X---_ MEN E BIOETICA Angelica Dragone, Laura di Carpegna, dott. Fabrizio di Pietro, Matteo Grando, Saverio Romani Supervisione del lavoro: prof.ssa Isabella D'Isola IL CONCETTO, LE FIGURE E LE TEMATICHE Il concetto fondamentale è che gli X Men sono post-umani, ma non sono un progetto e un prodotto dell’uomo. Gli X Men rappresentano infatti un’immagine ipotetica dell’umanità nel futuro. Questa umanità ha seguito un percorso naturale e non forzato che ha portato ad aumento imprevedibile del suo potere. Dal momento che l’evoluzione è avvenuta in tempi rapidi, si può parlare di “salto evolutivo”. Le figure più interessanti da analizzare sono Xavier e Mangeto. Costoro rappresentano due ideali contrapposti di evoluzione. Entrambi possiedono infatti il controllo totale delle proprie capacità, ma il primo sostiene che queste vadano utilizzate per il bene dell’intero pianeta (intravede un possibile rapporto simbiotico fra umano e post-umano), il secondo ritiene invece che il nuovo anello della catena evolutiva debba necessariamente dominare o eliminare quello precedente. La trilogia degli X Men (in particolare il terzo capitolo) offre interessanti spunti di carattere scientifico. È possibile ad esempio ragionare sulle tematiche della modificazione genetica, sulle capacità e limiti dell’esperimento scientifico e sulla relazione tra scienza e tecnologia. Nel terzo film infatti gli esseri umani decidono di intervenire sul corpo dei mutanti attraverso un farmaco (la “cura”) per eliminarne le caratteristiche “anormali” e arginare l’imprevedibilità di questa parte di popolazione. I film sono inoltre ricchi di tematiche filosofiche ed etiche. Citiamo fra queste la discussione su quale etica sia applicabile per il post-umano e la questione della “cura” per una malattia intesa come non conformità agli standard posti (più o meno esplicitamente) dagli esseri umani. Spesso queste tematiche rimangono “aperte” e le domande non hanno una risposta chiara ed univoca. Questo aspetto permette di riprendere le domande irrisolte e sviluppare in classe una discussione produttiva. Ad esempio, sono forniti vari punti di vista per quanto riguarda la questione della cura. Magneto ritiene infatti che i mutanti stessi siano una cura per il “virus essere umano”, Tempesta pensa che il rinunciare alle proprie caratteristiche mutanti sia snaturare parte della propria identità mentre Rogue (che non può toccare altri organismi senza assorbirne le energie) decide di curarsi per sfuggire ad una vita priva di contatti fisici. FASI DI LAVORO: 1) Presentazione dei film, concentrandosi particolarmente sul terzo capitolo 2) Visione della I sequenza relativa al racconto del professore sulla popolazione mutata (I film). La frase cardine è: “l’evoluzione è un processo lento e graduale che lentamente modifica gli organismi viventi. Ma ogni qualche migliaio di anni, l’evoluzione compie un balzo in avanti”. 3) Dopo la visione della sequenza : Definizione di post-umano e transumano. Teoria evolutiva degli equilibri punteggiati. Che cos'è un gene? Che cosa significa il progetto genoma? Che cosa sono le modificazioni genetiche? Che cos'è un clone? Che cos'è una chimera? Prove storiche di eugenica. L’evoluzionismo o meglio il neo- evoluzionismo è l'unico sfondo teorico a cui si fa riferimento in ambito scientifico? In ambito non scientifico quali sono le teorie che vengono contrapposte al neo-evoluzionismo? Che cos'è il determinismo biologico? Critica del linguaggio comune che utilizza implicitamente la visone del determinismo genetico. 4) Visione della II sequenza; questione della “cura”. Gli umani trovano il modo di sopprimere la mutazione, considerata come “una disfunzione nel normale funzionamento delle cellule”. 5) Dopo la visione della sequenza: Interruzione dell'evoluzione determinata dall'intervento dell'uomo. Questione dell'imprevedibilità delle conseguenze dovute alle mutazioni. Riflessione sul nuovo significato di esperimento scientifico. La questione della responsabilità storica dello scienziato. L'industria farmaceutica e la prevenzione delle malattie: il concetto di prevenzione. I diritti del malato. La crisi o la fine del consenso informato. 6) Visione III sequenza: Un medico dichiara l'impossibilità di duplicare il genoma del bambino grazie al quale si è potuto trovare l’antigene mutante. 7) Dopo la visione della sequenza: Riflessione sui limiti e sugli errori della scienza. La scienza come sistema autocorrettivo. Scienza e tecnologia : un sodalizio molto precario. Riflessione sul concetto di cura che è legato a quello di malattia intesa come non conformità agli standard stabiliti dagli umani. La non onnipotenza della scienza: la scienza vuole sostituirsi a dio? Chi sostiene tale posizione? 7) Visione della IV sequenza: il professore e gli allievi discutono di etica. Xavier afferma che qualsiasi individuo dotato di un potere ne è responsabile e deve chiedersi come utilizzarlo (se a suo esclusivo beneficio, per il bene di tutti o per il bene di qualcuno). Una studentessa obietta che l’etica, secondo Einstein, è una prerogativa squisitamente umana e si chiede se sia valida anche per non-umani (post-umani come gli X-Men). La sequenza è lasciata volutamente aperta: il professore non da una soluzione definitiva. 8) Dopo la visione della sequenza: UMANO NATURALE O UMANO ARTIFICIALE? Nel postumano quale etica? Esiste un'unica etica valida universalmente? Etica laica e etiche religiose a confronto: il principio di autorità, presupposto del potere. La qualità della vita e la sacralità della vita. L'autonomia e la eteronomia della vita. Il manifesto di bioetica laica: il principio di benevolenza, tolleranza ecc. 9) Divisione in gruppi di lavoro: vengono simulati quattro comitati di bioetica presenti in un ospedale che discutono a partire dalle informazioni e dalle problematiche sopra esposte, tenendo come asse centrale la questione del potere che dà la conoscenza e quindi della responsabilità che da ciò discende. Dopo aver enucleato 4 temi, si fanno scrivere le risoluzioni che i comitati hanno preso, seguendo le modalità di lavoro dei comitati reali, pensandoli però proiettati in un mondo già in parte modificato (come nel film).E' necessario quindi informarsi sul funzionamento (competenze, ruoli, operatività ecc.) dei comitati attuali. I comitati dovrebbero deliberare sulla possibilità di svolgere un intervento di ingegneria genetica (inventarsene uno) a partire dalle seguenti riflessioni : si può porre un limite alla ricerca scientifica? creazione di individui geneticamente modificati: è opportuno? se no, perché (in base a quali valutazioni scientifiche ed etiche) se sì, perché e con quali diritti per gli androidi, robot, cyborg qual è la concezione del corpo sottesa a tali interventi? Quale concezione della relazione con la mente? Che cosa può fare il diritto nella situazione attuale? Ma quale diritto per corpi mutati e con pezzi di ricambio? Questa sarebbe l'ultima fase del lavoro: viene riprodotto il tema del film, ovvero la modificazione o meno di esseri umani , in base a diverse prese di posizioni: sarebbe interessante che i 4 comitati deliberassero in modo diverso. Per fare tale simulazione è indispensabile conoscere il funzionamento dei comitati etici degli ospedali. 9a) In alternativa, la fase laboratoriale consiste nella riproduzione della discussione in classe simile a quella proposta da Xavier ai suoi studenti. Si può proporre di riscrivere la sceneggiatura della parte del film relativa al dialogo in classe fra professore e studenti, con un altro finale o più finali diversi. 10) Raccolta e riflessione sulle conclusioni dei ragazzi. COS’E’ UN GENE Fin dai primi studi di genetica (Mendel), il termine gene ha assunto il significato di “unità all’origine dell’ereditarietà”. Mendel, infatti, dimostrò empiricamente che i caratteri di un individuo vengono trasmessi come unità separate e passano da una generazione all’altra in modo indipendente. Il gene, insomma, contiene un’informazione unica e particolare, che struttura e caratterizza un organismo. Con l’avanzare degli studi sulla cellula, l’origine di questo meccanismo di ereditarietà venne collocato all’interno del nucleo, e in particolare in quelle strutture denominate cromosomi, ben visibili durante il processo di duplicazione di una cellula. Oggi, sappiamo che i cromosomi sono costituiti da proteine e da un composto organico: il DNA. Il DNA (acido desossiribonucleico) è chimicamente definito come un polimero formato dall’unione di particolari strutture dette nucleotidi. Un nucleotide è composto da una base azotata, uno zucchero, cinque atomi di carbonio e un gruppo fosfato. Esistono quattro tipi diversi di nucleotidi, che differiscono nella composizione solo per quanto riguarda la base azotata. Infatti, le basi dei nucleotidi possono essere quattro: adenina (A), guanina (G), citosina (C) e timina (T). Il DNA è stato per la prima volta isolato nel 1869. Nel 1953, Watson e Crick proposero l’ormai noto modello “a doppia elica”, ormai universalmente accettato. È noto che la funzione principale del DNA è importantissima: esso contiene tutte le informazioni biologiche necessarie per la costruzione e la vita delle cellule. Grazie a queste scoperte, il termine gene ha assunto un nuovo importante significato. Oggi, infatti, per “gene” si intende quel tratto di DNA che contiene l’informazione utile alla produzione e alla sintesi di una singola proteina. I geni, insomma, sono una sequenza ben determinata di basi azotate che codificano le informazioni per la costruzione di tutte le proteine dell’organismo. Naturalmente, i geni conservano il loro carattere di “ereditarietà”. Il DNA, infatti, ha la capacità di riprodurre esattamente sé stesso. In questo modo, dunque, le informazioni contenute nel DNA di una cellula “madre” passano intatte e complete in una cellula “figlia”. MODIFICARE UN ORGANISMO È dunque chiaro che, per cambiare le caratteristiche di un organismo, bisogna agire sul suo dna, inserendo (o sopprimendo) nella sequenza del DNA una o più determinate informazioni, ovvero uno o più geni. Tutte le tecniche di modificazione genica sono possibili grazie ad una fondamentale innovazione detta “tecnica del DNA ricombinante”. Il DNA, quando deve “trasferire” la sua informazione, la trascrive su una molecola di RNA. Per fare questo, il DNA “spezza” la sua doppia elica. Questa frattura è operata da un particolare enzima detto “di restrizione”. Allo stesso modo, l’enzima detto “DNA ligasi” è in grado di unire nuovamente i due filamenti del DNA. Grazie all’utilizzo di questi due enzimi (detti “taglia e cuci”), è dunque possibile aprire la catena del dna e inserirvi una sequenza genica nuova. Sempre grazie a questi enzimi, è possibile anche selezionare un determinato gene da inserire. Questo procedimento viene detto isolamento. Attualmente, le principali tecniche di modificazione genica che utilizzano il DNA ricombinante sono: - - Trasduzione. Quasi tutti i batteri contengono “anelli” di DNA detti plasmidi. Questi plasmidi, in alcuni casi (come nel batterio E. coli), riescono a innestarsi nel DNA di un altro batterio. Essi rappresentano dunque dei “veicoli”. Una volta inserito un gene in un plasmide (tramite DNA ricombinante) è possibile iniettarlo in un batterio e ottenere una modificazione. A volte, per questa operazione si usano i virus, che sono frammenti di DNA incapsulati da una struttura proteica. Trasferimento. Con questa tecnica, i plasmidi vengono inseriti in una cellula uovo fecondata, in cui però non è ancora avvenuta la fusione tra i due nuclei (quello maschile e femminile). I plasmidi vengono iniettati in uno dei due nuclei. Dopo la fusione, la cellula uovo viene impiantata nell’oviodotto di una cavia. La prole di - quest’ultima avrà tutto il dna modificato. Infatti, tutte le cellule di un organismo si sviluppano a partire dalla cellula uovo fecondata. Soppressione di un gene. Se un gene è sospettato di essere l’origine di una malattia genetica, si crea una sequenza in cui esso viene eliminato o modificato in modo da diventare inattivo. Se l’organismo con il gene “soppresso” non presenta la patologia, allora si ha la certezza che essa ha origine in quel gene. Queste tecniche sono dette di “ingegneria genetica”. Un organismo nel quale è stato inserito un gene artificialmente viene detto “organismo geneticamente modificato” (OGM). I primi organismi modificati in laboratorio furono i batteri. Celebre è il caso dei batteri in grado di produrre l’insulina umana, utile per i diabetici. Oggi, grazie alla tecnica del trasferimento, praticamente ogni essere vivente è “modificabile”. Come vediamo, le tecniche di ingegneria genetica permettono di acquisire una capacità desiderabile oppure di “sopprimerne” una indesiderata, a fini di studio ma anche economici (basti pensare alla coltura di piante modificate). La “cura” del film è un esempio del secondo intento. LA CLONAZIONE La clonazione è il processo che consente di ottenere la “copia” di un organismo pluricellulare, di un batterio o di un frammento di DNA geneticamente identica all’organismo o al frammento di DNA originale. La clonazione per trasferimento di nucleo(v. la pecora Dolly)consiste nel prelevare il nucleo di una cellula staminale e introdurlo nel citoplasma di una cellula uovo non fecondata, precedentemente privata del suo nucleo: la cellula creata si divide per mitosi e genera un embrione che in qualche caso prosegue lo sviluppo fino alla formazione di un individuo. La clonazione a partire da cellule embrionali utilizza invece cellule (totipotenti) prelevate da un embrione nelle primissime fasi dello sviluppo, ognuna delle quali, impiantata in un utero, può essere in grado di generare un nuovo embrione. Questa seconda, andando ad agire sugli embrioni, è contestata dal punto di vista etico. Tuttavia, è recentissima la pubblicazione sulla rivista Nature Biotechnology secondo cui circa l’uno per cento delle cellule immature del liquido amniotico, il cui prelevamento è una procedura innocua per madre e feto, sarebbe costituito da cellule staminali embrionali. L’EUGENETICA Per eugenetica s’intende l’applicazione dei principi della genetica e del patrimonio per lo sviluppo della razza umana per proteggere una desiderabile combinazione di caratteristiche fisiche e di tratti mentali nella discendenza di adatti genitori accoppiati. Se da secoli questa idea ricorreva nella mentalità della società, si pensi solo agli allevamenti che avevano come finalità quella di usare solo i migliori esemplari maschi per ingravidare le femmine, la parola è un neologismo coniato nel 1883 da uno scienziato inglese Francis Galton. La parola ha radici greche (eu significa bene e ghenos indica la nascita, la stirpe),letteralmente significa ben nato, che può essere inteso in entrambi i modi, nel senso di “nato in buona salute” e “nato da nobile stirpe”. La vera storia dell’eugenetica comincia con il creatore del termine, il matematico inglese Francis Galton, un cugino di Charles Darwin e il pioniere nel campo della trattamento statistico dell’ereditarietà. Galton sviluppò le sue idee in due articoli pubblicati nel 1865 seguiti da numerosi libri, nei quali egli discusse i risultati della sua ricerca statistica riguardo la distribuzione attraverso le generazioni delle naturali abilità che conducevano all’acquisizione di una “reputazione” sociale. Nel 1883 pubblicò Inquires into the Human Faculty nel quale l’eugenetica è definita come “lo studio dei fattori sotto controllo sociale che possono migliorare o indebolire le qualità razziali delle future generazioni, sia fisicamente che mentalmente.” Profondamente influenzato dalla dottrina darwiniana secondo la quale la selezione naturale attraverso la sopravvivenza del più adatto può rafforzare le caratteristiche delle specie, Galton pensò che la specie umana stesse naturalmente progredendo ma riteneva che fosse necessario controllare e accelerare questo processo, poiché l’azione della selezione naturale era in qualche modo ostacolata dalla filantropia e dalla compassione degli individui. Il fine pratico della nuova scienza dell’eugenetica era di aiutare la selezione naturale dando “alle più idonee razze e ai caratteri ereditari del sangue una migliore possibilità di prevalere velocemente sui meno idonei”. Per realizzare questo Galton prese in considerazione misure di controllo e di restrizione per controllare la riproduzione umana, ma presto si accorse dell’impossibilità di tale progetto. Le dottrine di Galton guadagnarono immediata approvazione nei circoli scientifici europei e americani, che erano già influenzati dalla teoria evolutiva di Darwin. Nei primi anni del ventesimo secolo questo complesso di idee divennero un movimento sociale, che velocemente si diffuse in molti paesi e assunse diverse forme a seconda delle differenti strutture sociali e culturali. L'eugenetica: dagli Stai Uniti all'Europa In questo contesto ciò che avvenne in America negli anni Venti è significativo. A partire dal 1907, anno in cui venne predisposta, da parte dell’Indiana, la prima legge eugenetica, furono 30 gli Stati della Federazione americana a prendere provvedimenti legislativi in tal senso. Ma già negli anni precedenti un numero notevole di sterilizzazioni era stato effettuato all’interno di riformatori e manicomi, utilizzando praticamente come cavie i soggetti internati per verificare congetture scientifiche ed educative. Malgrado i testi di legge sembrassero ispirati dal filantropismo e dalla piena tutela giuridica degli individui, nella realtà si trattava di un intervento coatto, frutto di arbitrarie supposizioni di medici e sovrintendenti delle strutture di internamento. Obiettivo comune e principale della repressione fu il "moron", termine coniato dall’eugenista Goddard per indicare l' imbecille "d’alto grado". Nel 1927 sarà direttamente la Corte Suprema degli Stati Uniti, chiamata a decidere nel caso Buck vs. Bell, a decretare la liceità etica e legislativa delle sterilizzazioni, appellandosi alle ragioni del "benessere collettivo". Il caso Buck vs. Bell vide come protagonista una ragazza madre ventenne, di nome Carrie Buck che tre anni prima le autorità avevano temporaneamente ricoverata assieme alla madre in un manicomio, in quanto considerate entrambe portatrici di “debolezza mentale e promiscuità sessuale”. Quando la ragazza venne violentata da un amico di famiglia che l’aveva ricevuta in affidamento e da questa violenza nacque una bambina, la corte più alta della nazione e la stessa colonia della Virginia ritennero di avere il diritto di sterilizzarla. Ritenevano infatti che appartenesse alla categoria “probabile genitrice di progenie socialmente inadeguata”, nonostante Vivian, la bambina, non avesse dato alcun segno di inadeguatezza . Il giudice concluse la sentenza con queste parole: “Sarebbe meglio per tutto il mondo se, invece di aspettare che la prole dei degenerati sia giustiziata per i suoi crimini, o che muoia di fame per la sua imbecillità, la società evitasse a coloro che sono manifestamente malati di perpetuare la specie…Tre generazioni di imbecilli bastano.” I membri conservatori della alta e media classe convennero con la sentenza, attratti dalla possibilità di trovare una soluzione scientifica per il problema sociale della “degenerazione”. I gruppi di eugenetica vennero creati in varie parti del mondo civilizzato con lo scopo sia d’incrementare la ricerca sull’ereditarietà sia di promuovere l’educazione eugenetica e le misure eugenetiche per controllare lo sviluppo demografico. Uno dei primi effetti del movimento eugenetico fu la creazione di istituti scientifici per la ricerca sull’ereditarietà. Tra questi il più importante fu il “Galton Laboratory for National Eugenic” al College University di Londra;l’ “Eugenics Record Office” a Cold Spring Harbor fondato nel 1910; il “Kaiser Wilhem Institute for Anthropology, Human Heredity and Eugenics” fondato nel 1927 a Berlino e diretto dall’antropologo Eugen Fischer, che in seguito ebbe un ruolo fondamentale nell’elaborazione del programma razzista del nazismo. Anche i paesi dell’area scandinava potevano vantare, agli inizi del Novecento, una delle principali comunità di eugenisti presenti nel panorama mondiale. Tra di essi lo svedese Lundborg, il cui attivismo aveva portato nel 1922 alla costituzione, a Uppsala, dell’Istituto svedese di Biologia Razziale, un’istituzione unica al mondo nel suo genere, ed il norvegese Mjøen, per lungo tempo, massima autorità europea in materia di eugenetica. Le politiche di sterilizzazione, varate tra il 1929 ed il 1935 in Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia, assumeranno negli anni successivi delle notevoli somiglianze. In tutti i casi si cercherà una legittimazione delle congetture pseudoscientifiche sulla degenerazione, ma in realtà prevarranno le ragioni socio- economiche del Welfare State, come ad esempio in Svezia. La sterilizzazione svedese ebbe come suo principale, quasi esclusivo, bersaglio, le donne. L’eccessiva prolificità venne stigmatizzata sia come deleteria per l’ethos collettivo, sia per il bilancio pubblico, prevedendo il Welfare-State un sistema di assegni di maternità. Delle oltre 60.000 sterilizzazioni effettuate in Svezia tra il 1934 ed il 1976, anno in cui la legge eugenetica venne definitivamente accantonata, circa il 95% riguardano donne. Risentire di uno stato depressivo, alzarsi tardi al mattino, avere amicizie maschili, parlare liberamente in pubblico della propria vita sessuale, seguire svogliatamente le lezioni scolastiche o le funzioni religiose, o semplicemente andare a ballare, divennero così tutti atteggiamenti potenzialmente destabilizzanti. Atteggiamenti da stigmatizzare e reprimere attraverso la sterilizzazione, la cui necessità veniva decretata da diagnosi di "schizofrenia", "devianza", "irresponsabilità morale" di medici compiacenti al servizio dell’organigramma "normalizzante" svedese. Si cercò di dare un fondamento pseudoscientifico alla credenza, già ben radicata, che i fenomeni sociali quali la povertà, l’alcolismo, la prostituzione e la criminalità fossero ereditari. Una chiara esemplificazione di questo pensiero viene data, in sede letteraria, dal ciclo Rougon-Macquart di Emile Zola. Nonostante la linea direttrice del movimento eugenetico fosse non conservatrice o reazionaria, presto assunse un forte impulso elitario. L’idea originaria del miglioramento della specie umana mostrava tracce dell’influenza dell’ideale ottocentesco dell’umana perfettibilità e tali fine voleva essere raggiunto non attraverso le riforme sociali e l’educazione delle masse ma applicando la scienza dell’ereditarietà. Ciò implicava il concetto di selezione individuale e la credenza per la quale, grazie alla selezione dei “migliori”, si potesse perfezionare il genere umano. Il primo congresso dell’eugenetica svoltosi a Londra nel 1912 ebbe come tema centrale la problematica della selezione, vista come l’unico modo per determinare un élite dotata dei caratteri somatici e mentali desiderati. Tale concezione favorì l’idea che la purezza e la superiorità di una razza rispetto alle altre dovesse essere protetta dall’incrocio con varietà biologicamente inferiori. Nel 1924 il governo americano approvò l’atto di restrizione dell’immigrazione, che limitava il flusso dal sud e dall’est Europa sulla base dell’inferiorità degli immigranti provenienti da quell’area. Tra il 1907 e il 1930 molti stati dell’America approvarono leggi sulla forzata sterilizzazione dei comuni criminali, epilettici, idioti e così via. In quegli anni furono forzatamente sterilizzate circa tremila persone nella convinzione paranoica che le nazioni dell’Europa orientale e meridionale mandassero di proposito negli Stati Uniti gli individui predisposti geneticamente alle malattie mentali, alla condotta criminale e alla dipendenza sociale. Il modello americano contagiò nel 1933 il regime nazista, che approvò l’atto di sterilizzazione eugenetica, per le persone affette da presunte malattie ereditarie, perché non propagassero la loro stirpe. All’inizio la legge non aveva caratteristiche specificamente antisemite, ma divenne presto il primo passo di un programma culminante nell’eliminazione fisica di tutti gli “indesiderabili” o “inutili” (Ebrei, Zingari, gli handicappati ecc.) Nel 1935, il genetista americano Hermann J. Muller denunciò l’eugenetica, affermando che era stata trasformata in una facciata pseudoscientifica per gli “avvocati della razza e i pregiudizi della classe”. L'eugenetica italiana L’eugenetica in Italia, prima e durante il periodo fascista, si caratterizzò come un’eugenetica negativa, cioè non interventista ma volta soprattutto direttamente ma cercava tramite leggi e limitazioni di evitare la trasmissione di caratteri ereditari considerati deboli o malati, fortemente influenzata anche se non coincidente con le tesi eugenetiche della chiesa cattolica. L’eugenetica cattolica, che ebbe come massimo rappresentante padre Gemelli, era contro sia l’ideologia socialista, colpevole di provocare il calo demografico sia gli incroci fra le razze in quanto le unioni venivano ritenute meno prolifiche. Si scagliava anche contro il neo- malthusianesimo e l’eugenetica nazista, basata sulla religione del sangue. Il Sant’ Uffizio nel 1931 giungerà a condannare l’eugenetica positiva protestante ; nel 1932 si pronuncerà contro l’aborto. L’eugenetica fascista era invece antimalthusiana, cioè contraria a quella dottrina che si rifà alle tesi esposte nel “Saggio sul principio della popolazione” (1798) dall’economista Thomas Malthus, che individua nella sempre crescente pressione demografica la causa principale della povertà e della fame in molte aree del pianeta e propugna un energico controllo delle nascite, al fine di evitare il deterioramento dell'ecosistema terrestre e l'erosione delle risorse naturali non rinnovabili .Sostiene, infatti, che se la crescita della popolazione è geometrica, quella dei mezzi di sussistenza è solo aritmetica. Per evitare questo progressivo impoverimento l’unica soluzione sono i "freni preventivi" (come il posticipo dell'età matrimoniale e la castità prematrimoniale) e i "freni positivi" (come le guerre e le carestie). L’eugenetica fascista era anche contraria al lavoro femminile, in quanto le donne dovevano solo occuparsi del focolare ed essere prolifiche il più possibile. Nella sua ricerca di "nascite, ancora nascite", la dittatura oscillava tra riforme e repressione, tra l'incoraggiamento dell'iniziativa individuale e l’offerta di concreti incentivi statali. Gli esperti consideravano le donne "mal preparate alla sacra e difficile missione della maternità, deboli o imperfette nell’apparato della generazione" e soggette pertanto a generare una prole "anormale". Per correggere questi vizi lo Stato fascista ambiva a modernizzare il parto e la cura dei figli. Alla fine, il fascismo cercò di impedire alle donne di competere con gli uomini sul mercato del lavoro, con il pretesto di tutelare le madri lavoratrici. Ma lo scopo era anche un altro: evitare che le donne si dedicassero al lavoro invece che alla propria famiglia. La legge fascista sul lavoro vietò gli scioperi e abbassò i salari femminili. Nel 1938 le lavoratrici avevano diritto ad un congedo di maternità della durata di due mesi coperti da un sussidio. Vennero inoltre rese più severe le norme che proibirono i lavori notturni a tutte le donne, e quelli pericolosi o nocivi alla salute alle ragazze di età inferiore ai 15-20 anni. La politica demografica fascista fu energicamente normativa soprattutto nel volere preservare la razza da possibili pericoli quali l’aborto e la promiscuità con gli indigeni delle colonie italiane. Per questo motivo vennero promulgate nel 1930 la legge contro l’aborto, definito un “delitto contro l’integrità della stirpe” e nel 1937 la legge sul madamato che vietava rapporti sessuali tra italiani e sudditi delle colonie, nel timore che la razza potesse degenerare. L'eugenetica nazista All’interno dello stato nazista non vi fu mai una netta distinzione tra politica razzista ed eugenetica; questo spiega come mai in Germania si ebbe sia la lotta contro il razzismo che contro i degenerati. Inoltre, l’omicidio industriale trova suo fondamento nel razzismo scientifico, nelle teorie dell’igiene della razza che asseriscono l’ereditarietà sia dei caratteri fisici sia di quelli mentali. L’eugenetica in Germania comincia ad avere carattere rilevante nel 1904 quando Ploetz fonda l’archivio per la razza e la biologia sociale e nel 1905 la Società tedesca per l’Igiene della Razza. Inizialmente l’eugenetica, come sostiene Mosse, era diversa: non puntava all’eliminazione delle razze inferiori ma propugnava misure positive per aumentare la fecondità delle razze superiori. E’ innegabile, tuttavia, vedere linee di continuità con l’eugenetica nazista come ad esempio la proposta di segregare in colonie di lavoro gli anti-sociali per impedirne la riproduzione e la proposta di effettuare controlli per stabilire la qualità razziale. Durante la Prima Guerra Mondiale queste concezioni portarono indirettamente ad una impressionante impennata dei decessi dei malati cronici negli istituti di cura tedeschi: 45.000 in Prussia e più di 7.000 in Sassonia. Con molta probabilità la scarsità di cibo causata dal conflitto aveva spinto molti medici ad affrettare la morte di una parte di queste cosiddette "bocche inutili". Per certi versi si era creato un terreno favorevole ad una sorta di "indifferenza" verso la morte di individui definiti inguaribili. In questo clima si sviluppò la teorizzazione di una "eutanasia di Stato". Nel 1920 apparve "L'autorizzazione all'eliminazione delle vite non più degne di essere vissute" di Alfred Hoche, uno psichiatra e Karl Binding un giurista. Hoche e Binding di fatto svilupparono un concetto di "eutanasia sociale". Il malato incurabile era da considerarsi non soltanto portatore di sofferenze personali ma anche di sofferenze sociali ed economiche. Lo Stato dunque doveva farsi carico del problema che questi malati rappresentavano. Ucciderli avrebbe così ottenuto un duplice vantaggio: porre fine alla sofferenza personale e consentire una distribuzione più razionale ed utile delle risorse economiche. Sempre in quell’anno il professor Otman von Verschuer, esperto nella genetica e appassionato ricercatore nel campo della biologia dei gemelli, era capo del Dipartimento di Genetica Umana. Fondatore e direttore dell'Istituto di genetica e igiene della razza dell'Università di Francoforte, ha pubblicato una serie di studi importanti alla fine degli anni Trenta. In uno dei suoi molti deliranti articoli pseudo scientifici dal titolo "La biologia razziale degli ebrei", Verschuer in primo luogo afferma che gli ebrei sono una razza con dei caratteri ben definiti, come l'altezza media, l' alta frequenza dei cosiddetti "piedi piatti", la specifica forma degli occhi, delle orecchie e del naso. Gli ebrei sono portatori di malattie ereditarie, hanno caratteristiche psicologiche ,come ad esempio "una forte sensibilità al dolore". Una frase di Verschuer recita testualmente: "Non si può più contestare che le caratteristiche psicologiche nell'uomo, come quelle fisiche, sono essenzialmente determinate nel loro sviluppo da tendenze ereditarie. I risultati delle ricerche sui gemelli in particolare hanno dato un effetto chiarificatore e delucidante". Nel 1942 Verschuer divenne il direttore del Dipartimento di Antropologia del prestigioso Kaiser Wilhelm Institut a Berlino. In questa posizione Verschuer poté dedicarsi alla continuazione dei suoi studi biologico-razziali sui gemelli: con lui collaborava il dottor Josef Mengele. E’ da notare come l’eugenetica, l’antropologia, la biologia e la sociologia si siano occupate contemporaneamente e insieme delle questioni razziali ed ereditarie, tanto che lo stesso Verschuer, pur essendo biologo, divenne capo del dipartimento di antropologia. Sempre in quegli anni alla direzione del Kaiser “Wilhelm Institut für Anthropologie”, inaugurato a Berlino nel 1927, c’era l’antropologo Eugen Fischer, direttore della prestigiosa rivista “Zeitschrift für Anthropologie und Morphologie”, che aveva guadagnato una certa fama internazionale per una ricerca su un gruppo di Bastardi (discendenti da unioni di coloni olandesi con donne ottentotte) di Rehoboth, nell’ Africa sud– occidentale.Lo studio, pubblicato nel 1913,ispirò la legislazione nazista in materia razziale. Assai più delle ricerche antropologiche condotte in Africa, furono i contributi teorici sull’ereditarietà a decretare il definitivo successo di Fischer presso i politici nazisti. Nel 1921 viene pubblicata a Monaco la prima edizione di “Grundriss der Menschlichen Erblichkeitslehre und Rassenhygiene” (Fondamenti di genetica umana e di igiene della razza) la cui seconda edizione, uscita nel 1923, fu tra le letture di Hitler durante il suo breve soggiorno in carcere per il fallito putsch di Monaco, ed è dimostrato che, nella stesura del “Mein Kampf”, il futuro Führer fu influenzato dalla lettura di questo manuale. Sin dai primi anni Venti, Adolf Hitler aveva teorizzato la necessità di proteggere la razza ariana germanica da tutti quei fattori di "corruzione" che avrebbero potuto indebolirla. Il nazismo predicava un progetto di "eugenetica", vale a dire coltivava l'idea di ottenere un miglioramento della "razza" germanica coltivando i caratteri ereditari favorevoli ("eugenici") e impedendo lo sviluppo dei caratteri ereditari sfavorevoli ("disgenici").L’idea della razza nazista unificava la diseguaglianza fra razze diverse e anche fra gruppi ed individui della stessa razza. Ciò che caratterizzava l’inferiorità razziale era il primitivismo, la degenerazione e la deviazione dalle norme. Come fa giustamente notare Sybil Milton, storica del Museo dell’Olocausto di Washington, le modalità di persecuzione contro ebrei, zingari, handicappati e malati di mente furono identiche. Dapprima si procedeva con restrizioni di movimento poi con sterilizzazioni , a seguire deportazioni ed infine sterminio. Esemplare il caso dei malati incurabili e i disabili fisici e psichici in Germania. Queste persone erano sostanzialmente una minaccia non soltanto per l'economia tedesca ma, cosa ancor più grave, un terribile pericolo di degenerazione per la razza tedesca nel suo complesso. Buona parte del mondo psichiatrico tedesco si schierò in modo sorprendentemente veloce con le teorie naziste. La malattia mentale veniva ricondotta ad un puro problema di eredità genetica. Veniva abbandonata l'idea di lottare contro la malattia e si firmava di fatto l'autorizzazione scientifica alla soppressione fisica dei malati in nome della purezza della razza. Dopo l'ascesa del nazismo al potere la psichiatria tedesca iniziò una vasta produzione di trattati sulla sterilizzazione dei disabili psichici. Il primo passo verso l'attuazione del piano di eutanasia si ebbe nel 1933 con l'emanazione della "Legge sulla prevenzione della nascita di persone affette da malattie ereditarie". Con essa si autorizzava l'aborto nel caso in cui uno dei genitori fosse affetto da malattie ereditarie. La legge del 1933 di fatto autorizzava la sterilizzazione forzata delle persone ritenute portatrici di malattie ereditarie. Il risultato pratico fu la sterilizzazione di più di 400.000 tedeschi durante i 12 anni di regime. Dal punto di vista organizzativo venne creata la Direzione Sanitaria del Reich subordinata al Ministero degli Interni e guidata da Leonardo Conti. Successivamente venne creata la "Commissione del Reich per la salute del popolo" che si dedicò all'organizzazione della propaganda nelle scuole, negli uffici pubblici e nel Partito Nazista. Ogni provincia venne dotata di un "Ufficio del Partito per la politica razziale" guidato da un esperto di eugenetica. La Direzione Sanitaria del Reich creò in tutta la Germania circa 500 "Centri di consulenza per la protezione del patrimonio genetico e della razza". I medici che li dirigevano furono incaricati di raccogliere tutti i dati necessari per stimare quale parte della popolazione dovesse essere sterilizzata e controllare le nascite di bambini deformi o psichicamente disabili. Nel 1939 Conti emanava un provvedimento segreto; grazie a questa disposizione i medici dei "Centri di consulenza" dovevano essere obbligatoriamente informati dagli ospedali e dalle levatrici della nascita di bambini deformi o affetti da gravi malattie fisiche o psichiche. Una volta informati, i medici convocavano i genitori e illustravano loro i grandi progressi della medicina tedesca. Ai genitori veniva detto che erano stati creati centri specializzati per la cura delle malattie dei loro figli. Veniva sottolineata la possibilità di decessi visto il carattere sperimentale delle cure ma si invitavano i genitori ad autorizzare immediatamente il ricovero anche in presenza di speranze di guarigione ridotte. Qui giunti i bambini venivano uccisi con una iniezione di scopolamina o lasciati progressivamente morire di fame. Una volta deceduti i bambini venivano sezionati, ai medici interessava soprattutto studiarne il cervello. A dare inizio al processo di eutanasia fu un ordine scritto di Adolf Hitler datato 1° settembre 1939 su carta intestata della Cancelleria. Il testo recitava: "Il Reichsleiter Bouhler e il dottor Brandt sono incaricati, sotto la propria responsabilità, di estendere le competenze di alcuni medici da loro nominati, autorizzandoli a concedere la morte per grazia ai malati considerati incurabili secondo l'umano giudizio, previa valutazione critica del loro stato di malattia" Con questo ordine la macchina per l'eliminazione fisica dei disabili fisici e mentali trovava la sua copertura giuridica. Subito dopo l'emanazione dell'ordine di Hitler Phillip Bouhler e Karl Brandt iniziarono ad organizzare la struttura che avrebbe dovuto condurre l'operazione di eliminazione. A Berlino venne espropriato un villino di proprietà di un ebreo. Lo stabile si trovava al civico numero 4 della Tiergartenstrasse. Proprio da questo indirizzo fu ricavato il nome in codice per l'operazione di eutanasia: "Aktion T4". Verso l'autunno del 1939 dalla sede di Berlino della T4 cominciarono a partire i questionari indirizzati agli istituti psichiatrici del Reich. I questionari erano molto generici per non allarmare nessun direttore. Ufficialmente si trattava di un censimento per conoscere le capacità lavorative dei malati. Considerando la compilazione dei questionari un lavoro inutile e noioso - i direttori delegarono il personale amministrativo degli istituti. Il risultato fu che i questionari venivano riempiti in tutta fretta e in modo totalmente superficiale. Senza saperlo in questo modo migliaia di malati venivano condannati a morte. Una volta finita la seconda guerra mondiale i resoconti dei crimini di guerra dei nazisti sottolinearono il ruolo negativo dell’eugenetica e ne decretarono la definitiva crisi. Molti scienziati che lavoravano nella genetica non solo sentirono la necessità di eliminare qualsiasi ombra di eugenetica dai loro lavori ma si sentirono anche in dovere di rendere conto dei loro studi di fronte alla società. Un caso tipico fu quello di un medico inglese, Lionel Penrose che dopo la guerra fu nominato a capo del Galton Laboratory e professore di eugenetica: fu così spaventato dalla stigmatizzazzione dell’eugenetica che nel 1954 cambiò il titolo del corso annuale da “Annali di eugenetica” ad “Annali di genetica umana”. Sebbene qualche società di eugenetica continuasse discretamente i suoi lavori e venissero create nuove società con scopi eugenetici, la parola eugenetica fu bandita: un tipico esempio è la società americana di genetica umana, fondata nel 1950. Un movimento vero e proprio di eugenetica non esiste più. L’EVOLUZIONISMO E LE TEORIE ALTERNATIVE Con la propria teoria rivoluzionaria esposta nel 1859 ne “L’origine delle specie per selezione naturale”, Darwin, come Copernico, cambia il posto dell’uomo nella natura: la Terra non è più al centro dell’Universo e l’uomo non è una creazione divina ma discende dalle scimmie. Sulla base di esplorazioni scientifiche (isole Galapagos) e sotto l’influenza del pensiero di Malthus, Wallace e Lyell, Darwin sostiene che le specie si evolvano secondo il meccanismo della selezione naturale in cui l’ambiente seleziona la specie in base alle caratteristiche che la rendono adatta all’ambiente in cui vive. Il caso è il principio che regola il meccanismo della selezione naturale e premia, in determinate circostanze, alcuni organismi piuttosto che altri: ciò che è selezionato dall’evoluzione non è il migliore ma il più adatto. Pertanto il darwinismo propone un’evoluzione della specie a gradi, attraverso tappe evolutive, ma non sostenuta da alcun genere di finalismo. L’evoluzionismo darwiniano in ambito scientifico è ormai ampiamente accettato e gran parte del dibattito si incentra sulle modalità e le dinamiche dell’evoluzione. Non mancano delle comunque delle alternative: Lamarck: nel 1809 presenta una prima teoria evoluzionistica basata sull’ereditabilità dei caratteri acquisiti (utile da esporre perchè spesso la si confonde con la teoria darwiniana). Cuvier: espone la teoria delle catastrofi naturali. Creazionismo: interpreta letteralmente il libro della Genesi. Disegno intelligente: noto anche come "Creazionismo evolutivo" o "Creazionismo scientifico" si basa sull’irriducibilità dei sistemi complessi di Behe che sostiene che alcuni organismi complessi non sono riducibili a dei “progenitori” e quindi non sono nati da un processo evolutivo ma da un disegno intelligente. Devoluzionismo: propone la discendenza delle scimmie dagli uomini e non viceversa. Gli equilibri punteggiati: questa teoria è stata sviluppata negli anni 70 da N. Eldredge e S. Gould (a quest’ultimo si affiancò poi Lewontin) propone di affiancare al meccanismo della selezione naturale un altro motore di cambiamento. E’ possibile infatti che oltre ad un cambiamento graduale si sia assistito ad una rapida modificazione che porta ad un salto evolutivo con la conseguente comparsa di nuove specie. Molte strutture naturali sono nate da contingenze storiche, causalità evolutive e stranezze nella crescita così come alcune sono scomparse per sfortuna: se potessimo riavvolgere il nastro della vita –dice Gould- il risultato finale sarebbe diverso. IL DETERMINISMO BIOLOGICO Il determinismo biologico nasce dalla ricerca genetica e dall’obiettivo (raggiunto) di enumerare e conoscere l’intera sequenza che compone il genoma umano. Tale scoperta rivoluzionaria ha portato con sé notevoli aspettative in campo medico-scientifico: la cura del cancro, ad esempio, sembrava allora più vicina, tutte le malattie, dal momento che la conoscenza della sequenza genica avrebbe permesso di stabilire come nascono, sarebbero state prevenute per sempre. Ma non solo. Il genoma umano conterrebbe tutte le informazioni utili per descrivere un individuo e, di conseguenza, la totalità delle caratteristiche d’ogni individuo sono determinate biologicamente dal suo corredo genetico. Le conseguenze sono state disastrose. L’obesità, l’omosessualità, la criminalità e la povertà sembravano quindi riconducibili esclusivamente alla sfera genetica e concetti come ambiente, educazione e società sembravano privi di qualsiasi significato umano. Fortunatamente, gli stessi ricercatori (industrie americane e inglesi) che anni prima scoprirono la sequenza del genoma umano, trovarono che il gene umano non conteneva il grosso numero di informazioni che si pensava: il genoma umano non era composto da quei cento-duecentomila geni ipotizzati, ma solo da trentamila. Cosa significa questo? Che nel DNA sono sì contenute un grandissimo numero di informazioni, ma decisamente inferiore a quelle attese. Si sono potuti quindi affermare alcuni importanti concetti: fra due esseri umani, il Dna differisce di solo lo 0,2% (una lettera su 500), considerando che le cellule umane possiedono due copie del genoma: si capisce bene che, se per il 99,8% il genoma è uguale in tutti gli uomini, è impossibile che, in quello 0,2%, siano concentrate differenze razziali, caratteriali o sociali. In conclusione, ritoccando la celebre affermazione di Crick “Non sei che un ammasso di neuroni”, possiamo affermare che non siamo solo un ammasso di geni. LA PREVEDIBILITA’ Per discutere dell’impatto di organismi modificati geneticamente sull’ambiente esterno, abbiamo deciso di informarci sugli organismi che attualmente vengono sottoposti a tecniche di transgenesi, in particolare sulle piante modificate. Le conseguenze dell’introduzione di questi organismi nell’ambiente sono difficilmente prevedibili in modo completo. Sicuramente, è molto semplice comparare l’organismo modificato all’organismo “di partenza” a livello puramente compositivo (ad esempio evidenziare nuove tossine o allergeni prodotti dall’OGM). Molto più difficile (e dispendioso) sarebbe invece studiare l’interazione di questi organismi con l’ambiente: una nuova proteina, innocua “in vitro”, potrebbe interagire in modo inaspettato e dannoso con il terreno di coltura, gli animali che si nutrono di quella pianta, l’organismo umano. Questo è stato ad esempio il caso del triptofano ottenuto attraverso batteri modificati, che nel 1989 ha causato in U.S.A. trentasette decessi e la paralisi a vita di millecinquecento persone. Inoltre, difficilmente si considera che un gene non è un compartimento stagno: cambiandone uno cambieranno quasi tutte le sue interazioni con gli altri geni e quindi l’intero organismo. Il problema, dunque, è che le conseguenze sono evidenziabili solo una volta che l’organismo sia stato già immesso nell’ambiente esterno. Riguardo a queste “statistiche a posteriori”, emerge un’altra questione preoccupante: le valutazioni, anche se effettuate da organismi di controllo statale, sono attualmente del tutto inattendibili. Sebbene il “principio di equivalenza di sostanza” sia stato ultimamente accantonato (perlomeno dalla maggior parte dei paesi europei), il principio a cui ci si ispira è semplicemente quello della “considerazione caso per caso”. Inoltre gli organismi di controllo, nel concedere autorizzazioni per la coltura di si OGM, si basano su dossier forniti dalle aziende produttrici di questi ultimi (Monsanto, Pioneer, Biogemma, Novalis…). Come ha ammesso nel 1994 lo stesso M. Hirsch, ex-presidente AFFSA, questi dossier sono volutamente incompleti, in modo da abbassare i criteri di valutazione. Anche nel caso di (rare) valutazioni dirette a parte degli organismi statali, queste vengono effettuate da “esperti del settore”, che naturalmente provengono dai laboratori delle sopracitate aziende e non risultano precisamente “indipendenti”. IL NUOVO SIGNIFICATO DI ESPERIMENTO SCIENTIFICO Appare dunque chiaro che oggi un esperimento scientifico, specialmente nel campo della transgenesi, non ha più le caratteristiche che tradizionalmente gli si attribuiscono. In senso galileiano, l’esperimento aveva due caratteristiche fondamentali: la reversibilità e la prevedibilità di ogni sua conseguenza direttamente in laboratorio. Oggi, invece, una parte rilevante di conseguenze è rilevabile (o comunque viene EFFETTIVAMENTE rilevata) solo al di fuori dell’ambiente di studio, cioè quando l’OGM è già in rapporto con l’ecosistema. Ancora più rilevante è il fatto che oggi l’atto sperimentale produce conseguenze del tutto irreversibili (come la “cura” del film, che non permetterà più agli X-Men di riacquistare le loro caratteristiche originarie). In questa nuova accezione, l’esperimento scientifico aumenta sconsideratamente il suo impatto e la sua potenziale pericolosità sul mondo esterno. Come abbiamo già evidenziato, l’assenza totale di controlli statali indipendenti e la legislazione molto aleatoria riguardo alla diffusione di OGM impediscono di arginare questo rischio. LA RESPONSABILITA’ STORICA DELLO SCIENZIATO Di conseguenza, la figura dello scienziato ha oggi molte più responsabilità storiche rispetto al passato. Nel momento in cui si effettua un atto scientifico, si è già consapevoli che questo avrà quasi sicuramente un’applicazione diretta nell’ambiente esterno. L’esperimento, dunque, avrà conseguenze per “l’umanità futura”, ma anche e soprattutto per quella attuale, così come per tutto il sistema-mondo. Dunque, ci chiediamo se il potere di uno scienziato non sia forse troppo grande, considerato anche che egli è e rimane un essere umano con particolari ideologie politiche ed una ben determinata etica, peraltro fortemente condizionata dal contesto economicoindustriale nel quale è inserito. IL CONSENSO INFORMATO Il consenso informato è il principio alla base del rapporto medico-paziente, orientato al rispetto del diritto di autodeterminazione: esso consiste nella necessità che il paziente, per essere sottoposto ad un determinato trattamento medico-chirurgico, presti, appunto, il proprio valido ed informato consenso. Questo caposaldo dell’etica medica contemporanea fu sancito per la prima volta nel 1914, in un Tribunale degli Stati Uniti d’America.In questo cambio di prospettiva, che nella giurisprudenza italiana comincia a prendere piede sul finire degli anni Trenta, si pone anche la norma del Codice deontologico degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (art.32): Il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso informato del paziente[…].Il procedimento diagnostico e/o il trattamento terapeutico che possano comportare grave rischio per l’incolumità della persona devono essere intrapresi solo in casi di estrema necessità e previa informazione sulle possibili conseguenze, cui deve far seguito un’opportuna documentazione del consenso. In ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace di intendere e di volere, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona ,ove non ricorrano le condizioni di cui al successivo articolo 34 (pericolo di vita o incapacità di esprimere il consenso, N.d.R.) In sintesi, perché possa considerarsi valido, il consenso informato deve: 1. essere richiesto per ogni tipo di trattamento medico; 2. provenire dalla persona titolare del diritto; 3. provenire da una persona capace di intendere e volere; 4. essere frutto di una completa ed esaustiva informazione che deve riguardare tutte le fasi del trattamento: diagnosi, prognosi, cura; 5. essere attuale, cioè riguardare uno specifico trattamento da effettuare nell’immediatezza; 6. essere scritto, in caso di interventi particolarmente gravi e rischiosi, e comunque sempre nei casi previsti dalla legge; 7. essere preceduto dall’indicazione della natura dei trattamenti; 8. essere preceduto dal prospetto degli eventuali interventi alternativi, nonché dall’illustrazione sia dei rischi che dei benefici che sono connessi ai vari tipi di interventi. Va da sé che l’aspetto fondamentale che possa dotare di una reale effettività lo strumento del consenso informato risiede nell’informazione stessa, la quale non dev’essere mera comunicazione, ma deve concretizzarsi in un dialogo fra medico e paziente che, con un adeguato linguaggio, garantisca una reale partecipazione del malato alle decisioni da prendersi. Solo in tal modo, infatti, si può giungere alla formazione di un consenso scaturito da una volontà ferma e univoca. Nel film “X-men – Conflitto Finale” una casa farmaceutica scopre un siero capace di modificare il patrimonio genetico dei mutanti in maniera tale da renderli umani. Tralasciando il fatto che le caratteristiche genetiche degli X-men siano ritenute “anomale” sulla base di una valutazione di parte e che quindi esse siano arbitrariamente identificate come una malattia (tanto che il siero è definito “la cura”), prendiamo spunto dal film per affrontare quella che è stata definita come la crisi del consenso informato. Un intervento come quello descritto nel film presuppone, come ogni intervento genetico, il consenso informato. Nel 1953 Crick e Watson scoprirono la struttura tridimensionale a doppia elica del DNA; meno di mezzo secolo dopo ha il via il Progetto Genoma, che ha l’obiettivo di mappare e analizzare ogni singolo gene contenuto in tale doppia elica. Quello genetico è un campo in cui il sapere dell’uomo ha fatto passi da gigante in tempi relativamente brevi, ma non è per niente assodato, soprattutto a livello pratico. Ha senso allora parlare di consenso “informato”? Se neanche i medici hanno la facoltà di poter prevedere tutte le possibili conseguenze di un intervento di terapia genica, come può il paziente avere un’informazione idonea ed esaustiva, che gli permetta di prendere perfettamente coscienza dell’entità di tale intervento e di decidere quindi se affrontarlo o meno? Al momento la terapia genica è un tipo di terapia complessa, sperimentale e soggetta a limiti tecnico-conoscitivi tali da non escludere sempre il rischio della morte del paziente. Inoltre, non è solo la terapia genica a mettere in discussione il ricorso alla categoria del consenso informato. Il problema rileva anche sotto il profilo della diagnosi genetica: in questo ambito, infatti, come autorevolmente sottolinea A. Santosuosso, la questione è duplice. Da un lato il risultato dei test non si concretizza in una malattia, bensì nella certezza che essa si svilupperà in futuro (test presintomatici) o nella constatazione di una maggiore o minore suscettibilità del paziente nei confronti di questa (test predittivi): essi forniscono quindi un’informazione su una particolare predisposizione del soggetto, cui fanno seguito conseguenze di tipo comportamentale piuttosto che terapeutico. La Convenzione europea di bioetica limita quindi la liceità dei test solo “ a fini medici o di ricerca legata alla tutela delle salute”. Non se ne vede però il fondamento giuridico: come negare un test ad un soggetto che lo esiga avendo espresso il proprio consenso ,cosciente quindi dell’eventuale scarsa predittività del test richiesto? In altre parole: il consenso informato è in questo caso condizione sufficiente? Da altro lato bisogna considerare che il consenso informato, nella tradizionale relazione terapeutica, è la formazione della volontà di un soggetto (il paziente) scaturita dal dato informativo fornito da un altro soggetto (il medico) e richiesto a questi proprio dal paziente; per quanto riguarda i test genici, invece, “il contatto avviene per iniziativa dell’operatore sanitario”, senza che questi ne abbia la legittimazione sociale e giuridica.