 1 PRATO 1999: 121 15 comprendendo la popular music tra quei fenomeni connessi alla nascita e allo sviluppo dell’industria culturale e, per dirla con Benjamin, con la riproducibilità tecnica dell’evento sonoro in nuovi e amplissimi contesti. Philipp Tagg, uno dei più autorevoli studiosi degli attuali fenomeni musicali, fondatore della IASPM (International Association for the Study of Popular music) basa essenzialmente la sua definizione sull’opposizione del concetto di popular music a quello di folk-music e musica colta. Caratteristiche Mus. Mus. Popular folk colta music principalmente da professionisti x x principalmente da amatori x comune x rara x x trasmissone orale x notazione musicale x suono registrato x nomade o agricola x industriale o agricola x industriale x indipendente dall’economia x monetaria finanziamento pubblico x ‘libera’ impresa x Prodotta e trasmessa Distribuzione di massa Principale modo di immagazzinaggio e distribuzione Tipo di società in cui la categoria di musica è principalmente presente Principale modo di finanziamento, produzione e distribuzione della musica del XX sec. Teoria ed estetica non comune comune Compositore/ autore anonimo non anonimo x x x x x x Lo schema2, che fornisce una serie utilissima di osservazioni e spunti di riflessione, non ci aiuta a definire la popular music, in quanto molti dei parametri di riferimento non sembrano esclusivi di questo tipo di musica. E 2 TAGG 1994: 48 16 se possiamo essere d’accordo sul fatto che “la popular music è concepita per la distribuzione di massa”, non siamo d’accordo sul concetto di distribuzione e mercificazione della musica, che per Tagg è una prerogativa della popular music, visto che anche i quartetti di Beethoven vennero venduti all’editore al miglior prezzo possibile per essere venduti nelle principali città europee al miglior prezzo di mercato.3 Quartetti che attualmente vengono fruiti da un pubblico eterogeneo (molto più di quello per il quale furono scritti) e magari diffusi negli ascensori o nei supermarket. Ancora più vaga è la definizione di Roberto Agostini, co-curatore italiano di una fondamentale raccolta di testi di Philipp Tagg, secondo cui “il concetto implica un riferimento al popolare, per indicare quelle attività musicali che al giorno d’oggi sono le più diffuse e comuni ma che non si prestano ad essere definite né colte né folk. In questo senso parlare di popular music significa circoscrivere un campo musicale “popolare” non necessariamente legato ad una particolare tradizione etnica in senso stretto, bensì inserito nel mondo contemporaneo euro occidentale, nella vita metropolitana, nelle comunicazioni di massa, nelle forme di riproduzione sonora”.4 Una definizione basata sul principio, alquanto discutibile, del “se non è zuppa”, che considera come popular music tutto ciò che non rientra nelle categorie di musica colta o di tradizione orale. Basata su un giudizio di valore, più che sulle dinamiche di produzione/distribuzione appare invece la definizione di Adorno, che lancia i suoi strali sulla musica leggera e tutta quella musica destinata al consumo 3 Per lui la popular music è “possibile solo in un’economia monetaria industriale, dove diviene una merce, e nelle società capitaliste dove è soggetta alle leggi della libera impresa”. TAGG 1994, p.49 4 AGOSTINI 1994: 9-10 17 “direttamente complementare all’ammutolirsi dell’uomo, all’estinguersi del linguaggio inteso come espressione, all’incapacità di comunicazione. Essa alberga nelle brecce del silenzio che si aprono tra gli uomini deformati dall’ansia, dalla routine e dalla cieca obbedienza […]. Questa musica viene percepita solo come uno sfondo sonoro: se nessuno più è in grado di parlare realmente, nessuno è nemmeno più in grado di ascoltare […]. Oggi la potenza del banale si è estesa alla società nel suo insieme.” 5 Prendendo alla lettera la definizione di Tagg, Paolo Prato passa in rassegna la galassia di generi e sottogeneri musicali che formano la popular music: “rock, pop, blues, jazz, canzone, musica da film, gospel, tango, fado, enka, nueva trova, juju, reggae, disco, country, cabaret, fusion, salsa, skiffle, funk, bossa nova, rap, soul, folk rock, rhythm & blues, canción protesta, bubble gum, musical, rock ‘n’ roll, punk, calypso, heavy metal, liscio, Schlager, muzak, techno ecc.”.6 Un elenco variegato e disomogeneo che va dalla musica da film al jazz, ai più effimeri generi balneari, al country, con un emblematico “ecc.” finale che lascia quanto mai aperta la questione. Un potpourri “onnicomprensivo che include tutte quelle esperienze estranee alla musica seria e alla musica di tradizione orale”, uno strano principio classificatorio che invece di spiegare cosa “è” la popular music ci dice piuttosto quello che “non è”. Ma evidentemente non basta. Sul vago si mantiene anche Augusto Pasquali nella voce “Pop Music” del Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti (DEUMM), termine “normalmente usato nei paesi anglosassoni per indicare 5 ADORNO 1974: 10-15, in MIDDLETON 2001: 59 6 PRATO 1999: 121 18 un’ibrida ed estremamente varia produzione che non è né diretta espressione di un gruppo etnico né appartenente alla musica di tradizione colta; in tal senso è da considerarsi il corrispettivo anglosassone del nostro termine musica leggera”. Ma, mentre ribadisce il suo non essere né colta né popolare, aggiunge che “risulta impossibile dare una definizione esaustiva della popular music in quanto essa sfugge ad ogni rigorosa analisi e classificazione, variando di volta in volta i generi e le culture musicali da cui deriva, i gruppi sociali verso cui è indirizzata, gli scopi e le volontà dei suoi musicisti e infine il rapporto che si instaura fra essa e l’ordine stabilito.”7 Interessante, infine, rimarcare l’equazione, non del tutto scontata, pop music = popular music = musica leggera, una omologia che genera ulteriori perplessità e confusione. Senza voler entrare nel merito della questione, siamo d’accordo nel considerare la pop music come il corrispettivo anglossassone della nostra musica leggera, mentre siamo portati ad attribuire al termine popular music un’estensione ben più vasta che, ovviamente, comprende il genere pop/leggero ma non solo. La prova è data dal fatto che elencando i vari generi sia la gente comune, sia gli specialisti sono portati a mettere in alternativa il pop con il rock con il country o la musica celtica e così via, e non piuttosto a comprendere questi ultimi nel primo. Il termine popular music appare, infatti, nel linguaggio corrente, come un termine quasi “specialistico”, usato da critici e musicologi che ha perso ormai la sua originaria corrispondenza con la sua amichevole abbreviazione pop music. Lo prova il fatto che nella sesta edizione del prestigioso The new Grove Dictionary of Music & Musicians troviamo una voce molto estesa che 7 PASQUALI 1984: 692 19 illustra la storia e i protagonisti della popular music8 e una voce più ridotta, nello stesso volume, riguardante la pop music, categoria di popular music che, analogamente alla pop art, è legata ai fenomeni di consumo giovanile e di massa cominciati alla fine degli anni ’50. Richard Middleton, fra i più grandi studiosi di questo argomento, nonché fondatore del periodico “Popular music”, analizzando i fenomeni e gli studi legati alla popular music negli ultimi quarant’anni, critica le definizioni troppo schematiche e onnicomprensive, prospettando la necessità di definire caso per caso le caratteristiche di un genere e quindi la sua eventuale classificazione. Analizza le varie definizioni di popular music (gradita, popolare, della gente comune, favorita, apprezzata) evidenziandone volta per volta le incongruenze e i limiti. In particolare prende in considerazione quattro categorie di definizioni: definizioni normative (popular music come tipo di musica inferiore); definizioni negative (musica che non rientra in certi generi); definizioni sociologiche (connessa a un particolare gruppo sociale); definizioni tecnologico-economiche (diffusa dai mass media e/o in un mercato di massa). Egli le smonta una per una ritenendole insufficienti in quanto legate a interessi specifici: la prima si basa su criteri arbitrari e troppo soggettivi. La seconda è insufficiente e vaga perché è impossibile stabilire netti confini tra “folk” e “popular” e “seria” e “popular”; ad esempio la musica seria è comunemente considerata complessa, difficile, impegnativa; la popular music dovrebbe quindi essere definita come semplice, accessibile, facile. In realtà molti brani di musica colta appaiono estremamente semplici; per contro ci sono musiche popular per niente facili 8 LAMB-HAMM 1980: 86-120 20 o accessibili. La terza categoria è inadeguata perché le pratiche e i generi musicali, anche quelli legati alle minoranze estreme, non potranno mai essere limitati a particolari contesti sociali. La quarta è anch’essa incongruente in quanto lo sviluppo dei mezzi di diffusione di massa ha condizionato tutte le forme di fruizione musicali e tutte le musiche possono essere considerate oggetto di consumo; inoltre tutte le forme di quella che viene generalmente considerata popular music possono per principio essere diffuse con metodi diretti (per esempio concerti) e non attraverso i mass media, e tutte possono essere gratuite.9 Inoltre Middelton è convinto che criteri di valutazione basati sull’opposizione meglio/peggio, élite/massa, aristocratico/plebeo rischiano “di dare una definizione oltremodo rigida, spesso fondata sull’incapacità di riconoscere l’insieme dei presupposti che stanno alla base di ciascuna distinzione”. Non si può in questo ambito ragionare in termini assoluti: “la popular music può essere inquadrata opportunamente soltanto come fenomeno mutevole all’interno dell’intero campo musicale, e questo campo, insieme ai suoi rapporti interni, non è mai immobile, è sempre in movimento”. Bisogna dunque individuare le categorie musicali topograficamente, storicamente e contestualmente.10 Concordando con obbiezioni di Middleton mosse alle definizioni di tipo normativo negazionista e sociologico, riteniamo invece di trovare una soluzione per definire il concetto di popular music proprio a partire dai meccanismi di produzione e diffusione della musica, o piuttosto dai 9 MIDDLETON 2001: 19-21 10 MIDDLETON 2001: 24 21 condizionamenti che questi possono esercitare sulla creazione di un certo tipo di musiche, quelle appunto popular. Se consideriamo la musica “eurocolta” e quella di tradizione orale, notiamo che esse esistono e vivono a prescindere da una loro diffusione massmediatica. È evidente che possono diventare prodotto di scambio nel moderno mercato della musica, ed essere diffuse in forma di dischi, cd, trasmissioni radiofoniche e quant’altro ad un pubblico planetario; ma ciò può essere considerato come un fattore accidentale (benché produttore di cospicui redditi) rispetto a quelle musiche nate per altri ambienti e per altre funzioni. Una sinfonia di Beethoven vive indipendentemente dalle centinaia di incisioni discografiche, e difficilmente si può pensare che la sua forma subisca variazioni dettate dal mercato (se si escludono i rari e un po’ demodé arrangiamenti nel genere definito pop-classic), lo stesso si può dire delle composizioni di musica colta contemporanea che nascono essenzialmente per il teatro o la sala da concerto e la cui, rara, incisione discografica o diffusione radiofonica appare ancora come un surrogato del concerto, considerato ancora l’occasione ottimale d’ascolto. Lo stesso può dirsi per i repertori tradizionali che continuano ad essere tramandati all’interno della comunità; anche se possono essere, come la musica colta, ri-prodotti e inseriti nel mercato discografico. In questo, notiamo però una maggiore predisposizione rispetto alla musica colta (mancando il supporto scritto) ad eventuali ri-adattamenti commerciali. Le incisioni di brani per launeddas, per fare un esempio, presentano tempi notevolmente contratti, rispetto all’uso solito, per rispettare gli standard di durata delle tracce del disco o del cd. 22 La popular music, viceversa, viene pensata ormai dagli anni ’40 per essere distribuita su larga scala, viene concepita, in sostanza, come prodotto massmediatico. La pop-star pensa anzitutto a produrre dischi, il suo successo viene valutato in migliaia di dischi venduti, gli indici di gradimento e i rendiconti dei distributori servono per compilare le hit parade e per assegnare i vari dischi d’oro o di platino. Le musiche vengono registrate principalmente in studio. I concerti, sapientemente limitati (e sostituiti nella loro fisicità e corporeità sempre più spesso da artificiali esibizioni in videoclip), servono il più delle volte per lanciare l’album. Il disco viene confezionato per essere venduto, e anche gli artisti duri e puri devono fare i conti con il mercato, o perlomeno con il loro produttore, interessato a far fruttare il più possibile il capitale investito. L’industria discografica, insomma, ha condizionato nel secondo Novecento e condiziona, in maniera più o meno determinante, la popular music attuale.11 Rimane il problema di generi quali il jazz o il rock, che trovano nel concerto il luogo ideale di esecuzione e che in realtà potrebbero essere estranei alla popular music, proprio in virtù di questa prerogativa. Si può infatti ricondurre quanto detto finora al seguente schema: Musica concepita principalmente per essere diffusa dai mass media Musica non concepita affatto per essere diffusa dai mass media e difficilmente condizionabile dal mercato. Musica non concepita originariamente per il mercato discografico; tuttavia può essere diffusa dai mass media ed esserne condizionata. 11 Prima della diffusione, su larga scala, dei grammofoni e apparecchi radiofonici, la popular music era effettivamente quella musica né colta, né tradizionale, espressione del ceto medio urbano e con evidenti finalità di entertaining. 23 POPULAR MUSIC MUSICA X X EUROCOLTA MUSICA ETNICA JAZZ ROCK X X X Questo schema può essere ulteriormente semplificato riportandolo alla consueta tripartizione dei generi popular, colto e tradizionale includendo nel primo il jazz e il rock proprio in considerazione della loro sostanziale “connivenza” con l’industria culturale. Musica concepita principalmente per essere diffusa dai mass media Oppure non concepita originariamente per il mercato discografico ma che tuttavia può essere diffusa dai mass media ed esserne condizionata. POPULAR MUSIC (compreso jazz e rock) MUSICA EUROCOLTA MUSICA ETNICA Musica non concepita affatto per essere diffusa dai mass media e difficilmente condizionabile dal mercato. X X X Possiamo definire, pertanto, la popular music come l’insieme dei generi musicali concepiti per essere diffusi su larga scala, o che in ogni caso possono essere inseriti in un mercato che condiziona il processo di creazione e/o ri-elaborazione del prodotto. La musica classica e quella tradizionale possono essere, e di fatto lo sono, diffusi dai mass media, ma difficilmente ne sono condizionate, o perché si tratta prevalentemente di musica di repertorio, scritta da compositori morti da un pezzo, o perché, nel caso delle produzioni contemporanee, il compositore continua a pensare per la sala da 24 concerto o il teatro musicale; a meno che non si tratti di compositori di confine (come Brian Eno o Michael Nyman) che confermano la regola in quanto la loro “eccentricità” rispetto al genere colto è misurata proprio perché concepiscono discograficamente le loro musiche, secondo strategie comuni, appunto, alla popular music; e sono apprezzati (ma anche odiati), proprio per questo, dagli amanti della popular music e della classica. Lo stesso si può dire della musica tradizionale, specie dopo l’esplosione del fenomeno World Music, e anche in questo caso nel momento stesso in cui la musica etnica viene diffusa e condizionata dai mass media, perdendo progressivamente le sue connotazioni locali, defunzionalizzandosi e adattandosi al gusto dei possibili acquirenti cessa di essere musica etnica per diventare a tutti gli effetti musica popular. È questo il caso del fado o della musica celtica. Da tutto ciò ne consegue che non può esistere un confine netto tra i diversi generi e che il criterio di classificazione appena esposto ha un valore puramente indicativo, che ammette una gamma infinita di possibilità intermedie tra i generi colto/tradizionale da una parte e la popular music dall’altra. In Italia un termine che approssimativamente indica la popular music così come l’abbiamo definita nelle precedenti pagine è “musica leggera”. Ma anche in questo caso le ambiguità non mancano, comprendendo nella musica leggera un insieme di diversi generi (canzonetta, musica da rivista, musica pubblicitaria, commenti sonori, musica per danza) prodotti in epoca borghese per intrattenimento e svago indipendentemente da gerarchie di genere e valutazioni estetiche. Per certi versi questa accezione coincide con quella di popular music, ma esclude tutti quei generi che esulano dalla 25 cultura anglosassone, ad esempio la musica francese, o quella latinoamericana e inoltre non pone l’accento sul sistema di produzione commerciale.12 Una particolarità che, come si è visto, porta a differenziare nel DEUMM i lemmi Pop music e musica leggera.13 La popular music, per concludere, attira sempre più l’attenzione del mondo scientifico e accademico; una disciplina che pur entrando, non senza qualche opposizione,14 nel novero di quelle che formano la moderna musicologia, diventa oggetto di corsi e attività universitarie. Una disciplina che certamente deve acquisire un suo metodo d’indagine e di ricerca, considerando il differente ambito di applicazione che sfocia nella sociologia e nella antropologia urbana, ma anche, come si vedrà nel corso di questa tesi, nelle complesse problematiche della cultura e della comunicazione post-moderna. Una specificità di metodo e di obiettivi che non deve, a nostro parere, relegarla in una posizione secondaria ma che, al contrario, le conferisce pieno diritto di cittadinanza e azione nella storia della musica e nella musicologia sistematica e applicata del XX secolo e del nuovo millennio, come, d’altronde, la vasta produzione scientifica sulla popular music inequivocabilmente conferma.15 12 DALMONTE 1983: 672 13 DALMONTE 1983 e PASQUALI 1984 14 Vedi a questo proposito il polemico saggio di Franco Fabbri, (FABBRI 2002) che stigmatizza la falsa amicizia di certo mondo accademico nei confronti degli studi di popular music che se da una parte sembra accogliere con “sufficiente” benevolenza questo indirizzo di studi, d’altra parte è pronto a porre steccati e compilare graduatorie d’importanza e merito tra le discipline musicologiche che si occupano di fatti alti e quelle invece riguardanti i fenomeni “bassi”. 15 Sul valore scientifico degli studi di popular music cfr. l’ampia trattazione che ne fa Middleton nel capitolo “Popular music e musicologia” del suo libro Studiare la popular music (MIDDLETON 2001), l’inserimento della voce musica leggera nella recente storia della musica (PRATO 1999), e soprattutto l’apertura di sempre più numerosi corsi di popular music all’interno dei dipartimenti di musicologia e storia della musica nelle università di tutto il mondo. 26 1.2 IL MITO DELL’AMERICA LATINA E DELLE SUE MUSICHE NELLA CULTURA EUROPEA Orizzonte mitico e lontano, terra di fuoco, di feste e vita semplice, esplosione di suoni e colori, l’America Latina da sempre ci appare come un mondo “diverso”, ricettacolo di umanità, ombelico del mondo, patria di vitalità e leggerezza. Dai tempi di Colombo la nostra cultura, italiana ed europea, ha sempre subito il fascino di quelle terre sognate e sognanti. Un fascino che nasceva proprio perché quel mondo era “Nuovo”, e dunque diverso, selvaggio, incontaminato, privo dei nostri schemi culturali, delle nostre leggi morali e civili, dei nostri condizionamenti sociali; in una sola parola “libero” (certo, si fa per dire, visto che, dal “nostro” arrivo, di lotte per la libertà l’America Latina ne ha vissuto parecchie): il mondo della non convenzionalità, dove tutto è consentito, anche il proibito, fino all’eccesso. La patria della spensieratezza, del divertimento, del carnevale, della gioia assoluta, l’isola felice di idilliaci orizzonti. E così, rapiti dall’irresistibile attrazione per quei mondi lontani, abbiamo cominciato a sognarli, a idealizzarli, a costruire nel nostro immaginario collettivo un luogo utopico, un luogo “altro”, sede della diversità, della libertà, della giovialità, della festa, dell’amore. Ognuno di noi in fondo si costruisce il suo mito, il suo spazio ideale, la sua vita immaginaria oltreoceanica: per alcuni l’America Latina rappresenta autenticità, spiritualità, dimensione umana; per altri rappresenta invece il luogo del “bengodi”, della “cuccagna”, del divertimento sfrenato; o ancora può essere vista come la culla di antiche civiltà da riscoprire, di culture e 27 tradizioni; o come il luogo dell’amore, della bellezza, dell’edonismo, delle spiagge immacolate, della fuga dal quotidiano, una dimensione paradisiaca, insomma. Un mito costruito e nutrito da racconti di viaggiatori impavidi, di emigrati, da storie vere o presunte, parole di narratori e poeti, immagini e dipinti, che nel tempo hanno contribuito a delineare i contorni di quel mondo nuovo. Ma è soprattutto la musica, spesso legata alla danza che ad essa si accompagna, l’elemento che più rievoca quei luoghi, con tutta la vita che li anima: ritmi sincopati, melodie strazianti, passi lenti, giravolte, movimenti che risveglino nei nostri spiriti la vertigine della sensualità, della gioiosa vitalità, di tutto ciò che esula dallo scandire della nostra quotidianità. La musica in primo luogo perché essa è per i latino-americani sangue e respiro, è il ritmo della vita, e proprio per questo motivo, trasmessa con maggior energia rispetto ad altre forme di espressione; la musica perché è il mezzo più diretto, più diffuso, più accessibile, e perché è immediata, comunicando sensazioni concrete, materialità, onde energetiche che arrivano dirette alla nostra percezione, facendoci vibrare. Miti, immagini, archetipi, che si configurano dunque nei ritmi delle danze languide e vitali che da tempi lontanissimi animano la vita dell’America Latina, governano il tempo quotidiano, scandiscono le ore e gli eventi. Così si riverberano in noi, risvegliando le passioni dimenticate e sepolte nei più remoti anfratti delle nostre coscienze. Ed ecco che si destano sopite memorie, assopiti palpiti vitali, che pur fanno parte del nostro sangue latino, di quel filo che da sempre ci lega alle terre d’oltreoceano, ma che a volte, presi dal ritmo tecnologico della modernità, obliamo o nascondiamo. Entrare in quel mondo, essere per un momento abitanti di quel mito, significa 28 riappropriarsi di questa vitalità latente, riaprire le stanze socchiuse ove si celano e conservano i segreti nascosti dello spirito e del corpo. L’America Latina è intrisa di musica in ogni aspetto della vita: la musica è nei rituali delle popolazioni indigene, dai tempi precolombiani, la musica è nelle strade delle grandi città, nei locali, nei cortili; una musica da sempre espressione e affermazione orgogliosa della propria identità, radicata indissolubilmente alla cultura, eppure sempre aperta al rinnovamento. La ricerca musicale latino-americana si è infatti estesa dalla musica da ballo al rock, al jazz, alla canzone, al rap, e ha a sua volta influenzato, anche col suo stile e il suo modo di essere, la popular music internazionale, contribuendo alla sua diffusione nel mondo. Terra di conquista, da sempre approdo di rotte transoceaniche, crogiuolo di etnie, laboratorio culturale, l’America Latina ha sempre lottato per non perdere le proprie radici, che sono profondamente legate alla musica; e forse proprio per questo la musica latino-americana rappresenta “la forza vitale della musica del mondo”. “È un altro modo di fare musica”, sempre attuale, brillante, innovativo, eppure ancora “legato alla manualità, al rapporto fisico con gli strumenti, a quel tipo di energia che solo il corpo umano riesce a produrre e a imbrigliare in un ritmo”.16 Le musiche e le danze latino-americane sono ibridi derivati dalla fusione di elementi della tradizione autoctona, con la sovrapposizione di quelli africani ed europei. Musica e danza, espressioni favorite in tutte le società afro, sono indissociabili perchè nascono come balli e insieme come generi musicali, espressioni ancestrali e vivifiche dell’interiorità umana. 16 16 LAYMARIE 1997: 128-137 29 La danza in primo luogo è infatti “la madre delle arti”, è vita, espressione e affermazione del corpo e della mente: “tutto è presente nella danza, il corpo, che nell’estasi viene trasceso e dimenticato per diventare ricettacolo della sovrumana potenza dell’anima; l’anima, che trae una felicità e una gioia divina dall’accresciuto movimento del corpo liberato d’ogni peso”.17 “Data la profonda e larga sfera di azione della danza, nulla possiede uguale valore nella vita delle civiltà primitive”,18 come anche, in un certo modo, in quelle moderne. La danza è festa, è rito, è spettacolo, è gioco e libertà. E alla danza è indissolubilmente legata la musica, l’elemento ritmico, il suono. Per questo non possiamo parlare dell’influenza della musica latinoamericana nel nostro continente prescindendo dall’elemento corporeo e motorio; dopotutto bisogna tenere in considerazione il fatto che la maggior parte di quelle musiche latino-americane sono giunte a noi insieme alle danze ad esse relative. Caratteristiche fondamentali delle musiche e dei balli latino-americani, sono la pulsazione ritmica accentuata , il ritmo coinvolgente, la valenza eroticosensuale, la passionalità, i movimenti allusivi, la schematicità dei passi, la malinconia che spesso si cela dietro l’apparente allegria.19 “Le musiche latino-americane attingono la loro vitalità dal loro continuo oscillare tra tradizione e tempi moderni. Sempre in contatto con le antiche correnti madre e sempre disposte ad accogliere nuove idee, rimangono una 17 SACHS 1996: 22 18 SACHS 1996: 23 19 Basti pensare alla famosa lambada che, come vedremo in maniera più approfondita in seguito, dietro una musica accesa e brillante e movimenti eroticamente “spinti”, nasconde una storia d’amore triste e dolorosa. 30 fonte feconda alla quale il mondo odierno, a volte stanco della musica anglosassone, torna e ritorna ad abbeverarsi.”20 Così arrivano a noi, con tutta la loro potenza e intensità. E così le desideriamo e ricerchiamo, da secoli e secoli, coltivando quel filo diretto che dalle Americhe ci trasmette tutto quel bagaglio di suoni e gesti, alimentando quel mito e continuando a farci ballare e sognare. 20 LAYMARIE 1997 31 1.3 I RITMI E LE SONORITÀ DELL’AMERICA LATINA NELLA MUSICA EUROPEA E NELLA POPULAR MUSIC Vogliamo dunque ripercorrere brevemente quelli che nel tempo sono stati gli influssi della musica latino-americana in Europa e nella popular music internazionale. La “colonizzazione musicale” – e in particolare quella che interessa l’influenza della musica latino-americana nella nostra cultura – è un fenomeno che dura da secoli e continua tuttora, anche se spesso non tutti siamo consapevoli di quali siano i meccanismi che lo attivano, quali le rotte di trasmissione, quali le forme di ricezione; tuttavia è un evento molto importante che ha condizionato nello spazio e nel tempo la storia e la geografia musicale mondiale. Le influenze tra musica latino americana ed europea iniziarono già ai tempi della conquista del nuovo continente. Dapprima fu infatti l’Europa a portare all’America le sue conoscenze musicali, quando, per evangelizzare le popolazioni indigene, i gesuiti integravano musica e dottrina. Quando i conquistadores arrivarono a colonizzare il Nuovo Mondo, trovarono popolazioni che avevano forti tradizioni musicali, essendo per loro la musica una importantissima forma di comunicazione primaria. Musica e danza erano già allora profondamente legate e parte integrante e fondamentale della loro cultura. Le prime testimonianze di danze e musiche latino-americane nel nostro continente risalgono al 1517, appena venticinque anni dopo la prima impresa di Colombo. È il poeta spagnolo Torres Navarro a citare una danza che poi si scoprirà di origine ispanoamericana: la ciaccona. Poco dopo, in un 32 intermezzo di Simon Aguado, El platillo, composto nel 1529 per celebrare le nozze dell’Infante don Filippo, figlio di Carlo V si legge: Chiqui, chiqui, morena mia, si es de noche o si es de dia. Vamonos, vida a Tampico antes que lo entienda el mico que alguien mira la chacona que ha de quedar echo una mona Il protagonista di questi versi invita dunque la sua “morena” ad accompagnarlo a Tampico, in Messico, per ballare la ciaccona. Già in questi versi è esplicito il carattere erotico e sensuale di questa danza d’origine americana, la quale è generalmente associata alla baldoria, alla gioia sfrenata e al piacere dei sensi. Nel Romancero General, risalente alla metà del Cinquecento, la ciaccona è diventata ormai il sinonimo di “Cuccagna”, di isola felice. Il romance n° 1347, intitolato appunto La isla de la Chacona spiega:21 Esta tierra, amigos mios, es la Isla de Chacona, por otro nombre Cucaña, che de ambos modos se nombra In tutte le testimonianze rimasteci22 si evidenzia il carattere erotico della ciaccona, e si percepisce come già da allora musiche e danze latinoamericane fossero sinonimo di gioia, vitalità, divertimento. Subito dopo la ciaccona compaiono altri balli di origine “amerindia”: 21 GIAN NICOLA SPANU: “La Isla de la Chacona”. Riflessioni sulla muscia della Vecchia e Nuova Spagna, intervento al seminario di studi dal titolo Suoni Immagini Sapori, la vita intorno al 1492, organizzato dal dipartimento di Storia dell’Università degli Studi di Cagliari il 18 dicembre 1992. 22 Tra cui: LUIS BRICEÑO (Método...para tañer la guitarra a lo español, pubblicato nel 1626); LOPE DE VEGA (El amante agradecido, del 1618); QUEVEDO (Genealogía de los bailes); MIGUEL DE CERVANTES (La Ilustre Fregona). 33 Guineo, Paracumbé, Zambapalo, Zarambeque, Sarabanda, tutti accomunati dal denominatore comune della sensualità. Ed è proprio la sensualità, e l’erotismo che pervade queste danze la ragione per cui le autorità, e in primo luogo quelle ecclesiastiche, si erano opposte fermamente all’introduzione di queste danze in Europa: repressioni testimoniate da innumerevoli bandi rimastici.23 Divieti destinati però a cadere nel vuoto, visto che non solo i balli latinoamericani continuarono a imperversare, ma nel 1593 troviamo addirittura la sarabanda tra i balli che accompagnavano i festeggiamenti del Corpus Domini organizzati dal capitolo della cattedrale di Siviglia.24 Forse anche a causa di questi vincoli morali la ciaccona ed altri balli, dopo un certo periodo di permanenza in Europa, persero la componente maliziosa e sensuale, tanto che risulta difficile pensare che la ciaccona della seconda partita per violino solo di Bach o quella che conclude la Quarta sinfonia di Brahms abbiano un’origine così ribalda. Già nella Chacona di Antonio Martìn y Coll, compositore spagnolo della seconda metà del Seicento, la ciaccona è una musica “seria”, lenta nel suo incedere ternario su un severo basso ostinato.25 Intanto, col passare del tempo, sempre nuovi bailes arrivavano dal Nuovo 23 Citiamo a questo proposito uno dei più noti, Actas de la sala de Alcades de Casa y Corte de su Magestad, 3 agosto 1583: “Che nessuno osi cantare né recitare a casa né per la strada né in qualsiasi altro luogo il canto che chiamano Zarabanda, né simili, sotto pena di 200 frustate a ciascuno contravventore, agli uomini sei anni nelle galere, alle donne l’esilio dal regno”. 24 Le censure non mancarono neanche in tempi più moderni: il Manifesto dell’8 agosto 1990 riporta una notizia diffusa socondo la quale le autorità governative del Vietnam, mettendo in atto un progetto di radicale moralizzazione della società, proibivano in tutto il paese il ballo della lambada. 25 GIAN NICOLA SPANU: “La Isla de la Chacona”. Riflessioni sulla muscia della Vecchia e Nuova Spagna, intervento al seminario di studi dal titolo Suoni Immagini Sapori, la vita intorno al 1492, organizzato dal dipartimento di Storia dell’Università degli Studi di Cagliari il 18 dicembre 1992. 34 Mondo, come l’habanera (danza originaria dell’Avana) o il paso doble. Nel 1789 il francese Moreau de Saint-Méry scrive un trattato sulla danza delle Antille francesi e nel 1820 il famoso maestro di danza parigino Charles Blasis riserva un capitolo del suo trattato alla descrizione delle danze negroamericane.26 Durante i secoli XVIII e XIX la composta società borghese nei confronti del Nuovo Mondo si limitò perlopiù all’ammirazione delle sue espressioni, nel frattempo che si esaurivano lentamente le risorse della danza europea. Curt Sachs, padre dell’etnomusicologia, descrive infatti “la crisi di passione e partecipazione in cui precipitano i balli da sala nell’Europa della fine del XIX secolo. Essendo il ballo uno specchio sempre fedele del vivere sociale, il suo impoverimento diventa inevitabile, in una società artificiosa come quella”. Svuotate di senso e di emozione le danze europee trovano nel terreno fertile della musica latino-americana, nuova linfa cui attingere. “Un mondo intero si svela, aprendo il campo ad una dimensione liberatoria”. “Irrompe la seduzione collettiva: alla ricerca dell’espressività perduta, tutti si fanno conquistare”.27 A fine Ottocento irrompono con tutta la loro energia, la loro varietà, la loro libertà di movimento, le nuove danze d’oltreoceano, a liberare finalmente dalla monotonia della danza europea: arriva la maxime brasiliana, nel 1910 il tango argentino,28 negli anni Venti la rumba cubana, poco dopo il danzón 26 SACHS 1966: 479 27 LAYMARIE 1997 28 Il Tango: nasce intorno al 1870 dall’habanera (originaria di Cuba), caratterizzato da un melodia sincopata del basso, da una tecnica difficile, densità sonora, fraseggio cadenzato, lamento lancinante, passionale. A inizio 900 compaiono i primi trii (clarinetto o flauto, violono, chitarra o arpa), e i quartetti forniti di bandoneon che, sostituendo il flauto, diventerà lo strumento chiave del tango. Poi l’orchestrà tipica sarà formata da violino, flauto, chitarra o piano, bandoneon, per poi passare al Sexteto: due violini, due bandoneon, piano, contrabbasso. Verso il 1905 si diffonde 35 (nato dal bolero spagnolo).29 Caratteristica comune è sempre il carattere erotico molto marcato, accompagnato da ritmi brillanti e coinvolgenti. Il tango soprattutto arriva sotto forma di delirio per la danza, coinvolgendo persone di ogni età e ceto sociale: “la follia del tango testimonia che l’uomo dell’età delle macchine, con il suo orologio da polso dall’ora incalzante, con il suo cervello in continua azione per preoccupazioni e calcoli, prova la stessa necessità di danzare proprio come l’uomo primitivo”.30 “Pensiero triste che si balla”,31 il tango è fatto di solitudine, sconforto, sentimenti melodrammatici, passionalità totale. Censurato negli anni ’30 e ’40, per questa sua natura passionale e le sue allusioni erotiche, il tango ritrova nuova linfa più tardi, influenzato anche dal jazz, e poi negli anni ’60 con Astor Piazzolla, che rivoluzionerà il genere introducendo il tango da concerto.32 Siamo passati dunque al secolo scorso, senza dubbio quello “dell’esplosione latino-americana”: è infatti durante tutto il ’900, anche grazie all’avvento dei nuovi mezzi di comunicazione – come il grammofono e la radio e più tardi con i mezzi di comunicazione di massa – che la diffusione delle danze latino americane si sviluppò più intensamente, dapprima negli Stati Uniti e poi in tutta Europa, che si infervorò subito per la sensualità di rumba, conga, mambo e biguine. Insieme alle altre danze latino-americane arrivavarono anche gli scatenati blues, charleston, fox trot, ragtime: “non si potrebbe in tutta l’America Latina e anche in Europa e Stati Uniti. Col tempo assume caratteristiche più complesse, adotta la battuta in 4 tempi, ma mantiene i ritmi del candombe e della milonga. 29 Da “Il baile che risveglia la passione” di Leonetta Bentivoglio, in LAYMARIE 1997: 132-135. 30 SACHS 1966: 480-481 31 Enrique Santos Discepolo, noto paroliere e musicista argentino della prima metà del 900. In LAYMARIE 1996: 106. 32 LAYMARIE 1997: 16-21 36 immaginare un contrasto più grande rispetto alla monotonia dei passi e delle melodie della fine del secolo XIX”.33 “Il XX secolo ha riscoperto il corpo; mai dall’antichità esso è stato così amato, così sentito, venerato”.34 Alla fine degli anni ’30 nasce il latin-jazz dall’incontro di musicisti cubani con quelli afro-americani (Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Thelonious Monk) ormai stanchi del swing. Si uniscono così i ritmi delle percussioni sfrenate di cuba, alle soluzioni armoniche del be-pop. Prima è il jazz a entrare in un’ orchestra cubana (The Afro-Cubans); è Gillespie che incorpora invece, per la prima volta nella storia del jazz, i tamburi latini in una big-band americana. Il jazz è stato il primo genere musicale ad essere fortemente influenzato dalle componenti latino-americane, in particolare da quelle brasiliane. La musica brasiliana e il jazz hanno difatti una lunga storia che li unisce, che ha radici nella loro comune origine africana. Nel tempo i due generi si sono reciprocamente influenzati, tanto da aver creato una tradizione che unisce samba e bossa nova al jazz: il jazz samba. Così la bossa nova ha contagiato l’intero mondo jazz, che in quel genere trovò nuova linfa vitale, dando inizio a un processo di infiltrazione della musica brasiliana in quella americana (soprattutto negli anni ’60 , ’70 e ’80). Protagonisti di questa “brasilian invasion” furono tra i tanti Baden Powel, Sergio Mendez, Herbie Hancock, Chick Corea, fino ad arrivare alle più moderne contaminazioni di musicisti come Egberto Gismondi, che hanno contribuito ad allargare la moderna concezione del jazz.35 33 SACHS 1966: 479 34 SACHS 1966: 481 35 Da “La musica brasiliana e il jazz” di Paolo Biamonte, in www. terrabrasilis. org/bossaejazz. html. 37 Tornando agli anni ’40 e’50, in cui queste contaminazioni diventavano sempre più importanti, l’impulso del latin-jazz in Europa coincide con la moda della rumba, del mambo (incontro di danzón e jazz) e del cha cha chá (mambo più strutturato, con uno stacco caratteristico sul terzo tempo). 36 E ancora negli anni ’50 impazzano biguine, mambo, e il calypso di Harry Belafonte. Tutte queste danze non sono state assimilate dagli europei in modo integrale, sono invece sempre state adattate alla nostra civiltà, misurate, ridimensionate: si tratta appunto di influenze, contaminazioni, emulazioni. Non era possibile infatti che la società borghese europea riprendesse le movenze ardite del tango, o il ritmo concitato del samba senza assimilarli alla propria tradizione, alle proprie abitudini. È questione non solo di mentalità e cultura, ma anche di sangue: nessun europeo può appropriarsi di una danza latino-americana e padroneggiarla come farebbe un nativo dell’America Latina, non la sentirebbe e non la interpreterebbe mai allo stesso modo, poiché non ha uno spirito né un fisico di un habanero o di un carioca. Per capire questo concetto basti pensare, non solo alla già citata ciaccona, che col tempo assunse caratteristiche ben diverse dalla sua versione originale, ma anche per esempio agli anni ’60, periodo del boom economico, quando i grandi interpreti italiani si cimentavano in biguine, mambo, rumba riadattandoli nei vari Abbronzatissima, e Cha Cha Cha della segretaria, conservando dai modelli originali solo il lato divertente, obliando totalmente quello sociale e ogni volta diluendo quegli stilemi musicali con la matrice melodica nostrana. 36 LAYMARIE 1997 38 In quello stesso periodo in Italia ebbe notevole influenza anche l’avvento della bossa nova (Tom Jobim, João Gilberto, Toquinho, Vinicius de Moraes) che sedusse cantautori e interpreti come Sergio Endrigo, Mina e Ornella Vanoni, anche se la tendenza era quella di rifare, più che quella di produrre materiale originale.37 L’influenza dei ritmi e dei musicisti nella musica leggera in Italia era anche quella del carnevalesco samba di Carmen Miranda, e del nuovo tango argentino rappresentato da Astor Piazzolla. Negli anni ’70, complici il sole delle riviere e l’esplosione dei juke-box, si diffondono sempre più i ritmi d’oltreoceano, che diventano colonne sonore del divertimento e dei balli. Ma c’è anche un altro versante musicale che assume notevole importanza: quello della canción protesta,38 formata da creatori uniti dalla stessa passione per la musica e dallo stesso ideale per la libertà, scaturita da una situazione politica repressiva e dalla conseguente lotta per l’edificazione di una società di giustizia. In Italia particolarmente significativa fu la presenza degli Inti Illimani, musicisti cileni costretti ad emigrare per le repressioni e le censure che intorno al ’68 colpirono molti paesi latino-americani. Molti altri furono i musicisti di diversi paesi dell’America Latina costretti all’esilio per poter esprimere la loro arte: in 37 La bossa nova (“nuova moda”, “nuovo stile”) nasce a Rio de Janeiro prendendo il posto del samba-canção: sobria e discreta, con il tipico canto sussurrato (canto falado, parlato), attinge spunti armonici al cool jazz. Nel 1958 João Gilberto usa un nuovo modo di suonare: a ritmo di batida, sfalsato rispetto al canto. Lo stesso ritmo con cui poco tempo dopo Antonio Carlos Jobim comporrà le celebri Chega de saudade e Desafinado. Jobim compone con un sottile equilibrio tra ritmo, armonia, melodia, parole. Vinícius de Moraes è “o poeta” che “crede alla musica della poesia”, come Jobim “crede alla poesia della musica”. Di Jobim è Garota de Ipanema hit mondiale della bossa nova che veniva definita allora come il “nuovo jazz brasiliano”. 38 Confronta a tal proposito Meri Franco-Lao, Basta. Storia rivoluzionaria dell’America Latina attraverso la canzone (FRANCO-LAO 1970). 39 Italia ricordiamo ancora i brasiliani Vinicius de Moraes, Toquinho, Chico Buarque. Tutti questi modelli daranno luce a varie tendenze di emulazione e imitazione da parte di molti artisti italiani, come Fabrizio De Andrè (da Creuza de ma, devoto alla tecnica raffinata dei chitarristi brasiliani), il già citato Endrigo, e ancora Ivano Fossati (che come vedremo in seguito attinge a piene mani dal serbatoio musicale latino-americano), Paolo Conte, Vinicio Capossela, per non parlare dell’impulso che ha avuto nel tempo la musica reggae. Il reggae si diffonde nel mondo negli anni ’70 con Jimmi Cliff e soprattutto con Bob Marley: cantanti che si esprimono in creolo giamaicano e rivendicano le radici popolari, denunciano la povertà, l’ingiustizia, la violenza, diffondendo l’ideologia rasta.39 Da questo impulso in Italia sono nati moltissimi gruppi reggae, tra cui Africa Unite, Pitura Freska, Rebbae National Ticket, Almamegretta. Negli anni ’80 queste tendenze latino-americane sono un po’ adombrate dall’imperare della disco-music, ma tornano negli anni ’90, con le musiche leggere e ballabili come lambada, soca, macarena, e i ritmi andini e cileni dei panflutes.40 Ma naturalmente non è stata solo la musica italiana ad essere influenzata da ritmi, melodie, stilemi di tutta la musica latino-americana. Come abbiamo visto infatti già dal ’500 troviamo segni di questa “colonizzazione musicale”, fino ad arrivare ai giorni nostri in cui si assiste a un continuo 39 Nel reggae l’aspetto tecnico è secondario rispetto a quello spirituale, più importante. L’obiettivo della filosofia reggae è infatti “conivolgere le anime dei fratelli emigrati e senza meta nel lungo pellegrinaggio che porta a Jah (il dio rasta), alla madre Africa, alla terra promessa dove tutti potranno tornare senza temere giudizio”. Roberto Mancinelli , in LAYMARIE 1997: 138-141. 40 LAYMARIE 1997: 150-155 40 attingere da quelle musiche, soprattutto nella popular music: dalla musica ballabile, alla canzone d’autore, al rock, al jazz, il nostro universo musicale non smette di riverberare la passionalità, la sensualità, l’intensità, la vitalità che l’America Latina da ormai cinquecento anni infonde, trasmette e contagia nella sua inconfondibile musica. 41 2. L’IDEA DEL NUOVO MONDO NELLA CANZONE DI IVANO FOSSATI 42 2.1 IVANO FOSSATI: LA SUA VICENDA ARTISTICA Benché il nostro studio riguardi essenzialmente le ascendenze latinoamericane nella canzone di Ivano Fossati, ci sembra opportuno presentare, le fasi salienti del percorso artistico dell’autore facendo riferimento in primo luogo ai suoi album, senza tralasciare le altre creazioni. Proveniente da una famiglia di musicisti e di appassionati di musica, 41 Ivano intraprese in tenera età lo studio del pianoforte sostenendo, da privatista, gli esami al Conservatorio di Genova. Il suo interesse “globale” per la musica si manifestò comunque, ben presto, anche nell’attività in vari complessi rock.42 Si trattava dei consueti gruppi, tipici della cultura giovanile degli anni ’60’70 che trovavano nelle cantine e nei garages i luoghi deputati per le loro interminabili e appassionate prove. Il giovane Fossati, in questi complessi, tra cui citiamo i Jerrings, in cui si collezionavano solo fischi e fiaschi, da vero polistrumentista, suonava la chitarra e il flauto. Ma nelle difficoltà della “gavetta” il nostro individuava con sempre maggiore chiarezza la sua strada, rafforzava la sua vocazione e la sua formazione riuscendo a lavorare in gruppi di qualità sempre maggiore. Nel 1967 fu fondamentale la scoperta del sassofonista jazz Stan Getz (che all’epoca suonava molta bossanova), un incontro che lo convinse ancora di più che la sua vita era “dentro la musica”,43 gli aprì nuovi orizzonti musicali, gli fece capire l’importanza 41 “La musica in casa è sempre girata. Molti di noi erano musicisti professionisti. Un cugino era direttore d’orchestra […] e un mio zio era clarinettista. Tutti suonavano e pernsavano che la musica fosse un’occupazione seria. Non solo dunque non sono mai stato ostacolato nel diventare un musicista, ma ho ricevuto consigli e incoraggiamenti continui.” COTTO 1994: 33 42 “Suonavo nei gruppetti senza futuro della città, nelle cantine, ma studiavo da privatista anche al Conservatorio. […] Studiare la musica mi è servito tantissimo. Mi serve ancora oggi”. COTTO 1994: 37 43 COTTO 1994: 39 43 della tecnica strumentale e fece nascere in lui, come si è accennato, la passione per il flauto che suonava con il metodo Kirk (cioè parlandoci e cantandoci dentro). La sua adolescenza, in fatto di gusti musicali, era “abbastanza atipica”,44 già da allora coltivava l’interesse per vari generi: il pop (come lo Spancer Davis Group,Procol Harum), il rock, il beat (Beatles,Equipe 84), il jazz45 (come il Modern Jazz Quartet, Duke Ellington, Keith Jarret)46, il blues britannico e le sonorità brasiliane (fra cui Tom Jobim, Chico Buarque de Hollanda, Edu Lobo, Joao Bosco).47 Ci si può chiedere quale sia stato il rapporto con il fertile ambiente musicale genovese, affollato in quegli anni da nomi del calibro di Fabrizio De Andrè, Gino Paoli, Bruno Lauzi, Luigi Tenco. In effetti dai suoi scritti e dalle interviste non si evince un’esplicita influenza di questi musicisti nella sua formazione, anzi lo stesso Fossati ha negato ripetutamente l’esistenza della cosiddetta “scuola genovese”. Si trattava di esperienze individuali, non riconducibili ad una linea unitaria e univoca; è innegabile però la densità di esperienze e di passioni in un ambito, quello genovese, relativamente ristretto. Una densità che sicuramente ha coinvolto l’inconsapevole Fossati, interessato a quell’epoca più a suonare che a scrivere canzoni, ma che incubava, crediamo, la passione per la “poesia cantata”, la cifra che innegabilmente, al di là delle specificità dei singoli, accomuna i grandi nomi che abbiamo appena citato. 44 COTTO 1994: 39 45 A proposito Fossati racconta: “Il jazz è una passione antica, nata attraverso la bossanova, che è jazz cantabile, soprattutto le composizioni di Jobim”. I primi jazzisti cui si avvicinò furono: Wes Montgomery, Herbie Mann, Quincy Jones, e poi Herbie Hancock, Ron Carter. COTTO 1994: 98 46 Il Concerto di Colonia fu importante per Fossati, perché gli fece conoscere un modo “nuovo e coraggioso di suonare il pianoforte”. COTTO 1994: 98 47 Fossati ha un grande legame con la musica brasiliana, rafforzato dall’amicizia con il carioca Ivan Lins, il suo “fratello musicista”, con cui ha scritto varie canzoni (pubblicate in America). 44 Solo in un secondo momento si avvicinò a cantautori come De André, Conte, De Gregori e ai chansonniers parigini,48 insomma alla “magia della parola”, visto che inizialmente considerava la musica solo dal punto di vista strumentale.49 Insieme a questa varietà c’è naturalmente anche il grande interesse per la musica classica e contemporanea, diventato col tempo sempre più presente e importante. A diciotto anni fu coi Garybaldi, un gruppo “che a Genova era un’istituzione”,50 e nel ’70 passò ai Saggittari, quelli che poi diventarono i Delirium e che lo portarono al successo. La prima volta che cantò fu quasi per caso, e dopo furono gli altri a spronarlo, per quel suo cantare “in modo strano”.51 Anche per la composizione di parole e musica furono altri a spingerlo e ad incoraggiarlo, come Oscar Prudente, che fu per la scrittura dei testi di grande stimolo per lui.52 Lui stesso ci racconta che ha cominciato a scrivere un po’ d’istinto ma non ha funzionato subito: ci sono voluti anni perché i suoi testi diventassero per lui importanti quanto le parti musicali, e solo dopo un lungo percorso di maturazione, passato attraverso cover e traduzioni, essi divennero vera e sincera espressione di sé. Così accadde per la voce, per il suo modo di cantare che, da impostato e roco, divenne sempre più spontaneo e naturale. 48 Tra i francesi amava Brel, George Brassens, Charles Trenet, Maurice Chevalier, Edith Piaf, Gilbert Bécaud, Boris Vian. COTTO 1994: 97-98 49 “All’inizio, la musica era per me un fatto quasi esclusivamente strumentale, era la magia del suono a colpirmi, non la magia della parola, tant’è vero che nei primi dischi, se avessi potuto, avrei fatto molto volentieri a meno di cantare”. COTTO 1994: 40 50 COTTO 1994: 40 51 FOSSATI 2001: 29 52 FOSSATI 2001: 30 45 Un viaggio di consapevolezza e maturità dunque è quello che ha percorso l’autore dal suo incontro con la musica fino ad oggi, una linea ascendente, sempre in evoluzione, in continua ricerca. Fossati è cambiato molto nel tempo, tanto che a volte si stenta quasi a riconoscerlo, ascoltando i vecchi dischi, ma è rimasto sempre fedele a se stesso, al proprio progetto, alla propria natura. Ma torniamo dunque al periodo di Fossati con i Delirium, il periodo dei primi album e dei primi successi. Dalla collaborazione con i Delirium53, tutti musicisti appassionati di jazz, nacque l’album Dolce Acqua,54 grande successo del 1971, lavoro per quei tempi “decisamente d’avanguardia ma di linguaggio chiaro e semplice”,55 pur con certe inesperienze e ingenuità. Musicalmente il disco passa dal rock alla canzone melodica con notevoli influenze jazz (come nel brano To satchmo, bird and other unforgettable friends) e sudamericane (come nel Preludio) e per quanto riguarda la forma “segue la tendenza di quegli anni: complicare tutto ciò che era semplice e che poteva essere semplicissimo[…] dare significati reconditi a ogni cosa”.56 L’album è strutturato in preludi, sequenze, movimenti e ogni brano è distinto da un sentimento, a creare una sorta di percorso musicale all’interno della sfera affettiva: paura, egoismo, dubbio, dolore, ipocrisia-verità, perdono, libertà, speranza. 53 I Delirium erano: Ivano Fossati, Marcello Reale, Peppino Di Santo, Ettore Vigo, Mimmo Di Martino. Prima di chiamarsi Delirium il nome del gruppo era i Saggittari. Il nuovo nome nacque in coincidenza della produzione per la Fonit Cetra. 54 Prodotto dalla casa discografica Fonit. 55 Note al disco, in COTTO 1994: 46 56 Sulla falsariga anche del gruppo inglese King Crimson. 46 I brani, composti a quattro mani da Fossati (che qui suona flauto, chitarra e armonica) e Magenta, sono frutto del lavoro collettivo del gruppo e rappresentativi perciò di quel periodo storico, non certo dell’Ivano Fossati attuale, il quale confessa di non riconoscersi più in quei lavori, né tantomeno in quel modo di cantare impostato, per nulla naturale.57 L’album ebbe grande diffusione e fu ben accolto da critica e pubblico,58 come gli altri grandi successi internazionali dei Delirium, due inni popreligiosi misticheggianti: i singoli Il canto di Osanna del 1971 (Fossati-Di Palo) e Jesahel del 1972 (Fossati-Prudente), vincitore del miglior testo al festival di Sanremo di quell’anno. Fu proprio il successo a dare alla testa ai componenti del gruppo, che persero la spontaneità e l’entusiasmo che li avevano portati sin là. Così, quando già Fossati l’aveva abbandonato, avendo intrapreso la sua strada da solista, anche il resto del gruppo si sciolse. Due anni più tardi, nel 1973, uscì il primo disco da solista col nome di Ivano Alberto Fossati: Il grande mare che avremmo attraversato.59 L’autore confessa che, se potesse, cambierebbe ora quel titolo così intriso di pessimismo, ma che quel lavoro aveva per lui il grande valore di essere il frutto di un progetto preciso (che coi Delirium era venuto a mancare), di 57 Fossati stesso racconta: “Imitavo consapevolmente David Clayton Thomas dei Blood, Sweet and Tears. Non possedendo il suo vocione tentavo di ingrossare la voce, con risultati davvero buffi. Per fortuna con il tempo ho riconosciuto l’errore e ho cominciato a cantare in maniera più personale”. COTTO 1994: 47 58 L’album fu accostato dalla critica a certe opere dei Traffic e degli Jethro Tull, di cui infatti Fossati all’epoca era appassionato. 59 Nell’album, edito dalla Cetra, Ivano Fossati, oltre ad aver scritto tutti i testi e le musiche, suona i flauti, l’ottavino, le chitarre, l’armonica, e partecipa agli effetti vocali e all’arrangiamento. 47 un’idea coerente, e di essere rappresentativo dei suoi gusti musicali, che in quel periodo erano influenzati molto dal jazz.60 Fin da questo primo lavoro si delinea un tema che sarà di costante importanza nella sua produzione: quello del mare, il mare visto come grande madre, fonte di vita, mare come mistero, come viaggio, metafora dell’esistenza. Il disco è percorso da una profonda malinconia, che si trasforma a volte in angoscia, espressioni di pessimismo e dolore che si delineano dalla prima canzone che dà il titolo alla raccolta: Il grande mare che avremmo attraversato. Il verbo al condizionale infonde un sentimento di tristezza, di nostalgia per qualcosa di perduto, o meglio di qualcosa che non è mai stato, sentimenti legati fin d’ora alla presenza del mare. Mare crogiuolo di sogni e speranze, poiché, aldilà di questa tristezza, è lì che si scorge una via di fuga, il luogo dove intraprendere un viaggio che porti nuove cose (“partire / qui davanti a me / c’è il mare / ce la potrei fare”). Il brano è ripetuto, con qualche variante, alla fine della raccolta (Il grande mare che avremmo attraversato – parte II e finale), dunque i due brani omonimi, essendo il primo e l’ultimo, creano una sorta di cornice alla raccolta; le due collocazioni sono significative visto che, come detto, è la stessa canzone che dà il titolo all’album. In questo brano finale, che può dunque considerarsi come seconda parte del primo, c’è un altro riferimento al viaggio, che smentisce un po’ le speranze accennate nella prima parte: “Ma dentro me / c’è una barca che non parte / ma dentro me /c’è un uomo che non sa / che bisogno c’è di partire per poi / non pensare che a tornare”. 60 COTTO 1994: 54 48 Un altro tema fondamentale, oltre quello del mare, si delinea dunque già da questo primo brano: il viaggio, come speranza, fuga, ritorno, libertà. Temi che si ripresentano nel brano All’ultimo amico, che come Fossati stesso dice, è la prosecuzione logica di Il grande mare che avremmo attraversato, ed è “un’antologia di vene malinconiche”.61 Qui il mare è sentito come qualcosa di profondamente radicato, un’influenza essenziale che segna la sorte di chi lo vive: “Con il mare proprio sotto casa mia / il mio destino in fondo quale vuoi che sia”, poiché come Fossati stesso ha sottolineato, la presenza del mare, il fatto di averlo davanti ogni giorno, non può non condizionare la vita, perché è un continuo richiamo a partire, a scoprire cosa c’è aldilà, e alla libertà (“ho scelto la mia vita libera / può darsi che non torni più”), dunque anche qui il mare è accostato al viaggio, alla partenza e al ritorno (“il vento la mia vela sempre più grande renderà”, “se avrò voglia di tornare / certamente lo farò”). E ancora questi argomenti si ripetono in Vento caldo, vento caldo che “porta tempesta”, cattivo presagio in una vita piena di dolore e solitudine in cui anche la natura è ostile. Infatti qui il mare è visto in maniera negativa (“L’acqua più è vicina al porto e più sporca è”), come ostacolo, barriera (“nero fazzoletto di mare tra i miei sogni e me”), qualcosa che “fa paura”; anche il sole non è fonte di luce (“il sole mi ha bruciato gli occhi”), perciò ne consegue una vita aspra, dura, senza speranza (“in mezzo a tanto sale il mio pane si è fatto amaro”, “Le mie mani con il tempo ormai son diventate reti / navigando tra tempeste di silenzi e di lontani echi / quando penso / che potrei star meglio mi dico che / l’uomo più è vicino al dolore e più giusto è”). La via da percorrere è in questa vita una “rotta scura”, e la metafora 61 COTTO 1994: 55 49 continua paragonandosi a una “barca su uno scoglio come un uomo dal cuore squarciato”, gonfio di dolore e di pianto. Sentimenti di oppressione e pessimismo percorrono tutto l’album: si ritrovano in modo simile in La realtà e il resto, canzone intrisa di insofferenza, e in Riflessioni in un giorno di luce nera (il titolo è abbastanza esauriente) in cui il sole è scomparso e il cielo è di un “grigio malato”: atmosfera consona ai pensieri di totale pessimismo verso cose e persone, che contrasta però con la melodia della canzone, tutt’altro che triste, sottolineata da un coretto “sanremese” che, Fossati precisa, non corrispondeva proprio alle sue intenzioni, ma piuttosto al gusto dei coristi.62 Un coro decisamente diverso, di ispirazione brasiliana, si trova invece in Canto nuovo, canzone altrettanto malinconica delle altre, interamente intrisa dell’influenza di alcuni musicisti brasiliani come Edu Lobo e Joao Bosco, interpreti di un “altro Brasile”, meno sdolcinato di quello conosciuto, più duro, quello cui è rivolto l’amore di Fossati, “quello distante dall’oleografia di cartolina”.63 Nella raccolta si trovano anche due brani strumentali che rivelano l’interesse e la passione per il Brasile da parte di Fossati: Jangada e Da Recife a Fortaleza. Il primo prende il nome dalle barche dei pescatori brasiliani (anche qui dunque c’è un riferimento al mare), e come l’autore dichiara è l’imitazione del brano Gula Matari di Quincy Jones, l’altro, più jazzato, è un omaggio alle coste del Brasile. 64 62 Fossati spiega: “Vent’anni fa il tuo controllo sui cori era praticamente inesistente[…] tu chiedevi un coro[…] loro arrivavano in studio, prendeveno una frase, la cantavano e andavano via.” COTTO 1994: 57 63 COTTO 1994: 56 64 COTTO 1994: 54-56 50 L’altro brano strumentale della raccolta è Il pozzo e il pendolo ispirato al racconto di Edgar Allan Poe: le parti strumentali, la cui presenza, inusuale, non era particolarmente gradita dalla Fonit Cetra, sono in questo lavoro più curate rispetto ai testi, e rivelano il modo di comporre di Fossati in quel primo periodo con un approccio più da musicista che da paroliere, “i testi erano allora funzionali alla musica”, costruiti ritmicamente, con gli schemi tipici della forma canzone; fondamentalmente dunque non lo rappresentavano, erano frutto di un procedimento formale più che spontaneo e creativo e giudicati meno importanti, dopotutto egli stesso racconta che inizialmente la sua passione era fare il musicista, non scrivere, né tantomeno cantare.65 L’album subito seguente è Poco prima dell’aurora,66 uscito nello stesso anno di Il grande mare che avremmo attraversato, frutto della collaborazione di Fossati con Oscar Prudente, “grande appassionato di musica sudamericana e brasiliana in particolare”, ma attento anche alle altre sonorità americane. 67 Il loro primo lavoro insieme era stato Jesahel ma in questa nuova opera, rispetto anche al disco precedente di Fossati, ci sono novità: “cambiano gli strumenti, i suoni, le armonie”, e inoltre entrambi tentano di “prendere veramente possesso della musica”, scegliendo i musicisti, gli arrangiamenti, e cercando di far rispettare il più possibile le loro idee. 68 65 “Le mie erano canzoni di un musicista che casualmente sapeva anche scrivere. Solo in un secondo momento ho unito le due facce della medaglia.” COTTO 1994: 55 66 Edito dalla casa discografica Cetra/Numero Uno. 67 COTTO 1994: 63 68 COTTO 1994: 63 51 Sostanzialmente e qualitativamente questo disco non rappresenta un gran passo in avanti rispetto a quello precedente, si notano però alcune variazioni come la minor presenza di influenze jazz e più rock, e come l’impronta di Prudente, che oltre a essere coautore, canta e suona anche alcuni brani, senza nascondere nell’insieme l’impronta fossatiana, soprattutto per quanto riguarda i contenuti. Si ritrova infatti anche qui una certa malinconia di fondo, il senso della solitudine, e ancora il viaggio come via di fuga, come desiderio di cambiare; tuttavia si scorge in lontananza una vena di positività, rispetto al totale pessimismo che ha caratterizzato i lavori precedenti. Poco prima dell’aurora manifesta forse uno stadio intermedio, di passaggio dalla notte, e dunque da una visione scura e negativa, alla luce della speranza. Ciò si scorge ad esempio nel primo brano: È l’aurora (“È l’aurora / è l’aurora / poco ancora /e la notte se ne va”) in cui ad un sentimento di angosciosa solitudine si accosta un pensiero più positivo (“È l’aurora / primavera / vita vera / quante cose mi darà”). O ancora nel brano successivo Prendi fiato e poi vai, si respira un’aria più leggera (“Io credo sia importante nella vita non fermarsi mai / ripartire, rimanere, ritornare forse mai”), di viaggio come ricerca che spesso necessita coraggio (“prendi fiato e poi vai”) perché talvolta la partenza corrisponde ad un addio (“Parto sempre e non torno mai, io mai”). Una particolarità di questa raccolta è che gli ultimi quattro brani (di cui il primo e l’ultimo sono strumentali) sono legati insieme – un po’ sull’esempio di Dolce acqua – da un filo concettuale: tutti e quattro hanno come sottotitolo un desiderio: Tema del lupo (voglia di non aspettare), Lo 52 stregone (voglia di sapere), Apri le braccia (voglia di amare), Gil (voglia di terra). In quegli anni (’73 -’78) insieme con Oscar Prudente, Fossati si dedicò (più per necessità che per passione) ad un’altra attività: quella di scrivere musiche per il teatro, musiche di scena per lo Stabile e il Teatro della Tosse di Genova69 e per lo Stabile di Torino. Inoltre scrisse musiche per audiolibri (Il giro del mondo in 80 giorni, 1974; I viaggi di Gulliver, 1974; Don Chisciotte, 1976) e per un cortometraggio a cartoni animati (L’uccel Belvedere di Emanuele Luzzati, 1973). Questo genere di lavori troverà seguito lungo tutta la sua carriera, come ad esempio nel 1993 con le musiche di scena per lo spettacolo Magoni di Lella Costa, con colonne sonore per il cinema, o con il Concerto in versi (1999) con la voce recitante di Elisabetta Pozzi, di cui parleremo più avanti. Good-Bye Indiana (Cetra 1975) è un album realizzato “in completa solitudine”,70 cioè in totale autonomia. Fossati infatti, oltre che aver scritto testi e musiche (a parte due canzoni scritte con Marrow e una con Prudente), suona anche tutti gli strumenti,71 ed è arrangiatore e produttore di se stesso. Nonostante questo sia un passo avanti (“un passo da formica”),72 tuttavia il risultato non fu del tutto soddisfacente, anzi egli stesso lo considera “un disco bruttissimo”, e riconosce che “le liriche di Good-Bye Indiana sono 69 Fossati era anche socio coofondatore di questo teatro, insieme con Tonino Conte ed Emanuele Luzzati. 70 COTTO 1994: 67 71 Chitarra elettrica e acustica, mando-guitar, pianoforte, piano elettrico, archi elettronici, flauto, ocarina, basso sintetizzatore, sassofono, batteria, percussisoni, sistro, campane tubolari. 72 COTTO 1994: 67 53 forse “le più brutte che abbia mai scritto”.73 L’unico testo che regge – per Ivano Fossati – è quello di I treni fantasma che rappresenta “l’attesa che passi qualcosa che tu non vedi, non puoi vedere, un treno che corre nella notte e tu non sai che cosa sia”.74 L’immagine del treno, che sarà molto presente in tutta la sua produzione (come conferma il suo ultimo disco), è in questo album particolarmente presente: oltre che in I treni fantasma (“Questa è l’ora in cui treni fantasma / corrono al mare / e i cani nella notte li stanno ad aspettare”) la troviamo anche nel primo brano Storie per farmi amare (“La ferrovia mi corre in testa / il treno vola sulla costa”) e in Good-bye Indiana (“se sapessi guidare un treno / lo farei volare”). In questo disco c’è molta America: il titolo, la copertina (che rappresenta l’autore in versione “country singer”), due canzoni in inglese scritte con Marva Jan Marrow (Harvest moon e Where is paradise), oltre che un brano strumentale dal titolo latino-americano Azteca, e una parte di testo in messicano nel brano scritto con Oscar Prudente Good-bye Indiana, esperimento derivato dagli ascolti musicali che faceva in quel periodo (come la “ritmica rock latina” dei Manassas).75 Con l’album La casa del serpente si apre un nuovo periodo per la produzione di Fossati. Egli stesso spiega come la sua carriera artistica sia 73 COTTO 1994: 67, 69 74 COTTO 1994: 69 75 “In quel periodo mi avevano colpito i due dischi del rilancio di Eric Clapton. C’era un suono furbesco, in equilibrio precario su vari generi, con sonorità molto armoniche, molto calde, un po’ sganciate dal blues. È stato quello l’unico momento della mia vita in cui mi sono sentito attratto dal rock, anche se si trattava di un rock dalle connotazioni se non addirittura dalle matrici latine.” COTTO 1994: 69-70 54 divisibile in fasi che segnano il suo percorso stilistico: la prima è quella che abbiamo visto finora, cioè quella che va dalla collaborazione con i Delirium al 1977 ed è caratterizzata da una “ricerca molto confusa, da molti esperimenti e da altrettanti disordini […] Il secondo blocco va da dal 1979 al 1983, periodo breve ma ricco di esperienze” in cui rientrano i viaggi e il lungo periodo dei lavori all’estero,76 le produzioni e le collaborazioni.77 La casa del serpente si inserisce dunque in questo periodo, ma nasce in un momento non molto positivo per quanto riguarda la casa discografica, la Rca (diretta allora da Ennio Melis), che in quel periodo puntava sulla canzone italiana tradizionale, melodica e orecchiabile. Produttore di questo disco, nonché arrangiatore e realizzatore, fu Antonio Coggio, che aveva collaborato a lungo con Claudio Baglioni, e da tale sodalizio era ancora condizionato. Il risultato fu dunque che Coggio influenzò a sua volta Fossati, il quale non seppe preservare la propria originalità e finì per fare un lavoro che di Baglioni sa veramente tanto. Ecco perché Fossati non ama particolarmente questo disco (come del resto molti dei suoi primi lavori), perché non rispecchia se stesso, non è frutto di una sua personale ricerca e di un suo lavoro originale.78 La casa del serpente, canzone che dà il titolo all’album, è forse l’unica degna di nota, non tanto dal punto di vista della musica, che è molto semplice – secondo il modello “tipico del primo periodo del cantautore 76 Dice infatti: “Passavo più tempo in America e in Inghilterra che in Italia. Ci stavo per produrre ad esempio i dischi di Loredana Bertè, una parte dei miei, poi altre cose, alri lavori minori”. FOSSATI 2001: 35 77 Ad esempio la partecipazione ad un album dei Paley Brothers, la produzione per la Ddd del giovane Donato Ciresi o la conoscenza di Elio Rivagli, batterista che diventerà suo prezioso collaboratore. COTTO 1994: 71 78 Dice infatti: “Odio i vestiti delle mie canzoni che non erano i miei e mai avrebbero dovuto esserlo”. COTTO 1994: 73 55 ligure, a metà tra canzone e rock melodico con leggeri ed efficaci arrangiamenti”79 – ma per il testo, una profonda riflessione sull’amore – o meglio su un amore, uno di quelli tristi e dolorosi che sono spesso soggetto delle canzoni di Fossati (“Tu lo chiami amore e non lo vedi / eppure lo chiedi”) – sulle sue insidie, di cui la casa del serpente è simbolo (“Ma la casa del serpente ha i suoi colori / il sole ne sta fuori”), le sue angosce e paure, le attese inutili (“Io so soltanto che con te ho aspettato / qualche cosa che non è arrivato”). Nonostante ciò e nonostante lo scarso successo commerciale, tuttavia il disco ebbe un notevole successo editoriale: alcune canzoni furono infatti riprese da Mina (Stasera io qui e Non può morire un’idea) e da Anna Oxa (Matto).80 Di grande successo in quel periodo furono anche alcuni brani che Fossati scrisse proprio per interpreti femminili: Dedicato per Loredana Berté (interpretata più tardi da lui), e altri due pezzi scritti nell’anno successivo, Pensiero stupendo scritta con Oscar Prudente per Patty Pravo e Un’emozione da poco (Fossati-Guglielminetti) per Anna Oxa. Nel frattempo che lavora ai suoi album infatti Fossati continua a comporre canzoni anche per altri. Dopo aver scritto per Loredana Berté, Gianni Morandi,81 Chaterine Spaak,82 nel 1978 scrive e produce l’album Danza83 per Mia Martini, per la quale aveva già scritto due canzoni l’anno prima.84 79 BALDAZZI-CLAROTTI-ROCCO 1990: 312 80 Da segnalare nel disco è anche la presenza di Mia Martini, voce femminile in “Anna di primavera”. 81 Per Morandi Fossati compose l’album Il mondo di frutta candita (Rca 1975) e il brano Facile così per l’album Uno su mille (Rca 1985). 82 Ancora libera (Fossati-Prudente) del 1976. 56 Lo stesso anno Fossati riceve il Telegatto come miglior compositore. Di quel periodo infatti sono Mi vuoi per Marcella, e i già citati Pensiero stupendo per Patty Pravo, Un’emozione da poco e alcune altre canzoni per l’album Oxanna di Anna Oxa.85 Il 1979 segna un’altra data importante per il successo di Fossati: è l’anno dell’album La mia banda suona il rock, registrato a Miami, in America, al Criteria Studio (lo studio dei Bee Gees) con alcuni elementi della Eric Clapton Band trovata dal produttore Giacomo Tosti, band che contribuì all’impronta sound rock del disco, in cui si nota però un cambiamento, un allontanamento dal blues per accogliere un’impronta un po’ più nostrana, melodica. La mia banda suona il rock, canzone che – per volontà della casa discografica (la Rca), diversamente dalle intenzioni di Fossati – venne assunta come titolo dell’intera raccolta, divenne un vero e proprio tormentone, a discapito degli altri brani del disco che vennero adombrati da quel successo, ragione per cui Fossati è arrivato a dire di odiare quella canzone, che è forse la più celebre di tutta la sua produzione. La raccolta contiene infatti pezzi ben più degni di nota, come E di nuovo cambio casa (ripreso poi nell’album dal vivo), riflessione profonda sul divenire, sul continuo mutare delle cose, degli affetti, dei sentimenti (“E di nuovo cambio casa / di nuovo cambiano le cose / di nuovo cambio luna e 83 I brani del disco sono: Ci si muove, Buona notte dolce notte (che Fossati riprenderà nel ’84 in ventilazione), cantate insieme a lei, e poi Danza, C’è un uomo nel mare, Canto alla luna, E parlo ancora di te, La luce sull’insegna della sera, e La costruzione di un amore, Di tanto amore, Vola. 84 Se finisse qui, Sentimento. 85 Gli altri brani sono: Fatelo con me, Così va se ti va e questo sinchè mi andrà, Se devo andare via (Fossati-Cini-De Natale). 57 quartiere / come cambia l’orizzonte, il tempo, il modo di vedere”), sul passare delle stagioni che pur non si accompagna al capirne gli eventi e che non cambia la solitudine di chi non comprende e non è compreso. Sentimenti e concetti che compongono similmente Vola, meditazione sul “volare via” di tutto, sul nostro non poter tenere le cose, sul loro passare (“Nell’universo della mia pazzia / ho una nuova teoria / per me la gente / vola”), o ancora Di tanto amore dove si esprime questo senso si trascorrere e correre di tutto, perfino di se stessi, degli amori, e la paura che questo sentimento porta, e l’amarezza di sapere che prima o poi tutto finisce. E così in Dedicato (scritta per Loredana Bertè), una sorta di dedica appunto “a tutti coloro che hanno un rapporto difficile con gli altri e con se stessi” 86, o come in Il cane d’argento, metafora della volpe, “un richiamo, una curiosa guardia al di fuori di te”87, una presenza che osserva la vita nel suo trascorrere, una nota in cui ancora si sottolinea il passare degli eventi, e il collezionare passioni, sempre un po’ amare. Del valore di queste canzoni, poco considerate da critica e pubblico, si accorsero suoi colleghi, come Mia Martini che riprese le canzoni Vola e Di tanto amore rendendo loro il successo che non avevano trovato nella versione originale. La grande importanza di questo disco sta nel fatto che da qui in avanti Fossati comincia a dare più importanza ai testi, rispetto a prima, dedicando “sempre maggiore importanza ai giochi, all’enigmistica, alle combinazioni che andassero oltre la bella immagine”. Infatti si nota una maggior cura delle parti liriche, che diventano sempre più riflessive e profonde, a parte 86 BALDAZZI-CLAROTTI-ROCCO 1990: 313 87 “Materialmente il cane d’argento è la volpe, che sta fuori dall’abitato, e dunque fuori di te, e ti vede. Le cose si muovono, passano, e una parte di te le osserva passare”. COTTO 1994: 76 58 alcuni testi un po’ insulsi e poco comprensibili come La mia banda suona il rock (“La mia banda suona il rock / e tutto il resto all’occorrenza / sappiamo bene che da noi / fare tutto è un’esigenza”, “è un rock bambino / soltanto un po’ latino”), La crisi, o Limonata e zanzare, uno dei primi esperimenti di Fossati con i ritmi sudamericani, in questo caso con il reggae.88 Panama e dintorni, uscito nel 1981 (Rca), prodotto da Al Garrison e arrangiato da Steve Robbins, segue il modo di comporre degli anni settanta: “lineare, piano, con molti riferimenti al gergo della strada”.89 La voglia di comporre “in maniera equilibrata, con pesi e misure anche nei testi”, aveva portato Fossati a “un’attenzione quasi maniacale per i particolari, per i tempi della narrazione”. Il suo modo di comporre diventava sempre più consapevole e metodico, cercando di far si che tutti gli elementi fossero “ben predisposti”. Sempre di più Fossati si dedica al “piacere di scrivere parole che rimandino a metafore e simbologie precise”90, secondo quel suo gusto per l’ambiguità che percorre tutta la sua produzione. Inoltre egli stesso afferma: “credo che questo sia il mio primo disco da psicanalisi, perché ci sono temi che si rincorrono in quasi tutti i brani”.91 88 A proposito della sua passione per la musica sudamericana Fossati racconta: “Mi piaceva molto anche Bob Marley. Fino a quando ho ascoltato Marley, non ho mai pensato di inserire il reggae nella mia musica. Più avanti nel tempo, dopo aver sentito alcune intelligenti contaminazioni americane, su tutte quelle dei 10 CC, ho capito che si poteva prendere qualcosa dal reggae, se non il linguaggio musicale almeno il movimento ritmico e armonico, e mescolarlo ad altri suoni. Il mio esempio era l’album dei 10 CC Bloody tourists, dove i suoni reggae erano dichiaratamente falsi, non un tentativo di riprodurli pedissequamente, di rifarli o copiarli, quanto piuttosto un modo di giocarci all’europea.” COTTO 1994: 70 89 COTTO 1994: 79 90 COTTO 1994: 79, 80 91 COTTO 1994: 83 59 Il primo brano, Panama, che riassume queste caratteristiche, “è un assurdo visivo”, ed è una canzone “strutturata come un cortometraggio, un video. Ci sono entrate e uscite, inquadrature e stacchi”. Questo richiamo alla metodologia cinematografica, a creare le canzoni come piccole scene, è tipico di molte canzoni di Fossati, che ama intessere scenografie agli eventi che racconta, evidenziare concetti come con uno zoom, creando immagini visive, “nette e precise, costruite in sequenze spezzate in flash e ricomposte narrativamente attraverso le suggestioni che evoca”.92 Anche il fatto di scrivere spesso in prima persona rimanda alla drammaturgia, poiché, come egli stesso ha affermato, ogni volta che racconta in prima persona è come un attore che si cala in un personaggio. Così in Panama è il “comandante di una galera” che trasporta “esplosivo e fuoriusciti” e che, perso in mezzo al mare, non trova il suo porto di attracco. Tornano dunque i temi del mare e del viaggio, metafora della vita, e tornano quelli del treno e della stazione. La signora cantava il blues (“che fa in qualche modo riferimento e Billie Holiday”)93, in cui si racconta di un treno in corsa e di una donna che, cantando blues, aspetta che il treno passi sulle colline per buttarsi giù; è uno dei primi episodi dove l’autore mette in scena “la fuga”. Stazione racconta invece un episodio surreale che prende spunto da un racconto di fantascienza, dove una comunità decide di vivere in una stazione sotterranea della metropolitana perché la vita in superficie è diventata impossibile. Un altro riferimento al treno (“io non sono un treno”) è in Boxe in cui si accomuna “l’arte del pugilato coi suoni del jazz”. Il riferimento è a Paolo 92 BALDAZZI-CLAROTTI-ROCCO 1990: 313 93 COTTO 1994: 83 60 Conte e a certe immagini di boxeur e jazzisti del cinema anni ’50. Fossati chiarisce che il brano racconta le storie parallele di un pugile che fa il benzinaio e di se stesso. La metafora del Boxe più immediata è quella delle botte prese, ma c’è anche un aspetto che riguarda “l’impotenza affettiva” (“le dolcezze che non si riescono a mettere in pratica, l’incapacità di certe persone a esteriorizzare i sentimenti”). Concetti che derivavano anche da una certa sfiducia in se stesso, o almeno del suo lato sentimentale, che soprattutto da giovane era turbolento e instabile.94 D’amore trattano invece La costruzione di un amore, J’adore Venise e Se ti dicessi che ti amo, tra le più belle canzoni scritte da Fossati tanto da averle riprese, a distanza di anni, dal vivo. La prima, a detta della critica, è una delle più belle canzoni sull’amore che siano mai state scritte, un piccolo capolavoro, particolarmente significativo e rappresentativo del suo lavoro.95 Come anche Massimo Cotto osserva, La costruzione di un amore unisce due termini che quasi mai vengono accostati: “costruzione”, che evoca fatica e lavoro, e “amore”, che di solito è pensato come fuga dalla fatica e dal lavoro.96 Per Fossati “l’amore è, fondamentalmente, grande fatica. Prima di tutto perché bisogna trovarlo, stanarlo, catturarlo. Poi perché bisogna incanalarlo, pilotarlo, viziarlo. Infine perché bisogna tenerlo, che è sempre la 94 COTTO 1994: 82 95 “Ho ripreso La costruzione di un amore perché quendo uscì ebbe poco successo. […] Ma era una canzone che mi seguiva ovunque andassi[…]. Rendersi conto che una canzone continua a camminare con le sue gambe, indipendentemente da me, fu una rivelazione bellissima. Compresi quanta strada avesse fatto nel 1986, quando tornai a esibirmi dal vivo […], quando attaccai La costruzione di un amore ci fu un boato spaventoso […], decisi di riprenderla. Per felicità ma anche per riconoscenza verso una canzone che mi aveva atteso tanto a lungo. COTTO 1994: 133 96 Lo stesso Fossati commenta: “L’accezione dell’amore come fuga e sollievo non è più accettata da nessuno, se non nei film”. COTTO 1994: 132 61 parte più difficile. L’amore è laboriosità, dedizione, impegno. L’amore è un’impresa che ha bisogno di una costruzione”. Brano intenso, profondo, per certi versi forte, e a tratti duro, nasconde una certa sfiducia dell’autore nei confronti di un amore durevole, un amore per tutta la vita, che possa crescere e durare.97 Una sfiducia frequente in Fossati, che talvolta si accompagna però alla “meraviglia” di vedere, nonostante tutto, il proprio amore crescere e innalzarsi “fino al cielo”. J’adore Venise è una “confessione, la voglia di essere da un’altra parte, di sfuggire a certe avventure inutili. È una canzone vagamente metafisica. Racconta la sensazione, imbevuta di ansia e di egoismo, che è propria di molti uomini e di molte donne, di andare via, una volta concluso un incontro amoroso. Ci sono anche delle frasi pesanti ma vere come “i motivi di un uomo non sono belli da verificare”.98 Se ti dicessi che ti amo è “una delle canzoni più tristi” del’intero repertorio; “più che triste è tragica, con una visione degli affetti drammaticamente negativa”.99 Tra un album e l’altro, nel 1982 produsse per la Cgd il nuovo disco di Loredanda Berté, Traslocando. Oltre che delle canzoni Fossati si occupò di scegliere e contattare i musicisti e dello studio in cui eseguire le 97 Prosegue: “Gli uomini e le donne, per quanto sostengano di divertirsi a collezionare più partner possibile, in realtà hanno un unico grande sogno in testa: un amore per tutta la vita, un amore che duri anche oltre. Io credo di essere l’eccezione che conferma la regola, perché non ci ho mai creduto e non l’ho dunque mai cercato. […] Ho intitolato il brano La costruzione di un amore perché per evitare che l’amore cada miseramente a terra si cerca di costruirgli addosso delle impalcature che lo sostengono […] Ma secondo me se devono cadere cadono comunque. Il tentativo di salvarli però c’è sempre”. COTTO 1994: 132-133 98 COTTO 1994: 81 99 COTTO 1994: 84 62 registrazioni. Le fatiche del lavoro furono ripagate da un grande successo, soprattutto grazie alla celebre Non sono una signora. Nel 1982 ricordiamo anche il premio della critica al festival di Sanremo per E non finisce mica il cielo, interpretata dall’indimenticabile e insostituibile Mia Martini, insieme alla quale lo stesso anno scrisse anche Vecchio sole di pietra, inserita nell’album della cantante intitolato Quante volte…ho contato le stelle. L’anno successivo la Berté passò alla Cbs e chiese a Fossati di produrle un altro disco. Nacque così Jazz, grande successo che conteneva tra le altre il brano Jazz, un rifacimento della nota canzone brasiliana Sina di Djavan, tradotta anche in altre lingue. Nonostante le tante richieste di produrre altri lavori Fossati preferì abbandonare quest’attività, per dedicarsi interamente ai “suoi” dischi. Farà qualche eccezione più tardi, come nel 1985 per la produzione di Scacchi e tarocchi e Miracolo a Venezia per Francesco De Gregori. Nel 1983 uscì Le città di frontiera, raccolta interamente prodotta e realizzata da Ivano Fossati, dedicata a Randy Newman, musicista da lui molto amato; questo nuovo album segna il passaggio a una nuova casa discografica, la Cbs (ora Sony), che lo accompagna ancora oggi dandogli costante e totale libertà. Questo cambio calzava a puntino col momento artistico che Fossati stava vivendo: “avevo appena trovato me stesso, ma ero ansioso di conoscermi meglio”, in una fase di “eccitazione artistica, con molta voglia di fare”.100 100 COTTO 1994: 85 63 Su Music (giugno-luglio 1983) di questo LP si dice: “È soltanto un album di Fossati, un disco dove Fossati è stato solamente se stesso, un musicista che non si lascia condizionare e cerca di essere coerente anche a costo di sacrificare a questa coerenza le gratificazioni di un successo più facile.”101 La musica che gira intorno, brano d’apertura, come Fossati spiega, è una “canzone importante”, “una via di mezzo fra l’autoritratto e una dichiarazione d’intenti. In quel brano ho cercato di descrivere me stesso non come ero, ma come sarei voluto essere. […] Così ho provato a descrivermi, o meglio, a farmi descrivere da un altro, all’infuori di me. Accomunandomi a una tipologia di uomini comunque in fuga, con i quali è difficilissimo entrare in contatto, e dei quali si dicono sempre e solo i difetti e mai i pregi. Il verso “la musica che gira intorno” ha un doppio valore semantico: non è solo la musica, ma anche i tempi a girarci intorno, a noi che abbiamo nella testa un maledetto muro.” A questa canzone si accompagna un altro brano in cui si legano musica e vita: Ma che sarà questa canzone, che riflette su quanto una canzone possa diventare “una fotografia” di momenti e stati d’animo che stiamo vivendo. Le città di frontiera parla naturalmente di città: Milano è la descrizione di un luogo proiettato verso il futuro, che non dà spazio umano all’individuo, “anticamera della Milano livida e sprofondata per sua stessa mano di I treni a vapore (1992)”. Nella canzone l’autore definisce Milano “città di frontiera” perché lontana, per lui che veniva “dalla provincia”, da Genova, che per lui più che una città è una “gigantesca provincia”.102 101 BALDAZZI-CLAROTTI-ROCCO 1990: 314 102 COTTO 1994: 86 64 Di città si parla ancora in Un milione di città, piccolo quadro della vita nomade, di gente per cui il viaggio è la vita, tanto da avere anche “il cuore con le ruote”. Traslocando è un brano scritto l’anno prima per Loredana Berté, ed è il resoconto di un vero trasloco dell’amica. Il trasloco è un tema che affascina Fossati, e che si può ricondurre a E di nuovo cambio casa, brano che infatti è citato letteralmente in questa canzone. Il cambiare casa è un avvenimento che è in qualche modo il bilancio di una vita, perché si riportano in luce tutte le cose sepolte e dimenticate sotto la polvere del tempo, “tracce di attimi di esistenza che hanno scavato solchi profondi”.103 Musicalmente richiama ritmi centro-sudamericani, con un’impronta reggae (con il giro spezzato di basso ed i contrattempi di chitarre elettriche, mischiati però al jazz-pop dell’assolo della tromba di Guy Barker).104 Non poteva mancare una canzone sull’amore: Amore degli occhi, una delle più intense riflessioni sugli intrecci dei sentimenti: amore, gelosia, rabbia, rancore, perdono. Con una profonda malinconia, ancora una volta Fossati canta l’amore sentito dolorosamente, e lo fa con parole sempre più intense e toccanti, che paiono quasi un flusso di coscienza, tant’è che lui stesso l’ha definita come “una canzone visionaria”. Ancora più lancinanti sono le parole di Quante estati quanti inverni (“sopra il mio amore / ci hanno messo una croce / ma era ancora vivo”), canzone sul ritmo delle stagioni, sul trascorrere del tempo, su come il tempo cambi le cose, a volte in modo irreversibile. 103 BALDAZZI-CLAROTTI-ROCCO 1990: 314 104 BALDAZZI-CLAROTTI-ROCCO 1990: 314 65 Gli altri brani sono I ragazzi cattivi, “un tentativo di canzone giovanilistica”; Tico Palabra, “un fumetto serio su un disadattato, senza radici, volutamente non ben identificato”. L’autore di questo brano inoltre ha detto: “Se avesse maggior profondità sarebbe una figura letteraria”.105 Tico Palabra è un “personaggio emblematico della solitudine itinerante”,106 “un guerrigliero per qualcosa che va via”, “un antico volatore”, “un venditore”. Cow boys è un brano significativo in quanto manifesta le sue future intenzioni di allontanarsi “definitivamente dalla cultura musicale americana”, esprime insomma il desiderio di riappropriarsi di un’italianità sia musicale sia intellettuale.107 Il 1984 è un’altra data importante per Fossati, in quanto segna una svolta, un cambiamento radicale e deciso, la scelta di percorrere una nuova strada, di tracciare nuove linee, una nuova dimensione, non più da mestierante, da professionista di canzoni, ma cercando e ricercando un prodotto artistico, autentico, sincero, aldilà del semplice successo commerciale. “Ventilazione108 – racconta l’autore – è il disco più importante della mia carriera, perché di totale rottura con me stesso. Decisi che da quel momento ogni mio disco doveva dire fino in fondo, parlare fino in fondo, fare ricerca fino in fondo”.109 105 Citazioni tratte da COTTO 1994: 86-87 106 BALDAZZI-CLAROTTI-ROCCO 1990: 314 107 COTTO 1994: 86 108 Il disco fu autoprodotto dall’autore e edito dalla Cbs. 109 Con Ventilazione inizia infatti quella che lui definisce “la terza fase” della sua produzione. COTTO 1994: 72, 89 66 Il disco è ricco di sperimentazioni, tentativi, prove all’interno della musica. Esperimento inusuale è, ad esempio, quello della registrazione realizzata facendo uso di ambienti naturali interni ed esterni allo studio, come scale e corridoi, al fine di creare un effetto tridimensionale di profondità e allargamento e dare una maggiore prospettiva, esperimenti che saranno ripresi anche in seguito. Questo lavoro nasce dunque dall’esigenza di “aria nuova”, di cambiamenti, movimenti, dal bisogno di rinnovarsi ed evolversi. Ventilazione, la canzone che dà il titolo all’album, sta appunto ad evocare questa volontà: bisogna cominciare a dare aria alle stanze, ad aprire le finestre per tornare a respirare l’aria della sera, e arieggiare significa anche rinnovare, trovare nuova energia, per il fiato, e per il cuore. Come Fossati stesso spiega “ci sono momenti storici in cui bisognerebbe aprire le finestre per far entrare aria frasca; ci sono altri momenti, più tragicamente gravi e compromessi, in cui aprire le finestre non basta più: serve la ventilazione forzata. Nel 1984 io avvertivo l’avvicinarsi di quella situazione e invocavo l’installazione di un gigantesco impianto di aria condizionata, che non è pura come l’aria fresca ma aiuta comunque a non morire soffocati”. Ricerca di aria nuova significa anche ricerca di nuovi luoghi, nuovi cieli, nuovi orizzonti, e infatti tutto l’album è il continuo racconto di viaggi e fughe: Viaggiatori d’occidente,110 Fuga da sud est, Le grandi destinazioni descrivono situazioni troppo strette, l’insoddisfazione di ciò che si ha, l’inappartenenza a una terra, l’illusione che in un altro continente si possa trovare maggior fortuna, l’angoscia del fuggitivo. 110 Il brano contiene un riferimento a Checov: “Il finale del Giardino dei ciliegi è buio teatralmente. […] Mi sembrava, quella di Cechov, un’immagine adatta alla storia che stavo raccontando.” COTTO: 91 67 Nel disco si trovano altri brani che richiamano al viaggio: Il pilota, colui che sorvola le terre e domina i cieli, colui che “non porta mai pensieri pesanti”, colui per cui “la terra non finisce mai troppo lontano”,111 una figura, quella del pilota e dell’aviatore, che torna spesso nei soggetti delle canzoni di Fossati. “ La canzone è un po’ malinconica perché la tecnologia ha tolto la mitologia”: niente è lontano, ogni luogo è raggiungibile in poco tempo tanto da poter essere in meno di 24 ore dall’altra parte del mondo. Tutto ciò “è molto bello ma anche malinconico. Ti viene a mancare la grandezza delle cose; nessun posto è così lontano da diventare mitico, da consumarsi prima nella fantasia che nella realtà”.112 La locomotiva, traduzione letterale di The Rail Song di Andrian Belew (chitarrista dei King Crimson), è il rimpianto di un mezzo antico, “dalla bellissima voce” e dai “lunghi segnali soffiati” (richiama anche musicalmente i suoni e il movimento del treno), la cui fine, iniziata con il primo jet, è descritta come la perdita di una donna amata, qualcosa che “non tornerà indietro mai”. Tutta la raccolta è percorsa oltre che da viaggi e viaggiatori, anche da amori e amanti, sempre e comunque tristi, perduti, amori cui dare aria nuova, amori lontani, da rincorrere, cercare, amori soli. Parlare con gli occhi è uno dei brani più belli e intensi sui sentimenti e sull’incapacità di svolgerli (tema che ritorna in altre canzoni): “I sentimenti sono temi di cui sai il titolo, di cui hai in mente lo svolgimento, ma che non riesci a mettere giù, a tirare fuori. 111 “Perché al giorno d’oggi le terre una volta lontane sono diventate molto vicine. […] Non c’è niente di veramente lontano.” COTTO: 92 112 COTTO: 92 68 […] Parlare con gli occhi è questo: l’incapacità di dire le cose nel modo giusto”.113 Come Cotto osserva in Ventilazione le donne sono sempre lontane, fuggono e sfuggono; l’autore stesso lo conferma: “Si, le donne sono tenute lontane, sullo sfondo. Forse inconsciamente, tenere l’universo femminile in distanza faceva parte del mio progetto di rigenerarmi e di cambiare. Avevo creato una barriera, per non lasciar passare le donne. Ogni tanto riuscivano a filtrare, ma venivano di nuovo subito allontanate. Dovevo tener desta l’attenzione sulla musica nuova che, in quel momento, mi girava intorno”.114 Musiche e ritmi sono in tutto il disco perlopiù ancora fermi agli schemi del rock, ma si intravedono accenni a ritmi etnici e a musiche orientali, come nell’introduzione strumentale e come la presenza di scale greche in Fuga da sud est e arabe in Buona notte dolce notte. Il disco contiene anche due canzoni prese in prestito da altri autori: una è la già citata La locomotiva, l’altra è una rivisitazione di Boogie di Paolo Conte. 700 giorni,115 premiato dal premio Tenco come miglior album del 1986, “è la logica prosecuzione di Ventilazione, solo fatta con più mezzi e con una maggiore dimestichezza con le sperimentazioni.[…] 700 giorni è il tempo minimo per radunare le idee per un album e metterle in pratica (è uscito 113 “È molto autobiografico. Io sono così. So perfettamente che sarebbe sufficiente spostarmio di un millimetro per risolvere molte cose.” COTTO: 95 114 COTTO: 96 115 Prodotto da Allan Goldberg (sempre pre la Cbs), tecnico e arrangiatore di Johannesburg, porterà sostanziali contributi anche ai due LP successivi, infondendo in questi lavori le sue conoscenze delle tradizioni ritmiche sudafricane. 69 infatti, come di consueto per l’autore, a distanza di due anni dal precedente)”.116 Già dall’album precedente Fossati aveva manifestato la volontà di rinnovarsi e di andare avanti nella ricerca. Per realizzare questo lavoro ha infatti studiato maggiormente diversi tipi di musica, ricercando ritmiche inusuali, modi differenti dai soliti, spinto dall’esigenza di allontanarsi dagli stilemi del rock in particolare da quelli americani, troppo legati all’industria discografica, e mosso inoltre dal desiderio di conoscere e sperimentare scansioni della musica popolare di varia derivazione. La costruzione ritmica di alcuni brani della raccolta è infatti ispirata da certa musica popolare sudafricana contemporanea, come in Buontempo117 che dà inizio all’album con note di allegria e che dà l’idea del tempo che passa, ma anche di movimento, attività; è infatti, come l’autore stesso lo definisce, un “ironico invito all’ottimismo”.118 Altri andamenti ritmici e armonici del disco sono liberamente ispirati a tradizioni musicali europee, esperimenti che Fossati userà sempre di più nei suoi lavori.119 L’interesse alle altre culture non è pura curiosità, ma dipende dal fatto che il suo canto nasce, come sempre, dall’affetto e dall’attenzione verso l’umanità intera, le diversità, verso terre e mari di ogni dove, verso uomini e donne sofferenti e non, dall’amore nei confronti della vita tutta, ancora e sempre con voce di speranza, contro le guerre e ogni forma di male. 116 COTTO 1994: 111, 112 117 Il termine “buontempo” è diventato di uso comune come augurio tra i “fossatiani”. 118 COTTO 1994: 112 119 Vedi le note all’album. 70 In 700 giorni infatti non si parla solo di amori e di amanti, di vite vissute e danzate, non c’è solo buontempo, bensì anche tempo di guerra, in cui i soldati vanno a morire, un tempo di desolazioni, di solitudini. Il secondo brano, Dieci soldati, come manifesta il titolo, parla di guerra, della guerra vissuta dalla gente, dai ragazzi. Come Massimo Cotto scrive, è un racconto più metafisico che realista, un miscuglio di tempi, una storia dalla struttura narrativa in sequenze, come piccole scene, nata dal ricordo della madre sulla creuza vicino a casa, appiattita contro il suolo per le bombe.120 Sentimenti simili compaiono nel brano Il passaggio dei partigiani, ispirato dai racconti di Fenoglio, che rappresenta, anche musicalmente, l’ansia e la paura di chi vive in guerra, continuamente sotto pressione, per il pericolo incalzante. Come si è detto, il tema della guerra è uno dei più presenti nei lavori di Fossati, egli si schiera fermamente contro ogni forma di violenza, odio, oppressione, tirannia, contro l’ingiustizia di essere mandati a combattere, ad uccidere e a morire, proclamando invece l’importanza della vita, della solidarietà, dell’amore fraterno, per ogni essere vivente, il bisogno di allegria, di danze, di libertà, di voli.121 120 “Davanti a casa: […] la creuza […]. È qui che mia madre si buttava a terra durante i bombardamenti. Ho scritto alcune canzoni sulla base dei suoi racconti, ma una in particolare, “Dieci soldati”, è nata su questi gradoni, ripensando a quando ritornava dal lavoro e per fare trecento metri impiegava due ore, perché sentivi il rumore delle bombe e ti dovevi gettare a terra per evitare le schegge. E i bombardieri che passavano piano sembravano rondini viste da terra”. COTTO 1994: 29-30 121 L’autore ha inoltre dichiarato: “ Sono un pacifista convinto, gandhiano, uno di quelli che oggi vengono sbeffeggiati dal pensiero dominante. Ancora adesso, a cinquantanni, non riesco a concepire nessuna giustificazione all'idea di guerra. La guerra non è mai, mai giustificabile. Soprattutto quando si pensa di bombardare un popolo oppresso con la scusa di punire l’aggressore. Ma è già un errore fare distinzioni: no alla guerra e basta”. Vedi www.ivanofossati.net. 71 La voglia di vivere con leggerezza ma non con superficialità, cantata altre volte dal nostro autore, in brani come Buontempo, si trova in Una notte in Italia, una delle sue più belle canzoni (anche a parer suo).122 È un canto all’amore, alla vita, alla “bellezza di esserci comunque, anche se il momento non è dei migliori”, alla “fortuna di vivere adesso in questo tempo sbandato”.123 La fortuna di avere un presente da vivere e un futuro da costruire (“il futuro che viene a darci fiato”), la fortuna di poter ancora sognare luoghi lontani (“questo vento che sa di lontano e che ci prende la testa”), e di poter cantare, anche una canzone semplice (“questa musica leggera così leggera che ci fa sognare), con umiltà e semplicità, senza grandi pretese, ma sapendo che si può sempre dare di più, crescere, migliorare. E ancora canta la fortuna di amare, o almeno di poter provare ad amare (“io che cerco di copiare l’amore / ma mi confondo”), anche constatando che si ha ancora tanto da imparare (“o saranno le mie mani che sanno così poco dell’amore”), la fortuna di vivere comunque (“ma più di tutto questo è già più di tanto”), anche se la vita è fatta di errori (“i biglietti senza ritorno dati sempre alle persone sbagliate”), sofferenze, sconfitte, solitudini (“il vino bevuto e pagato da soli alla nostra festa”) con la speranza che ci saranno tempi migliori per noi. Il ritmo della canzone è lento e profondo, e ricorda quello dei battiti del cuore, elemento che, in linea con il testo, richiama alla vita. Qui Fossati, legando concettualmente vita e musica, come già aveva fatto, parla di musica leggera (“è tutta musica leggera / ma come vedi la dobbiamo cantare”), intendendo con questo termine la musica discografica, e sostenendo che è dalla semplicità di questa musica che bisogna partire, 122 “Una notte in Italia mi piace moltissimo. Me la porto dietro con grande piacere in ogni concerto.” COTTO 1994: 114 123 COTTO 1994: 114 72 anche se si vuole andare molto al di là, così hanno fatto anche i più grandi cantautori e chansonniers. Problematiche esistenziali sono anche quelle di Non è facile danzare, in cui la danza è metafora del vivere umano, visto come un grande saggio, dove non ci sono solisti ma il movimento di ognuno ha senso come parte di quello globale. La vita a volte è come un grande palcoscenico, un teatro, dove non sono ben chiari i confini tra finzione e realtà (“che all’attore l’andata in scena sembra senza ritorno”), verità e segreti, in cui ognuno ha il suo ruolo da interpretare, con la paura di sbagliare (“la paura che è una tenaglia / che ci chiude le gambe a tutti in un artiglio”), di non essere all’altezza, di perdere tutto in una battuta detta male, o per un gesto sbagliato. E in questa danza “non è facile danzare”, coordinarsi con gli altri, tenere il ritmo, non è facile amare, né farsi amare, e spesso ci si sente soli, in mezzo a tanti (“in un corpo di ballo di oltre centomila”), ma bisogna mostrare il sorriso, continuare lo spettacolo. Il sottotitolo è L’uomo da solo, perché quando si è soli ci si confronta con se stessi, ci si guarda allo specchio, solamente con se stessi non è possibile recitare una parte. L’uomo da solo “è un grande artista / è un commediante nato / che prova il suo gesto nel segreto / e si presenta da sé ogni sera / nella parte difficile di una vita vera”. “L’uomo da solo è un investigatore / che ha delle piste da seguire”, investigatore di se stesso, il cui compito è autocomprendersi e a se stesso svelare la sua identità e il suo ruolo, in questa grande commedia umana che è la vita (“e tira i lembi della sua vita / che la pellicola gli sembra finita / e si domanda cosa ci sta a fare / seduto sul letto a provare la parte / di una commedia di nessuna arte”). 73 Il tema della danza è anche nel brano finale: Giramore. Il ballo dell’amore non può essere danzato da soli, perciò perdendo il compagno ci si chiede come si farà a danzare (“come si balla senza te / come si farà stasera / cosa succede senza te / come faremo ora”). La canzone è basata su una musica di ispirazione scozzese che fa pensare ad un’allegra danza popolare, come un girotondo in cui tutto ruota e passa, e poi ritorna e ancora gira (“gira la danza giramore”). Girotondo anche di parole, che tornano, sempre le stesse, come in un gioco, creando anafore, allitterazioni, ripetizioni, che contribuiscono al ritmo della musica, una sorta di filastrocca. Musica di stessa matrice celtica è quella del brano Gli amanti d’Irlanda dove compare la figura dell’aviatore, significativa per l’autore e ripresa come soggetto di varie canzoni, come il pilota, il volatore,124 figure di viaggiatori viaggianti, esploratori del cielo, emblemi del viaggio, del volo, della ricerca. La casa è un brano che parla dei luoghi della giovinezza di Fossati. La casa, come egli stesso spiega, non è la sua, ma un vecchio palazzone dove si incontravano i ragazzi per suonare, ma non solo.125 Del 1987 è il brano Carmen, scritto con Ornella Vanoni, una delle più grandi interpreti di Fossati, per il suo disco O (per la Cgd). È una canzone struggente, la storia di un amore “orgoglioso, indiscreto, arrabbiato, impietoso, sfacciato”, “spezzato, ferito, umiliato, insicuro e senza più fiato”, 124 “Il Volatore” è anche il nome delle edizioni musicali di Fossati. 125 Prosegue: “Ci spiegavamo gli accordi, ci scambiavamo informazioni. […] La casa si affacciava sulla piazza. Da lì vedevamo uscire gente in continuazione, come se quel palazzo fosse una grande bocca: ragazzi e ragazze si fidanzavano, si guardavano alla finestra, si tiravano i messaggi dal balcone, si davano gli appuntamenti nel sottoscala, di nascosto alle madri, litigavano e si mettevano con altri. E sotto, nelle cantine, i ragazzi suonavano. Li guardavamo con sana invidia.”. COTTO 1994: 115 74 un amore “che non si può raccontare”, eppure di cui si coglie tutta la grandezza e il dramma. Lo stesso anno la canzone Le notti di Maggio, eseguita a Sanremo da Fiorella Mannoia, altra importante portavoce di Fossati, vince il premio della critica. Per la Mannoia Fossati scriverà molte altre canzoni, fra cui Lunaspina e Baia senza vento, per l’album Di terra e di vento del 1989. Nel 1999 la cantante interpreterà L’amore con l’amore si paga e Oh che sarà, traduzione della canzone di Jobim (incise entrambe dalla cantante nell’album dal vivo Certe piccole voci). La pianta del tè, prodotto nel 1988 da Allan Goldberg (ancora per la Cbs), rappresenta per Fossati un salto in avanti, sia qualitativamente (“contiene emozioni e contenuti espressi in bella forma”)126 sia perché, grazie al successo del disco, da lì in poi ha potuto “navigare con libertà totale”. Egli stesso dichiara: “La canzone è diventata il mezzo per dire quello che mi sta a cuore senza più nessuna preoccupazione commerciale, né mercantile, né di immagine, né di altro”. Il passo in avanti consiste allora nel fatto che le canzoni non devono più esser fatte “per suonare bene alla radio, non devono più prestarsi alle classifiche, non devono fare niente più di ciò che possono, devono essere soltanto un’espressione di quello che si riesce a dire in quel momento, con un buon rigore, con una buona forza”.127 Il tè è assunto a emblema di questa raccolta con un grande valore simbolico: “dimostra che quello che andiamo cercando nella vita, ciò che è davvero importante, non è detto che sia necessariamente grande e immenso. Magari 126 COTTO 1994: 129 127 FOSSATI 2001: 37-38 75 ha forme e dimensioni ridottissime come le foglie di una pianta di tè, eppure è importantissimo”.128 Spesso non ci si rende conto del valore delle cose, della loro essenza, di quanto possano essere fondamentali, essenziali per noi; siamo ciechi, in questa società di immagine e apparenza non vediamo ciò che abbiamo davanti, a meno che non sia grande ed eclatante, e non capiamo invece che anche un sorriso, un gesto, una parola, un piccolo uomo fra tanti, una nota o una canzone, possono avere un immenso significato. La copertina rappresenta un’antica carta navale (Mediterraneo orientale e Mar Nero), e ha la funzione, oltre che di richiamare al viaggio, tema come sappiamo fondamentale per Fossati, di simboleggiare l’importanza del mediterraneo (e non solo), presente in tutto il disco, attraverso viaggi e miraggi, viaggiatori, terra da cercare e dove andare, posti davanti al mare, ponti, e ancora attraverso Genova e i genovesi, e poi amori, e lontananze. La pianta del tè, la canzone che dà il titolo all’album, fa subito entrare in un’atmosfera etnica attraverso suoni magici, suggestioni di colori e fragranze esotici, terre lontane, a metà fra il Mediterraneo e l’oriente, per sconfinare negli orizzonti andini evocati dal flauto di Uña Ramos, presenza fondamentale in tutto il disco.129 Dietro le immagini del brano si nasconde un significato più profondo, un viaggio all’interno della coscienza, volto a mostrare e dimostrare che le cose vanno sapute guardare: basta una luce diversa, come quella della luna, per farle vedere in maniera differente, e poi c’è un modo di guardare che non ha bisogno di occhi perché “chi si guarda nel cuore / sa bene quello che vuole / e prende quello che c’è”: bisogna 128 COTTO 1994: 130 129 Quello con Uña Ramos “è stato un incontro molto importante, quasi fondamentale[…] mi fece capire che ero sulla strada giusta. […] Il suono era rivoluzionario, non vecchia musica andona. Uña suonava il flauto di pan, flauto a canne che loro chiamano antara”. COTTO 1994: 131 76 saper riconoscere il valore di ciò che abbiamo, perché spesso, da qualcosa apparentemente semplice e piccolo, come per esempio le foglie di tè, si possono avere cose molto importanti e preziose. La canzone ha anche una seconda parte, strumentale, inserita a metà della raccolta, caratterizzata anch’essa dalla melodia andina del flauto di Uña Ramos che crea un’ambientazione etnica e la rende piena di fascino e mistero. Terra dove andare ha un ritmo del tutto diverso (in levare), più occidentale, quasi un reggae italiano, caratterizzato dal suono della fisarmonica che dà un’impronta popolare. Dal titolo ci aspetteremmo una canzone sul viaggio; in realtà, come l’autore spiega, è un pezzo scritto in un periodo politicamente difficile, in cui la sinistra non era più la stessa, non dava più punti di riferimento, perciò le giovani generazioni cresciute sotto i suoi ideali, rimanevano disorientate, senza sapere cosa fare, come muoversi, senza terra dove andare. Di terra dove andare, di viaggi, questa volta in senso letterale, si parla nel brano Le signore del ponte-lance, “canzone da naviganti” sulla seduzione reciproca tra le belle signore francesi piene di charme che viaggiano sulle navi, e gli affascinanti e affascinati marinai italiani, che lentamente si vedono invecchiare sulla nave. L’uomo coi capelli da ragazzo prende spunto da una storia vera: nel periodo in cui venivano chiusi i manicomi un uomo era stato rimandato a casa, ma non c’era più nessuno ad aspettarlo, era completamente solo e privo di orientamento per continuare a vivere. L’uomo ha i capelli da ragazzo perché l’autore immagina “i malati di mente con facce da bambino e capelli 77 folti e cortissimi, da persone non cresciute”.130 Il suo mondo immaginario, è quello che lui stesso si è creato, l’unico in cui può vivere e che naturalmente pensa essere il mondo oggettivo, tanto da pensare che “chi venisse a prenderlo / una domenica / vedrebbe che bel mare che c’è”. Ma nessuno andrà a prenderlo perché è rimasto solo, solo nella sua realtà fantastica (“quando a un acuto dolore segue / una più acuta fantasia”), in cui è possibile anche trovare il mare in Lombardia. In una condizione come la sua si perde la cognizione della realtà, e il valore delle cose, si perde la memoria, per cui anche un ricordo “non è uomo / e il più delle volte nemmeno donna”, “è il tempo che sta seduto a mettere i numeri in colonna”, e non si può “tracciare una rotta”, “dare una via”, immaginare un futuro; c’è solo il presente, visto in maniera offuscata, con gli occhi dalla follia, in totale solitudine (“tiene l’anima per sé”). Ancora una volta dunque Fossati affronta un tema d’impegno sociale, prendendo come soggetto una vita sofferta, una vita consumata nel dolore e nella solitudine, eppure ricca di valore, e perciò degna di essere cantata. La volpe131 è una canzone enigmatica, piena di mistero, di ombre. Il brano infatti inizia con una domanda: “che sarà quest’ombra in fondo al viale di casa mia?”. Una domanda che genera immediatamente inquietudine, agitazione, soprattutto per la presenza dell’ombra, che ha solitamente una connotazione negativa, e ancor più per il fatto che quest’ombra è vicino alla propria casa, e dunque fa insorgere la paura che possa essere qualcosa di pericoloso. L’autore spiega: “La volpe è l’incognito, il mistero, un’ombra che si muove sulla strada di casa o su qualsiasi percorso umano. E tu provi a 130 COTTO 1994: 134 131 La canzone è cantata insieme con Teresa De Sio. 78 spiegarla razionalmente, a interpretarla, ma sai fin dall’inizio che quell’interpretazione non basterà, non sarà sufficiente a spiegare il mistero.”132 La canzone si chiude – o non si chiude – comunque con un interrogativo (“sarà?”), che lascia aperta ogni ipotesi, anche che quell’ombra fosse soltanto un miraggio, un’illusione di qualcuno che sta ad aspettare e a guardare che non ci sia qualcosa di nuovo, magari proprio quello che stava aspettando, forse, chissà, proprio l’amore, “l’amore che ha trovato la strada”. Questi posti davanti al mare (miglior canzone all’edizione del 1988 del premio Tenco) è una “dichiarazione d’amore”133 da parte del nostro autore genovese per la riviera ligure, per i suoi posti, quelli che ama di più, ma è anche una canzone sui liguri, in particolare sui genovesi. Da “questi posti davanti al mare / con questi cieli sopra il mare / quando il vento riscalda a suo tempo il mare”, dunque nella bella stagione, i ragazzi (le cui voci, nel brano, oltre quella di Fossati sono quelle di Fabrizio De Andrè e di Francesco De Gregori) aspettano le ragazze che arrivano da Firenze, Milano, Torino, per andare al mare, e loro le osservano, le descrivono, divertiti e inebriati dal loro passaggio. Qui si manifestano dunque i difetti dei liguri, le loro debolezze:134 “ siamo come orsi, goffi e un po’ ridicoli, e inclini ad accusarci di tutto, a dire che la colpa è nostra anche 132 COTTO 1994: 69 133 “Questi posti daventi al mare è una grande cartolina, una dichiarazione d’amore per questi trenta chilomerti di costa che vanno da Recco a Sestri Levente, che sono, è giunto il momento di ammetterlo, gli unici posti al mondo dove potrei vivere. Posso viaggiare in eterno ma devo tornare qui.” COTTO 1994: 134 134 “I genivesi, come tutti i liguri, sono esattamente come li dipingono: chiusi, musoni, parsimoniosi”. COTTO 1994: 21 79 quando non lo è. Non ci piacciono le giustificazioni, ecco. Siamo fin troppo capaci di vedere i nostri difetti senza perdonarci”.135 La Liguria è presente anche in un altro brano della raccolta e ha come protagonista Genova. Chi guarda Genova contiene “alcune descrizioni della città e delle atmosfere genovesi che sono valide ancora oggi e che probabilmente lo saranno sempre”.136 È una canzone critica, ma che nasconde l’affetto che l’autore continua a provare per la sua città. 137 “Chi guarda Genova sappia che Genova / si vede solo dal mare: infatti come lo stesso Fossati spiega, “se vuoi avere un’idea della sua bellezza antica, Genova la devi vedere dal mare. Essendo schiacciata sulle colline, è stata costruita per forza di cose in modo teatrale. Quando cammini fra i vicoli, nelle strade, è come se fossi sul palco, in quinta. Vedi tutto il brutto[…]. Se invece prendi una barchetta e ti sposti di sole due miglia, meglio se in un giorno di sole, vedi una città meravigliosa e rimani incantato.[…] I marinai che salpano o ritornano a Genova si innamorano ogni volta, perché è come se ne prendessero di nuovo possesso, dopo tante difficoltà e tanto viaggiare.[…] Nessun luogo ti consente di stringere Genova in un grande abbraccio come il mare”.138 Nella canzone Genova viene definita come “un porto di guerra senza nessun soldato / senza che il conflitto sia mai stato dichiarato”. Questo è un riferimento al fatto che “dopo le guerre commerciali e gli splendori del 135 COTTO 1994: 134-135 136 COTTO 1994: 135 137 Ad un certo punto della canzone l’autore si rivolge direttamente a Genova: “bella signora che mi lusinghi / citando a memoria le mie canzoni / il tuo divano è troppo stretto / perché io mi faccia delle illusioni”. Questa parte è spesso fraintesa perché viene interpretata con un doppio senso. In realtà, si riferisce a quando la città, durante un concerto, lo accolse finalmente con l’affetto e la stima che prima non gli aveva mai dimostrato. 138 COTTO 1994: 17-18 80 passato, negli scorsi decenni è stata teatro di grandi lotte sindacali, quando il porto cominciava a perdere colpi.[…] Il dramma è stato che Genova da sempre risente dell’atmosfera del porto, si specchia in ciò che avviene intorno all’acqua. Quindi le alterne fortune del porto di Genova sono state anche le alterne fortune della città”.139 “Genova è una città assopita, sonnacchiosa, sorniona. Genova è come quei gatti che fingono di dormire, ma ti guardano di sottecchi. Un occhio aperto e uno chiuso, per controllare quello che succede, per essere sempre pronti in caso di pericolo. Genova ha sempre avuto mille problemi. La sua grande forza era il porto, e quel porto oggi è quasi morto, incapace di riprendersi. […] Per lungo tempo Genova è stata causa del suo male. Genova ha subito un decadimento lento ma inesorabile per anni. […] L’unica vera grandezza di Genova è stata la sua capacità di non morire mai, nonostante le mille ferite. Perché, non chiedetemi come, la cultura genovese non muore, subisce cambiamenti magari anche in peggio ma non si arrende. Per questo Genova è una città disastrata, danneggiata, offesa, scalfita, graffiata. Ma non morente”.140 E per questo nella canzone si dice: “restiamo volentieri ad aspettare / che la nostra casa riprenda il mare / e non dovremmo sbagliare”. Perché ci si aspetta che Genova ritorni ad essere la bella e splendente città che era ai tempi della sua grande potenza sul mare.141 139 COTTO 1994: 135-136 140 COTTO 1994: 19-20 141 Chi guarda Genova è stata paragonata a Genova per noi di Paolo Conte. In realtà, come Massimo Cotto spiega (anch’egli è astigiano, come Conte), Genova per noi non è una canzone su Genova, ma sugli astigiani che guardano Genova. E Fossati d’altra parte dice: “Paolo Conte ha una visione di Genova meravigliosamente lontana, come fosse l’orizzonte inarrivabile di un sogno.[…] Io ho raccontato Genova da dentro, la sua lentezza, i suoi errori, i suoi limiti”. 81 La costruzione di un amore è una “vecchia” canzone che faceva parte dell’album Panama e dintorni del 1981. Con qualche piccola modifica è stata qui ripresa dall’autore (caso più unico che raro, a parte la raccolta e gli album dal vivo) come gesto di gratitudine e di affetto vesto il brano.142 Con Caffè lontano il disco si chiude, come era iniziato, evocando un altro elemento che è stato, ed è ancora, molto importante per il commercio e gli scambi nel mondo: il caffè, come il tè, piccolo ma prezioso. A richiamare posti lontani ed esotici è anche la musica, quasi orientaleggiante. Caffè lontano è la canzone di un addio, carica di sentimenti nostalgici, desolante come l’irrimediabilità del destino, una delle più tristi ma intense dell’intera produzione del nostro autore. Discanto è “un atto di affetto e di stima per la gente del Mediterraneo. Un disco scavato, ricavato dalla parte latina della mia coscienza”.143 Svincolandosi da una diffusa sudditanza nei confronti dello stile e del pensiero musicale anglossassone, Fossati sembra voler ritrovare qui, nello spirito latino e mediterraneo, nuovi percorsi artistici e poetici. Attraversa così le terre che vanno dalla Liguria al Portogallo passando per il Sud della Francia e l’Andalusia fino al confine ultimo dell’Europa, Cabo de Roca, traendo ispirazione, nei nove brani di questa raccolta, dalle musiche di tradizione orale e, in generale, dalle narrative popolari di quelle regioni. 142 “Ho ripreso La costruzione di un amore perché quendo uscì ebbe poco successo. […] Ma era una canzone che mi seguiva ovunque andassi[…]. Rendersi conto che una canzone continua a camminare con le sue gambe, indipendentemente da me, fu una rivelazione bellissima. Compresi quanta strada avesse fatto nel 1986, quando tornai a esibirmi dal vivo […], quando attaccai La costruzione di un amore ci fu un boato spaventoso […], decisi di riprenderla. Per felicità ma anche per riconoscenza verso una canzone che mi aveva atteso tanto a lungo. COTTO 1994: 133 143 COTTO 1994: 140 82 Rispetto ai dischi precedenti Discanto, inciso nel 1990 (Cbs), vincitore del premio Tenco come miglior album dell’anno, appare più meditato e, per lo stesso Fossati, “costruito ed elaborato”. Motivo per cui è stato giudicato uno dei suoi album più difficili, una difficoltà derivante non dall’artificio, ma piuttosto dall’intensità della poesia. È infatti il risultato di un profondo lavoro di ricerca, di fatica, di viaggi, di coraggio, alla riscoperta di nuovi orizzonti, nuove immagini, nuove storie da raccontare, con un nuovo linguaggio.144 “Il titolo – sempre nelle parole dell’autore – è polisemico: indica una forma musicale discantica,145 ma anche la mia voglia di giocare con due parole: incanto e disincanto”.146 Fossati ama usare parole con opposte connotazioni: come se, accostando due significati contrastanti, le parole acquistassero un nuovo e più intenso significato. Egli ama le ambiguità semantiche, perché, in effetti, tutte le cose hanno un doppio lato: quello che si vede e il rovescio della medaglia. Tutte le canzoni dell’album ruotano, infatti, intorno al tema dell’incanto e del disincanto, immagini poeticamente dolci e leggere o dure, frutto di un’amara disillusione; parole che, aggregandosi, producono questo singolare “Discanto”: canto e controcanto che si intrecciano e contrappuntano. Terra, terra secca, acqua e fuoco, vento: Discanto si presenta poeticamente come una geografia di elementi, attraversati, vissuti, osservati da luoghi 144 “È stato giudicato il mio album più difficile. Credo sia una considerazione assurda, una leggerezza.[...] come si fa a criticare qualcosa definendola difficile, quando siamo quotidianamente bombardati da prodotti facili e banali?[…] Vorrei che fosse maggiormente rispettato lo sforzo, la fatica di chi cerca di proporre qualcosa di diverso. […] Nonostante quello che dicono i critici è il mio disco migliore in quanto a energia e concentrazione, a desiderio e capacità di esprimere le idee”. (COTTO 1994: 139) 145 Il termine Discantus è un termine latino impiegato dai teorici musicali del medioevo in diverse accezioni, in particolare per indica una seconda voce, aggiunta ad un cantus firmus (melodia preesistente) e da essa complementare e contrastante. 146 COTTO 1994: 139 83 conosciuti, dalla storia. Barche, cammini, passi lenti, intermittenze e speranze, lavoro; ancora una volta in viaggio: paesi lontani e luoghi familiari, storie intime di affetti da ricordare, natura non sempre amica. Il disco raccoglie attraverso i versi la persistenza stessa di quegli affetti, nomi, parole, cose. E Fossati autobiograficamente racconta, scava, dona e suggerisce il senso della parola, aperta, rivelata, offerta al suono. Discanto, canzone che dà il titolo all’intera raccolta, appare quasi un enunciato, costruito su continue anafore e asindeti. Un testo che può sembrare un flusso di coscienza incontrollato o, al contrario, un’artificiosa costruzione. In questo discanto discantato, si trova la vita tutta, la vita semplice fatta di respiro, pane e vino buono, di parole leggere, domande, risposte che non arriveranno; una vita fatta di attese e incontri, feste, fortune rincorse e raccontate, promesse, bellezze, sguardi, della vita che sorride al dolore, uno qualunque fra i tanti. Dolore che nasce spesso da una vita velata, segreta, mascherata come in un teatro, dalla vita amara, gridata, quella delle leggi e dei divieti che limitano la libertà, quella delle ingiustizie; la vita delle falsità e delle superficialità; dolore, vissuto, cercato, trovato in cammino o conosciuto semplicemente nelle pieghe dei petali dell’unica rosa, dell’unico amore, da sempre atteso. Compaiono ancora una volta gli elementi fondamentali: acqua, vento, terra, fuoco. E ritroviamo il tema del viaggio, che è anche il movimento quotidiano, movimento incerto, intermittente che è quello scandito dai “battiti del cuore”, dalle “fasi della luna”, dai “ritmi della terra”, o è il movimento di una danza, di un ballo sociale, oppure è il cammino stanco di chi fatica, passi sparsi, passi sbagliati, o ancora il rotolare via di tutto ciò che 84 corre e scorre. Ma c’è un ritmo diverso, quello della lentezza, del tempo che ci afferra e ci inchioda, e ancora il tempo prezioso che si dedica alla costruzione di qualcosa, e il tempo delle attese e della solitudine. Un’altra amara canzone sul tempo e il suo passare è Passalento.147 Tempo che non si fa raccontare, tempo a cui si ripensa, tempo di amore, di acqua, di fuoco, di naufragi nel deserto.148 Tempo, nonostante tutto, di speranza, in cui si può ancora cantare alla vita, alla fortuna di viverla, di avere ancora vele tese verso un porto, vicino o lontano, un luogo dove tornare per farsi ancora abbracciare. Perché il viaggio implica anche il ritorno, un ritorno al porto amato, dove si ritrovano la casa e gli affetti. Qui Fossati si allontana dalla forma-canzone classica, costruita sullo schema strofa-ritornello, per tendere ad una testualità destrutturata vicina, a tratti, al verso sciolto della poesia contemporanea, alla parola “in libertà”, quasi un flusso di coscienza.149 Per quanto riguarda invece la musica, facciamo presente come, l’intera canzone sia costruita sul ticchettio di un orologio da polso,150 che richiama il tema dello scorrere del tempo evocato già dal titolo, una scansione accentuata dall’ostinato fruscio delle spazzole sulla batteria. Lusitania, titolo del primo brano, è il nome antico del Portogallo 151, “terra dimenticata” e “terra d’oro”, per Fossati una delle più ricche di fascino e di 147 Nota anche nella bellissima versione dal vivo di Fiorella Mannoia (1999). 148 Tornano qui gli elementi fondamentali: acqua, fuoco, terra-deserto, vento che tende le vele. 149 Significativo è anche, nella prima quartina, il neologismo “passalento”, ottenuto con l’inusuale accostamento di due termini, tecnica usata dall’autore anche in altri brani (vedi “quantomar” in Italiani d’Argentina). 150 Come si legge anche nelle note del booklet. 151 Il termine deriva da Lusus, figlio di Bacco, secondo la mitologia il conquistatore del Portogallo. 85 bellezze da scoprire e riscoprire. Da sempre porto, approdo, fine e inizio di nuove rotte. L’intera canzone, da un punto di vista poetico, è impostata sulla figura retorica della personificatio della regione, una sorta di invocazione ad un’ipotetica divinità eponima, che evoca la tradizione innodica medievale, un devoto omaggio a questa grande “Bella Signora Nostra che ci appari e scompari.” Nel brano sono contenuti parole e concetti che si ritrovano in tutta la raccolta: la terra, naturalmente, il viaggiare e camminare, fra salite e discese, attese e rotte, e poi la gente, con i suoi volti e le sue fatiche, il lavoro. Ancora il tema del viaggio, e ancora una volta il ritorno, viaggio per mare, che si trasforma in viaggio all’interno del paese e della sua vita. Fossati usa unire nelle immagini del viaggio terra, acqua, aria (come il naufragare nel deserto in Passalento), accomunando i marinai agli aviatori, uniti dal comune destino di viaggiatori erranti. Questo è il concetto che Fossati ha del viaggiatore, affatto differente dal turista:152 “il Grande Viaggiatore è quello che va in una terra e fa di tutto per conoscerla, per impararla, perché una terra si può imparare. Si mette umilmente in ascolto, con la giusta apertura d’animo, e attende di ricevere segnali. E impara la lingua (anche poco), la cucina, come si legge, come si scrive, come si vive. Odio la figura del turista, di quello che va all’estero con gli spaghetti nella borsa e la macchina fotografica a tracolla[…]. I viaggiatori non fanno mai fotografie, perché ricordano tutto, hanno ogni particolare nella mente e nel cuore. […] I 152 A tale proposito vedi anche la distinzione fatta da Alain de Botton: “I turisti hanno una mentalità ostile alle sorprese; possono gradire le novità[…] ma soltanto se conformi alle aspettative. Odiano il dubbio, l’incertezza, l’equivoco […]. I viaggiatori, d’altra parte, viaggiano con pochissimi preconcetti, e sono meno sconvolti se le loro idee vengono contraddette da ciò che trovano. La differenza sta nell’attitudine nei confronti dell’ignoto. BOTTON 1994 86 viaggiatori sono spesso gente da salvare,153 in quanto si ficcano in situazioni impensabili per il turista. Il rischio di chi viaggia davvero è quello di innamorarsi delle situazioni e dei luoghi, delle persone e delle culture, dunque di fare naufragio per il troppo amore.”154 Nel finale c’è un coro femminile, quasi un canto di sirene, che richiama melodie tipiche portoghesi, come il fado. Fra gli strumenti musicali troviamo anche la chitarra a cinque corde doppie, strumento tipicamente portoghese suonata però in modo differente da quello tradizionale; caratteristica comune a molti altri strumenti popolari che appaiono qua e là nella raccolta offrendo sonorità nuove e originali. Un altro elemento di musica tradizionale usato in modo inconsueto si trova in Lunario di settembre e in Confessione di Alonso Chisciano: è la corale “Ars antiqua” che si occupa di musica del ’500 e ’600. Lunario di settembre, scritta con la poetessa Anna Lamberti Bocconi, è la storia vera del processo di Nogaredo (14 aprile 1647), in cui sette donne furono processate per stregoneria e cinque di esse vennero condannate a morte. La canzone è articolata in tre parti nettamente distinte: la prima è costituita dall’accusa, in cui vengono elencati tutti i sacrilegi attribuiti alle imputate; la parte centrale, che si distingue dalle altre due per minor durezza, e per un certo lirismo, è un dialogo fra l’inquisitore e un’imputata ed è tratto dalla poesia Alla luna della poetessa Lamberti Bocconi. La terza e ultima parte riporta invece la sentenza, in cui, in forma declamatoria, le accusate vengono dichiarate colpevoli e condannate. 153 Confronta il verso “viaggiatori viaggianti da salvare” nel brano I treni a vapore. 154 COTTO 1994: 60 87 Da notare la presenza di un coro che rappresenta voci femminili che attraversano la canzone evocando il dolore e l’angoscia delle sfortunate donne di Nogaredo e con esse, idealmente di tutte le vittime sacrificali della prepotenza dei più forti.155 “Lunario di settembre […] non è una canzone sulla caccia alle streghe, ma sui deboli impossibilitati a difendersi”.156 Anche Confessione di Alonso Chisciano è scritta, come Lunario di settembre, con Anna Lamberti Bocconi. Qui prende vita un personaggio letterario: don Chisciotte. “Mi sono divertito a scrivere una canzone sull’unico punto che non condivido di quel lavoro, ovvero il rinsavimento del don Chisciotte vecchio, sul letto di morte. Cervantes[…] non ha osato andare fino in fondo nella sua provocazione. Don Chisciotte è l’uomo che fugge dalla realtà ma Cervantes non ti fa mai capire se fugge perché è pazzo oppure perché è semplicemente stanco, se ha perso la ragione o si è rotto i coglioni di vivere una vita diversa da quella che ha sempre sognato. Don Chisciotte, in ultima analisi, vuole giocare, recuperare l’anima surreale, in una sola parola vuole vivere.[…] E allora mi sono inventato, con Anna Lamberti una canzone dove Alonso Chisciano157 rimprovera Cervantes: ma come, mi disegni, mi aiuti, mi costruisci, fai di me un eroe, incapace ma per questo grande e assurda meraviglia di umanità, e poi mi fai pentire? Don 155 “Musicalmente il timore era che il brano si risolvesse in un quadro fiammingo o barocco, con il conseguente rischio, ancora maggiore, che si trattasse una scenografia da film dell’orrore con toni oleografici. L’intervento della corale polifonica Ars Antiqua sulla ritmica basso-batteria ha evitato il cadere nella trappola”. COTTO 1994: 146 156 COTTO 1994: 146 157 In base alle ricerche da noi effettuete Alonso Chisciano sarebbe il personaggio di un romanzo scritto dallo storico arabo Cide Hamete Benengeli, trovato e tradotto in seguito da un morisco, da cui deriva la storia scritta da Cervantes. Sono proprio i libri a provocare la pazzia di Alonso Chisciano: la lettura di troppi romanzi cavallereschi gli ha bruciato il cervello, producendo un'inversione tra realtà e finzione, egli scambia i mulini a vento per giganti, le contadine per madonne, le osterie per castelli, i catini per elmi. Dunque Alonso Chisciano sarebbe il vecchio nome di Don Chisciotte. Qualcuno identifica Cide con Cervantes. 88 Chisciotte è il vero uomo comune: perde ogni battaglia, è pieno di acciacchi, pasticcione, credulone, innamorato di una donna che non esiste se non nei suoi sogni[…]. Il finale di Cervantes è la sconfitta dell’uomo. Per questo non l’ho accettata.”158 Don Chisciotte rappresenta dunque la sana follia, il bisogno di sognare, di costruirsi un’altra realtà, più nostra, e per questo forse anche più vera, il desiderio di viaggiare con la fantasia, un personaggio che nei secoli ha saputo sopravvivere oltre la figura che il suo narratore ha creato, e che, come vediamo, per qualcuno ha un altro destino da quello che è stato scritto per lui, forse perché si ha bisogno di quella follia, di credere che non sia del tutto fuori dal normale, perché a volte crearsi un’altra realtà possibile è l’unico modo per vivere, l’unico mondo in cui vivere. Particolarmente efficace, verso la metà e alla fine del brano è un breve vocalizzo, eseguito a cappella da un coro misto (la corale “Ars Antiqua”); una sorta di corale omoritmico con la melodia che, significativamente tende a salire rimandando, fino all’ultimo, la cadenza. L’inserto ha probabilmente una funzione metalinguistica, richiamando uno stile e un linguaggio tardo rinascimentale (nel quale evidentemente Fossati colloca idealmente il suo Alonso Chisciano), ma allo stesso tempo conferisce un tocco di celeste spiritualità al sogno “negato” dell’anziano cavaliere, che immaginiamo ormai prossimo alla fine. Italiani d’Argentina parla di emigrati, quelli di terza generazione, sospesi tra due culture, non più italiani e non completamente argentini. Qui ancora Fossati, prendendo spunto dai dati presentati dal professor Donato Bosca, 158 COTTO 1994: 118-119 89 presidente dell’Associazione Italiani nel Mondo, si interessa della gente comune, quella che lavora, soffre, fa sacrifici. Il brano si presenta come un’ipotetica conversazione radiofonica di emigrati italiani che dall’Argentina cercano di stabilire una comunicazione, di raccontarsi ai loro (ex-)compatrioti; una conversazione che drammaticamente risulterà essere un monologo, un messaggio in una bottiglia lanciato da una costa all’altra dell’oceano, che vive d’incertezza e allo stesso tempo di speranza, quella di riannodare un filo spezzato, di recuperare le radici, di colmare distanze spazio-temporali “atlantiche”, cioè incommensurabili. L’ignoto trasmettitore, personaggio collettivo che parla a nome di tutti, dichiara oltre l’oceano la memoria “cattiva e vicina” degli emigranti e i loro desideri, le frustrazioni, la nostalgia, la rassegnazione, gli amori; si rivolge alla terra d’origine, l’Italia, cercando orecchie e cuori amici: “Ecco, ci siamo / ma ci sentite da lì?”; poiché in tanta distanza, “atlantica”, in uno “sfondo infinito”, si cercano conferme, si vuole essere capiti, da quel popolo lontano, in cui sono le loro radici, e di cui loro sono solo “ombre impressioniste”, d’italianità sfumata. Nella raccolta Piumetta, Unica Rosa e Albertina formano quella che Fossati chiama “la trilogia delle donne”, tre canzoni che hanno come protagonista tre differenti figure femminili viste ed evocate da altrettante (e nascoste) figure maschili, figure di innamorati. Piumetta è la donna amata che va sposa ad un altro, Unica rosa è un vero e proprio inno di lode e venerazione, Albertina è la donna che vive, evocata da un uomo chiuso in casa, frustrato forse, amato, chissà. 90 Piumetta prende spunto dalla musica popolare e dal topos, anch’esso d’ascendenza popolare, della “malmaritata”, della donna, cioè, che per motivi d’opportunità deve andare in sposa a chi non ama, e abbandonare lo sfortunato, nonché squattrinato amante. Come lo stesso autore spiega, la canzone trae ispirazione dalla narrativa portoghese: un innamorato vede la sua donna sposarsi con un altro e le augura, con un dolore infinito, ogni bene, accantonando la propria sofferenza e rinunciando ai propri sogni:159 “Difendi la sua casa / Signore Del Buonfine / una casa coi Santi / e carte buone per andare avanti”. La storia è attraversata dalla presenza delle carte del gioco dei tarocchi, cui si affidano i fatalisti, che aspettano il susseguirsi delle carte, una per una, finchè arriva quella della morte: l’uomo augura a Piumetta tutte carte buone, “ e se saranno carte brutte / venga la morte ultima di tutte”, poiché secondo i tarocchi la carta della morte annulla il valore delle altre. Il riferimento al popolare si coglie, nella musica, nell’ostinato ritmico che accompagna tutto il brano, un cellula che riprende, come si legge nel booklet del CD, alcuni passi di danza di Elio Rivagli, batterista del gruppo, marcati su un pavimento di legno. La pulsazione della danza (leggera come il nome della protagonista) anima infatti la canzone, un girotondo (“gira la gonna contro il vento / si potesse fermare / gira la gonna contro il tempo / si potesse aiutare”) che vede danzare tutti i tarocchi e i fantasmi dello sfortunato amante, riportato alla realtà dal suono delle campane che annunciano, con il matrimonio di Piumetta, la fine del suo sogno. 159 “Mi sono ispirato a certe cose della letteratura e della musica popolare. I portoghesi, ad esempio, sono intrisi, impregnati di attraversamenti esoterici e magici, più ancora di noi.” COTTO 1994: 144 91 Unica rosa, “un piccolo esperimento” costruito come una canzone brasiliana degli anni ’70, evoca lo spirito della bossanova. Il riferimento più immediato è Samba della Rosa di Vinicius de Moraes, una dolce samba per ogni rosa-donna che è “Rosa da vedere / rosa da sognare / rosa da volere”.160 La rosa è per i brasiliani, sempre simbolo della donna, donna fiore profumato e gentile, delicato e sottile, e così è anche per Fossati per il quale questa rosa-donna rappresenta tutto un universo, la “stella meridiana”, la “campana nel mare”, la “linea di una costa conosciuta”, donna voce di un dolore, e “piega dolorosa”, ombra e luce, peso e fortuna, vita tutta, “unica rosa”, solo amore. La canzone, che si apre petalo a petalo con la delicatezza di un fiore, è dedicata a Gildana, allora sua moglie, e a tutto quello che lei ha rappresentato. Albertina, la canzone che conclude la raccolta, “stempera la tensione”, dall’epica alta del viaggio e del sogno, dalla donna angelo e Madonna, all’eroina della quotidianità. Una donna comune, e proprio per questo eroica, una donna che ama e che ritornerà dal suo girovagare per portare all’uomo, un po’ grigio invero, una ventata di vita. Non è proprio una storia ma “è un gioco, la presa in giro di me stesso, di un certo tipo di uomini che si chiude” per difesa, resta tranquillo in cucina, convinto di sapere già tutto della vita, un uomo serrato, incapace di accettare 160 Riportiamo qui il testo integrale della canzone, nella traduzione di Sergio Bardotti: “Rosa da vedere / rosa da sognare / rosa da volere / rosa da strappare / rosa da vestire / rosa da spogliare / rosa da capire e da perdonare / rosa da servire / e da imprigionare / rosa da impazzire / rosa da implorare / rosa da fuggire / e da ritrovare / e se c’è una rosa-donna di più / È primavera: / una rosa tu sei / vieni a piantare / una rosa nei sogni miei”. 92 i tempi, quasi oblomoviano161, che se ne sta a guardare la sua attivissima Albertina. Tra un disco e l’altro, nel 1991 viene pubblicato da Millelire Stampa Alternativa un suo racconto: Il giullare. Una storia al limite tra fantasia e reale, costruita con l’antico sistema della concatenazione ad anello e percorsa da vari stralci di testi della tradizione trobadorica medioevale e da altri piccoli brani estrapolati da varia letteratura.162 A proposito di questo lavoro Fossati racconta: “Il giullare è una mia antica fissazione, un mio leggero incubo che riguarda l’inutilità dei mestieri come il mio. […] Nella storia che ha poi pubblicato Marcello Baraghini nella collana Millelire, ho estremizzato la situazione, inserendo il giullare in un caso limite, dopo il crollo del sistema socio-economico, aggravando il tutto con un totale degrado delle condizioni ambientali, con devastazioni ecologiche irrimediabili. L’ho fatto per dimostrare che in situazioni drammatiche come quella, l’artista non conta più nulla, la sua figura è superflua, la sua esistenza inutile”. E prosegue: “L’argomento mi aveva sempre affascinato e preoccupato, così quando Baraghini mi contattò per chiedermi se volessi scrivere qualcosa per loro, pensai subito al ruolo del giullare nella società”. “Ho scritto Il giullare proprio con la schizofrenia che l’artista vive fra il momento della 161 Oblomov è il protagonista dell’omonimo romanzo di I.A.Gongarov. Uomo di non comuni doti di sensibilità e intelligenza, viveva in un’immobilità fisica e mentale. 162 Da Giambattista Marino, Colin Muset, José Saramago, Michail Bulgakov e da varia letteratura cortese francese e italiana. 93 composizione e quello della rappresentazione, che è mestiere da saltimbanchi”.163 Nel 1992, a due anni dalla precedente raccolta, nacque l’album Lindbergh,164 che fece meritare al suo autore un altro premio Tenco. Lavoro maturo e intenso, il disco segna uno dei momenti più importanti all’interno dell’intera produzione di Fossati; raccoglie il bagaglio delle esperienze precedenti, proiettandosi in avanti e anticipando, con le sue complesse parti strumentali, le scelte future. “Disco solare”, lo definisce l’autore, una raccolta che rappresenta una “svolta”, la sua voglia di farsi “leggere meglio e più facilmente”.165 (Un desiderio che anticipa di dieci anni la scelta del suo ultimo disco, che vedremo più avanti). In realtà, dietro un’apparente semplicità si riscontra, come in Discanto, una notevole complessità formale e concettuale, di lettura, spesso, non agevole. Ancora una volta il tema dominante (anche se non esclusivo) sembra essere quello del viaggio, evocato già dal titolo: Lindbergh,166 “il pazzo dell’aria”167, il primo trasvolatore dell’Atlantico appare coma une delle tante “figure emblematiche”, una figura in un certo modo vicina a quella di Fossati. Lindbergh incarna la volontà di scoprire nuovi orizzonti, di “nuotare contro la corrente”, di percorrere il cielo come la terra e il mare, di viaggiare per aprire nuove vie di comunicazione; ma anche la temerarietà, il coraggio 163 COTTO 1994: 121-123 164 Edito dalla Epic. 165 COTTO 1994: 149 166 Charles August Lindbergh, aviatore americano, nel 1927 compì a bordo del monoplano Spirit of Saint Luis il primo volo senza scalo da New York a Parigi 167 Charles A. Lindberg, Spirit of Saint Louis, ed it. 1955, in COTTO 1994: 149. 94 di chi, andando contro corrente, tenta qualcosa di nuovo e difficile, consapevole di compiere una grande impresa, e non si ferma finché non la porta a compimento. Il sottotitolo dell’album, Lettere da sopra la pioggia, offre ulteriori chiavi di lettura che ci aiutano a comprendere non solo le dieci canzoni della raccolta ma gran parte della produzione del cantautore genovese: anzitutto la sua aspirazione ad osservare dall’alto la realtà, in un’utopica regione, nel senso letterale del termine, estranea alle tempeste e alla grigia quotidianità. Ma anche la predilezione di Fossati per la comunicazione epistolare:168 per lettera si esprimono i viaggiatori, i raccontatori di mondi lontani; un mezzo che porta, per sua natura alla riflessione, a una scrittura meditata e pacata; ma rimanda altresì alla professione dello stesso Lindbergh, postino volante, che idealmente consegna all’ascoltatore le canzoni-lettera che compongono la silloge. A volo d’uccello in Lindbergh si osservano e raccontano, come in Discanto, i colori, le danze, si ascoltano i ritmi e le tradizioni musicali dei paesi sorvolati, dal Mediterraneo al Sud America. “Lindbergh è composto da dieci storie di acqua e di aria secondo i dettami della vecchia tradizione marinaresca, in base alla quale la linea che in apparenza separa mare e cielo è in realtà il filo che li lega”.169 I temi sono dunque quelli consueti: oltre il viaggio e il volo che troviamo nel brano Lindbergh e in Sigonella, ritroviamo il mare, grande madre che ci accomuna e riunisce, come in La barca di legno di rosa. Non mancano 168 “La lettera è il mezzo d’espressione che più mi affascina[…], mezzo di comunicazone completo, l’unico che riesce a far passare la profondità del pensiero. […] La lettera ha tempi lunghi, anche di preparazione, e questo ti consente di aprire e di aprirti. Ogni volta che posso, e ogni volta che devo comunicare qualcosa di importante, scrivo una lettera.” COTTO 1994: 144 169 COTTO 1994: 150 95 neppure tematiche di tipo sociale e pacifista e storie segnate dalla malinconia ma anche dalla speranza in un futuro più solare. Nel brano Lindbergh il personaggio del titolo si rivolge in prima persona all’ascoltatore per presentare se stesso. Il grande eroe dell’aria sembra, quasi per pudore, voler ridimensionare se stesso, ridimensionare la grandezza della sua impresa e del suo saper volare. Questo è il senso del “Non sono che…” all’inizio delle prime due strofe, e del suo “piccolo aereo” citato all’apertura della terza e conclusiva. Il viaggiare, il volare, non è difficile per uno come Lindbergh che il volo, il viaggio l’ha nel sangue; in fondo è nella sua natura, il difficile è accettare la solitudine delle alte quote, il distacco “senza un saluto”. Eroe romantico, il recordman, non sa quanto durerà il viaggio, ma la meta, quella sì, l’ha scelta e vuole raggiungerla. La canzone più che cantata è declamata, con quel tono salmodiante che caratterizza molta produzione del nostro artista, declamata sottovoce, con un lento crescendo del sottofondo, una sorta di tappeto sonoro, formato da note lunghe in cui si intrecciano le frasi “minimali” della tastiera e della chitarra acustica; un sottofondo che sopravvive alla voce e che accompagna idealmente il volo del “piccolo” Spirit of Saint Louis che lentamente scompare dal nostro sguardo nel cielo azzurro. E così termina l’album. Il tema del racconto, del viaggio, si ritrova anche nella canzone La barca di legno di Rosa. In una dimensione fiabesca, e infatti la canzone è ispirata ad un racconto di Giovanni Arpino, compaiono varie barche, metafora di varie umanità, di varie aspirazioni e debolezze, barche con pescatori e pesci ancora vivi, con un gendarme e un assassino, con povera gente, emarginati; donne e bambini “con canzoni ma senza acqua per bere”, persone insoddisfatte della propria esistenza, prive di quello che neanche sanno di 96 aver perso. E in tutto questo “Passa una barca tagliata a metà” che, ricordando Calvino,170 si riempie di persone dimezzate: un mezzo capitano e mezzo motore che non va / un mezzo marinaio, mezza faccia sorridente / che ha perso l’anima e non ha sentito niente / in mezzo al mare, l’anima in mezzo al mare, in mezzo al mare di gente questo mare.” Un “mare di gente”, gente che lavora e fatica, stranieri, donne coi loro bambini, spose, e in ogni barca i viaggiatori sono uniti in qualche modo, perché trasportati dallo stesso vento e dalla stessa onda e accomunati tutti dallo stesso tempo che incalza, tempo che “non aspetta” e “non rispetta”, tempo che “corre disperato”. L’espressione “un gran mare di gente” unisce l’amore di Fossati per il mare e quello per la gente, da cui nasce la sua voglia di raccontare storie, in cui realtà e favola si uniscono. In tutto l’album (come in tutta l’opera del nostro artista) sono narrate vicende e vissuti di uomini e donne, luoghi, popoli, avvenimenti importanti o situazioni comuni, di un solo uomo, come Lindbergh, o di molti, leggende, racconti, episodi della vita di tutti, affetti, amori, non solo tra uomini e donne, ma anche verso le persone che ci sono vicine, soprattutto quelle che soffrono, i “diversi”, gli emarginati. Il tema del “sociale” ritorna anche in Mio fratello che guardi il mondo, un fiducioso inno alla solidarietà nei confronti degli stranieri, degli emarginati, dei diversi. Componimento semplice e breve, si presenta come un canto dolce e affettuoso, rivolto direttamente, con un vocativo, ad ogni fratello che ascolta: “mio fratello che guardi il mondo”, con un ottimistico e consolatorio “se c’è una strada sotto il mare / prima o poi ci troverà”; come un fiume sotterraneo che deve venire in superficie, una strada alternativa, nuova, che 170 Il visconte dimezzato. 97 nessuno ancora conosce ma che si farà presente, “se non c’è strada dentro il cuore degli altri / prima o poi si traccerà”. Musicalmente si sente l’impronta etnica, data dalle intense percussioni dell’indiano Trilok Gurtu. Fossati fa uso, qui come in altre canzoni, di inserti sonori che richiamano elementi della natura, come il temporale finale, evocazione di pioggia e vento, acqua che purifica, aria nuova. Sorella di questa canzone è Ci sarà in cui in una vita incerta e controvento ci si augura ancora un cielo e una terra migliori, novità e movimento, rivolgendosi a qualcuno che vive in modo diverso (“fratello attento a fare questa vita tutta controvento”), controcorrente, in un mondo di “incertezza che non passa”, di “perdita di dignità”, “mancanza di felicità”, “sotto un cielo che non assolve”, cielo ancora una volta avverso, o comunque non favorevole. La canzone popolare, la prima nel disco, deve la sua popolarità anche al fatto di essere stata adottata come “colonna sonora” della campagna elettorale dell’Ulivo nel 1996, in virtù forse dell’inizio incitativo. Come lo stesso autore spiega “è un manifesto, un tatzebao, una piccola esortazione a mettersi alla finestra e guardare quel che accade”,171 un richiamo ad agire e reagire. Ancora una volta si parla di gente, e qui è il titolo stesso a rivelare la dedica della canzone: il popolo. Un popolo fatto di persone che condividono esperienze comuni, e per questo si identificano le une nelle altre (questo è 171 “Si intersecano due storie nel brano. Una è un invito a guardare fuori, l’altra è un riconoscimento dei propri errori, la constatazione che si è sempre nella condizione di chiedere perdono a qualcuno di qualcosa, che dopo aver sbagliato si va a bussare sempre alle stesse porte. La canzone popolare è, in un certo senso, figlia di I treni a vapore.” COTTO 1994: 152 98 certamente il senso dell’incipit delle tre strofe “sono io oppure sei tu”), si confondono, perdono la propria individualità per diventare popolo. Un altro gruppo di canzoni ruota invece intorno al tema della guerra come Poca voglia di fare il soldato. Questa è una triste dichiarazione d’amore, che pare quasi una lettera, da parte di un soldato che parte per la guerra ed è costretto a dire addio alla sua amata. Una canzone contro l’inutilità della guerra, tenera e sentimentale, vagamente retrò, con lo stesso Fossati al pianoforte che abbozza un accompagnamento salottiero che lascia spazio, sul finire ad una struggente melodia irlandese o scozzese, affidata al tin whistle, evocatrice di spazi sconfinati, ma alla quale attribuiamo anche un carattere vagamente militare. E militaresca ci sembra anche la citazione dell’habanera dalla Carmen di Bizet (“L’amour est un oiseau rebelle”), opera “in divisa”, trabordante di passione, che come motto, Fossati accenna al pianoforte alla fine del brano. Un’altra canzone antimilitarista è Sigonella172. Qui la forma epistolare è esplicita (“senti cosa ti scrivo amore”): lo scrivente racconta alla persona amata la desolazione del luogo, parla di una natura irrimediabilmente contaminata da “certe macchine per la guerra”. Il messaggio è chiaro: la negatività non sta nel luogo, non negli aeroplani che volano in cielo, ma nell’uso che della natura e della tecnologia viene fatto in guerra. È evidente qui la polemica contro le basi Nato, come quella di Sigonella appunto, presenze che solitamente occupano località incontaminate e amene, impedendo ai civili l’accesso alle bellezze naturali ma soprattutto stendendo 172 “Sigonella è un posto dove nessuna agenzia turistica ti spingerà mai ad andare. C’è una base Nato, a due chilometri da una città strangolata dalla piccola criminalità, alle pendici di un vulcano ancora attivo. Non riesco a immaginare un luogo più cupo e desolante, in una zona che, geograficamente, è invece bellissima. Ma intrisa di tristezza antica, quasi di disperazione”. COTTO 1994: 153 99 ovunque un opprimente senso della morte, per cui “non c’è profumo di melograno, non c’è arancio che sia veramente in fiore”. La canzone denuncia dunque una situazione, tristemente attuale, piena di angoscia e paura, un continuo sentirsi sotto pressione; sentimenti cantati con rabbia dallo scrittore di Sigonella: “trema l’aria come tremo io / tremano i vetri in camera mia / tremano le parole della mia povera calligrafia”. Resta solo pregare: “se si alzasse la speranza / che come gli aeroplani può volare / se questa terra smettesse di tremare”, “se questa terra smettesse di affondare”. Parole che contrastano con i suoni della natura incastonati nella musica: canti di uccelli, versi di altri animali, richiamano a una natura intatta, desiderata quanto inconciliabile con i venti di guerra che spirano sulla piana di Catania. Il tema della guerra, ancora una volta in forma epistolare, torna ancora nel brano Il disertore, traduzione di una canzone scritta da Boris Vian (Le déserteur, 1954),173 che già all’epoca suscitò non poche polemiche. Una sorta di lettera aperta, scritta da un “milite ignoto” al Presidente della Repubblica (francese) per annunciargli la sua volontà di disertare. Il soldato non accetta di partire per andare ad uccidere e a morire, si ribella all’ordine costituito, alle armi, alla violenza, e preferisce vivere da disertore, andando in giro ad annunciare la pace e l’amore, non la guerra. La forma, nella traduzione di Giorgio Calabrese, nel complesso, dà l’idea di una canzone popolare, una sorta di ballata. Musicalmente il brano è molto semplice, una stessa melodia riveste le dodici strofe accompagnata in modo molto discreto dalla chitarra acustica. Nel complesso questo declamato 173 Boris Vian (1920-1959) è un intellettuale francese autore di poesie, romanzi, opere teatrali, canzoni, libretti d’opera, che si distinse sempre per il suo anticonformismo. Le sue opere nascono da una sofferta meditazione sulla crisi della società e del costume. 100 musicale è molto scorrevole e fluido (il brano dura appena un minuto e 44, il più breve dalla raccolta e forse in assoluto nella discografia fossatiana); una fluidità che rende egregiamente la spontaneità del testo, di questa accorata lettera, scritta di getto da un pacifista radicale. Come in altre raccolte si ritrovano qui oltre che ritmi della musica popolare, anche alcune immagini tratte dalla letteratura sudamericana: è il caso del brano La madonna nera. Il brano racconta un fatto di cronaca: un blocco stradale dovuto al rovesciamento sulla strada della statua di una Madonna nera. In realtà non si capisce bene il senso di questo racconto che appare assolutamente staccato da ciò che precede e ciò che segue. L’enigma è svelato però dall’autore nel suo libro-intervista: “ È un’allegoria, il racconto breve di una processione cattolica, dove, a un certo punto, la Madonna Nera, cara anche in tante parti d’Italia, soprattutto nel sud, s’impantana. E impantanandosi attira l’attenzione di un uomo che sta tornando a casa dalla sua donna. E quest’uomo si ferma, per tentare di risollevare questo grande simbolo cristiano. Nel fare questo dimentica la sua donna, che davanti alla sua scrivania, nel suo luogo di lavoro, s’ inclina, a mano a mano che la Madonna Nera si rialza”.174 “Musicalmente il brano è costruito al rovescio: è la batteria che parla con una scansione incontabile, e il canto dà il ritmo. Pare quasi un rap mediterraneo dove l’armonia vocale è stata abolita quasi completamente”. Fondamentale è a questo proposito la presenza del percussionista Trilok Gurtu “essendo tradizione della musica indiana far parlare su tutto le percussioni”.175 174 COTTO 1994: 153 175 COTTO 1994: 154 101 Più leggera, grazie anche al ritmo Notturno delle tre,176 prendendo in prestito le parole di Massimo Cotto, “è quasi una milonga, l’arredamento di un’idea”,177 in cui si parla di un amore passeggero, delle strategie di conquista di una donna (“la ragazza lo sa…”), di un incontro che dura una notte e finisce senza quasi dolore (“se dolore c’è / quando son quasi le tre”), passando come tutto passa. L’autore la descrive come “una storia di quelle che si vivono da sempre: la separazione notturna fra due persone, la seduzione cui fa seguito, dopo poche ore, l’abbandono. Sedotti e abbandonati, senza colpe di nessuno e senza vittime. Una storia che si porta in dote sempre le stesse immagini: una persona di spalle che lascia la stanza, che puoi essere tu o la donna; un’alba malinconica che illumina la città; un misto di soddisfazione e di delusione; strade semideserte percorse da filobus vuoti; baretti poco illuminati che servono i primi caffè.”178 È una delle canzoni meno “impegnate” della raccolta, in cui emerge un altro aspetto fondamentale della personalità di Fossati, quel suo spirito vagamente decadente e accidioso che si traduce in pura malinconia. Nel 1993 furono realizzati Buontempo e Carte da decifrare, i due album dal vivo, prodotti da Beppe Quirici,179 frutto di un lavoro intenso e maturo dell’autore con i musicisti “storici” che ormai da diversi anni lo seguivano, “compagni di viaggio” della tournee che ha dato alla luce questi album: il già citato Beppe Quirici (contrabbasso e bassi elettronici), Elio Rivagli 176 La canzone è stata recentemente ripresa da Mina, nel suo disco Veleno. 177 COTTO 1994: 155 178 COTTO 1994: 155 179 Per la Epic. 102 (batteria e percussioni), Armando Corsi (chitarra acustica), Vincenzo Zitello (arpa, tin whistle), Mario Arcari (strumenti a fiato), Stefano Melone (pianoforte e tastiere). A proposito di questo lavoro Fossati racconta: “Ho atteso così a lungo prima di pubblicare un live per due motivi: innanzitutto perché non avevo mai sentito, prima dello scorso anno, di avere una band adatta a riprodurre bene, sul palco, le mie canzoni. Ora l’avevo, e mi sembrava giusto sfruttarla. […] Il secondo motivo per cui ho atteso tanto è che, in generale non ho mai gradito tanto gli album dal vivo. […] Ho ceduto alle insistenze di chi mi chiedeva da anni un disco dal vivo solo dopo aver ottenuto precise garanzie: che sarebbe stata impiegata, nella realizzazione di questo lavoro, la stessa attenzione, anche finanziaria, solitamente dedicata a un album in studio; che avrei pubblicato tutto senza sovraincisioni (a parte 15 secondi di chitarra che si sono resi necessari) e trucchetti vari; che avrei potuto registrare tutto in non più di un paio di sere”.180 Le registrazioni sono la “fedele testimonianza” dei concerti effettuati le sere del 2 e 4 marzo (1993) al Teatro Amilcare Ponchielli di Cremona, scelto per diversi motivi: “perché è uno dei più bei teatri italiani, quasi un tempio della musica classica in Italia” e soprattutto “perché ha un’acustica eccezionale”.181 Inizialmente l’idea era di produrre un unico volume, poi l’autore si rese conto che rappresentare un percorso di vent’anni sarebbe stato possibile solo raddoppiando il lavoro. E il risultato è davvero eccellente: i due dischi contengono le sue più belle canzoni, quelle che hanno saputo resistere al 180 COTTO 1994: 160-161 181 COTTO 1994: 161 103 passare del tempo, saldamente conservate per la loro forza intrinseca e per la magia di emozioni che ancora riescono a comunicare. L’autore stesso svela di essersi reso conto che queste canzoni “inseguono lo stesso improbabile sogno e destino”.182 I 25 brani contenuti nelle due raccolte abbracciano l’arco di tempo, “ampio, profondo e felice”183 che va dal 1979 al 1992 e sono qui riproposti con una “nuova veste”, rinnovati e migliorati, secondo le esigenze dell’autore che non abbandona mai la ricerca e la sperimentazione, e arricchiti dalla maturità e dall’esperienza raggiunta dopo tanti anni. I brani più “vecchi”, anche se lui non li definirebbe così, sono quelli che appartengono al disco La mia banda suona il rock e sono Vola e E di nuovo cambio casa. Poi si passa a quelli del 1981: Panama, J’adore Venise e La costruzione di un amore (che era stata ripresa per un’altra versione in La pianta del tè) tratti da Panama e dintorni. Da Le città di frontiera (1983) sono stati scelti i brani Amore degli occhi e La musica che gira intorno, da 700 giorni invece Una notte in Italia, Buontempo e La casa. Il disco La pianta del tè offre Terra dove andare, La pianta del tè, Questi posti davanti al mare, La volpe. Da Discanto si ripropongono Discanto e Italiani d’Argentina, da Lindbergh La canzone popolare, Mio fratello che guardi il mondo, L’uomo coi capelli da ragazzo e Lindbergh. Oltre a questi brani già noti, Fossati presenta dei pezzi inediti: La pioggia di marzo, traduzione (di Giorgio Calabrese) del brano Águas de Março di Tom Jobim, del 1973, ritenuto da Fossati, e anche da noi, “uno dei più grandi 182 Vedi booklet dell’ album. 183 Vedi booklet dell’ album. 104 compositori di canzoni di questo secolo che ha cambiato faccia alla musica latino-americana”, come pochi altri. Altra canzone nuova è Carte da decifrare, che dà il titolo al secondo disco, “una canzone sulla paura dei sentimenti, sulla paura di metterli in atto”, “la voglia di sapere come si pilota quest’auto da corsa che, appena accendi il motore, parte da sola”.184 Naviganti, già cantata anche da Bruno Lauzi, “è una storia, molto semplice, di fatica fatta insieme, di cammino di due persone che procedono a testa bassa, come due ciclisti. E si danno il cambio, prima tira uno e poi l’altro, e si aiutano sempre”. La metafora di un viaggio e di due viaggiatori che si accompagnano percorrendo le strade della vita. Sulla stessa tematica della vita come viaggio è I treni a vapore, brano scritto l’anno prima per Fiorella Mannoia, che rappresenta “la consapevolezza che, se la corsa continua, anche attraverso i dolori e le contrarietà, anche fermandosi ad ogni stazione e sottoponendosi a ogni prova, alla fine il dolore si scioglie e va via”:185 “Come i treni a vapore / come i treni a vapore / di stazione in stazione / e di porta in porta / e di pioggia in pioggia / e di dolore in dolore / il dolore passerà”. La raccolta, nel primo volume, contiene inoltre un brano strumentale a chitarra: Sonatina, costituito da un’introduzione e un contrappunto eseguiti da Armando Corsi e un tema suonato da Fossati. È del 1994, Il toro, colonna sonora del film omonimo di Carlo Mazzacurati, piccola parentesi prima del nuovo disco di canzoni. Prodotto da Il 184 COTTO 1994: 162 185 COTTO 1994: 162 105 Volatore186 e realizzato da Beppe Quirici, questo lavoro è composto da brani tutti strumentali a parte Naviganti, tratta dall’album dal vivo volume 1, Buontempo, e il brano La neve, in cui compare un frammento di funzione liturgica di rito ortodosso. I musicisti sono Ivano Fossati (pianoforte, chitarra classica), Stefano Melone (tastiere, archi digitali), Edoardo Lattes (contrabbasso ad arco), Claudio Fossati (batteria, percussioni), per la prima volta fra i musicisti del padre. Altre colonne sonore per Mazzacurati sono quelle per L’estate di Davide, per La lingua del santo e per A cavallo della tigre. Del 1996 è il disco Anime Salve, scritto a quattro mani con Fabrizio De Andrè. Dopo la precedente collaborazione per l’album Le nuvole di De Andrè (1990),187 i due autori genovesi hanno lavorato interamente insieme a questo nuovo progetto, sia per le musiche sia per i testi, unendo le capacità dell’uno e dell’altro. Fossati riferisce che nel corso della lavorazione sia diventato naturale che De Andrè si occupasse soprattutto dei testi, dei “pensieri scritti”, mentre lui si dedicava principalmente alle parti musicali, mettendo in pratica il suo desiderio iniziale di fare il “musicista”. Ancora Fossati racconta: “era un modo quasi perfetto di lavorare: Fabrizio aveva lo stesso tipo di regole mio, cioè nessuna, se non di avere responsabilità di quel che si scrive”.188 Il loro metodo di comporre, sempre a detta di Fossati, non era esattamente lo stesso, tuttavia, forse proprio grazie alle reciproche diversità, i due artisti seppero trovare i loro spazi di 186 Edizioni musicali di Fossati. 187 I brani scritti insieme sono Megu megun e A cimma. 188 FOSSATI 2001: 87, 88 106 compatibilità, lavorando in “un’atmosfera particolare, molto rilassata e rilassante”.189 Una prima parte del lavoro di creazione del disco fu fatta a Santa Teresa di Gallura nel 1993. Il resto dell’opera è stato creato nel 1996, quando i due autori si sono “rinchiusi” in un palazzo del ’600 sulle alture di Camaiore, isolandosi per mantenere una migliore concentrazione. Tuttavia una parte del loro lavoro nasceva anche da esperienze “sociali”, dalla loro curiosità e dal loro interesse per la gente: infatti ad entrambi piaceva “ girare, incontrare persone e sentirle raccontare le loro storie”, da cui trarre ispirazione. Ivano Fossati descrive quei momenti: “Giravamo soprattutto il Sud dell’Italia, dove la gente ha molte scintille giuste. La nostra è stata, ed è tuttora, una ricerca di fatti umani che si possano raccontare”. Il loro interesse era volto naturalmente anche alla musica che dovesse accompagnare questi racconti. E così ascoltavano le nuove tendenze, la musica popolare, il jazz e la sperimentazione, per capire l’aria di rivoluzione musicale che li circondava, per poi reinterpretarla, rielaborarla fondendo dunque il classico, il popolare, il moderno in un processo di aggiornamento e progressione musicale, ma anche di recupero delle proprie radici, delle proprie tradizioni, dei propri valori, anche attraverso l’uso di strumenti musicali di varia origine e provenienza.190 Anime salve è infatti una raccolta di canzoni che esprime le voci di un’unica grande umanità, attraverso parole di genti, vicine e lontane, genti in 189 COTTO 1994: 173. Le divergenze sorsero per quanto riguardava gli arrangiamenti (di Piero Milesi, coproduttore dell’album con De André). Motivo per cui Fossati rinunciò alla cointestazione dell’album. 190 Cotto 1994: 173, 174 107 cammino, in viaggio, in fuga, di cui si raccontano le storie, le fatiche, i dolori, gli amori, le speranze. Princesa191 racconta la storia di Fernandino, nato fisicamente uomo ma cresciuto con l’animo da donna, diventata poi Fernanda, una prostituta di Bahia (una parte della canzone è in brasiliano). Khorakhanè è il racconto di un popolo rom, in parte cantato in lingua romanes dall’intensa voce di Luvi De Andrè. In lingua genovese sono Dolcenera e A cùmba, la colomba (cantata in parte da Fossati, la cui voce è presente anche in Anime Salve), è il resoconto della richiesta di un pretendente che domanda in sposa la sua amata, di cui si parla come di una colomba, e della successiva concessione della mano della ragazza al giovane da parte del padre. Le acciughe fanno il pallone 192 è la voce di un pescatore, che narra di mare, pesci, stelle marine, lacrime e sogni. Disamistade, in sardo “disamicizia”, “faida”, è il racconto di una gente divisa dall’odio, consumata dal sangue, una “storia sospesa”. Ho visto Nina volare è una storia al limite tra il reale e l’onirico, mentre Smisurata preghiera, l’ultima della raccolta, è liberamente tratta dalla Saga di Maqroll.193 Nel 1996, a circa tre anni dai due album live, l’autore realizzò Macramè, “intreccio” di musiche e immagini, mescolanza di jazz e musica popolare, rock e canzone d’autore. Un disco ricco di varietà, poeticamente più ermetico e complesso delle precedenti opere, “disco incosciente, per certi 191 Storia liberamente tratta dall’omonimo romenzo-intervista di Maurizio Jannelli e Fernenda Farias (Ed. Sensibili alle foglie, Roma) 192 Nelle note al disco si legge che così si usa dire in Liguria quando in autunno le acciughe inseguite dall’alalunga (grande pesce azzurro) scappano verso la superficie e si possono vedere saltare fuori dall’acqua a formare scintillanti emisfere. 193 Il gabbiere di Alvaro Mutis, ed. Einaudi. 108 versi coraggioso. Tecnicamente molto diverso dai precedenti. E con linguaggi musicali distanti dai miei abituali”.194 Lavoro e intenso e maturo, nasce da profonde riflessioni: “Quando mi sono messo a lavorare a questo album ho pensato alla facilità, mia e di tutti, con cui dimentichiamo le cose, i sentimenti e le persone. E a come ormai sembriamo incapaci di trattenere le cose, i sentimenti; perfino la paura. Siamo diventati tutti coraggiosi, forse perché riflettiamo poco. Un modo per raccontare questo mio timore era simboleggiarlo con i nodi di una rete. In fondo nella vita continuiamo tutti ad annodare e snodare in continuazione. […] Con questo album ho cercato di rieducarmi a ricordare meglio. E questo è il primo e il più importante nodo del mio macramè”. Macramè significa infatti intreccio, trama.195 “Come nel macramè i fili importanti sono tre: tentare di non dimenticare; contemporaneamente incastrarsi, intrecciarsi l’uno con l’altro, imparando a pensare al tempo stesso da vincenti e da perdenti; imparare a fare coesistere la rete dei ricordi con quella telematica dell’attualità ”.196 E della trama di questo macramè possiamo distinguere i fili che la intessono: come in un grande arazzo della coscienza, vi troviamo la memoria, la vita segreta, un intreccio di canti, un coro di voci, di lettere, di sussurri e grida. È un recipiente traboccante di vita e di amore, a tratti drammatico e doloroso, 194 Da Rockonline: 7-8 maggio 1996. 195 Macramè: [genov. macramè, dal turco makramà 'fazzoletto'] Trina di fili o cordoncini intrecciati e annodati, per passamani, frange, reticelle (Zingarelli). Il temine si rifà all'antica arte araba (apparsa nel XII secolo) e poi turco-ottomana dell'intreccio e annodatura di fili e cordoncini in trame ornamentali raffinate e preziose. Il suo nome deriva dall'arabo mahramatun (fazzoletto) e migramah (frangia), e dal turco makrama (asciugamano, fazzoletto o piccolo tessuto di pregio decorato a frangia). L'arte del macramè sopravvive in Spagna (nella zona di Barcellona) e nella Liguria orientale. costruendo - proprio come nel macramè - una trama ornamentale raffinata e preziosa. 196 Da Rockonline: 7-8 maggio 1996. 109 profondamente triste, desolato ma anche gioioso, sensuale, istintivo, energico; e ancora, matassa da sbrogliare, scandaglio all’interno delle profondità interiori, percorso dell’anima, dei suoi angoli più segreti, e forse proprio per questo così insondabile, arcano, indecifrabile, come un lungo flusso di coscienza. La canzone iniziale, La vita segreta, è emblematica, interrogativa, costellata di frasi istintive, misteriose, che nascondono concetti complessi, intrecciati come fili sottilissimi difficili da sciogliere e capire. “Ferire e incassare” è ripetuto estenuantemente come una regola, il principio essenziale della “Vita segreta”, o forse il “segreto della vita”, che è quello di saper ferire, attaccare, difendersi, ma di saper allo stesso tempo incassare i colpi, accettare le sconfitte, saper perdere. L’impianto musicale è chiaro e semplice, caratterizzato da un ritmo teso e drammatico, percorso da suoni etnici, rumori elettronici (come un allarme), per sfociare, in un incalzante crescendo, nel caos delle incursioni jazzate dal sax di Mario Arcari. Il canto dei mestieri prosegue con un inizio che sembra angoscioso ma poi prende un tono più leggero. È una sorta di dichiarazione d’amore, di un uomo che non ha un altro lavoro, un lavoro normale, se non quello di cercare il suo amore, sbagliarlo, scordarlo (“sotto il peso delle montagne”), e cercarlo ancora. Queste parole potrebbero essere di tutte quelle persone che mettono da parte ogni altra cosa per l’amore, per cui si può leggere anche come “la mia vita non è il mio mestiere”, non vivo di questo, non è il lavoro la cosa più importante (come invece è per moltissime persone, specialmente nella società moderna), ma la cosa più importante, che ha impegnato la sua vita, fu cercare il suo amore, e cercarlo anche nella fatica, cercarlo ovunque, 110 arrivando “fino nel cuore delle montagne”, ma la malinconia della canzone sta nella domanda a cosa è servito tutto questo, se poi il suo destino fu scordare e perdere quest’amore “sotto il peso delle montagne”, cioè lì stesso dove l’aveva trovato. Anche qui i ritmi e i suoni sono d’impronta etnica, in cui spiccano le percussioni e i flauti. Una simile ma più profonda tristezza si trova in L’amante, un “amante amato”, “arido” e “dimenticato”, aridità che si fa qui più dura, a tratti violenta. È un amore che ferisce, rovina, divora (“il viso non l’ho più m’è cascato”; “ho costole divaricate disossate” – che diventano “corde”, della sua arpa, che è quindi lui stesso; “cupi tamburi battono le reni”). Gli rimangono le lacrime (“ho acqua agli occhi”), i “fremiti alle dita”, i muscoli, che sono “da uomo” e “da cane”, come i pensieri (“specialmente da cane”), perché in questo dolore è diventato come un animale, una bestia, con una “corda al collo” e “trappole alla vita”. Allora in una vita così, in cui “niente era garantito”, pur tradendo il suo destino di uomo e di amante, si è fatto lupo, per salvare se stesso (e il proprio pasto), ma era una “povera bestia cattiva / “non abbastanza cattiva”, perché il tempo (“e chi lo serve”) “ha bocca più feroce e più grande”, non si può fermare, prendere, né domare con nessuna forza. Si rivolge poi al suo amore, quell’amore che ha visto arrivare, “fra le gambe delle donne arroventare / come il metallo nero / di un motore”, che ha sorpreso a cercarlo e ritornare, che ha sentito “frusciare, strisciare e rovesciare”, che ha guardato “abbattersi e salire e accendersi (“finalmente”) come le luci di un ponte / in mezzo all’estate”. Un amore che è arrivato, che è cresciuto, ma è comunque andato via, è finito, e nella solitudine rimane solo l’aridità dei sentimenti delusi, la sterilità, in cui non c’è più traccia nemmeno di memoria, per cui l’amante, un tempo amato, si ritrova solo nel 111 suo deserto. In conclusione l’attrice Mercedes Martini legge un frammento tratto dalle Lettere portoghesi.197 L’abito della sposa, dolorosa e amara, è una storia di violenza, di una sposa e di un soldato in tempo di guerra, conclusa da una malinconica melodia jazzata del sax di Mario Arcari. Il brano è scritto insieme all’amico musicista Tony Levin. L’angelo e la pazienza ci porta in America Latina (“c’è una femmina in Buenos Aires”), grazie anche al ritmo delle percussioni e a un organetto (Riccardo Tesi) che sa di tango, ma anche perché esprime una concezione dell’amore tutta sensuale. Questo è infatti il racconto di un amore voluttuoso, la voglia di corpo, di amare non solo in senso platonico, perciò bisogna prendere “quel bell’angelo prima che voli via”, non è più tempo di aspettare, “dopo centomila ore non c’è un minuto di più” perché l’amore “va consumato, va accontentato”: finalmente, “dove termina il dolore c’è un trionfo di stendardi”, dove si può godere la vita, l’amore, la sensualità. Labile è un canto apparentemente più leggero, ma in realtà racchiude anch’esso una profonda riflessione sul tempo, sull’amore, sulle debolezze, sulle incertezze, sulle domande che ci poniamo, domande qui rivolte direttamente a Dio (“ti ricorderai di me?”). Fossati infatti descrivendola dice: “È un mio piccolo parlare con Dio. Lo rimprovero di aver storicamente dimostrato di avere la memoria corta. Gli rivolgo qualche domanda. E com’è naturale, non ottengo risposta”.198 197 Le lettere portoghesi vennero pubblicate a Parigi nel 1669. Erano cinque lettere in cui una suora portoghese di nome Mariane esprimeva a un ufficiale francese tornato in Francia dal Portogallo, la sua passione, le sue sofferenze e poi, di fronte al suo silenzio la decisione di non amarlo più. Il fatto che si sia messa in dubbio la loro autenticità non toglie che siano tra le opere più belle della letteratura d’amore. L’amore vi appare come una follia irresistibile, una terribile e voluttuosa seduzione da cui la persona esce spezzata e inasprita. BRUNEL 1999: 281-282 198 Da Rockonline: 7-8 maggio 1996. 112 Particolarmente intenso e arcano è il verso finale: “Ho sognato una vita di stagioni sicure / ero il padre e la madre di azioni del caso e dell’orgoglio”. Bella speranza dal titolo sembrerebbe una canzone positiva, ma in realtà è assolutamente disperata: una disperazione esistenziale espressa con parole toccanti, che la rendono forse la più dolorosa di tutte le sue canzoni. In L’orologio americano troviamo ancora il tempo e l’amore, ancora una storia d’amore complessa ed enigmatica in cui lei è un “colpo di vento”, fugace e leggera come il tempo. Amaramente il protagonista constata che “l’amore dura quanto deve durare”, “ci si insegue per un morso d’immortalità”: “è il meccanismo ottuso di un orologio falsoamericano”. Amore che ferma il tempo, dunque, come nella più remota mitologia, ma il tempo, comunque, passa, e il suo scorrere e correre è ribadito dal ritmo, dato dal ticchettio di un orologio, che scandisce tutta la canzone. Nel finale Mercedes Martini recita un altro frammento dalle Lettere portoghesi.199 Stella benigna, è un’altra storia di sofferenza, mentre La scala dei santi, similmente a L’angelo e la pazienza, ripropone ancora amore, “amore volontario”, “soluzione di ogni disperanza”, e ancora tempo, “sentimento per il sentimento”, “carne per la carne”, “tempo per il tempo”. Appare più serena, una nota di speranza in mezzo a tanto dolore. Il disco si chiude con un brano strumentale, Speakering, in cui sono inserite voci radiofoniche in diverse lingue. Ultimo nodo del tessuto che, pur privo di testo, non meno degli altri brani esprime e comunica con raffinatezza emozioni profonde, intime, che lasciano alla mente un ampio spazio in cui viaggiare sull’onda della musica. 199 Vedi sopra. 113 È del 1998 il primo disco antologico di Fossati: Canzoni a raccolta – Time and silence, una raccolta di brani recenti e meno che tracciano il suo autoritratto, attraverso le linee del percorso artistico. In un certo senso, come tutte le raccolte, è anche una manovra commerciale, come l’autore stesso confessa: “Non c’è dubbio che questo genere di operazione nasca da logiche commerciali dell’industria. Ho assecondato il legittimo desiderio della mia etichetta cercando di dare un senso compiuto al disco, curando la scelta delle canzoni e legandole secondo una linea di sensatezza”.200 E prosegue: “Questa antologia mi permette intanto di continuare a lavorare con tranquillità al mio prossimo disco. Mi prenderà ancora un anno e sarà molto più impegnativo”, disco preannunciato dalle sonorità dell’unico brano inedito dell’album, Il talento delle donne, con le sue robuste aperture orchestrali. Canzoni a raccolta segna la fine di un certo periodo artistico per Fossati, e inizia a delinearne un altro. Stanco di “quel modo di fare musica, fortunato negli anni ’70 e ’80”, che “oggi ha il sapore di cosa vecchia”, e dunque della canzone da cantautore sempre uguale a se stessa dichiara: “Ci ho messo dentro le canzoni meno cantautorali, le più vicine alla musicalità della scrittura, come composizione e lavoro di strumenti e musicisti. Perché mi sembra che si volti pagina: anzi, la pagina è già voltata”. E prosegue: “Non vorrei essere sgradevole. Non voglio affermare che certi autori non hanno più niente da dire: ma il modo non può più essere lo stesso. Quel modo di far canzoni mi dà una sensazione di vecchio, di peso. Come quando ti manca un po’ l’aria nei polmoni e fatichi a respirare”. “Mi sono convinto che la 200 Queste dichiarazioni, e quelle successive, sono tratte dalle interviste fatte in occasione dell’uscita del disco e si trovano nel sito internet www.ivanofossati.net. 114 musica più importante che rappresenta il nostro secolo è quella del Novecento. Comincio per fortuna a vedere musicisti che la utilizzano, come Henry Threadgill, Egberto Gismondi, Hermeto Pascoal. Gente che ha abbandonato l’800, mentre tutti sono ancora appesi alla musica tonale. Si tende a rimanere incollati al passato, si sono trascurati Satie o Fauré, che rompevano con l’800. Qualcuno potrebbe obiettare che noi cantautori non ci dovremmo occupare di questo: invece siamo ancorati ad un ritmo usurato”. Come dicevamo la raccolta è composta da brani già editi, a parte un’unica eccezione, l’inedita canzone che apre il disco: Il talento delle donne (Time and silence), che l’autore identifica “nel misterioso talento di rinascere più volte, a differenza di noi uomini che abbiamo una vita sola. Ma non voglio fare il femminista. Nella canzone c’è un mantra nascosto, il più famoso: perché la concezione della rinascita è tutta orientale”. E l’oriente è richiamato anche dalle sillabe sacre “Om Mani Padme Hum”, inserite nel brano “affinché mi aiutassero a tracciare la linea d’ombra il più possibile netta fra l’idea ciclica del tempo orientale e quella lineare che è la nostra. Le parole tempo e silenzio sono espresse in lingua inglese perché più di ogni altra sembra rappresentare oggi il modello occidentale” ed “esprime il bisogno di darsi tempo, di arrestare la corsa quotidiana per una sosta salutare di riflessione. Magari per ristrutturarsi internamente”. “Le restanti canzoni sono un frammento di quindici anni di personalissima meditazione occidentale”. Partendo dalla più vecchia sono: Panama (1981) proposta però nella versione dal vivo del ’93, come anche Una notte in Italia (1986), La musica che gira intorno e Cow-boys (1983), che conclude il 115 disco,201 Ventilazione (1984), Buontempo (1986)202, La pianta del tè (1988); dall’album Discanto (1990) vengono invece tratte tre canzoni, Italiani d’Argentina, Unica Rosa e Discanto; tre anche i brani tratti da Lindbergh (1992): La canzone popolare, Mio fratello che guardi il mondo, Notturno delle tre; da Macramè (1996) è tratta invece Labile. Nel 1999 Fossati, mosso dal desiderio di allontanarsi un poco dalla scrittura delle canzoni e dalla sua costante curiosità, decise di intraprendere una nuova impresa, di cercare qualcosa dove trovare nuovi stimoli e da cui trarre nuove idee, una reazione a una certa stanchezza per la scrittura che altre volte l’aveva portato a lavori alternativi, come quello di scrivere musiche per il teatro o per il cinema. Così egli, insieme all’amica Elisabetta Pozzi, attrice ligure di teatro di prosa, elaborarono le idee per mettere in scena un “concerto recitato”, quello che divenne il Concerto in versi, prodotto poi da Cose di Musica ed edito nel 2001 insieme al suo libro Carte da decifrare (Einaudi). Non ci fu una lunga preparazione né prove vere e proprie. L’esperimento, raccontano i due artisti, era accostare in maniera inconsueta musica e parole, ponendole non l’una a servizio dell’altra, ma l’una contro l’altra, per provare a decostruire quello che si è soliti costruire, una sfida, insomma un gioco fatto di improvvisazione musicale, jam session e la lettura dei testi con la voce di Elisabetta Pozzi.203 Naturalmente ogni concerto (furono circa 201 La canzone ha una certa importanza: "Dopo 15 anni, mi sono accorto che questa canzoncina breve è la piu' importante fra tutte quelle che ho scritto. È il minuscolo cardine che ha impresso una nuova direzione alla mia carriera". 202 Brano riscoperto da Ornella Vanoni nel ’97. 203 A proposito di musica e parole Fossati racconta: “Certe parole vengono esaltate dalla musica. Ci sono frasi che senza accompagnamento perdono qualsiasi peso, credo che si debba sempre 116 cinque) fu diverso dall’altro, ogni volta una sorpresa, una nuova creazione di equilibri e disequilibri nei dialoghi fra gli “attanti” in scena. Tra i brani per le letture, scelti perlopiù dall’attrice, dopo averli sottoposti a giudizio a Fossati, ricordiamo i Quattro quartetti di T. S. Eliot, l’Amleto di Shakespeare, Mi ami? di Ronald D. Laing, e ancora Senzatitolo di Edoardo Sanguineti, Cose che sono, parole che restano di Costa, Ad ora incerta di Primo Levi, Il Tautofono di Alfredo Giuliani, Il giardiniere di Tagore, il tutto, come detto, accompagnato dalle note improvvisate dei musicisti in scena (Ivano Fossati: pianoforte, piano fender, piano preparato, Caudio Fossati: batteria, Edoardo Lattes: basso elettrico, Roy Paci: tromba e flicorno, Mario Arcari: oboe, sax soprano, ocarina, flauti, melodica) e da qualche intervallo concesso a poche canzoni dell’autore, scelte tra quelle che ama di più (come Poca voglia di fare il soldato e Mio fratello che guardi il mondo). Ritroviamo letture di testi abbinate a canzoni, anche se in modo differente, anche in alcuni album, come in Macramè e in La disciplina della terra, oltre che in occasione di qualche concerto (come ad esempio nella sua ultima tournee). Nel 2000, a quattro anni di distanza dal precedente album (senza contare la raccolta del 1988), uscì La disciplina della terra,204 lavoro particolarmente maturo, introspettivo, spesso malinconico (caratteristica alquanto frequente fare la prova di leggere una canzone come fosse poesia, e si ha subito la sensazione di quanto sia importante la stampella della musica. […] Ugualmente ci sono musiche che accompagnano parole suggestive, private delle quali diventano composizioni di poco conto”. FOSSATI 2001: 53 204 Produzione: Beppe Quirici. 117 nel nostro autore), che dimostra quanto Fossati sia capace di rinnovarsi pur rimanendo sempre fedele a se stesso. Quest’album, come e forse più di altri, rappresenta un particolare momento creativo dell’artista: “A giudicare dal piacere con cui l’ho registrato, direi un momento molto fortunato. Credo proprio che questa sia la mia «forma canzone» più evoluta. Forse un po’ obliqua, slargata, ma mia al cento per cento. Quattro anni dopo l’ultimo album in studio volevo focalizzare appieno il mio essere artista, poi farò altri esperimenti, a cominciare dal disco strumentale cui sto pensando da tempo”.205 La raccolta appare complessivamente come una summa delle migliori composizioni dell’autore, dall’alchimia di Discanto agli intrecci di Macramè passando per i viaggi di Lindbergh e le terre sconfinate di La pianta del tè. Musiche, suoni, parole, immagini, luci, colori, che compongono un autoritratto (come appare quello della copertina), visto attraverso uno specchio che riflette anche tutto ciò che sta dietro di lui, mostrando così, dal suo punto di vista, l’ordine (e il disordine) del mondo, i principi costitutivi del vivere umano, “la disciplina della terra”. La disciplina della terra è l’ordine che governa la vita, e il disordine del caos da cui essa nasce, è un’alchimia, in cui gli elementi costitutivi sono i principi essenziali della nostra esistenza: “l’amore nelle sue versioni”, amore disperato e disperante, beffardo e sensuale, vicino da poterlo toccare o lontano fino a diventare assente, l’amore sognato, taciuto, l’amore che si attende e quello che si finge. E ancora “amore e altre deviazioni”, “come la malinconia, come la nostalgia”, le sofferenze, i dolori, i sentimenti universali, quelli di sempre, quelli di tutti. Fossati racconta così, spesso 205 Dalle recensioni in www.ivanofossati.net. 118 autobiograficamente, la storia di tutti, e parla di tempo, il tempo che inesorabilmente, e/o per fortuna, passa, il tempo presente e il tempo futuro, quell’avvenire in cui si ripongono i sogni e le speranze, quell’orizzonte di attese cui si aspira costantemente, percorrendo il viaggio di ogni giorno. Come sempre ci parla di sentimenti, scandagliando in profondità “la condizione umana” attraverso un viaggio negli angoli segreti dello spirito. Racconta di sogni, di “sognatori di mondi”, di viaggiatori erranti, solitudini, e sempre e comunque descrive la vita tutta, quella vita che, nonostante tutto è “più bella di ieri”, e “a tutti ci fa battere il cuore”, una vita fatta anche di “invisibile”, di angeli, e naturalmente di musica. Musica composta anche di sussurri, voci in falsetto, grida, canti lirici, rumori, ma anche di silenzio, un silenzio a volte evocato ed invocato, a dire l’indicibile, l’invisibile, il fluire inarrestabile e irraccontabile della vita. La disciplina della terra è composta da canzoni che richiamano la leggerezza, l’impalpabile, l’etereo, come Invisibile, Angelus, La rondine, e da altri brani che invece evocano concretezza, se non pesantezza: Treno di ferro, Sono tre mesi che non piove, Il motore del sentimento umano, Iubilaeum Bolero. Il binomio ideale (disciplina) e fisico (terra) è del resto celato anche nello stesso titolo. Queste canzoni a loro volta ruotano intorno ai temi consueti del viaggio, dell’amore o più in generale a tematiche esistenziali come La mia giovinezza o La disciplina della terra. Quest’ultimo brano, da cui prende titolo l’intera opera, racchiude in sé, nascosti tra gli arcani segreti della ruota della vita, alcuni dei principi essenziali della “disciplina della terra”: “che non si china la testa”, che “non si regala l’intelligenza o la compagnia”, e “che non è il caso di aspettare”, 119 perché “desiderare non basta”, non basta passare il tempo ad “innamorarsi dei colori delle cose”. Davvero è difficile spiegare i misteri di questo nostro vivere umano, i ritmi della terra, lo scorrere del tempo, l’amore, e tutti quegli eventi che, per fato o per caso, ogni istante ci piovono addosso. E forse neanche Fossati è riuscito a farlo, ma ha di certo saputo in qualche modo – forse con “un contratto con gli angeli” – entrare in uno di quei profondi antri del sentimento umano, riuscendo ad esprimere, come lui sa fare, quell’inspiegabile (e inestricabile) intreccio di emozioni che tutti proviamo e sentiamo, ma che spesso non sappiamo dire.206 Indicibile e inesplicabile sono categorie che appartengono anche a ciò che è Invisibile.207 Altro brano che si addentra nei percorsi misteriosi di quello che è difficile (con mani o cervello) afferrare. “Invisibile” è “il vertice puro dell’allegria”, “la misura del tempo”, “l’amore nelle sue versioni”. E invisibile è anche “la strategia miserabile del cacciatore che si fa invisibile”, o quella di chi, secondo un “ordine superiore”, si fa invisibile anche verso ciò che ama (“io sto sempre lontano da ciò che amo io sto / invisibile”). E ancora indecifrabile è il funzionamento di quello strano meccanismo che è Il motore del sentimento umano, altra riflessione sull’amore, in cui si inseriscono i vari interrogativi di chi si è perso in un momento di “musica dura”; questioni sulla “trama del cielo”, sulle parole (“spediscimi le parole che ti dovrei dire”), le parole “che servono oggi a chi non sa scrivere che 206 In questo brano, come in altri, si fa riferimento alla musica: qui con il verso “tutti quei nomi dimenticati sotto la mano sinistra del suonatore”; in La mia giovinezza si legge invece “strofinando un pianoforte si incontra il mondo dei vincitori”; in Invisibile si legge invece “il pianoforte del dio del silenzio”, e “l’ambizione muta del compositore”; in Angelus la donna è vista “pronta e muta come un pianoforte”; in Iubilaeum bolero troviamo “musica del 900” e “ musica forte di trombe e di tamburi”, in Il motore del sentimento umano “c’è musica dura intorno per certi angeli”. 207 “Invisibile” doveva inizialmente essere il titolo dell’album. 120 lettere d’amore”, e ancora sul tempo (“che tempo è questo, che strada e che ora del giorno è”) e soprattutto ci si chiede la chiave per entrare negli ingranaggi del sentimento umano. In Sono tre mesi che non piove208 è espressa, con parole ruvide e dure, la sofferenza dell’aridità data dalla mancanza d’amore, invocato qui come una pioggia, e la disperazione di un dolore “senza difesa”. Un altro brano sull’amore è Angelus, un amore questa volta vicino, che esprime, come altri brani del nostro autore, il lato sensuale e fisico dell’amore. Lo stesso amore carnale è raccontato in La rondine,209 ma qui la metafora non è di un “angelo da collezione”, bensì di una “rondinetta traditora”. La mia giovinezza, brano d’inizio, è forse il più autobiografico dell’album. Richiama concettualmente la fugacità del tempo, il desiderio di afferrare la vita e viverla senza rimpianti, e rappresenta, proseguendo la metafora dell’autoritratto, il tassello della retrospettiva. L’autore racconta di una giovinezza mai tradita, “perché la vita si alimenta di poco”, di un passato “pieno di donne”, una vita vissuta (ma non consumata) “sulle labbra dell’avvenire”, cercando soddisfazione per quella continua “sete e fame” di esperienze che è degli spiriti come lui, esperienze che a volte, per i casi della vita, lasciano a mani vuote, come sa bene chi “ha conosciuto tutte le braccia e tutte le ha perdute”. Ma, dopotutto, seguendo uno dei principi della “disciplina della terra”, quello di “confidare nel silenzio e nella condizione umana”, “strofinando un pianoforte si incontra il mondo dei vincitori”. 208 Scritta originariamente per Tosca. 209 Canto tradizionale trascritto e rielaborato da Fossati ed eseguito qui con Luvi De André. 121 Treno di ferro, dedicata “ai ragazzi che partono, in pace e in guerra”, come recita il sottotitolo, è il racconto di una partenza, dura e pesante come le lamiere del treno che sta per partire, un “treno di ferro con il cuore di calce” e “il soffio di acido e di veleno”. Il momento dell’addio è uno dei più dolorosi, ancor più se si parte perché “si deve”, e per andare in un posto senza ritorno. C’e qui anche un richiamo al tempo visto in chiave di speranza, ma carico di amarezza: “anche quest’ora passerà”, passeranno questo tempo difficile e questo momento doloroso, così “come il tempo tutto”. Iubilaeum Bolero (Ai giubilanti dell’anno duemila),210 si stacca dalle altre, col suo tono di polemica e di critica sociale che appartiene al Fossati più indignato (quello di Discanto e Lunario di Settembre), qui impegnato in una feroce satira contro la superstizione travestita da religione, nell’anno santo del Giubileo. L’impianto sonoro, in cui è inserita una lunga parte strumentale (il brano dura in tutto quasi dieci minuti), è duro e nervoso, percorso da suoni vibranti, sferzanti più delle parole, e da cori di giubilanti. Il brano si chiude con una preghiera popolare in genovese e con un recitativo (voce di Mercedes Martini). Dancing sopra il mare (Panama parte seconda e finale) e Finale (Al tempo che si muove) sono i brani strumentali che concludono il disco con note leggere che richiamano al viaggio, affievolendo un po’ dalla “pesantezza” degli altri brani più “impegnati e impegnativi”. 210 “È la canzone meno progettuale di tutto l’album, mi è venuta in scrittura automatica. Ho inteso fare un affresco che fosse una processione profana, di un’umanità alla ricerca periodica di riscatto e purificazione. E volevo che fosse chiaro che la mia è una posizione di semplice osservatore. Tanto che, alla fine dell’allegoria, dico: attenzione, se fossi là dentro sarei proprio come voi. Insomma non voglio giudicare”. Da Rockol 25-01-01 in www.ivanofossati.net. 122 I due brani sono uniti dalla voce recitante di Mercedes Martini le cui parole ci portano alla conclusione di questo viaggio attraverso “la disciplina della terra”, e fuor di metafora, del viaggio di tutte quelle “voci erranti” cui finalmente “la terra all’orizzonte / tenue / di nuovo appare”. Queste parti strumentali, amate e usate da sempre dal nostro autore, anticipano il lavoro “senza parole” che verrà finalmente realizzato dopo questo. Le parti musicali sono ben curate in tutto il disco e vanno da brani più semplici, suonati solo da pianoforte e orchestra, ad altri più ritmati e jazzati, percorsi da sonorità latino americane, a parti dolci e sussurrate, ad altre aspre e sonore: una varietà dovuta anche alla presenza di musicisti come Enrico Rava, Roberto Gatto, Gianluigi Trovesi, la London session orchestra, Yoyo Mundi, Le giaculanti genovesi. Nel 2001 Ivano Fossati avverò finalmente il suo antico desiderio di fare il “musicista” realizzando il suo primo album solo strumentale: Not One Word, il progetto “senza una parola” annunciato da tempo, a lungo coltivato, rimandato, e finalmente concretizzato. Un disco che rivoluziona un po’ il mondo della musica leggera italiana, poichè fatto di riferimenti popolari, musica da film, jazz, tango, ma non di canzoni, almeno nel senso tradizionale del termine. Ma vogliamo illustrarlo direttamente attraverso le parole dell’autore, che racconta la genesi e la lavorazione del disco in un’intervista a Rockonline (28 maggio 2001):211 211 Le citazioni qui riportate sono tutte riportate (a parte quelle con altra nota) nel sito ufficiale di Ivano Fossati: www.Ivanofossati.net. 123 “È un progetto che ha richiesto una lunga gestazione. Se lo avessi realizzato allora (quando due anni prima aveva mostrato quest’idea), ne sarebbe uscito un lavoro completamente diverso. In questi due anni e mezzo trascorsi dal primo annuncio fino ad oggi l’idea è cambiata, si è modificata fino a diventare quella che è finita su disco. È questa la ragione del ritardo: sentivo che l’idea stava cambiando e avevo timore ad affrontare un progetto che neanche io avevo ancora ben chiaro. Alla base c’era il desiderio di utilizzare il pianoforte, di provarmi su certe tessiture musicali nuove, c’era la voglia di fare un salto. Un salto che non è piccolo, ma grande: la rinuncia alla parola è una svolta importante per uno che ha scritto canzoni per trent’anni. Scrivere canzoni significa scrivere pensieri: più o meno riusciti, più o meno alti, ma sempre pensieri. Significa quindi usare le due ruote dell’espressione musicale, testo e musica. E, poi, nel mio caso, sono riuscito a fare quello che desideravo dall’inizio della mia carriera: io volevo suonare, mi sono sempre considerato uno che, cantando, aveva sbagliato mestiere. Può darsi che a cinquant’anni abbia riequilibrato questa situazione. Se per tutti questi anni ho desiderato fare una cosa di questo genere, significa che c’era una brace forte che covava”. Il progetto non esce a nome di Ivano Fossati ma come “Ivano Fossati Double Life”. Egli spiega che ha scelto questo nome “perché questo progetto andrà avanti”. E prosegue: “Intendo Double Life come un’entità artistica diversa da me che scrivo canzoni. Era per dare un segnale netto: non un autore di canzoni che si mette al pianoforte e scrive anche della musica, ma uno che reinventa completamente la propria vita artistica. Io credo che, se mi riuscirà, porterò avanti queste due maniere di esprimermi, una con la parola, una con la musica.” […] “Ivano Fossati Double Life è un 124 progetto aperto nella forma e nel tempo. Può essere inteso come un gruppo musicale di entità variabile e come una forte volontà di affrontare un lavoro sulla composizione che sia alternativo alla canzone. Intanto, grazie all’esperienza inaugurata dai Double Life, stiamo mettendo su con Claudio (il figlio) un laboratorio musicale che dovrebbe favorire l’incontro con altri musicisti anche stranieri.” Il titolo del disco è in inglese, e buona parte delle composizioni hanno titoli stranieri (in francese, inglese, spagnolo). “È una scelta voluta – continua l’autore – per sottolineare che una volta che si rinuncia alla parola allora qualunque parola in qualunque lingua ha senso. Un titolo può diventare più evocativo in spagnolo o in francese.” Per quanto riguarda la scelta dei titoli dei brani dice: “Per la prima volta mi sono trovato nella posizione in cui si trovano tutti i compositori puri, come i jazzisti. In questi casi o si rinuncia completamente alla profondità del significato, dando titoli fittizi, oppure si caricano le proprie composizioni di significati precisi. Io vengo da un’attività di composizione, come quella delle canzoni, in cui il titolo è fondamentale e deve essere ben radicato dentro il significato della canzone. Quindi non posso fare a meno di significare un pezzo musicale con un titolo adeguato. Mi sono trovato per la prima volta di fronte ad una situazione per me problematica, che non conoscevo: il vuoto di parole ma non di significato, al quale bisogna dare un nome. […] In questo disco affiorano diverse influenze musicali: c’è il tango, c’è la musica da cinema, ci sono i pianisti.212 Quando si apre questa enorme finestra e si pensa che si ha di fronte tutto il possibile musicale, è una 212 “Not one word, per esempio, è venuto fuori dal pianoforte dopo aver ascoltato Ahmad Jamal, anche se poi non gli assomiglia per niente”. 125 situazione pericolosissima. È come se i tuoi binari, stretti e rigorosi, fossero saltati. In questa meravigliosa selva di cose che ti attirano bisogna trovare la propria strada espressiva. È stato difficilissimo, ma anche uno dei lavori più entusiasmanti che abbia fatto negli ultimi anni”. Poi l’autore prosegue parlando dei musicisti che lo hanno maggiormente influenzato: “Come chiunque metta le mani più o meno bene sul pianoforte, adoro Jarrett. Però, se devo pensare a qualcuno che ho nella mente ogni volta che suono, dovrei citare John Lewis del Modern Jazz Quartet. Al mio livello, infinitamente più basso, ricordo un suo modo di armonizzare, di portare gli accordi, forse perché sono cresciuto ascoltandolo.” E ancora, nei 14 brani della raccolta (13 originali e Besame mucho213 di Consuelo Velasquez), Fossati lascia trasparire la sua predilezione per il jazz più lirico di pianisti come Ahmad Jamal e Bill Evans, per il tango coltoappassionato di Astor Piazzolla e per altre risonanze latino americane, come quelle di Egberto Gismonti, e ancora per le colonne sonore di Ennio Morricone, per Michel Legrand e poi per Ryuichi Sakamoto, Carla Blay, Glenn Gould. L’album esce per la casa discografica Sony Classical, una scelta significativa: “Ci abbiamo pensato assieme tutti, perché essere pubblicati da quest’etichetta ha un suo significato e può essere scambiato come un atto di presunzione. Per cui ho lasciato che decidessero loro: la Sony Classical fa le proprie scelte su cosa pubblicare direttamente in America, e io mi sono 213 “Besame mucho mi sembrava una cosa dovuta, innanzitutto al mio divertimento, perché è un brano che mi piace molto suonare. Poi dovuta al pubblico: prendendo a pretesto il racconto della storia della sua autrice, Consuelo Velasquez, l'ho suonata dal vivo negli ultimi due anni con grande successo. Così ho pensato che a molti avrebbe fatto piacere riascoltarla. Poi è un brano a cui sono molto affezionato”. 126 sottomesso volentieri, inviando loro tre-quattro composizioni. È stato un ulteriore esame che ho affrontato volentieri. Poi la Sony Classical ha creato un recinto per gli anomali, per i pazzi. Un disco come il mio non viene pubblicato insieme a quelli di Mozart, ma insieme a quelli di musicisti che provano a fare un tipo di musica difficilmente etichettabile, che diversamente non avrebbe un territorio. Così mi sono trovato in buona compagnia con Joe Jackson, con Ryuichi Sakamoto.” E in effetti è davvero difficile trovare una classificazione per questa musica, ormai lontana dalla canzone italiana, che non è pop, non è classica, non è jazz. Molti critici, fra i quali Franco Fabbri, hanno sottolineato questo aspetto chiedendosi quanto queste “canzoni senza parole” siano vicine ai generi “alti”. Ma è Fossati stesso a dichiarare di non considerarsi “un compositore nel senso classico e “alto” del termine”, bensì, come abbiamo già accennato, c’è in lui e in questo lavoro un atteggiamento nei confronti del suono, della melodia, della costruzione armonica, che trova corrispondenze nel jazz, nella canzone, nella musica da film di qualità, e anche nella musica da camera, ma non è quello dei musicisti “colti” contemporanei (“Conosco bene il jazz e la musica da camera, ma conosco anche i miei limiti: non ho voluto invadere territori che non mi appartengono”). E allora Not One Word che cos’ è? Fossati ama definirla come “la raccolta di temi musicali per un film che non c’è”, una colonna sonora su “autocommissione”: “vuol dire che uno pensa a un film perfetto, a un musical ideale e fa la musica per questa ipotesi che è solo sua”. E oltre questo rappresenta per lui “una bella via di fuga”, il concretizzarsi di “una doppia vita artistica”: “la mia vera passione, quella per il canto degli strumenti 127 musicali, che in me rimane paradossalmente disgiunta dall’altro profondo amore per la lingua che parliamo, i pensieri, la parola appunto, e la sua fonetica”. “Not one word, il primo album che realizzo nell’ambito del progetto Double Life è la trasparenza totale delle mie passioni con il contributo e l’interferenza degli amori musicali e della preparazione altrui. Un titolo così perentorio non lo spiego altrimenti se non in chiave giocosa, uno sberleffo alle parole anzi alle mie stesse parole, quelle che ho scritto per tanto tempo e che continuerò a scrivere”. “Le passioni cui accennavo e che attraversano Not one word sono le mie certamente, ma anche per esempio quelle del direttore d’orchestra Paolo Silvestri”, o quelle dei musicisti, fra cui Martina Marchiori e Claudio (Fossati),214 “altamente irriverenti nei confronti degli strumenti”. E conclude: “Il giorno in cui ho terminato le registrazioni di questo lavoro mi sono sentito un musicista più libero di quanto non sia stato fino a oggi e credetemi, perfino un po’ più felice”.215 Forse Not one word fa da contrappeso a una certa stanchezza creativa che si avverte nella nostra canzone d’autore. L’autore è d’accordo: “Esperimenti come il mio servono in parte a rompere l’intollerabile ripetitività dello scrivere canzoni. Anche se la grande pagina dei cantautori è stata forse già scritta, penso che gli unici ad avere il diritto di ripetersi sono coloro che hanno cominciato. Quei pochi, come De André o De Gregori, che sanno 214 I musicisti sono: Ivano Fossati (pianoforte, vibrafono, armonium, oscillatori), Martina Marchiori (violoncello), Claudio Fossati (batteria, percussioni), Paolo Silvestri (arrangiamenti e direzione d’orchestra), “Orchestra di Roma” (primo violino: Ettore Pellegrino), inoltre: Gabriele Mirabassi (clarinetto), Luciano Biondini (fisarmonica), Michael Applebaum (tromba e flicorno), Pietro Cantarelli (tastiere e sonorizzazioni), Fabio Severini (corno inglese), Edoardo Lattes (contrabbasso). 215 Dichiarazioni fatte durante la rassegna stampa per l’uscita del disco. 128 cos’è la poesia. Gli altri, i più giovani, è meglio che partano da altre posizioni, che sperimentino altre vie”.216 L’ultimo lavoro dell’artista ligure è Lampo viaggiatore (febbraio 2003),217 un disco volutamente immediato, senza giochi enigmistici, lontano dalla malinconia che ha contraddistinto fino ad ora la sua canzone, e dunque più solare, leggero, giocoso. Un disco che nasce da una ritrovata capacità di scrivere “semplici canzoni”, una sorta di ritorno al passato, che scaturisce (paradossalmente) dalla volontà di rinnovamento, come a voler dare una “rinfrescata” alla sua canzone.218 Come di consueto ci piace spiegare il suo lavoro attraverso le sue stesse parole: “Credo di avere scritto le canzoni di Lampo viaggiatore pensando più ai juke box sulle spiagge d’estate, al mio mai dimenticato mestiere di autore di canzoni, a certi successi Tamla Motown degli anni Sessanta, che al ponderoso concetto di canzone d’autore. Forse proprio in relazione e per umana reazione al periodo difficile che il mondo sta affrontando, ho scelto ogni parola e ogni soluzione musicale di questo album desiderando che valga soltanto per se stessa, senza le enigmistiche doppie letture che spesso hanno costituito la materia dei miei lavori. Nessuna abiura del passato, beninteso, solo credo di dovere molto, anzi moltissimo, all’esperienza «muta» del mio album precedente: Not one word. Il naturale scollamento fra musica e parole mi appare oggi più netto e significativo, ancora più degno di 216 La Repubblica del 22 maggio 2001. 217 Columbia/Sony music. 218 Questo cambio è accompagnato anche dal totale rinnovamento della band (a parte il figlio Claudio). 129 essere esplorato con determinazione”.219 Quel lavoro strumentale “mi ha fatto capire che la musica è come lo scafo d’una barca, le parole come il timone. E avendo capito cosa vuol dire viaggiare senza timone, mi sono molto semplificato, con un utile alleggerimento”. “Scrivendo quel disco di sola musica mi è venuta voglia di reinnamorarmi della canzone, della sua semplicità, e ho voluto costruire un disco senza possibilità di una doppia lettura, senza metafore o complicazioni, senza nascondermi e senza zone d’ombra come la nostalgia, perché in momenti come questi non ce n’è bisogno”. “Mi sono trovato a scrivere canzoni che volevo avessero testi leggibili e comprensibili, che alla prima lettura si potesse dire subito “mi piace” o “non mi piace”, evitando di divertirmi con l’enigmistica. Mi sono liberato del desiderio di fare di più. È un po’ il ritorno a un certo mio modo di comporre di molto tempo fa, solo che queste canzoni, che di solito scrivevo per altri, questa volta me le sono tenute per me e ho fatto io l’interprete di me stesso”. “In passato, quando scrivevo per me e non per gli altri, ero terrorizzato dallo scrivere cose banali. Diventavo un complicatore. Per questo disco, invece, sono riuscito ad essere un semplice autore di canzoni. Come se, quei testi, li avessi scritti per un interprete. Solo che l’interprete ero io”. I dieci nuovi brani toccano i temi di sempre e ruotano intorno al viaggio, elemento costante in tutta la produzione di Fossati e anche in questo disco. Il viaggio infatti è evocato innanzi tutto dal titolo dell’album220 e 219 Dichiarazioni dalla rassegna stampa. 220 Fossati racconta: “Lampo era il cane di un capostazione di Campiglia Marattima: un bastardino bianco e marrone che saliva sui treni, prendeva coincidenze e trovava sempre la via per tornare a casa. Conosceva a memoria gli orari e sapeva distinguere gli accelerati dai direttissimi. Avevo letto la sua storia (scritta da Elio Barlettini) da bambino (era su tutti i sussidiari) e l’avevo conservata nella memoria”. La scorsa estate l’autore si è recato alla stazione di Campiglia per vedere il monumento dedicato al cane. 130 dall’immagine in copertina di una vecchia locomotiva del 1935 (la E.428.096)221. Viaggio nello spazio ma anche nel tempo, nel passato e nel futuro, attraverso il mondo dei sentimenti e della fantasia, viaggio onirico, quello del visionario, con “una macchina che riavvolge il tempo”, o un congegno capace di fermarlo: “Ho pensato che si può anche essere dignitosamente spaventati dal tempo in cui si vive. Io sono abbastanza spaventato in una misura che comunque mi garantisce la dignità. Volere un congegno che sposta il tempo significa aver paura, e si può affermare che ci sono angoli del tempo che appaiono migliori, con una miglior temperatura morale di questi momenti in cui sembra che gli uomini, la gente tutta, si stiano allineando in basso. Ci stiamo disgregando e lo diceva Gaber in una delle ultime interviste che ho letto”. Così Fossati ha provato, per parte sua, a cambiare il tempo, ha abbandonato la tecnologia, i computer e ha provato a scrivere come faceva “negli anni ’70 con Oscar Prudente. C’è un po’ di Panama e di canzoni nate con grande giocosità. Ho cercato leggerezza, che è anche una reazione a quello che viviamo, sentiamo tutti i giorni. Io sono un uomo antico. Inutile negarlo”.222 Ma intraprendiamo un breve percorso all’interno della raccolta. Lampo (Sogno di un macchinista ferroviere) “è una metafora. Il macchinista sogna un viaggio siderale. Arrivare dove non ci sono binari, sulla spiaggia, sul ghiacciaio: capricci impossibili per una locomotiva. Dopo questa unica ‘notte brava’, in cui arriva ovunque, ‘senza fari e senza corrente’, rientra nel percorso obbligato della sua vita. Come tutti noi. E il suo pensiero ultimo, 221 “In copertina ho messo un vecchio locomotore che mi piaceva e mi chiedevo perché. Poi mi è venuto in mente che era quello che da bambino guidava il treno che mi portava alla colonia estiva. Sono fotografie, cartoline, cose vissute che restano lì. Senza nostalgia”. (dalle recensioni nel sito ufficiale). 222 Dichiarazioni inserite nelle recensioni nel sito internet uffiaciale. 131 da bravo macchinista, è quello di ritornare, puntuale, dopo il sogno, al mattino, accanto alla donna che ama”. Nel testo si può leggere un doppio significato del “passare”: uno come attraversare, e dunque in senso spaziale (“Passa l’acqua di uno stagno / veloce di fretta va via / la piazza del borgo il ponte / il vicolo di fronte”) e l’altro invece in senso temporale (“Passano la febbre, la sete / col tempo l’amore, la gelosia”), riprendendo un concetto più volte usato da Fossati, che sottolinea il continuo divenire delle cose che accadono, che sono nella nostra vita sempre e comunque di passaggio. Questa canzone, come altre del disco, è molto ritmata, sia nella musica che nella parte cantata, e ha un’impronta jazzata negli inserti del sax tenore (Valentino Bianchi dei Quintorigo). Un altro genere di viaggio è quello raccontato in Pane e coraggio, un brano sugli emigranti che richiama per la tematica Italiani d’Argentina. Fossati non cessa dunque di interessarsi a tematiche sociali e a farle soggetto delle sue canzoni. Questo brano “va oltre lo steccato politico, ha solo riferimenti umani, potrebbe pure essere sugli emigranti del secolo scorso”.223 Racconta il dramma di tutti quegli uomini, spesso clandestini, spesso in fuga da una “terra che li odia”, che inseguono il miraggio della terra straniera, alimentati di sogni e illusioni, il cui destino poi è di approdare (quando non vengono dispersi lungo il viaggio), delusi e offesi, in una “terra che non li vuole”. Musicalmente è un incontro di ritmi latino americani e di un’impronta popolare data dalla fisarmonica (suonata dallo stesso Fossati). Cartolina (che è il brano di chiusura) è in realtà “una cartolina al contrario”, racconta Fossati. “Ero in un paesino dell’Appennino ligure: di solito si scrive «non vedo l’ora di partire per rivederti». Io invece canto «non ho 223 La Stampa 7 febbraio 2003. 132 nessuna intenzione di scendere a valle perché in questo fare niente sono felice»”, è una fotografia di benessere “dell’uomo che va a guardare la corriera che parte per essere sicuro di restare dov’è”. È dunque un po’ la canzone del non-viaggio: la cartolina è mandata non da un luogo di vacanza, ma da un posto da cui non si vuole partire, un luogo strano dove “non nevica e non piove”, dove “passano gli orsi in bicicletta”, ma da questo posto di “niente da fare” lui “non vuole ritornare”, e alla corriera ci va, ma per “guardarla ripartire”, senza lui. Un rifugio ideale da un mondo sociale che è a volte avverso e inospitale, per cui, come realmente Fossati spesso fa, si preferisce stare in un posto tranquillo, senza grandi svaghi, ma con pace e silenzio. Similmente agli altri brani fin qui presi in considerazione questo brano è molto ritmico, anche nel cantato, ma queste caratteristiche si trovano in misura maggiore in Contemporaneo. Qui il nostro autore, rimpiangendo il lontano ’900, con ironia e sarcasmo dà uno sguardo al tempo moderno, un tempo di corsa, in un mondo di desideri mediocri, di “sogni raggiungibili”, di vite che si vogliono perfette (“figlie obbedienti”, “casa spaziosa, elettronica, luminosa, vistosa”, “amministrata da una donna silenziosa”). Un tempo in cui la società vuole “meno ideale”, “meno sentimento” e “più ragione”, in cui bisogna avere la “capacità di stare collegato all’ordine del mondo”, e in cui si immagina un futuro “feroce”, dove si pensa solo a “sbranare chi capita”, e a “volere di più”, fino a desiderare perfino un prototipo, “un congegno in mezzo al cuore” che potesse programmare e controllare i sentimenti. Torna dunque il Fossati polemico, quello che scaglia frecce contro i difetti della società moderna, ma qui è diventato meno duro rispetto ai tempi di Discanto e di Iubilaeum bolero, o forse nasconde la stessa durezza in una 133 satira più sottile, non più gridata ma celata dietro una canzone apparentemente più “leggera”. “È una critica anche nei miei confronti, anch’io sono tra quelli che corrono e desiderano. Cado nelle stesse trappole in cui cadiamo tutti”, confessa l’autore. Lo stesso spirito muove La bottega di filosofia, il primo brano della raccolta,224 in cui Fossati manifesta ancora la sua percezione del presente, un presente di cui fa parte, ma che lo inquieta. La canzone “è nata dalla volontà di scrivere una canzone partendo da Mondo in Mi7”. L’autore racconta: “Per giorni ho strimpellato quel brano alla chitarra, alla fine il pezzo è nato”. Un’“illogica allegria”, “una leggerezza di reazione”, come la chiama lui, a questi tempi cupi.225 È una polemica contro i presuntuosi, pseudo filosofi o pseudo sapienti, che credono di sapere e conoscere tutto. “Viviamo in tempi in cui tutti sono filosofi e nessuno rinuncia a parlare. Si parla troppo. I lunghi periodi che trascorro nei paesini dell’entroterra ligure sono stati la mia università. Lì, ho capito il senso della parola opportuna, né troppo né poco, quella che serve”.226 E dunque a questo “visionario filosofo di bottega” non rimane che sognare “una macchina che riavvolge il tempo” (che è forse quella rappresentata in copertina). Musicalmente anche qui stupisce un po’ l’impianto che ricorda in qualche modo i tempi di La mia banda suona il rock e che si allontana da quelle che erano state le ultime scelte di Fossati. 224 Questo brano è quello che è stato mandato in onda su tutte le radio in anteprima all’uscita dell’album. 225 Il Manifesto 7 febbraio 2003. 226 Le dichiarazioni qui riportate sono fatte dall’autore in occasione della pubblicazione dell’album, come riportate nel sito ufficiale www.ivanofossati.net. 134 Io sono un uomo libero, scritta per Celentano,227 esprime lo stesso spirito critico e “ribelle”. Un uomo che dichiara: “Esco di rado e parlo ancora meno”, “ma osservo molto”, in questa vita che è “un viaggio lento”, “un ballo verticale che si impara un passo al giorno”, in cui ha visto “la feroce bellezza del mondo lentamente trasformare”, un mondo in cui paradossalmente si crede di fare “la pace con le armi”, lui sceglie “di camminare in silenzio”, da uomo libero, la cui sola direzione non è “né destra né sinistra”, ma è vivere la propria vita secondo la propria regola, una vita cui lui si vende tutto, “dalla testa ai piedi”. Anche qui i ritmi sembrano richiamare il Sud-America (come abbiamo già riportato infatti l’autore stesso riconosce di aver riscoperto un modo di comporre legato ad album del passato come Panama e dintorni). Ma oltre queste canzoni sul tempo, ci sono brani lirici e poetici, meno ritmati e più “orchestrati”, brani che parlano d’amore, di bellezza, come C’è tempo, unanimemente una delle più belle composizioni di Fossati, figlia della sua parte più romantica. È una lirica in cui parole e suoni avvolgono l’ascoltatore in un misto di emozione e immedesimazione che solo i grandi artisti sanno suscitare. Fossati ha saputo qui raccontare il tempo che scandisce la colonna sonora della nostra vita, quel tempo “che sfugge” (“niente paura”), “che prima o poi ci riprende”, il tempo che abbiamo perduto, e quello che ci rimane, il tempo degli errori e del pianto e il tempo per l’amore, il tempo che “ci inchioda” (Discanto), che preme alle spalle accentuando la nostra sete di vivere e di afferrare ogni istante, e il tempo che invece ci dà tempo. “C’è un tempo / per seminare / e uno che haivoglia ad 227 È un brano che definisce “un bi-posto”,: “Mi piaceva che ci fosse una versione sua e la mia. Dal punto di vista vocale è duro competere con Adriano, per questo ho cercato di renderla diversa per evitare paragoni'”. 135 aspettare”, c’è “un tempo sognato” che bisogna sognare, “un tempo negato”, “uno segreto”, “uno distante”, “c’è un tempo perfetto per fare silenzio”, e “un tempo bellissimo tutto sudato”, “una stagione ribelle”, ma (l’autore ci consola) arriva anche “l’istante in cui scocca l’unica freccia / che arriva alla volta celeste e trafigge le stelle”, “è un giorno in cui tutta la gente / si tende la mano”, un tempo in cui “ci si capisce”, ma non bisogna avere fretta, bisogna saper attendere (ché il tempo per aspettare è sempre quello più lungo), perché “c’è tempo per questo mare infinito di gente”.228 Il bacio sulla bocca è “un unicum nella mia produzione, una canzone d’amore che non finisce male”.229 Il testo è intimamente rivolto all’amata, la “bella” cui chiede “volami addosso”, per vivere intensamente il tempo del loro amore, aldilà degli errori, delle incertezze, di ciò che succede nel mondo.230 La bellezza stravagante parla ancora di amore e desiderio. A proposito di questi brani l’autore dice: “Non posso competere con la sensibilità femminile. È inarrivabile. Mi sfugge. La vita senza donne è impossibile, inesistente. E allora ho cercato delle metafore – «la pioggia sull’asfalto d’estate» – o dei lampi tipo «alla fine di ogni notte ho desiderio di incontrare l’amore che arriva senza ritegno», per sfiorare il tema delle donne, della bellezza, dell’amore. In queste canzoni ho cercato di evitare l’effetto ridondante dell’orchestra, preferendo la semplicità dei quartetti degli anni ’50”. 228 L’espressione “mare di gente” è stata altre volte usata da Fossati, come in La barca di legno di rosa in Lindbergh, o in C’è un uomo nel mare (scritta per Mia Martini). 229 “Un brano dove ho voluto fare l’interprete puro. È stato divertente”. (Il Manifesto 7 febbraio 2003) 230 Questo brano, come anche C’è tempo, è arrangiato e diretto da Paolo Silvestri. 136 Così è anche nel brano Ombre e luce (domenica al cinema), una canzone che racconta ancora d’amore, una storia vera che si intreccia a quella “finta” del film cui i protagonisti assistono, tra i bagliori della macchina da presa e quelli della gelosia, ombre e luce, sogni reali e sceneggiati, in quell’intreccio di verità e bugia, finzione e realtà come quello che compone tutta la sua canzone, che, come egli stesso ha dichiarato, non è sempre vera espressione di se stesso, ma è a volte, come ogni forma d’arte, la “messa in scena” di una storia immaginata, sognata o riferita che per mestiere e per diletto si vuole raccontare. 137 2.2 LA “POESIA MUSICALE” DI IVANO FOSSATI Come “carte da decifrare” le parole di Ivano Fossati si aprono alla musica, per giungere alle nostre orecchie e ai nostri cuori dirette, nonostante la loro elevata cripticità. Sussurrate o gridate, dolci o severe, sempre e comunque rivelatrici di un animo-poeta. Suoni, lettere, sillabe, parole, frasi, come una sorgente inesauribile di pensieri da comunicare: il primo e più importante obiettivo dell’artista, sia esso attore, pittore, poeta, cantautore o giullare. Per chi si avvicina alla canzone di Fossati, i testi sono la componente che di solito colpisce di più. Nonostante egli continui a dire che si sente più musicista che paroliere, è opinione comune a tutti quelli che amano le sue creazioni che sono le parole a colpire anzitutto. Come i grandi scrittori, Fossati riesce infatti, molto spesso, a suscitare in chi lo sente quella sensazione di appagamento che si prova sentendo parole che, in quel momento, descrivono esattamente la nostra condizione, quelle parole che non abbiamo saputo trovare, e che invece qualcun altro magicamente ci regala. Le sue canzoni, la sua poesia, aiutano quindi a dare un senso al nostro dolore, alla nostra gioia, alla nostra rabbia; quei testi talvolta oscuri nascondono profonde riflessioni che hanno il respiro della verità. Per questo motivo abbiamo ritenuto indispensabile mettere in luce le caratteristiche dei suoi testi: parole in musica degne a volte di essere definite poesie, anche se, come sostengono i critici, e come lui stesso ha dichiarato, bisogna sempre tener presente che nelle canzoni il testo è concepito per essere accompagnato dalla musica; questi due elementi nascono per funzionare insieme, sono inscindibili e dunque presi separatamente perdono 138 di significato, mentre la poesia, come anche la prosa, si reggono benissimo da sole. Nel panorama della canzone del ’900 spesso e volentieri molti cantautori e parolieri vengono assimilati ai poeti, ma questa definizione non sempre li trova d’accordo. È il caso, per esempio, di Fabrizio De Andrè, che diceva di non voler essere chiamato poeta, e dello stesso Fossati che ama distinguere canzone e poesia, e dunque cantautori e poeti: nella canzone la parola è sempre parola cantata, una parola in cui suoni, timbri, gesti contribuiscono e condizionano il significato; “le parole sono il corpo della canzone […] come la musica ne è l’anima”.231 È proprio Fossati a chiarire questo concetto: “La vera poesia non ha nessun bisogno della musica perché i veri poeti sanno benissimo quanto spendono di sé a fare in modo che la loro opera abbia già una musica interna. Certe parole vengono esaltate nella musica. Ci sono frasi che senza accompagnamento perdono qualsiasi peso, credo che si debba sempre fare la prova di leggere una canzone come fosse poesia, e si ha subito la sensazione di quanto sia importante la stampella della musica”.232 Lui stesso ha raccontato di non aver gradito affatto un episodio in cui alcuni testi delle sue canzoni vennero letti come poesie. È questo un gesto che non rispetta la natura della canzone, quasi la violenta, poiché la priva della musica, componente del tutto complementare e necessaria al testo. “La musica è come una barca, la parola ne è il timone, ciò che dà la direzione al lavoro musicale”.233 231 Cesare Pavese in ACCADEMIA DEGLI SCRAUSI 1996: 27 232 FOSSATI 2001: 53 233 Dalla conferenza “L’astuzia delle emozioni (come la finzione artistica svela ciò che siamo)”, Milano, 20 febbraio 2003. 139 E ancora a proposito della poesia l’autore racconta: “Ho intrattenuto dei rapporti di frequentazione con la produzione di alcuni singoli poeti e in particolar modo con la secchezza di quella poca poesia dei liguri. Sono sempre stato affascinato da questo tipo di poesia che mi porta sempre alla nostra realtà, vera, reale, come di un’asciuttezza generale di un pensiero.” Fossati ha spesso sottolineato l’importanza che riveste la letteratura per chi come lui scrive canzoni, in particolare ha constatato con amarezza che i cantautori si mettono sempre meno in relazione con i poeti contemporanei, cosa che invece, lui ha fatto e fa, traendone sempre nuova linfa. Infatti egli non solo attinge in continuazione dagli stimoli dei grandi scrittori che ama (Pavese, Saramago, Checov, Fenoglio, Amado, Marquez) e ha collaborato con altri cantautori (come Fabrizio De Andrè) e poeti (come Anna Lamberti Bocconi), ma “da sempre intrattiene un rapporto particolare con la poesia, nel senso che, come il poeta, scrive e riscrive continuamente quello che fa, cercando in questo modo di raggiungere obiettivi che vanno molto oltre il senso e la forza di una semplice canzone”.234 Come il poeta ricerca l’asciuttezza della forma, cura la tecnica, possiede il rigore, la smania irrefrenabile della trascrizione e della riscrittura. Tuttavia, lui sottolinea, e noi ribadiamo, le sue canzoni, come tutte, sono un’alchimia, un tutt’uno inscindibile di note e parole, e dunque i testi non dovrebbero essere considerati come fossero poesia. Ciò nonostante vogliamo isolare per un momento la parte testuale dal contesto musicale, per analizzarla e per capire meglio da dove nasce, come cresce e in che modo si sviluppa. 234 GIUSTINI 1996: 111 140 Come abbiamo accennato Fossati non nasce cantautore, e in questa definizione egli stesso non si riconosce tuttora. All’inizio della sua carriera artistica voleva essere solo musicista,235 voleva suonare e comporre musica; lo scrivere è arrivato più tardi, quasi per caso, e sono stati gli altri ad incoraggiarlo, primo fra tutti Oscar Prudente236 che ha scritto con lui i primi testi, a cominciare dalla famigerata Jesahel.237 “Ho cominciato a scrivere un po’ d’istinto ma non ha funzionato subito”,238 racconta Fossati, e prosegue: “non è stato automatico, è stato un percorso lungo, passato attraverso le versioni”,239 le canzoni per altri interpreti, gli insuccessi e gli errori. Un continuo lavoro di ricerca, di perfezionamento, di labor limae, degno di un poeta. L’autore racconta: “Sono convinto che il mio mestiere, sopra molti altri, sia proprio fatto di affinamento continuo, di mai fermarsi, di nessuna stasi, di nessun riposo […]. Il lavoro di correzione degli scrittori lo considero un esempio da imitare: il lavoro continuo di ritocco, di rimodificazione. Le canzoni per me non sono mai compiute fino in fondo, ma sempre modellabili e modulari, devono andare avanti nel tempo, espandersi, crescere, modificarsi. Io credo che tutto sommato lavoro, e lo dico con l’umiltà del caso, con la stessa tecnica che usano certi scrittori, che prima di ritenere che la loro opera sia realmente conclusa, la modificano e la rimodificano per anni. Perché in realtà, quando si dà per terminata una 235 L’autore stesso dice: “A me interessava la musica, e avrei tanto voluto scrivere solo quella, non i testi”. FOSSATI 2001: 30 236 FOSSATI 2001: 30 237 Canzone premiata per il migliore testo al festival di Sanremo del 1972. 238 FOSSATI 2001: 30 239 FOSSATI 2001: 29 141 piccola opera come una canzone, la si condanna anche a rimanere nel suo tempo bloccata e inchiodata per sempre.”240 “Il mio metodo è non avere metodo. Niente di originale, lo ammetto. Certo qualche regola c’è, ma sono regole non scritte, non codificate. Però c’è qualcosa che mi preme sottolineare. Una regola? Forse la si può chiamare così. Mi piace riuscire sempre a collaborare con me stesso”.241 E ancora Fossati parlando del suo metodo: “Mi piace dire che scrivo canzoni in forma obliqua, ovvero in maniera un po’ spostata rispetto ai canoni tradizionali”.242 “Quella che entra nelle canzoni, nei testi, è una miscela che amo moltissimo di realtà e bugia, che ho fatto diventare una specie di linguaggio personale. Quando scrivo cerco di raccontare alcune verità nitide, immediatamente controbilanciate da menzogne altrettanto precise, altrettanto chirurgicamente precise, perché le bugie quando si raccontano devono essere perfette. Tanto più nelle canzoni, devono essere quasi enigmistiche. C’è una capacità di menzogna divertita, quindi enigmistica che nelle mie canzoni è sempre presente”.243 Più che artista Fossati ama definirsi un artigiano, riferendosi all’aspetto manuale dell’attività musicale: “ci si lavora sulla musica, ci si traffica dentro. […] Come strumenti ci sono il pianoforte, la penna, la carta, la voce, tutta la fase solitaria, poi entrano batteria, basso, tastiere, rapporti con gli 240 GIUSTINI 1996: 112 241 FOSSATI 2001: 65 242 FOSSATI 2001: 50 243 FOSSATI 2001: 74 142 altri musicisti, tentativi riusciti, meno riusciti. A un certo punto da qui si va nell’officina, e quella è la zona più divertente”.244 La molla che l’ha sempre spinto è la curiosità, il voler cercare le cose, scovarle, scoprirle e studiarle. Cercare la meraviglia. Le canzoni nascono dalle esperienze, dalle emozioni, dalle riflessioni e, come lui stesso dice, anche dal talento e dal caso, da un miscuglio di cose e sensazioni che nasce da un’intuizione. Quando questa arriva bisogna però saperla afferrare e materializzarla, saper capire che quell’idea va portata a fondo, e lì nasce il progetto e non si lavora più solo dell’intuizione ma di quella ricerca continua che è la sua prerogativa.245 Una ricerca che l’ha sempre portato ai confini della canzone melodica, in un continuo prendere e lasciare le forme tradizionali della canzone, in un continuo percorso di rinnovamento, anche attraverso coraggiosi tentativi. A tale proposito egli stesso ha detto: “L’evoluzione della forma canzone, delle formule che danno modo di narrare le storie con le parole attraverso la musica e il divenire di queste forme non sta più a noi, non è più un fatto soltanto europeo, ma sempre più diventa un fatto mondiale, a causa della frenesia e della velocità di comunicazione”.246 Ecco dunque che la sua ricchezza lessicale, la complessità dei testi, la circolarità semiotica, le trame fitte, le strutture frasali, i rimandi arguti, sono tutti elementi di un percorso che ricerca la comunicazione autentica, la fuga dall’ordinario, dalla multimediale e ipercinetica “non-comunicazione” moderna; è il suo modo per ricercare e ritrovare il valore della 244 FOSSATI 2001: 83-84 245 Vedi anche in COTTO 1994 e FOSSATI 2001. 246 BISACCA 1996: 157-158 143 comunicazione, quella “umana” e personale prima di tutto, “un modo sempre nuovo per non dire banalità”247 ma per inviare ogni volta sempre nuovi e veridici messaggi. È questa una delle più importanti funzioni della letteratura e di tutti gli artisti come Ivano Fossati che si fanno, e sono, interpreti della società: la deautomatizzazione del sistema linguistico, letterario e comunicativo in genere. La riscoperta delle parole, dei significati sepolti nei libri che il nostro linguaggio non sa più ricercare. Fossati ritiene che la nostra comunicazione quotidiana si stia appiattendo sempre più; solo la letteratura, e talvolta la musica, continuano ad offrire strumenti di creatività e fantasia. Egli sottolinea l’importanza di questo aspetto del suo lavoro; sente e dichiara di aver “bisogno di recupero delle parole, persino dei fonemi. Ci sono parole che i muscoli della nostra bocca non sono più abituate a pronunciare, che le nostre orecchie non sono più abituate a ricevere: parole che sembrano obsolete e che invece hanno un effetto dirompente, una rara efficacia. Non dimentichiamo che la nostra lingua si è impoverita, sgangherata: è diventata una lingua commerciale. In parte è normale perché la lingua si evolve, ma nell’evolversi naturale e giusto fa anche dei danni a se stessa. Un esempio è la povertà degli usi dei verbi: il colore, la gradazione dei verbi si stanno perdendo, come pure la gradazione di forza delle parole”.248 “Riprendere e scavare un po’ dentro certi fonemi che passino di nuovo per la glottide, che arrivino alle orecchie, che picchino sui muri e rimbalzino come suoni di uno strumento, diventa un fatto nuovamente interessante che 247 BISACCA 1996: 156 248 BISACCA 1996: 156 144 non è ricerca, ma semplicemente il piacere di parlare una lingua ricca. Noi abbiamo una lingua ricca […]: disponiamo di un’enorme ricchezza e viviamo in indigenza, ma la vera comunicazione del pensiero non può passare per un numero ridotto di termini: è negare, per esempio, alla generazione più giovane uno spazio vero di comunicazione”.249 Ricerca comunicativa significa per Fossati anche contaminazioni tra arti e artisti di culture diverse: egli sente quella necessità di “acqua nuova e diversa che può essergli fornita solo da persone provenienti da altre culture e da altre esperienze”.250 Per questo nel suo lungo percorso artistico si è interessato a forme d’arte di diversi generi e di tutto il mondo, ha sentito l’esigenza di fare traduzioni da altre canzoni, si è occupato di musiche per il teatro e per il cinema, ha scritto un racconto, “Il giullare”, ha collaborato con artisti di svariate provenienze (tra gli altri citiamo il suo “fratello brasiliano” Ivan Lins, con cui ha scritto diverse canzoni edite in America). 2.2.1 UN POSSIBILE PERCORSO NEI TESTI 2.2.1.1 Le strutture Ivano Fossati, più volte definito dalla critica “lo spirito libero della canzone italiana”,251 non è un cantautore “classico”, nel senso che i suoi testi non rientrano quasi mai negli schemi tradizionali della musica leggera, 249 BISACCA 1996: 157 250 BISACCA 1996: 157 251 GIUSTINI 1996: 111 145 nonostante alcuni degli stilemi che vedremo siano comuni al repertorio della canzone. Fossati usa raramente le strutture e le tecniche standard della canzone, prediligendo invece forme più libere, “aschematiche”, un linguaggio ricercato, fatto spesso di neologismi, forme inusuali o desuete, doppie letture. La musica leggera, italiana e straniera, è infatti composta prevalentemente da canzoni costruite su schemi base, soprattutto su quelli della ballad – cioè la forma canzone costituita da due strofe simili consecutive, una parte differente che di solito è il ritornello, e un’altra parte come quella iniziale (AABA) – e della classica struttura bipartita strofa-ritornello (AB oppure AA1). Questi schemi, come vedremo, in Fossati si trovano raramente. La forma ballad tanto usata in moltissime canzoni, dai Beatles a Battisti, in Fossati è poco presente e si riscontra per lo più nel primo periodo, per esempio in Vento caldo,252 Where is paradise,253 Harvest moon,254 Manila ’23,255 La casa del serpente,256 e più avanti nel tempo in brani come Ci sarà257 e La vita segreta.258 Prendiamo per esempio il testo di Ci sarà: Ci sarà, ci sarà 252 Il grande mare che avremmo attraversato, 1973. 253 Good bye Indiana, 1975. 254 Good bye Indiana, 1975. 255 La casa del serpente, 1977. 256 La casa del serpente, 1977. 257 Lindbergh, 1992. 258 Macramè, 1996. 146 più di una buona ragione ci sarà più di una lunga questione in questo mondo che già si muove io lo sento già, io lo vedo già So che ci sarà. Poi ci sarà una buona generazione e più sottile distrazione e spostamento al centro sull’orizzonte che abbiamo tutti dentro verso un punto preciso che si intuisce già e so che ci sarà. E in mezzo ci sei tu fratello attento a fare questa vita tutta controvento ci sarà, ci sarà ma in mezzo ci sei tu e come la chiamiamo l’incertezza che non passa e non passa la mano poi come si risolve questa perdita di dignità questa mancanza di felicità sotto un cielo che non assolve e questa porta di casa nostra senza novità. Ci sarà, ci sarà che la televisione sostituirà che la religione allontanerà che l’informazione indicherà che l’informazione distorcerà questo mondo che già si muove io lo sento già so che ci sarà. E in mezzo ci sei tu fratello attento a fare questa vita tutta controvento e ci sarà, ci sarà e in mezzo ci sei tu e come la chiamiamo l’incertezza che non passa e non passa la mano poi come si risolve 147 questa perdita di dignità questa mancanza di felicità sotto un cielo che non assolve e questa porta di casa nostra senza novità ma ci sarà, ci sarà Vediamo qui come la tipica struttura AABA cioè strofa-strofa-ritornellostrofa, qui nella variante con ritornello finale, abbia un particolare senso legato strettamente al contenuto della canzone. Infatti nella prima strofa ci si augura, con la formula “ci sarà”, ancora un cielo e una terra migliori in una vita incerta e controvento. La seconda strofa prosegue in questo senso (“poi ci sarà”), contribuendo a delineare la situazione immaginaria che serve ad introdurre quella che poi appare la parte centrale: il ritornello. Il ritornello, o inciso, è la parte di solito più orecchiabile e quindi facile da ricordare. Infatti si nota subito uno stacco: qui il testo cambia (come cambia la musica e l’intonazione), diventa più interessante anche perché si rivolge a un “tu” che diventa soggetto (“e in mezzo ci sei tu”), un tu chiamato “fratello” cui è rivolto un avvertimento, e con il quale si sente una comunanza, data anche dal riferimento al plurale (“come la chiamiamo”; “casa nostra”). Riprende quindi la strofa, similmente all’inizio (“ci sarà, ci sarà”), proseguendo l’elencazione attraverso l’uso di anafore e asindeti, per poi lasciare di nuovo spazio all’ampio ritornello, esattamente uguale al primo, tranne che per l’ultimo verso che ribadisce, per concludere non concludendo, il “ci sarà”. Il “ci sarà…” è una formula che offre due possibilità di lettura tra loro opposte: se da una parte apre l’ascoltatore alla speranza certa di un mondo migliore, d’altra parte sottolinea la negatività della situazione attuale (e 148 quindi la vanità della speranza). In questo caso la canzone assume un significato per niente ottimista, come lo stesso autore ha rimarcato, anche se non in questi termini: “è il mio piccolo tentativo di divinazione. Ho preso la mia palla di vetro e ho provato a vedere il futuro. Spero di essermi sbagliato, perché la visione che è emersa è cupa e pessimistica, sebbene sia abbastanza mascherata.”259 Vediamo qui l’ambiguità, o se si vuole, la polisemicità che risulta essere, come vedremo anche in seguito, un aspetto particolarmente caratteristico nella poesia musicale di Fossati, un’incertezza costantemente voluta e alimentata. Abbiamo visto come la struttura non sia casuale, ma sia solitamente funzionale al messaggio che si vuole comunicare nel testo, nonché al bisogno di attirare l’attenzione e di concentrarla su un determinato punto. Così accade per la forma che alterna strofa-ritornello (AB), che si trova in Fossati più di frequente rispetto alla forma ballad. Su questo schema, con diverse varianti, sono costruite, ad esempio, Buontempo,260 Poca voglia di fare il soldato,261 La canzone popolare.262 Prendiamo anche in questo caso una di queste canzoni come modello: Buontempo. Oggi non si sta fermi un momento oggi non si sta in casa che è buontempo 259 COTTO 1994: 155 260 700 giorni, 1986. 261 Lindbergh, 1992. 262 Lindbergh, 1992. 149 oggi non si rischia né pioggia e né vento, no e poi non ci si muove come sempre a stento vedi si va a tempo Tu vestiti come un angelo caduto sulla terra da questo cielo che oggi il mio occhio non afferra tu vestiti come un angelo che giri per la terra fallo per questo cuore senza pace e senza guerra, per me. Al lavoro non stavo fermo un momento, no sono tornato a casa col buontempo oggi non si sogna di navigare il mare lo andiamo a salutare il mare lo andiamo a salutare Tu vestiti come un angelo caduto sulla terra da questo cielo che oggi il mio occhio non afferra tu vestiti come un angelo che giri per la terra fallo per questo cuore senza pace e senza guerra, per me. Oggi non si sta fermi un momento oggi non si sta in casa che è buontempo oggi non si rischia né pioggia e né vento, no Similmente alla canzone che abbiamo visto poco fa, anche qui la strofa introduce e descrive una situazione generale, ed è dunque più narrativa, descrittiva; il ritornello invece si rivolge ad un “tu” e quindi coinvolge maggiormente l’attenzione dell’ascoltatore. In questo brano le strofe non sono tutte uguali ma presentano piccole variazioni, per esempio nella prima il racconto è in generale, come si percepisce dalla particella “si”, mentre nella seconda strofa il racconto è personale, in prima persona. La terza strofa, che chiude la canzone, ripropone invece la prima, ma eludendo gli ultimi due versi. I due ritornelli che si alternano alle strofe sono invece, come di norma, esattamente uguali. Buontempo “è un ironico invito all’ottimismo”, e il titolo, parola creata della fusione di due termini (tecnica, come vedremo, molto usata da Fossati), 150 manifesta chiaramente questo significato. È il racconto di una giornata di gioia, di energia positiva, in cui si ha voglia non solo di sognare, ma di fare, di andare a toccare il mare, di godersi la bellezza della vita, vissuta nell’attimo: quell’oggi, ripetuto anaforicamente, che sottolinea la volontà di cogliere il buon-tempo che è arrivato. Più particolare, ma molto frequente, è invece la struttura tripartita, cioè quella che presenta tre parti del tutto differenti tra loro (ABC o ABA1); così sono per esempio strutturate Amore degli occhi,263 Passalento,264 La madonna nera.265 Analizziamo Passalento, che riprende un tema particolarmente frequente nella poetica di Fossati, il tempo: Come posso dire come passa il tempo come posso dire come passalento mani e faccia da uomo fanno poca pena ma le nostre intelligenze da cani alla catena è così che si ripensa a tutto l’amore detto è così che si ripensa a tutto l’amore scritto che era acqua da bere, fuoco sete da morire ma come passa il tempo non sappiamo dire. È che in questo deserto a tutti piace naufragare vivi e fortunati di poterne 263 Le città di frontiera, 1983. 264 Discanto, 1990. 265 Lindbergh, 1992. 151 respirare così non rimane che lasciarsi dire cosa fare così non rimane che lasciarsi ancora abbracciare come posso dire come passa il tempo come posso dire come passalento Signore di questo porto vedi mi avvicino anch’io vele ancora tese bandiera genovese sono io Qui Fossati si allontana dalla forma-canzone classica, sia dalla ballad sia da quella costruita sullo schema strofa-ritornello, per avvicinarsi al verso sciolto della poesia contemporanea, alla parola “in libertà”, quasi un flusso di coscienza. Già dalle parole iniziali infatti sembra introdurci in un’atmosfera molto intima, data anche dalla lentezza e dal cantare sommesso. I primi versi, ripetuti anche più avanti, sottolineano, forse, nell’anafora basata sulla parola “come”, l’incertezza, l’incapacità di spiegare. Inoltre osserviamo l’allitterazione di “posso” e “passa”, che troviamo più avanti nel più tenue “poca pena”. Anafore e allitterazioni creano comunque una texture piuttosto densa, una pacata cantilena data, oltre che dallo stile recitativo del canto, da una scansione ossessiva di parole simili nel suono ma diverse, come al solito, nei significati. Emblematica a questo proposito la differente funzione grammaticale dell’avverbio “come” che apre la canzone. Il testo, qui ne abbiamo la prova, favorisce il suo caratteristico modo di cantare 152 “appoggiando” le note, le vocali,266 distribuendo il peso delle parole in base al loro valore semantico. Significativo è anche, nella prima quartina, il neologismo “passalento”, ottenuto con l’inusuale accostamento di due termini, tecnica, come abbiamo visto e vedremo, molto usata dall’autore. La seconda parte della canzone si apre con una reminiscenza leopardiana: “È che in questo deserto / a tutti piace naufragare / vivi e fortunati di poterne / respirare”.267 Come in altri brani (per esempio in “Una notte in Italia” “la fortuna di vivere adesso, in questo tempo sbandato”; o in “La disciplina della terra” “tu sei più bella di ieri vita, che a tutti ci fai battere il cuore”), Fossati ribadisce qui il suo attaccamento alla vita, la fortuna di viverla, perché comunque, anche nella sventura, è un dono immenso. L’infinito di Leopardi con la sua pessimista e amara voglia di vivere (“e mi sovvien l’eterno, / e le morte stagioni, e la presente / e viva, e il suon di lei”) ritorna ancora nel testo di Fossati che esprime la profondità del vivere, la bellezza e la dolcezza della vita, anche nel dolore, che ne è comunque parte. Il canto si conclude con un’invocazione, o forse una preghiera, in cui il discorso si priva di ogni legame sintattico, accrescendo l’impatto emotivo di questo finale intenso. Andando avanti nell’excursus sulle strutture più usate da Fossati, c’è poi quella monostrofica – caratteristica della tradizione trobadorica268 e usata molto negli anni ’60 e ’70 – che ripete sempre la stessa sezione (A) per un 266 Questo modo di cantare, secondo Fossati è analogo a quello che usano gli strumentisti a fiato. 267 L’idea del naufragio “terrestre” richiama il ben noto “e il naufragar m’è dolce in questo mare” che chiude L’infinito, dodicesima lirica dei canti di Giacomo Leopardi. 268 SALVATORE 1997: 152 153 numero variabile di volte, solitamente quattro, ma anche cinque, sei o più: esemplari per questo tipo di forma sono Canto nuovo,269 Dedicato,270 E di nuovo cambio casa,271 Passa il corvo,272 Una notte in Italia:273 È una notte in Italia che vedi questo taglio di luna freddo come una lama qualunque e grande come la nostra fortuna la fortuna di vivere adesso questo tempo sbandato questa notte che corre e il futuro che arriva chissà se ha fiato. È una notte in Italia che vedi questo darsi da fare questa musica leggera così leggera che ci fa sognare questo vento che sa di lontano e che ci prende la testa il vino bevuto e pagato da soli alla nostra festa. È una notte in Italia anche questa in un parcheggio in cima al mondo io che cerco di copiare l’amore ma mi confondo e mi confondono più i suoi seni puntati dritti sul mio cuore o saranno le mie mani che sanno così poco dell’amore. Ma tutto questo è già più di tanto più delle terre sognate più dei biglietti senza ritorno dati sempre alle persone sbagliate 269 Il grande mare che avremmo attraversato, 1973. 270 La mia banda suona il rock, 1979. 271 La mia banda suona il rock, 1979. 272 La mia banda suona il rock, 1979. 273 700 giorni, 1986. 154 io qui ho un pallone da toccare col piede nel vento che tocca il mare è tutta musica leggera ma come vedi la dobbiamo cantare è tutta musica leggera ma la dobbiamo imparare. È una notte in Italia che vedi questo taglio di luna freddo come una lama qualunque e grande come la nostra fortuna che è poi la fortuna di chi vive adesso questo tempo sbandato questa notte che corre e il futuro che viene a darci fiato In questo brano sembra che la ripetizione della stessa strofa, e dunque della stessa melodia, crei man mano una maggiore intensità, come in un crescendo emotivo. Significativa è poi la ripresa finale della prima strofa, quasi a voler tornare al pensiero da cui era iniziato questa sorta di flusso di coscienza. In ogni strofa c’è un piccolo taglio di vita, c’è il tempo che passa, il futuro che arriva portando con se speranza, c’è la musica, quella musica leggera che ci fa sognare, ci sono gli insuccessi, le fatiche, le solitudini, l’amore, quello che si perde, quello che si tenta, quello che confonde, e ci sono gli errori, e i ricordi di cose perdute. Una notte in Italia è una delle più belle canzoni di Fossati (anche a parer suo).274 Intensa e profonda, canta la fortuna di esserci, di vivere il momento presente, anche sé è un momento “sbandato”. Quel carpe diem che Fossati in più di un’occasione ha mostrato, nei suoi testi, di seguire come filosofia di vita. 274 “Una notte in Italia mi piace moltissimo. Me la porto dietro con grande piacere in ogni concerto.” COTTO 1994: 114 155 Abbiamo finora visto brani con strutture piuttosto regolari, schematiche, e dunque facilmente identificabili in un genere. La maggior parte delle canzoni di Fossati sono però in forma “libera”, hanno cioè strutture particolari, non schematiche, irregolari, non scritte secondo delle formule strutturali codificate e codificabili. È egli stesso a spiegare: “Da Ventilazione275 in poi le cose le ho pensate, anzi la parola giusta è architettate. Faccio un esempio: la struttura delle canzoni cambia, diventa asimmetrica, diventa dal punto di vista tonale più ricca di modulazioni, spariscono i ritornelli, gli incisi, i refrain e si aprono delle finestre abbastanza ampie per l’espressività degli strumenti”.276 Le canzoni in forma “sciolta”, sono infatti molte e varie, tanto che risulterebbe oltremodo difficile citarle tutte, per cui vedremo solo qualche esempio più significativo, individuando comuni denominatori formali e tipologie. Una di queste forme particolari è costituita dall’elencazione, una configurazione che si basa sull’accumulo, su lunghe enumerazioni che si fanno simboli di concetti, assumono significati ulteriori, proprio per la struttura che vanno a formare, o, verrebbe da dire, a disfare. Così è Discanto:277 Di acqua e di respiro di passi sparsi di bocconi di vento 275 Album del 1984. 276 FOSSATI 2001: 38-39 277 Discanto, 1990. 156 di lentezza di incerto movimento di precise parole si vive di grande teatro di oscure canzoni di pronte guittezze si va avanti di come fare di come dire di come fare a capire di alti di bassi battiti del cuore fasi della luna e ritmi della terra di intelligenza di intermittenza si vive di danze di ballo sociale di una promessa di un faccia differente di mediocri incontri di bellezze di profumi ardenti di accidenti rotolando si gira, si balla si vive, si fa festa quella, questa si picchia forte col piede nella danza e si sbaglia il passo si vive di fortune raccontate e di viaggiare e si cammina stanchi è lavoro è opposizione è corruzione si vive di lenta costruzione e di tempo che ci inchioda e di diavoli al culo di fianchi smorti di fuochi desiderati si vive di pane di speranza di bere un vino buono per l’estate rotolando si vive di discorsi leggeri 157 cori di maschere notturne canto e discanto e giù divieti e oli sulla pelle e sorrisi di fantasmi e fantasmi fotografati e giù campane annuncianti si vive di sguardi fermi di risposte folgoranti di lettere partite che aspettiamo in cima al mistero di essere così soli. Di questo si vive e di tant’altro ancora che inseguiamo come i cani respirando dal naso per finire invece ancora sorridenti, ancora abbaianti di un dolore a caso Questa canzone, una delle più belle e interessanti dal punto di vista formale, appare strana, quasi un enunciato, fatta di anafore, che generano interminabili asindeti. Un testo che, ad una prima lettura, potrebbe apparire o artificiosamente costruito o, al contrario, improvvisato sull’onda delle emozioni, una congeries di concetti, di oggetti, di azioni che sgorga come un fiotto. Un vero e proprio instant song; immagine caleidoscopica di una realtà fatta di aspirazioni, di oggetti ideali e quotidiani che danno la dimensione del vivere. “Il titolo è polisemico: indica una forma musicale discantica,278 ma anche la mia voglia di giocare con due parole: incanto e disincanto”.279 Una ricchezza 278 Il termine Discantus è un termine latino impiegato dai teorici musicali del medioevo in diverse accezioni, in particolare per indica una seconda voce, aggiunta ad un cantus firmus (melodia preesistente) e da essa complementare e contrastante. 279 COTTO 1994: 139 158 semantica che l’autore ricerca continuamente, come vedremo anche più avanti. Il “si vive” appare come il nucleo concettuale della canzone, una vita che si porta dietro, inevitabilmente quell’infinità di “annessi e connessi” che formano la stessa canzone: così, anche qui, Fossati sembra voler mettere in una sola canzone tutto ciò che riguarda la vita tutta; ritroviamo gli elementi fondamentali (acqua, vento, terra, fuoco), il viaggio, il tempo, l’amore, il dolore, insomma tutto ciò di cui viviamo, e “tant’altro ancora”, noi che ci troviamo sempre sfiniti e felici di fronte alla meravigliosa fatica di vivere. In forma simile di elencazione sono costruite anche La volpe,280 La pioggia di marzo281 (rifacimento di Águas de março di Jobim), e Unica rosa,282 in cui “il termine consueto, ripetuto oltremisura, si depaupera del valore originale e diventa ornamento stilistico”.283 In tutti questi brani la ripetizione, la mancanza di pause nette, di parti con più respiro e altre più intense, crea una tensione continua, un carico incontenibile di significati e di reazioni emotive. Altri brani, o parti di essi, al contrario, sono più vicini alla configurazione della narrazione, cioè raccontano una storia e seguono il ritmo e i movimenti di essa, come se la forma fosse guidata dagli eventi stessi che vengono narrati. Così accade, ad esempio, 280 La pianta del tè, 1988. 281 Buontempo, Dal vivo vol. I, 1993. 282 Discanto, 1990. 283 ACCADEMIA DEGLI SCRAUSI 1996: 107 159 in L’uomo coi capelli da ragazzo,284 Naviganti,285 La Madonna Nera,286 La barca di legno di rosa.287 La barca di legno di rosa (Un gran mare di gente) Passa una barca di legno d’ulivo con sopra un pescatore e un pesce ancora vivo e il tempo li insegue il tempo li circonda il tempo li dondola e gli fa l’onda l’onda del mare di gente questo mare l’onda del mare di gente questo mare. Passa un barca di voci leggere piena di canzoni e senza acqua per bere sono le donne dei paesi vicini sono le donne coi loro bambini sono le operaie povere malpagate sono le operaie povere abbandonate in braccio al mare di gente questo mare in braccio al mare di gente questo mare. Passa una barca di legno di pino con sopra un gendarme e con sopra un assassino e i loro pensieri sono legati insieme i loro pensieri gettati in catene in fondo al mare catene in fondo al mare in fondo al mare di gente questo mare. Passa una barca tagliata a metà 284 La pianta del tè, 1988. 285 Il toro, 1994. 286 Lindbergh, 1992. 287 Lindbergh, 1992. 160 con mezzo capitano e mezzo motore che non va e mezzo marinaio, mezza faccia sorridente che ha perso l’anima e non ha sentito niente in mezzo al mare l’anima in mezzo al mare in mezzo al mare di gente questo mare. Passa una barca di legno di rosa che arriva al mattino e porta già la sposa e la sposa è bella quasi come in una favola bambini giù dal letto, bambini tutti a tavola che il tempo tac, il tempo non ci aspetta il tempo tac, non ci rispetta e corre disperato disperato come un cane ma oggi c’è da mangiare perfino per chi ha fame in questo mare di gente questo mare in questo mare di gente questo mare. Ah, se potessi raccontare tutto quello che vedo e sento dall’orizzonte di questo cielo che picchia giù nel mare in questa notte cieca di luna e te se stai ad ascoltare Quest’ultima riprende nel racconto ancora il tema del viaggio. In realtà in questa canzone, ispirata ad un racconto di Giovanni Arpino, non si parla di esplorazioni, né di terre lontane, ma l’idea del viaggio è evocata anzitutto dalla struttura del brano, un resoconto che accumula eventi e oggetti straordinari, proprio come le cronache dei viaggiatori, una congeries confermata dai primi versi dell’ultima strofa che recita: “Ah, se potessi raccontare tutto quello che vedo e sento dall’orizzonte di questo cielo”. 161 Ogni barca è una piccola storia fantastica, un piccolo, strano mondo, come quelli che incontrava di volta in volta il “Piccolo Princepe” di SaintExupéry; tra questi c’è anche un’inverosimile “barca tagliata a metà” che, con un gioco degno del miglior Calvino, si riempie di persone dimezzate: un mezzo capitano e mezzo motore che non va / un mezzo marinaio, mezza faccia sorridente / che ha perso l’anima e non ha sentito niente / in mezzo al mare, l’anima in mezzo al mare, in mezzo al mare di gente questo mare.” Il gioco qui è complicato dalla polisemia del mezzo come aggettivo e come avverbio (“mezzo capitano”, “mezzo marinaio” ecc. e “in mezzo al mare”). Uno “scivolamento” di significato che si evidenzia anche nel verso che, epiforicamente, conclude ciascuna strofa:288 abbiamo la convinzione che il mare sia quello in cui scorrono le varie barche della canzone, mentre l’asserzione conclusiva in forma di anastrofe ci suggerisce che questo è “un gran mare di gente”, che è anche il sottotitolo della canzone. Significati che in ogni caso convivono e, come al solito, nella loro ambiguità criptica arricchiscono l’ambito della significazione. Un’altra forma molto amata da Fossati e da lui usata in diversi brani è quella della lettera: “La lettera è il mezzo di comunicazione che più mi affascina […] l’unico che riesce a far passare la profondità del pensiero. […] La lettera ha tempi lunghi, anche di preparazione, e questo ti consente di aprire e di aprirti. Ogni volta che posso, e ogni volta che devo davvero comunicare qualcosa di importante, scrivo una lettera”.289 288 In realtà ciascuna delle prime cinque strofe inizia anche in forma di anafora “Passa una barca…”, che abbinata all’epifora finale realizza la figura retorica della complexio, molto frequente nella poesia di Fossati. 289 COTTO 1994: 143-144 162 Una canzone in forma di lettera diventa, crediamo, più coinvolgente, è come se ci introducesse in un’atmosfera molto personale, intima, permettendoci di assistere segretamente ad una “conversazione” privata, o addirittura di sentirci di volta in volta il mittente che scrive o il destinatario della lettera. Dunque è questo un altro espediente strutturale per tenere alta l’attenzione dell’ascoltatore e per renderlo più partecipe di ciò che si sta raccontando. Vediamo qualche esempio: Senti cosa ti scrivo amore che non c’è profumo di melograno e non c’è arancio che sia veramente in fiore che tutta l’isola è un vulcano dove non passa la paura come da noi cambia una stagione Sono le tristi parole di Sigonella,290 lettera scritta da un abitante della località siciliana alla persona amata. Come vediamo qui la forma epistolare è esplicita: lo scrivente racconta la desolazione del luogo, piegato e avvilito dalla violenza delle inutili macchine da guerra, cioè gli aeroplani militari che hanno “occupato” il territorio di Sigonella, dove si trova una delle più grandi basi nato in Italia. Il disertore,291 contro la guerra, come la precedente, è la traduzione di una canzone scritta da Boris Vian (Le déserteur, 1954),292 che già all’epoca suscitò non poche polemiche. 290 Lindbergh, 1992. 291 Lindbergh, 1992. 292 Boris Vian (1920-1959) è un intellettuale francese autore di poesie, romanzi, opere teatrali, canzoni, libretti d’opera, che si distinse sempre per il suo anticonformismo. Le sue opere nascono da una sofferta meditazione sulla crisi della società e del costume. 163 È una sorta di lettera aperta, nella forma simile a una ballata, scritta da un “milite ignoto” al Presidente della Repubblica (francese) per annunciargli la sua volontà di disertare. Cartolina293 è in realtà “una cartolina al contrario”, racconta Fossati: “Ero in un paesino dell’Appennino ligure: di solito si scrive «non vedo l’ora di partire per rivederti». Io invece canto «non ho nessuna intenzione di scendere a valle perché in questo fare niente sono felice», è una fotografia di benessere dell’uomo che va a guardare la corriera che parte per essere sicuro di restare dov’è”. Io ti scrivo che sto bene in questo niente da fare scrivo una cartolina che non voglio ritornare Al pomeriggio la corriera la sento arrancare mi siedo sopra un muro per guardarla ripartire Senza me Ci sono poi canzoni che, per il linguaggio usato, ed il tono intimo e colloquiale, somigliano alla comunicazione epistolare ma non sono esplicitamente in forma di lettera come Poca voglia di fare il soldato294 e Bella speranza.295 293 Lampo viaggiatore, 2003. 294 Linbergh, 1992. 295 Macramè, 1996. 164 Frequenti sono poi nei testi le incursioni del discorso dialogico, diretto, o implicito, come accade, per esempio, nelle forme epistolari che abbiamo appena visto, in cui è sempre presente un destinatario sottinteso. Alcune parti di dialogo si trovano in Prendi fiato e poi vai,296 Ehi amico,297 Anna di primavera,298 Le signore del ponte-lance,299 Lunario di settembre,300 L’abito della sposa.301 In tutti questi casi il dialogo ha la funzione di rendere più interessante e movimentato il testo, e la storia che si sta raccontando nella canzone, come se, il fatto di creare un altro personaggio che interagisca nell’azione, aumenti gli orizzonti di immaginazione e dunque il potere intrigante della canzone. Altro stilema usato nei testi è quello della narrazione in prima persona, come se l’autore, immedesimandosi in un ruolo, recitasse, come un attore, la parte del personaggio di volta in volta protagonista. Strategia, anche questa, volta a rendere più interessante la canzone, più intensa, e a dare anche una diversa componente di credibilità, come a dire, non è una storia raccontata da un narratore ma è il protagonista stesso che parla. Così accade per esempio in Lindbergh:302 Non sono che il contabile dell’ombra di me stesso se mi vedete qui a volare 296 Poco prima dell’aurora, 1973. 297 Poco prima dell’aurora, 1973. 298 La casa del serpente, 1977. 299 La pianta del tè, 1988. 300 Discanto, 1990. 301 Macramè, 1996. 302 Lindbergh, 1992. 165 è che so staccarmi da terra e alzarmi in volo come voialtri stare su un piede solo difficile non è partire contro il vento ma casomai senza un saluto. Non sono che l’anima di un pesce con le ali volato via dal mare per annusare le stelle difficile non è nuotare contro la corrente ma salire nel cielo e non trovarci niente. Dal mio piccolo aereo di stelle io ne vedo seguo i loro segnali e mostro le mie insegne la voglio fare tutta questa strada fino al punto esatto in cui si spegne la voglio fare tutta questa strada fino al punto esatto in cui si spegne Qui è particolarmente significativa l’affinità di Fossati con un viaggiatore come Lindbergh.303 Il “volatore”, nome tra l’altro delle sue edizioni discografiche, colui che viaggia percorrendo le strade del cielo, è un personaggio che da sempre affascina Fossati, non solo viaggiatore, non semplice pilota ma sorvolatore atlantico, coraggioso e impavido scopritore di percorsi celesti. È insomma un po’ una canzone autobiografica, una canzone sulla vita come volo e sul volo come scelta di vita, che sia reale trasvolata su ali di ferro, o percorso ideale di una mente-alata. 303 Charles August Lindbergh, aviatore americano, nel 1927 compì a bordo del monoplano Spirit of Saint Luis il primo volo senza scalo da New York a Parigi. 166 Raccontati in prima persona sono anche Confessione di Alonso Chisciano,304 in cui il personaggio letterario di Don Chisciotte si rivolge direttamente al suo creatore, Cervantes; Italiani d’Argentina,305 in cui un personaggio collettivo si rivolge agli ex-conterranei, e Panama,306 racconto diretto dell’avventuroso comandante di una veliero. Un’espressione particolare, che ricorre in diversi brani, è quella in forma di preghiera: invocazione alla divinità, al cielo, al destino, o ad una persona reale, è quasi sempre in posizione di clausola, una collocazione che evidentemente è relazionata alla funzione che la preghiera detiene. Vediamo qui, in ordine cronologico, i casi più significativi: Canto di Osanna307 Osanna Osanna Osanna Jerusalem Passalento308 Signore di questo porto vedi mi avvicino anch’io vele ancora tese bandiera genovese sono io Lusitania309 304 Discanto, 1990. 305 Discanto, 1990. 306 Panama e dintorni, 1981. 307 1971. 308 Discanto, 1990. 167 Bella Signora Nostra che ci appari e scompari vedi come poco sappiamo di te Piumetta310 Difendi la sua casa Signore Del Buonfine una casa coi Santi e carte buone per andare avanti. Venga l’Angelo sul Carro la Torre, venga il Cielo Stellato l’Eremita, la Temperanza il Mondo venga il Sole, la Luna gli Amanti, la Forza, la Ruota vengano tutte ad una ad una e se saranno carte brutte venga la Morte ultima di tutte La madonna nera311 tutto il santo giorno tutti i santi giorni tutto il santo giorno tutti i santi giorni tutto il santo giorno. E così sia La barca di legno di rosa312 Ah, se potessi raccontare tutto quello che vedo e sento dall’orizzonte di questo cielo che picchia giù nel mare 309 Discanto, 1990. Qui l’invocazione sembra rivolta alla terra portoghese, o forse alla luna, in ogni caso suona come un’invocazione. 310 Discanto, 1990. Il Signore del Buonfine può essere anche lo sposo di Piumetta; è più un augurio pagano, dato anche dalla presenza dei tarocchi. 311 Lindbergh, 1992. Il brano racconta di una processione religiosa. 312 Lindbergh, 1992. Qui l’espressione è più un desiderio, ma è molto vicina alle forme della preghiera e il “tu” potrebbe essere dio. 168 in questa notte cieca di luna e te se stai ad ascoltare” Sigonella313 Qui se si alzassero gli orizzonti e riabbassassero gli orizzonti ci troverebbero a pregare se si alzasse la speranza che come gli aeroplani può volare se questa terra smettesse di tremare Carte da decifrare314 Perdona se non ho avuto il tempo di imparare se io non ho avuto il tempo di imparare Iubilaeum bolero315 San Bernardo e San Simone proteggetemi dal lampo e dal tuono Santa Vergine benedetta proteggetemi dal lampo, dal tuono e dalla saetta portate questa burrasca sul monte di Messina dove non canta né gallo né gallina il tempo passa e la morte viene beati coloro che hanno fatto del bene Pane e coraggio316 pane e fortuna e così sia 2.2.1.2 La rima 313 Lindbergh, 1992. Anche questo è un desiderio, una richiesta al cielo. 314 Carte da decifrare, dal vivo vol. II, 1993. È una richiesta di perdono all’amata. 315 La disciplina della terra, 2000. In genovese. 316 Lampo viaggiatore 2003. È come una richiesta implicita alla fortuna. 169 Nella ricchezza strutturale dei testi di Fossati non poteva mancare l’uso della rima, un uso così fortemente presente tanto da far pensare che egli non riesca quasi a fare a meno di trovarla. Tuttavia la rima, baciata, alternata o incrociata, è sempre distribuita equilibratamente, in modo da non creare mai una sensazione di “sovraccarico”; è un elemento che invece contribuisce alla musicalità dei versi, alla loro piacevolezza e leggerezza, come se una rima qua e là contribuisse a far scivolare meglio lo scorrere del testo. Procederemo qui ad illustrare alcuni esempi dei diversi tipi di rima presenti nelle canzoni del nostro autore. Esempi di rime baciate: La barca di legno di rosa317 Passa un barca di voci leggere piena di canzoni e senza acqua per bere sono le donne dei paesi vicini sono le donne coi loro bambini sono le operaie povere malpagate sono le operaie povere abbandonate L’angelo e la pazienza318 Con rose di Normandia o con fiori di ferrovia aggancia quel bell’angelo prima che voli via però madre che spavento però madre che tormento sognare nudi e crudi in mezzo a questo via vai 317 Lindbergh, 1992. 318 Macramè, 1996. 170 Ci sarà319 Poi ci sarà una buona generazione e più sottile distrazione e spostamento al centro sull’orizzonte che abbiamo tutti dentro verso un punto preciso che si intuisce già e so che ci sarà Esempi di rime alternate: Lusitania320 Loro hanno facce di muta cera così com’è normale immaginare chi vede sempre da sempre ultimo la sera e se ha già visto non è neanche stanco di guardare Pane e coraggio321 Proprio sul filo della frontiera il commissario ci fa fermare su quella barca troppo piena non ci potrà più rimandare su quella barca troppo piena non ci possiamo ritornare Esempi di rime incrociate: La canzone popolare322 Alzati che si sta alzando la canzone popolare se c’è qualcosa da dire ancora se c’è qualcosa da fare alzati che si sta alzando la canzone popolare 319 Lindbergh, 1992. 320 Discanto, 1990. 321 Lampo viaggiatore, 2003. 322 Lindbergh, 1992. 171 se c’è qualcosa da capire ancora ce lodirà La pianta del tè323 Ci si inginocchia su questo sagrato immenso dell’altipiano barocco d’oriente per orizzonte stelle basse per orizzonte stelle basse oppure niente 2.2.1.3 L’intertestualità Un elemento particolarmente interessante che riguarda stilemi e strategie poetico-narrative di Ivano Fossati è quello dell’intertestualità, ovvero il rimando, voluto o inconsapevole, ad altre fonti letterarie. Caratteristica di tutta la letteratura, l’intertestualità si basa sull’uso, esplicito o allusivo, di reminiscenze o citazioni attinte da altri testi; uno scambio letterario, insomma, che nei testi di Fossati possiamo riscontrare in diversi casi.324 In Carte da decifrare,325 ad esempio, è piuttosto evidente l’associazione con il celebre sonetto S’i’ fosse foco di Cecco Angiolieri (XIII secolo). Vediamo qui di seguito una parte di esso, confrontato con un tratto della canzone di Fossati: “S’i’ fosse foco, arderei ’l mondo; s’i’ fosse vento, lo tempesterei; s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei; s’i’ fosse Dio, mendereil’ en profondo” 323 La pianta del tè, 1988. 324 Confronta in SEGRE 1985: 85-90. 325 Carte da decifrare, dal vivo vol. I, 1993. 172 Se fossi un vero viaggiatore t’avrei già incontrata e ad ogni nuovo incrocio mille volte salutata se fossi un guardiano ti guarderei se fossi un cacciatore non ti caccerei se fossi un sacerdote come un’orazione con la lingua tra i denti ti pronuncerei se fossi un sacerdote come un salmo segreto con le mani sulla bocca ti canterei Gli elementi di affinità tra i due testi sono diversi. In primo luogo l’uso dell’anafora “se fossi”, ripetuta numerose volte. C’è poi la particolarità dell’espressione che al sostantivo fa seguire sempre il verbo ad esso relativo: come in Angiolieri si trova “S’i’ fosse foco, arderei”, così in Fossati si ha “se fossi un guardiano ti guarderei”. Questa caratteristica in Fossati è particolarmente evidente anche nel resto della canzone: “io se avessi una penna ti scriverei”, “e guai se avessi un coltello per tagliare”, “se avessi buona la bocca ti parlerei”, con inusuali ed inaspettati accostamenti: “se facesse ombra ti ci nasconderei”, “se avessi labbra migliori ti abbatterei”, “se avessi buone le parole ti fermerei”. Un riferimento molto interessante è quello del brano C’è tempo,326 che sembra richiamare il passo che inizia con Omnia tempus habent nel veterotestamentario Ecclesiaste, o Qoelet.327 Si riflette qui sul tempo, sul fatto che nella vita ogni evento necessiti del suo momento opportuno, della sua stagione: per ogni cosa c’è il suo tempo. Dove il davidico Qoèlet scrive: C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, 326 Lampo viaggiatore, 2003. 327 Qoèlet: 3, 1-8 173 un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. C’è un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare Fossati canta che “C’è un tempo per seminare / e un tempo più lungo / per aspettare”, “un tempo sognato che viene / di notte / e un altro di giorno teso / come un lino a sventolare”. E ancora che “ C’è un tempo negato / e uno segreto / un tempo distante / che è roba degli altri”; “c’è un tempo perfetto per fare silenzio”, e “un tempo che sfugge / niente paura / che prima o poi ci riprende”, ma soprattutto l’autore ci rincuora col verso “c’è tempo / c’è tempo / c’è tempo / c’è tempo / per questo mare infinito di gente”. Altri riferimenti letterari sono quelli, che già abbiamo visto, di Passalento,328 in cui si trova “il naufragare nel deserto” de L’infinito di Leopardi:329 È che in questo deserto a tutti piace naufragare vivi e fortunati di poterne respirare” e quello di La barca di legno di rosa,330 con un possibile richiamo al Calvino del “Visconte Dimezzato”:331 Passa una barca tagliata a metà con mezzo capitano e mezzo motore che non va 328 Discanto, 1990. Vedi sopra. 329 L’idea del naufragio “terrestre” richiama il ben noto “e il naufragar m’è dolce in questo mare” che chiude L’infinito, dodicesima lirica dei canti di Giacomo Leopardi. 330 Lindbergh, 1992. Vedi sopra. 331 Italo Calvino, Il visconte dimezzato, 1951. 174 e mezzo marinaio, mezza faccia sorridente che ha perso l’anima e non ha sentito niente in mezzo al mare l’anima in mezzo al mare in mezzo al mare di gente questo mare Viaggiatori d’occidente332 contiene invece un esplicito riferimento a Checov che l’autore stesso spiega: “Il finale del Giardino dei ciliegi è buio teatralmente. […] Mi sembrava, quella di Cechov, un’immagine adatta alla storia che stavo raccontando”.333 Buia come un finale da «Giardino dei ciliegi» lei ci pensa ma non lo chiama (mai tornare a ieri) In Traslocando334 si riscontra l’unico esempio di “meta-canzone”, ossia di canzone nella canzone. Esso è costituito dall’auto-citazione del brano E di nuovo cambio casa, affine a questo per tematica. Nel testo di Traslocando, cantata, nella versione originale, da Loredana Bertè, troviamo infatti: E di nuovo cambio casa, cantava dalla radio la voce di un amico mio oh come ti capisco, ma chi cambia qualche cosa qui sono io Unica rosa335 è invece “un piccolo esperimento” costruito come una canzone brasiliana degli anni ’70, che evoca lo spirito della bossa nova. Il 332 Ventilazione, 1984. 333 COTTO 1994: 91 334 Le città di frontiera, 1983. 335 Discanto, 1990. 175 riferimento più immediato è Samba della Rosa336 di Vinicius de Moraes, in cui la rosa diventa emblema e simbolo della donna, una donna-rosa che è per i brasiliani il centro gravitazionale dell’amore e della vita, il più prezioso bene, l’essenziale. Così nella canzone di Fossati troviamo la stessa concezione della donna, e lo stesso uso della simbologia della rosa. Formalmente il brano si presenta come un interminabile accumulo di qualità e metafore della donna amata, un’elencazione basata sulla figura dell’anafora ossessiva della parola rosa, a somiglianza della samba della rosa brasiliana; quasi un perdersi in un nome, come nel mitico zahir dei poeti medievali arabi, progenitori di quella lirica cortese alla quale ci riporta, inequivocabilmente, il lessico, delicato e languido. Rosa, Rosa di una rosa Rosa torturata Rosa amata Rosa, Rosa ballerina Rosa bambina Poca voglia di fare il soldato337 “da un lato rimanda ai Lieder alla Plaisir d’amour, dall’altro è la voluta ricostruzione dei moduli di certe canzoni popolari di inizio secolo e del periodo fra le due guerre”.338 Si riconosce 336 Riportiamo qui il testo integrale della canzone, nella traduzione di Sergio Bardotti: “Rosa da vedere / rosa da sognare / rosa da volere / rosa da strappare / rosa da vestire / rosa da spogliare / rosa da capire e da perdonare / rosa da servire / e da imprigionare / rosa da impazzire / rosa da implorare / rosa da fuggire / e da ritrovare / e se c’è una rosa-donna di più / È primavera: / una rosa tu sei / vieni a piantare / una rosa nei sogni miei”. 337 Lindbergh, 1990. 338 “C’era in quegli anni, un modo di scrivere particolare ma nitido: un testo semplice e chiaro, una musica semplice e chiara”. COTTO 1994: 155 176 infatti all’inizio la citazione del tema della celebre romanza di Johann Paul Martini (1741-1816) Plaisir d’amour, “Piacere d’amore” che non dura più d’un istante. Un motto che, a chi lo riconosce, dà il senso della provvisorietà della vita e dell’amore, una caducità d’ungarettiana memoria che ben si addice all’addio di un soldato. Lo schema è semplice (ABA), una sorta di lettera in cui un soldato si rivolge alla sua donna con le parole: “Garbato amore mio / ti voglio anch’io ma me ne devo andar / che poca voglia di fare il soldato / io sono nato per stare qui”. E prosegue richiamando una serie di luoghi comuni negli addii soldateschi per evocare la triste eventualità di un non ritorno:339 “se in questa guerra morissi anch’io / amore mio non ti disperar / che in ogni posto lontano dal cuore/ c’è sempre un fiore che la guardia ti fa”, “garbato amore mio / ti dico addio che me ne devo andar / che poca voglia di fare il soldato / io sono nato per stare con te”. Ma con l’eroismo dei primi due versi contrasta la conclusione antieroica, alla Fabrizio De André.340 Un’immagine tratta dalla letteratura sudamericana341 è invece quella del brano La madonna nera,342 racconto di una processione cattolica in cui la statua della madonna cade per terra e viene rialzata con fatiche e sacrifici da parte della popolazione devota. 339 Tra tutte basti citare la celeberrima Bella ciao. 340 La ballata dell’eroe; La guerra di Piero. 341 Come Fossati stesso dichiara in COTTO 1994: 150. 342 Lindbergh, 1990. 177 Un esempio particolarmente interessante è costituito da Lunario di settembre343 in cui c’è una doppia citazione. La canzone è infatti ricalcata sugli atti del processo di Nogaredo e inoltre la parte centrale del brano è il riadattamento della poesia Alla luna di Anna Lamberti Bocconi, coautrice della canzone. Per la sua particolarità, anche strutturale, vogliamo analizzare meglio questo brano. Esso è dunque la storia vera del processo di Nogaredo (1647), in cui sette donne furono processate per stregoneria e cinque di esse vennero condannate a morte.344 Tutto nacque da una banale lite fra due donne che, insultandosi, si chiamarono streghe; il fatto giunse alle orecchie dell’Inquisizione che aprì un procedimento che, come si è detto, si concluse tragicamente. Le donne in realtà confessarono, ma solo perché sottoposte a tortura e furono perciò condannate, nonostante il processo non fosse stato, come si può immaginare, per niente giusto. La struttura della canzone segue lo schema ABA1C. A costituisce “l’accusa”, è una sorta di recitativo che declama, riprendendoli dagli atti del processo (secondo l’edizione fattane dal Dandolo nel 1855), i capi d’imputazione delle donne incriminate: esse “hanno rinunciato al sacramento del battesimo” e hanno permesso di essere ribattezzate “con una nuova infusione d’acqua / sopra il capo / essendosi sottoposte a tal legame / di obbedienza / al Nemico del genere umano”. E inoltre che “a ore comode, ai malfatti propizie/ erano portate in aria / invisibilmente / in maledetti congressi / dove venivano compiute / diversità e quantità di incantagioni, 343 Discanto, 1990. 344 Fossati qui non è chiaro: in base alle notizie a noi pervenute le donne condannate furono solo cinque delle sette, mentre Fossati nel testo e nelle note al disco fa intendere che vennero condannate tutte. 178 sortilegi / giochi bestiali ed ereticali”. La lunga teoria di misfatti prosegue con “i venefici, i danni infiniti, le infermità incurabili alle persone, agli animali” e di aver causato “la distruzione dei raccolti”, “mediante la sollevazione di venti e tempi impetuosi”. La seconda parte, più lirica nel testo e nella musica, è occupata dal “dialogo fra l’inquisitore e un’imputata”, adattamento della poesia Alla luna di Lamberti Bocconi. La poetessa stessa, che abbiamo contattato, ci ha raccontato che Fossati, rimasto colpito particolarmente da quella poesia, l’ha voluta riprendere per Lunario di Settembre, modificandola però in qualche parte, per adattarla al con-testo. Egli ha infatti trasformato l’originale rendendola un dialogo, quello fra l’inquisitore e un’imputata, appunto. Riportiamo qui, per gentile concessione dell’autrice, il testo integrale della poesia Alla luna, costruita tutta su endecasillabi; sottolineando le parti che nella canzone sono state modificate riportando in nota le variazioni di Fossati. Ma tu chi sei, cos’hai, perché non parli, non argenti di stelle anche345 lo scialbo mattino? Sei346 tu stessa a incasellarli, gli astri lucenti, dentro il347 grande albo del cielo, o sei anche tu una figurina senza potere, se non nelle notti di ferire gli amanti come spina? E quanto più sei gelida più scotti.348 345 Nella canzone si ha questo. 346 Non sei. 347 Nel. 348 Questo verso è omesso da Fossati: egli introduce invece a questo punto un’interruzione che trasforma la struttura in forma dialogica. 179 Ahi, bella,349 se potesse tutto il male che mi consuma mutare la spada di luce tua 350in un giro di scale armoniche, ascendenti, in una strada che a te351 mi conducesse! Ma non vale niente che io faccia, che resista o cada. Tu non mi ami: questo è352 il grande lutto che oscura le mie vesti. Ma ora353 voglio dirti la verità del354 lato brutto, paradossale,355 a cui non si rimedia: Tu non mi ami356 - questo è il grande male. Io non ti amo: questa è357 la tragedia. Anche qui, la poetessa ci consenta, ci sembra di ritrovare il Leopardi del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, oppure la celebre aria della Norma belliniana (“Vaga luna che inargenti”), con l’apostrofe alla luna, chiamata a testimoniare, impotente, le sventure del protagonista. La terza sezione A, ci fa conoscere “la sentenza”, anch’essa in forma di recitativo, come la prima, riprende dalle carte processuali il linguaggio giudiziario, caricato con evidente sarcasmo (“visto il processo”, “visti le dottissime difese”, viste “le cose che devono vedersi / e considerate quelle che devono essere considerate”, “in via definitiva sentenziamo e condanniamo”). Segue un’ulteriore appendice, che in forma di asciutto resoconto cronachistico ci fa sapere come la condanna comminata sia stata 349 Signore. La poesia si rivolge ancora alla luna, Fossati invece qui cambia soggetto: mentre prima era l’inquisitore che parlava, adesso è l’imputata che si rivolge a lui. 350 Tua. 351 Via. 352 Capisci: è questo. 353 Omesso da Fossati. 354 Dal. 355 Omesso da Fossati. 356 Capisci. 357 È questa. 180 realmente eseguita, fino al un secco accordo finale che, con indubbia efficacia drammatica, chiude la vicenda come una lapide tombale. 2.2.1.4 La lingua Una prerogativa linguistica di Fossati sono le sue “parole composte”, quelle cioè derivate dall’unione di due o più parole, procedimento che crea accostamenti inconsueti o impensati neologismi. Tale strategia arricchisce la nuova parola di ulteriori significati, e dunque di maggior forza significativa ed espressiva. Vediamo qui, in ordine cronologico, i neologismi plasmati dall’autore, alcuni dei quali già incontrati durante il precedente percorso: “buontempo”358 in Buontempo359 Oggi non si sta fermi un momento oggi non si sta in casa che è buontempo Al lavoro non stavo fermo un momento, no sono tornato a casa col buontempo “malaluna” in La volpe360 Sarà la luna fra le piante "malaluna" Sarà la luna fra le piante "malaluna" Sarà la luna fra le piante, ma la luna non è Sarà la luna fra le piante, ma la luna non è “discanto”361 in Discanto362 358 Titolo della canzone, del disco live e contenuto due volte nel brano. 359 700 giorni, 1986. 360 La pianta del tè, 1988. 361 Titolo della canzone, del disco e contenuta anche nel testo. 181 “passalento” in Passalento363 Come posso dire come passa il tempo come posso dire come passalento “Buonfine” in Piumetta364 Difendi la sua casa Signore Del Buonfine “quantomar” in Italiani d’Argentina365 Ahi, quantomar quantomar per l’Argentina “disperanza” in La scala dei santi366 “haivoglia” in C’è tempo367 Dicono che c’è un tempo per seminare e uno che haivoglia ad aspettare “Ah-ccidenti” in Lampo368 362 Discanto, 1990. Il termine Discantus è un termine latino impiegato dai teorici musicali del medioevo in diverse accezioni, in particolare per indica una seconda voce, aggiunta ad un cantus firmus (melodia preesistente) e da essa complementare e contrastante. Vocabolo “polisemico: indica una forma musicale discantica, ma anche la mia voglia di giocare con due parole: incanto e disincanto”. COTTO 1994: 139 363 Discanto, 1990. 364 Discanto, 1990. 365 Discanto, 1990. Anche qui il termine unico accentua la dimensione “atlantica” della distanza. 366 Macramè, 1996. 367 Lampo viaggiatore, 2003. 368 Lampo viaggiatore, 2003. Parola escalamativa che contiene a sua volta un’ulteriore esclamazione. 182 “falsoamericano” e “lucidochimico” in L’orologio americano369 Un elemento assimilabile ai “neologismi fossatiani” è l’uso di quelle che definiamo “giustapposizioni inconsuete”, cioè il fatto di affiancare nel testo sostantivi e/o aggettivi che nel linguaggio comune non vengono mai accomunati. Facciamo qualche esempio significativo: “La costruzione di un amore”370 “Distanza atlantica” in Italiani d’Argentina371 “Desiderio tutto bagnato dal dolore ” in L’angelo e la pazienza372 “Morso d’immortalità” in L’orologio americano373 “Parole-femmina”, “fango-selciato” in Angelus374 “Tempo negato”, “ Tempo segreto”, “ Tempo sudato” in C’è tempo375 “Volami addosso” in Il bacio sulla bocca376 “Mare di gente” in La barca di legno di rosa377 e C’è tempo378 369 Macramè, 1996. 370 Panama e dintorni, 1981. 371 Discanto, 1990. 372 Macramè, 1996. 373 Macramè, 1996. 374 La disciplina della terra, 2000. 375 Lampo viaggiatore, 2003. 376 Lampo viaggiatore, 2003. 377 Lindbergh, 1992. 378 Lampo viaggiatore, 2003. 183 Come abbiamo già avuto occasione di accennare, una prerogativa stilistica di Fossati è l’ambiguità, l’interpretabilità, l’obliquità semantica. Egli stesso dice: “Amo la doppia lettura, le diverse interpretazioni dei brani; uno schema quasi a incastro non dettato dalla presunzione bensì dal desiderio di giocare con questo mestiere altrimenti, forse, noioso”.379 E in questo Fossati è un maestro, riesce sempre a dire sottintendendo, ad eludere evocando, a lasciare aperte diverse possibilità di interpretazione; le sue parole sono “carte da decifrare”, come abbiamo più volte affermato. Un esempio è quello di C’è tempo:380 “C’è un tempo bellissimo / tutto sudato / una stagione ribelle”. In questo caso il tempo sudato può essere un tempo di fatica, in una stagione ribelle, e dunque problematica; ma può anche essere il tempo invernale, in cui i fenomeni meteorologici si alternano con più variabilità rispetto alle altre stagioni, per questo ribelle, e dunque il tempo è sudato perché bagnato dalla pioggia. Ma il bellissimo tempo ribelle può anche intendersi come un clima di rivoluzione, e dunque potrebbe evocare gli anni delle contestazioni. Insomma è questo un esempio di come Fossati lasci aperta l’interpretazione alla fantasia soggettiva. O ancora un caso di ambiguità è quello di Albertina381 in cui dietro le righe la figura femminile potrebbe intendersi come prostituta, ma niente è esplicitato in questo senso: Albertina cerca dollari 379 BISACCA 1996 380 Lampo viaggiatore, 2003 381 Discanto, 1990. 184 in un modo che non so son le ore otto e quindici dovrebbe stare a casa già da un po’. Albertina cerca limiti raggiunti mai io sto in cucina dietro la tendina perché a vivere so come si fa. Albertina cerca strade percorse mai fasi analitiche fasi politiche e io non le distinguo mai E ancora in Carte da decifrare382 si legge: “amarti di notte quando il sonno dura / e amarti per ore, ore, ore / e ucciderti all’alba di altro amore” che potrebbe leggersi “ucciderti all’inizio di un nuovo amore che non sono io”, oppure “ucciderti all’alba, con un amore diverso da quello che conosci”. Per quanto riguarda il lessico notiamo una varietà estrema di registro. Il linguaggio che Fossati usa nelle sue canzoni è infatti alquanto vario: passa dallo stile alto, del tutto ricercato, poetico, delicatamente gentile, a quello medio della comunicazione quotidiana, colloquiale, per arrivare allo stile basso, che talvolta diventa triviale e scurrile. Facciamo qui qualche esempio dei casi più estremi, cioè del registro basso e di quello alto. Esempi di linguaggio basso: 382 Carte da decifrare, dal vivo vol.II, 1993. 185 Non ti riconosco più:383 “frega” Dedicato:384 “schifo” Limonata e zanzare:385 “coglione” Vola:386 “frega niente” Panama:387 “maledetta” Questa guerra come va:388 “bastardo” J’adore Venise:389 “che cavolo” La musica che gira intorno:390 “maledetto” Lampo:391 “buffi” Esempi di linguaggio poetico: Unica rosa: “Fiore cantato / Voce sottile / Stella Meridiana” Discanto: “oscure canzoni”, “pronte guittezze”, “profumi ardenti” Lunario di settembre: “non argenti di stelle / questo scialbo mattino” Confessione di Alonso Chisciano:392 “E più mi accorgo di amare l’ignota destinazione / più lungo sterpi e rovesci / non ritorno” Poca voglia di fare il soldato:393 “Garbato amore mio” 383 La casa del serpente, 1977. 384 La mia banda suona il rock, 1979. 385 La mia banda suona il rock, 1979. 386 La mia banda suona il rock, 1979. 387 Panama e dintorni, 1981. 388 Panama e dintorni, 1981. 389 Panama e dintorni, 1981. 390 Le città di frontiera, 1983. 391 Lampo viaggiatore, 2003. 392 Tutti da Discanto, 1990. 186 E ancora un linguaggio poetico e ricercato si trova in La barca di legno di rosa,394 Carte da decifrare,395 L’amante,396 Invisibile, Jubilaeum bolero, Angelus, La rondine.397 Un esempio significativo è quello di Dancing sopra il mare,398 un testo che si avvicina particolarmente alla forma poetica, anche perché non nasce per essere cantato ma recitato (dalla profondissima voce di Mercedes Martini) su accompagnamento musicale: Che triste storia dare nome a un’ombra ci imbarcammo in un tempo dimenticato perfino dai sogni pronti al beffardo amore e ad altre spese ma qui dov’è la luna? siamo giocatori di carte lo spettatore comprende con gli anni si misura la distanza siamo sognatori di mondi ragazze a cui piacevano i poeti capitani di tavole imbandite destini a scomparsa siamo voci erranti cui oggi e soltanto oggi la terra all’orizzonte tenue di nuovo appare Sempre per quanto riguarda le particolarità linguistiche Fossati fa uso in alcuni brani di un linguaggio duro, crudo, quasi violento. È una forma 393 Lindbergh, 1992. 394 Lindbergh, 1992. 395 Carte da decifrare, 1993. 396 Macramè, 1996. 397 Tutte da La disciplina della terra, 2000. 398 La disciplina della terra, 2000. 187 espressiva che si discosta molto dalla delicatezza che contraddistingue la maggior parte delle sue canzoni, ma tuttavia ci sembra un altro lato importante del suo modo di scrivere. Un linguaggio che nasce evidentemente dal Fossati più indignato, arrabbiato, ferito, che sente talvolta, come tutti, il bisogno di esprimere con decisione e schiettezza sentimenti che non possono, e non vogliono, trovare un’espressione addolcita. Troviamo così la durezza e il dolore profondo che nascono dalle sofferenze d’amore, un’associazione, quella di amore e dolore estremo, che fa pensare a Pavese, alle sue parole scavate nel dolore, pur con le mani dell’amore, le sue poesie del disamore, il suo amore della solitudine, la sua disperazione sentimentale. Tuttavia Fossati non è quasi mai così tragico, ma di solito lascia aperta la porta della speranza e trova, pur nella sconfinata sofferenza, sempre una luce di vita. Così accade in La costruzione di un amore:399 La costruzione di un amore spezza le vene delle mani mescola il sangue col sudore se te ne rimane Un amore così grande che diviene il più grande bene e il peggiore male, “tanto che se finisse adesso lo so io chiederei che mi crollasse addosso”. Espressioni dure per parlare d’amore: sangue, vene, sudore, crollare, dure efficaci per esprimere quella che a volte diventa davvero una grande fatica, un peso, un dolore fisico. 399 Panama e dintorni, 1981. 188 Così è anche l’amore di Carte da decifrare400 in cui l’amante ha un senso del possesso che ha confini piuttosto violenti: se avessi più fantasia ti disegnerei su fogli di cristallo da frantumare e guai se avessi un coltello per tagliare se avessi braccia migliori ti costringerei se avessi labbra migliori ti abbatterei se avessi buona la bocca ti parlerei se avessi buone le parole ti fermerei ad un angolo di strada io ti fermerei ad una croce qualunque ti inchioderei Anche queste sono parole un po’inconsuete per parlare alla persona amata, ma esprimono evidentemente una situazione estrema, la disperazione di chi si vuole riprendere “l’oggetto” del suo “amore” e farlo “proprio”, tanto da immaginare di “amarti per ore, ore, ore e ucciderti all’alba di altro amore”. Altrettanto “brutali” sono le espressioni di L’abito della sposa,401 una storia di violenza carnale: Ha lo stomaco magro questa giovane sposa dovreste farla mangiare di più […] quando anche l’ultimo soldato ebbe fatto scorta di lei in quel freddo carnale lei si sentì ancora bella col suo profumo volgare come la sete di vittoria da consumare per giorni” 400 Carte da decifrare, dal vivo vol. I, 1993. 401 Macramè, 1996. 189 e quelle che compongono L’amante:402 il viso non l’ho più, m’è cascato una fulgida notte di Casino ho costole divaricate disossate sono tutte corde della mia arpa cupi tamburi battono le reni E ancora possiamo citare le crudezze lessicali di Sono tre mesi che non piove:403 Sono tre mesi che non piove ho sabbia e sale nel letto peccato e pentimento ho l’anima falciata da cui discende la mia razza intera che ha cuore e pancia di ametista senza regola di vita senza luce di luna oro negli occhi e soprattutto senza difesa dal dolore Bella speranza:404 Scusa se non telefono ma ho già il mio bel daffare a non morire […] Adesso ho giorni buoni e aria lunga ma ho tanto desiderato essere nessuno solo un grande scrittore fa muovere insieme i vivi e i morti e solo un grande dio può accudire i disperati 402 Macramè, 1996. 403 La disciplina della terra, 2000. 404 Macramè, 1996. 190 in un posto così Ci sono luoghi dove il bisogno di violenza è molto più forte della volontà ci sono ore in cui il bisogno di violenza è molto più in alto della volontà ed è ben altro che bastoni e coltelli non essere visto e non vedere essere piombo caduto fuso sulla terra […] Vivo con prudenza come un buon mercante in un grande affare Più spesso, come i topi sento la mia ombra fra i muri scivolare Altra caratteristica linguistica di Fossati è l’uso di lingue straniere, a costituire interi testi, o più spesso parti di essi, riscontrabile inoltre attraverso l’uso di forestierismi in uso nel linguaggio corrente (come whiskey, abat-jour, cocktails, cow boy). Il francese è usato in J’adore Venise405 (“Al terzo doppio whiskey quasi le gridai: «J’adore Venise»”), e in Le signore del ponte-lance,406 che contiene in questa lingua due intere strofe: C’est un petite chanson sur le temps qui passe et le temps qu’on passe a courir la mer le capitaine est un brave homme d’içi il a de bon marins qui viennent d’Italie e in La vita segreta,407 che presenta la stessa frase oltre al francese anche in inglese: 405 Panama e dintorni, 1981. 406 La pianta del tè, 1988. 191 C’èst la vie secrète mon amour it’s the secret life è la vita segreta (amore mio) L’inglese si trova in parecchi brani. In il Il talento delle donne408 il sottotitolo è Time and silence, e viene ripetuto anche nel testo; si trova poi qui la formula di un mantra buddista. Queste scelte sono spiegate dall’autore stesso: “Ho utilizzato in perfetta coscienza le sillabe sacre Om Mani Padme Hum, affinché mi aiutassero a tracciare la linea d’ombra il più possibile netta fra l’idea ciclica del tempo orientale e quella lineare che è la nostra. Le parole tempo e silenzio sono espresse in lingua inglese perché più di ogni altra sembra rappresentare oggi il modello occidentale.”409 Sono in inglese inoltre i testi completi delle due canzoni scritte da Fossati con Marrow: Where is paradise e Harvest moon.410 In Good-bye Indiana411 in inglese oltre al titolo (che è anche il titolo dell’album cui appartiene) si trovano alcuni inserti nel testo, che contiene inoltre parti in messicano (spagnolo), presente tra l’altro anche in Panama (“Oh mamaçita Panama dov’è”).412 Good-bye Indiana train […] Te quiero, te quiero e no puedo vivir yo me muero, me muero 407 Macramè, 1996. 408 Canzoni a raccolta, 1998. 409 Dalla conferenza stampa in www.ivanofossati.net. 410 Good-gye Indiana, 1975. 411 Good-gye Indiana, 1975. 412 Panama e dintorni, 1981. 192 te quiero aquì. […] Go and go se sapessi guidare un treno lo farei volare […] In latino sono invece i titoli di Angelus e Iubilaeum bolero; quest’ultima contiene inoltre, come abbiamo visto precedentemente, una preghiera in genovese.413 2.2.1.5 Le figure retoriche La meticolosità costruttiva di Fossati emerge anche nell’utilizzo frequente di figure retoriche che contribuiscono a dare spessore emotivo e musicale al testo.414 Le strategie della retorica classica servivano in primo luogo a movere l’uditorio, a commuoverlo con figure di parole e di pensiero adeguate, intensificando il discorso, convogliando l’interesse e le passioni del pubblico. L’accumulo di concetti, la varietas, le licenze servivano a stupire e nello stupore a convincere, a mantenere il contatto e l’interesse dei destinatari del discorso. D’altra parte, e lo sapevano bene i teorici musicali e i filosofi del primo Seicento, il discorso retorico mostra strette analogie con quello musicale: la ripetizione di parole/temi a distanza o reiterati, i climax simili a veri e propri crescendo. Per non parlare della possibilità , nel discorso, di variare i concetti mediante i tropi come si può variare, nel corso 413 414 La disciplina della terra, 2000. Per quanto riguarda le definizioni delle figure retoriche abbiamo fatto riferimento a AC1996 e a MORTARA GARAVELLI 2002. CADEMIA DEGLI SCRAUSI 193 della composizione, un tema. In questo senso, siamo convinti che la retorica giovi non solo al discorso, ma ancor più al testo per musica. Riprendendo, grosso modo, la classificazione scolastica delle figure retoriche in figure di parola e di pensiero, cercheremo dunque di individuare qualche esempio di strategie di “ascendenza” retorica nella canzone di Fossati. Una esemplificazione che mira semplicemente ad offrire una casistica approssimativa e non certo esaustiva della “retorica” fossatiana. Per quanto riguarda le figure di parola – cioè quelle che riguardano la scelta e l’ordine delle parole o di gruppi di parole415– che ci sembrano quelle che Fossati predilige, la più frequente è l’anafora, cioè la ripetizione di una o più parole all’inizio di frasi o versi successivi ( / x… / x…/). L’anafora, in quanto figura di accumulo, può creare una certa intensità, per far risaltare una parola, o una frase, e per segnare più nettamente i contorni dell’immagine che di volta in volta si vuole dare. Ma allo stesso tempo crea delle fitte connessioni intratestuali nella stessa canzone che trovano una stretta corrispondenza, il più delle volte, con lo sviluppo ciclico del discorso musicale. Vediamo qui qualche esempio. Lo stregone:416 Sono un uomo, sono terra, sono buona terra io davanti al fuoco non mi fermerò sono un nome, sono un canto, sono i vostri canti 415 Quelle “di pensiero” riguardano invece l’ambito concettuale e connotativo della comunicazione. 416 Poco prima dell’aurora, 1973. 194 voi cercate la fortuna e non la porterò E di nuovo cambio casa:417 E di nuovo cambio casa di nuovo cambiano le cose di nuovo cambio luna e quartiere La volpe:418 Che sarà quell’ombra in fondo al viale di casa mia Che sarà quell’ombra in fondo al viale di casa mia Sarà il cane che ritorna, ma il cane non è Sarà il cane che ritorna, ma il cane non è Che sarà quell’ombra in fondo al viale di casa mia Che sarà quell’ombra in fondo al viale di casa mia Sarà la luna fra le piante «malaluna» Sarà la luna fra le piante «malaluna» Sarà la luna fra le piante, ma la luna non è Sarà la luna fra le piante, ma la luna non è Discanto:419 Di acqua e di respiro di passi sparsi di bocconi di vento di lentezza di incerto movimento di precise parole si vive di grande teatro di oscure canzoni di pronte guittezze si va avanti di come fare di come dire di come fare a capire di alti di bassi battiti del cuore fasi della luna e ritmi della terra 417 La mia banda suona il rock, 1979. 418 La pianta del tè, 1988. 419 Discanto, 1990. 195 Passalento:420 Come posso dire come passa il tempo come posso dire come passalento Unica Rosa:421 Rosa, Rosa di una rosa Rosa torturata Rosa amata Rosa, Rosa ballerina Rosa bambina. Rosa, Fiore cantato Voce sottile Stella Meridiana Rosa, Rosa colombina Rosa che s’inchina L’angelo e la pazienza:422 L’amore va consumato va L’amore va accontentato va la voglia e l’innocenza faranno come si può l’amore va trasudato va l’amore va comandato va l’angelo e la pazienza s’accordano come si può In questi segmenti di testi, e in quelli che abbiamo visto in precedenza, si possono ritrovare diverse altre figure retoriche. 420 Discanto, 1990. 421 Discanto, 1990. 422 Macramè, 1996. 196 Come si può vedere, l’anafora coincide spesso con l’enumeratio, spesso asindetica, di cose o fatti, che porta ad un esagerato accumulo di indubbia efficacia. “Caratteristica precipua dei testi di Fossati è il “parossismo nominale”,423 la ripetizione, l’accumulo, come se egli sentisse continuamente l’esigenza di compensare una necessità ripetitiva. Ciò è riscontrabile nelle figure retoriche che usa di più, che sono quelle per aggiunzione e per ripetizione: oltre alla molto frequente anafora troviamo anche l’epifora – figura opposta all’anafora e dunque creata dalla ripetizione di una o più parole alla fine di frasi o versi successivi (/ …x / …x/) . Per esempio nella prima strofa de La casa del serpente,424 in cui la parola “amore” ricorre continuamente: “tu lo chiami amore […] / chi provoca amore […] / dici amore di quale amore […] / se c’è amore […]”.425 E ancora in Lusitania,426 dove troviamo, in posizione vicinissima un’epifora e una reduplicatio (o anadiplosi) – ovvero la ripetizione dell’ultima parte di un segmento nella prima parte del segmento successivo (/… x / x…/): “è terra / compagni è terra / terra secca da guardare”. Tali figure sono presenti in diversi altri casi, per esempio, l’epifora si trova ancora in L’angelo e la pazienza427 (“l’amore va consumato va / l’amore va accontentato va”), in un caratteristico caso in cui sono presenti sia epifora che anafora, a costituire la figura detta complexio o simploche (/ x…y / x…y/). 423 ACCADEMIA DEGLI SCRAUSI 1996: 106 424 La casa del serpente, 1977. 425 ACCADEMIA DEGLI SCRAUSI 1996: 106-107 426 Discanto, 1990. 427 Macramè, 1996. 197 Sempre per quanto riguarda le figure di parola per aggiunzione, in La volpe428 troviamo continue geminatio (o epanalessi, figura che consiste nel raddoppiare un’espressione ripetendola all’inizio, al centro, o alla fine di un segmento testuale: /xx…/, oppure /…xx…/, oppure /…xx/), figure che, in questo caso, rendono la struttura della canzone molto particolare, ripetitiva, quasi come una filastrocca. Una geminatio così ampia da formare un’accumulazione dello stesso verso è quella di La vita segreta,429 dove il verso “ferire e incassare” è ripetuto prima per quattro e poi addirittura per otto volte consecutive. Unica rosa430 presenta invece uno dei diversi casi di epanadiplosi, altra figura di ripetizione, che consiste nel reiterare una o più parole all’inizio e alla fine di un segmento (/x…x/): “Rosa di una rosa”. Quest’ultima canzone, come anche Discanto,431 sono caratteristiche, oltre che per continui anafore e asindeti, anche per essere costruite col metodo dell’accumulazione (o congeries), quella figura che si basa sull’elencazione, l’enumerazione di elementi diversi, che serve per amplificare una parte di testo, e ancora una volta per creare maggior intensità. Sempre per quanto riguarda le figure di parola riportiamo qui qualche caso di allitterazione (ripetizione di vocali, consonanti o sillabe uguali all’inizio o all’interno di due o più parole successive): 428 La pianta del tè, 1988. 429 Macramè, 1996. 430 Discanto, 1990. 431 Discanto, 1990. 198 “la costruzione del mio amore mi” in La costruzione di un amore432 “maledetto muro” in La musica che gira intorno433 “posso passa” e “poca pena” in Passalento434 “la notte è adatta” in Piumetta435 “cuore di calce” in Treno di ferro436 “sabbia e sale”, “peccato e pentimento”in Sono tre mesi che non piove437 Tutte queste figure, basate sulla reiterazione, mirano sempre ad intensificare il concetto, a creare enfasi, a ribadire un’idea, o a definire meglio un’immagine. Per le figure che riguardano la coordinazione troviamo il polisindeto (coordinazione mediante congiunzioni ricorrenti: e…e…) in Discanto come anche in Carte da decifrare438 (“per rubarti il passo, il passo e la figura / e amarli di notte quando il sonno dura / e amarti per ore, ore, ore / e ucciderti all’alba di altro amore / e amarti per ore, ore, ore / e ucciderti all’alba di altro amore”). Passando invece alle figure di parola per soppressione, sempre per quanto riguarda la coordinazione, molto frequente si riscontra l’uso dell’asindeto, cioè della coordinazione priva di congiunzioni, presente per esempio ancora 432 Panama e dintorni, 1981. 433 Le città di frontiera, 1983. 434 Discanto, 1990. 435 Discanto, 1990. 436 La disciplina della terra, 2000. 437 La disciplina della terra, 2000. 438 Carte da decifrare, 1993. 199 in Discanto (in cui come si è detto, è presente anche il polisindeto) e in Unica Rosa. Nei testi di Fossati, anche se ci sembra in misura minore rispetto a quelle di parola, è riscontrabile anche l’uso di figure di pensiero, cioè di quelle che riguardano le idee (come l’allegoria, l’ossimoro, la similitudine, ecc.). In Lusitania439 troviamo la personificatio, cioè la raffigurazione di un essere inanimato, come fosse una persona. Qui l’invocazione “Bella Signora nostra che ci appari e scompari / vedi come poco sappiamo di te”, che sia rivolta alla terra portoghese, o alla luna (l’interpretazione non è chiara), è comunque una prosopopea, poiché vengono attribuite delle qualità umane a un’entità che umana non è. In Italiani d’Argentina440 troviamo invece uno dei casi di dubitatio, ossia un’esitazione, l’incertezza tra due possibilità, costituito qui dal ripetuto interrogativo “ma ci sentite da lì?”. Molto ricorrenti sono invece le similitudini, quelle figure di pensiero che consistono nel confronto analogico tra due elementi che hanno caratteristiche somiglianti e paragonabili. Vediamo alcuni esempi: La costruzione di un Amore:441 La costruzione di un amore non ripaga del dolore è come un altare di sabbia in riva al mare La costruzione del mio amore mi piace guardarla salire 439 Discanto, 1990. 440 Discanto, 1990. 441 Panama e dintorni, 1981. 200 come un grattacielo di cento piani o come un girasole I treni a vapore:442 Come i treni a vapore come i treni a vapore di stazione in stazione e di porta in porta e di pioggia in pioggia e di dolore in dolore il dolore passerà Labile:443 Scivolo come le nuvole di notte e sto contento […] Scivolo come le acque delle regioni senza vento Angelus:444 Eccoti qui pronta e muta come un pianoforte pettinata e vestita come un angelo da collezione […] Eccoti qui pronta e muta come un calendario Infine citiamo qualche esempio di tropi: figure retoriche in cui “si dice qualcosa con qualcos’altro”; i tropi sono quelle espressioni il cui contenuto originario viene diretto a rivestire un altro contenuto, e si ottengono dunque 442 Buontempo, 1993. 443 Macramè, 1996. 444 La disciplina della terra, 2000. 201 sostituendo un’espressione propria con un’altra di senso figurato (nonpropria). Fra questi in Fossati riscontriamo soprattutto la metafora, una delle figure retoriche in generale più usate, che consiste nell’accostamento di parole o concetti apparentemente distanti nel significato ma legati tra loro da una qualche analogia, da un denominatore comune che li accosta per somiglianza. Per esempio in Unica Rosa445 la rosa è metafora della donna, o in La pianta del tè446 il tè sta a simboleggiare le piccole cose che hanno grande importanza. In questi brani, come anche in altri, fra cui La volpe,447 Naviganti,448 Carte da decifrare,449 la metafora, poiché su essa è costruita l’intera canzone, va quasi a costituire un’allegoria, che può definirsi come una “metafora allungata”. Fra le immagini metaforiche molto usate da Fossati c’è anche la sinestesia, la figura che consiste nel trasferimento di un significato dall’una all’altra percezione sensoriale, tecnica molto usata dai poeti simbolisti. Riportiamo qui qualche esempio dell’uso che ne fa Fossati: “annusare le stelle” in Lindbergh450 “desiderio […] bagnato dal dolore in L’angelo e la pazienza451 “sentimenti adornati”, “sentimenti armati” in La mia giovinezza 445 Discanto, 1990. 446 La pianta del tè, 1988. 447 La pianta del tè, 1988. 448 Buontempo, 1993. 449 Carte da decifrare, 1993. 450 Lindbergh, 1992. 451 Macramè, 1996. 202 “mese d’agosto accecante” in La disciplina della terra “parole-femmina” in Angelus “musica dura” in Il motore del sentimento umano452 “un bacio anche distratto a bassa voce” in Ombra e luce “tempo distante”, tempo segreto”, “tempo negato” in C’è tempo453 Casi di sineddoche, espressione di un concetto per mezzo di un termine ad esso correlato da un rapporto di quantità, sono invece quelli di Lusitania,454 in cui la forma “occhi che hanno visto terra / e terra d’oro / e sono nasi, bocche, piedi trascinati” nomina la parte per il tutto, cioè parti del corpo, per dire persone; e di Una notte in Italia455 in cui l’espressione “saranno le mie mani che sanno così poco dell’amore ” sta evidentemente a significare l’inesperienza in amore, non solo pratica, ma anche sentimentale (anche qui la sineddoche consiste nel nominare la parte per il tutto). Già da questo breve e, per forza di cose, incompleto excursus abbiamo notato la totale libertà dell’autore nell’uso di questi artifici retorici, scevro da ogni accademismo e formalismo fine a se stesso. Non sappiamo se l’uso, da parte di Fossati, di questi stilemi e artifici (e di tutti quelli che un’analisi mirata e attenta potrebbe individuare) codificati da millenni di storia della retorica sia stato consapevole o meno, o piuttosto sia dovuto alla sua sensibilità poetica, alla sua capacità di leggere la poesia e, a sua volta, di non lasciare intentata, baroccamente, nessuna strada dell’invenzione poetica, pur 452 Tutte da La disciplina della terra, 2000. 453 Tutte da Lampo viaggiatore, 2003. 454 Discanto, 1990. 455 700 giorni, 1986. 203 di coinvolgere e movere il suo ascoltatore. Noi propendiamo per questa seconda ipotesi. 204 2.3 LA COMPONENTE LATINO AMERICANA NELLA CANZONE DI IVANO FOSSATI Il legame di Ivano Fossati con il Nuovo Mondo si tende come un filo conduttore tra Europa e America. Trasvolata atlantica, volo, fuga dalla modernità e dal mare ligure. Come Lindbergh, che per “collegare” i due continenti si è servito di un mezzo volante, come gli “italiani d’Argentina”, che tentano il contatto via radio, così Fossati, nei suoi tanti viaggi reali e ideali, trova spesso la linea diretta che unisce il Vecchio al Nuovo Mondo. È un pensiero nostalgico, una nota, una fotografia, la voce di un amico, un amore, un nome, una suggestione. Dal porto di Genova alle coste della Lusitania, fino ad arrivare sulle spiagge del Brasile o a Buenos Aires, è tutto uno stesso mare, un’unica distesa d’acqua che unisce e divide, accomuna e allontana. Un unico cielo sopra il mare, un unico destino di naviganti e viaggiatori erranti. Una suggestione, quella dell’America Latina che non ha toccato solo Fossati, ma che evidentemente nasce da una propensione comune radicata nel substrato culturale collettivo che è della nostra cultura. Dalla scoperta dell’America non ci siamo mai stancati di scoprire e riscoprire i segreti e le bellezze di un mondo lontano e, tutto sommato, ancora poco conosciuto. Un’attrazione che, come già abbiamo sottolineato, nasce da tutto ciò che quell’orizzonte mitico rappresenta per noi, per quello che il nostro immaginario ha costruito, per quello che i nostri occhi hanno visto o che le nostre orecchie hanno sentito. Un mondo “nuovo”, “diverso”, fatto di libertà, bellezze, misteri. Una riserva di esotismo, di colori, di vita. 205 Così per Ivano Fossati, genovese per nascita e sognatore per natura, il mito e la realtà di tutto ciò che l’America Latina coinvolge e rappresenta, hanno da sempre influenzato il suo modo di vedere, percepire, interpretare il mondo. Nella sua canzone infatti, attraverso la quale egli si esprime e autorappresenta, tale componente latino-americana si incontra di frequente, anche se non sempre in modo particolarmente eclatante ed evidente. Le suggestioni latino-americane e la passione per quelle musiche sorsero in Fossati molto presto, quando, ancora ragazzo, andava alla ricerca dei dischi di musica brasiliana affascinato dalle sonorità della bossa nova. Determinante fu poi l’incontro con il latin-jazz di Stan Getz,456 e altrettanto importanti furono più tardi le collaborazioni con Oscar Prudente e con il produttore Allan Goldberg, appassionati entrambi di musica sudamericana: esperienze che dovettero certo incrementare e stimolare il suo interesse per la cultura latino-americana. C’è poi da citare la sua grande amicizia con Ivan Lins, suo “fratello carioca”,457 cantautore brasiliano con cui Fossati ha composto varie canzoni edite in America (tra cui Nada sem você). Ma non dobbiamo dimenticare che negli anni ’60 e ’70 in Italia erano presenti diversi artisti sudamericani, da Chico Buarque, a Toquinho, a Vinicius de Moraes, agli Inti Illimani: la presenza di questi artisti e l’apporto 456 A proposito dell’incontro con Stan Getz, avvenuto in occasione di un concerto del jazzista Fossati racconta: “Quell’incontro mi fece capire l’importanza della tecnica e mi diede la consapevolezza nuova che la musica non era solo quella dei complessi, del beat.” COTTO 1994: 39 457 “In comune abbiamo lo stesso nome, figli musicisti che si chiamano Claudio e, fatto per lui ancora più decisivo, lo stesso protettore: San Giorgio. A me piace pensare che suoniamo anche lo stesso strumento, amando la stessa musica. Lui è molto vicino a me, è talmente vicino da esserlo perfino troppo: abbiamo lavorato insieme per un po’ di tempo, abbiamo provato a scrivere musiche che ci sono sembrate, che sono, un serbatoio di idee, sulle quali nel tempo lavoreremo, pigrizie carioca e ligure permettendo”. FOSSATI 2001: 91-92 206 notevole che la loro cultura, non solo musicale, ha portato nel mondo intellettuale di allora, certo ha lasciato un segno. Quei musicisti al loro arrivo hanno certamente trovato un humus favorevole in Italia, poiché in quel periodo la nostra musica era particolarmente aperta all’internazionalismo, offriva insomma alle novità in arrivo, un substrato già formato, ma fertile e disponibile a ricevere nuova vitalità. Possiamo citare Sergio Endrigo, Mina, la Vanoni, Fabrizio De Andrè, Paolo Conte, e sono solo alcuni dei nomi italiani che hanno recepito e reinventato le suggestioni arrivate dall’America Latina, affascinati particolarmente dal samba, dalla bossa nova e dalla saudade sudamericana, che apriva dolcemente il suo fiore della malinconia, della nostalgia per ciò che non prenderemo mai. E certo, come detto, anche in Fossati, per indole curioso e propenso a rinnovarsi, pur rimanendo sempre fedele a se stesso, l’apporto della vecchia e nuova musica latino-americana ha lasciato una significativa impronta. Elementi di ascendenza latino-americana sono infatti riscontrabili in diversi aspetti della sua produzione, dalla musica, ai testi, dal sentimento, alla sensualità. Un’influenza, dunque, che ha agito su diversi fronti lasciando segni leggibili ovunque: in primo luogo nei ben sei rifacimenti di canzoni latino-americane che nel corso del tempo l’autore ha realizzato – contro una sola dall’inglese458 e una dal francese459. Oltre a questo dato significativo ci sono canzoni che, come lui stesso ha dichiarato, nascono ispirate dall’ascolto di precisi brani latino-americani, e altre che invece nascono da suggestioni, più 458 La locomotiva, traduzione letterale di The Rail Song di Andrian Belew (chitarrista dei King Crimson), Ventilezione, 1884. 459 Il disertore, da Le deserteur di Boris Vian, Lindbergh, 1992. 207 o meno vaghe, o ancora dal desiderio di riprendere un ritmo, o evocare un’atmosfera attraverso la ricerca timbrica. Sembra che Fossati non faccia quasi mai un uso chiaro e netto di un particolare stilema, ma voglia creare atmosfere, visualizzare immagini, riverberare nelle sue creazioni le suggestioni che lo hanno stimolato. Così il suo stile compositivo rimane sempre intatto, seppur percorso da questi elementi che conferiscono alle canzoni un’aura, un’ambientazione dal sapore chiaramente o velatamente latino-americano. Una costante della sua musica che ci rimanda all’America Latina è quell’indefinito senso di malinconia, quella saudade dolce e suadente, ma tristemente profonda che contraddistingue molta musica latino-americana. Quel senso di mancanza e allo stesso tempo di immensità, di pienezza di vita, eppure di perdita. Così è per la sua concezione dell’amore, sensuale, passionale, malinconico, talvolta doloroso; un amore che è il centro di gravità, ma che qualche volta disorienta, annienta, atterra, disarma, ma anche un amore carnale, sentito con ogni senso, nel cuore e nella mente, intenso come è solo ciò che riempie gli occhi, le mani, la bocca, la vita tutta. Ma vediamo questi aspetti riprendendoli per tematiche, associate di volta in volta alle canzoni più rappresentative dell’aspetto preso in considerazione. 208 2.3.1 Versioni italiane di canzoni latino-americane Un aspetto particolarmente importante e significativo dell’influenza dell’America Latina sulla musica di Fossati sono le sue cover di brani latinoamericani: nel corso del tempo infatti l’autore ha ripreso ben sei canzoni, reinterpretandole, traducendole, riarrangiandole. Ci sembra significativo il fatto che in tutta la sua produzione ci siano soltanto altri tre rifacimenti, uno dal francese (Le deserteur di Boris Vian), uno dall’inglese (The Rail Song di Andrian Belew), e la cover di Boogie di Paolo Conte: è dunque importante il fatto che abbia sentito l’esigenza di riprendere e reinterpretare quei brani, facendoli propri, anche se qualcuno di essi lui personalmente non l’ha mai inciso. Si tratta di quattro brani che appartengono alla tradizione della bossa nova brasiliana: -Jazz (Fossati-Djavan), incisa nell’album di Loredana Bertè Jazz (1983) da Sina di Djavan; -Petala (Fossati-Djavan), incisa nell’album di Loredana Bertè Savoir faire (1984) da Petala di Djavan; -La pioggia di marzo (Fossati-Calabrese -Jobim), incisa da Fossati nell’album dal vivo (1993) da Águas de março di Tom Jobim; -Oh che sarà (Fossati-Buarque) da Oh que serà di Chico Buarque, incisa in due album di Fiorella Mannoia, Di terra e di vento (1989) nella versione cantata in duetto con Fossati e Certe piccole voci (1999); 209 il noto brano della messicana Consuelo Velasquez: Besame mucho, inciso da Fossati in una versione strumentale nell’album Not One Word (2001); un brano del cubano Silvio Rodriguez: Piccola serenata diurna, interpretata da Fiorella Mannoia nell’album I treni a vapore (1992) da Pequena serenata diurna. Nei confronti delle traduzioni Fossati ha detto di aver sempre avuto molto senso del rispetto, nel senso che non ha mai voluto modificarle troppo, perché non si snaturassero, non perdessero la loro impronta originale. Tuttavia in questi brani troviamo alcune variazioni, dovute probabilmente anche a esigenze tecniche, di traduzione, per esempio, per quanto riguarda i testi, e di arrangiamenti, per le musiche. Per quanto riguarda le musiche infatti ritmi e timbri ricordano quelli sudamericani ma la struttura ritmica non è quasi mai quella dell’originale, spesso modificata anche rendendola più lenta o più veloce. Un caso a parte costituisce Besame mucho, che può essere considerato ormai un “classico”, per i tanti rifacimenti che ne sono stati fatti,460 anche nell’ambito jazz, ripreso da Fossati in versione strumentale. Fossati spiega questa scelta, in occasione della presentazione del disco strumentale Not One Word: “Mi sembrava una cosa dovuta, innanzi tutto al mio divertimento, perché è un brano che mi piace molto suonare. Poi dovuta al pubblico: prendendo a pretesto il racconto della storia della sua autrice, Consuelo Velasquez, l’ho suonata dal vivo negli ultimi due anni con grande 460 Ricordiamo, fra le altre, la versione di Joao Gilberto e quella di Carmen Consoli. 210 successo. Così ho pensato che a molti avrebbe fatto piacere riascoltarla. Poi è un brano a cui sono molto affezionato”.461 2.3.2 Ritmi, melodie, strumenti: l’uso della musica per creare immagini. Vogliamo qui soffermarci sull’aspetto linguistico-musicale della cultura latino-americana in Fossati, cioè su quel che riguarda l’uso di particolari ritmi, melodie, strumenti tipici di un dato genere. È questo un aspetto particolarmente rilevante per l’argomento che stiamo studiando, poiché tocca la sostanza “musicale” della sua canzone. Ma, in quanto suono, ritmo, quello più facilmente mascherabile. È possibile infatti rilevare, nella presenza di questi elementi, diversi ambiti di influenza, come l’Argentina, il Brasile, i Caraibi, le Ande. L’uso di particolari stilemi musicali, quali il ritmo o alcune melodie, e di particolari strumenti o richiami timbrici, serve a Fossati per creare immagini, atmosfere, suggestioni. Egli infatti non sembra voler riproporre fedelmente determinate musiche o ritmiche, facendo un uso chiaro di elementi evidentemente appartenenti a un dato genere; sembra invece di volta in volta riprendere tali elementi per suggestionare, evocare, richiamare alla mente immagini o atmosfere caratteristiche di un particolare luogo, utopico o reale, dell’America Latina. Ciò è possibile anche perché c’è una sorta di “codice sonoro” che tutti noi abbiamo in comune, una sorta di linguaggio musicale che sappiamo decifrare: tutti riconosciamo il ritmo del 461 Dalla rassegna stampa in www.ivanofossati.it. 211 tango, o del reggae, o comunque identifichiamo facilmente una certa “aria di famiglia”462 con sonorità a noi note. Certamente anche Fossati è partecipe di questo bagaglio, di questo linguaggio, e ne fa uso per i suoi vari “viaggi” che ci conducono di volta in volta sulle coste brasiliane, o al centro di Buenos Aires, o nell’antica Amazzonia incontaminata, o ancora sulle Ande o sul mar dei Caraibi. Per quanto riguarda l’Argentina, per esempio, Fossati crea nelle sue canzoni vaghe ambientazioni, atmosfere, suggestioni, attraverso l’uso di particolari ritmi, come quello cadenzato del tango o della milonga, di strumenti tipici della musica argentina (fisarmonica, armonium, organetto che ricordano il bandoneon, e poi chitarra classica, pianoforte, violoncello, contrabbasso); di percussioni con particolari timbri, ed anche attraverso suoni caldi e suadenti, melodie lente e languide, appassionate e malinconiche. Ognuno di questi elementi, evocando le sonorità della musica argentina, contribuisce ad esprimere quello spirito sensuale e passionale, ma anche nostalgico e languidamente malinconico per cui son noti gli animi argentini. Ci introduce così in Tango disorientato463 l’armonia lenta e suadente della fisarmonica, conducendoci in un percorso emozionale intenso, coinvolgente, profondamente malinconico, come è quello tipico del tango argentino. Non ci sono percussioni nel brano, poiché il ritmo è dato dall’andamento “disorientato” dei pochi strumenti (fisarmonica, clarinetto, archi), come 462 L’espressione “aria di famiglia” è un’espressione usata da Gino Stefani: “Certe melodie hanno un’aria di famiglia. Ci sembra di averle già sentire, anche se non precisamente in quella data canzone o situazione musicale. Richiamano altre melodie che si assomigliano, ossia che dicono pressappoco le stesse cose piu o meno allo stesso modo.” STEFANI-MARCONI 1992: 27 463 Not One Word, 2001. 212 affidato ai palpiti inquieti del sentimento, un andamento quasi smarrito che ricorda molto tipiche melodie come la celebre Vuelvo al sur di Astor Piazzolla. Similmente accade in Notturno delle tre464 che è “quasi una milonga,465 l’arredamento di un’idea, di un’immagine. Fossati riprende ancora una volta il tema dell’osservazione del mondo da dietro le tende di una finestra. Una visione molto latino-americana, dove la realtà e il vissuto sono sublimati dal semplice atto del guardare.”466 Le sonorità argentine suggeriscono qui un’atmosfera di sensualità e seduzione che serve da sfondo all’immagine della ragazza seduttrice protagonista della storia: l’andamento ritmico della milonga, così affine al tango, e la timbrica, composta in prevalenza da suoni caldi e suadenti (percussioni, chitarra, contrabbasso, pianoforte), introducono infatti in un’atmosfera di calda e voluttuosa sensualità. C’è una femmina in Buenos Aires con gli occhi che fan moneta e con l’anima sta inquieta e più lontana che può è un desiderio qui in casa mia tutto bagnato dal dolore e dopo centomila ore non c’è un minuto di più467 464 Lindbergh, 1992. 465 Milonga: danza delle zone urbane di Rio de la Plata il cui ritmo proviene dall’habanera, caratterizzata da un tempo vivace,in 2/4. La milonga, diffusa nell’area di Buenos Aires sul finire del secolo XIX , diede poi origine al tango. 466 COTTO 1994: 155 467 L’angelo e la pazienza, Macramè, 1996. 213 Sono parole di L’angelo e la pazienza,468 altro brano in cui si accostano sonorità e passionalità argentine. Gli influssi musicali argentini sono riscontrabili anche qui nella ritmica, che evoca i movimenti sinuosi del tango, nella timbrica di alcune percussioni e nel suono dell’organetto, così vicino, anche nel modo in cui è suonato, alle sonorità dolci e malinconiche del bandoneon. La concezione dell’amata è anche in Angelus469 affine a quella del sangue caldo-appassionato dei cuori latino-americani e in particolare argentini. L’America Latina e la sensualità sono presenti musicalmente anche in questo brano che, similmente ai precedenti e ad un altro molto affine a questo, La rondine,470 racconta di storie d’amore carnali. Elementi musicali connotativi di questi significati si riscontrano nel ritmo argentino, nell’accento delle percussioni, dai timbri caldi ed ovattati, nel suono suadente dell’armonium o dell’organetto (che ricorda il suono della fisarmonica e del bandoneon) che entra a poco a poco, dolce e delicato, e nelle corde sfiorate della chitarra classica. Eccoti qui pronta e muta come un pianoforte pettinata e vestita come un angelo da collezione e non c’è sentimento ch’io non sappia desiderare anche una luce piccola basta io so farla bastare io so farla bastare471 468 Macramè, 1996. 469 La disciplina della terra, 2000. 470 La disciplina della terra, 2000. 471 Angelus, La disciplina della terra, 2000. 214 Le parole naturalmente contribuiscono con la musica a visualizzare immagini, a suscitare sensazioni, ad evocare situazioni. Parole dirette, sensuali e accattivanti, come spesso sono quelle delle canzoni argentine, animate dallo stesso sentimento di dolce passionalità. La sensualità sonora si accompagna inoltre in tutti questi brani a movimenti melodici sinuosi, che evocano calma e morbidezza e sono connotativi di tutto ciò che è seduttivo e avvolgente. Movimenti languidi spesso insinuati da quel dolceamaro sentimento di malinconia che riscontriamo come un ostinato in queste musiche. Particolarmente intensa, pur nella sua essenzialità è la melodia della strumentale Sonatina472 abilmente suonata dal vivo dalle chitarre di Armando Corsi e dallo stesso Fossati, con prerogative non distanti da certe melodie suonate dal chitarrista argentino Egberto Gismonti, molto amato dal nostro autore.473 L’influenza latino-americana, in particolare argentina, si percepisce infatti anche qui nella chiara affinità delle melodie e del modo di suonare le chitarre, ardente e appassionato, con il flamenco e con il tanguillo474 che, seppur spagnolo, è riconducibile alle sonorità d’oltreoceano caratterizzate da una sensuale passionaltà. Altro elemento caratterizzante sono le percussioni, il cui suono, che è quello delle mani sulla cassa della chitarra, dona ancora una volta una connotazione di concretezza carnale. 472 Buontempo (live vol. I), 1993. 473 Un altro richiamo ci sembra quello con i Mazurke Choros di Heitor Villa Lobos, musicista brasiliano dei primi del ’900. 474 Tango-flamenco spagnolo. 215 In Italiani d’Argentina475 Fossati non solo canta lo spirito latino-americano, ma vi si immedesima, interpretando in prima persona il dramma degli emigrati italiani in Argentina, assumendo nella propria pelle i loro sentimenti e pensieri, la loro doppia latinità di italiani e di argentini. Trasmettiamo da una casa d’Argentina con l’espressione radiofonica di chi sa che la distanza è atlantica la memoria cattiva e vicina e nessun tango mai più ci piacerà Il richiamo all’Argentina è qui palese, e l’evocazione del tango si riverbera anche nella musica, attraverso la cadenza ritmica che ricorda vagamente quel genere e attraverso armonie e timbri di strumenti come la chitarra classica, il clarinetto, il contrabbasso, le percussioni: elementi che, come abbiamo visto, il nostro autore utilizza per creare la suggestione di un’ambientazione argentina. Altra presenza molto forte nella musica di Ivano Fossati è quella del Brasile: la passione per questo paese e per la sua musica, in particolare per la bossa nova, nacque in Fossati quando, ancora molto giovane, si appassionava per Edu Lobo e Joao Bosco, Stan Getz, Tom Jobim. Negli anni Settanta erano poi presenti in Italia, come già abbiamo accennato, personaggi come Chico Buarque de Hollanda, Vinicius de Moraes e Toquinho che, con il loro carisma, affascinarono e influenzarono l’ambiente musicale locale. Fossati ha spesso infatti sottolineato la sua stima e passione per questi artisti; ma l’amore di Fossati per il Brasile, per il suo popolo e la sua musica, 475 Discanto, 1990 e Carte da decifrare (live vol. II), 1993. 216 nasce, crediamo, da un’affinità (elettiva), da un comune modo di sentire, di percepire, da un sentimento di saudade, una concezione dell’amore e della vita, che, pur nella tristezza, trova sempre un sorriso di speranza, un attaccamento alla vita, amata e goduta, nonostante tutto. Fossati manifesta in musica questo amore prendendo a prestito elementi musicali tipici del Brasile (particolari percussioni, ritmi, strumenti), evocando, attraverso le sonorità, immagini, luoghi, atmosfere. In particolare ci sembra costante una certa “sensibilità” brasiliana, come se queste influenze giungessero nelle musiche velate, spesso quasi inavvertibili, ma identificabili in un “non so che”, in una “aria di famiglia”,476 presente in molte delle sue canzoni, dai primi album sino agli ultimi, come per esempio in Il pilota (Ventilazione 1984), Buona notte dolce notte (Ventilazione 1984), Mio fratello che guardi il mondo (Lindbergh, 1992 e live), Ci sarà (Lindbergh, 1992), Invisibile (La disciplina della terra, 2000), La rondine (La disciplina della terra, 2000). È senza dubbio un dato significativo che quattro dei sei rifacimenti che prendiamo in analisi nella nostra tesi derivino da canzoni brasiliane: La pioggia di marzo, Jazz, Petala, Oh che sarà. In tutti questi brani Fossati rispetta l’originale, variando solo negli arrangiamenti, tendenti al pop, e in qualche parte nei testi. Per quanto riguarda l’uso di stilemi, come per la ritmica e la timbrica (chitarra, flauti, percussioni, pianoforte), Fossati solitamente non usa elementi chiaramente presi in prestito dalla tradizione musicale brasiliana, per esempio non usa il 476 Per l’espressione “aria di famiglia” vedi nota sopra. 217 ritmo del samba, o caratteri nettamente appartenenti alla bossa nova.477 Riproduce però delle sonorità che rievocano quelle originali e che suscitano in noi evocazioni della musica brasiliana. È ma è forse è è quando tu voli rimbalzo dell’eco è stare da soli è conchiglia di vetro è la luna e i falò è il sogno e la morte è credere o no margherita di campo è la riva lontana è Artù, ahi, è la fata Morgana è folata di vento onda dell’altalena un mistero profondo una piccola pena478 La pioggia di marzo,479 per esempio, ripresa dalla celebre Águas de março di Antonio Carlos Jobim, non riprende la musica dell’originale, decisamente costruita sui canoni della bossa nova. Nella versione di Fossati timbri e ritmi ricordano però quelli sudamericani: troviamo suoni affini a quelli latinoamericani come quello della fisarmonica (in realtà è la tastiera), delle percussioni (spazzole e bacchetta sul bordo), della chitarra classica, dei flauti (tin whistle), in un risultato che ha quell’aria di famiglia di cui parlavamo prima, richiamandoci quella gioiosa vitalità che è tipica del samba brasiliano. 477 La bossa nova contiene diverse componenti: fado portoghese, base popolare, samba, jazz, negritudine. 478 La pioggia di marzo. 479 La canzone, del 1973, si trova nell’album dal vivo del 1993 (non c’è una versione in studio). 218 Riguardo Tom Jobim, Fossati racconta: “Ho imparato molto da Jobim, che è veramente uno dei più grandi compositori di questo secolo, anche se si è dedicato ad un tipo di musica «leggera». Per esempio da lui non è che si può imparare a scrivere, perché aveva una scrittura eccelsa, specialmente per quanto riguarda l’armonia, però una cosa che si poteva imparare – e io me la sono studiata – è stata la leggerezza assoluta del pianoforte. […] Jobim insegnava questa leggerezza, questa rarefazione: mi mancherebbe una gamba se non lo avessi mai sentito”.480 La versione di Fossati di Oh che sarà,481 che deriva da O que será (1986) di Chico Buarque, altro compositore brasiliano particolarmente amato dal nostro autore, è molto semplice (solo pianoforte e voce) e molto più lenta dell’originale, che è costruita invece, come la precedente di Jobim, sui ritmi della bossa nova, molto ritmata (prevalgono le percussioni sul tappeto di archi che suona la melodia e sul piano quasi nascosto). Ma quest’anno stelle del mare come sarà ci vuole più forza e chissà se verrà barca o rondine a curarci accanto al sogno da dentro il cuore nell’anima o da dove sarà482 480 DAMIANI 1988: 36-37 481 Questa canzone ci è nota nell’interpretazione di Fiorella Mannoia incisa nell’album dal vivo Certe piccole voci del 1999 (Fossati non l’ha mai incisa ma l’ha cantata in concerto). 482 Da Jazz. 219 Jazz e Petala sono rifacimenti di due canzoni del brasiliano Djavan, rispettivamente Sina e Petala, interpretate entrambe da Loredana Berté.483 La versioni di Fossati, rispettano abbastanza le originali di Djavan, ma variano nell’arrangiamento, più pop che jazz. Fossati prende anche spunto da specifici riferimenti di musica brasiliana, come per Unica rosa e Amore degli occhi, nate entrambe da particolari suggestioni infuse da canzoni brasiliane. “Unica rosa484 (dedicata alla moglie Gildana) è un piccolo esperimento basato sul modo di scrivere dei brasiliani negli anni Sessanta, quando utilizzavano la rosa come simbolo della donna,485 donna-fiore profumato e gentile, fragile e sottile. Il riferimento più immediato è Samba della rosa486 di Vinicius de Moraes nota in Italia nella versione di Ornella Vanoni e Toquinho, una dolce samba per ogni rosa-donna che è “Rosa da vedere / rosa da sognare / rosa da volere”. La donna nella musica brasiliana, e in particolare nella bossa nova, è sempre rappresentata come il bene più prezioso, il seme dorato da cui nasce l’amore, pane quotidiano dello spirito latino. Vinicius de Moraes non a caso è stato definito il poeta dell’amore totale, dell’amore nostalgia, dell’amore morte e smarrimento.487 E in questa samba della rosa si 483 Jazz fa parte dell’album Jazz, Cbs, 1983; Petala di Savoir faire, Cbs, 1984. Non abbiamo notizia di interpretazioni di Fossati. 484 Discanto, 1990. 485 Vedi anche in COTTO 1994: 147 486 Originale brasiliana: Samba da rosa. Riportiamo qui il testo integrale della canzone, nella traduzione di Sergio Bardotti: “Rosa da vedere / rosa da sognare / rosa da volere / rosa da strappare / rosa da vestire / rosa da spogliare / rosa da capire e da perdonare / rosa da servire / e da imprigionare / rosa da impazzire / rosa da implorare / rosa da fuggire / e da ritrovare / e se c’è una rosadonna di più / È primavera: / una rosa tu sei / vieni a piantare / una rosa nei sogni miei”. 487 “Introduzione” in DE MORAES 1981. 220 percepisce bene l’importanza che la donna riveste e custodisce, in ogni suo aspetto, in ogni suo petalo. E così è anche per Fossati per il quale questa rosa-donna rappresenta tutto un universo, rosa torturata e amata, ballerina e bambina, temuta e violata, la “stella meridiana”, la “linea di una costa conosciuta”, voce sottile di un dolore, “piega dolorosa”, ombra e luce, peso e fortuna, vita tutta, “unica rosa”, solo amore. Nella struttura del testo si nota una forte corrispondenza tra questi due brani nella continua elencazione delle caratteristiche della “rosa” nei suoi diversi aspetti. La musica, dolce e caldamente avvolgente, non sembra presentare elementi sudamericani, ma probabilmente risente delle suggestioni della più melodica e romantica musica latino-americana. Amore degli occhi,488 come l’autore ha dichiarato, nasce, similmente alla precedente canzone, dalla suggestione di una musica brasiliana, (non sappiamo quale). L’ascendenza brasiliana si riscontra qui in particolare nella presenza di particolari accordi tipici del jazz e della bossa nova e nella struggente malinconia di cui la canzone è pervasa. Altre canzoni sono “omaggi” al Brasile, e vogliono ricreare atmosfere, immagini, suscitando suggestioni evocatrici di quel paese, come accade per esempio in Jangada,489 nell’introduzione di Canto nuovo,490 e in Da Recife a Forteleza491 e Brazzhelia.492 488 Le città di frontiera, 1983 e live, 1993. 489 Jangada (Il grande mare che avremmo attraversato, 1973), è il nome delle barche dei pescatori brasiliani. È “una spudorata imitazione” del brano Gula Matari di Quincy Jones (COTTO 1994: 54), mentre le note iniziali richiamano il brano Venha ca di Caetano Veloso. È infatti presente un’impronta jazzata con caratteristiche riconducibili al latin jazz di Jones e alla corrente tropicalista cui appartiene il brasiliano Veloso. 221 Questi brani, che risentono particolarmente dell’influenza brasiliana, hanno molte caratteristiche in comune: oltre che essere strumentali, hanno nel titolo un richiamo al Brasile (a parte Canto Nuovo); inoltre sono accomunati da elementi musicali che evidentemente Fossati ha identificato e scelto, come un linguaggio sonoro, perché potessero trasmettere precisi messaggi o suggestioni. Una serie di mezzi che contribuiscono a creare anche qui quell’aria di famiglia poiché richiamano chiaramente o inconsciamente sonorità che ci “trasportano” immediatamente nelle affascinanti terre del Brasile. Infatti una prima caratteristica che li accomuna è la descrittività della musica, cioè il fatto che gli elementi musicali siano strutturati in modo da suscitare determinate reazioni emotive, e visive, come per esempio l’immagine di spazi aperti, o di scorci di vita. Questi elementi sono di diversa natura: nell’aspetto ritmico perlopiù indirizzati verso l’afro-samba o la bossa nova, raramente al calypso, quasi sempre affini al latin-jazz, genere che nasce dalla fusione di entrambe le componenti, latino-americana e jazzistica. Per quanto riguarda gli influssi jazz, si possono riscontrare negli arrangiamenti, ma anche in particolari vocalizzi o assoli strumentali tipici dell’improvvisazione jazz. Elementi 490 Canto Nuovo (Il grande mare che avremmo attraversato, 1973), “risente dell’influenza delle prime cose di Edu Lobo; nelle armonie di quel pezzo c’è l’amore per l’altro Brasile, quello distante dall’oleografia da cartolina, il Brasile del nord di Lobo o di altri grandi autori come Joao Bosco, che lavoravano su armonie dure, senza le famose seste negli accordi, senza dunque quella strana e zuccherosa dolcezza di altre zone del Brasile”. (COTTO 1994: 56). In questo brano “c’è una bella sequenza di accordi minori” e un coro a due voci tipicamente brasiliano accompaganto da percussioni e flauti che contribuiscono a dare l’impronta sudamericana. Questi elementi sono solo nell’introduzione, il resto della canzone non presenta influenze latino americane. 491 Da Recife a Forteleza (Il grande mare che avremmo attraversato, 1973) è un “omaggio al Brasile”. (COTTO 1994: 56) Qui Fossati ci porta a percorrere la costa brasiliana che va da Recife a Forteleza, due città che si affacciano sull’oceano Atlantico, un percorso che costringe il viaggiatore a percorrere il punto più orientale di tutto il Sud America. 492 Not One Word, 2001. 222 tipici della musica latino-americana ed in particolare della bossa nova sono i cori all’unisono e l’uso di particolari accordi; per quanto riguarda gli strumenti ricorrono la chitarra, il flauto, molte percussioni (marimba, maracas, spazzole, ecc.), e altri elementi riconducibili alla timbrica tipica delle sonorità brasiliane come xilofono e vibrafono, o anche pianoforte e violoncello che sono spesso usati in particolari arrangiamenti della bossa nova. 493 Altra influenza latino-americana presente nelle canzoni di Fossati è quella del reggae giamaicano. A tale proposito Fossati racconta: “Fino a quando ho ascoltato Marley non ho mai pensato di inserire il reggae nella mia musica. Più avanti nel tempo dopo aver ascoltato intelligenti contaminazioni americane, su tutte quelle dei 10CC, ho capito che si poteva prendere qualcosa dal reggae, se non il linguaggio musicale almeno il movimento ritmico e armonico, e mescolarlo ad altri suoni. Il mio esempio era l’album dei 10CC Bloody Tourists, dove i suoni reggae erano dichiaratamente falsi, non era un tentativo di riprodurli pedissequamente, di rifarli o copiarli, quanto piuttosto un modo di giocarci all’europea. Limonata e zanzare494 è un altro dei miei primi esperimenti col reggae. Anche la mia prima versione di Panama495 era un reggae che realizzai con la mia band americana”.496 493 Come quello di Casa, l’ultimo lavoro di Ryuichi Sakamoto – musicista che Fossati ha dichiarato di apprezzare particolarmente – con Paula e Jaques Morelembaum in cui con essenzialità e intensità si intrecciano i suoni di pianoforte, violoncello e percussioni. 494 La mia banda suona il rock, 1979. 495 Panama e dintorni, 1981. Questa canzone ha un riferimento all’America Latina anche nel soggetto, essendo lo stretto di Panama collocato nell’America Centrale, non lontano dalla Jamaica. 496 COTTO 1994: 70 223 Caratteristica di questi brani, cui aggiungiamo anche Traslocando497 e, in misura minore, Terra dove andare498 e alcuni brani dell’ultimo disco (Pane e coraggio, Lampo, Io sono un uomo libero, Cartolina) è dunque un’impronta reggae, più o meno marcata a seconda dei casi. Essa è data dall’uso di elementi tipici di questo genere: ritmo cadenzato in levare, predominanza del basso, percussioni; elementi cui si aggiungono di volta in volta altre contaminazioni che vanno dal pop (arrangiamenti con batteria, chitarra elettrica, tastiere, ritmica elettronica), al jazz (improvvisazioni del sax), ad altre influenze latino-americane (chitarra, fisarmonica, xilofono). Di andare ai cocktails con la pistola non ne posso più piña colada o coca cola non ne posso più Di trafficanti e rifugiati ne ho già piena la vita oh maledetta traversata non sarà mai finita, ma vedete a nove nodi appena si è un punto fermo nel mare che sa di nafta e lo nasconde con l’odore del tè e dell’erba da fumare. Oh mamaçita Panama dov’è ora che stiamo in mare sull’orizzonte ottico non c’è si dovrà pur vedere signori ancora del tè fra breve il porto di attracco darà segno di sé499 497 Le città di freontiera, 1983. “È il resoconto di un vero trasloco di Loredana (Bertè). Mi affascinava l’idea di scrivere una canzone sul tema del trasloco. Mi diverte ancora adesso.” COTTO 1994: 87. 498 La pianta del tè, 1988 e live vol. I, 1993. 499 Panama, Panama e dintorni, 1981. 224 Ancora un’altra influenza è quella che deriva dalla musica delle Ande. Probabilmente a tale proposito ha avuto una certa importanza, intorno agli anni Settanta, la presenza in Italia degli Inti Illimani, il famoso gruppo cileno che ha diffuso la musica andina in Italia e non solo. Fossati, per evocare quel genere di musica fa uso di diversi elementi: le melodie richiamano molto quelle andine, come anche i ritmi (ritmo ternario a metà tra 3/4 e 6/8); lo strumento prevalente è quello tradizionale delle Ande, il flauto di pan (flauto a canna, antara, kena);500 altri strumenti (chitarra, arpa, percussioni) contribuiscono a creare un’atmosfera fortemente evocatrice delle terre andine. I brani in cui questi elementi sono più evidenti sono la parte strumentale del brano Preludio (Paura) 501 che melodicamente è una velata citazione di una frase strumentale del brano La fiesta di San Benito degli Inti illimani, e il brano strumentale Azteca502 che, attraverso un uso della musica particolarmente descrittivo, crea un’atmosfera che ci porta in un viaggio nella storia e nel tempo, richiamando non solo le antichissime popolazioni indigene precolombiane, ma anche le genti che ancora oggi abitano quei posti, conservando gelosamente le proprie tradizioni. In Fossati ha inoltre avuto una certa rilevanza anche l’incontro con Uña Ramos, 503 il musicista andino che ha suonato i flauti nell’album La pianta 500 Sono diversi tipi di flauto usati nelle musiche delle canzoni di Fossati. 501 Di Fossati-Magenta, Dolce acqua, 1971. 502 Good bye Indiana, 1975. 503 Parlando del musicista andino Fossati riferisce: “È stato un incontro molto importante, quasi fondamentale[…] mi fece capire che ero sulla strada giusta. […] Il (suo) suono era rivoluzionario, non vecchia musica andina”.Cotto: 130 225 del tè (1988). In particolare le influenze andine sono presenti nei brani La pianta del tè, ripresa anche nell’album dal vivo (1993) e La pianta del tè – parte II. Nella parte II, solo strumentale, è molto più pregnante l’ascendenza latino-americana: predomina il flauto (antara; kena) con un canto acuto e “piangente” sul tappeto in sottofondo. Nell’ascolto di questi brani, con questi caratteristici suoni e melodie, ci coglie immediatamente l’evocazione di luoghi lontani, di un’atmosfera di viaggio, condizionata forse anche dall’impronta del disco omonimo che ci riporta continuamente in luoghi reali e ideali inebriati e percorsi da esotismo e magia. Un percorso, richiamato anche dall’antica carta navale scelta come copertina dell’album, alla scoperta di nuove terre, ma anche di orizzonti emotivi ed emozionali, che ha dunque un forte valore simbolico, come ogni elemento del disco. Le piccole foglie della pianta del tè non solo rappresentano qualcosa di importante e prezioso, motivo di viaggi e ricerche dai tempi più lontani, ma simboleggiano anche, per esteso, il grande valore delle piccole cose: “dimostra che quello che andiamo cercando nella vita, ciò che è davvero importante, non è detto che sia necessariamente grande e immenso. Magari ha forme e dimensioni ridottissime come le foglie di una pianta di tè, eppure è importantissimo”.504 Perciò a volte non ci sarebbe bisogno di cercare ciò che desideriamo rincorrendo l’orizzonte lontano, la distanza più immensa, il viaggio più lungo, ma basterebbe fermarsi ad ascoltare il silenzio della nostra mente. Concetti questi profondamente radicati nella cultura latinoamericana, e anche nel nostro modo di vederla: una visione della vita semplice, genuina, che non aspira ad arrivare sulla luna ma gode delle 504 COTTO 1994: 130 226 piccole gioie di ogni giorno, pur conoscendo molto spesso situazioni di estrema miseria e desolazione, “per orizzonte stelle basse”. Inoltre i latinoamericani hanno una concezione della vita talvolta fatalista, non rassegnata ma profondamente convinta che “la fortuna è appesa al cielo”. Chi si guarda nel cuore sa bene quello che vuole e prende quello che c’è Ha ben piccole foglie ha ben piccole foglie ha ben piccole foglie la pianta del tè505 Riconducibili alla matrice afro, tanto importante in moltissime musiche latino-americane, sono infine i ritmi di Buontempo, 506 La rondine, 507 La casa,508 Brazzhelia.509 A proposito di Buontempo Fossati dice: “Ritmicamente parlando è preso di peso da un andamento sudafricano su cui si innesta una canzone che avevo scritto in precedenza. […] È un ironico invito all’ottimismo, più o meno ironico a seconda dell’aria che passa. Nel 1986 aveva un colore, nel 1993, quando l’ho ripresa per l’album dal vivo, aveva un altro colore. Sfumature, gradazioni diverse di ottimismo, perché fra le due versioni sono passati sette anni. Buontempo non ha una trama, ma è una storia, una raffigurazione di gente che lavora. E che, come capitava anche a me da ragazzo, quando 505 La pianta del tè (1988). 506 700 giorni, 1986 e Buontempo (dal vivo I), 1993. 507 La disciplina della terra, 2000. 508 700 giorni, 1986 e Carte da decifrare (dal vivo II), 1993. 509 Not One Word, 2001. 227 faceva festa andava a salutare il mare, perché il mare spesso è una festa, anche solo da vedere.”510 Altre immagini latino-americane non sono chiaramente collocabili in una regione, in un contesto preciso. Riferimenti linguistici o concettuali ci rimandano in qualche modo a luoghi utopici o reali dell’America Latina, ma spesso il rimando del testo non corrisponde a quello della musica, che appartiene a tutt’un altro contesto. Good bye Indiana511 per esempio musicalmente riprende il country ma nelle parole più che con l’Indiana, come suggerisce il titolo, ha a che fare con il Messico. Infatti non solo il Messico è richiamato nel testo (“Bellissima madre messicana / ascolta tuo figlio ti chiama”), ma una parte della canzone è in lingua messicana: Te quiero, te quiero e no puedo vivir yo me muero, me muero te quiero aquì Oh amor, oh amor In Tico Palabra512 è il titolo stesso a dare una suggestione latino-americana, sia per l’assonanza di questo nome con le lingue latino-americane, sia perché Tico evoca in qualche modo “tico-tico”, il famoso motivetto. Inoltre nel testo apprendiamo che Tico Palabra è un guerrigliero, una figura che dunque ci rimanda alle realtà di protesta e rivoluzione che ha segnato, e 510 COTTO 1994: 112-113 511 Good bye Indiana, 1975. 512 Le città di frontiera, 1983. 228 tuttora segna, molta parte dell’America Latina. Musicalmente però non identifichiamo niente che riguardi musiche latino-americane. C’è poi la canzone La Madonna nera,513 di cui abbiamo più volte parlato, che è tratta da un’immagine della letteratura sudamericana, ma non offre riferimenti geografici, neanche nella musica.514 Che triste storia dare nome a un’ombra ci imbarcammo in un tempo dimenticato perfino dai sogni pronti al beffardo amore e ad altre spese ma qui dov’è la luna? siamo giocatori di carte lo spettatore comprende con gli anni si misura la distanza siamo sognatori di mondi Sono parole di un brano che rappresenta un caso ancora differente, quello di Dancing sopra il mare (Panama parte II e finale).515 È un brano strumentale, su cui è inserito un testo recitato (voce Mercedes Martini). La melodia ricorda molto il tema di una canzone messicana, La paloma di Yradier,516 e il ritmo ricorda quello del calypso, ritmo del carnevale caraibico di Trinidad; i timbri (organetto, percussioni, ecc.) richiamano invece le terre dell’America Latina in generale, in un insieme che risulta come un misto di suoni, danze, genti, immagini. Gli elementi musicali, il sottotitolo (Panama), e il testo che parla di naviganti, ci condizionano forse, facendoci immaginare una scena sul mar 513 Lindbergh, 1992. 514 Vedi anche in COTTO 1994: 153. 515 La disciplina della terra, 2000. 516 Vedi in Mexico, cd appartenente alla collana “Word of music”. 229 dei Caraibi, antichi viaggiatori cui dopo tanto navigare “la terra all’orizzonte tenue di nuovo appare”. 2.3.3 Amore, Passione, Sensualità Componente essenziale dello spirito latino-americano è l’amore. Amore come presenza costante della vita, zucchero e sale di ogni esistenza, orizzonte costante degli spiriti romantici, “peso e fortuna”, 517 “vertice puro dell’allegria”.518 Amore, “piega dolorosa” e “unica rosa”,519 amore che si trasforma talvolta in tristezza infinita, mistero, dolore, rimpianto, rancore, ma che è anche, e per fortuna, il grande miracolo del cuore degli uomini, il bene prezioso, che riempie la vita, “la stella meridiana”, l’orizzonte infinito del viaggio più bello che il sentimento possa compiere. La tematica amorosa, come si può bene immaginare, è trattata in tutte le sue sfaccettature nell’opera di Fossati. E c’è da dire che, per quanto riguarda il nostro studio, i ritmi, le melodie, i suoni tipicamente sudamericani gli servono per sviluppare, oltre che il lato romantico e spirituale, anche un altro aspetto particolarmente intrigante ed intenso dell’universo amoroso: quello dell’erotismo e della sensualità. Una sensualità che noi europei da sempre abbiamo individuato nelle musiche del Nuovo Mondo, nei ritmi, nei movimenti delle danze. Infatti, forse in maniera un po’ mitica, il nostro 517 Unica rosa in Discanto, 1990. 518 Invisibile in La disciplina della terra, 2000. 519 Unica rosa in Discanto, 1990. 230 immaginario ha sempre collegato America Latina e amore, sia come passione dell’anima sia come sensualità fisica. Ma a ben vedere la nostra visione di quel mondo corrisponde alla realtà: dal tango appassionato di Astor Piazzolla, alle dolci serenate della bossa nova brasiliana di Vinicius de Moraes o Tom Jobim, alle canzoni popolari cubane, alla messicana Besame mucho, passando per le varie danze erotiche come lambada, salsa, merengue; dal “lungo mare di Bahia”520 a Buenos Aires, dai Caraibi alla Terra del Fuoco, l’America Latina da sempre e in ogni dove canta le gioie e i dolori degli amori che dilettano e straziano i cuori. Ivano Fossati, partecipe dei miti e delle immagini del nostro immaginario collettivo, sente fortemente ognuna di queste componenti, “l’amore nelle sue versioni”,521 e le fa sue esprimendole nelle parole e nella musica delle sue canzoni. Vivo di amore volontario della mia vita che cola via col cuore storto per oltraggio da umanissimo amore da normalissimo amore umanissimo amore soluzione dei misteri dei dolenti soluzione di ogni disperanza per occasione d’amore perduta se vuoi sentimento io ho sentimento e carne per la carne e tempo per il tempo522 520 Princesa in Anime salve, 1996 521 Invisibile in La disciplina della terra, 2000. 522 La scala dei santi in Macramè, 1996. 231 Ritroviamo così, fra i suoi brani, il tango che esprime dell’amore la calda passionalità, l’infuocata sensualità, non senza una certa drammaticità e tristezza. Passione accesa e accecante, è quella che si trasforma nella melodia un po’ nostalgica di Besame Mucho,523 o in quella più sanguigna di Sonatina,524 in cui la sensuale passionalità scaturisce dalle corde delle due chitarre che suonano un flamenco caldo e intenso – molto vicino alle sonorità dell’argentino Egberto Gismonti. Troviamo il tango puro di Tango disorientato525 in cui il ritmo è dato dall’andamento “smarrito” dei pochi strumenti (fisarmonica, clarinetto, archi), che cantano nella loro melodia la sconfinata perdizione di pensieri alla deriva. Poiché l’amore, soprattutto quello totale dei latini, è perdizione e smarrimento, talvolta dolore, tanto più se è un amore ormai finito, come è spesso quello che dolorosamente cantano le melodie latino-americane. Affinché la musica potesse più intensamente comunicare il travaglio sentimentale del cuore, Fossati ha voluto che questi brani nascessero senza parole. Le armonie lente e suadenti conducono infatti in un percorso emozionale intenso e coinvolgente, scandito dal tempo del flamenco o del tango argentino che sentiamo “perso”, “disorientato” fra i percorsi della passione, spesso accecante, appunto, straniante, desolante. Altre composizioni, sempre incentrate sul ritmo cadenzato del tango, raccontano la sensualità e l’erotismo con la dura crudezza di Princesa,526 523 Versione strumentale dell’omonimo brano di Consuelo Velasquez, in Not One Word, 2001. 524 Buontempo (Live vol. I), 1993. 525 Not One Word, 2001. 526 Anime salve, 1996. Questo brano ha una parte di testo in lingua brasiliana, altro elemento che ci riporta in un contesto preciso. 232 transessuale di Bahia, o con la placida voluttà di Notturno delle tre,527 storia di un amore veloce e fugace, di una seduzione notturna, di un incontro appena finito che ha lasciato quel misto di soddisfazione, amarezza, malinconia, di una conquista consumata troppo in fretta. In questi brani la sensualità si riconosce nella musica attraverso precisi rimandi alle sonorità argentine: l’andamento ritmico del tango, e della milonga in Notturno delle tre, e la timbrica, composta in prevalenza da suoni caldi e suadenti (percussioni, chitarra, contrabbasso, pianoforte, fisarmonica), introducono infatti in un’atmosfera di calda e voluttuosa sensualità che ruota tutta intorno alla figura della “femme fatale”, protagonista di questi due racconti, e alle sue capacità di seduzione. L’amore va consumato va l’amore va accontentato va la voglia e l’innocenza faranno come si può l’amore va trasudato va l’amore va comandato va l’angelo e la pazienza s’accordano come si può Io non ti voglio parlare, parlare ma fra le ginocchia salire Io non ti voglio sfiorare, sfiorare io ti voglio amare528 Una certa durezza che si trova in questi due ultimi brani si riscontra anche in Carte da decifrare.529 Un testo a tratti violento, che esprime una particolare sensualità, un senso del possesso che sconfina a tratti nel dominio. È un 527 Lindbergh, 1993. 528 L’angelo e la pazienza, Macramè, 1996. 529 Carte da decifrare, dal vivo vol. II, 1993. 233 Fossati alquanto insolito questo, quasi minaccioso e nervoso anche nel modo di cantare. Ci sembra di trovare qui una forte corrispondenza con il brano Se eu fosse o teu patrão (Se fossi il tuo padrone) di Chico Buarque.530 In entrambi i brani c’è infatti un contenuto simile, un amore violento, un uomo padrone che tratta la “sua” donna come una schiava, un oggetto da trattare e maltrattare; una visione deviata certo, ma che esprime un altro aspetto del sentimento passionale, della sensualità, del rapporto a due, forse influenzato, consciamente o inconsciamente, dal forte ruolo che lo schiavismo ha avuto nei paesi dell’America Latina. In Fossati l’uomo “dittatore” si redime poi, chiedendo perdono per le sue debolezze, insicurezze, incapacità, da cui nasce evidentemente quella reazione brutale e aggressiva. Se avessi braccia migliori ti costringerei se avessi labbra migliori ti abbatterei se avessi buona la bocca ti parlerei se avessi buone le parole ti fermerei ad un angolo di strada io ti fermerei ad una croce qualunque ti inchioderei531 Amore sensuale ma dolce e intrigante è quello ancora da godere e consumare, di Angelus532 e L’angelo e la pazienza:533 Fossati canta ancora il desiderio, l’amore vissuto nella sua carnalità, sentito nel corpo, nella pelle, nelle mani, in modo affine a quello del sangue caldo-appassionato dei cuori latino-americani e in particolare argentini. Un amore sensuale e intenso, che 530 Suggerimento di Anna Lamberti Bocconi. 531 Carte da decifrare. 532 La disciplina della terra, 2000. 533 Macramè, 1996. 234 rapisce la mente ed il cuore e piega l’amante alla devozione nei confronti dell’amato, in un continuo darsi e richiedere: Alla mia volontà affamata tu parlavi gentile voglio dirti che le parole non mi bastano più così vengo nel nome delle carezze dimenticate parole-femmina scompagnate sul fango-selciato del mondo534 Amore e sensualità sono dunque raccontati da Fossati non solo con le parole, ma anche attraverso la musica. Infatti, sulla scia della più consolidata tradizione musicale latino-americana, per esprimere questi significati l’autore fa spesso uso, come in Invisibile,535 di strutture melodiche appaganti, di suoni avvolgenti e sinuosi, di timbri caldi e intensi, sonorità vellutate affidate a spazzole, pianoforte, violoncello, suoni languidi e suadenti che insinuano frequentemente una nota di malinconia. Una diversa visione ha invece l’amore della bossa nova, un amore totale, amico e amante, “amore degli occhi”,536 del cuore e della pelle, amore che vuol dire eternità, eppure anche separazione, addio, dolore infinito; amore di tenerezza, di baci e semplicità, libertà e desiderio, amore senza misteri, così forte da poterne morire. È infatti in questo genere ricorrente il concetto che “senza te io non sono niente”, poiché è un amore così grande che invade, ma quando finisce crea un vuoto incolmabile che lascia senza più ragione di 534 Angelus, La disciplina della terra, 2000. 535 La disciplina della terra, 2000. 536 Amore degli occhi, Le città di frontiera, 1983. 235 vita. Per questo, nonostante la dolcezza costante che della bossa nova è essenza, sentiamo sempre il sapore amaro della saudade, quella malinconia costante accettata ormai come compagna dell’anima. Rosa, Rosa di una rosa Rosa torturata Rosa amata Rosa, Rosa ballerina Rosa bambina. Rosa, Fiore cantato Voce sottile Stella Meridiana Rosa, Rosa colombina Rosa che s’inchina537 Riscontriamo così in Fossati questa sensibilità tenera e profonda, riconoscibile, se non in precisi stilemi ripresi dalla bossa nova, in una certa familiarità di spirito, come accade in Unica Rosa538 o Il canto dei mestieri.539 Fossati canta qui l’amore più puro, quello dolce delle anime, quell’amore totalizzante e assoluto che è degli spiriti romantici, l’amore dei sognatori che, aldilà di ogni amara disillusione, sanno ancora credere che l’amore è il bene più prezioso, il pane quotidiano dello spirito. La donna è vista in questi brani come il seme dorato da cui l’amore nasce, la ragione di vita, “la stella meridiana”, esaltata in ogni suo aspetto, in ogni suo petalo, in tutta l’importanza che riveste e custodisce. Una donna-rosa, vista con lo 537 Unica rosa, Discanto, 1990. 538 Unica rosa, Discanto, 1990. 539 Macramè, 1996. 236 sguardo dolcemente appassionato dei brasiliani, donna che rappresenta tutto un universo, ballerina e bambina, amica e sposa, voce sottile di un dolore e “piega dolorosa”, ombra e luce, peso e fortuna, vita tutta, “unica rosa”, solo amore. Da questa stessa sensibilità, ispirate alle dolci-amare melodie della saudade brasiliana, nascono storie di amori tristi e ormai perduti, come quelle di Petala540 – dolceamara riflessione sull’amore, sul sacrificio, la dedizione, l’amore che “invade e finisce”, delicato e fragile come un petalo, “luce che tiene in seno la ricchezza del suo proprio destino” – e di Amore degli occhi541 che, raccontando di un amore vaneggiato, esprime sentimenti tormentati, rancore, amarezza. Come ben sanno i cantautori brasiliani della bossa nova, da Vinicius de Moraes a Toquinho, da Tom Jobim a Joao Gilberto, a Chico Buarque, anche Fossati riconosce che l’amore è un oceano che riempie come una marea, dolce e vorticoso, placido e intenso, ma tanto è grande, tanto può essere fatale: è il fado542 a deciderne la sorte e a volte trasforma quell’oceano in una sconfinata distesa di dolore e lacrime. Forse amore è luce che tiene in seno la ricchezza del suo proprio destino chiarezza del giudizio e petalo di stella che cadendo ci lascia guardare. Oh mio amore 540 Versione italiana dell’omonimo brano di Djavan, in Loredana Bertè, Savoir faire, 1984. 541 Le città di frontiera, 1983. 542 Il “destino” dei portoghesi, da cui prende il nome il tradizionale genere musicale, caratterizzato, come la bossa nova brasiliana, dal sentimento della saudade (nostalgia, malinconia). 237 che prendi più del sacrificio fatto insieme per vivere quanto più io vedo e vedo e vedo in me molto più io vivo col gusto di te per essere amato l’amore in sé non basta per essere incantato l’amore si rivela e l’amore invade e finisce543 2.3.4 Malinconia, Saudade, Nostalgia Altra componente essenziale dello spirito latino-americano è la malinconia: quella saudade sempre presente nei loro animi nostalgici, come un filo sottile che tende costantemente il cuore, un colore di fondo, un suono continuo che accompagna ogni movimento, ogni emozione. È la nostalgia per tutto ciò che non si ha in quell’istante, per ciò che si è perso, per ciò che non si potrà mai avere, o per una terra lontana, per un ricordo sbiadito, per una felicità svanita; un senso di mancanza, di perdita, di lontananza, che è a volte sottile, quasi impercettibile, latente nel posto più profondo del cuore, ma che a volte si fa più presente, tangibile, e diventa tristezza mordente, dolore che attanaglia. Eppure, nonostante questa amara presenza costante, gli spiriti nostalgici dei latini d’oltreoceano sanno sorridere alla vita, poiché 543 Petala, Loredana Bertè, Savoir faire, 1984. 238 sanno che dietro ogni dolore, ogni perdita, ogni sconforto, essa riserva sempre nuovi fiori, gioie inattese, nuovi sogni. Malinconia e vitalità sono due componenti che si ritrovano in tutta la cultura dell’America Latina, che, seppur grande, è evidentemente accomunata da una stessa anima. In ogni forma di musica latino-americana è possibile infatti riscontrare entrambi questi aspetti, miscelati di volta in volta nei ritmi coinvolgenti delle danze più allegre, come il samba brasiliano e il danzón cubano, o nelle melodie più travagliate come quelle del tango argentino. Così il tango, “pensiero triste che si balla”,544 da Carlos Gardel ad Astor Piazzolla, mette in musica storie tristi e fatali, tragiche e desolate, eppure non è mai lamentoso, la sua nota dolente, il suo suono a volte stridente, ha un’intonazione emotiva mai patetica, sempre infusa di un istinto vitale che fa percepire energia positiva anche quando canta il dolore. E perfino la lambada, a noi nota come danza erotica, nasce in realtà dal dolore e dal pianto, da una desolante separazione: Chorando se foi quen um dia so me fez chorar Chorando se foi quen um dia so me fez chorar Chorando estara, ao lembrar de um amor que un dia nao soube cuidar Chorando estara, ao lembrar de um amor que un dia nao soube cuidar A recordaçao vai estar com ele aonde for A recordaçao vai estar pra sempre aonde zu for545 eppure risuona nella sua musica la positività dell’amore, tutta l’energia di un sentimento che è vita, pur nella tristezza più sconfinata. 544 Enrique Santos Discepolo, noto paroliere e musicista argentino della prima metà del 900. In LAYMARIE 1996: 106. 545 “Se n’è andato piangendo chi mi ha fatto piangere… / Piangendo rimmarrà, al ricordo di un amore che, / Un giorno, non ha saputo curare… / Il ricordo sarà con lui; dove andrà / Il ricordo sarà per sempre dove io sarò…” STEFANI-MARCONI 1992: 219-224 239 Anche Fossati sa che “c’è un trionfo di stendardi dove termina il dolore”546 e dalle sue canzoni si respira una sottile vena di malinconia, talvolta dolorosa e inquieta, ma anche un profondo e sentito attaccamento alla vita, la voglia di sorridere anche dopo il pianto, di amare anche dopo un abbandono, di sperare anche dopo la più mordace delusione. Anche per questo l’abbiamo “legato” allo spirito latino-americano, perché evidentemente, trasuda dalle sue parole in musica questa strana alchimia fatta di riso e pianto. Non è tristezza pura quella che pervade le sue canzoni, o perlomeno, non sempre e non solo. Sembra veramente di ritrovare gli ingredienti tanto tipici e caratterizzanti dello spirito latino-americano, certo, miscelati diversamente, ma fatti dalle stesse componenti: malinconia e vitalità. Vogliamo qui soffermarci in particolar modo sull’aspetto della malinconia, della nostalgia, e provare a scovarlo in alcuni brani del nostro autore, per meglio delineare i caratteri e le forme di questo aspetto. La nostalgia è un sentimento a volte lacerante, che sia per una persona, per un luogo, per un affetto, e tuttavia, come tutti i sentimenti intensi, fa sentire vivi, fa palpitare il cuore di sentimento, ché la vita è traboccante di gioia, ma anche di pianto. Ahi, quantomar quantomar per l’Argentina. La distanza è atlantica la memoria cattiva e vicina e nessun tango mai più ci piacerà Ahi, quantomar 546 L’angelo e la pazienza, Macramè, 1996. 240 Ecco, ci siamo ci sentite da lì? ma ci sentite da lì? Sono le parole degli Italiani d’Argentina,547 emigrati che, affidandosi alla comunicazione radiofonica, tentano di ristabilire un contatto con la loro terra d’origine. Tutti noi conosciamo il dramma di emigranti ed emigrati, sradicati dolorosamente dalle loro patrie per andare a cercar fortuna in terra straniera. Tutt’oggi è una realtà che vive sotto i nostri occhi; in tutto il mondo c’è sempre un popolo che deve partire, per guerra, fame, persecuzione o carestia, la storia dell’umanità è costellata di popoli in fuga. Ci vuole coraggio a trascinare le nostre suole da una terra che ci odia ad un’altra che non ci vuole Recita il testo di Pane e coraggio,548 altro brano del nostro autore che tratta di questo delicato tema, e in particolare sulle tante storie di immigrati che approdano con mezzi di fortuna in Italia. Fossati è dunque sensibile a chi si sente “lontano”, lontano dalla propria gente, dalle proprie terre, dalle proprie tradizioni, ed è per questo che gli italiani d’Argentina dicono “nessun tango mai più ci piacerà”, perché non si sentono ancora partecipi della cultura di quel luogo, bensì, rimangono ancorati alla loro italianità fatta di “vino e sigarette e amori tanti”, e dunque sospesi tra due culture. Il loro dramma appare più intenso per le parole forti 547 Discanto, 1990. 548 Lampo viaggiatore, 2003. 241 che Fossati ha saputo trovare: il “quantomar”, la “distanza atlantica”, l’incertezza della comunicazione (“ci sentite da lì?”), esaltano la loro distanza, che “la memoria cattiva e vicina” rende ancor più incolmabile. Questa volta Fossati non solo canta lo spirito latino americano, ma vi si immedesima, interpretando in prima persona il dramma degli emigrati italiani in Argentina, assumendo nella propria pelle i loro sentimenti e pensieri, la loro doppia latinità di italiani e di argentini. Così, nella propria voce, comunica il messaggio di tanti emigrati, che cercano disperatamente un contatto con l’Italia (“ci sentite da lì?”), per trovare sollievo a quella nostalgia, per trasmettere dal loro “sfondo infinito”, anche se solo radiofonicamente, i loro desideri, le frustrazioni, la nostalgia, la rassegnazione, gli amori. La malinconia è spesso un sentimento che si accompagna all’amore, che, come i latino-americani sanno, tanto più è grande, tanto più può far soffrire.549 L’amore, croce e delizia di ogni cuore, fa infatti continuamente perdere e trovare, è sorriso e dolore, ombra e luce, speranza e disperazione. Così l’America Latina nelle sue canzoni, dalle tradizionali alle più contemporanee, canta con voce accorata il dramma dei cuori più straziati, storie tristi, amori impossibili, lontananze ed addii. Il tango in primo luogo, come abbiamo visto, è sinonimo di tristezza, struggimento, passione ferita: sentimenti affidati solitamente al suono melanconico e suadente del bandoneon. Nei ritmi della sua musica, spesso sincopati, nei movimenti scattosi e ardenti della sua danza, il tango scatena sempre una potente ondata emotiva caratterizzata da tristezza e travaglio. 549 Viene da citare il verso sardo “tanto prus mannu est s’amore, tantu prus triste est sa vida”. 242 Anche in Fossati è fortemente rilevante questa componente, riscontrabile spesso nelle melodie, nei ritmi, nella scelta degli strumenti, per giungere a sonorità del tutto affini a quelle argentine. Accade così nel brano strumentale Tango disorientato,550 struggente e appassionato come un brano di Piazzolla, dolce e delicato, intenso e penetrante, forse anche per l’assenza di parole. Ritroviamo qui l’armonia lenta e suadente della fisarmonica che ci conduce in un percorso emozionale coinvolgente, profondamente malinconico, straziante. Il clarinetto insinua un’ulteriore amara nota di solitudine, mentre gli archi, con il loro andamento sinuoso, contribuiscono a dare quella sensazione di struggimento che sembra ogni volta stringere il cuore. Una malinconia penetrante, straniante, è quella che si infonde da questa melodia “smarrita”, il cui ritmo, non essendoci percussioni, è scandito dall’incedere degli strumenti che paiono anche loro disorientati, confusi (fusi insieme), persi fra i meandri della più sconfinata e indicibile tristezza. Altrettanto struggenti sono le note di Besame mucho,551 versione strumentale della famosa canzone di Consuelo Velasquez. Besame, besame mucho, como si fuera esta noche, la ultima vez besame, besame mucho, que tengo miedo perderte, perderte despues 550 Not One Word, 2001. 551 Not One Word, 2001. 243 Anche qui imperversa la malinconia, affidata alla melodia creata da pianoforte e violoncello, appena ritmata dai suoni delicati di percussioni e vibrafono, anch’essa particolarmente vicina alle sonorità argentine. Amore e passione sono ancora una volta legati alla sofferenza, a un sentimento nostalgico di perdita, alla paura dell’abbandono, che, pur se non ancora presenti, attanagliano fatalmente lo spirito, quasi presagendo una fine imminente. Più propria della saudade brasiliana è invece quella malinconia sottile e tenera, nascosta velatamente dietro la dolcezza della bossa nova, diversamente dalla più esplicita passionalità del tango argentino. Anche la bossa nova vive di un eterno sentimento nostalgico, come un fiume silenzioso che scorre sotto terra, senza dramma. Sottile, leggera, verrebbe da dire, ma non meno intensa è questa saudade, innato sentimento di tutti i brasiliani, e non solo; intraducibile in altre lingue perché ricca di sfaccettature la saudade comprende in se la nostalgia per i beni perduti e il desiderio dei beni futuri. Anche in questo caso Fossati si appropria degli stilemi tipici di quel genere, per esprimere quella che anche lui sente una presenza costante nel suo sentire. Sensibilità dolce e profonda è quella da cui nascono diversi brani ispirati alla sentimentalità brasiliana, da Petala552 a Unica rosa, 553 da Amore degli occhi,554 a Canto nuovo,555 a Oh que serà.556 552 Versione italiana dell’omonima canzone di Djavan, in Loredana Bertè, Savior faire, 1984. 553 Discanto, 1990. 554 Le città di frontiera, 1983. 555 Il grande mare che avremmo attraversato, 1973. 244 la parola giusta non è perdono perché non c’è mai perdono perché il rancore è più forte del perdono perché il rancore è più forte di un uomo, più forte è la malinconia più lungo l’inverno e la notte di più557 Gradi diversi di dolore, ognuno relativo a una diversa situazione: amarezza per la fine di un amore, rancore, rassegnazione, sconcerto, sdegno di fronte all’orrore del mondo; oppure malinconia sottile, dolce, velata, sempre e comunque mai gridata, ostentata, bensì raccolta in poche linee, concentrata in una significativa semplicità, come delle espressioni pacate dei brasiliani. Oh, che sarà, che sarà che vanno sospirando nelle alcove che vanno sussurrando in versi e strofe che vanno combinando in fondo al buio che gira nelle teste, nelle parole che accende le candele nelle processioni che va parlando forte nei portoni e grida nei mercati che con certezza sta nella natura nella bellezza quel che non ha ragione nè mai ce l’avrà quel che non ha rimedio nè mai ce l’avrà quel che non ha misura558 Musicalmente questi concetti sono espressi da Fossati secondo i canoni della retorica musicale, utilizzando cioè mezzi quali la tonalità minore, o toni 556 Versione italiana di O que será di Chico Muarque, in Fiorella Mannoia, Certe piccole voci, 1999. 557 Amore degli occhi. 558 Oh che sarà. 245 gravi, ritmi lenti, che caratterizzano comunemente le musiche espressive di stati d’animo dolorosi. Stilemi ben conosciuti anche dai latino-americani, che ne hanno però nel tempo formato degli altri, ormai riconosciuti caratteristici della loro musica. La fisarmonica, per esempio, è sempre accostata alla tristezza del tango argentino, così come violoncello o clarinetto assumono connotazioni di profonda malinconia, mentre la chitarra classica contribuisce spesso a dare un’impronta di struggente passionalità. Il ritmo, a volte instabile, incerto, è altre volte marcato dalle percussioni che talvolta, unendosi agli strumenti, accrescono la drammaticità degli andamenti melodici. siamo voci erranti cui oggi e soltanto oggi la terra all’orizzonte tenue di nuovo appare559 559 Panama parte II e finale, La disciplina della terra, 2000. 246 APPENDICI 247 a. QUADRO RIASSUNTIVO DELLE COMPONENTI LATINO-AMERICANE NELLE CANZONI DI FOSSATI Canzoni Elementi musicali Preludio (Dolce acqua1971) Jangada (Il grande mare che avremmo attraversato1973) Musica andina Canto nuovo (Il grande mare che avremmo attraversato1973) Da Recife a Forteleza (Il grande mare che avremmo attraversato1973) La pioggia di marzo (FossatiCalabreseJobim) 1973 (live-1993) Azteca (Good bye Indiana1975) Good bye Indiana (Fossati- Riferimenti al latin-jazz e al tropicalismo. Strumenti della musica latinoamericana. Coro. Coro brasiliano. Strumenti della musica brasiliana. Ritmo e strumenti della bossa nova. Elementi latin-jazz. Elementi di bossa nova. Riferimenti lessicali e/o geografici Riferimenti culturali Traduzioni Jangada è la barca dei pescatori brasiliani Esprime il suo amore per il Brasile. Influenzato da Edu Lobo e Joao Bosco. Città della costa Omaggio al nord del Brasile Brasile. Da Águas de março di Jobim. Melodia e Civiltà strumenti precolombiana della musica (Messico). andina Parte del testo è in lingua messicana. 248 Prudente)(Go od bye Indiana-1975) Limonata e zanzare (La mia banda suona il rock1979) Panama (Panama e dintorni-1981; live-1993) Traslocando (Le città di frontiera1983) Amore degli occhi (Le città di frontiera1983) Jazz (FossatiDjavan-1983) Petala (FossatiDjavan1984) Introduzione (Ventilazione1984) Il pilota (Ventilazione1984) Buona notte dolce notte (Ventilazione1984) Buontempo (700 giorni1986; live-1993) La pianta del tè (La pianta del tè-1988; live-1993) Terra dove andare (La Ritmo reggae Ritmo reggae Ritmo reggae Stilemi della Bossa nova. Ispirata dalla suggestione di una canzone brasiliana. Da Sina di Djavan. Dal brano omonimo di Djavan. Latin-jazz. Ricorda certa musica brasiliana Ricorda certa musica brasiliana Ritmo africano (riconducibile a quelli afroamericani) Musica andina suonata da Uña Ramos. Positività. Reggae. 249 pianta del tè1988;live1993) Italiani d’Argentina (Discanto1990; live1993) Unica rosa (Discanto1990) La madonna nera Lindbergh1992) Mio fratello che guardi il mondo (Lindbegh1992; live1993) Elementi Argentina musicali latinoamericani (tango). Modo di comporre dei brasiliani degli anni ’60. Riferimento alla donna-rosa della bossanova. Immagine ereditata dalla letteratura sudamericana. Ritmo e percussioni possono ricordare certa musica brasiliana. 250 Ci sarà (Lindbegh1992) Ritmo e percussioni possono ricordare certa musica brasiliana. Notturno delle Milonga. tre (Lindbergh1992) Piccola Cuba serenata diurna (FossatiRodriguez) 1992 Sonatina Ricorda il (live-1993) flamenco e sonorità latinoamericane Princesa (Fossati-De Andrè) (Anime salve1996) Il canto dei Ritmi e timbri mestieri richiamano (Macramécerta musica 1996) latinoamericana L’angelo e la Percussioni e pazienza fisarmonica (Macramé(Argentina) 1996) Oh, che sarà (FossatiBuarque1999) Sensualità. Da Pequeña serenada diurna (Silvio Rodriguez) Parte in brasiliano. Citazione di Bahia. Concezione dell’amore. Riferimento a Buenos Aires. Concezione dell’amore sensuale. Da Oh que será di Chico Buarque. 251 Invisibile (La disciplina della terra2000) Il ritmo sembra richiamare certa musica brasiliana. Angelus (La Il ritmo e i disciplina timbri della terrarichiamano 2000) certa musica brasiliana. La rondine Il ritmo (La disciplina sembra della terrarichiamare 2000) certa musica brasiliana. Dancing Ricorda ritmi sopra il mare: latinoPanama parte americani seconda e (Calypso). finale (La disciplina della terra2000) Brazzhelia Ritmica e (Not one strumenti word-2001) (Calypso). Tango disorientato (Not one word-2001) Besame Musica. mucho (FossatiVelasquez) (Not one word-2001) Pane e Ritmo coraggio (Reggae) (Lampo viaggiatore2003) Amore sensuale. Amore sensuale. Titolo. Amore. Da Besame mucho di Consuelo Velasquez (autrice messicana) 252 Lampo (Lampo viaggiatore2003) Io sono un uomo libero (Lampo viaggiatore2003) Cartolina (Lampo viaggiatore2003) Ritmo (Reggae) Ritmo (Reggae) Ritmo (Reggae). 253 b. Testi delle canzoni che presentano riferimenti alla cultura latino-americana Amore degli occhi (Le città di frontiera, 1983) Amore degli occhi che occhi hai col tuo seno ferito dal tuo senso del pianto dopo aver corso e cercato tanto adesso che ci fai. E lo so tu vuoi me e hai paura di me e mi vorresti un altro uomo, e lo so tu vuoi me e hai paura di me e la parola giusta non è perdono perché non c’è mai perdono perché il rancore è più forte del perdono perché il rancore è più forte di un uomo, più forte è la malinconia più lungo l’inverno e la notte di più. Amore degli occhi che occhi avrai quando d’affanno e d’incanto fatto il giro del tempo dopo aver corso e cercato tanto ti risveglierai, nuove cose e persone danzeranno con te i nuovi ritmi della vita, sai già bene fin d'ora, ma saprai meglio allora che non è mai finita, perché non è mai finita perché se il rancore era un’altra vita se era un altro uomo 254 più dolce è la malinconia più breve l’inverno e la notte di più. Angelus (La disciplina della terra, 2000) Eccoti qui pronta e muta come un pianoforte pettinata e vestita come un angelo da collezione e non c’è sentimento ch’io non sappia desiderare anche una luce piccola basta io so farla bastare io so farla bastare. Alla mia volontà affamata tu parlavi gentile voglio dirti che le parole non mi bastano più così vengo nel nome delle carezze dimenticate parole-femmina scompagnate sul fango-selciato del mondo. E tu lo senti o no l’esatto suono delle mie ragioni lo capisci cos’è la rinuncia al pudore. Vuol dire chiamami come vuoi ma non chiamarmi amore chiamami come vuoi io sono degno del mio nome vuol dire chiamami come vuoi ma non chiamarmi amore chiamami come vuoi chiamami come vuoi. Eccoti qui pronta e muta come un calendario adornata e gentile eccoti qui. 255 Io, e quelli come me aspettiamo miracoli. Buontempo (700 giorni, 1986) Oggi non si sta fermi un momento oggi non si sta in casa che è buontempo oggi non si rischia né pioggia e né vento, no e poi non ci si muove come sempre a stento vedi si va a tempo Tu vestiti come un angelo caduto sulla terra da questo cielo che oggi il mio occhio non afferra tu vestiti come un angelo che giri per la terra fallo per questo cuore senza pace e senza guerra, per me. Al lavoro non stavo fermo un momento, no sono tornato a casa col buontempo oggi non si sogna di navigare il mare lo andiamo a salutare il mare lo andiamo a salutare Tu vestiti come un angelo caduto sulla terra da questo cielo che oggi il mio occhio non afferra tu vestiti come un angelo che giri per la terra fallo per questo cuore senza pace e senza guerra, per me. Oggi non si sta fermi un momento oggi non si sta in casa che è buontempo oggi non si rischia né pioggia e né vento, no. Carte da decifrare (Carte da decifrare, 1993) L'amore è tutto carte da decifrare e lunghe notti e giorni per imparare io se avessi una penna ti scriverei se avessi più fantasia ti disegnerei su fogli di cristallo da frantumare E guai se avessi un coltello per tagliare ma se avessi più giudizio non lo negherei che se avessi casa ti riceverei 256 che se facesse pioggia ti riparerei che se facesse ombra ti ci nasconderei Se fossi un vero viaggiatore t'avrei già incontrata e ad ogni nuovo incrocio mille volte salutata se fossi un guardiano ti guarderei se fossi un cacciatore non ti caccerei se fossi un sacerdote come un'orazione con la lingua tra i denti ti pronuncerei se fossi un sacerdote come un salmo segreto con le mani sulla bocca ti canterei Se avessi braccia migliori ti costringerei se avessi labbra migliori ti abbatterei se avessi buona la bocca ti parlerei se avessi buone le parole ti fermerei ad un angolo di strada io ti fermerei ad una croce qualunque ti inchioderei E invece come un ladro come un assassino vengo di giorno ad accostare il tuo cammino per rubarti il passo, il passo e la figura e amarli di notte quando il sonno dura e amarti per ore, ore, ore e ucciderti all'alba di altro amore e amarti per ore, ore, ore e ucciderti all'alba di altro amore Perché l'amore è carte da decifrare e lunghe notti e giorni da calcolare se l'amore è tutto segni da indovinare Perdona se non ho avuto il tempo di imparare se io non ho avuto il tempo di imparare. Dancing sopra il mare (Panama, parte seconda e finale) (La disciplina della terra, 2000) Che triste storia dare nome a un’ombra ci imbarcammo in un tempo dimenticato perfino dai sogni pronti al beffardo amore e ad altre spese ma qui dov’è la luna? siamo giocatori di carte 257 lo spettatore comprende con gli anni si misura la distanza siamo sognatori di mondi ragazze a cui piacevano i poeti capitani di tavole imbandite destini a scomparsa siamo voci erranti cui oggi e soltanto oggi la terra all’orizzonte tenue di nuovo appare. Good-bye Indiana (Fossati-Prudente) (Good-bye Indiana, 1975) Traversate le colline e il ponte sul confine good-bye Indiana, train. Terra rossa sulla faccia che non dico che mi piaccia ma oggi piangerei. Scende il sole dalle rocce città nessuna traccia good-bye Indiana train. C’è una lunga canzone go dolce canzone che attraversa la notte. Te quiero, te quiero e no puedo vivir yo me muero, me muero te quiero aquì. Il vento le colline il ponte sul confine comincia a pregare potresti non tornare. E la polvere d'oro su cui stai seduto ora vale più di te. Mercanti e maghi stregoni, ciarlatani, ladri good-bye Indiana train. C’è una lunga canzone, go, lunga canzone 258 che attraversa la notte. Go and go se sapessi guidare un treno lo farei volare. Go, let’s go anche senza sapere come fare proverei. Bellissima madre messicana ascolta tuo figlio ti chiama good-bye Indiana train. Vecchio stregone dormi sereno Coi filtri d'amore su un treno che faresti mai? Te quiero, te quiero mi querida, mi hermosa yo te quiero, te quiero te quiero aquì. Oh amor, oh amor. Bellissima madre messicana ascolta tuo figlio ti chiama good-bye Indiana train. Vecchio stregone dormi sereno coi filtri d’amore su un treno che faresti mai? Go and go se sapessi guidare un treno lo farei volare. C’è una lunga canzone go, dolce canzone che attraversa la notte. Te queiro, te quiero yo te quiero, te quiero sabe que te quiero sabe que te espero sabe que te quiero te quiero aquì. Traversate le colline e il ponte sul confine good-bye Indiana train 259 Indiana train. Te quiero mariposa te miro rosa te miro rosa te quiero amor. Traversate le colline e il ponte sul confine, good-bye Indiana train. Terra rossa sulla faccia che non dico che mi piaccia ma oggi piangerei. Scende il sole dalle rocce città nessuna traccia good-bye Indiana train. C'è una lunga canzone go lunga canzone che attraversa la notte. Yo te quiero, te quiero mi querida, mi hermosa, mi alma yo te quiero, te quiero te quiro aquì. 260 Il canto dei mestieri (Macramè, 1996) Guardami bene diritto negli occhi che il mio mestiere non è il soldato guardami bene diritto negli occhi che il mio mestiere non è né di spada né di cannone quello che ero io l’ho scordato se fosse spada se fosse cannone il mio mestiere saprei qual’è. Adesso guardami le mani ti sembrano mani da padrone? coraggio e toccami le mai che la mia vita non è né col denaro né col potere oppure l’avrò dimenticato se fosse denaro e ci fosse ragione il mio cammino saprei qual'è ma il mio mestiere non è. Guarda la punta delle mie scarpe quello che faccio non è la spia né informatore né polizia che il mio mestiere non è di sicuro non è. Quello che faccio è cercare il tuo amore fino nel cuore delle montagne quello che ho fatto è scordare il tuo amore sotto il peso delle montagne. Quello che faccio è cercare il tuo amore fino nel cuore delle montagne quello che ho fatto è scordare il tuo amore sotto il peso delle montagne. Guarda i vestiti che porto addosso non sono quello di un sacerdote per i vestiti che porto addosso il mio mestiere non è né rosario né estrema unzione quello che ero io l’ho scordato se fosse rosario se fosse olio santo il mio mestiere saprei qual’è. 261 E vedi che il bianco fra i miei capelli non porta al titolo di dottore e la sveltezza delle mie dita la mia vita non è né di taglio né di dolore né di carne ricucita né di taglio né di dolore anche questo non è il mio mestiere non è. Il mio mestiere fu cercare il tuo amore fino nel fuoco delle montagne il mio destino scordare il tuo amore sotto il peso delle montagne Il mio mestiere fu cercare il tuo amore fino nel fuoco delle montagne il mio destino scordare ogni amore sotto il peso delle montagne. Guardami bene diritto negli occhi ti sembrano gli occhi di un soldato? leggimi bene in fondo negli occhi che la mia vita non è il mio mestiere non è. 262 Invisibile (La disciplina della terra, 2000) Invisibile il vertice puro dell’allegria invisibile il pianoforte del dio silenzio invisibile. Invisibile ogni buon maestro che si fa invisibile l’atto e la parola né sciabola né bastone invisibile. Invisibile una pace anche piccola un caso d'amore un popolo che sia capace di ricostruire il silenzio dalla simulazione di un sogno invisibile. E l’invisibile limpidità la misura del tempo la grande arte è un mestiere piccolo invisibile. Invisibile l’amore nelle sue versioni invisibile la luna tutta il sangue senza rivali la rosa nuova nel giardino la cometa d’oro nel cielo stellato invisibile un camion di angeli santeria e santità l’ambizione muta del compositore invisibile. Io sto sempre lontano da ciò che amo io sto invisibile come un ordine superiore il mio disegno natale. È la strategia miserabile del cacciatore che si fa invisibile. 263 Italiani d’Argentina (Discanto, 1990) Ecco, ci siamo ci sentite da lì? in questo sfondo infinito siamo le ombre impressioniste eppure noi qui guidiamo macchine italiane e vino e sigarette abbiamo e amori tanti. Trasmettiamo da una casa d’Argentina illuminata nella notte che fa la distanza atlantica la memoria più vicina e nessuna fotografia ci basterà. Abbiamo l’aria di italiani d’Argentina oramai certa come il tempo che farà con che scarpe attraverseremo queste domeniche mattina e che voglie tante che stipendi stani che non tengono mai. Ah, eppure è vita ma ci sentite da lì? in questi alberghi immensi siamo file di denti al sole ma ci piace, sì ricordarvi in italiano mentre ci dondoliamo mentre vi trasmettiamo. Trasmettiamo da una casa d’Argentina con l'espressione radiofonica di chi sa che la distanza è grande la memoria cattiva e vicina e nessun tango mai più ci piacerà. Abbiamo l’aria di italiani d’Argentina ormai certa come il tempo che farà 264 e abbiamo piste infinite negli aeroporti d’Argentina lasciami la mano che si va. Ahi, quantomar quantomar per l’Argentina. La distanza è atlantica la memoria cattiva e vicina e nessun tango mai più ci piacerà Ahi, quantomar Ecco, ci siamo ci sentite da lì? ma ci sentite da lì? 265 L’amante (Macramè, 1996) Arido sono amante amato il viso non l’ho più, m’è cascato una fulgida notte di Casino ho costole divaricate disossate sono tutte corde della mia arpa cupi tamburi battono le reni Ho acqua agli occhi benedetto iddio e fremiti alle dita ho muscoli da uomo e muscoli da cane ho corda al collo anima mia e trappole alla vita ho pensieri da uomo e pensieri da cane specialmente da cane Lupo mi sono fatto invece così ebbi salvo il pasto tradito il mio destino che niente era garantito se non che il tempo e chi lo serve ha bocca più grande e feroce della mia povera bestia cattiva non abbastanza cattiva Caro amore io t’ho visto arrivare fra le gambe delle donne arroventare come il metallo nero di un motore Caro amore io t’ho visto arrivare fra le gambe delle donne arroventare come il metallo nero di un motore Mi sono sentito mancare e tossire e t'ho sorpreso a cercarmi e ritornare Dio, se t’ho sentito frusciare strisciare e rovesciare 266 io t’ho guardato abbatterti e salire abbatterti e salire e accenderti finalmente come le luci di un ponte in mezzo all’estate in mezzo all’estate Arido sono e dimenticato amante amato Caro amore io t’ho visto arrivare fra le gambe delle donne arroventare come il metallo nero di un motore Caro amore io t’ho visto arrivare le gambe delle donne arroventare come il metallo nero di un motore Caro amore io t’ho visto arrivare Caro amore io t’ho visto arrivare Caro amore io t’ho visto arrivare Caro amore io t’ho visto arrivare Arido sono e dimenticato amante amato. 267 L’angelo e la pazienza (Macramè, 1996) Con rose di Normandia o con fiori di ferrovia aggancia quel bell’angelo prima che voli via però madre che spavento però madre che tormento sognare nudi e crudi in mezzo a questo via vai che c’è una femmina in Buenos Aires con gli occhi che fan moneta e con l’anima sta inquieta e più lontana che può è un desiderio qui in casa mia tutto bagnato dal dolore e dopo centomila ore non c’è un minuto di più L’amore va consumato va L’amore va accontentato va la voglia e l’innocenza faranno come si può l’amore va trasudato va l’amore va comandato va l’angelo e la pazienza s’accordano come si può Io non ti voglio parlare, parlare ma fra le ginocchia salire Io non ti voglio sfiorare, sfiorare io ti voglio amare Con rose di Normandia o con fiori di gelosia blocca quel tuo angelo prima che corra via L’amore va consumato va l’amore raccomandato va la voglia e l’innocenza faranno come si può l’amore va rispettato va l’amore va rammendato va l’angelo e la pazienza 268 s’accordano come si può Io non ti voglio parlare, parlare ma fra le ginocchia salire Io non ti voglio sfiorare, sfiorare io ti voglio amare C’è un trionfo di stendardi dove termina il dolore e dopo centomila ore non c’è un minuto di più È una strada lastricata, amore dove passa l’innocenza e dopo noi che siamo senza poi l’angelo senza di noi. La Madonna nera (Lindbergh, 1992) Io penso a me che fra andata e ritorno tutto il santo giorno un’ora per mangiare un’ora per dormire ben poco ti potrò vedere poi penso a te piegata sulla scrivania con davanti una rosa che sarà la mia sciupata mia. Alla festa del dieci luglio che era quasi sera la Madonna Nera s’impantanò venne l’autorità con la ferrovia tutta la sacrestia e venne il coro con la melodia a salvare l’oro e l’argento il marmo e il cemento il bronzo e il paramento e il mantenimento e dall’ingorgo che c’era non si poté andare via 269 che alle dieci di sera quando la Madonna Nera noi spingendo e tirando piangendo e sperando inclinando e strepitando noi si risollevò. Io penso a te inclinata sulla scrivania con davanti la rosa che sarà la mia appassita mia poi penso a me che fra andata e ritorno tutto il santo giorno un’ora per mangiare un’ora per dormire tutti i santi giorni tutto il santo giorno tutti i santi giorni tutto il santo giorno tutti i santi giorni tutto il santo giorno. E così sia. La pianta del tè (La pianta del tè, 1988) Come cambia le cose la luce della luna come cambia i colori qui la luce della luna come ci rende solitari e ci tocca come ci impastano la bocca queste piste di polvere per vent’anni o per cento e come cambia poco una sola voce nel coro del vento ci si inginocchia su questo sagrato immenso dell’altipiano barocco d'oriente per orizzonte stelle basse per orizzonte stelle basse oppure niente. 270 E non è rosa che cerchiamo non è rosa e non è rosa o denaro, non è rosa e non è amore o fortuna non è amore che la fortuna è appesa al cielo e non è amore Chi si guarda nel cuore sa bene quello che vuole e prende quello che c’è Ha ben piccole foglie ha ben piccole foglie ha ben piccole foglie la pianta del tè. La rondine (La disciplina della terra, 2000) Soldato entra in stanza in stanza di quella signora ch’era distesa sul letto e che dormiva sola e che dormiva sola. Soldato le dà un bacio e lei non ha sentito soldato ne dà un altro ahimè che son tradito ahimè che son tradito. Se tu sarai tradito sarai lo sposo mio padrone del mio campo e della vita mia e della vita mia. Rondine rondinetta sei stata traditora cantavi quella notte e non era la tua ora e non era la tua ora. 271 La scala dei santi (Macramè, 1996) Se vuoi sentimento io ho sentimento e carne per la carne e tempo per il tempo ho la mano leggera come l’ombra che dà un’ultima pettinata alla vita la vita che sfolgora e distrugge non mi trova da nessuna parte se non fra i giacinti romani dove ho la mia tana segreta e nessuna spada straniera sale per la scala dei santi vivo di amore volontario della mia vita che cola via col cuore storto per oltraggio da umanissimo amore da normalissimo amore umanissimo amore soluzione dei misteri dei dolenti soluzione di ogni disperanza per occasione d’amore perduta se vuoi sentimento io ho sentimento e carne per la carne e tempo per il tempo. Notturno delle tre (Lindbergh, 1992) La ragazza lo sa come non farmi dormire la ragazza lo sa e lo sapeva già bene ancora prima di uscire lei cammina dondolando e non ancora al portone sperimentava su me il passo poco innocente di chi innocente non è. 272 La ragazza ci lascia qui nella casa deserta senza luci, né candele e una persiana che rimane aperta tutta la gente non sa dietro quale segreto dietro quale divieto si perde una notte così tutta la gente non sa dietro quale dolore se dolore c’è quando son quasi le tre. La ragazza invece lo sa lei che cammina dondolando sulla strada di casa in qualche vetrina buia si starà specchiando e passerà un lampione, un muro, un ponte, un bar poi passerà anche me e senza quasi dolore per tutti e due passeranno le tre e passerà un automobile un’ombra e un tram poi passerà anche me e senza quasi dolore anche questa notte passeranno le tre. La ragazza lo sa come non farmi dormire la ragazza lo sa e lo sapeva già bene ancora prima di uscire lei cammina dondolando e non ancora la portone sperimentava su me il passo poco innocente di chi innocente (per fortuna) non è. 273 Panama (Panama e dintorni, 1981) Di andare ai cocktails con la pistola non ne posso più piña colada o coca cola non ne posso più Di trafficanti e rifugiati ne ho già piena la vita oh maledetta traversata non sarà mai finita, ma vedete a nove nodi appena si è un punto fermo nel mare che sa di nafta e lo nasconde con l’odore del tè e dell’erba da fumare. Oh mamaçita Panama dov’è ora che stiamo in mare sull'orizzonte ottico non c'è si dovrà pur vedere signori ancora del tè fra breve il porto di attracco darà segno di sé. Quando a Londra il comando di questa galera mi sembrò un affare un comandante per quanto giovane dovrebbe stare in mare La compagnia non fece storie no no no e lo credo bene portare esplosivo ai fuoriusciti mica a tutti conviene. Oh mamaçita Panama dov’è ora che stiamo in mare sull'orizzonte ottico non c'è si dovrà pur vedere signori ancora del tè fra breve il porto di attracco darà segno di sé. Della francese che si sente sola non ne posso più 274 sta a proravia di un cameriere che invece guarda giù con l’ambasciata portoricana è al quinto mambo stasera chissà le facce sapessero di agitarsi su una polveriera. Di andare ai cocktails con la pistola non ne posso più piña colada o coca cola non ne posso più Oh mamaçita Panama dov’è ora che stiamo in mare sull'orizzonte ottico non c'è si dovrà pur vedere signori un ultimo tè il nostro porto di attracco non dà segno di sé. Prinçesa (Fossati - De André) (Fabrizio De Andrè, Anime salve, 1996) Sono la pecora sono la vacca che agli animali si vuol giocare sono la femmina camicia aperta piccole tette da succhiare. Sotto le ciglia di questi alberi nel chiaroscuro dove son nato che l’orizzonte prima del cielo ero lo sguardo di mia madre. “Che Fernandino è come una figlia mi porta a letto caffè e tapioca e a ricordargli che è nato maschio sarà l'istinto sarà la vita”. E io davanti allo specchio grande mi paro gli occhi con le dita a immaginarmi tra le gambe una minuscola fica nel dormiveglia della corriera lascio l’infanzia contadina corro all”incanto dei desideri vado a correggere la fortuna 275 nella cucina della pensione mescolo i sogni con gli ormoni ad albeggiare sarà magia saranno seni miracolosi perché Fernanda è proprio una figlia come una figlia vuol far l'amore ma Fernandino resiste e vomita e si contorce dal dolore e allora il bisturi per seni e fianchi in una vertigine di anestesia finché il mio corpo mi rassomigli sul lungomare di Bahia sorriso tenero di verdefoglia dai suoi capelli sfilo le dita quando le macchine puntano i fari sul palcoscenico della mia vita dove tra ingorghi di desideri alle mie natiche un maschio s’appende nella mia carne tra le mie labbra un uomo scivola l’altro si arrende che Fernandino mi è morto in grembo Fernanda è una bambola di seta sono le braci di un’unica stella che squilla di luce di nome Princesa a un avvocato di Milano ora Princesa regala il cuore e un passeggiare recidivo nella penombra di un balcone. O matu (la campagna) o cèu (il cielo) a senda (il sentiero) a escola (la scuola) a igreja (la chiesa) a desonra (la vergogna) a saia (la gonna) o esmalte (lo smalto) o espelho (lo specchio) o baton (il rossetto) o medo (la paura) a rua (la strada) a bombadeira (la modellatrice) a vertigem (la vertigine) o encanto (l'incantesimo) a magia (la magia) os carros (le macchine) 276 a policia (la polizia a canseira (la stanchezza) o brio (la dignità) o noivo (il fidanzato) o capanga (lo sgherro) o fidalgo (il gransignore) o porcalhao (lo sporcaccione) o azar (la sfortuna) a bebedeira (la sbronza) as pancadas (le botte) os carinhos (le carezze) a falta (il fallimento) o nojo (lo schifo) a formusura (la bellezza) viver (vivere). Tico Palabra (Le città di frontiera, 1983) Tico Palabra, non è una fotografia è un guerrigliero per qualcosa che va via un capitolo da scordare di quest'antologia. Tico Palabra, non ha niente da inseguire questa notte gira per la capitale con le ossa rotte dal vino e dall'amore. Però ha fortuna è un antico volatore un venditore nella luce della sera si distingue appena se si confonde bene. La stessa fortuna, amore dietro le persiane chiuse ha quella luna niente da sapere, niente niente questa notte nemmeno da cantare. E Tico Palabra, gratterà via 277 dal portone quella luna noi non sentiremo e lui continuerà da solo così com'è abituato. Tico Palabra, non è una malinconia è un guerrigliero per qualcosa che va via un capitolo "fratello" di questa vita tua e mia. Unica rosa (Discanto, 1990) Rosa, Rosa di una rosa Rosa torturata Rosa amata Rosa, Rosa ballerina Rosa bambina. Rosa, Fiore cantato Voce sottile Stella Meridiana Rosa, Rosa colombina Rosa che s’inchina. Rosa temuta Rosa violata Ombra immaginata Rosa, Sola Rosa pettinata. Profumo Quando c’è del buono Campana nel mare Rosa, Rosa, Rosa carezzata Povera e ingannata. 278 Sorriso e perdono Rosa respirata Lontano. Mio peso Mia fortuna Rosa che è arrivata Rosa, Barca avvistata Linea di una costa Conosciuta Rosa, Acqua che ne piove Su una sola rosa. Rosa, Piega dolorosa Unica rosa. 279 c. TESTI DELLE CANZONI LATINO-AMERICANE TRADOTTE E/O CANTATE DA FOSSATI Besame mucho (Consuelo Velasquez)560 Besame, / besame mucho, / como si fuera esta noche, / la ultima vez / besame, / besame mucho, / que tengo miedo perderte, / perderte despues… / Besame, / besame mucho, / como si fuera esta noche, / la ultima vez / besame, / besame mucho, / que tengo miedo perderte, / perderte despues… / quiero sentirte muy cerca, / mirarme en tus ojos, / verte junto a mi / piensa que tal vez mañana, / yo estare lejos, / muy lejos de ti… / Besame, / besame mucho, / como si fuera esta noche, / la ultima vez / besame, besame mucho, / que tengo miedo perderte, / perderte despues… Jazz (Fossati-Djavan) (Loredana Berté, Jazz, 1983) Padre, madre oro e miniera cuore aperto strada e frontiera quanto andare poco normale jazz ci vorrà il suo nome per poter parlare ancora pura bellezza art nouveau naturalezza la nostra vita non costruzione jazz questo senso del futuro irrimediabilmente con noi la pressione sulle ali ci tiene in aria. Ma quest’anno stelle del mare come sarà ci vuole più forza e chissà se verrà barca o rondine 560 La versione di Fossati è solo strumentale (Not One Word, 2001). 280 a curarci accanto al sogno da dentro il cuore nell’anima o da dove sarà. Ma quest’anno stelle del mare come sarà ci vuole più forza e chissà se verrà barca o rondine a curarci accanto al sogno da dentro il cuore nell’anima o da dove sarà. Sina (Djavan) Pai e mãe / Ouro de mina / Coraçao / Desejo e sina / Tudo o mais / Pura rotina: “jazz” / Tocarei seu nome / Pre poder falar de amor / Minha princesa / Art-noveau / Da natureza / Tudo o mais / Pura beleza: “jazz” / A luz de um grande prazer / È irrimediável: / Neon / Quando o grido do prazer / Açoitar o ar: reveillon… / O luar, / Estrela do mar, / O sol e o dom / Quiçá / Um dia, a fúria / Desse front / Virá lapidar o sonho / Até gerar o som / como querer / Caetanear / O que há de bom 281 La pioggia di marzo (Fossati-Calabrese -Jobim) (Buontempo, 1993) È ma è forse è è quando tu voli rimbalzo dell’eco è stare da soli è conchiglia di vetro è la luna e i falo è ll sognio e la morte è credere o no margherita di campo è la riva lontana è Artù ,ahi, è la fata Morgana è folata di vento onda dell’altalena un mistero profondo una piccola pena tramontana dai monti domenica sera è il contro e il pro è voglia di primavera è la pioggia che scende è vigilia di fiera è l’acqua di marzo è c’era o non c’era è si è no è il mondo com’era è madamadorè burrasca passeggera è una rondine a nord una cicogna e una gru un torrente, una fonte, una briciola in più è il fondo del pozzo una nave che parte un viso col broncio perché stava in disparte è vero è credo è una conta e un racconto una goccia che stilla un incanto e un incontro è l’ombra di un gesto è qualcosa che brilla il mattino che è qui è la sveglia che trilla 282 è la legna sul fuoco è il pane e la piaga la caraffa di vino il vivavai dalla strada è un progetto di casa uno scialle di lana un incanto cantato è un altana è un’altana è la pioggia di marzo è quello che è la speranza di vita che porti con te. Águas de março (Antonio Carlos Jobim) É pau, é pedra, é o fim do caminho / É o resto de toco, é um pouco sozinho / É um caco de vidro, é a vida, é o sol / É a noite, é a morte, é o laço, é o anzol / É peroba do campo, é o nó da madeira / Caingá, candeia, é matita-pereira / É madeira de vento, tombo da ribanceira / É o mistério profundo, é o queira ou não queira / É um vento ventando, é o fim da ladeira / É a viga, é o vão, festa da cumeeira / É a chuva chovendo, é conversa ribeira / Das águas de março, é o fim da canseira / É o pé é o chão, é a marcha estradeira / Passarinho na mão, pedra de atiradeira / É uma ave no céu, é uma ave no chão / É um regato, é uma fonte, é um pedaço de pão / É o fundo do poço, é o fim do caminho / No rosto o desgosto, é um pouco sozinho / É um estrepe, é um prego, é uma ponta, é um ponto / É um pingo pingando / È uma conta, é um conto / É um peixe, é um gesto, é uma prata brilhando / É a luz da manhã, é o tijolo chegando / É a lenha, é o dia, é o fim da picada / É a garrafa de cana, o estilhaço na estrada / É o projeto da casa, é o corpo na cama / É o carro enguiçado, é a lama, é a lama / É um passo, é uma ponte, é um sapo, é uma rã / É um resto de mato, na luz da manhã / São as águas de março fechando o verão / É a promessa de vida no teu coração / É uma cobra, um pau, é João, é José / É um espinho na mão, é um corte no pé / São as águas de março fechando o verão / É a promessa de vida no teu coração / É um passo, uma ponte / É um sapo, é uma rã / É um Belo Horizonte / É uma febre terçã / São as águas de março fechando o verão / É a promessa da vida no teu coração. Oh, che sarà (Fossati-Buarque) (Fiorella Mannoia, Di terra e di vento, 1999) Oh, che sarà, che sarà che vanno sospirando nelle alcove che vanno sussurrando in versi e strofe che vanno combinando in fondo al buio che gira nelle teste, nelle parole che accende le candele nelle processioni che va parlando forte nei portoni 283 e grida nei mercati che con certezza sta nella natura nella bellezza quel che non ha ragione nè mai ce l'avrà quel che non ha rimedio nè mai ce l'avrà quel che non ha misura. Oh, che sarà, che sarà che vive nell’idea di questi amanti che cantano i poeti più deliranti che giurano i profeti ubriacati che sta sul cammino dei mutilati e nella fantasia degli infelici che sta nel dai-e-dai delle meretrici nel piano derelitto dei banditi. Oh, che sarà, che sarà quel che non ha decenza nè mai ce l’avrà quel che non ha censura nè mai ce l’avrà quel che non ha ragione. Ah che sarà, che sarà che tutti i loro avvisi non potranno evitare che tutte le risate andranno a sfidare che tutte le campane andranno a cantare e tutti gli inni insieme a consacrare e tutti i figli insieme a purificare e i nostri destini ad incontrare persino il Padreterno da così lontano guardando quell'inferno dovrà benedire quel che non ha governo nè mai ce l’avrà quel che non ha vergogna nè mai ce l’avrà quel che non ha giudizio. O que será (À flor da Terra) (Chico Buarque de Hollanda) O que será que será / Que andam suspirando pelas alcovas / Que andam sussurrando em versos e trovas / Que andam combinando no breu das tocas / Que anda nas cabeças, andas nas bocas / Que andam acendendo velas nos becos / Que estão falando alto pelos botecos / E gritam nos mercados / Que com certesa está na natureza / será que será / O que não tem certeza, nem nunca terá / O que não tem conserto, nem nunca terá / O que não tem tamanho / O que será que será / Que vive nas idéias desses amantes / Que 284 cantam os poetas mais delirantes / Que juram os profetas embriagados / Está na romaria dos mutilados / Está na fantasia dos infelizes / Está no dia-a-dia das meretrisez / No planos dos bandidos, dos desvalidos / Em todos os sentidos / será que será / O que não tem decência, nem nunca terá / O que não tem censura, nem nunca terá / O que nao vai sentido / O que será que será / Que todos os avisos não vão evitar / Porque todos os risos vão desafiar / Porque todos os sinos irão repicar / Porque todos os hinos irão consagrar / E todos os meninos vão evitar / E todos os destinos irão se encontrar / E mesmo o padre eterno, que nunca foi lá / Olhando aquele inferno vai abençoar / O que nunca tem governo, nem nunca terá / O que não tem vergonha, nem nunca terá / O que não tem juizo. 285 Petala (Fossati-Djavan) (Loredana Bertè, Savoirfaire, 1984) Forse amore è luce che tiene in seno la ricchezza del suo proprio destino chiarezza del giudizio e petalo di stella che cadendo ci lascia guardare. Oh mio amore che prendi più del sacrificio fatto insieme per vivere quanto più io vedo e vedo e vedo in me molto più io vivo col gusto di te. Per essere amato l’amore in sé non basta per essere incantato l’amore si rivela e l’amore invade e finisce. Per essere amato l’amore insieme passa per essere incantato l’amore si rivela e l’amore invade e finisce per essere amato per essere incantato l’amore invade e finisce. Pétala (Djavan) O seu amor / Reluz / Que nem riqueza / Asa do meu destino / Clareza do tino / Pétala / De estrela caindo / Bem devagar / Ó meu amor / Viver / È todo sacrifício / Feito am seu nome / Quanto mais desejo / Um beijo seu / Muito mais eu vejo / Gosto am viver, viver / Por ser exato / O amor não cabe em si / Por ser encantado / O amor revela-se / Por ser amor / Invade / E fim. Piccola serenata diurna (Fossati-Rodriguez) (Fiorella Mannoia, I treni a vapore, 1992) Vivo come si vive in un paese libero e in questa terra in questo istante sono felice mi sento grande. Ho un amore sincero che amo e che mi ama e mi chiede poco ma così poco che non è uguale o forse sì. E se non basta ancora ho le canzoni che a poco a poco disfo e rifaccio abitando il tempo 286 come conviene ad un uomo attento. Sono felice, sono così felice da chiedere perdono per questo giorno della mia felicità. Sono felice, sono così felice e chiedo che mi perdoni chi ha pagato per la mia felicità. Sono felice, sono così felice da chiedere perdono per questo giorno della mia felicità. Sono felice, sono così felice e chiedo che mi perdoni chi ha pagato per la mia felicità. Pequeña serenata diurna (Silvio Rodriguez) Vivo en un país libre, / cual solamente / puede ser libre / en esta tierra / en este istante, / y soy feliz / porque soy gigante. / Amo una mujer clara / Que amo y me ama / Sin perdir nada / O casi nada, / que no es lo mismo / pero es igual. / / Y si esto fuera poco, / tengo mis cantos / que poco a poco / muelo y rehago, / habitando el tiempo, / como la cuadra a un hombre despierto. / Soy feliz / soy un hombre / feliz, y quiero / que me perdonen / por este día / los muertos / de mi felicidad. 287 d. DISCOGRAFIA DOLCE ACQUA (Fonit 1971) Con i Delirium: Ivano Fossati, Marcello Reale, Peppino Di Santo, Ettore Vigo, Mimmo Di Martino. Preludio (paura) (Fossati-Magenta) Movimento I(egoismo) (Fossati-Magenta) Movimento II (dubbio) (Fossati-Magenta) To satchmo, bird and other unforgettable friends (dolore) (Magenta) Sequenza I & II (ipocrisia – verità) (Magenta) Johnnie Sayre (perdono) (Fossati-Magenta) Favola o storia del lago di Kriss (libertà) (Fossati-Magenta) Dolce acqua (speranza) (Fossati-Magenta) Jesahel (Fossati-Prudente) IL GRANDE MARE CHE AVREMMO ATTRAVERSATO (Cetra 1973) Testi e musiche di Ivano Alberto Fossati tranne: La realtà e il resto testo di Ivano Alberto Fossati musica di Mauro Culotta; Il pozzo e il pendolo testo di Ivano Alberto Fossati ispirato al racconto di E.A.Poe, musica di Ivano Alberto Fossati. Registrazioni effettuate negli studi Fonit-Cetra di Milano. Musicisti: Ivano Alberto Fossati, Mauro Culotta, Andrea Sacchi, Luigi Cappellotto, Clandio Farinatti ,Beppe Moraschi, Pippo Colucci, Amleto Zanca, Giorgio Azzolini, intterventi vocali di Paola Orlandi & Wanda Radicchi. Il grande mare che avremmo traversato Jangada All’ultimo amico Canto nuovo Il pozzo e il pendolo Vento caldo Da Recife a Fortaleza La realtà e il resto (Fossati-Culotta) Riflessioni in un giorno di luce nera Il grande mare che avremmo traversato (parte seconda e finale) POCO PRIMA DELL’AURORA (Cetra/ Numero Uno 1973) Prodotto e arrangiato da Ivano Alberto Fossati e Oscar Prudente. Testi e musiche di Ivano Fossati e Oscar Prudente tranne Tema del lupo e Gil testi e musiche di Ivano Alberto Fossati; Apri le braccia di Celano-Prudente. Registrazioni effettuate presso lo studio Fonorama di Milano. Musicisti: Ivano Alberto Fossati, Oscar Prudente, Guido Guglielmetti, Gianni Dall'Aglio, Franco Pacchierotti, Reginaldo Ettore, Claudio Pascoli 288 E’l’aurora (Fossati-Prudente) Prendi fiato e poi vai (Fossati-Prudente) Ehi amico (Fossati-Prudente) Dieci Km dalla città (Fossati-Prudente) L’Africa (Fossati-Prudente) Tema del lupo (voglia di aspettare) Lo stregone(voglia di sapere) (Fossati-Prudente) Apri le braccia (voglia di amare) (Celano-Prudente) Gil (voglia di terra) GOOD-BYE INDIANA (Cetra 1975) Interamente prodotto, arrangiato e suonato da Ivano Fossati. Testi e musiche di Ivano Fossati tranne: Where is paradise e Harvest moon (Marrow - I. Fossati); Good-bye Indiana (I. Fossati - O. Prudente). Il grano e la luna Where is paradise (Marrow-Fossati) Azteca I treni fantasma Storie per farmi amare Harvest moon (Marrow-Fossati) Good-bye Indiana (Fossati-Prudente) LA CASA DEL SERPENTE (Rca 1977) Parole e musiche di Ivano Fossati. Arrangiamenti e realizzazione di Antonio Coggio. Mia Martini voce femminile in Anna di primavera. Musicisti: Ivano Fossati, Euro Cristiani, Antonio Coggio, Guido Guglielminetti, Sandro Centofanti, Luciano Ciccaglioni, Mike Fraser, Gianni Oddi,Goran Tavcar,Roberto Zanaboni. Stasera io qui Matto Non ti riconosco più Manila’23 La casa del serpente Anna di primavera Non può morire un’idea La vedette non c’e’ LA MIA BANDA SUONA IL ROCK (Rca 1979) Testi e musiche di Ivano Fossati. Produzione: Giacomo Tosti. Registrato ai “Criteria Recording Studios”, Miami, Florida(luglio/agosto1979). 289 Musicisti: Ivano Fossati (chitarra elettrica, flauto, minimoog, vocoder, marimba, piano Fender, cori nel brano Vola), George Terry (chitarra elettrica ed acustica), George “Chocolate” Perry (basso), Scott Kirkpatrick (batteria), Paul Harris (pianoforte e organo Hammond), Tim Devine (Prophet synthesizer), Christopher Colclesser (alto sax, oboe), Nelson “Flaco” Padron (percussioni), Mike Lewis (sezione d’archi), Rhodes/Chalmers/Rhodes (cori). La mia banda suona il rock Di tanto amore Limonata e zanzare Vola Passa il corvo Dedicato E di nuovo cambio casa La crisi Il cane d’argento PANAMA E DINTORNI (Rca 1981) Testi e musiche di Ivano Fossati. Produzione: Al Garrison. Arrangiamenti: Steve Robbins. Registrazione effettuata al “Mammouth Studio” di Roma (Luglio-AgostoSettembre 1980). Musicisti: Ivano Fossati (chitarra elettrica-acustica-classica, flauto), Leo Adamian (batteria, percussioni), Francisco Centeno (basso), Steve Andrew Love (chitarra elettrica ed acustica), Steve Robbins (pianoforte, piano elettrico, sintetizzatori, clavinet, vocoder), Roberto Zanaboni (sintetizzatore), Antonio Marangolo (saxofoni contralto e tenore), Carlo Pennisi (chitarra acustica). Panama La costruzione di un amore J’adore Venise Boxe La signora cantava il blues Stazione Questa guerra come va? Se ti dicessi che ti amo LE CITTA’ DI FRONTIERA (Cbs 1983) Prodotto e realizzato da Ivano Fossati. Registrato da Alan Douglas. Testi e musiche di Ivano Fossati . Dedicato a Randy Newman 290 La musica che gira intorno Milano Traslocando Ma che sarà questa canzone Amore degli occhi I ragazzi cattivi Quante estati , quanti inverni Un milione di città Tico Palabra Cow Boys VENTILAZIONE (Cbs 1984) Prodotto da Ivano Fossati. Registrazione e mixaggio: Alan Douglas Testi e musiche di Ivano Fossati tranne: La locomotiva (The rail song) di I. Fossati e A. Belew; Boogie di P. Conte. Registrato allo studio Umbi-Maison Blanche di Modena Luglio/Agosto 1984. Musicisti: Ivano Fossati, Gilberto Martellieri, Elio Rivagli, Guido Guglielminetti, Phil Palmer, Bernardo Lanzetti, Flavio Boltro, Marco Colombo. Introduzione Ventilazione Viaggiatori d’Occidente Il pilota La Locomotiva (The Rail Song) (Fossati-Belew) Boogie (Paolo Conte) Fuga da sud est Le grandi destinazioni Parlare con gli occhi Buona notte, dolce notte 700 GIORNI (Cbs 1986) Prodotto da Allan Goldberg. Testi e musiche di Ivano Fossati. I brani: Il passaggio dei partigiani, Una notte in Italia, La casa e Non è facile danzare sono registrati su 48 piste. Per la registrazione di alcuni strumenti sono state usate diverse stanze e il cortile interno del Castello di Carimate. La costruzione ritmica di alcune canzoni è stata ispirata da certa musica popolare sudafricana contemporanea. Altri andamenti ritmici ed armonici sono invece liberamente ispirati a tradizioni musicali europee. Musicisti: Ivano Fossati (Roland syntguitar, chitarra elettrica ed acustica, flauto, tastiere), Gilberto Martellieri (tastiere), Elio Rivagli (batteria, percussioni, ritmiche digitali), Guido Guglielminetti (basso), Silvio Puzzolu (chitarra elettrica ed acustica), Claudio Pascoli (saxofoni), “Jim” (tromba), Domenico De Maria (chitarra elettrica in Buontempo), Aldo Banfi (programmazione Synclavier), Stefano Melone (programmazione Emulator). 291 Buontempo Dieci soldati Gli amanti d’Irlanda Il passaggio dei partigiani Una Notte In Italia La casa Non è facile danzare (L’uomo da solo) Giramore LA PIANTA DEL TE’ (Cbs 1988) Prodotto da Allan Goldberg. Testi e musiche di Ivano Fossati. Lavorazione effettuata tra il 21 settembre ’87 e il 10 gennaio ’88. Musicisti: Ivano Fossati, Uña Ramos, Beppe Quirici, Elio Rivagli, Gilberto Martellieri, Vincenzo Zitello, Fabrizio De Andrè, Francesco De Gregori, Teresa De Sio La pianta del tè Terra dove andare L’uomo coi capelli da ragazzo La volpe La pianta del tè (parte seconda) Questi posti davanti al mare Le signore del ponte-lance Chi guarda Genova La costruzione di un amore Caffè lontano DISCANTO (Cbs 1990) Prodotto da Allan Goldberg. Testi e musiche di Ivano Fossati (Edizioni Musicali “Il Volatore”) tranne Confessione di Alonso Chisciano e Lunario di settembre (Testi di Ivano Fossati e Anna Lamberti Bocconi). Registrazione effettuata durante i mesi di marzo, aprile, maggio 1990. Piumetta è cantata da Ivano Fossati e Fiorella Mannoia. Lunario di settembre è una libera trasposizione degli atti del ‘Preocesso di Nogaredo’(1647). Il dialogo tra l’inquisitore e una delle imputate è un adattamento della poesia “Alla luna” di Anna Lamberti Bocconi. Lo svolgimento ritmico di Passalento è sviluppato intorno al ticchettio di un orologio da polso. Quello di “Piumetta” sul suono di alcuni passi di danza eseguiti su pavimento in legno. Musicisti: Mario Arcari (oboe), Stefano Melone (tastiere), Elio Rivagli (batteria, percussioni), Beppe Quirici (bassi elettrici e contrabasso), Ivano Fossati (chitarra classica ed elettrica, chitarra breguesa (chitarra portoghese a cinque corde doppie), pianoforte), Vincenzo Zitello (arpa), Federico Senese (darabuka, tamburo usato in Medio Oriente e Nordafrica). Voci: Fiorella Mannoia e Lalla Franca. Cori: Gruppo polifonico Ars Antiqua. Lusitania 292 Discanto Piumetta Lunario di settembre ( Il processo di Nogaredo) (Fossati-Lamberti Bocconi) Italiani d’Argentina Passalento Confessioni di Alonso Chisciano (Fossati- Lamberti bocconi) Unica rosa Albertina LINDBERGH – LETTERE DA SOPRA LA PIOGGIA (Epic 1992) Prodotto da Beppe Quirici e Ivano Fossati. Testi e musiche di Ivano Fossati (Edizioni Musicali “Il Volatore”) tranne Il disertore di B. Vian, traduzione G. Calabrese (Edizioni Beuscher). Decollati il 18 novembre 1991 atterrati di nuovo sani e salvi il 5 marzo 1992. Musicisti: Mario Arcari (oboe), Maria Caruso (interventi vocali), Armando Corsi (chitarra classica), Claudio Fossati (batteria, percussioni), Ivano Fossati (chitarra acustica e classica, inserti sonori, pianoforte, ocarina messicana, tastiere), Trilok Gurtu (batteria, effetti sonori, tabla, percussioni), Stefano Melone (archi elettronici, tastiere, programmazione), Beppe Quirici (basso, contrabbasso), Elio Rivagli (batteria, rullante tamburello), Vincenzo Zitello (arpa celtica, tin whistle). La canzone popolare La barca di legno di rosa (Un gran mare di gente) Sigonella La Madonna nera Il disertore (Calabrese-Boris Vian) Mio fratello che guardi il mondo Notturno delle tre Poca voglia di fare il soldato Ci sarà (Vita controvento) Lindbergh IVANO FOSSATI DAL VIVO VOLUME I – BUONTEMPO (Epic 1993, dal vivo) Dal vivo I e II: Prodotti da Beppe Quirici. Testi e musiche di Ivano Fossati. “Le registrazioni contenute in questi album non sono state sottoposte a rielaborazioni posteriori ma sono la fedele testimonianza, nel bene e nel male, di ciò che le nostre forze ci hanno consentito di fronte al pubblico del Teatro Amilcare Ponchielli, nella città di Cremona, le sere del 2 e 4 marzo 1993.” I “compagni di viaggio” della tournee che ha dato alla luce i due album “Dal Vivo” sono: Ivano Fossati(voce, chitarra, pianoforte), Beppe Quirici(contrabbasso e bassi elettronici), Elio Rivagli(batteria e percussioni), Armando Corsi(chitarra acustica), Vincenzo Zitello(arpa, tin whistle), Mario Arcari(strumenti a fiato), Stefano Melone(pianoforte e tastiere). 293 Terra dove andare La pianta del té Una notte in Italia Buontempo I treni a vapore Mio fratello che guardi il mondo Vola Sonatina Naviganti Panama La pioggia di marzo Questi posti davanti al mare Amore degli occhi IVANO FOSSATI DAL VIVO VOLUME II – CARTE DA DECIFRARE (Epic 1993) vedi vol. I Lindbergh Discanto L’uomo coi capelli da ragazzo Italiani d’Argentina J’adore Venise La casa Carte da decifrare La canzone popolare E di nuovo cambio casa La costruzione di un amore La musica che gira intorno La volpe IL TORO (Epic 1994) Produzione musicale: Il Volatore Srl. Realizzazione: Beppe Quirici. Musiche di Ivano Fossati. Naviganti è tratta dall'album “Ivano Fossati dal vivo volume 1 – Buontempo”. Nel brano La neve compare un frammento di funzione liturgica di rito ortodosso. Musicisti: Ivano Fossati (pianoforte, chitarra classica), Stefano Melone (tastiere, archi digitali), Edoardo Lattes (contrabbasso ad arco), Claudio Fossati (batteria, percussioni). A testa bassa Franco e Loris Corinto L’addio a Maria Klanjec Verso la frontiera 294 neve Il toro Naviganti A testa bassa (ripresa per piano solo) MACRAME’ (Columbia / Sony Music 1996) Prodotto da Beppe Quirici. Arrangiato da Beppe Quirici e Stefano Melone. Testi e musiche di Ivano Fossati (Edizioni Musicali “Il Volatore”) tranne Stella benigna e L’abito della sposa di Ivano Fossati-Tony Levin (Edizioni Il Volatore / T-Lev Music). Lavorazione: 22 ottobre 1995 - 29 marzo 1996. Musicisti: Beppe Quirici, Stefano Melone, Mario Arcari, Trilok Gurtu, Riccardo Tesi, Walter Keiser, Tony Levin, Lucio Bardi, Claudio Fossati, Naco, Vocinblù. Macramè: [genov. macramè, dal turco makramà 'fazzoletto'] Trina di fili o cordoncini intrecciati e annodati, per passamani, frange, reticelle (Zingarelli). La vita segreta Il canto dei mestieri L’amante L’abito della sposa L’angelo e la pazienza Labile Bella speranza L’orologio americano Stella benigna La scala dei santi Speakering CANZONI A RACCOLTA –TIME AND SILENCE (Columbia / Sony Music 1998) Edizioni: Il Volatore. Produzione: Beppe Quirici. Musicisti: Ivano Fossati (voce e pianoforte), Nguyen Le (chitarra elettrica), Beppe Quirici (basso), Stefano Melone (tastiere e programmazioni), Claudio Fossati (batteria e percussioni), Naimy Hackett, Antonella Melone, Stefano Melone, Carlo Fava, Vincenzo Zitello (cori). Il talento delle donne La musica che gira intorno Ventilazione Panama (live) Buontempo La pianta del tè Italiani d'Argentina Unica rosa Discanto La canzone popolare 295 Mio fratello che guardi il mondo Notturno delle tre Labile Una notte in Italia (live) “Cow boys” LA DISCIPLINA DELLA TERRA (Sony 2000) Testi e musiche di Ivano Fossati (eccetto La rondine - tradizionale). Prodotto da Beppe Quirici e Ivano Fossati. Musicisti: Ivano Fossati (pianoforte, glass flute, armonia, chitarra classica), Fabrizio Barale (chitarra elettrica), Fabio Martino (fisarmonica), Paolo Archetti Maestri (chitarra elettrica), Walter Keiser (batteria, percussioni), Claudio Fossati (batteria, percussioni), Roberto Gatto (batteria), Louise Hopkins (violoncello), Dario Faiella (chitarra elettrica), Saverio Porciello (chitarre), Pietro Cantarelli (tastiere), Beppe Quirici (chitarra classica, basso), Enrico Rava (tromba, flicorno), Luvi De Andrè (voce), Gianluigi Troversi (sax contralto, clarinetto), Mercedes Martini (voce recitante), Riccardo Tesi (organetto), Edoardo Lattes (contrabbasso, arco), Andrea Cavalieri (basso), Eugenio Merico (percussioni), Gianfranco Lombardi (direttore d'orchestra), London session orchestra, Yo Yo Mundi , Le giaculanti genovesi. La mia giovinezza Treno di ferro La disciplina della terra Invisibile Sono tre mesi che non piove Angelus Iubilaeum Bolero (Ai giubilanti dell’anno duemila) La rondine Il motore del sentimento umano Dancing sopra il mare (Panama, parte seconda e finale) Finale CONCERTO IN VERSI(Il Volatore 2001) Con Elisabetta Pozzi Edito con il libro “Carte da decifrare”. Musicisti: Ivano Fossati (pianoforte), Elisabetta Pozzi (voce recitante), Claudio Fossati (batteri, percussioni), Edoardo Lattes (basso elettrico), Roy Paci (tromba, flicorno), Mario Arcari (oboe, sax soprano, ocarina, flauti, melodica). Presentazione Introduzione per pianoforte solo E così eccomi qua (Testo recitato: T.S.Eliot. Quattro quartetti )- Jam n. 1 Essere o non essere (Testo recitato: W. Shakespeare. Amleto) - Jam n. 2 Vocalese 296 Cow boys Novissimum testamentim (Testo recitato: E. Sanguineti. Senzatitolo) - Jam n. 3 Ferroviario per piano preparato Come se non lo sapessero (Testo recitato: C.Costa. Cose che sono, parole che restano) Poca voglia di fare il soldato - Voci (Testo recitato: P.Levi. Ad ora incerta) Favola dell’indigestione (Testo recitato: A.Giuliani. Il Tautofono) - Jam n. 4 Quintet Nel mio principio è la fine (Testo recitato: T.S.Eliot. Quattro Quartetti) - Jam n. 5 Mi ami? (Testo recitato: R.D.Laing. Mi ami?) - Jam n. 6 Pianoforte solo Mio fratello che guardi il mondo - Finisci allora quest’ultima canzone (Testo recitato: R.Tagore. Il giardiniere) NOT ONE WORD-DOUBLE LIFE (Sony 2001) Musiche di Ivano Fossati eccetto: milos di Claudio Fossati; Besame mucho di Consuelo Velazquez; tango disorientato di Ivano Fossati e Paolo Silvestri. Prodotto da Ivano Fossati. Musicisti: Ivano Fossati (pianoforte, vibrafono, armonium, oscillatori), Martina Marchiori (violoncello), Claudio Fossati (batteria, percussioni), Paolo Silvestri (arrangiamenti e direzione d'orchestra), “Orchestra di Roma” (primo violino: Ettore Pellegrino), inoltre: Gabriele Mirabassi (clarinetto), Luciano Biondini (fisarmonica), Michael Applebaum (tromba e flicorno), Pietro Cantarelli (tastiere e sonorizzazioni), Fabio Severini (corno inglese), Edoardo Lattes (contrabbasso in Lampi). Not one word Roobenia Theme for trio Milos Brazzhelia The wolves’ house Theme for duet Le mot immaginaire Besame mucho Lampi Tango disorientato Bells A due voci per orchestra Raining at my door LAMPO VIAGGIATORE (Sony 2003) Testi e musiche di Ivano Fossati. Edizioni musicali: Il Volatore S.r.l. (eccetto Io sono un uomo libero edizioni musicali Lunaparck-Il Volatore). Produzione: Ivano Fossati. Preproduzione e realizzazione: Ivano Fossati, Pietro Cantarelli, Claudio Fossati. Registrazione: Marty Jane Robertson. Arrangiamenti e direzione d’orchestra: Paolo 297 Silvestri (C’è tempo, Il bacio sulla bocca). Sezione d’archi e fiati dell’orchestra da camera “I Virtuosi Italiani”. Mixaggio: Renato Cantele. La bottega di filosofia Pane ecoraggio Lampo C’è tempo Contemporaneo Il bacio sulla bocca Labellezza stravagante Io sono un uomo libero Ombre e luce Cartolina SINGOLI: I (Fonit 1971) Con i Delirium Canto di Osanna (Fossati-Di Palo) Deliriana (Di Palo) II (Fonit 1972) Con i Delirium Jesahel (Fossati-Prudente) King’s road (Magenta) III (Fonit 1972) Con i Delirium Haum! (Fossati-Prudente) Movimento II : dubbio (Fossati-Magenta) IV (Fonit 1972) Con i Delirium Dolce acqua (Fossati-Magenta) Favola o storia del largo di Kriss (Fossati-Magenta) 298 V (Fonit 1972) Con i Delirium E’ l’ora Treno VI (Cetra/Numero Uno 1973) E’ l’aurora (Fossati-Prudente) L’Africa (Fossati-Prudente) VII (Cetra/Numero Uno 1974) Tema del lupo VIII (Cetra 1975 ) Cane di strada Concerto di plenilunio in un castello di Stoccarda IX (Cetra 1975) Goodbye Indiana (Fossati-Prudente) X (RCA 1977) La casa del serpente Matto XI (RCA 1979) La mia banda suona il rock …e di nuovo cambio casa XII (RCA 1981) Panama J’adore Venise XIII (RCA 1981) La signora cantava il blues Stazione XIV (Cbs 1983) La musica che gira intorno I ragazzi cattivi XV (Cbs 1984) Tico Palabra Quante estati, quanti inverni XVI (Cbs 1988) Terra dove andare L’uomo coi capelli da ragazzo 299 XVII (Cbs 1988) Questi posti davanti al mare XVIII (Epic 1990) Lusitania Panama La musica che gira intorno XIX(Epic 1992) La canzone popolare Italiani d’Argentina Terra dove andare Una notte in Italia DISCHI CON ALTRI ESECUTORI Mia Martini DANZA (Warner Bros 1978) Ci si muove Buona notte dolce notte Fiorella Mannoia DI TERRA E DI VENTO (Epic 1989) Oh, che sarà (Fossati-Buarque) Eugenio Finardi LA FORZA DELL’AMORE (Wea 1990) Una notte in Italia Esecutori vari CLUB TENCO, 20 ANNI DI CANZONE D’AUTORE (I dischi del Club Tenco / Ala Bianca 1991) Confessione di Alonso Chisciano Esecutori vari CLUB TENCO, 20 ANNI DI CANZONE D’AUTORE II (I dischi del Club Tenco / Ala Bianca 1993) Luna spina Esecutori vari LATINO (Rca 1994) Dedicado (Hidalgo-Fossati) (produzione 1980) 300 INCISIONI DI FOSSATI INCISE DA ALTRI INTERPRETI Loredana Berté Per effetto del tempo (Fossati-Prudente) (NORMALE O SUPER, Cgd 1975) Stare fuori Non sono una signora I ragazzi di qui (Fossati-Daniels-Jones) (TRASLOCANDO, Cgd 1982) Un’automobile di trent’anni Jazz (Fossati-Djavan) (JAZZ, Cbs 1983) Petala (Fossati-Djavan) (SAVOIRE FAIRE, Cbs 1984) Fabrizio De André Megu Megun (De André-Pagani-Fossati) A cimma (De André-Pagani-Fossati) (LE NUVOLE, Fonit Cetra 1990) Prinçesa (Fossati - De André) Khorakhanè ( A forza di essere vento) (Fossati - De André) Anime Salve (Fossati - De André) Dolcenera (Fossati - De André) Le acciughe fanno il pallone (Fossati - De André) Disamistade (Fossati - De André)  cùmba (La colomba) (Fossati - De André) Ho visto Nina volare (Fossati - De André) Smisurata preghiera (Fossati - De André) (ANIME SALVE, Bmg/Nuvole-II Volatore 1996) Delirium Preludio: paura (Fossati-Magenta) Movimento II: dubbio (Fossati-Magenta) (DOLCE ACQUA, Fonit 1971) Donno No, stella no (Fossati-Prudente) (45, Numero Uno 1980) 301 Fiorella Mannoia Le notti di maggio (CANZONI PER PARLARE, Ddd 1988) Baia senza vento (DI TERRA E DI VENTO, Epic 1989) 302 1991 L’Amore Per L’Amore Piccola serenata diurna (Fossati-Rodriguez) (I TRENI A VAPORE, Epic 1992) L’amore con l’amore si paga (CERTE PICCOLE VOCI, Sony 1999) Fotogramma (Quelli siamo noi) (FRAGILE, Columbia / Il volatore 2001) Marcella Mi vuoi (Fossati-Prudente) (45, Cgd 1978) Mia Martini Se finisse qui (Fossati-Davies-Hodgson) Sentimento (PER AMARTI, Civ 1977) Danza C’è un uomo nel mare Canto alla luna E parlo ancora di te Ci si muove La luce sull’insegan della sera (DANZA, Warner Bros 1978) E non finisce mica il cielo (45, Ddd 1982) Vecchio sole di pietra (Miamartini-Fossati) (QUANTE VOLTE…HO CONTATO LE STELLE, Ddd 1982) Gianni Morandi La caccia al bisonte Sette di sera Autostrade, no! Favole di mare Io vado a sud Due ore di polvere Io domani me ne vado La mia gente (tutte di Fossati-Prudente) (IL MONDO DI FRUTTA CANDITA, Rca 1975) 303 Facile così (UNO SU MILLE, Rca 1985) Anna Oxa Fatelo con me Un’emozione da poco (Fossti-Guglielminetti) Così va se ti va e questo finché mi andrà Se devo andare via (Fossati-Cini-De Natale) (OXANNA, Rca 1978) Patty Pravo Pensiero stupendo (Fossati-Prudente) (MISS ITALIA, Rca 1978) Oscar Prudente Ehi amico (Fossati-Prudente) (POCO PRIMA DELL’AURORA, Cetra/Numero Uno 1973) La casa vecchia I vetri della scuola Otto ore Infinite fortune Solo no Il furgone della banca del Commercio Io vado a sud (tutte di Fossati-Prudente) (INFINITE FORTUNE, Numero Uno 1974) Mi vuoi (Fossati-Prudente) E magari ritorni (Fossati-Prudente) (DONNA CHE VAI, Cgd 1977) Scarpe da poco (Pace-Avogadro-Prudente-Fossati) (45, Cgd 1976) Stefano Pulga Mezzocuore Uomo di ieri Macina-stazioni (tutte di Pulga-Fossati) (SUSPICION, Cgd 1979) Catherine Spaak Ancora libera (Fossati-Prudente) (CATHERINE SPAAK, Cgd 1976) 304 Sunday Band Mary Martinica (Caputo-Fossati-Rossi-Lollio) Magic Congregation (Caputo-Fossati-Rossi-Lollio) (45, Fonit 1976) Ornella Vanoni Carmen (Fossati-Vanoni-Fossati) (O, Cgd 1987) 305 e. BIBLIOGRAFIA GENERALE AA.VV. 1996 a AA.VV., Analisi e canzoni, a cura di Rossana Dalmonte, Editrice Università degli Studi di Trento, 1996 (atti del convegno di studio Analisi e canzoni, Trento, 12-14 maggio 1995) AA.VV. 1996 b AA.VV., Enciclopedia della Musica, Garzanti, 1996 AA.VV. 1996 c AA.VV., Parole in musica. Lingua e poesia nella canzone d’autore italiana, a cura di Lorenzo Coveri, Novara, interlinea srl edizioni, 1996 ACCADEMIA DEGLI SCRAUSI 1996 ACCADEMIA DEGLI SCRAUSI, Versi rock. 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Storia, poeti, musicisti e cantanti, a cura di Paolo Scarnecchia, Palermo, Sellerio, 1988 BARONI-NANNI 1989 MARIO BARONI-FRANCO NANNI, Crescere con il rock, Bologna, CLUEB, 1989 BERSELLI 1999 306 EDMONDO BERSELLI, Canzoni. Storie dell’Italia leggera, Bologna, Il Mulino, 1999 BIONDI-NALDI 1989 RAFFAELE BIONDI-VITTORIO NALDI, Parole & musica. Tutto quello che bisogna sapere per comporre una canzone, Padova, Franco Muzzio Editore, 1989 (prima ed. 1987) BISACCA 1996 MANUELA BISACCA, “La ‘costruzione’ di una lingua in musica: il caso Fossati”, in AA.VV., Parole in musica. Lingua e poesia nella canzone d’autore italiana, a cura di Lorenzo Coveri, Novara, Interlinea srl edizioni, 1996 BORGNA 1992 GIANNI BORGNA, Storia della canzone italiana, Milano, Mondadori, 1992 BOTTON 2002 ALAIN DE BOTTON, Il piacere di soffrire, Milano, TEADUE, 2002 (prima ed. 1998, tit. or. 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