modificare un organismo - Digilander

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X---_ MEN E BIOETICA
Angelica Dragone, Laura di Carpegna, dott. Fabrizio di Pietro, Matteo Grando, Saverio
Romani
Supervisione del lavoro: prof.ssa Isabella D'Isola
IL CONCETTO, LE FIGURE E LE TEMATICHE
Il concetto fondamentale è che gli X Men sono post-umani, ma non sono un progetto e
un prodotto dell’uomo. Gli X Men rappresentano infatti un’immagine ipotetica
dell’umanità nel futuro. Questa umanità ha seguito un percorso naturale e non forzato
che ha portato ad aumento imprevedibile del suo potere. Dal momento che l’evoluzione è
avvenuta in tempi rapidi, si può parlare di “salto evolutivo”.
Le figure più interessanti da analizzare sono Xavier e Mangeto. Costoro rappresentano
due ideali contrapposti di evoluzione. Entrambi possiedono infatti il controllo totale delle
proprie capacità, ma il primo sostiene che queste vadano utilizzate per il bene dell’intero
pianeta (intravede un possibile rapporto simbiotico fra umano e post-umano), il secondo
ritiene invece che il nuovo anello della catena evolutiva debba necessariamente dominare
o eliminare quello precedente.
La trilogia degli X Men (in particolare il terzo capitolo) offre interessanti spunti di
carattere scientifico. È possibile ad esempio ragionare sulle tematiche della modificazione
genetica, sulle capacità e limiti dell’esperimento scientifico e sulla relazione tra scienza e
tecnologia. Nel terzo film infatti gli esseri umani decidono di intervenire sul corpo dei
mutanti attraverso un farmaco (la “cura”) per eliminarne le caratteristiche “anormali” e
arginare l’imprevedibilità di questa parte di popolazione.
I film sono inoltre ricchi di tematiche filosofiche ed etiche.
Citiamo fra queste la discussione su quale etica sia applicabile per il post-umano e la
questione della “cura” per una malattia intesa come non conformità agli standard posti
(più o meno esplicitamente) dagli esseri umani.
Spesso queste tematiche rimangono “aperte” e le domande non hanno una risposta
chiara ed univoca. Questo aspetto permette di riprendere le domande irrisolte e
sviluppare in classe una discussione produttiva.
Ad esempio, sono forniti vari punti di vista per quanto riguarda la questione della cura.
Magneto ritiene infatti che i mutanti stessi siano una cura per il “virus essere umano”,
Tempesta pensa che il rinunciare alle proprie caratteristiche mutanti sia snaturare parte
della propria identità mentre Rogue (che non può toccare altri organismi senza
assorbirne le energie) decide di curarsi per sfuggire ad una vita priva di contatti fisici.
FASI DI LAVORO:
1) Presentazione dei film, concentrandosi particolarmente sul terzo capitolo
2) Visione della I sequenza relativa al racconto del professore sulla popolazione mutata (I
film). La frase cardine è: “l’evoluzione è un processo lento e graduale che lentamente
modifica gli organismi viventi. Ma ogni qualche migliaio di anni, l’evoluzione compie
un balzo in avanti”.
3)
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Dopo la visione della sequenza :
Definizione di post-umano e transumano.
Teoria evolutiva degli equilibri punteggiati.
Che cos'è un gene?
Che cosa significa il progetto genoma?
Che cosa sono le modificazioni genetiche?
Che cos'è un clone?
Che cos'è una chimera?
Prove storiche di eugenica.
L’evoluzionismo o meglio il neo- evoluzionismo è l'unico sfondo teorico a cui si fa
riferimento in ambito scientifico? In ambito non scientifico quali sono le teorie che
vengono contrapposte al neo-evoluzionismo?
Che cos'è il determinismo biologico?
Critica del linguaggio comune che utilizza implicitamente la visone del determinismo
genetico.
4) Visione della II sequenza; questione della “cura”. Gli umani trovano il modo di
sopprimere la mutazione, considerata come “una disfunzione nel normale
funzionamento delle cellule”.
5) Dopo la visione della sequenza:
 Interruzione dell'evoluzione determinata dall'intervento dell'uomo.
 Questione dell'imprevedibilità delle conseguenze dovute alle mutazioni.
 Riflessione sul nuovo significato di esperimento scientifico.
 La questione della responsabilità storica dello scienziato.
 L'industria farmaceutica e la prevenzione delle malattie: il concetto di prevenzione.
 I diritti del malato.
 La crisi o la fine del consenso informato.
6) Visione III sequenza: Un medico dichiara l'impossibilità di duplicare il genoma del
bambino grazie al quale si è potuto trovare l’antigene mutante.
7)
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Dopo la visione della sequenza:
Riflessione sui limiti e sugli errori della scienza.
La scienza come sistema autocorrettivo.
Scienza e tecnologia : un sodalizio molto precario.
Riflessione sul concetto di cura che è legato a quello di malattia intesa come non
conformità agli standard stabiliti dagli umani.
 La non onnipotenza della scienza: la scienza vuole sostituirsi a dio? Chi sostiene tale
posizione?
7) Visione della IV sequenza: il professore e gli allievi discutono di etica. Xavier afferma
che qualsiasi individuo dotato di un potere ne è responsabile e deve chiedersi come
utilizzarlo (se a suo esclusivo beneficio, per il bene di tutti o per il bene di qualcuno).
Una studentessa obietta che l’etica, secondo Einstein, è una prerogativa
squisitamente umana e si chiede se sia valida anche per non-umani (post-umani
come gli X-Men). La sequenza è lasciata volutamente aperta: il professore non da una
soluzione definitiva.
8) Dopo la visione della sequenza: UMANO NATURALE O UMANO ARTIFICIALE?
 Nel postumano quale etica?
 Esiste un'unica etica valida universalmente? Etica laica e etiche religiose a
confronto: il principio di autorità, presupposto del potere.
 La qualità della vita e la sacralità della vita.
 L'autonomia e la eteronomia della vita.
 Il manifesto di bioetica laica: il principio di benevolenza, tolleranza ecc.
9) Divisione in gruppi di lavoro: vengono simulati quattro comitati di bioetica presenti
in un ospedale che discutono a partire dalle informazioni e dalle problematiche sopra
esposte, tenendo come asse centrale la questione del potere che dà la conoscenza e
quindi della responsabilità che da ciò discende.
Dopo aver enucleato 4 temi, si fanno scrivere le risoluzioni che i comitati hanno preso,
seguendo le modalità di lavoro dei comitati reali, pensandoli però proiettati in un
mondo già in parte modificato (come nel film).E' necessario quindi informarsi sul
funzionamento (competenze, ruoli, operatività ecc.) dei comitati attuali.
I comitati dovrebbero deliberare sulla possibilità di svolgere un intervento di ingegneria
genetica
(inventarsene
uno)
a
partire
dalle
seguenti
riflessioni
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si può porre un limite alla ricerca scientifica?
creazione di individui geneticamente modificati: è opportuno?
se no, perché (in base a quali valutazioni scientifiche ed etiche)
se sì, perché e con quali diritti per gli androidi, robot, cyborg
qual è la concezione del corpo sottesa a tali interventi? Quale concezione della
relazione con la mente?
Che cosa può fare il diritto nella situazione attuale? Ma quale diritto per corpi mutati
e con pezzi di ricambio?
Questa sarebbe l'ultima fase del lavoro: viene riprodotto il tema del film, ovvero la
modificazione o meno di esseri umani , in base a diverse prese di posizioni: sarebbe
interessante che i 4 comitati deliberassero in modo diverso.
Per fare tale simulazione è indispensabile conoscere il funzionamento dei comitati etici
degli ospedali.
9a) In alternativa, la fase laboratoriale consiste nella riproduzione della discussione in
classe simile a quella proposta da Xavier ai suoi studenti.
Si può proporre di riscrivere la sceneggiatura della parte del film relativa al dialogo in
classe fra professore e studenti, con un altro finale o più finali diversi.
10) Raccolta e riflessione sulle conclusioni dei ragazzi.
COS’E’ UN GENE
Fin dai primi studi di genetica (Mendel), il termine gene ha assunto il significato di “unità
all’origine dell’ereditarietà”.
Mendel, infatti, dimostrò empiricamente che i caratteri di un individuo vengono
trasmessi come unità separate e passano da una generazione all’altra in modo
indipendente.
Il gene, insomma, contiene un’informazione unica e particolare, che struttura e
caratterizza un organismo.
Con l’avanzare degli studi sulla cellula, l’origine di questo meccanismo di ereditarietà
venne collocato all’interno del nucleo, e in particolare in quelle strutture denominate
cromosomi, ben visibili durante il processo di duplicazione di una cellula.
Oggi, sappiamo che i cromosomi sono costituiti da proteine e da un composto organico: il
DNA.
Il DNA (acido desossiribonucleico) è chimicamente definito come un polimero formato
dall’unione di particolari strutture dette nucleotidi.
Un nucleotide è composto da una base azotata, uno zucchero, cinque atomi di carbonio e
un gruppo fosfato.
Esistono quattro tipi diversi di nucleotidi, che differiscono nella composizione solo per
quanto riguarda la base azotata. Infatti, le basi dei nucleotidi possono essere quattro:
adenina (A), guanina (G), citosina (C) e timina (T).
Il DNA è stato per la prima volta isolato nel 1869. Nel 1953, Watson e Crick proposero
l’ormai noto modello “a doppia elica”, ormai universalmente accettato.
È noto che la funzione principale del DNA è importantissima: esso contiene tutte le
informazioni biologiche necessarie per la costruzione e la vita delle cellule. Grazie a
queste scoperte, il termine gene ha assunto un nuovo importante significato.
Oggi, infatti, per “gene” si intende quel tratto di DNA che contiene l’informazione utile
alla produzione e alla sintesi di una singola proteina.
I geni, insomma, sono una sequenza ben determinata di basi azotate che codificano le
informazioni per la costruzione di tutte le proteine dell’organismo.
Naturalmente, i geni conservano il loro carattere di “ereditarietà”. Il DNA, infatti, ha la
capacità di riprodurre esattamente sé stesso. In questo modo, dunque, le informazioni
contenute nel DNA di una cellula “madre” passano intatte e complete in una cellula
“figlia”.
MODIFICARE UN ORGANISMO
È dunque chiaro che, per cambiare le caratteristiche di un organismo, bisogna agire sul
suo dna, inserendo (o sopprimendo) nella sequenza del DNA una o più determinate
informazioni, ovvero uno o più geni.
Tutte le tecniche di modificazione genica sono possibili grazie ad una fondamentale
innovazione detta “tecnica del DNA ricombinante”.
Il DNA, quando deve “trasferire” la sua informazione, la trascrive su una molecola di
RNA. Per fare questo, il DNA “spezza” la sua doppia elica.
Questa frattura è operata da un particolare enzima detto “di restrizione”. Allo stesso
modo, l’enzima detto “DNA ligasi” è in grado di unire nuovamente i due filamenti del
DNA.
Grazie all’utilizzo di questi due enzimi (detti “taglia e cuci”), è dunque possibile aprire la
catena del dna e inserirvi una sequenza genica nuova.
Sempre grazie a questi enzimi, è possibile anche selezionare un determinato gene da
inserire. Questo procedimento viene detto isolamento.
Attualmente, le principali tecniche di modificazione genica che utilizzano il DNA
ricombinante sono:
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Trasduzione. Quasi tutti i batteri contengono “anelli” di DNA detti plasmidi. Questi
plasmidi, in alcuni casi (come nel batterio E. coli), riescono a innestarsi nel DNA di un
altro batterio. Essi rappresentano dunque dei “veicoli”. Una volta inserito un gene in
un plasmide (tramite DNA ricombinante) è possibile iniettarlo in un batterio e
ottenere una modificazione. A volte, per questa operazione si usano i virus, che sono
frammenti di DNA incapsulati da una struttura proteica.
Trasferimento. Con questa tecnica, i plasmidi vengono inseriti in una cellula uovo
fecondata, in cui però non è ancora avvenuta la fusione tra i due nuclei (quello
maschile e femminile). I plasmidi vengono iniettati in uno dei due nuclei. Dopo la
fusione, la cellula uovo viene impiantata nell’oviodotto di una cavia. La prole di
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quest’ultima avrà tutto il dna modificato. Infatti, tutte le cellule di un organismo si
sviluppano a partire dalla cellula uovo fecondata.
Soppressione di un gene. Se un gene è sospettato di essere l’origine di una malattia
genetica, si crea una sequenza in cui esso viene eliminato o modificato in modo da
diventare inattivo. Se l’organismo con il gene “soppresso” non presenta la patologia,
allora si ha la certezza che essa ha origine in quel gene.
Queste tecniche sono dette di “ingegneria genetica”. Un organismo nel quale è stato
inserito un gene artificialmente viene detto “organismo geneticamente modificato” (OGM).
I primi organismi modificati in laboratorio furono i batteri. Celebre è il caso dei batteri in
grado di produrre l’insulina umana, utile per i diabetici. Oggi, grazie alla tecnica del
trasferimento, praticamente ogni essere vivente è “modificabile”. Come vediamo, le
tecniche di ingegneria genetica permettono di acquisire una capacità desiderabile oppure
di “sopprimerne” una indesiderata, a fini di studio ma anche economici (basti pensare
alla coltura di piante modificate). La “cura” del film è un esempio del secondo intento.
LA CLONAZIONE
La clonazione è il processo che consente di ottenere la “copia” di un organismo
pluricellulare, di un batterio o di un frammento di DNA geneticamente identica
all’organismo o al frammento di DNA originale.
La clonazione per trasferimento di nucleo(v. la pecora Dolly)consiste nel prelevare il
nucleo di una cellula staminale e introdurlo nel citoplasma di una cellula uovo non
fecondata, precedentemente privata del suo nucleo: la cellula creata si divide per mitosi e
genera un embrione che in qualche caso prosegue lo sviluppo fino alla formazione di un
individuo.
La clonazione a partire da cellule embrionali utilizza invece cellule (totipotenti) prelevate
da un embrione nelle primissime fasi dello sviluppo, ognuna delle quali, impiantata in un
utero, può essere in grado di generare un nuovo embrione. Questa seconda, andando ad
agire sugli embrioni, è contestata dal punto di vista etico. Tuttavia, è recentissima la
pubblicazione sulla rivista Nature Biotechnology secondo cui circa l’uno per cento delle
cellule immature del liquido amniotico, il cui prelevamento è una procedura innocua per
madre e feto, sarebbe costituito da cellule staminali embrionali.
L’EUGENETICA
Per eugenetica s’intende l’applicazione dei principi della genetica e del patrimonio per lo
sviluppo della razza umana per
proteggere una desiderabile combinazione di
caratteristiche fisiche e di tratti mentali nella discendenza di adatti genitori accoppiati.
Se da secoli questa idea ricorreva nella mentalità della società, si pensi solo agli
allevamenti che avevano come finalità quella di usare solo i migliori esemplari maschi per
ingravidare le femmine, la parola è un neologismo coniato nel 1883 da uno scienziato
inglese Francis Galton. La parola ha radici greche (eu significa bene e ghenos indica la
nascita, la stirpe),letteralmente significa ben nato, che può essere inteso in entrambi i
modi, nel senso di “nato in buona salute” e “nato da nobile stirpe”. La vera storia
dell’eugenetica comincia con il creatore del termine, il matematico inglese Francis
Galton, un cugino di Charles Darwin e il pioniere nel campo della trattamento statistico
dell’ereditarietà. Galton sviluppò le sue idee in due articoli pubblicati nel 1865 seguiti da
numerosi libri, nei quali egli discusse i risultati della sua ricerca statistica riguardo la
distribuzione attraverso le generazioni delle naturali abilità che conducevano
all’acquisizione di una “reputazione” sociale. Nel 1883 pubblicò Inquires into the Human
Faculty nel quale l’eugenetica è definita come “lo studio dei fattori sotto controllo sociale
che possono migliorare o indebolire le qualità razziali delle future generazioni, sia
fisicamente che mentalmente.” Profondamente influenzato dalla dottrina darwiniana
secondo la quale la selezione naturale attraverso la sopravvivenza del più adatto può
rafforzare le caratteristiche delle specie, Galton pensò che la specie umana stesse
naturalmente progredendo ma riteneva che fosse necessario controllare e accelerare
questo processo, poiché l’azione della selezione naturale era in qualche modo ostacolata
dalla filantropia e dalla compassione degli individui.
Il fine pratico della nuova scienza dell’eugenetica era di aiutare la selezione naturale
dando “alle più idonee razze e ai caratteri ereditari del sangue una migliore possibilità di
prevalere velocemente sui meno idonei”. Per realizzare questo Galton prese in
considerazione misure di controllo e di restrizione per controllare la riproduzione umana,
ma presto si accorse dell’impossibilità di tale progetto.
Le dottrine di Galton guadagnarono immediata approvazione nei circoli scientifici europei
e americani, che erano già influenzati dalla teoria evolutiva di Darwin.
Nei primi anni del ventesimo secolo questo complesso di idee divennero un movimento
sociale, che velocemente si diffuse in molti paesi e assunse diverse forme a seconda delle
differenti strutture sociali e culturali.
L'eugenetica: dagli Stai Uniti all'Europa
In questo contesto ciò che avvenne in America negli anni Venti è significativo. A partire
dal 1907, anno in cui venne predisposta, da parte dell’Indiana, la prima legge eugenetica,
furono 30 gli Stati della Federazione americana a prendere provvedimenti legislativi in tal
senso. Ma già negli anni precedenti un numero notevole di sterilizzazioni era stato
effettuato all’interno di riformatori e manicomi, utilizzando praticamente come cavie i
soggetti
internati
per
verificare
congetture
scientifiche
ed
educative.
Malgrado i testi di legge sembrassero ispirati dal filantropismo e dalla piena tutela
giuridica degli individui, nella realtà si trattava di un intervento coatto, frutto di
arbitrarie supposizioni di medici e sovrintendenti delle strutture di internamento.
Obiettivo comune e principale della repressione fu il "moron", termine coniato
dall’eugenista Goddard per indicare l' imbecille "d’alto grado". Nel 1927 sarà direttamente
la Corte Suprema degli Stati Uniti, chiamata a decidere nel caso Buck vs. Bell, a
decretare la liceità etica e legislativa delle sterilizzazioni, appellandosi alle ragioni del
"benessere collettivo".
Il caso Buck vs. Bell vide come protagonista una ragazza madre ventenne, di nome
Carrie Buck che tre anni prima le autorità avevano temporaneamente ricoverata assieme
alla madre in un manicomio, in quanto considerate entrambe portatrici di “debolezza
mentale e promiscuità sessuale”.
Quando la ragazza venne violentata da un amico di famiglia che l’aveva ricevuta in
affidamento e da questa violenza nacque una bambina, la corte più alta della nazione e la
stessa colonia della Virginia ritennero di avere il diritto di sterilizzarla. Ritenevano infatti
che appartenesse alla categoria “probabile genitrice di progenie socialmente inadeguata”,
nonostante Vivian, la bambina, non avesse dato alcun segno di inadeguatezza .
Il giudice concluse la sentenza con queste parole: “Sarebbe meglio per tutto il mondo se,
invece di aspettare che la prole dei degenerati sia giustiziata per i suoi crimini, o che
muoia di fame per la sua imbecillità, la società evitasse a coloro che sono
manifestamente malati di perpetuare la specie…Tre generazioni di imbecilli bastano.”
I membri conservatori della alta e media classe convennero con la sentenza, attratti dalla
possibilità di trovare una soluzione scientifica per il problema sociale della
“degenerazione”.
I gruppi di eugenetica vennero creati in varie parti del mondo civilizzato con lo scopo sia
d’incrementare la ricerca sull’ereditarietà sia di promuovere l’educazione eugenetica e le
misure eugenetiche per controllare lo sviluppo demografico.
Uno dei primi effetti del movimento eugenetico fu la creazione di istituti scientifici per la
ricerca sull’ereditarietà. Tra questi il più importante fu il “Galton Laboratory for National
Eugenic” al College University di Londra;l’ “Eugenics Record Office” a Cold Spring Harbor
fondato nel 1910; il “Kaiser Wilhem Institute for Anthropology, Human Heredity and
Eugenics” fondato nel 1927 a Berlino e diretto dall’antropologo Eugen Fischer, che in
seguito ebbe un ruolo fondamentale nell’elaborazione del programma razzista del
nazismo. Anche i paesi dell’area scandinava potevano vantare, agli inizi del Novecento,
una delle principali comunità di eugenisti presenti nel panorama mondiale. Tra di essi lo
svedese Lundborg, il cui attivismo aveva portato nel 1922 alla costituzione, a Uppsala,
dell’Istituto svedese di Biologia Razziale, un’istituzione unica al mondo nel suo genere, ed
il norvegese Mjøen, per lungo tempo, massima autorità europea in materia di eugenetica.
Le politiche di sterilizzazione, varate tra il 1929 ed il 1935 in Danimarca, Svezia, Norvegia
e Finlandia, assumeranno negli anni successivi delle notevoli somiglianze.
In tutti i casi si cercherà una legittimazione delle congetture pseudoscientifiche sulla
degenerazione, ma in realtà prevarranno le ragioni
socio- economiche del Welfare State, come ad esempio in Svezia. La sterilizzazione
svedese ebbe come suo principale, quasi esclusivo, bersaglio, le donne. L’eccessiva
prolificità venne stigmatizzata sia come deleteria per l’ethos collettivo, sia per il bilancio
pubblico, prevedendo il Welfare-State un sistema di assegni di maternità. Delle oltre
60.000 sterilizzazioni effettuate in Svezia tra il 1934 ed il 1976, anno in cui la legge
eugenetica venne definitivamente accantonata, circa il 95% riguardano donne.
Risentire di uno stato depressivo, alzarsi tardi al mattino, avere amicizie maschili,
parlare liberamente in pubblico della propria vita sessuale, seguire svogliatamente le
lezioni scolastiche o le funzioni religiose, o semplicemente andare a ballare, divennero
così tutti atteggiamenti potenzialmente destabilizzanti. Atteggiamenti da stigmatizzare e
reprimere attraverso la sterilizzazione, la cui necessità veniva decretata da diagnosi di
"schizofrenia", "devianza", "irresponsabilità morale" di medici compiacenti al servizio
dell’organigramma "normalizzante" svedese.
Si cercò di dare un fondamento pseudoscientifico alla credenza, già ben radicata, che i
fenomeni sociali quali la povertà, l’alcolismo, la prostituzione e la criminalità fossero
ereditari.
Una chiara esemplificazione di questo pensiero viene data, in sede letteraria, dal ciclo
Rougon-Macquart di Emile Zola.
Nonostante la linea direttrice del movimento eugenetico fosse non conservatrice o
reazionaria, presto assunse un forte impulso elitario. L’idea originaria del miglioramento
della specie umana mostrava tracce dell’influenza dell’ideale ottocentesco dell’umana
perfettibilità e tali fine voleva essere raggiunto non attraverso le riforme sociali e
l’educazione delle masse ma applicando la scienza dell’ereditarietà. Ciò implicava il
concetto di selezione individuale e la credenza per la quale, grazie alla selezione dei
“migliori”, si potesse perfezionare il genere umano.
Il primo congresso dell’eugenetica svoltosi a Londra nel 1912 ebbe come tema centrale la
problematica della selezione, vista come l’unico modo per determinare un élite dotata dei
caratteri somatici e mentali desiderati. Tale concezione favorì l’idea che la purezza e la
superiorità di una razza rispetto alle altre dovesse essere protetta dall’incrocio con
varietà biologicamente inferiori.
Nel 1924 il governo americano approvò l’atto di restrizione dell’immigrazione, che
limitava il flusso dal sud e dall’est Europa sulla base dell’inferiorità degli immigranti
provenienti da quell’area.
Tra il 1907 e il 1930 molti stati dell’America approvarono leggi sulla forzata
sterilizzazione dei comuni criminali, epilettici, idioti e così via. In quegli anni furono
forzatamente sterilizzate circa tremila persone nella convinzione paranoica che le nazioni
dell’Europa orientale e meridionale mandassero di proposito negli Stati Uniti gli individui
predisposti geneticamente alle malattie mentali, alla condotta criminale e alla dipendenza
sociale. Il modello americano contagiò nel 1933 il regime nazista, che approvò l’atto di
sterilizzazione eugenetica, per le persone affette da presunte malattie ereditarie, perché
non propagassero la loro stirpe.
All’inizio la legge non aveva caratteristiche specificamente antisemite, ma divenne presto
il primo passo di un programma culminante nell’eliminazione fisica di tutti gli
“indesiderabili” o “inutili” (Ebrei, Zingari, gli handicappati ecc.)
Nel 1935, il genetista americano Hermann J. Muller denunciò l’eugenetica, affermando
che era stata trasformata in una facciata pseudoscientifica per gli “avvocati della razza e i
pregiudizi della classe”.
L'eugenetica italiana
L’eugenetica in Italia, prima e durante il periodo fascista, si caratterizzò
come
un’eugenetica negativa, cioè non interventista ma volta soprattutto direttamente ma
cercava tramite leggi e limitazioni di evitare la trasmissione di caratteri ereditari
considerati deboli o malati, fortemente influenzata anche se non coincidente con le tesi
eugenetiche della chiesa cattolica. L’eugenetica cattolica, che ebbe come massimo
rappresentante padre Gemelli, era contro sia l’ideologia socialista, colpevole di provocare
il calo demografico sia gli incroci fra le razze in quanto le unioni venivano ritenute meno
prolifiche. Si scagliava anche contro il neo- malthusianesimo e l’eugenetica nazista,
basata sulla religione del sangue. Il Sant’ Uffizio nel 1931 giungerà a condannare
l’eugenetica positiva protestante ; nel 1932 si pronuncerà contro l’aborto.
L’eugenetica fascista era invece antimalthusiana, cioè contraria a quella dottrina che si
rifà alle tesi esposte nel “Saggio sul principio della popolazione” (1798) dall’economista
Thomas Malthus, che individua nella sempre crescente pressione demografica la causa
principale della povertà e della fame in molte aree del pianeta e propugna un energico
controllo delle nascite, al fine di evitare il deterioramento dell'ecosistema terrestre e
l'erosione delle risorse naturali non rinnovabili .Sostiene, infatti, che se la crescita della
popolazione è geometrica, quella dei mezzi di sussistenza è solo aritmetica. Per evitare
questo progressivo impoverimento l’unica soluzione sono i "freni preventivi" (come il
posticipo dell'età matrimoniale e la castità prematrimoniale) e i "freni positivi" (come le
guerre e le carestie).
L’eugenetica fascista era anche contraria al lavoro femminile, in quanto le donne
dovevano solo occuparsi del focolare ed essere prolifiche il più possibile. Nella sua ricerca
di "nascite, ancora nascite", la dittatura oscillava tra riforme e repressione, tra
l'incoraggiamento dell'iniziativa individuale e l’offerta di concreti incentivi statali.
Gli esperti consideravano le donne "mal preparate alla sacra e difficile missione della
maternità, deboli o imperfette nell’apparato della generazione" e soggette pertanto a
generare una prole "anormale". Per correggere questi vizi lo Stato fascista ambiva a
modernizzare il parto e la cura dei figli. Alla fine, il fascismo cercò di impedire alle donne
di competere con gli uomini sul mercato del lavoro, con il pretesto di tutelare le madri
lavoratrici. Ma lo scopo era anche un altro: evitare che le donne si dedicassero al lavoro
invece che alla propria famiglia.
La legge fascista sul lavoro vietò gli scioperi e abbassò i salari femminili. Nel 1938 le
lavoratrici avevano diritto ad un congedo di maternità della durata di due mesi coperti da
un sussidio. Vennero inoltre rese più severe le norme che proibirono i lavori notturni a
tutte le donne, e quelli pericolosi o nocivi alla salute alle ragazze di età inferiore ai 15-20
anni.
La politica demografica fascista fu energicamente normativa soprattutto nel volere
preservare la razza da possibili pericoli quali l’aborto e la promiscuità con gli indigeni
delle colonie italiane. Per questo motivo vennero promulgate nel 1930 la legge contro
l’aborto, definito un “delitto contro l’integrità della stirpe” e nel 1937 la legge sul
madamato che vietava rapporti sessuali tra italiani e sudditi delle colonie, nel timore che
la razza potesse degenerare.
L'eugenetica nazista
All’interno dello stato nazista non vi fu mai una netta distinzione tra politica razzista ed
eugenetica; questo spiega come mai in Germania si ebbe sia la lotta contro il razzismo
che contro i degenerati. Inoltre, l’omicidio industriale trova suo fondamento nel razzismo
scientifico, nelle teorie dell’igiene della razza che asseriscono l’ereditarietà sia dei
caratteri fisici sia di quelli mentali.
L’eugenetica in Germania comincia ad avere carattere rilevante nel 1904 quando Ploetz
fonda l’archivio per la razza e la biologia sociale e nel 1905 la Società tedesca per l’Igiene
della Razza. Inizialmente l’eugenetica, come sostiene Mosse, era diversa: non puntava
all’eliminazione delle razze inferiori ma propugnava misure positive per aumentare la
fecondità delle razze superiori. E’ innegabile, tuttavia, vedere linee di continuità con
l’eugenetica nazista come ad esempio la proposta di segregare in colonie di lavoro gli
anti-sociali per impedirne la riproduzione e la proposta di effettuare controlli per stabilire
la qualità razziale.
Durante la Prima Guerra Mondiale queste concezioni portarono indirettamente ad una
impressionante impennata dei decessi dei malati cronici negli istituti di cura tedeschi:
45.000 in Prussia e più di 7.000 in Sassonia. Con molta probabilità la scarsità di cibo
causata dal conflitto aveva spinto molti medici ad affrettare la morte di una parte di
queste
cosiddette
"bocche
inutili".
Per certi versi si era creato un terreno favorevole ad una sorta di "indifferenza" verso la
morte di individui definiti inguaribili. In questo clima si sviluppò la teorizzazione di una
"eutanasia di Stato". Nel 1920 apparve "L'autorizzazione all'eliminazione delle vite non
più degne di essere vissute" di Alfred Hoche, uno psichiatra e Karl Binding un giurista.
Hoche e Binding di fatto svilupparono un concetto di "eutanasia sociale". Il malato
incurabile era da considerarsi non soltanto portatore di sofferenze personali ma anche di
sofferenze
sociali
ed
economiche.
Lo Stato dunque doveva farsi carico del problema che questi malati rappresentavano.
Ucciderli avrebbe così ottenuto un duplice vantaggio: porre fine alla sofferenza personale
e consentire una distribuzione più razionale ed utile delle risorse economiche.
Sempre in quell’anno il professor Otman von Verschuer, esperto nella genetica e
appassionato ricercatore nel campo della biologia dei gemelli, era capo del Dipartimento
di Genetica Umana. Fondatore e direttore dell'Istituto di genetica e igiene della razza
dell'Università di Francoforte, ha pubblicato una serie di studi importanti alla fine degli
anni Trenta. In uno dei suoi molti deliranti articoli pseudo scientifici dal titolo "La
biologia razziale degli ebrei", Verschuer in primo luogo afferma che gli ebrei sono una
razza con dei caratteri ben definiti, come l'altezza media, l' alta frequenza dei cosiddetti
"piedi piatti", la specifica forma degli occhi, delle orecchie e del naso. Gli ebrei sono
portatori di malattie ereditarie, hanno caratteristiche psicologiche ,come ad esempio
"una forte sensibilità al dolore".
Una frase di Verschuer recita testualmente: "Non si può più contestare che le
caratteristiche psicologiche nell'uomo, come quelle fisiche, sono essenzialmente
determinate nel loro sviluppo da tendenze ereditarie. I risultati delle ricerche sui gemelli
in particolare hanno dato un effetto chiarificatore e delucidante".
Nel 1942 Verschuer divenne il direttore del Dipartimento di Antropologia del prestigioso
Kaiser Wilhelm Institut a Berlino. In questa posizione Verschuer poté dedicarsi alla
continuazione dei suoi studi biologico-razziali sui gemelli: con lui collaborava il dottor
Josef
Mengele.
E’ da notare come l’eugenetica, l’antropologia, la biologia e la sociologia si siano
occupate contemporaneamente e insieme delle questioni razziali ed ereditarie, tanto che
lo stesso Verschuer, pur essendo biologo, divenne capo del dipartimento di antropologia.
Sempre in quegli anni alla direzione del Kaiser “Wilhelm Institut für Anthropologie”,
inaugurato a Berlino nel 1927, c’era l’antropologo Eugen Fischer, direttore della
prestigiosa rivista “Zeitschrift für Anthropologie und Morphologie”, che aveva guadagnato
una certa fama internazionale per una ricerca su un gruppo di Bastardi (discendenti da
unioni di coloni olandesi con donne ottentotte) di Rehoboth, nell’ Africa sud–
occidentale.Lo studio, pubblicato nel 1913,ispirò la legislazione nazista in materia
razziale. Assai più delle ricerche antropologiche condotte in Africa, furono i contributi
teorici sull’ereditarietà a decretare il definitivo successo di Fischer presso i politici
nazisti.
Nel 1921 viene pubblicata a Monaco la prima edizione di “Grundriss der Menschlichen
Erblichkeitslehre und Rassenhygiene” (Fondamenti di genetica umana e di igiene della
razza) la cui seconda edizione, uscita nel 1923, fu tra le letture di Hitler durante il suo
breve soggiorno in carcere per il fallito putsch di Monaco, ed è dimostrato che, nella
stesura del “Mein Kampf”, il futuro Führer fu influenzato dalla lettura di questo manuale.
Sin dai primi anni Venti, Adolf Hitler aveva teorizzato la necessità di proteggere la razza
ariana germanica da tutti quei fattori di "corruzione" che avrebbero potuto indebolirla. Il
nazismo predicava un progetto di "eugenetica", vale a dire coltivava l'idea di ottenere un
miglioramento della "razza" germanica coltivando
i caratteri ereditari favorevoli
("eugenici") e impedendo lo sviluppo dei caratteri ereditari sfavorevoli ("disgenici").L’idea
della razza nazista unificava la diseguaglianza fra razze diverse e anche fra gruppi ed
individui della stessa razza. Ciò che caratterizzava l’inferiorità razziale era il primitivismo,
la degenerazione e la deviazione dalle norme.
Come fa giustamente notare Sybil Milton, storica del Museo dell’Olocausto di
Washington, le modalità di persecuzione contro ebrei, zingari, handicappati e malati di
mente furono identiche. Dapprima si procedeva con restrizioni di movimento poi con
sterilizzazioni , a seguire deportazioni ed infine sterminio.
Esemplare il caso dei malati incurabili e i disabili fisici e psichici in Germania. Queste
persone erano sostanzialmente una minaccia non soltanto per l'economia tedesca ma,
cosa ancor più grave, un terribile pericolo di degenerazione per la razza tedesca nel suo
complesso. Buona parte del mondo psichiatrico tedesco si schierò in modo
sorprendentemente veloce con le teorie naziste. La malattia mentale veniva ricondotta ad
un puro problema di eredità genetica. Veniva abbandonata l'idea di lottare contro la
malattia e si firmava di fatto l'autorizzazione scientifica alla soppressione fisica dei malati
in nome della purezza della razza.
Dopo l'ascesa del nazismo al potere la psichiatria tedesca iniziò una vasta produzione di
trattati sulla sterilizzazione dei disabili psichici. Il primo passo verso l'attuazione del
piano di eutanasia si ebbe nel 1933 con l'emanazione della "Legge sulla prevenzione della
nascita di persone affette da malattie ereditarie". Con essa si autorizzava l'aborto nel caso
in
cui
uno
dei
genitori
fosse
affetto
da
malattie
ereditarie.
La legge del 1933 di fatto autorizzava la sterilizzazione forzata delle persone ritenute
portatrici di malattie ereditarie. Il risultato pratico fu la sterilizzazione di più di 400.000
tedeschi
durante
i
12
anni
di
regime.
Dal punto di vista organizzativo venne creata la Direzione Sanitaria del Reich
subordinata al Ministero degli Interni e guidata da Leonardo Conti. Successivamente
venne creata la "Commissione del Reich per la salute del popolo" che si dedicò
all'organizzazione della propaganda nelle scuole, negli uffici pubblici e nel Partito Nazista.
Ogni provincia venne dotata di un "Ufficio del Partito per la politica razziale" guidato da
un esperto di eugenetica. La Direzione Sanitaria del Reich creò in tutta la Germania circa
500 "Centri di consulenza per la protezione del patrimonio genetico e della razza". I
medici che li dirigevano furono incaricati di raccogliere tutti i dati necessari per stimare
quale parte della popolazione dovesse essere sterilizzata e controllare le nascite di
bambini
deformi
o
psichicamente
disabili.
Nel 1939 Conti emanava un provvedimento segreto; grazie a questa disposizione i medici
dei "Centri di consulenza" dovevano essere obbligatoriamente informati dagli ospedali e
dalle levatrici della nascita di bambini deformi o affetti da gravi malattie fisiche o
psichiche. Una volta informati, i medici convocavano i genitori e illustravano loro i grandi
progressi della medicina tedesca. Ai genitori veniva detto che erano stati creati centri
specializzati per la cura delle malattie dei loro figli. Veniva sottolineata la possibilità di
decessi visto il carattere sperimentale delle cure ma si invitavano i genitori ad autorizzare
immediatamente il ricovero anche in presenza di speranze di guarigione ridotte. Qui
giunti i bambini venivano uccisi con una iniezione di scopolamina o lasciati
progressivamente morire di fame. Una volta deceduti i bambini venivano sezionati, ai
medici
interessava
soprattutto
studiarne
il
cervello.
A dare inizio al processo di eutanasia fu un ordine scritto di Adolf Hitler datato 1°
settembre 1939 su carta intestata della Cancelleria. Il testo recitava:
"Il Reichsleiter Bouhler e il dottor Brandt sono incaricati, sotto la propria responsabilità,
di estendere le competenze di alcuni medici da loro nominati, autorizzandoli a concedere
la morte per grazia ai malati considerati incurabili secondo l'umano giudizio, previa
valutazione
critica
del
loro
stato
di
malattia"
Con questo ordine la macchina per l'eliminazione fisica dei disabili fisici e mentali
trovava la sua copertura giuridica.
Subito dopo l'emanazione dell'ordine di Hitler Phillip Bouhler e Karl Brandt iniziarono ad
organizzare la struttura che avrebbe dovuto condurre l'operazione di eliminazione.
A Berlino venne espropriato un villino di proprietà di un ebreo. Lo stabile si trovava al
civico numero 4 della Tiergartenstrasse. Proprio da questo indirizzo fu ricavato il nome in
codice
per
l'operazione
di
eutanasia:
"Aktion
T4".
Verso l'autunno del 1939 dalla sede di Berlino della T4 cominciarono a partire i
questionari indirizzati agli istituti psichiatrici del Reich. I questionari erano molto
generici per non allarmare nessun direttore. Ufficialmente si trattava di un censimento
per conoscere le capacità lavorative dei malati. Considerando la compilazione dei
questionari un lavoro inutile e noioso - i direttori delegarono il personale amministrativo
degli istituti. Il risultato fu che i questionari venivano riempiti in tutta fretta e in modo
totalmente superficiale. Senza saperlo in questo modo migliaia di malati venivano
condannati a morte.
Una volta finita la seconda guerra mondiale i resoconti dei crimini di guerra dei nazisti
sottolinearono il ruolo negativo dell’eugenetica e ne decretarono la definitiva crisi. Molti
scienziati che lavoravano nella genetica non solo sentirono la necessità di eliminare
qualsiasi ombra di eugenetica dai loro lavori ma si sentirono anche in dovere di rendere
conto dei loro studi di fronte alla società. Un caso tipico fu quello di un medico inglese,
Lionel Penrose che dopo la guerra fu nominato a capo del Galton Laboratory e professore
di eugenetica: fu così spaventato dalla stigmatizzazzione dell’eugenetica che nel 1954
cambiò il titolo del corso annuale da “Annali di eugenetica” ad “Annali di genetica
umana”. Sebbene qualche società di eugenetica continuasse discretamente i suoi lavori e
venissero create nuove società con scopi eugenetici, la parola eugenetica fu bandita: un
tipico esempio è la società americana di genetica umana, fondata nel 1950.
Un movimento vero e proprio di eugenetica non esiste più.
L’EVOLUZIONISMO E LE TEORIE ALTERNATIVE
Con la propria teoria rivoluzionaria esposta nel 1859 ne “L’origine delle specie per
selezione naturale”, Darwin, come Copernico, cambia il posto dell’uomo nella natura: la
Terra non è più al centro dell’Universo e l’uomo non è una creazione divina ma discende
dalle scimmie.
Sulla base di esplorazioni scientifiche (isole Galapagos) e sotto l’influenza del pensiero di
Malthus, Wallace e Lyell, Darwin sostiene che le specie si
evolvano secondo il
meccanismo della selezione naturale in cui l’ambiente seleziona la specie in base alle
caratteristiche che la rendono adatta all’ambiente in cui vive. Il caso è il principio che
regola il meccanismo della selezione naturale e premia, in determinate circostanze,
alcuni organismi piuttosto che altri: ciò che è selezionato dall’evoluzione non è il migliore
ma il più adatto. Pertanto il darwinismo propone un’evoluzione della specie a gradi,
attraverso tappe evolutive, ma non sostenuta da alcun genere di finalismo.
L’evoluzionismo darwiniano in ambito scientifico è ormai ampiamente accettato e gran
parte del dibattito si incentra sulle modalità e le dinamiche dell’evoluzione. Non mancano
delle comunque delle alternative:
Lamarck: nel 1809 presenta una prima teoria evoluzionistica basata sull’ereditabilità dei
caratteri acquisiti (utile da esporre perchè spesso la si confonde con la teoria
darwiniana).
Cuvier: espone la teoria delle catastrofi naturali.
Creazionismo: interpreta letteralmente il libro della Genesi.
Disegno intelligente: noto anche come "Creazionismo evolutivo" o "Creazionismo
scientifico" si basa sull’irriducibilità dei sistemi complessi di Behe che sostiene che
alcuni organismi complessi non sono riducibili a dei “progenitori” e quindi non sono nati
da un processo evolutivo ma da un disegno intelligente.
Devoluzionismo: propone la discendenza delle scimmie dagli uomini e non viceversa.
Gli equilibri punteggiati: questa teoria è stata sviluppata negli anni 70 da N. Eldredge e S.
Gould (a quest’ultimo si affiancò poi Lewontin) propone di affiancare al meccanismo della
selezione naturale un altro motore di cambiamento. E’ possibile infatti che oltre ad un
cambiamento graduale si sia assistito ad una rapida modificazione che porta ad un salto
evolutivo con la conseguente comparsa di nuove specie. Molte strutture naturali sono
nate da contingenze storiche, causalità evolutive e stranezze nella crescita così come
alcune sono scomparse per sfortuna: se potessimo riavvolgere il nastro della vita –dice
Gould- il risultato finale sarebbe diverso.
IL DETERMINISMO BIOLOGICO
Il determinismo biologico nasce dalla ricerca genetica e dall’obiettivo (raggiunto) di
enumerare e conoscere l’intera sequenza che compone il genoma umano. Tale scoperta
rivoluzionaria ha portato con sé notevoli aspettative in campo medico-scientifico: la cura
del cancro, ad esempio, sembrava allora più vicina, tutte le malattie, dal momento che la
conoscenza della sequenza genica avrebbe permesso di stabilire come nascono,
sarebbero state prevenute per sempre. Ma non solo. Il genoma umano conterrebbe tutte
le informazioni utili per descrivere un individuo e, di conseguenza, la totalità delle
caratteristiche d’ogni individuo sono determinate biologicamente dal suo corredo genetico.
Le conseguenze sono state disastrose. L’obesità, l’omosessualità, la criminalità e la
povertà sembravano quindi riconducibili esclusivamente alla sfera genetica e concetti
come ambiente, educazione e società sembravano privi di qualsiasi significato umano.
Fortunatamente, gli stessi ricercatori (industrie americane e inglesi) che anni prima
scoprirono la sequenza del genoma umano, trovarono che il gene umano non conteneva il
grosso numero di informazioni che si pensava: il genoma umano non era composto da
quei cento-duecentomila geni ipotizzati, ma solo da trentamila. Cosa significa questo?
Che nel DNA sono sì contenute un grandissimo numero di informazioni, ma decisamente
inferiore a quelle attese. Si sono potuti quindi affermare alcuni importanti concetti: fra
due esseri umani, il Dna differisce di solo lo 0,2% (una lettera su 500), considerando che
le cellule umane possiedono due copie del genoma: si capisce bene che, se per il 99,8% il
genoma è uguale in tutti gli uomini, è impossibile che, in quello 0,2%, siano concentrate
differenze razziali, caratteriali o sociali.
In conclusione, ritoccando la celebre affermazione di Crick “Non sei che un ammasso di
neuroni”, possiamo affermare che non siamo solo un ammasso di geni.
LA PREVEDIBILITA’
Per discutere dell’impatto di organismi modificati geneticamente sull’ambiente esterno,
abbiamo deciso di informarci sugli organismi che attualmente vengono sottoposti a
tecniche di transgenesi, in particolare sulle piante modificate.
Le conseguenze dell’introduzione di questi organismi nell’ambiente sono difficilmente
prevedibili in modo completo.
Sicuramente, è molto semplice comparare l’organismo modificato all’organismo “di
partenza” a livello puramente compositivo (ad esempio evidenziare nuove tossine o
allergeni prodotti dall’OGM).
Molto più difficile (e dispendioso) sarebbe invece studiare l’interazione di questi
organismi con l’ambiente: una nuova proteina, innocua “in vitro”, potrebbe interagire in
modo inaspettato e dannoso con il terreno di coltura, gli animali che si nutrono di quella
pianta, l’organismo umano.
Questo è stato ad esempio il caso del triptofano ottenuto attraverso batteri modificati,
che nel 1989 ha causato in U.S.A. trentasette decessi e la paralisi a vita di
millecinquecento persone. Inoltre, difficilmente si considera che un gene non è un
compartimento stagno: cambiandone uno cambieranno quasi tutte le sue interazioni con
gli altri geni e quindi l’intero organismo.
Il problema, dunque, è che le conseguenze sono evidenziabili solo una volta che
l’organismo sia stato già immesso nell’ambiente esterno.
Riguardo a queste “statistiche a posteriori”, emerge un’altra questione preoccupante: le
valutazioni, anche se effettuate da organismi di controllo statale, sono attualmente del
tutto inattendibili.
Sebbene il “principio di equivalenza di sostanza” sia stato ultimamente accantonato
(perlomeno dalla maggior parte dei paesi europei), il principio a cui ci si ispira è
semplicemente quello della “considerazione caso per caso”.
Inoltre gli organismi di controllo, nel concedere autorizzazioni per la coltura di si OGM, si
basano su dossier forniti dalle aziende produttrici di questi ultimi (Monsanto, Pioneer,
Biogemma, Novalis…).
Come ha ammesso nel 1994 lo stesso M. Hirsch, ex-presidente AFFSA, questi dossier
sono volutamente incompleti, in modo da abbassare i criteri di valutazione.
Anche nel caso di (rare) valutazioni dirette a parte degli organismi statali, queste vengono
effettuate da “esperti del settore”, che naturalmente provengono dai laboratori delle
sopracitate aziende e non risultano precisamente “indipendenti”.
IL NUOVO SIGNIFICATO DI ESPERIMENTO SCIENTIFICO
Appare dunque chiaro che oggi un esperimento scientifico, specialmente nel campo della
transgenesi, non ha più le caratteristiche che tradizionalmente gli si attribuiscono.
In senso galileiano, l’esperimento aveva due caratteristiche fondamentali: la reversibilità
e la prevedibilità di ogni sua conseguenza direttamente in laboratorio.
Oggi, invece, una parte rilevante di conseguenze è rilevabile (o comunque viene
EFFETTIVAMENTE rilevata) solo al di fuori dell’ambiente di studio, cioè quando l’OGM è
già in rapporto con l’ecosistema.
Ancora più rilevante è il fatto che oggi l’atto sperimentale produce conseguenze del tutto
irreversibili (come la “cura” del film, che non permetterà più agli X-Men di riacquistare le
loro caratteristiche originarie).
In questa nuova accezione, l’esperimento scientifico aumenta sconsideratamente il suo
impatto e la sua potenziale pericolosità sul mondo esterno.
Come abbiamo già evidenziato, l’assenza totale di controlli statali indipendenti e la
legislazione molto aleatoria riguardo alla diffusione di OGM impediscono di arginare
questo rischio.
LA RESPONSABILITA’ STORICA DELLO SCIENZIATO
Di conseguenza, la figura dello scienziato ha oggi molte più responsabilità storiche
rispetto al passato.
Nel momento in cui si effettua un atto scientifico, si è già consapevoli che questo avrà
quasi sicuramente un’applicazione diretta nell’ambiente esterno.
L’esperimento, dunque, avrà conseguenze per “l’umanità futura”, ma anche e soprattutto
per quella attuale, così come per tutto il sistema-mondo.
Dunque, ci chiediamo se il potere di uno scienziato non sia forse troppo grande,
considerato anche che egli è e rimane un essere umano con particolari ideologie politiche
ed una ben determinata etica, peraltro fortemente condizionata dal contesto economicoindustriale nel quale è inserito.
IL CONSENSO INFORMATO
Il consenso informato è il principio alla base del rapporto medico-paziente, orientato al
rispetto del diritto di autodeterminazione: esso consiste nella necessità che il paziente,
per essere sottoposto ad un determinato trattamento medico-chirurgico, presti, appunto,
il proprio valido ed informato consenso.
Questo caposaldo dell’etica medica contemporanea fu sancito per la prima volta nel
1914, in un Tribunale degli Stati Uniti d’America.In questo cambio di prospettiva, che
nella giurisprudenza italiana comincia a prendere piede sul finire degli anni Trenta, si
pone anche la norma del Codice deontologico degli Ordini dei medici chirurghi e degli
odontoiatri (art.32):
Il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione
del consenso informato del paziente[…].Il procedimento diagnostico e/o il trattamento
terapeutico che possano comportare grave rischio per l’incolumità della persona devono
essere intrapresi solo in casi di estrema necessità e previa informazione sulle possibili
conseguenze, cui deve far seguito un’opportuna documentazione del consenso. In ogni
caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace di intendere e di volere, il
medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo
consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona ,ove non ricorrano le
condizioni di cui al successivo articolo 34 (pericolo di vita o incapacità di esprimere il
consenso, N.d.R.)
In sintesi, perché possa considerarsi valido, il consenso informato deve:
1. essere richiesto per ogni tipo di trattamento medico;
2. provenire dalla persona titolare del diritto;
3. provenire da una persona capace di intendere e volere;
4. essere frutto di una completa ed esaustiva informazione che deve riguardare tutte
le fasi del trattamento: diagnosi, prognosi, cura;
5. essere attuale, cioè riguardare uno specifico trattamento da effettuare
nell’immediatezza;
6. essere scritto, in caso di interventi particolarmente gravi e rischiosi, e comunque
sempre nei casi previsti dalla legge;
7. essere preceduto dall’indicazione della natura dei trattamenti;
8. essere preceduto dal prospetto degli eventuali interventi alternativi, nonché
dall’illustrazione sia dei rischi che dei benefici che sono connessi ai vari tipi di
interventi.
Va da sé che l’aspetto fondamentale che possa dotare di una reale effettività lo strumento
del consenso informato risiede nell’informazione stessa, la quale non dev’essere mera
comunicazione, ma deve concretizzarsi in un dialogo fra medico e paziente che, con un
adeguato linguaggio, garantisca una reale partecipazione del malato alle decisioni da
prendersi. Solo in tal modo, infatti, si può giungere alla formazione di un consenso
scaturito da una volontà ferma e univoca.
Nel film “X-men – Conflitto Finale” una casa farmaceutica scopre un siero capace di
modificare il patrimonio genetico dei mutanti in maniera tale da renderli umani.
Tralasciando il fatto che le caratteristiche genetiche degli X-men siano ritenute “anomale”
sulla base di una valutazione di parte e che quindi esse siano arbitrariamente identificate
come una malattia (tanto che il siero è definito “la cura”), prendiamo spunto dal film per
affrontare quella che è stata definita come la crisi del consenso informato.
Un intervento come quello descritto nel film presuppone, come ogni intervento genetico,
il consenso informato.
Nel 1953 Crick e Watson scoprirono la struttura tridimensionale a doppia elica del DNA;
meno di mezzo secolo dopo ha il via il Progetto Genoma, che ha l’obiettivo di mappare e
analizzare ogni singolo gene contenuto in tale doppia elica. Quello genetico è un campo
in cui il sapere dell’uomo ha fatto passi da gigante in tempi relativamente brevi, ma non è
per niente assodato, soprattutto a livello pratico. Ha senso allora parlare di consenso
“informato”? Se neanche i medici hanno la facoltà di poter prevedere tutte le possibili
conseguenze di un intervento di terapia genica, come può il paziente avere
un’informazione idonea ed esaustiva, che gli permetta di prendere perfettamente
coscienza dell’entità di tale intervento e di decidere quindi se affrontarlo o meno?
Al momento la terapia genica è un tipo di terapia complessa, sperimentale e soggetta a
limiti tecnico-conoscitivi tali da non escludere sempre il rischio della morte del paziente.
Inoltre, non è solo la terapia genica a mettere in discussione il ricorso alla categoria del
consenso informato. Il problema rileva anche sotto il profilo della diagnosi genetica: in
questo ambito, infatti, come autorevolmente sottolinea A. Santosuosso, la questione è
duplice.
Da un lato il risultato dei test non si concretizza in una malattia, bensì nella certezza che
essa si svilupperà in futuro (test presintomatici) o nella constatazione di una maggiore o
minore suscettibilità del paziente nei confronti di questa (test predittivi): essi forniscono
quindi un’informazione su una particolare predisposizione del soggetto, cui fanno seguito
conseguenze di tipo comportamentale piuttosto che terapeutico.
La Convenzione europea di bioetica limita quindi la liceità dei test solo “ a fini medici o di
ricerca legata alla tutela delle salute”. Non se ne vede però il fondamento giuridico: come
negare un test ad un soggetto che lo esiga avendo espresso il proprio consenso ,cosciente
quindi dell’eventuale scarsa predittività del test richiesto? In altre parole: il consenso
informato è in questo caso condizione sufficiente?
Da altro lato bisogna considerare che il consenso informato, nella tradizionale relazione
terapeutica, è la formazione della volontà di un soggetto (il paziente) scaturita dal dato
informativo fornito da un altro soggetto (il medico) e richiesto a questi proprio dal
paziente; per quanto riguarda i test genici, invece, “il contatto avviene per iniziativa
dell’operatore sanitario”, senza che questi ne abbia la legittimazione sociale e giuridica.
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