2. Dall’ uso all’abuso: excursus introduttivo alla psicopatologia delle condotte virtuali Internet come ogni innovazione tecnologica, apporta dei miglioramenti e delle agevolazioni nella quotidianità di ognuno ma, qualora se ne faccia un uso improprio, può esporre il soggetto a dei pericoli con gravi ricadute sulla qualità della sua vita, specie nell’aspetto relazionale. Ci si riferisce a quei casi in cui l’individuo non riesce più a fare un uso sano della rete ma rimane intrappolato nelle sue trame, al punto di sostituire alla sua vita reale un corrispondente surrogato virtuale. Si ritrova così a passare gran parte della sua giornata online, sottraendo tempo prezioso ad importanti attività lavorative e/o sociali, rintanandosi in una sorta di “ rifugio mentale” (Steiner,1993): un luogo della mente in cui ritirarsi per sfuggire ad una realtà forse insostenibile ed insoddisfacente. Una fuga da quegli imperativi sociali che pretendono dall’uomo che “sia se stesso” (Ehrenberg,1998) e che per la vergogna della sua impotenza lo conducono ad una sorta di blocco adolescenziale in cui si è incapaci di riconoscere e trasformare i limiti della realtà, della propria storia, del proprio corpo e di tollerare ogni tipo di frustrazione. Di fronte ad una continua sconfitta sperimentata nella realtà ed alimentata da un illusorio senso megalomanico di onnipotenza e mancanza di limiti non resta che rifugiarsi nella costruzione di realtà virtuali in cui si possa creare un’immagine di Sé prossima all’Ideale dell’Io. 1 Uno scenario interiore in cui la fanno da padrone una patologia del vuoto o massicce esperienze dissociative, dove vige l’imperativo che “tutto è possibile e tutto dipende da me”, è una delle fonti primarie per l’instaurarsi di una dipendenza patologica, intesa come forma morbosa caratterizzata dall’uso distorto di una sostanza, di un oggetto o di un comportamento; una specifica esperienza caratterizzata da un sentimento di incoercibilità e dal bisogno coatto di essere ripetuta con modalità compulsive; ovvero una condizione invasiva in cui sono presenti fenomeni di craving ( cioè della fame o del desiderio irresistibile), dell’assuefazione e dell’astinenza, nell’ambito di un’abitudine incontrollabile ed irrefrenabile che il soggetto non riesce ad allontanare da sé. Risale al 1995 la prima provocatoria definizione di una sindrome di dipendenza da internet ( Internet Addiction Disorder, I.A.D.), ad introdurla fu lo psichiatra americano Ivan Goldberg ,il quale stilò anche i sintomi ad essa correlati: 1. bisogno di trascorrere un tempo sempre maggiore in rete per ottenere soddisfazione; 2. marcata riduzione di interesse per altre attività che non siano Internet; 3. sviluppo, dopo la sospensione o diminuzione dell’uso della rete, di agitazione psicomotoria, ansia, depressione, pensieri ossessivi su cosa accade on-line,classici sintomi d’astinenza; 4. necessità di accedere alla rete sempre più frequentemente o per periodi più prolungati rispetto all’intenzione iniziale; 5. impossibilità di interrompere o tenere sotto controllo l’uso di Internet; 6. dispendio di grande quantità di tempo in attività correlate alla rete; 2 7. continuare a utilizzare Internet nonostante la consapevolezza di problemi fisici, sociali, lavorativi o psicologici recati dalla rete. Da allora si è sviluppato un vivace dibattito sull’argomento. Non tutti concordano sul fatto che, sebbene l’abuso di internet conduca a gravi conseguenze, si possa parlare di una vera e propria dipendenza. Un detrattore della teoria di Goldberg è Brenner (Brenner, 1996). Egli condusse un’inchiesta online dalla quale emerse che i soggetti riportano una media di 19 ore a settimana di collegamento ad internet ed oltre dieci segni d’interferenza nel funzionamento della vita quotidiana. L’80% del campione presenza almeno cinque di questi segni, tra cui incapacità di amministrare il tempo, perdita del sonno e dei pasti etc. Questi numeri fanno pensare che qualche problema collegato all’uso della rete sia normale e non dovuto allo sviluppo di una dipendenza. Di contro, altri autori (Griffiths, 1997) parlano a tutti gli effetti di thecnological addictions e mettono in luce come queste presentino le medesime caratteristiche di una qualunque dipendenza, ossia: - dominanza (salience): l’attività o la droga dominano i pensieri e il comportamento del soggetto, assumendo un valore primario tra tutti i suoi interessi; - alterazione del tono dell’umore: l’inizio dell’attività o l’assunzione della sostanza provoca cambiamenti nel tono dell’umore, il soggetto può esperire un aumento di eccitazione o maggiore rilassatezza come conseguenza diretta dell’incontro con l’oggetto della dipendenza; 3 - tolleranza: bisogno di aumentare progressivamente la quantità di droga o l’attività per ottenere l’effetto desiderato; - sintomi d’astinenza: malessere psichico e/o fisico che si manifesta quando si interrompe o si riduce il comportamento o l’assunzione della sostanza; - conflitto: conflitti interpersonale tra il soggetto e coloro che gli sono vicini e conflitti intrapersonali interni a se stesso a causa del suo comportamento dipendente; - ricaduta: tendenza a ricominciare l’attività o l’uso della droga dopo averla interrotta. Una ricerca condotta da Kimberly Young, psicologa clinica, docente dell’università di Pittsburgh e direttrice dell’online addiction centre, nel 1996 evidenziò il differente uso che fanno della rete soggetti dipendenti e nondipendenti. Rilevò che i 396 soggetti dipendenti da lei presi in esame trascorrevano online un quantitativo di tempo otto volte superiore rispetto ai 100 soggetti nondipendenti con cui erano stati confrontati. Inoltre i primi presentavano un incremento progressivo del tempo di collegamento, coerentemente col fenomeno di tolleranza che si presenta nelle tossicodipendenze. Ulteriore differenza tra i due gruppi è rintracciabile nelle applicazioni maggiormente utilizzate. I dipendenti fanno un uso maggiore delle chat-rooms e dei giochi di ruolo virtuali mentre i non-dipendenti usano prevalentemente il servizio di posta elettronica e la ricerca di informazioni tramite il www. 4 L’elemento di essenziale discriminazione tra dipendenti e non sta nella ricaduta che l’uso di internet ha sulla loro vita quotidiana. Mentre per i secondi non costituisce altro che un ulteriore risorsa per i primi sembra causare una serie di interferenze rintracciabili in diversi ambiti della sfera personale: - nell’ambito relazionale e familiare: aumentando le ore di connessione online si sottrae tempo alle persone significative della vita reale. Il soggetto può arrivare ad estraniarsi dal reale al punto tale da trascurare i suoi oneri domestici, come nel caso di madri che dimenticano di andare a prendere i figli a scuola o preparare loro da mangiare. Ne consegue che possa risentirne anche il matrimonio che può esser messo in discussione e compromesso da relazioni nate sul web e che si concretizzano in vere e proprie relazioni extraconiugali; - nell’ambito lavorativo e scolastico: il coinvolgimento con le attività della rete è tale da distogliere l’attenzione dalle attività di studio o lavorative ciò anche a causa dei prolungati collegamenti notturni che conducono ad uno stravolgimento del ciclo veglia-sonno ed una stanchezza eccessiva che si ripercuote sul rendimento scolastico o sulla propria professione; - nell’ambito della salute: possono presentarsi diversi problemi fisici dovuto alla postura tenuta davanti al pc per lungo tempo. Possono verificarsi ad esempio disturbi del sonno, irregolarità dei pasti, scarsa cura del corpo, mal di schiena, stanchezza degli occhi, mal di testa e sindrome del Tunnel Carpale; - dal punto di vista finanziario: problemi legati a tale sfera si presentano soprattutto qualora si utilizzi internet per partecipare ad aste online, commercio 5 online o gioco d’azzardo virtuale. Anche i costi di collegamento possono contribuire a questo problema essendo in presenza di una media di connessione di 50 ore settimanali. Anche la fruizione di materiale pornografico espone a simili rischi essendo essa spesso collegata al rilascio del numero della propria carta di credito. Kimberly Young mise a punto un test per valutare il livello di disagio psicosociale derivante dall’abuso di internet: the internet addiction impairment index(IAII) (1). La scala likert di 20 items raggruppa i soggetti secondo un uso normale di internet (0-30 punti), lievemente disfunzionale(31-49 punti), moderatamente disfunzionale(50-79 punti), gravemente disfunzionale (80-100 punti). Secondo quanto emerso dagli studi, i soggetti più a rischio per lo sviluppo della IAD hanno un’età compresa tra i 15 e i 40 anni, presentano carenze comunicative legate a problemi psicologici e/o psichiatrici, difficoltà familiari e relazionali, elevato grado di informatizzazione negli ambienti lavorativi, turni notturni, isolamento geografico (Cantelmi,2000). Svariati sono stati i contributi nella realizzazione di test per la valutazione della dipendenza da internet, per citarne alcuni: - Internet Addiction Questionnaire di John Suler, immesso in rete nel 1996 composto da 22 domande con modalità di risposta si/no, valuta l’uso di internet e gli aspetti relazionali ad esso connessi. - Internet Usage Survey di Viktor Brenner, del 1996, consta di due sezioni, una inerente le generalità della persona e una seconda, di 44 domande di cui le 6 prime 4 a risposta multipla e le rimanenti 40 con risposta vero/falso, riguardante lo stile di vita in relazione ad internet. Dalla sua somministrazione ad un campione di 185 soggetti è emerso che il 17% usa internet per più di 40 ore settimanali. - Internet Stress Survey di Morton C. Ormon, composto da soli 9 items con modalità di risposta si/no. Se si risponde “si” un numero di volte compreso tra 0 e 3 non c’è rischio di dipendenza, tra 7 e 9 invece c’è un elevato rischio di dipendenza. - Internet Addiction Survey di kimberly Young, è una versione precedente e più complessa rispetto a quella di cui ho riportato sopra il questionario, consta infatti di 5 parti. La prima parte,articolata in 12 domande con risposta si/no, è inerente i modelli di comportamento riguardanti l’uso di internet. La seconda parte, composta da 170 domande indaga sulle caratteristiche di personalità per rilevare una potenziale tossicomania da internet. La terza parte è costituita da 21 gruppi di 4 frasi che valutano il livello di depressione che accompagna spesso i disturbi da tossicomania. Il soggetto deve scegliere la frase che più si avvicina al suo stato di tossicomania. La quarta parte misura la ricerca di emozioni, è costituita da 40 gruppi di frasi suddivise in due parti A e B, il soggetto deve indicare quale delle due è più vicina al suo modo di sentire. La quinta ed ultima parte riguarda le generalità della persona ( sesso, età, livello di occupazione..) - Internet Behaviour Questionnaire di Oliver Egger, composto da 46 item organizzati in 5 parti. La prima parte conta 5 domande aperte relative l’aspetto 7 sociale della rete, l’uso che se ne fa per comunicare. La seconda parte riguarda l’uso di internet, modi, tempi, scopi del collegamento, il soggetto deve indicare tra 14 gruppi di frasi quelle che più lo rispecchiano. La terza parte sonda, attraverso 6 gruppi di frasi tra cui scegliere quelle più rispondenti al soggetto, sensazioni come ansia anticipatoria, senso di colpa, pensieri ossessivi. La quarta parte anch’essa di 6 gruppi di frasi tra cui scegliere valuta esperienze connesse all’uso di internet come la perdita della cognizione del tempo. La quinta parte riguarda le generalità della persona Il primo test italiano sulla dipendenza da internet l’ UADI (Uso, Abuso, e Dipendenza da Internet) (2) messo a punto da Del Miglio e collaboratori, è del 2001, è stato sottoposto a 241 soggetti, è composto da 80 items; 30 items valutano la dipendenza e aspetti ad essa connessi come la tolleranza, l’astinenza, l’impatto sulla vita reale, la compulsività; altri 30 la dissociazione e quindi esperienze sensoriali bizzarre, fuga-alienazione, identità e onnipotenza e i rimanenti 20 lo spazio psicologico riguardante la ricerca di emozioni, la regressione, la sperimentazione di aspetti del sé diversi. L’analisi delle componenti principali (Rotazione Equamax) ha permesso di individuare 5 fattori, ciascuno di 15 items: - Evasione compensatoria (EVA), uso dell’evasione come mezzo per compensare le difficoltà del reale; - Dissociazione (DIS), esperienze sensoriali bizzarre, depersonalizzazione, derealizzazioni, fuga dalla realtà; 8 - Impatto sulla vita reale (IMP), modifica delle abitudini, dei rapporti sociali, dell’umore; - Sperimentazione (SPE), laboratorio per sperimentare il sé, per la regressione, la ricerca di emozioni; -Dipendenza (DIP), sintomi della dipendenza come la tolleranza, l’astinenza, la compulsività e l’ipercoinvolgimento. Dall’analisi dei dati risulta che il numero delle ore settimanali di connessione non discrimina l’uso dall’abuso, non essendo correlato con nessuno dei 5 fattori individuati. Confrontando i risultati dell’UADI e quelli dell’MMPI-2 somministrato agli stessi soggetti si riscontra una correlazione tra alcune caratteristiche psicopatologiche come la psicastenia, l’ipomania, la schizofrenia e l’introversione sociale con un uso eccessivo di internet. Gli autori ci tengono comunque a sottolineare che solo degli studi longitudinali su adolescenti ed adulti che sono soliti navigare in rete, potrebbero consentire di vagliare dei nessi significativi con eventuali tratti di personalità patologici indotti dall’abuso di internet e dalle sue applicazioni. Si approda ad una vera e propria dipendenza dalla rete attraverso 3 tappe. C’è una prima fase, iniziale, caratterizzata da un’attenzione ossessiva e ideo- affettiva su argomenti inerenti l’uso della rete che causa comportamenti quali il controllo ripetuto della posta elettronica nella stessa giornata, la ricerca di strumenti e programmi di comunicazione particolari e prolungati periodi in chat. 9 La seconda fase, tossicofilia, è caratterizzata da grandi quantità di tempo trascorse online ed un crescente senso di malessere, mancanza di qualcosa quando si è offline, paragonabile all’astinenza. Si arriva anche a rinunciare a dormire pur di soddisfare questo nuovo bisogno collegato alla rete. La terza fase, tossicomania, vede un’azione della rete-dipendenza ad ampio raggio con ricadute su diverse aree di vita con conseguente cattiva resa lavorativa o scolastica e isolamento relazionale. Più sono presenti fenomeni tossicomanici più la dipendenza sarà grave e difficile da arginare. R.A. Davis collegandosi alle ricerche della Young mette a punto nel 1999 un modello cognitivo comportamentale dell’utilizzo patologico di internet (PIU). Secondo l’autore, questo può essere di due tipi: specifico: riguarda una particolare funzione di internet (materiale erotico, gioco d’azzardo, aste..), è una dipendenza contenuto-specifica indipendente o meno dalla presenza di internet; generalizzato: in questo caso c’è un utilizzo multidimensionale di internet che prescinde da un obiettivo preciso. Si ritiene di doverlo associare ad un bisogno di contatto sociale rinforzato dall’utilizzo di strumenti che la rete stessa offre come ad esempio le chat. Davis sostiene che l’eziologia del PIU vada ricondotta a problemi di natura cognitiva che comportano dei sintomi anche a livello affettivo e comportamentale. Egli vede nelle cognizioni disadattative una causa prossimale, intesa come posizionata alla fine della catena causale, e sufficiente 10 per i sintomi del PIU. Dunque è necessario che vi sia una sottostante vulnerabilità, come la presenza di pensieri distorti sul Sé o sul mondo, che si associa ad un stressor, l’utilizzo di internet che diviene catalizzatore per lo sviluppo del PIU. La natura complessa di internet fa si che questa soddisfi i più svariati bisogni individuali, ciò ha condotto Cantelmi alla definizione di una nuova categoria diagnostica: Internet Related Pycopathology (IRP; Cantelmi,1999) Tale categoria nasce dall’esigenza di dare una visione più ampia e particolareggiata della costellazione di disturbi connessi ai differenti usi e scopi che l’utente fa di internet. Possiamo individuare 5 differenti Cyber Addictions: - Compulsive Online Gambling, il gioco d’azzardo online; - Cybersexual Addiction: materiale pornografico reperibile su inernet e relazioni erotiche mediante e-mails o programmi di chat; - Cyber Relationship Addiction: instaurare relazioni amicali e/o sentimentali online a scapito di quelle reali; - MUD’s Addiction: dipendenza da giochi di ruolo in cui più utenti giocano simultaneamente sotto le spoglie di un personaggio fittizio con cui si identificano; -Information overload Addiction: ricerca estenuante di informazioni tramite il Web surfing. Una delle possibili conseguenze della dipendenza patologica del computer e dalle sue applicazioni è quella che Caretti definisce “Trance Dissociativa da Videoterminale”(Caretti, 2000). 11 Tale disturbo comporta uno stato involontario di trance con alterazione dello stato di coscienza, depersonalizzazione e perdita dell’abituale senso di identità personale con possibile sostituzione di questa con un’identità alternativa che influenza quella abituale. Da un punto di vista psicodinamico devono essere considerati tre livelli dei disturbi del Sé conseguenti l’abuso di internet: -Dipendenza: forma morbosa caratterizzata dal bisogno coatto di ripetere l’esperienza virtuale come fuga e ritiro difensivo da un mondo esterno minaccioso,da una vergogna conscia e inconscia,caratterizzante la debolezza dell’Io; -Regressione: forma di autoassorbimento continuativo in cui l’uso del computer è un rifugio della mente; bisogno incoercibile di ripetere esperienze virtuali; fantasia artistica come modalità difensiva dell’Io; inclinazione alla costruzione di relazioni virtuali compensatorie di un impoverimento delle relazioni oggettuali; tendenza a sovrapporre e a sostituire le esperienze e i rapporti reali con quelli virtuali; virtualizzazione, ossia identificazione nelle esperienze e nei rapporti virtuali per difendersi dalla realtà; -Dissociazione: evanescenza dei confini dell’Io; espansione e decentramento del senso del Sé; alterazione del senso della durata temporale; depersonalizzazione cioè il distacco e l’estraneamento da se stessi e dal proprio corpo fino alla perdita completa dell’esame di realtà; derealizzazione, cioè sentirsi come irreale, come in un sogno, in un film; la dissociazione da sé verso 12 uno stato di trance in cui si perde il senso abituale dell’identità che viene sostituito da una parte di una nuova identità virtuale. 2.1 Adolescenti e internet: tra sperimentazione e dipendenza L’adolescenza, quel periodo che si suole collocare tra gli 11 e i 18 anni, è senza dubbio una delle tappe più complesse dell’esistenza. Non è solo una fase di preparazione all’età adulta, è una sorta di terra di nessuno, segnata dall’ambivalente bisogno di dipendenza dalle figure genitoriali e quello di rendersi autonomi. Fattori di ordine biologico interagiscono con fattori di tipo psicologico e sociale nell’arduo lavoro di ristrutturazione della personalità cui l’adolescente è chiamato. Bisogna affrontare un triplice lutto: la perdita del familiare e conosciuto corpo infantile sostituito da uno sconosciuto e misterioso,maturo sessualmente; del ruolo infantile con conseguente abbandono dell’immagine grandiosa di sé e del perfezionismo narcisistico dell’infanzia; dei genitori vissuti infantilmente come onnipotenti, in luogo di una rappresentazione più realistica che li vede ridimensionati, esposti al dubbio, all’incertezza e alla tristezza. Il processo di riorganizzazione psichica si prospetta al quanto complesso e tortuoso ed espone a costanti minacce di cedimento psichico. La perdita della propria identità precedente deve essere accettata nel Sé, a favore di una nuova creazione. 13 Che ruolo gioca l’utilizzo di internet in questa delicatissima fase di crescita? Stando ad una ricerca condotta da Jeremy Rifkin nel ’98, Internet fornirebbe agli adolescenti lo spazio per vivere quello che Erik Erikson definì “moratoria psicosociale” (Erikson, 1963); un periodo in cui l’adolescente sospende le scelte esistenziali definitive e vincolanti per dedicarsi esclusivamente all’intensità dei rapporti con le persone, con le idee, con la sperimentazione di esperienze, ruoli ed identità diverse. Nel mondo reale la fase della moratoria è soggetta a rischi quale la morte, gravidanze indesiderate, AIDS etc. Insomma uno scenario, potenzialmente al limite, che ci rievoca le immagini del celeberrimo film “Gioventù Bruciata”. In questa prospettiva Internet si offrirebbe come luogo sicuro, una sorta di palestra di vita, con funzione vicariante, dove poter sperimentare una propria autonomia dagli altri, acquisire fiducia nelle proprie capacità, incrementando quindi l’autostima. La ricerca si è svolta in una particolare chat, la GMUKS (Graphical Multi-user Konversation) consistente di 30 stanze, un bar, una sala giochi, una camera da letto, una spiaggia, una palude-brughiera e diversi locali surreali, come l’orbita di un pianeta alieno e uno spazio sotterraneo somigliante ad un Ade, in cui adulti e adolescenti interagiscono insieme. In questo contesto gli adolescenti che vengono denominati SNERT ( acronimo che sta per “snot-nosed Erosridden teenager cioè adolescenti erotomani e impiccioni) mettono in atto comportamenti tipici della loro età. Si è notata da parte loro una ricerca di sfida che si concretizza in una serie di comportamenti disturbanti: scherzi sarcastici, graffiti osceni, comportamenti 14 provocatori e buffoneschi, formazioni di gang, occupazione impropria dello spazio pubblico virtuale, autopromozioni ripetute, comportamenti aggressivi con furti e molestie, uso di avatar violenti, ideologicamente inneggianti all’odio e alla discriminazione, uso provocatorio di linguaggio scurrile ed osceno, molestie sessuali o aggressive nei confronti di utenti con nickname femminili, attacchi e provocazioni alle autorità fino al punto di chiedere di essere uccisi (cioè cancellati dalla comunità). Si è cercato di limitare tali comportamenti con l’istituzione di guardiani appositi e con prolungati dibattiti sull’atteggiamento da tenere e le eventuali sanzioni da applicare che vanno dalla semplice ammonizione fino alla morte virtuale. Tali fenomeni e le loro conseguenze sembrano illustrare alla perfezione la teoria di Winnicott secondo cui, crescere significa prendere il posto dei genitori e quindi, in termini di fantasia inconscia, ucciderli. Il compito dei genitori è quello di sopravvivere intatti e senza sottrarsi al conflitto, ripiegando su una prematura abdicazione di ruolo all’adolescente che comporterebbe un senso di falsa maturità. Potremmo dire che in questo caso la rete offre ai giovani un’opportunità in più per sperimentare quell’aggressività che secondo Winnicott da loro modo di sentirsi reali e di passare sopra, nella fantasia inconscia, al cadavere di un adulto. Qualora però le difficoltà incontrate in adolescenza siano tali da condurre ad un’attivazione massiccia di meccanismi di difesa e ad una fissazione alla 15 fantasia masturbatoria centrale cioè una regressione ad una fase autoerotica dello sviluppo, base di ogni dipendenza morbosa, il rapporto col virtuale può diventare pericoloso. Le difese regressive messe in atto per sfuggire alle angosce connesse ai processi di consolidamento del Sé divengono dei “rifugi della mente” (Steiner, 1993), dei luoghi mentali, dei comportamenti ossessivo-compulsivi, dei riti personali in cui ci si ritira quando si vuole sfuggire ad una realtà insostenibile. Funzionano come un medicamento per l’Io che si sente danneggiato nell’affrontare il lutto o il dolore psichico connesso alla perdita. Una buona elaborazione del lutto permette di separarsi dall’oggetto e di accettare la realtà della perdita e dunque di riorganizzare la persona. Nei soggetti in cui le problematiche connesse alla distruttività sono molto disturbanti i rifugi mentali finiscono col dominare la psiche e si declinano in una serie di comportamenti patologici come comportamenti aggressivi verso se stessi quali l’anoressia e la tossicomania, attività autoerotiche o disturbi dissociativi. La realtà non è del tutto accettata e nemmeno del tutto rifiutata. Se questa attitudine a ritirarsi dalla realtà non è transitoria ma finisce col diventare la consuetudine, lo stile di vita sarà segnato dalla dipendenza e il soggetto potrà giungere ad abitare un “mondo onirico o fantastico che trova preferibile al mondo reale” (Caretti, 2001). Questo mondo parallelo è all’insegna dell’onnipotenza, ogni cosa è possibile e concessa e da ciò si ricava un senso di sollievo che è però solo apparente e subdolo perché mina e distorce sia il senso 16 di Sé che la relazionalità . L’esito, prevedibile, è una situazione di isolamento e perdita del contatto con la realtà. Tali caratteristiche sono riscontrabili in quella forma di ritiro sociale che ha colpito più di un milione di giovani nipponici, che vivono volontariamente reclusi in casa: l’hikikomori. Tale termine che letteralmente significa “rannicchiarsi in se stesso”, “isolarsi”, “appartarsi”, stando a quanto sostiene John Watts è una condizione unica nel suo genere e presente solo in Giappone. Secondo la ricerca, durata 12 mesi, presso 697 centri di sanità pubblica, sono stati segnalati 6151 casi. In questo primo studio viene considerato affetto da hikikomori chiunque vive completamente isolato per un periodo di sei mesi o più. Dai dati emersi, il 40% dei soggetti aveva un’età compresa tra i 15 e i 25 anni, il 21% tra i 25 e i 30. La maggior parte erano maschi e in genere il più colpito era il figlio maggiore. L’8% era rimasto in isolamento per dieci anni o più. Tale patologia non è assimilabile ad una semplice ansia o ad agorafobia ma è molto di più, è una patologia socialmente invalidante che riduce, chi ne soffre, ad una sorta di “moderno eremita” (Di Maria; Formica, 2003), confinato nell’esiguo spazio della propria camera da letto, il cui accesso è off limits per chiunque, salvo l’unica eccezione riservata alla madre per l’introduzione del cibo. La condizione dell’adolescente che rinnega la società degli adulti e le sue norme non è certo una novità, al contrario costituisce l’ordinario, è una 17 condizione trasversale presente in ogni cultura e in ogni periodo storico dell’umanità. Ciò che rende unico l’hikikomori è il contesto in cui si è manifestato e lo stretto legame con la tecnologia e le “protesi virtuali” da questa offerti che in questo caso diventano surrogato di una realtà rifiutata. Il Giappone è uno dei paesi tecnologicamente più avanzati se non il più avanzato. C’è un’esasperazione dell’elettronificazione e di pari passo un’esaltazione dei valori del primato, della riuscita, della realizzazione. I bambini sono esposti, sin da piccolissimi, agli ossessivi imperativi del fare, dell’omologarsi, all’insegna di una cultura di coppia soffocante, secondo la logica dell’”o…o”, che risponde acriticamente ai dettami della società e che in suo nome sacrifica la creatività e l’unicità del singolo. Non c’è posto per una cultura secondo una logica dell’”e…e”, per una cultura di gruppo che accoglie polarità diverse in dinamica convivenza. Le possibilità che si offrono non sono che due: obbedire diligentemente a quanto la società richiede e adeguarsi agli standard imposti, rimanere schiacciati sotto il peso di doveri e compiti che si è incapaci di sostenere. Nel secondo caso, il confronto con l’altro diventa insostenibile, l’altro è una presenza minacciosa, una continua conferma delle proprie inadempienze, dei proprio insuccessi, va tenuto lontano, negato, privandogli ogni possibilità di contatto, autoesiliandosi in una piccola fortezza tecnologica. La tecnologia, asservita alla patologia, diventa rifugio e strumento per compensare virtualmente un benessere sociale cui si è rinunciato. 18 Al riparo delle proprie mura domestiche, circondati da video giochi, immersi, o forse sarebbe meglio dire risucchiati, dalla rete, prigionieri di un solipsismo telematico, vivono una dimensione di perfezione inattaccabile perché estranea ai problemi della quotidianità. Nel descrivere questi due emblematici aspetti di internet, la GMUKS e l’hikikomori, spero di aver messo in evidenza quanto la tecnologia e le sue declinazioni comunicative attuali non siano di per sé fonte di patologia. Sono degli strumenti, è l’uso o l’abuso che se ne fa che può essere qualificato come positivo o negativo per il benessere del soggetto e dunque della comunità. Note: 1) Vedi Appendice 2) Vedi Appendice 19