Presentazione - BOVISIO MASCIAGO, pagine di Storia

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Corso: COSTITUZIONE E DIRITTI UMANI
INTRODUZIONE
(I concetti fondamentali)
Vi sono tanti modi di leggere la storia dell’uomo: lo possiamo fare attraverso lo
studio delle società umane, lo studio della tecnologia, dell’economia, della
conoscenza, lo studio del diritto.
In questo corso ci occuperemo di una questione fondamentale che nel corso di
alcuni millenni ha cambiato la percezione che l’uomo ha del rapporto con gli altri
uomini e con sé stesso.
Cosa significa convivere con gli altri ed ottenere dagli altri il riconoscimento della
propria dignità di uomo, su quali leggi si fonda il rapporto relazionale che lega
ognuno di noi con il proprio simile, il contratto che nascendo abbiamo stipulato con
la società, su quali basi si fonda la necessità della legge? Ed esiste una differenza
tra legge e diritto?
Cosa sono questi ‘diritti umani’ dei quali se ne parla in quasi ogni consesso
internazionale, per sottolinearne l’importanza o per denunciarne le continue
violazioni da parte dei governi che li calpestano?
Cosa sono e su cosa si fondano le Costituzioni, e perché mai abbiamo dovuto
attendere il XIX e il XX secolo per ottenerle?
Domande che ci interrogano sul grande cammino che l’umanità ha compiuto sulla
strada della sua emancipazione e della sua libertà.
In questo corso parleremo dunque di diritti umani e di Costituzioni. Quindi ci
addentreremo, con cautela, nel vastissimo campo del diritto e della legge,
affronteremo alcuni temi di filosofia del diritto, ci interrogheremo su come si è
storicamente sviluppato il concetto di democrazia nell’Atene del V° secolo a.c.,
chiariremo a noi stessi il significato più profondo del concetto di ‘giustizia’ e ci
addentreremo nella nostra storia nazionale per comprendere il percorso storico
che ci ha condotto prima alla repubblica e poi alla Costituzione.
In questa prima lezione ci interrogheremo sul concetto di ‘diritti umani’, sulla loro
evoluzione nel tempo e su una loro possibile classificazione.
Affronteremo inoltre un tema di carattere giuridico, la differenza tra diritto e
legge, tra ius e lex, che è antico quanto è antica la democrazia ateniese del 500
A.C.
Finiremo con la distinzione tra principi e valori ed infine sul significato del termine
Costituzione.
Cosa sono i diritti umani?
Possiamo definire i diritti umani come ‘principi’ fondanti dell’Occidente e delle
Costituzioni europee, nate attraverso un lungo processo storico di formazione degli
stati liberal-democratici. Principi e valori che oggi sono riconosciuti a livello
internazionale attraverso Convenzioni, trattati, adesioni alla Carta delle Nazioni
Unite e così via.
Oggi, il mondo dispone quindi di precetti internazionali sui diritti umani che
impongono ai governi un certo tipo di comportamento, un certo tipo di azioni, e
agli individui la possibilità di alzare la voce se quei diritti vengono negati.
Il lungo corso della storia ha permesso ai diritti umani di estendersi in misura
considerevole e il campo dei diritti è divenuto vasto, molto vasto.
Una prima grande distinzione la possiamo compiere tra i diritti ‘civili’,
‘politici’, i ‘diritti economico-sociali’.
i diritti
I diritti civili, le libertà civili, sono quegli spazi ‘liberi’ che i governi devono
concedere ai propri cittadini senza interferire nella loro sfera privata. Sono il diritto
alla vita e alla sicurezza, alla vita ‘famigliare’, alla proprietà, la possibilità di
manifestare la propria opinione politica o la propria fede religiosa. La possibilità di
riunirsi pacificamente, di ottenere giustizia in caso di abusi, di avere un processo
equo e di non essere sottoposti a misure arbitrarie da parte dello Stato.
I diritti politici consistono nel diritto dell’individuo a concorrere , da solo o con altri
(pensiamo ai partiti politici) alla organizzazione dello Stato. E, dunque, il diritto di
associarsi, di formare organizzazioni e partiti politici, di partecipare alle elezioni, di
candidarsi a cariche elettive.
I diritti economico-sociali, invece, sono quei diritti che l’individuo avanza nei
confronti dello Stato per ovviare alle diseguaglianze sociali, agli squilibri
economici, alla svantaggi causati dalla natura, all’avanzamento dell’età. Il diritto
alla salute, il diritto all’istruzione, ecc.
Mentre per le prime due serie di diritti (civili e politici) il soddisfacimento della
richiesta deve essere immediato (non si può rimandare al domani o ad altri tempi
il diritto alla libertà individuale o il diritto al voto), i diritti economici-sociali,
richiedono necessariamente tempi più lunghi che dipendono dalle condizioni
economiche del Paese, dal diritto al lavoro, alla sicurezza sociale e così via.
Le norme internazionali non contemplano soltanto i diritti dei singoli ma anche
quelli più generali dei popoli e delle minoranze. Ai popoli spetta il diritto di
autodeterminarsi, di scegliere liberamente il proprio ‘status’ internazionale, di
darsi il governo da essi ritenuto più conforme alle aspirazioni popolari.
E’ facile comprendere come sotto l’ombrello dei diritti, civili, politici, economicosociali, internazionali, la galassia dei diritti umani sia destinata sempre più ad
estendersi.
Se poi teniamo conto delle incessanti innovazioni tecnologiche che portano sul
tavolo del dibattito questioni come quelle di bioetica (basti pensare alla questione
della vita e della morte, alle mutazioni transgeniche, ecc) , possiamo affermare
che il campo dei diritti sia un campo in continua evoluzione, un work in progress,
dove però fondamentale appare il fine, la meta: garantire o, meglio, accrescere la
salvaguardia della dignità umana
Quindi una gamma ampia di diritti che nascono e si affermano lungo il corso della
storia, che vengono codificati attraverso una legge scritta, a partire da quel codice
di Hammurabi che resta una pietra miliare nella storia umana e nella storia del
diritto.
Perché miliare?
Perché fissa, attraverso la legge scritta, i principi fondamentali sui quali si deve
reggere una società, anche se antichissima come quella babilonese.
Nel momento in cui alcune norme, ed ora non ci interessa quali esse siano,
vengono scritte e quindi codificate, si afferma il primato della legge scritta sulla
legge orale e si inizia un cammino lunghissimo che giunge ai nostri giorni, con i
nostri codici civili, penali, di procedura. Con Hammurabi prende vita la legge
‘positiva’, la legge scritta, la ‘lex, di romana memoria.
E questa lex, se la leggiamo alla luce dei diritti umani, è davvero un primo passo,
fondamentale, per fuggire da quella legge aleatoria, sommamente soggettiva e
quindi approssimativa, che era rappresentata dalla legge orale.
Quando la norma scritta viene promulgata da chi detiene il potere di farlo, e non
importa ora chi sia il detentore di quel potere, questa ha valore ‘erga omnes’, su
tutti, e quindi rappresenta già di per sé un primo anche se elementare principio di
eguaglianza tra coloro che sono assoggettati alla legge.
E nel preciso istante nel quale la norma, questa legge che chiameremo ‘positiva’,
viene promulgata, essa assume altresì un altro carattere, quello della legalità.
‘Legale’ perché emanata dall’organo, sia esso il re, il principe, il signore feudale, il
parlamento costituzionale, che ha il potere, la forza, per poterla redigere.
Abbiamo così definito due importanti aspetti giuridici: quello della legge positiva e
quello della legalità.
Vorrei ora introdurre altri due concetti , fondamentali e imprescindibili per lo
studio e la conoscenza storica dei diritti umani. I concetti di diritto e di legittimità.
Nelle nostre università, molto spesso, si identifica la legge con il diritto o, meglio,
alla parola legge si associa immediatamente la parola diritto.
Noi possiamo però avanzare una distinzione che non è solo di stile ma di sostanza.
Quando Mosè, sul monte Sinai, riceve le Tavole, la legge scritta su tavole di pietra
perché restasse indelebile nei tempi, non riceve una legge qualsiasi, una serie di
norme valide per un tempo determinato e dunque suscettibili di cambiamento.
Mosè, come scrive San Paolo, riceve uno strumento pedagogico, una identità, una
coscienza, una linea di condotta generale pur se applicabile solo al popolo ebraico.
Mosè riceve in quell’occasione non un insieme di leggi astratte ma un decalogo di
comportamento umano, il fondamento della convivenza. Possiamo dire di più:
Mosè riceve un metro di giudizio, un parametro atto a farci comprendere se il
comportamento umano, se la legge ‘umana’ è giusta o ingiusta, legittima o
illegittima.
Quello strumento, questa legge ‘superiore’ scritte sulle tavole di pietra, in parole
diverse, costituisce l’insieme delle norme immutabili che regolano la vita dei
membri di una società. Quella legge ‘speciale’ precede la legge ‘normale’, la legge
positiva, in quanto è una legge che appartiene a tutti gli uomini e che nessuno,
neppure la legge normale, quella positiva, può disattendere. In altre parole, gli
uomini hanno dei diritti che precedono, stanno sopra gli obblighi della legge.
Quelle tavole sono allora qualcosa di più di una legge comune perché
rappresentano l’ethos, l’etica, cui l’uomo e la società dovrebbero tendere.
Noi possiamo allora chiamare quell’ethos, quella legge suprema, con un nome
diverso. La possiamo identificare nel ‘diritto’, nello ius romano, in quanto
composto da principi eterni, scritti o non scritti ma comunque non modificabili
perché inscritti nella natura umana. In altre parole, il diritto o ius corrisponde ad
un comune sentire, al sentimento condiviso di un popolo che affonda le sue radici
nella storia, nei costumi, nelle tradizioni, nella religione. E’, in ultima analisi, il
prodotto ‘etico’ di una cultura condivisa. Possiamo quindi leggere lo ius, il diritto,
come un prodotto dipendente dalla storia e dalla cultura di un popolo.
E’ il diritto , che sta sopra la legge positiva, che conferisce dignità alla legge
stessa.
Abbiamo prima detto che la legge emanata da chi detiene la forza legislativa
assume automaticamente l’attributo di ‘legalità’.
Ma sarà soltanto nel caso in cui la legge positiva, la lex, rispetta il diritto, lo ius,
che la legge potrà vantarsi anche dell’attributo di ‘legittimità’.
Oltre che essere legale, la legge, per essere legittima, dovrà quindi obbedire al
diritto, riconoscersi cioè in quei principi e valori immutabili che formano la
coscienza e la cultura di una nazione.
Da ciò ne consegue che la legge, di per sé, non è sempre legittima. Sarà legale ma
non sempre legittima semplicemente perché è il diritto, la coscienza collettiva e
sociale, il comune sentire, a stabilire se una legge è giusta o ingiusta, buona o
cattiva.
Facciamo un esempio.
Le leggi razziali che nella Germania nazista portano alla tragedia dell’olocausto,
sono senza ombra di dubbio ‘legali’ in quanto emanate dalla competente autorità
statale.
Ma rispondono a quell’idea di diritto inteso come ‘etica’, come legge umana o
come legge ‘naturale’? quelle leggi razziali sono legittime?
Così come la legge, la lex, quando diventa norma scritta, assume il nome di legge
positiva o ‘diritto positivo’, il diritto, lo ius, può essere inteso come ‘diritto
naturale’.
L’una, la legge, conferisce legalità alla norma. L’altro, il diritto, conferisce alla
norma legittimità. Non sono la medesima cosa.
C´è un dialogo classico tra Alcibiade e Pericle, riferito da Senofonte, che ci fa
pensare. Il discepolo chiede al maestro, semplicemente: che cosa è la legge?
Pericle risponde: ciò che l´assemblea ha deciso e messo per iscritto. Anche la
sopraffazione, decisa e messa per iscritto? No, questa non sarebbe legge. È legge
solo quella che riesce a “persuadere” tutti quanti, il resto è solo violenza in forma
legale.
Come si vede la discussione su questo tema è tanto antica quanto seria.
Ma su questa distinzione, che rimane fondamentale per tutto il corso, torneremo la
prossima volta in modo più approfondito.
Abbiamo visto che lo ius rappresenta, per così dire, l’anima del diritto, l’etica e la
morale cui l’uomo dovrebbe far riferimento ed è un prodotto ‘culturale’ della
società cui fa riferimento. In altre parole è il contenitore che racchiude in sé i
principi e i valori fondanti di una società.
Quest’ultima parte della lezione la intitolerei così:
Principi e valori alla resa dei conti.
Compiano un ulteriore passo in avanti. Abbiamo parlato di principi e valori. Ma
cosa sono i principi e i valori, ed ancora, esiste una differenza tra valori e principi
o sono entrambi la medesima cosa?
Anche in questo caso, come nell’identificazione errata della legge come diritto, i
principi e i valori sono usati indifferentemente mentre, in realtà, sono concetti
profondamente diversi.
Non esiste un decalogo di valori distinto da un decalogo dei principi.
Esiste, invece, un catalogo di beni, beni etici, beni morali: la pace, la vita, la
salute, la sicurezza, l’eguaglianza, la giustizia, la libertà, il benessere, eccetera.
E questi ‘beni’ possono dar vita a due atteggiamenti morali diversi, o addirittura
sotto certi aspetti, opposti perché noi possiamo diversamente interpretare e
leggere questi beni alla luce dell’etica dei valori o alla luce dell’etica dei principi.
Cerchiamo ora di approfondire e proviamo a ‘leggere’ questi beni alla luce
dell’etica del ‘valore’.
Il valore, è la stessa parola che lo conferma, è qualcosa che deve valere nel tempo
e per sempre. Il valore è un dogma, il suo perseguimento presuppone una fede.
E’, potremmo dire, un bene ‘totalizzante’, assoluto. Il dogma è la verità e, come
vedremo nelle lezioni successive, il dogma è l’antitesi della democrazia e della
tolleranza.
Se il bene della libertà, o dell’eguaglianza, o della giustizia, è un ‘valore’, allora
questo ‘bene’ morale, questa verità che come tale non permette compromessi,
diventa un obiettivo che chiede di essere totalmente realizzato. In parole diverse,
questo bene è un dogma, un fine per la cui realizzazione qualunque azione è
permessa, autorizzata. In altre parole ancora, estremizzando, siamo di fronte ad
un fine che giustifica il mezzo.
Facciamo alcuni esempi.
Se il valore di riferimento è la libertà individuale opererò, non importa come, per
raggiungere quel fine, quel valore, quella verità, con qualunque mezzo che lo
possa giustificare, a scapito di altri beni, di altri valori, come quelli
dell’eguaglianza, della giustizia sociale o della protezione del più debole.
Se il mio valore è la pace, sarò disposto anche a fare la guerra per raggiungere
quel fine.
Il più nobile dei valori può così giustificare la più ignobile delle azioni.
La massima dell´etica dei valori, infatti, è: agisci come ti pare, in vista del valore
che affermi.
Che poi il fine sia raggiunto, e quale prezzo sia stato necessario pagare, è un´altra
questione e, comunque, la si potrà esaminare solo a cose fatte.
Se, ad esempio, una guerra preventiva promuove pace, e non alimenta altra
guerra, lo si potrà stabilire solo dopo, a cose fatte e, secondo i casi, a tragedie
avvenute.
I valori, proprio perché ognuno di essi ha la medesima valenza, come abbiamo
visto, spesso entrano in conflitto tra loro. A meno che non si operi una sorta di
condizionamento, di ridimensionamento del valore in conflitto. Il che conduce ad
un tradimento, anche se parziale, del valore perseguito.
Per questo, si è parlato di “tirannia dei valori” e, ancora per questo, chi
integralmente si ispira all´etica del valore finisce spesso nel campo del dogma e
dell’intolleranza.
E’ questo ancora, è uno dei motivi per i quali lo stato ‘etico’ è, di per sé stesso,
uno stato totalitario e non democratico.
Il principio, invece, è qualcosa di diverso rispetto al dogma. Il principio è qualcosa
che deve avere inizio, un bene iniziale di riferimento che, a differenza del valore,
non autorizza ogni cosa, non deve raggiungere una ‘verità’.
La massima dell´etica dei principi è: agisci in ogni situazione particolare in modo
che nella tua azione si possa riflettere il principio da cui sei partito.
Infine, i principi non contengono una necessaria propensione totalitaria perché,
quando occorre, quando cioè una stessa questione ne coinvolge più d´uno, essi
possono combinarsi, equilibrarsi, in maniera tale che ci sia un posto per tutti senza
tradimenti o limitazioni.
Cosa significa?
Significa che i principi, come si dice, possono bilanciarsi. Chi ragiona ed agisce
“per principi” si trova nella condizione di colui che è sospinto da forze morali che
gli stanno alle spalle e queste forze, spesso, sono più d´una. Ciascuno di noi
aderisce, in quanto principi fondamentali, alla libertà ma anche alla giustizia, alla
democrazia ma anche all´autorità, alla clemenza e alla pietà ma anche alla
fermezza nei confronti dei delinquenti: principi in sé opposti, ma che si prestano a
combinazioni e devono stare insieme. Chi si ispira all´etica dei principi sa di dover
essere tollerante, equilibrato e aperto alla ricerca non della giustizia assoluta, ma
della giustizia possibile, quella giustizia che spesso è solo la minimizzazione delle
ingiustizie.
Ricordate la domanda di Alcibiade a Pericle sulla legge? Anche la sopraffazione
messa per iscritto è legge?, chiede Alcibiade. NO, risponde Pericle, questa non è
legge. E’ legge solo quella che riesce a persuadere. Il resto, conclude Pericle, è
violenza.
Chi professa valori assoluti, il dogma, non si propone di persuadere ma di imporre:
tutto o niente, bianco o nero, lecito o illecito, vietato o permesso. Chi ragiona per
principi può invece sperare di essere persuasivo; naturalmente a condizione che si
sia ragionevoli, mai fanatici.
Possiamo quindi affermare che se il valore è assoluto, il principio è pluralistico. Se
il valore è totalitario, il principio è democratico.
Dipende da noi, dal come ci accingiamo a leggere quel decalogo di beni morali ed
etici, se quel bene diverrà principio o valore.
Dipende da noi credere nella struttura assolutistica del valore o in quella più
democratica dei principi.
Fatte queste premesse, in cosa consistono le Costituzioni, cosa sono?
Il ‘900 è il secolo della sconfitta del diritto, dello ius, ossia del diritto inteso come
coscienza di un popolo, come decalogo di precetti etici o morali. Sconfitta di quel
‘diritto’ ancora incerto ed eccessivamente elastico che stava alla base delle
Costituzioni e degli Statuti del XIX secolo.
I pogrom, le camere a gas, i gulag, sono i simboli di questo fallimento. Fallimento,
in primo luogo, rappresentato dalla scomparsa, per un lunghissimo periodo di
tempo, dei diritti umani.
All’indomani del secondo conflitto mondiale, ben riassunto da oltre 50 milioni di
morti, serviva una legge dotata di forza e di valore superiore alla legge ordinaria,
che tenesse conto dell’esperienza storica e superasse, per così dire, con una legge
scritta gli equivoci e la sconfitta del diritto naturale.
Questa legge superiore la si è individuata nelle moderne carte costituzionali cui ci
si è affidati riscrivendo, per così dire alla luce della complessità delle società
moderne, quelle tavole della legge di biblica memoria.
Le Costituzioni, oggi, sono cataloghi di diritti inviolabili e principi di giustizia
inderogabili.
Alcuni dei diritti contenuti trovano fondamento nei diritti fondamentali dell’uomo
(la vita, la libertà), altri sono diritti cresciuti all’ombra della storia o cresciuti nelle
battaglie di progresso del genere umano.
Rimane una domanda: sono sufficienti le Costituzioni ad impedire la violazione dei
diritti umani, ad impedire che qualcuno le violi, le sospenda, le modifichi?
A questa domanda non vi è risposta. Perché le Costituzioni, come il diritto, come
la legge, possono sì costituire una garanzia, ma non l’ultima garanzia, solo la
penultima.
L’ultima garanzia è la coscienza di un popolo, la sua cultura, la sua sovranità.
La scommessa delle Costituzioni è quella di essere una legge e, nello stesso tempo
di recepire lo spirito dello ius, lo spirito del diritto.
Se le Costituzioni diventano forze culturali, cultura politica diffusa, allora i pericoli
di una loro violazione diminuiscono e la tutela dei diritti umani si rafforza.
Avremo modo nelle prossime lezioni di approfondire ulteriormente questi concetti.
Per il momento ci basti dire che, come è stato detto, le costituzioni sono ciò che ci
siamo dati quando eravamo sobri a valere per i momenti in cui ci ritroviamo
sbronzi.
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