6. «SIMONE, SIMONE, IO HO PREGATO PER TE, PERCHÉ LA TUA FEDE NON VENGA MENO» (Lc 22,21-34.54-62) Durante l’ultima cena Gesù ha parlato agli apostoli della sua morte, ha detto che l’ha prevista e che l’ha accettata; istituendo l’eucarestia ha voluto che quella morte diventi un dono disponibile a tutti gli uomini. Ha fatto capire agli apostoli che quella è la sua vera pasqua, a lungo desiderata: con quel pasto egli porta a coronamento la sua obbedienza a Dio e la sua esistenza a favore degli uomini. La nuova e definitiva alleanza tra Dio e gli uomini sta ormai per realizzarsi. Mediante l’eucaristia i discepoli diventano una sola cosa con Gesù. L’eucaristia è un evento di amore che genera amore. Dopo aver istituito l’eucaristia, Gesù annuncia che sarà tradito da uno dei suoi commensali, da uno che era nel numero dei Dodici (Lc 22,21-22). Con una penetrante ironia e soprattutto con una severa fedeltà Luca annota che, subito dopo aver ricevuto quel dono di Gesù, subito dopo aver sentito che uno di loro sta per tradirlo, tra gli apostoli sorse una discussione su chi di loro poteva tradirlo e soprattutto su chi di loro poteva essere considerato il più grande (Lc 22,24). Gesù aveva parlato della venuta del regno di Dio e gli apostoli si preoccupano subito di sapere che sarà il più grande in questo regno. La loro discussione ci appare particolarmente stonata in quel momento. Gesù risponde, istruendo con pazienza i suoi apostoli: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è il più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,25-27). L’eucaristia è segno e garanzia che Gesù rimane sempre in mezzo a noi come colui che esprime il suo amore nel servizio. L’accoglienza del dono di Gesù diventa forza per prolungare nella nostra quotidianità la sua vita, trascorsa interamente nel servizio. Sforzarsi di diventare grandi nella comunità non è uno sbaglio, è la vocazione alla quale tutti siamo chiamati; bisogna però tenere presente in che cosa consiste la vera grandezza e perché si vuole diventare grandi. Essere il più grande, il più bravo, il più capace è un istinto primordiale che tutti abbiamo dentro e che da Caino in poi tormenta, anche in maniera negativa, ogni uomo. L’uomo ruota spesso attorno all’affermazione di sé, alla difesa della propria posizione, e così tante volte è insoddisfatto e in perenne competizione. Durante i pasti Gesù aveva dato molte norme di comportamento. Ora le completa: opponendo il servizio all’ambizione, indica che l’impegno a collaborare con lui si traduce nel servizio, avverte i suoi discepoli che tra loro diventa grande solo chi vive nel servizio. Dal Signore presente nell’eucaristia deriva un impulso a non rinchiudersi in se stessi, a non trascurare gli impegni della nostra vita terrena; egli ci nutre perché riusciamo a comprendere e a testimoniare che al di fuori di lui non c’è speranza e che senza di lui ci si avvia al fallimento; Gesù rimane con noi perché siamo capaci di fare di noi stessi un dono a Dio e ai fratelli, contribuendo così alla 1 edificazione di un mondo che esce dall’egoismo, dalla vanagloria e dalla paura e passa all’amore vissuto nella solidarietà e nella giustizia. Questo impegno è difficile e allora Gesù invita i discepoli a guardare agli anni trascorsi con lui: egli ha sperimentato incomprensione, fraintendimento, incredulità e perfino persecuzione, ma non ha cessato di donarsi agli uomini. «Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove». Gesù non si illude che i Dodici abbiano raggiunto una eccelsa santità, però sa che ci può essere una grande fedeltà anche là dove ci sono difetti, debolezze, meschinità. Cerchiamo di capire questa frase di Gesù che parla di perseveranza con lui nelle prove. Le prove in genere sono delle esplorazioni di quanto uno vale, è fedele, resiste, di quanta forza ha. Sono come un collaudo. A questo senso originario, nella Bibbia se ne aggiungono altri due. Talvolta la prova indica anche una spinta al peccato da parte del maligno o delle cattive inclinazioni o del male presente nel mondo. Altre volte la prova allude a tutte le situazioni di difficoltà e di afflizione che spesso incontriamo. Esse fanno parte del cammino della parola in noi, del suo ingresso nel terreno del cuore umano. Il vangelo la paragona al seme che cade tra i sassi o sulla pietra (Mt 13,20-21; Lc 8,13). Prova è la situazione corrente, ordinaria dell’uomo sulla terra, specialmente dell’uomo giusto, cioè di colui che vuole essere fedele a Dio e cerca di camminare per le sue vie. Gesù dice: «Avete perseverato». In greco più semplicemente si dice: «siete rimasti». Gli apostoli non se ne sono andati; avrebbero potuto andarsene, ma non lo hanno fatto. Vengono in mente le parole di Pietro: «Signore, da chi andremo?» (Gv 6,6768). L’uomo fa fronte alla prova con la perseveranza, la resistenza, la custodia della parola. Mentre la prova tende a far tornare indietro, induce a perdersi d’animo, l’atteggiamento direttamente contrastante non è necessariamente quello della vittoria immediata, ma del resistere, del rimanere fermo, saldo. Gesù non parla genericamente di prove, ma dice: «avete perseverato con me nelle mie prove». Questa specificazione dà una colorazione del tutto diversa all’esistenza umana. Quali sono le prove di Gesù? I vangeli ci narrano le sue tentazioni nel deserto, ma mettendole all’inizio della vita pubblica fanno capire che essa è stata tutta sotto il segno della prova. Lo conferma Eb 4,15: Gesù è passato attraverso i tanti aspetti della prova. Si tratta di prove messianiche, del modo con cui far avanzare il regno di Dio. Ma, in quanto capo dell’umanità, Gesù fa sue e vive le prove di ogni uomo e di ogni donna della terra: le sue prove si allargano alla moltitudine immensa di persone che hanno popolato, popolano e popoleranno la terra. Occorre perseverare in queste prove che riguardano l’umanità intera e che talora ci irritano, ci inquietano. Poi, naturalmente, ci sono le prove personali e quelle che condividiamo con chi ci sta accanto. Dicendo «Avete perseverato con me», Gesù carica tutte le prove di un sapore affettivo diverso, personale. Le soffriamo con lui, amando lui, in intimità con lui. Egli ci domanda di entrare in questa via per identificarle e comprenderle meglio; infatti è importante riuscire a guardare le prove in faccia. Spesso ci sentiamo oppressi, affaticati, frustrati da qualcosa di indistinto. Il Signore ci invita a dare un 2 nome alle nostre difficoltà. Vanno vissute insieme con Gesù. Affrontare le prove è l’unica garanzia di vivere in serenità l’esistenza. Gesù è pronto a darci una mano, a stare con noi. Chi persevera con Gesù nella prova, nel dono di sé sarà associato alla sua ricompensa: potrà mangiare e bere alla sua mensa e giudicare le dodici tribù d’Israele (Lc 22,28-30), sarà cioè partecipe del suo regno messianico, rappresentato con l’immagine del banchetto, e potrà fare parte del popolo di Dio, giunto alla sua definitiva pienezza. Questa ricompensa sarà piena alla fine dei tempi. Al presente Gesù preannuncia che la prova diventerà ancora più difficile, perché l’incomprensione che lo circonda si trasformerà in un rifiuto totale. La croce che Gesù accetta non è semplicemente il risultato della debolezza umana e del peccato. Esiste un conflitto più profondo: la croce di Gesù fa parte di un dramma cosmico, in cui Gesù e satana lottano per la conquista della vittoria. All’inizio della passione satana è entrato in Giuda Iscariota (Lc 22,3) e così incomincia la tragica successione degli eventi che portano Gesù alla morte. La croce di Gesù è una prova per Pietro e per tutti i discepoli Satana, che era già entrato in Giuda e che lo aveva spinto a tradire Gesù, cerca ora di impadronirsi anche di Pietro e degli altri apostoli. Se Giuda è il modello raggelante di cedimento e tradimento completo, Pietro diventerà esempio di come lealtà, debolezza e redenzione finale coesistono in un uomo, messo di fronte alla passione e morte di Gesù. Satana è aggressivo, è colui che disumanizza i suoi prigionieri, derubando loro la libertà e la dignità umana, impedendo loro di vedere l’amore che spinge Gesù ad abbracciare la sua morte e a farne un dono per tutti. Gesù non lascia solo Pietro in questo momento difficile. Si rivolge a lui e lo chiama due volte per nome: «Simone, Simone» (Lc 22,31). La duplice ripetizione del nome personale indica in Gesù un atteggiamento di rimprovero amoroso e compassionevole, di ammonimento accorato, fatto con autorità e nello stesso tempo con dolcezza (cfr. Lc 10,41: «Marta, Marta»; Lc 13,34: «Gerusalemme, Gerusalemme»). La duplice ripetizione del nome inoltre nella Bibbia prelude sempre a un momento critico, a una svolta radicale per colui che viene interpellato (Gen 22,1: «Abramo, Abramo»; Es 3,4: «Mosè, Mosè»; 1Sam 3,10: «Samuele, Samuele»; At 9,4: «Saulo, Saulo»). Chiamando Pietro con il suo nome di famiglia forse Gesù vuole anche dirgli che lo conosce profondamente e soprattutto che è in gioco la sua identità di discepolo, il fondamento della sua sequela. Gesù avverte Pietro che satana non si accontenta di accanirsi contro di lui, per cercare di travolgerlo, ma attacca anche il gruppo dei suoi discepoli: satana sta per compiere un assalto audace e arrogante non solo contro il Signore, ma anche nei loro confronti. Le prove che Gesù subisce coinvolgono anche i suoi seguaci; satana ha ottenuto da Dio il permesso di vagliarli, come si fa con il grano «Ecco: satana vi ha 3 cercati per vagliarvi come il grano» (Lc 22,31). Questa immagine è presa da Am 9,9 e sottintende che il potere di satana vuole controllare i discepoli completamente, lanciandoli in aria impotenti, come si faceva con il grano per separarlo dalla pula. Forse in questa immagine c’è un altro significato: come il grano viene separato dalla pula, così satana vuole separare Gesù, grano buono, dagli apostoli, vuole portarli alla diserzione e renderli come pula, che viene dispersa dal vento (Sal 1,4). Certamente l’immagine indica che nel momento risolutivo che Gesù sta affrontando, satana scatenerà l’estremo assalto anche contro coloro che Gesù ha scelto per essere suoi testimoni. Satana ha chiesto e ottenuto il permesso di passare gli apostoli al vaglio, come si fa col grano per pulirlo: la loro prova sarà dura e difficile. Questa immagine sottolinea che la passione e morte di Gesù ha costituito e costituirà sempre uno scandalo per la ragione umana: l’uomo da solo non riesce a capire come la croce sia mezzo di salvezza, via alla vita, espressione dell’amore obbediente di Gesù per il Padre e del suo amore solidale per noi uomini. Questa incomprensione è favorita anche dalle sollecitazioni di satana, che fa di tutto per mettere in evidenza il nonsenso della croce di Gesù, per staccare da lui i discepoli e dividerli tra loro. La preghiera efficace di Gesù per la fede e per la missione di Pietro A Simone e a tutti quelli che hanno appena partecipato con lui al banchetto pasquale Gesù dice che egli sarà per loro motivo di scandalo, che satana prenderà l’occasione della sua morte per metterli alla prova. Gesù sa però che satana non è invincibile. Egli stesso lo aveva vinto nel deserto (Lc 4,1-13), lo aveva vinto durante il suo ministero (Lc 10,18; 11,18-22; 13,16). Gesù lo ha vinto per liberare gli uomini, per «risanare tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo» dirà Pietro nella casa di Cornelio (At 10,38). Nel deserto Gesù aveva vinto satana, restando unito a Dio, pregando. Anche ora lo vince per Simone e per gli altri discepoli pregando: «Simone, Simone, ecco: satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno» (Lc 22,31-32). Di fronte a satana, Gesù si presenta come l’avvocato difensore. L’arma di Gesù è la preghiera. Il fatto che Gesù annunci la sua preghiera per la fede di Pietro significa che la prova sarà per Pietro una tentazione di abbandonare la fede, l’adesione al Signore. La fede di Pietro e degli altri apostoli non è ancora piena e indefettibile: essi devono passare attraverso il vaglio di satana, ma possono ricevere anche il benefico influsso della preghiera di Gesù. Tra satana e Pietro c’è Gesù con l’efficacia straordinaria della sua preghiera. Luca non specifica molto il contenuto di questa preghiera, ma dice solo che è una domanda pressante perché Pietro non abbia a venir meno nella fede e possa confermare i suoi fratelli. Satana sottopone Pietro e i discepoli alla tentazione della paura del mondo e della fuga nei confronti di Gesù. Gesù prega perché Pietro e gli altri apostoli abbiano fiducia in lui e nel Padre, sappiano contemplare il mistero della croce, conservino la speranza nella sua vittoria, abbiano la forza di rimanere nel mondo per testimoniarvi quanto Gesù ha fatto per l’uomo. 4 Come non furono «la carne e il sangue» (Mt 16,17), cioè le forze umane, a rivelargli che Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente, così ora non sarà la forza umana a mantenere Pietro saldo nella fede, a permettergli di capire e di accettare la croce del Maestro. Questo avverrà per un dono di Dio, ottenuto a lui dalla preghiera di Gesù. Gesù prega il Padre suo per Pietro per ottenere la sua perseveranza nella fede, perché ciò che decide la salvezza è la fede nel Figlio di Dio, crocifisso e risorto. Gesù non domanda che a Pietro venga risparmiata la prova. A nessun discepolo di Cristo viene evitata la prova (At 14,22; Rm 5,3-5; Eb 12,11; Gc 1,2). È lontano da Gesù il pensiero di una progressiva scomparsa delle prove e del dolore umano. Gesù non chiede a Dio Padre che allontani da Pietro la tentazione, ma che la tentazione non diventi seduzione, defezione, caduta totale; chiede che la tentazione diventi «piuttosto occasione per crescere nella fedeltà e nella coerenza, attraverso l’umiltà e la vigilanza» (Giovanni Paolo II). Per questo ci ha insegnato a pregare: «Non abbandonarci alla tentazione» (Mt 6,13; Lc 11,4). La crisi farà rasentare a Pietro il crollo della fede: sarà tentato di negare perfino la semplice conoscenza di Gesù (Lc 22,34), si allontanerà momentaneamente dalla retta via e rinnegherà il Signore, avrà bisogno di ravvedimento, perché si troverà sull’orlo dell’apostasia. Però non perderà la fede, perché la preghiera di Gesù è efficace, perché l’assalto di satana è tenuto sotto controllo dal potere della preghiera di Gesù. La fede di Pietro si piegherà pericolosamente, ma non si spezzerà. L’elemento decisivo è la preghiera di Gesù per lui: senza di essa Pietro soccomberebbe alla forza del male. Questa preghiera trascinerà via Pietro dall’orlo della perdizione, provocherà in lui il pianto del pentimento, lo aiuterà a ritornare discepolo e lo confermerà capo della comunità. «E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,32). Gesù ha chiesto per Pietro il dono di una fede forte, perché possa convertirsi e a sua volta aiutare i fratelli. Per Pietro la decisione iniziale di seguire Gesù non è garanzia di perseveranza: il vaglio della fede incombe anche su chi è il più grande tra gli apostoli e si dichiara pronto e capace di seguire il Signore fino alla morte. Neppure Pietro, per i quale il Signore ha pregato, è esente dalla caduta; neppure Pietro può essere certo della propria fedeltà e adesione al Signore. Pietro stesso ha bisogno di conversione, per perseverare, per rinnovare l’adesione al Signore. La sua conversione ha per contenuto essenziale il ritorno al primato della fede, a un’adesione personale, piena e radicale a Gesù. Questa conversione è intimamente connessa al ministero che Pietro è chiamato a svolgere nei confronti dei suoi fratelli. Pietro era già stato costituito roccia da Gesù (Mt 16,18). Ora è chiamato a confermare i fratelli. Il verbo «confermare» significa consolidare, far poggiare su un buon fondamento. Proprio perché Gesù ha pregato per Pietro, egli potrà dare forza ai fratelli, dopo essere tornato pentito lui stesso a Gesù. Ciò che forma l’oggetto della preghiera di Gesù e ciò che permette a Pietro di confermare i fratelli è la sua fede. Grazie alla preghiera del Signore, questa fede rimarrà, provocherà in Pietro il ravvedimento, il ritorno a Gesù e in seguito gli 5 conferirà la capacità di rafforzare la fede dei fratelli. Il ministero di Pietro deve passare attraverso il crogiuolo del suo ritorno al Signore. Pietro non sta soltanto tra Gesù e satana, ma occupa anche un posto fondamentale tra Gesù e la comunità. Questa avrà sempre bisogno, dopo la partenza di Gesù, del ministero di Pietro. In Pietro dunque la Chiesa è invitata a riconoscere colui che su richiesta di satana è stato tentato, ma anche colui che, una volta liberato per l’efficacia della preghiera di Gesù, è stato investito della missione di aiutare i fratelli a non cadere nella tentazione, a non abbandonare la fede. In Pietro la Chiesa deve riconoscere colui che, passato al vaglio della tentazione, ha vissuto un momento di debolezza, ma non ha perduto totalmente la fede profonda nel Signore; in Pietro ha trionfato l’onnipotenza orante di Gesù e pertanto è diventato capace di confermare nella fede tutti quelli che si appelleranno al vangelo. In Pietro va riconosciuto colui che, pur avendo negato per debolezza il Signore, ha trovato per grazia la via del ritorno a lui e così può fare da guida, sempre per grazia del Signore, ai fratelli che insieme a lui orienteranno verso Gesù la loro speranza di salvezza. Compito di Pietro è rafforzare i fratelli nella fede, cioè aiutarli anzitutto a credere nella croce di Cristo, tenerli uniti a Cristo e fra di loro nell’ora della prova, aiutarli a vivere il mistero del dolore, a non rinnegare Cristo in quei momenti difficili. La croce, il dolore sono una prova permanente per i discepoli. In essa hanno continuamente bisogno della intercessione di Gesù per non soccombere. Ma l’intervento salvatore di Gesù nei confronti della sua Chiesa passa anche attraverso il sostegno di Pietro e dei suoi successori. Sostenere la Chiesa nel momento del dolore, aiutandola a mettersi davanti a Gesù crocifisso, è il primo compito che Gesù affida a quanti hanno una responsabilità nella comunità. A questo compito è stato particolarmente sensibile e attento il papa Giovanni Paolo II: basta ricordare il titolo di alcune sue Encicliche e Lettere, incentrate sul problema del dolore, del suo valore e della redenzione portata da Gesù attraverso la croce: Redemptor Hominis, Dives in Misericordia, Salvifici Doloris, Redemptoris Missio, Redemptoris Mater, Redemptoris Custos. La risposta di Pietro alla preghiera di Gesù Pietro non comprende le parole di Gesù: nonostante l’avvertimento del Signore proclama la propria incrollabile fedeltà, la propria prontezza ad andare con lui fino alla morte. «Simone, Simone, io ho pregato per te», gli ha detto Gesù, e Pietro gli risponde immediatamente: «Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte» (Lc 22,33). Per sé sono parole bellissime, però da tutto il contesto appare chiaro che Pietro non ha dato ascolto a quanto Gesù ha detto, non ha preso sul serio l’invito a fare un passo avanti nella sua vocazione, come indicava la duplice ripetizione del suo nome fatta da Gesù. L’illusione che Pietro nutre nei propri confronti qui tocca il vertice. Non ha voluto ascoltare le parole di Gesù, pensa che il Maestro sia troppo pessimista. Matteo riporta una dichiarazione ancora più forte fatta 6 da Pietro: «Se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai… Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò» (Mt 26,31-35). Pietro confonde la propria buona volontà con la capacità di azione. Invece di dire: «Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte», avrebbe dovuto dire: «Signore, ti ringrazio perché hai pregato per me; io mi sento debole, so di avere poche forze di fronte al dolore e alla croce, stammi vicino; continua a sostenermi con la tua preghiera»; avrebbe dovuto ricordare le parole del Siracide: «Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione» (Sir 2,1). Pietro fa della promessa di Gesù, del compito che gli viene dato, un privilegio, una realtà che ormai è divenuta sua, di cui ormai può disporre, e non un dono permanente da chiedere umilmente. Gradualmente Pietro compie una certa appropriazione del dono della fede e del compito di confermare i fratelli nella fede: dimentica che la fede è un dono da chiedere continuamente e ritiene che la missione verso i fratelli è un ufficio che gli appartiene, che è ormai suo. Così Pietro prepara sottilmente la sua caduta. Se si riceve il dono della salvezza e della perseveranza con animo grato, con riconoscenza, umilmente, si è nella posizione giusta; quando si comincia ad appropriarsene come di un diritto o di una cosa ovvia, allora la situazione si capovolge. Pietro era stato invitato da Gesù a lasciarsi aiutare, a dipendere totalmente dall’aiuto di Dio; ora invece proclama la sua capacità di agire da solo. E’ difficile infatti ricevere continuamente la fede e la missione come un dono, con animo spontaneo e libero. Pietro è ingenuo nei propri confronti o forse è anche presuntuoso: non pensa che anche lui può rompere il legame di fedeltà col Signore. La fiducia in se stesso è troppo grande e invece la consapevolezza del pericolo è troppo scarsa. Benché il Signore lo abbia avvertito, dimentica che la fede è un cammino faticoso. Anziché dire: «Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte», avrebbe dovuto ripetere la grande invocazione che aveva fatto insieme con gli altri apostoli: «Accresci in noi la fede» (Lc 17,5). Oltre che presunzione, in Pietro c’è anche un altro errore: credere di avere una idea completa di chi è Dio, dimenticando che questo è impossibile, finché non si è conosciuto e accettato Gesù, il Figlio di Dio crocifisso e risorto. Pietro si dichiara disposto ad andare anche in prigione e alla morte con Gesù. Gli Atti degli Apostoli narreranno i ripetuti arresti, subiti da Pietro per amore di Gesù e del vangelo (At 4,1-3; 5,17-21; 12,3-11). Prima di restare così tenacemente legato a Gesù, Pietro deve sperimentare la caduta, seguita dal pentimento e dal perdono. Gesù lo avverte subito di questo: «Pietro, io ti dico: oggi il gallo non canterà prima che tu, per tre volte, abbia negato di conoscermi» (Lc 22,34). Il rinnegamento di Pietro (Lc 22,54-62) Il rinnegamento di Pietro è descritto accuratamente da Luca (Lc 22,54-62). In questo brano Pietro è nominato sei volte. Continua a seguire Gesù, anche dopo che egli è stato arrestato. Ma quando il cammino di Gesù diventa sempre più segnato 7 dall’ombra della croce, la distanza di Pietro dal Signore aumenta: «lo seguiva da lontano» (Lc 22,54), dice l’evangelista, alludendo a una distanza fisica, ma soprattutto spirituale. Sedutosi tra sconosciuti, forse i servi, nel cortile della casa del sommo sacerdote, Pietro non riesce a rimanere nell’anonimato: il fuoco getta luce su di lui, viene visto, scrutato, e una serva lo riconosce come discepolo del Signore. Gesù aveva detto: «Bada che la luce che è in te non sia tenebra» (Lc 11,35), ma Pietro non ricorda l’ammonimento: quella che per lui poteva essere occasione di grande testimonianza, diventa motivo di caduta. Pietro viene affrontato tre volte. Dapprima una serva, fissandolo, lo riconosce e dice: «Anche questi era con lui» (Lc 22,56). Pietro rifiuta decisamente il suo legame con Gesù e risponde: «O donna, non lo conosco!» (Lc 22,57). Successivamente si rivolgono a lui due uomini: forse qui Luca sente l’influenza della legge ebraica, la quale esigeva la conferma di due testimoni per le accuse gravi (Dt 19,15). Adesso la veemenza della negazione di Pietro acquista forza maggiore. Il primo uomo proclama l’amicizia di Pietro con i discepoli di Gesù: «Anche tu sei uno di loro!». Ma Pietro nega di nuovo decisamente: «O uomo, non lo sono!» (Lc 22,58). Il secondo uomo ritorna al legame di Pietro con Gesù: «In verità, anche questi era con lui; infatti è un Galileo» (Lc 22,59). Questa volta Pietro finge ignoranza: «O uomo, non so quello che dici» (Lc 22,60). L’accenno dell’accusatore alle origini galilee di Pietro ha una particolare amarezza: la Galilea era il luogo dove la missione di Gesù aveva avuto inizio, dove egli aveva chiamato per la prima volta i discepoli, dove Pietro aveva ricevuto la missione di diventare pescatore di uomini (Lc 5,1-11). La negazione di Pietro tronca tutti questi legami e mina le fondamenta stesse della sua identità di discepolo e di apostolo di Gesù. Con la donna Pietro smentisce di essere con Gesù, con i due uomini smentisce di appartenere alla cerchia dei suoi discepoli e il proprio coinvolgimento con Gesù: nega quindi la propria identità. Secondo l’evangelista Luca, Pietro non ricorre a giuramenti, ma nega, pone un no sulla propria storia, sul suo passato, sulla sua amicizia con Gesù e sull’appartenenza al gruppo dei discepoli radunati attorno a lui. Così dichiara di non avere nulla a che fare con Gesù, rinnega la comunità di coloro che erano con Gesù e che erano suoi fratelli. In tal modo tradisce anche se stesso e contraddice le parole con le quali proclamava di essere pronto ad andare fino alla prigione e alla morte con Gesù. Per Luca, il rinnegamento di Pietro verte sulla conoscenza di Gesù, il Signore, investe perciò la fede. Pietro smentisce perfino di conoscerlo. Come è potuto accadere tutto questo? Per paura? Per mancanza di preghiera? Per debolezza umana? Luca si limita a rilevare che Pietro fu l’unico degli Undici a diventare un rinnegatore. Qui emerge la delusione di Pietro e la distruzione drammatica delle sue illusioni. Pietro vive il momento della verità, momento che in qualche modo viene per tutti noi, in quanto egli è modello, simbolo dei discepoli. Pietro ci ricorda che siamo immensamente fragili, poveri, inadeguati. Si giunge a esclamare con sorpresa: non pensavo di essere così debole. È il momento della scarnificazione, del denudamento, della percezione della propria povertà. Spesso Dio 8 permette che un peccato ci apra gli occhi, rompa l’immagine troppo positiva o superficiale che ci eravamo costruiti di noi stessi. Questo momento di verità del cammino spirituale è importante, determinante, pur se vissuto in maniera diversa dalle singole persone. In questi momenti il vangelo appare veramente come vangelo, cioè come salvezza gratuita, salvezza per i peccatori, salvezza non solo da predicare agli altri, ma salvezza per me. Per l’evangelista Luca il rinnegamento di Pietro verte sulla conoscenza di Gesù e investe perciò la fede, l’adesione personale, la relazione col Signore. Per Luca nella vita cristiana è essenziale l’adesione a Gesù, il Signore. Conoscere lui significa convertirsi, seguire il cammino che egli ha percorso e percorrerlo come lui lo ha percorso. L’infedeltà di Pietro si gioca proprio qui: egli si allontana da Gesù, interpone una distanza tra sé e il Signore, smentendo perfino di conoscerlo. Pietro non riesce più a capire chi è Gesù, non capisce più la propria identità e quella dei suoi compagni. Per timore di essere denunciato, Pietro nega il suo rapporto con Gesù e con i discepoli che erano suoi compagni. Entrambi i rapporti erano fondamentali e lo ridiventeranno dopo la risurrezione del Signore, come ci dice il libro degli Atti degli Apostoli. Pietro era stato chiamato da Gesù perché diventasse pescatore di uomini (Lc 5,1-11); durante la cena pasquale gli era stata affidata la missione di confermare nella fede gli altri discepoli. Negli Atti degli Apostoli si dirà che Pietro ricostituisce il gruppo dei Dodici (At 1,15-16) e che sarà il primo apostolo a proclamare agli ebrei e ai pagani che Gesù è risorto (At 2,14-22; 10,1-11,18). Le tre negazioni di Pietro nel Quarto vangelo (Gv 18,17-18.25-27) Anche il Quarto vangelo narra le negazioni di Pietro, però le colloca durante l’interrogatorio che Gesù subisce davanti ad Anna (Gv 18,17-18.25-27). Prima, narrando quanto è avvenuto nel giardino in cui le guardie e i soldati sono venuti per arrestare Gesù e dove egli ha manifestato la sua autorità e la sua libertà, l’evangelista ha parlato dell’atteggiamento di Pietro. L’apostolo, sempre generoso, spontaneo, ma anche focoso, interviene per impedire l’arresto del Maestro: taglia l’orecchio di Malco, un servo del sommo sacerdote, procurandogli una mutilazione che rendeva impossibile il suo ministro. Gesù prima rimprovera Pietro, perché con quel gesto sta impedendo che si adempia la volontà del Padre. Poi parla della propria totale disponibilità a bere il calice del Padre. C’è qui un’eco della tradizione sinottica che parla del calice, ma nello stesso tempo c’è una differenza: Gesù non domanda che il calice gli venga allontanato dal Padre, ma si dichiara pronto a prenderlo volentieri. Pietro ha seguito Gesù insieme a un altro discepolo che può entrare nel cortile del sommo sacerdote, perché era da lui conosciuto; grazie a questo discepolo anche Pietro può entrare, senza alcun pericolo. Gesù all’interno è interrogato dal sommo sacerdote Anna sulla sua dottrina e sui suoi discepoli e nella risposta ha fatto appello alla testimonianza dei suoi discepoli. Fuori, nel cortile, Pietro è interrogato prima dalla portinaia e poi dagli altri presenti proprio sulla sua identità di discepolo di Gesù e Pietro nega di essere discepolo di Gesù. Pensa che affermare la propria identità di 9 discepolo in quel cortile poteva avere per lui conseguenze gravi. Pietro perciò risponde in maniera negativa e poi si ferma a scaldarsi assieme ai servi e alle guardie. La sua risposta «Non lo sono» si oppone nettamente all’affermazione «Io sono», fatta da Gesù nel giardino, davanti alla truppa venuta ad arrestarlo: nel giardino Gesù non ha esitato a proclamare la sua identità e a difendere i suoi discepoli; ora Pietro, che non corre alcun rischio reale, non si sente al sicuro e non ha nessuna intenzione di difendere Gesù e di riconoscere la propria identità di suo discepolo. Successivamente Pietro è interrogato dai presenti, in mezzo ai quali stava scaldandosi, e poi da uno di loro in particolare. Egli nega decisamente di essere discepolo di Gesù e in quel momento, secondo la predizione fatta da Gesù (Gv 13,38), il gallo canta. All’interno Gesù afferma in modo deciso di essere il rivelatore che ha parlato al mondo apertamente; all’esterno, nel cortile, Pietro, uno dei discepoli di Gesù, nega di essere un suo seguace: non nega di conoscere Gesù, come invece narrano i sinottici, ma nega la propria identità di discepolo. Possiamo dire che mentre Gesù si presenta come il rivelatore del Padre, all’interno è rifiutato dalle autorità ebraiche e all’esterno è rifiutato da uno dei suoi discepoli. La passione e morte di Gesù nel Quarto vangelo è considerata principalmente come il vertice della rivelazione da lui portata. Anche il rifiuto degli uomini fa parte della tematica centrale del racconto della passione e morte di Gesù. L’evangelista Giovanni non dice nulla sul ravvedimento di Pietro, perché questo emergerà nel dialogo con il Risorto sulla riva del lago di Tiberiade (Gv 21,15-19). Lo sguardo di Gesù e il pianto di pentimento di Pietro Mentre le negazioni di Pietro si susseguono, Luca annota il passare del tempo: «Passata circa un’ora» (Lc 22,59). Viene notato il trascorrere del tempo, fino all’adempimento della profezia fatta da Gesù: «Pietro, io ti dico: oggi il gallo non canterà prima che tu, per tre volte, abbia negato di conoscermi» (Lc 22,34). Luca sottolinea che questa profezia si avvera mentre la terza negazione è ancora sulle labbra di Pietro: «E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò» (Lc 22,60). Nel vangelo secondo Matteo e secondo Marco il canto del gallo scuote la memoria di Pietro e gli ricorda quello che Gesù aveva detto (Mt 26,75; Mc 14,72). Luca invece introduce un nuovo elemento, altamente significativo. Gesù, che si trova nello stesso cortile di Pietro, si rivolge a lui e lo guarda silenziosamente: «Allora il Signore, si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto» (Lc 22,61). Non è il canto del gallo a scuotere Pietro, ma è lo sguardo di Gesù che si posa su Pietro a provocare in lui il riconoscimento del suo peccato e il pianto di pentimento che gli consente di riprendere il cammino della sua vocazione. L’alleanza tra Gesù e Pietro era stata profondamente incrinata; essa viene sanata non dal canto del gallo, ma dal Signore stesso il quale, legato, si rivolge a Pietro, a sua volta spaventato, e restaura per grazia la relazione con lui. Luca usa sette volte nel suo vangelo il verbo «voltarsi» e il soggetto è sempre Gesù (Lc 7,9.44; 9,55; 10,23; 10 14,25; 22,61; 23,28). Anche negli Atti degli Apostoli il verbo ha un senso non solo fisico, ma teologico (At 7,39.42; 13,46). Gesù si volta verso Pietro, penetra nella sua debolezza, ripristina il legame di amore che egli aveva calpestato, gli provoca il ricordo del precedente ammonimento e della promessa che lo accompagnava, lo induce al pentimento. Il rendersi conto del peccato commesso strazia il cuore di Pietro, che versa lacrime di pentimento: «E uscito fuori, pianse amaramente» (Lc 22,62). L’intero passo diventa così il racconto della caduta di Pietro e anche del perdono che egli ottiene, del suo rinnegamento e anche della sua conversione, del suo allontanamento e anche del suo ritorno. La conversione è il dono che Pietro accoglie dalla misericordia del Signore; il suo ritorno è reso possibile dal fatto che il Signore si rivolge a lui e inizia proprio in quel momento. Gesù si volta verso Pietro (Lc 22,61) e Pietro si ravvede, ritorna a lui, come Gesù gli aveva annunciato (Lc 22,32). Lo sguardo del Signore provoca in Pietro il ricordo della parola che aveva detto e provoca quindi il pentimento. Pietro, uscito fuori, pianse amaramente: questo pianto di vergogna e di pentimento per il proprio peccato è generato dallo sguardo del Signore, che è sguardo di misericordia e di amore. Il pianto di Pietro è perciò pianto di compunzione di fronte al perdono che già gli è stato dato. Il perdono di Gesù precede e suscita il pentimento di Pietro. Commenta Beda, il Venerabile: «Il Signore fissa il suo sguardo su Pietro e questi, tornato al suo cuore, lava con lacrime di penitenza il peccato del rinnegamento: la misericordia di Dio infatti è necessaria non solo quando la penitenza è già avvenuta, ma proprio perché avvenga. Infatti il guardare del Signore significa fare misericordia». Il pianto di Pietro è così un linguaggio che esprime la conversione, un atto di perdono verso se stesso, il desiderio di ricostruire la relazione infranta. Nel pianto Pietro riconosce il proprio fallimento e confessa Gesù come Signore con tutto se stesso, anima e corpo, in un coinvolgimento radicale di tutto il proprio essere, accetta che egli vada alla morte per lui e per tutti gli uomini. Davanti al volto di Gesù, che si rivolge a lui attestandogli la sua fedeltà, Pietro piange, sentendo su di sé, peccatore e infedele, lo sguardo di misericordia del Signore. Anche il pianto per i propri peccati è per Pietro dono di grazia. Conoscendosi amato nel proprio peccato, Pietro accede alla beatitudine di coloro che piangono (Lc 6,21), ed è singolarmente vicino a quella donna peccatrice, che si era posta ai piedi di Gesù e aveva pianto, manifestando il suo amore e la sua grande fede nel Signore (Lc 7,47-50). Conclusione Nella prova Pietro rischia di venire meno, ma grazie alla preghiera fatta dal Signore per lui, egli ricorda la sua parola di ammonimento e questo ricordo genera in lui il riconoscimento di essere un peccatore. Così, anche nel peccato, Pietro non perde del tutto la fede, ma riesce a cogliere lo sguardo di perdono del Signore e a mettersi dietro a lui. «Una volta convertito, non deviò dal suo fine, ma ottenuto il perdono del peccato, rimase fedele discepolo» (s. Cirillo d’Alessandria). Pietro ritorna e riprende 11 la sequela che probabilmente lo ha portato con gli altri Undici a essere presente, seppure di lontano, alla morte di Gesù. Questo, infatti, sembra implicito nelle parole di Luca al momento della crocifissione e morte di Gesù: «Tutti i suoi conoscenti stavano da lontano a guardare tutto questo» (Lc 23,49). Così la storia di Pietro è per Luca la illustrazione ideale dello scopo per il quale Gesù è venuto tra noi: «Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano» (Lc 5,32); «Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10). Inoltre secondo Luca è essenziale, per colui che ha un compito di presidenza nella comunità e che deve fortificare i fratelli, la confessione della propria debolezza. «Il primo discepolo è stato tentato, per diventare il medico di coloro che sono feriti» (s. Efrem). Pietro ha vissuto la difficoltà di comprendere la croce del Signore, ha attraversato un momento di eccessiva sicurezza in se stesso e di presunzione nelle proprie forze. In questa situazione è passato per tutti noi, per tutta la Chiesa. Se vuole evangelizzare e confermare nella fede i fratelli, Pietro deve prima accettare e annunciare la croce di Gesù, deve avere una comprensione della misericordia infinita del Signore nei propri confronti, deve avere una capacità di compassione per la debolezza dei suoi fratelli. Pietro può confermare i fratelli, quando capisce che la croce del Signore non è da respingere, ma è il segno massimo dell’amore, della salvezza, della vicinanza di Dio a lui e ad ogni uomo. Pietro può confermare i fratelli quando, dopo aver pianto il proprio peccato, giunge a capire la potenza della misericordia di Dio che avvolge l’intera vita di tutti gli uomini. La missione di Pietro e di ogni altro discepolo del Signore consiste nell’accogliere e nell’annunciare la croce salvifica di Gesù, nel riconoscere i propri peccati, nello sperimentare la misericordia di Dio e proclamarla a tutti. Per essere ministro di riconciliazione, il prete ha bisogno anzitutto di sentirsi a sua volta riconciliato, di sperimentare come Pietro il perdono del Risorto. Il perdono di Dio, svelato dalla croce e soprattutto dalla risurrezione di Gesù, è la suprema garanzia della vita e della storia ed è la prima ragione della speranza. Il peccato non è la realtà ultima, perché è superato dal perdono di Dio. Siamo stati abituati a confrontarci con Gesù, buon pastore, che dà la vita per le pecore, al punto che dimentichiamo che anche noi siamo guaritori a nostra volta feriti e guariti, perché alla nostra debolezza è venuto incontro Gesù. È questa l’esperienza che farà Pietro sul lago di Tiberiade, quando incontrerà il Risorto e per tre volte gli è ricorderà che era amato e perdonato. L’amore che Gesù vuole da Pietro non è l’amore di chi è stato innocente, ma è l’amore di chi è perdonato, di chi si sente riconciliato. Su tale amore si costruisce il ministero pastorale di Pietro. 12