CORSO DI CHIMICA GENERALE Affermò che il mondo può essere spiegato con 4 elementi (acqua, aria, terra, fuoco)che mescolandosi in diverse proporzioni formano le diverse proprietà della materia, come i colori. Prof. Arosio Le qualità caldo, secco, freddo e umido sono la chiave per le trasformazioni. 1. Le grandezze a. Definizione di chimica e nascita storica La chimica è la scienza che studia le proprietà, la composizione e le trasformazioni della materia. Una trasformazione è il passaggio fondamentale dello studio della chimica: - è il passaggio i una sostanza ad un’altra - il cambiamento delle proprietà chimiche e fisiche La chimica ha inizio con la legge di Lavoisier (della massa costante), la quale afferma che - durante una reazione chimica non vi è una trasformazione apprezzabile per quanto riguarda la massa dei reagenti e dei prodotti. Una reazione può richiedere una determinata energia o calore d‘innesto, e ne può liberare durante la reazione. La chimica descrive in modo oggettivo queste trasformazioni. Lo strumento principe che descrive le proprietà degli elementi è la tavola periodica, in cui gli elementi sono organizzati secondo determinate proprietà. b. La chimica dell’antichità Questa impostazione è rimasta sostanzialmente inalterata fino a Lavoisier c. i metalli e le credenze I metalli erano sette, tutti provenienti da terre differenti che, bruciate con il carbone, avrebbero dato il metallo puro. Oro e rame erano i più puri, quasi divini, poiché si trovavano in natura, mentre gli altri necessitavano di esser estratti e raffinati. Varie credenze, come quelle di Paracelso e Becher cercarono di andare oltre la chimica de 4 elementi aristotelici. La pubblicazione del fisico e chimico Boyle, Sceptical chymist, fu un inizio di messa in discussione radicale della teoria dei 4 elementi, che verrà messa in disparte definitivamente da Lavoisier. d. lavoisier e l’ossigeno Lavoisier scoprì con esperimenti in cui metteva animali e una candela sotto una campana di vetro, che l’aria era composta da due differenti elementi: - aria mefitica - aria respirabile Anche l’acqua è composta da due elementi, ma non è una miscela, bensì un composto di ossigeno ed idrogeno. Aristotele fu il creatore di quel dogma che è durato per secoli. Con queste scoperte, Lavoisier instaura la crisi della chimica dei 4 elementi. Un’aria fissa è liberata dai carbonati, ed è simile a quella del nostro respiro (CO2). E’ mefitica. 4/5 dell’aria è mefitica, 1/5 è buona. d. gli atomi di un elemento non possono essere convertiti in atomi di altri elementi e. in una trasformazione chimica gli atomi si separano e si riuniscono con altri atomi di elementi differenti, quindi sono i più piccoli fattori che intervengono in una reazione. f. Le trasformazioni chimiche avvengono tra numeri interi di atomi e. Gli elementi h. Chimica organica Sono sostanze che non possono essere più scomposte chimicamente. Lavoisier ne indicò 33 e tra queste nominò: - ossigeno, poiché genera gli ossidi (acidi) - idrogeno, perché genera l’acqua - azoto, perché toglie la vita (nitrati) Oggi sono circa 100 gli elementi e molti non rispecchiano la catalogazione di Lavoisier f. La loro classificazione La scoperta della chimica porta con sé come conseguenza anche quella della crisi del vitalismo: - il tedesco Wholer sintetizza l’urea a partire da un composto inorganico, - ciò significa che è possibile sintetizzare composti organici da materiale inorganico, - sia i viventi che i no viventi sono composti tutti della stesa materia i. Definizione di materia Vi furono differenti modi di proporre la classificazione degli elementi. La materia è tutto ciò che possiede una massa ed occupa un volume. Mendelev fu colui che organizzò gli elementi in una tavola periodica, in ordine crescente secondo il numero di massa, e disposti in colonne a seconda di determinate proprietà fisico-chimiche. La materi è costituita da atomi, i quali sono formati da tre particelle subatomiche: - protone - elettrone - neutrone La tavola periodica degli elementi è attualmente aggiornata con tutti gli elementi stabili che sono sulla terra. È definitiva. j. Peso atomico g. Teoria atomica della materia Teoria formulata da John Dalton nel 1803: a. la materia è costituita di particelle piccolissime ed indivisibili dette atomi b. un elemento è costituto da un solo tipo di atomi; c. un composto è costituito da due o più atomi di elementi differenti Si definisce peso atomico di un elemento la massa relativa e media di quell'elemento rispetto ad 1/12 della massa di un nuclide di 12C. Il peso atomico relativo (PA) pari l rapporto tra la massa assoluta dell’atomo e l’unità di massa atomica (in kg). k. Il peso molecolare Il peso molecolare (PM) è uguale alla somma dei pesi atomici, ognuno moltiplicato per il proprio indice. - l. omogenea: la soluzione è uniforme ed identica in tutti i punti del campione eterogenea: la soluzione presenta differenti fasi del campione e La mole Una mole rappresenta la quantità di un elemento il cui peso, espresso in grammi, è pari al suo peso atomico o molecolare. le proprietà fisiche sono una composizione di quella degli elementi che compongono la miscela. o. Per separare le miscele 23 Una mole di qualsiasi sostanza contiene NA = 6,027 10 particelle. Per calcolare il numero di moli di una massa di sostanza si rapporta la massa (g) della sostanza al peso molare (g/mol). m. Composti e molecole Le sostanze che sono formate da più elementi sono dette composti chimici, o semplicemente composti. Una molecola è la più piccola particella di un composto che ne possiede tutte le proprietà chimiche. È un aggregato discreto di atomi tenuto insieme da legami chimici. Un composto è determinato da una legge detta della composizione costante: - un composto ha sempre la stessa composizione, qualsiasi ne sia la fonte Le proprietà di un composto sono differenti da quelle degli elementi che ne formano le molecole. n. Miscele e sostanze pure La materia può presentarsi sotto forma di: - Miscele: insieme fisico di due o più sostanze (composti) - sostanze pure: sono sostanze formate da un solo composto vi possono essere due differenti tipi di miscugli: Una miscela è tale se è possibile separare i vari composti che la compongono mediante procedimenti fisici: - filtrazione: permette di separare un liquido da un solido sfruttando la dimensione delle particelle - distillazione: permette di separare i vari composti mediante la differente temperatura di ebollizione - cromatografia: permette di separare dei componenti di una miscela mediante la diversa velocità con cui qusti migrano attraverso un supporto di carta. Per attuare questo procedimento si sfrutta un solvente che risale nel supporto per capillarità trascinando la miscela. - Centrifugazione p. Tipi di formule Vi sono differenti tipi di formule: - formula minima: indica il minimo rapporto in cui stanno gli elementi di un composto - formula molecolare: indica il numero reale di atomi dei vari elementi all’interno della molecola. Alcune molecole non sono discrete quindi vengono rappresentate mediante formule minime (es. NaCl, CaCl2, Fe, O, ecc…) In alcuni casi possono esservi dei composti formati con ioni la cui carica elettrica risultante sia nulla: - anche in questo caso si esprime con formula minima il minimo rapporto tra cariche, facendo una formula ionica, q. Esempio di ricavo della formula vera Per ricavare la formula vera dai pesi dei vari componenti si seguono i seguenti passaggi: 1. si svolge l’analisi qualitativa (si devono conoscere gli elementi della molecola) 2. si svolge un’analisi quantitativa, per conoscere le percentuali in peso 3. si ricava il numero di moli per 100 g di composto facendo % X / massa molare, 4. si prende il numero di moli più piccolo e si divide per esso tutti i numeri di moli dei vari componenti ottenendo la formula minima 5. per trovare la formula vera si utilizza la massa molecolare, che va determinata attraverso una misura. 6. Si divide la massa molecolare misurata per la massa della formula minima e si trova il rapporto in cui stanno le due formule. Il passaggio di stato di una sostanza avviene per perdita o acquisizione d’energia cinetica da parte delle particelle. Questo permette una variazione della temperatura. I passaggi di stato sono così chiamati: - Fusione: da solido a liquido - Evaporazione: da liquido a gassoso - Sublimazione: da solido ad aeriforme - Condensazione: da aeriforme a liquido - Solidificazione: da liquido a solido - Brinazione: da aeriforme a solido Nei primi tre la materia acquista energia, negli ultimi tre la cede. La pressione di vapore è la pressione del vapore in un recipiente chiuso in equilibrio con un liquido (quando non evapora più nulla). È una sorta di equilibrio dinamico, in cui vi è continuo scambio tra il liquido ed il vapore. 2. Gli stati della materia Energia di passaggio di stato a. Solidi, liquidi, aeriformi Si considera la materia come un insieme di particelle. Queste particelle sono sottoposte a delle forze di interazione che le legano l’una all’altra. A seconda della forza di interazione tra molecole si individuano tre stati fisici: - solidi: le forze di interazione tra particelle sono forti, queste sono disposte in modo ordinato e non si muovono - liquidi: le forze di interazione sono di media intensità, che conferiscono la possibilità alle particelle di muoversi, di scorrere, ma non di uscire dall’aggregato. La possibilità di movimento delle particelle conferisce il carattere fluido. - Gas: le forze di interazione sono molto deboli, le particelle sono libere di muoversi di non essere a contatto tra loro. b. Passaggi di stato Quando in un liquido una molecola ha una certa energia che supera una energia critica, questa risale in superficie ed evapora. Il numero delle molecole che si trovano al di sopra dell’energia critica è dato dalla legge NE = N e-E/RT. Questa equazione da luogo ad una campana in un grafico statistico del tipo (n° x E). Si noti che la pressione di vapore varia a seconda della temperatura in k secondo la legge Pv = k N e-E/RT. A 100°C e 1 atm in un recipiente aperto l’acqua bolle, poiché Pv=Patm. Durante i passaggi di stato, la temperatura resta costante ed occorre una determinata energia per portarli a termine. Non è solamente l’innalzamento della temperatura che può permettere un passaggio di stato, ma anche la variazione della pressione o del volume: - aumentando la pressione il punto di fusione dell’acqua scende (particolarità); - aumentando la pressione cresce il punto di ebollizione Per quanto riguarda la sublimazione (da solido ad aeriforme), la pressione di vapore del ghiaccio cresce con l’aumentare della temperatura. Nei diagrammi di stato PxT, dell’acqua si può notare che in un solo punto, ovvero con pressione pari a 4,58 mmHg e a 0 gradi, si ha il punto triplo, in cui si può trovare l’acqua allo stato solido, liquido o di vapore. La particolarità dell’acqua rispetto ad esempio alla CO2, è che la retta che descrive la pressione di fusione in funzione della temperatura ha un andamento decrescente, contrario a quello di tutti gli altri elementi. La liquefazione dei gas Quando un gas scende al di sotto del punto di ebollizione le molecole si avvicinano, agiscono le forze attrattive e il gas si liquefa. Effetto Joule-Thomson Quando in un gas si diminuisce la pressione, la maggior distanza tra le molecole causa una diminuzione della velocità media, quindi un raffreddamento. c. Le particelle e il calore Il calore è associato al movimento delle particelle: - queste, cedendo il proprio movimento tramite urti anelastici ad altre particelle trasferiscono il movimento dal materiale più caldo a quello più freddo - il risultato sarà uno stato intermedio tra le due temperature iniziali dei due corpi. In prossimità dei passaggi di stato, visono delle temperature critiche, alle quali per permettere il passaggio di stato è necessario fornire un maggior quantitativo di calore, che permetterà la trasformazione fisica e manterrà la temperatura costante finché il passaggio non sia completato. A temperatura costante, vi sono anche delle pressioni critiche, che permettono il passaggio di stato. Quando in un gas la temperatura scende sotto il punto di ebollizione: - le molecole si muovono troppo lentamente per sfuggire alle forze di interazione - il gas si liquefa man mano. - Si ha cessione di energia d. Gas e leggi dei gas Un gas è un insieme di molecole separate che si muovono in modo caotico. È comprimibile e molto sensibile ai cambiamenti di temperatura. Un gas è definito da 4 variabili: - pressione (P) - temperatura (T) - Volume (V) - Moli (n) La pressione Si definisce come il rapporto tra una forza esercitata sull’unità di superficie: P= F/S. La pressione di un gas sulle pareti di un recipiente è data dall’insieme delle collisioni delle molecole. La pressione si misura in: - mm di mercurio, o “Torr”: 1 torr = 760 mmHg = 1 atm - pascal: 1Pa = 1 N/m2, - bar: 100000 Pa - atm: 1 atm = 101325 Pa = 760 mmHg. La costante R è detta costante dei gas, ed è universale. Vale circa: - 0,082 l atm / K mol - 62,37 l torr / K mol - 8,314 l Pa / K mol La legge dei gas ideali è un’equazione di stato, poiché non rappresenta l’andamento, ma ne descrive lo stato. La temperatura Rappresenta la intensità degli urti delle particelle, essendo strettamente legata alla loro velocità. La legge di Boyle Questa legge regola le trasformazioni isoterme (T costante). Si misura in: - Gradi Celsius (0°C T del ghiaccio che fonde, 100 °C dell’acqua che bolle) - Kelvin: temperatura assoluta 0°C = 273,15 K - Farenheit. Gli 0 K, o anche – 273,15°C, rappresentano lo zero assoluto ovvero una temperatura al di sotto della quale non può esistere la materia (cfr legge di Boyle, altrimenti avrebbero V negativo) A temperatura costante, volume e pressione sono inversamente proporzionali. PV=k Le leggi di Gay-Lussac Trasformazione isocora (V costante): P = P0 (1 + T ) Trasformazione isobara (P costante): V = V0 (1 + T ) la legge di Avogadro Altre leggi il volume di un campione di gas ad una data temperatura e pressione è proporzionale al numero n delle moli di molecole presenti nel campione, indipendentemente dalla natura chimica. Con n e P costanti: V/V0=P/P0. Con n e V costanti: T/T0=P/P0. V= k n La densità di un gas In condizioni standard, una mole di gas occupa sempre circa 22,4 l. Legge dei gas ideali La massa di un campione si calcola moltiplicando la massa molecolare per il numero di moli: Unendo le leggi di Boyle, Charles, Avogadro, si ha un unica legge, approssimativamente valida per tutti i gas ideali: m = nM Poiché la densità è il rapporto tra la massa ed il volume PV=nRT d = nM / V Somma (ni) = 1 poiché L’equazione di stato per le miscele n/V = P/ RT Ptot=Pa+Pb= ntotRT / V si afferma che: d = P M / RT. Facendo il rapporto membro a membro tra l’eq di stato di una P parziale e quella della P totale, si ottienila frazione molare. Si può dunque affermare che la densità di un gas è proporzionale alla massa molecolare. Pa/Ptot=Xa Volume molare Si definisce volume molare il volume che occupa una mole di gas. Tutti i gas, per la legge di Avogadro, a pari condizioni (P, T, V) hanno il medesimo volume. Il volume molare di un gas è sempre molto più grande di quello di un liquido o di un solido,con differenze di ordine di grandezza delle migliaia. Miscele di gas. Pressione parziale: in una miscela, la pressione parziale di un gas è la P che esso eserciterebbe nelle stesse condizioni se occupasse il medesimo contenitore. Legge di Dalton (o dele pressioni parziali): la pressione totale di una miscela di gas è pari alla somma delle pressioni parziali dei vari gas che la compongono. e. Teoria cinetica dei gas Un gas è un insieme di molecole istanti l’una dalle altre. La teoia cinetica ei gas si fonda su tre assunzioni: - un gas è composto di molecole in continuo movimento casuale. - Le molecole sono particelle puntiformi che si muovono su traiettorie rettilinee uniformi interrotte da urti anelatici - L’unica interazione tra le molecole è la collisione. La teoria cinetica dei gas afferma che il volume e la pressione sono in relazione mediante l’equazione: 1/3nMv2=nRT Dove n è il numero di moli, M la massa molecolare, v la velocità quadratica media delle molecole. Questa legge indica che la velocità dipende SOLO dalla temperatura. Lo zero assoluto non è raggiungibile perché tutte le molecole sarebbero ferme. P1= n1 RT / V I gas reali Frazione molare: è il numero di moli di un gas rispetto al numero di moli di una miscela. X1= n1 / ntot. I composti in fase gassosa non sono mai gas perfetti, ma vi è sempreun volume delle particelle e delle interazioni tra le molecole. Un gas reale si avvicina all’idealità quando: - si aumenta la T - si diminuisce la P - si aumenta il volume Legge di Graham La velocità di diffusione di un gas è inversamente proporzionale alla radice quadrata del peso molecolare delle sue molecole. In sostanza si avvicina all’idealità quando le sue molecole sono il più possibile distanti tra loro. A T costante V1/V2= (M2/M1)1/2 Facendo l’operazione inversa il gas si allontana dall’idealità e cambia di stato diventando liquido. La velocità delle molecole in un gas è simile a quella del suono, di fatti il suono si propaga grazie al movimento di molecole. equazione di van der Waals per i gas reali (P + a n2/V2)(V-nb) = nRT Se aumentano le forze di attrazione diminuisce la pressione totale a e’ diverso da gas a gas. Il volume a disposizione delle particelle si ottiene sottraendo al volume del recipiente quello occupato dalle molecole b e’ una costante tipica di ogni gas. 3. Le reazioni chimiche a. Cosa è una reazione chimica Una reazione chimica è una trasformazione della materia legata a: - modifiche energetiche - rottura di legami molecolari una reazione chimica è definita mediante un’equazione chimica. Distribuzione delle velocità molecolari secondo Maxwell Ogni molecola va incontro a cambiamenti continui della propria velocità. La campana che dercrive la percentuale di molecole che vnno ad una determinate velocità è stata individuata da Maxwell. Questa curva viene chiamata distribuzione. Diffusione La penetrazione di una sostanza in un’altra è chiamata diffusione. Due gas si compenetrano tra loro perché le molecole sono in movimento e libere di muoversi: - la velocità della diffusione dipende dalla velocità delle molecole - la velocità media è proporzionale alla radice quadrata della massa molecolare di queste. Una reazione DEVE sempre rappresentare un processo che avviene in realtà, poiché non può riflettere un processo che non avviene. Equazioni chimiche Una reazione è scritta con una formula al cui centro c’è una freccia, a sinistra gli elementi di partenza di una reazione, i reagenti, a destra gli elementi finali, i prodotti. La freccia significa “produce”, il simbolo “+” indica che le molecole entrano insieme nella reazione. La simbologia prevede: - Solidi (s) - Liquidi (l) - Gas (g) - Soluzioni acquose (aq) Catalizzatore H2SO4 gas che si disperde () cambio di temperatura (). In una reazione, i numeri che prepongono le molecole sono detti coefficienti stechiometrici, che indicano il numero di molecole che interagiscono. Talvolta, si mettono anche le quantità di energia che intervengono in una reazione, come se fossero delle molecole. c. stechiometria è lo studio degli aspetti quantitativi delle reazioni chimiche: - si basa sul principio di conservazione delle masse. i. calcolo di resa teorica e resa effettiva 1. scrivere e bilanciare l’equazione 2. convertire in moli la massa del reagente massa reagente / massa molare reagente = moli reagente b. Il bilanciamento 3. convertire le moli dei reagenti nelle moli dei prodotti Per il principio della conservazione delle masse (nulla si crea e nulla si distrugge) l’equazione chimica deve essere bilanciata: - deve esservi lo stesso numero di atomi sia nei prodotti che nei reagenti - la carica complessiva deve rimanere la stessa - l’equazione deve essere bilanciata anche per quanto riguarda l’energia. Per bilanciare un’equazione chimica si osservano 4 passaggi base: 1. scrivere la formula corretta di reagenti e prodotti 2. controllare il numero di atomi di ciascun elemento a sx e confrontarli con quelli della stesa specie a dx 3. stabilire i coefficienti stechiometrici in modo da avere il medesimo numero di atomi da entrambi i lati, 4. verificare che: a. il numero d atomi di una specie sia uguale da entrambi i lati b. la somma delle cariche sia identica c. i coefficienti siano interi dal rapporto minore possibile tra loro ALCUNI SUGGERIMENTI PER BILANCIARE 1. considerare un elemento alla volta lasciando per ultimi O ed H 2. se tutto è bilanciato eccetto l’ossigeno, raddoppiare i coefficienti e riprovare 3. gli ioni poliatomici possono esere bilanciati come unità indipendenti Moli prodotto = coeff. Stechiometrico/moli reagenti * moli reagente 4. convertire le moli del prodotto in massa del prodotto moli prodotto * peso molecolare prodotto = massa prodotto 5. calcolare la resa percentuale (teorica) e confrontarla con la resa effettiva massa prodotto effettiva / massa prodotto teorica * 100% = resa % ii. reagente linitante ed in eccesso Un reagente si definisce limitante quando non è in quantità sufficiente per determinare il consumo completo degli altri reagenti. Gli altri reagenti sono in eccesso quando sono in quantità superflue rispetto ad altri reagenti in modo da non rendere possibile un consumo completo nel prodotto. d. I tipi di reazione Vi sono circa 5 tipi di reazione: - dissociazione o analisi: una molecola si dissocia in due o più molecole - associazione: due più molecole si associano in un’unica molecola - precipitazione: due composti (solitamente ionici) in soluzione si scambiano gli elementi - acido-base: trasferimento di un protone (H+) da una specie (acido) ad un’altra (base) - ossidoriduzioni: passaggio di elettroni da un atomo all’altro. - l’idrogeno nei suoi composti ha N.O. pari a +1 (fanno eccezione gli idruri dei metalli con EN minore di 2,1, con i quali N.O. è -1) Fluoro, Cloro, Bromo e Iodio, se non sono composti con l’ossigeno, hanno sempre N.O. uguale a -1. L’ossigeno nei suoi composti ha sempre N.O. -2, (eccezione i perossidi [con legame – O – O - ] in cui ha NO pari a -1). Gli elementi non metalli possono assumere differenti valori di ossidazione, solitamente tendenti alla configurazione otteziale. L’azoto assume tutti i numeri di ossidazione, da -3 a +5. iii. Bilanciamento delle ossido-riduzioni i. Redox Una ossido-riduzione è una reazione in cui dei reagenti si scambiano elettroni per formare dei prodotti. - ossidazione: perdita di elettroni riduzione: guadagno di elettroni - ossidante: elemento che guadagna elettroni riducente: elemento che cede elettroni Per il bilanciamento delle reazioni di ossidoriduzione si seguono i seguenti passaggi: 1) individuare il numero di ossidazione di tutti gli elementi presenti 2) individuare e scrivere la due semireazioni 3) aggiungere gli elettroni consumati o prodotti 4) bilanciare le cariche aggiungendo ioni H+ (ambiente acido), ioni OH- (ambiente basico) o sali 5) aggiungere H2O fino a bilanciare le masse totali 6) sommare le due semireazioni dopo averle moltiplicate per l’una per il numero di elettroni scambiati dell’altra. 7) Dividere se possibile ed eliminare gli elementi in eccesso. ii. il numero di ossidazione 4. Nomenclatura numero di ossidazione: carica che un atomo assumerebbe se tutti gli elettroni impegnati in legame si trovassero sull’atomo più elettronegativo. Per stabilire il numero di ossidazione è necessario tenere presente che: - le molecole neutre hanno la somma algebrica dei N.O. pari a 0 - per gli ioni la somma è pari alle cariche con lo stesso segno - il N.O degli elementi allo stato elementare è nullo - i metalli dei gruppi 1,2,3 hanno N. O uguale al numero degli elettroni esterni (+1, +2, +3); a. Cationi Uno ione positivo (catione) viene sempre indicato con la parola ione seguita dall’elemento corrispondente. Ad esempio Na+ si denomina ione sodio. Quando gli ioni formati da un elemento sono più di uno si segue la seguente tabella: - oso - ico b. Anioni Nel caso degli ioni negativi (anioni), se sono monoatomici si fa seguire al nome dell’elemento il suffisso –uro. Nel caso di OSSIANIONI si aggiunge all’elemento il suffisso –ato, nel caso in cui siano monoatomici. Qualora possono esservi più ossianioni con lo stesso elemento si segue a nomenclatura della seguente tabella. Ipo per - ito - ito - ato - ato c. Idruri Sono composti formati da idrogeno e un metallo. In questi composti l’idrogeno assume numero di ossidazione pari a -1. La formula generale è MeHx. La nomenclatura tradizionale li chiama: “idruro di X”. d. Idracidi Gli idracidi sono composti dell’idrogeno con i non metalli, prevalentemente gli alogeni. Formula generica è HxnonMex. La nomenclatura li chiama “acido nonMe-idrico”. Questi composti sono pochissimi e si possono riassumere in una tabella. HF Acido fluoridrico HBr HCl HI HCN H2S Acido bromidrico Acido cloridrico Acido iodidrico Acido cianidrico Acido solfidrico e. Ossidi basici Gli osidi basici sono composti formati dal legame di ossigeno con un metallo. La formula generale è Me2Ox. La nomenclatura nel caso i due elementi abbino un solo numero di ossidazione a cui legarsi li chiama con la formula “ossido di Me”. Se i numeri di ossidazione sono più d’uno si segue il seguente schema: Ipo - oso - oso - ico per - ico f. Ossidi Acidi (anidridi) Le anidridi sono composti formati dal legame di ossigeno con un non metallo, con formula generale nMe2Ox. Se vi è un solo numero di ossidazione compatibile si nominano “anidride nMe -ica”. Se i numeri di ossidazione sono più d’uno si segue il seguente schema: Ipo - oso - oso - ico per - ico g. Ossiacidi per Sono i derivati delle anidridi per aggiunta di una o più molecole d’acqua. - ito - ato - ato La formula generale è HxnMeOy. 5. Struttura atomica La nomenclatura segue quella delle anidridi corrispondenti, ma si sostituisce la parola anidride con acido, formando nomi così strutturati “acido X-ico”. Con l’aggiunta di più molecole d’acqua, si aggiungono i prefissi meta (1 H2O), piro- (2 H2O), orto- (3 H2O). h. Idrossidi Sono composti derivati dall’unione di un metallo con uno o più gruppi idrossile, con formula generale Me(OH)x. Si nomenclano con “idrossido di Me” e nel caso vi possano essere più numeri di ossidazione si segue lo schema: Ipo - oso - oso - ico per - ico i. Sali Derivano dalla sostituzione di uno o più idrogeni da un idracido o da un ossiacido, con un metallo. La formula generale diventa Mex(RA)y. La nomenclatura segue quella dall’acido da cui deriva, con le seguenti desinenze (pari a quelle degli ioni): Ipo - ito Secondo la teoria atomica, che si fa risalire a Dalton, un atomo è una particella, la più piccola particella dotata di caratteristiche chimiche dell’elemento che rappresenta. La teoria si articola nei seguenti punti: 1- tutti gli atomi di un certo elemento sono uguali 2- Gli atomi di elementi differenti hanno masse differenti 3- Un composto è la combinazione di atomi di uno o più elementi 4- In una reazione chimica gli atomi non vengono né creati né distrutti. Cambiano la loro disposizione formando nuove sostanze Un elemento è una sostanza che è costituita da un solo tipo di atomi, ed ha proprietà fisiche che dipendono dal comportamento dell’insieme degli atomi di tale sostanza. a. l’elettrone Thompson è stato il primo a determinare il rapporto carica-massa dell’elettrone. La carica è stata poi misurata da millikan. Gli elettroni sono in uno spazio intorno al nucleo In un atomo elettricamente neutro il loro numero è pari a quello de protoni. La carica di un eletrone è – 1,602 10-19 C. Ha una massa molto piccola, quasi trascurabile (9,1 1028 g) b. il protone Rutherford ha mostrato che il rapporto massa/carica differiva con il tipo di gas usato. Il rapporto più alto era ottenuto con l’idrogeno. Il protone (H+) ha carica uguale ed opposta a quella dell’elettrone e massa molto più grande (1,67 10-24). c. il neutrone Ha massa molto simile a quella del protone, ma carica neutra. Solitamente il numero dei protoni e neutroni è uguale. Quando differisce si parla di isotopi. d. L’energia quantizzata ed il modello di Bohr Maxwell nel 1864 sviluppa la teoria delle onde elettromagnetiche, arrivando all’equazione c = Le onde elettromagnetiche sono onde oscillanti perpendicolarmente tra i due campi: elettrico e magnetico. Negli spettri elettromagnetici si riesce ad osservare le lastre delle onde luminosa, con lunghezze d’onda tali per cui sono visibili. Le onde ad alta energia hanno una lunghezza d’onda molto piccola, quelle a bassa energia una molto grande. Plank ipotizzò che le emissioni di un corpo riscaldato emettessero radiazioni: - osservando gli spettri delle emissioni si accorse che l’energia risultava emessa in piccoli pacchetti, detti quanti. L’energia era proporzionale alla frequenza secondo la legge E=h, Che con le dovute sostituzioni diventa E=h c/ In definitiva scopre che l’energia emessa è: - direttamente proporzionale alla frequenza - inversamente proporzionale alle lunghezze d’onda. Balmer e Rydberg trovarono le equazioni che descrivevano le lunghezze d’onda emesse dall’idrogeno: - =R(1/nf2-ni2) - ogni elemento emette linee con differenti lunghezze d’onda Si giunge quindi al modello atomico di Niels Bohr, che prevede: - Gli elettroni orbitano intorno al nucleo - Gli elementi eccitati emettono energia - Gli elettroni possono occupare solo orbite definite intorno al nucleo. - Ogni orbita definita ha una precisa energia (quantizzata) - Passando da uno stato più eccitato ad uno stato con minore energia un elettrone emette energia. Nel 1924 il fisico e chimico De Broglie suggerisce che anche l’elettrone deve avere proprietà ondulatoria: - h / mv da ciò scaturisce il principio di indeterminazione di Heisenberg: “non è possibile definire esattamente la posizione di un elettrone se questo è in movimento”. e. Perché l’atomo non collassa nel nucleo Sebbene l’elettrone abbia natura una velocità, dovrebbero essere attratti dal nucleo. In più, il movimento comporta l’emissione di radiazioni elettromagnetiche, quindi la perdita dell’energia: - non vi è nessuna teoria della fisica classica che riesca a spiegare questa attitudine gli elettroni hanno dualità onda-particella L’energia degli elettrico risulta essere quantizzata: - un elettrone può occupare solamente determinate orbite, definite da un’equazione detta funzione d’onda che permette, con le tre variabili spaziali, di definire la probabilità che un elettrone si trovi un una determinata regione - Questa funzione è detta equazione di Schroedinger. f. Numeri quantici e orbitali Nell’equazione di Schroedinger un elettrone è definito da quattro numeri quantici: - - il numero quantico principale (n): definisce l’energia dell’elettrone, dunque il suo livello energetico; va da n=1 a n=7. Il numero quantico secondario (l): dipende da n, e può variare da 0 a n-1. Individua la forma dell’orbitale. Ad esempio per l=0, orbitale s, per l=1 orbitale p, ecc.. Numero quantico magnetico (ml): indica i possibili orientamenti spaziali dell’orbitale. Va da +l a –l, zero incluso. Numero di spin (ms): descrive il verso i rotazione dell’elettrone attorno al proprio asse. Può assumere solamente due valori+1/2 e -1/2, orario o antiorario. Se due elettroni che ruotano nello stesso verso hanno spin parallelo, due che ruotano in senso opposto sono in spin opposto. 6. Orbitali ed AUFBAU Per determinare quali orbitali vengono occupati s applicano le regole dell’aufbau, cioè il modo di riempimento convenzionale degli orbitali. La particolarità del riempimento si ha con Z = 19, per cui non si occupa come si dovrebbe l’orbitale 3d, ma il 4s, che ha un livello energetico minore. L’orbitale 3d si inizia a riempire dallo scandio (Z=21). L’aufbau permette di prevedere con una discreta correttezza l’80% delle configurazioni elettroniche. Ci sono delle eccezioni: - più di una ventina di elementi hanno piccole variazioni - esempio: il Calcio (Z=24) ha configurazione [Ar] 3d5 4s1. - Il Rame (Cu, Z=29) ha configurazione [Ar] 3d10 4s1. Naturalmente anche il riempimento degli elettroni di ioni segue queste regole. La configurazione del livello più esterno degli elementi determina la loro posizione nella tavola periodica: - ogni gruppo della tavola periodica ha la stessa configurazione esterna La tavola periodica è costruita morfologicamente sulle configurazioni elettroniche esterne. 7. Tavola periodica La tabella periodica degli elementi è stata proposta da Mendelev nel 1869, che dispose gli elementi in ordine di peso atomico in gruppi e in periodi. La tabella è divisa in blocchi corrispondenti alla configurazione elettronica esterna: - i blocchi s e p sono detti gruppi principali e si indicano con la lettera A - il numero del gruppo è dato dal numero di elettroni nel livello più esterno I periodi invece sono numerati a seconda del numero quantico principale n: ad ogni gruppo corrisponde un livello energetico. Il fatto che le configurazioni elettroniche esterne siano identiche in ogni gruppo conferisce agli elementi di ogni gruppo caratteristiche chimiche simili, che si articolano in maniera periodica lungo la tabella. Il raggio atomico dipende dagli elettroni presenti, e dal numero di elettroni presenti nell’ultimo livello energetico: - maggiore è il numero di elettroni in un livello, maggiore sarà la carica esercitta dal nucleo - nei livelli più alti il raggio aumenta poiché aumenta il numero di elettroni - nei gruppi i raggio diminuisce poiché dove vi sono meno elettroni nel livello più esterno vi è minore attrazione sugli elettroni spaiati Nel caso dei raggi degli ioni: - i cationi (ioni positivi) sono più piccoli degli atomi neutri perché la forza attrattiva del nucleo è maggiore - il raggio cationico aumenta procedendo verso il basso e verso sinistra - Gli anioni (ioni negativi) sono più grandi degli atomi neutri. Aumentano verso il basso Per quanto riguarda l’energia di ionizzazione, aumenta con l’aumentare degli elettroni di valenza (da sx a dx) e diminuisce con l’aumentare del raggio atomico (dall’alto verso il basso). Le basse energie di ionizzazione a sinistra giustificano il carattere metallico: - un metallo è un’insieme di ioni positivi circondati da una nube di elettroni gli elementi del gruppo p sono caratterizzati da elettroni di valenza s con un elevatissima energia di ionizzazione. Sono detti per ciò doppietti inerti. Si definisce affinità elettronica l’energia che si ottiene nel mettere un elettrone nell’orbitale ad energia minore. Esprime la tendenza dell’atomo a ricevere elettroni. Questa tendenza si ha dal terzo al settimo gruppo della tavola, aumentando verso sinistra: - gli atomi tendono a assumere la configurazione otteziale - i gas nobili, proprio perché hanno l’ottetto completo, non possono ricevere elettroni. 8. Chimica nucleare La chimica nucleare studia la struttura e le trasformazioni che avvengono a livello del nucleo atomico. Avviene che i nuclei cambiano la propria struttura atomica spontaneamente e nel farlo emettono radiazioni. a. il nucleo e gli isotopi Il nucleo, nel modello più semplice universalmente accettato, è un insieme di nucleoni: - protoni - neutroni la forza di attrazione che avviene con dispendio di massa (convertita in energia secondo la formula E=mc2 ) tra i protoni nel nucleo vince le forze di attrazione che si sviluppano all’interno dello stesso. Sono definiti metalli gli elementi che tendono a perdere elettroni con facilità nei loro composti di combinazione, a causa di: - basso potenziale di ionizzazione - bassa affinità elettronica gli elementi del primo, del secondo e del terzo gruppo sono detti metalli, per la loro tendenza a formare cationi. Gli elementi del V, VI, VII gruppo sono detti non metalli, per la loro tendenza a formare legami covalenti o anioni. Gli elementi del III e del IV gruppo hanno caratteristiche intermedie e sono definiti anfoteri, poiché presentano caratteristiche intermedie a seconda dei legami che formano, tra metalli e non metalli. Solitamente il nucleo di un atomo è stabile. Superati gli 83 protoni il nucleo inizia a diventare instabile e va incontro a trasformazioni. Un elemento è caratterizzato dal numero di protoni, ma può differire per la presenza di neutroni: - quando un atomo possiede un differente numero di neutroni rispetto al numero di protoni si dice che è un isotopo. - Esistono isotopi di quasi tutti gli elementi - Un isotopo differisce per il numero di massa (A, numero di nucleoni) e mantiene invariato il numero atomico (Z, numero di protoni) - Ciascun isotopo di un elemento è detto nuclide. b. stabilità e instabilità Per i primi venti elementi della tavola periodica il numero di protoni è uguale al numero di neutroni. Quando gli elementi hanno Z>21 il rapporto neutroni/protoni è maggiore di 1 ed ha un incremento continuo. Da elementi con Z>83, si inizia ad avere elementi instabili: - il nucleo tende a frammentarsi in due elementi più piccoli - ad emettere particelle o radiazioni elettromagnetiche I nuclei stabili, sono pochissimi rispetto alle combinazioni possibili tra i vari nucleoni: - quando un nucleo non si trova in una combinazione stabile, tende ad assumerla emettendo particelle o radiazioni c. decadimento radioattivo un decadimento radioattivo è un processo spontaneo in cui il nucleo cambia la propria struttura: - le radiazioni e sono spesso accompagnate anche dall’emissione di fotoni, ovvero di energia che serve per stabilizzare il nucleo sotto forma di radiazione . - La disintegrazione trasforma il nucleo in quello di un altro elemento i. decadimento alfa è l’emissione di un nucleo di elio, ovvero una molecola di He2+. L’atomo perde due protoni e due neutroni (Z=-2; A=-4). iii. decadimento gamma é la semplice emissione di un fotone ad alta energia, accompagna tutti i decadimenti. iv. cattura elettronica Un nucleo cattura uno dei propri elettroni e trasforma un protone in un neutrone (Z-1). Avviene con la trasformazione del Calcio-41 in potassio (K-41) v. emissione di positroni Un protone si trasforma in un neutrone e viene emesso un positrone (massa identica all’elettrone con carica +1). Il numero atomico diminuisce di una unità (Z-1). d. Tipo di decadimento e stabilità A seconda se un isotopo si colloca al di sopra o al di sotto della banda di stabilità possono avvenire differenti tipi di decadimento: - se deve diminuire il numero di massa emettendo un neutrone (al di sopra della banda) possono emettere particelle beta. - Se sono sotto la banda, ovvero sono ricchi di protoni per spostarsi verso la banda di stabilità emettono un positrone oppure catturano un elettrone (Z-1) ii. decadimento beta Il decadimento beta comporta l’emissione di una particella un elettronecon la trasformazione di un neutrone in un protone. Quando vi sono nuclidi pesanti e particolarmente instabili (sopra Z=83) si hanno i decadimenti alfa, con emissione di 4 nucleoni (2 neut e 2 prot) I numeri cambiano: - Z=+1 - A resta invariato Gli elementi tendono sempre ad assumere delle configurazioni stabili, quindi vi sono delle proprie serie radioattive tracciabili e confrontabili a partire da determinati isotopi. e. emivita e tempo di dimezzamento Quando il nucleo emette una radiazione () il numero atomico varia e si forma un nuovo elemento. - Il C-14 è sempre presente in natura poiché si ricrea con i decadimenti dell’azoto nell’atmosfera quando è colpito dalle radiazioni cosmiche f. La velocità con cui avvengono queste emissioni può essere misurata contando le radiazioni emesse nell’unità di tempo: - ad ogni radiazione corrisponde una emissione e un decadimento - il numero di decadimenti al secondo è definito Bequerel (Bq). Esiste una legge di proporzionalità diretta tra la velocità con cui un elemento decade (A, attività dell’elemento) e il numero di decadimenti (N), espressa attraverso una costante (k, costante di decadimento dell’isotopo): A=kN unità di misura della radioattività La radioattività possiede differenti unità di misura: - bequerel: numero di decadimenti al secondo - CPM: conte per minuto. Utilizzato a seconda dello strumento - Curie: misura complessa che si basa su un isotopo del radio. g. radioisotopi in biologia e medicina In biologia e medicina, gli isotopi radioattivi possono essere usati come: - traccianti - fonti di energia distruttiva (radioterapia) Un’altra legge esprime questa velocità: ln (N/N0) = -kt. In base a questa legge si definisce l’emivita il tempo necessario affinché decada la metà degli atomi dell’isotopo radioattivo: - la semplificazione della legge porta ad una nuova legge più semplice Per poter essere compatibili e non dannosi agli organismi devono avere: - emivita molto breve (pochi giorni) - devono poter essere smaltiti - devono trasformarsi in isotopi stabili 9. Legami chimici ln(N/2N)=-kt1/2 ln(1/2)=-kt1/2 t1/2= 0,963/k Il tempo di dimezzamento (emivita) di un isotopo radioattivo dipende dalla costante di decadimento, la quale dipende dalle caratteristiche dell’isotopo. Per la datazione dei reperti viene utilizzato un isotopo del carbonio, il C-14, che ha un’emivita di 5730 anni: - in virtù della relazione tra il C-14 e il C-12 di 1/100 in un individuo in vita si calcolano gli anni in cui l’organismo era vivente. Gli atomi interagiscono tra loro formando molecole. L’union di atomi prende il nome di legame e può avvenire in vari modi. La teoria dei legami degli atomi si deve a Lewis: - Gli elettroni del livello più esterno sono quelli implicati nel legame, e sono detti elettroni di valenza - Se gli elettroni vengono trasferiti da un atomo all’altro si ha un legame ionico - Se gli elettroni vengono condivisi si ha un legame covalente. - Regola dell’ottetto: gli atomi tendono sempre ad assumere la configurazione del gas nobile che è loro più vicino, ovvero a riempire il loro ottetto. a. Covalente Un legame covalente è formato da una coppia di elettroni messi in compartecipazione tra due atomi. Possono verificarsi due casi: - ciascun atomo fornisce un elettrone compartecipato - un atomo fornisce entrambi gli elettroni (legame dativo) Un legame covalente si ha tra due atomi del gruppo p della tavola periodica, oppure con H e Be. Generalmente si osserva la differenza di elettronegatività tra i due atomi che formano un legame: - quando l’elettronegatività è minore di due, allora si ha probabilmente un legame covalente - quando il valore di E.N. è maggiore due si ha legame ionico L’energia del legame covalente equivale all’energia necessaria per scinderlo. La lunghezza di legame è definita come la distanza tra i nuclei dei due elementi. Dipende da: - raggio atomico - forza di legame L’entalpia di legame è l’energia che si libera quando il legame viene rotto. A seconda della differenza di eletronegatività tra gli atomi considerati, un legame covalente può essere: - polare - apolare Un legame polare è un legame in cui, per la differenza di elettronegatività tra i due atomi, gli elettroni tendono a spostarsi verso uno dei due atomi, creando dei momenti dipolari differenti all’interno della stesa molecola: - si creano parziali cariche di segno opposto può essere considerato come un ibrido di risonanza tra un legame covalente e un legame ionico ha differenze di elettronegatività comprese tra 2 e 1 b. Ionico Il legame ionico è l’attrazione elettrostatica tra le cariche di un anione e un catione: - se due atomi con alta differenza di elettronegatività si avvicinano, il meno elettronegativo cede un elettrone all’altro, divenendo un catione e anionizzando l’altro elemento - Gli ioni tendono a riunirsi a formare un solido, e a disporsi con la tipica struttura a reticolo cristallino, che comporta minore energia - L’entalpia reticolare di un solido ionico corrisponde alla variazione standard di entalpia che si accompagna alla trasformazione del solido in un gas costituito dai suoi ioni. Il solido ionico è disposto in modo tale che tra gli ioni si abbia un minimo di energia. Un legame ionico è favorito da: - bassa energia di ionizzazione del catione - alta affinità dell’anione - alta differenza di EN - devono avere una piccola massa atomica e un alto numero di carica per stabilire forti interazioni elettrostatiche che danno via ad energia reticolare. c. Regola dell’ottetto Gli atomi tendono il più possibile a completare i propri ottetti di elettroni nel livello energetico più esterno, lo fanno mediante coppie di elettroni compartecipate. Questa regola funge benissimo con gli elettroni del secondo periodo (O, C, F, N, ecc..) Quando entrano in giuoco anche gli orbitali d allora possono essere riempiti più orbitali, e in un atomo possono essere sistemati più di otto elettroni. Per parecchie molecole, è possibile scrivere più di una formula di Lewis, sono le varie strutture limite, dette ibridi di risonanza. Gli elementi dal terzo periodo hanno a disposizione gli orbitali d, di energia accessibile: - possono espandere l’ottetto a 10, 12 e più elettroni Un radicale è una porzione scissa da una molecola che ha almeno un elettrone spaiato (esempio radicale ossidrile, OH): - hanno vita molto breve - tendono ad essere molto reattivi 10. forma delle molecole a. forma delle molecole: teoria VSEPR Spesso la struttura tridimensionale conferisce alla molecola le sue proprietà chimiche. La struttura tridimensionale può essere descritta mediante: - angoli di legame - lunghezze di legame La struttura di Lewis fornisce indicazioni circa: - tipo di legami tra atomi - orbitali di valenza - collegamento tra vari atomi Tuttavia non fornisce informazione alcuna circa la struttura tridimensionale della molecola. La forma di una molecola può essere dedotta seguendo i principi della teoria VSEPR, ovvero repulsione tra le coppie degli elettroni del livello di valenza: le coppie di elettroni nel livello più esterno tendono a disporsi il più lontano possibile Se è presente un atomo centrale allora gli atomi legati ad esso tendono a disporsi sulla superficie di una sfera alla massima distanza possibile. La forma e l’angolo dipendono solamente dal numero dei sostituenti: - 2 atomi: distanza lineare e angolo 180° - 3 atomi: forma triangolare e angoli di 120° - 4atomi: forma tetraedrica con angoli di 109,5° - 5 elettroni: triangolare bipiramidale, con angoli di 120° sul piano xy e 90 rispetto ai due atomi su z. Tuttavia i doppietti solitari (lone pairs) fanno sentire il loro effetto: - occupano più spazio di quelli di legame - si comportano come un atomo nel determinare la forma di una molecola. I principi della teoria Vsepr possono essere applicati anche a molecole più complesse: - è necessario considerare un atomo centrale alla volta b. Polarità delle molecole Una molecola polare è una molecola che possiede un momento dipolare differente da zero. Una molecola che contiene legami non necessariamente è essa stessa polare: - occorre considerare la simmetria della molecola stessa - un momento dipolare si instaura quando due cariche elettriche uguali ed opposte sono distanziate tra loro Il momento dipolare si calcola come =Qr, dove Q è la carica e r la distanza tra i due poli. In molecole tridimensionali, la somma dei vettori del momento dipolare di ciascun legame da la polarità della molecola. 11. orbitali ibridi e orbitali molecolari a. Modello dell’orbitale di legame c. come determinare le formule di struttura Per gli elementi del secondo periodo occorre tenere presente che : - dispongono di quattro orbitali atomici per un legame - non possono formare più di 4 legami e essere circondati da più di 8 elettroni - queste affermazioni talvolta sono estensibili al terzo periodo Per i legami occorre tener presente alcune regole: 1) in una molecola formata da più di due atomi, la geometria molecolare è determinata da un atomo centrale in funzione del numero complessivo di coppie di legame sigma e coppie di non legame da cui è circondato 2) le coppie di elettroni tendono a disporsi il più lontano possibile l’una dalle altre (teoria VSEPR, minima repulsione elettrostatica) 3) il legame pigreco non influisce sulla repulsione delle cariche 4) molecole o ioni poliatomici che abbiano lo stesso numero di atomi e lo stesso numero di elettroni di valenza hanno la stessa struttura. Il legame covalente avviene solamente quando due orbitali si sovrappongono: - Si possono formare legami sigma attraverso la sovrapposizione delle estremità lobari di due orbitali secondo una forma testatesta - Si formano legami pigreco quando si ha la sovrapposizione laterale di due lobi degli orbitali secondo un modello fiancofianco Gli orbitali possono ottenere una ibridazione mediante una cessione di poca energia: - un orbitale pieno (in cui vi sono 2 elettroni) può, con l’ausilio di un po’ di energia, far passare un elettrone all’orbitale successivo, quello con maggiore energia - l’orbitale che cede l’elettrone passa ad una energia equivalente a quello che lo riceve: si formano gli orbitali ibridi (stesso livello energetico) - questo processo avviene con orbitali ad energie confrontabili (s, p, d) Procedimento 1) sommare il numero di elettroni di valenza in una molecola e dividere per due per ottenere le coppie di elettroni 2) prendere un atomo che si considera come centrale (solitamente quello più elettronegativo) 3) si inseriscono tante coppie di legame quante ne servono per legare l’atomo centrale a quelli periferici 4) si mettono tante coppie di non legame sugli atomi periferici tanto da completarne l’ottetto 5) si mettono le coppie restanti come coppie di non legame sull’atomo centrale (se vi sono, determinano la geometria tetraedrica o trigonale planare) 6) si ridistribuiscono le coppie in modo che l’atomo centrale abbia l’ottetto completo. L’ammoniaca potrebbe formare tre legami planari sui 3 orbitali 2p, invece ibrida gli orbitali e forma una struttura tetraedrica, con orbitali ibridati sp3: - il doppietto solitario dell’azoto occupa uno degli orbitali ibridi Alcune geometrie molecolari che coinvolgono atomi centrali con ottetti espansi possono essere interpretati come l’ibridazione di orbitali ibridi sp con orbitali d per formare ibridi spd. Lo stato di ibridazione lo si può dedurre dalla geometria molecolare in relazione alla presenza di doppietti liberi. All’interno della teoria dell’orbitale di legame si possono anche spiegare i doppi e tripli legami: - avvengono con un legame e con uno o due legami . Sono rigidi alla torsione Si formano solo con atomi relativamente piccoli (II periodo) per permettere l’unione degli orbitali p nei legami . L’ordine di legame è dato dal numero netto di legami che si ottiene dopo aver annullato legami con antilegami. La formula che descrive l’ordine di legama (bond order) è: 1 BO (eLEG eANTILEG ) 2 b. Teoria dell’orbitale molecolare Un orbitale molecolare è un orbitale esteso a due o più atomi uniti da legami covalenti: - è possibile visualizzarlo come la fusione degli orbitali atomici Per approssimazione, si possono calcolare i moti di un elettrone intorno ad un nucleo attraverso la combinazione lineare degli orbitali atomici (metodo LCAO). Con il metodo LCAO si possono individuare: - orbitali di legame: se occupati da elettroni diminuiscono il contenuto energetico della molecola e la stabilizzano - orbitali di antilegame: se occupati da elettroni aumentano il contenuto energetico di una molecola e la destabilizzano Un orbitale di legame risulta la somma delle funzioni d’onda dei due elettroni di legame: ant A B Un orbitale di antilegame risulta essere definito dalla sottrazione dele funzioni d’onda dei due elettroni ant A B Negli elementi più piccoli Del blocco p nel secondo periodo è possibile che si verifichi l’interazione tra orbitali s e p, con conseguente ibridazione: - vengono modificati i livelli energetici degli orbitali molecolari, con l’inversione dell’ordine degli OM tra e . Chiaramente se il bond order è nullo, la molecola (o il legame descritto) non esiste. 12. legami deboli Le varie molecole sono attratte da forze intermolecolari che determinano l’aggregazione in liquidi e solidi. Questi legami attrattivi tra molecole hanno un’energia molto minore a quelle dei legami covalenti (< 50 kJ/mol). a. ione-ione E’ il vero e proprio legame ionico, molto forte e di natura elettrostatica: - agisce a lunga distanza - è il responsabile dell’alta temperatura di ebollizione nei sali o in altri composti ionici L’energia di un legame ionico è data dalla relazione: E z1z2 . d b. ione dipolo E’ l’interazione che si viene a formare quando sono disciolti in acqua gli ioni: - per sciogliere un sale, l’acqua si avvale dei propri dipoli ed esercita forti attrazioni sulle estremità ioniche del composto ionico - gli ioni si dissociano e l’acqua li circonda con il dipolo del segno opposto alla carica dello ione. È responsabile dell’idratazione dei cationi in soluzione, ovvero del legame di una molecola d’acqua ad un catione centrale L’induzione di dipoli istantanei e delle conseguenti interazione è molto più frequente nelle molecole cilindriche piuttosto che in quelle sferiche. L’energia di questa interazione è maggiore con cationi molto piccoli, L’energia delle forze di dispersione dipende dalla poiché diminuisce con la distanza, secondo la legge: E polarizzabilità(): E z d 2 c. dipolo-dipolo tra molecole polari, in Interazione di natura elettrostatica che si forma cui vi è l’attrazione dei vari dipoli elettrici: - l’attrazione è tra cariche parziali, quindi è minore del legame ionico - la rotazione delle molecole diminuisce l’interazione (quindi anche l’aumento di temperatura) Infatti, l’interazione diminuisce secondo le leggi: - nei solidi: E - nei gas: E 12 d3 12 d6 In una miscela di liquidi, uno polare e uno non polare si può assistere all’induzione di un dipolo: - il composto polare induce un dipolo in quello apolare - la forza di questa induzione dipende dalla polarizzabilità della molecola (generalmente quelle più grandi sono più polari) d. forze di London – Van der Walls Sono dovute alla formazione di dipoli istantanei durante il moto degli elettroni: - sono maggiori quando è più alto il numero di elettroni in una molecola - sono forze parecchio deboli - sono le responsabili della condensazione dei gas nobili A B d6 e. legami H Il legae idrogeno è un legame di natura fortemente polare che avviene quando l’idrogeno si pone a ponte tra atomi fortemente elettronegativi. È il responsabile delle alte temperature d’ebollizione dei composti dell’idrogeno con atomi fortemente elettronegativi (ad esempio l’acqua). Il legame H è molto piccolo e presenta particolari caratteristiche, rispetto a tutti gli altri legami dipolo-dipolo: - se AH è molto polare, l’idrogeno ha praticamente una carica positiva, poiché il suo nucleo è esposto - attrae atomi molto elettronegativi - i tre atomi in gioco devono essere allineati e posti ad una distanza stabilita - ha caratteristiche parziali di legame covalente - ha energia bassa ma è estremamente diffuso - è la forza intermolecolare più considerevole f. interazioni idrofobiche Allo stato solido la molecola d’acqua è coinvolta in 4 legami H (2 H si legano a 2 O di altre molecole, 2 O accettano 2 legami H). Allo stato liquido questi legami sono circa tre. Le forti attrazioni che avvengono a livello dell’H2O sono la causa della repulsione e dell’espulsione di una molecola idrofoba: - questa viene agglomerata e tendenzialmente portata fuori dal liquido m Il legame ad idrogeno è il legame più forte, seguono le interazoni tra le altre molecole polari, poi tra quelle apolari. I punti di ebollizione e fusione dipendono in larghissima misura dalle interazioni intermolecolari: - sono tanto più elevati quanto più sono forti le interazioni la frazione molare esprime il numero delle moli di una sostanza rapportato alle moli dell’intera soluzione: xa 13. soluzioni Sono definite soluzioni delle miscele omogenee in cui una sostanza (soluto) è sciolta in un’altra (solvente). nsoluto Psolv na na nb n... Molto utilizzata è anche la percentuale in massa, che è data dal rapporto della massa di una certa sostanza sulla massa totale della soluzione moltiplicata per 100: In chimica conviene fare avvenire reazioni in soluzioni poiché gli atomi, muovendosi, possono reagire con maggior facilità. %A a. misure della concentrazione PA Ptot Per poter attuare una misurazione in una reazione o fare vari calcoli stechiometrici sono molto importanti i vari rapporti della concentrazione: - le moli di soluto in un dato volume - la percentuale della massa di un soluto nella massa totale - numero relativo delle molecole del soluto e del solvente - numero delle molecole di soluto per litro (meno importante) Altre unità di misura sono: Per esprimere i vari rapporti è necessario utilizzare delle varie unità di concentrazione. Tra i vari soluti ve ne possono essere alcuni che si dissociano in ioni quando vengono posti in soluzione, conducendo elettricità: sono dette sostanze elettrolite. - la concentrazione di massa c x - le parti per milione (ppm). PX (g) Vsoluz b. Elettroliti e non elettroliti La più nota ed utilizzata è la molarità (M) che è data dal rapporto tra le moli di soluto e il volume di soluzione in cui esse sono contenute: M n soluto Vsoluz Di minore importanza, ma altrettanto utilizzata è la molalità (m), che esprime il rapporto tra le moli del soluto in una massa in kg di solvente. Le molecole che invece non si dissociano in acqua e non conducono elettricità sono dette non elettroliti. c. solubilità e saturazione Talvolta è possibile che il solvente non riesca più a disciogliere il soluto e ne rimane una piccola quantità non disciolta: - è un esempio di equilibrio dinamico in cui la reazione diretta e quella inversa avvengono con la medesima velocità Una soluzione satura è una misura della capacità del soluto di sciogliere il solvente La solubilità di una sostanza in un solvente è la concentrazione della soluzione satura. - un liquido polare, come l’acqua, scioglie con facilità i composti polari un liquido non polare (benzene, tetracloroetilene, ecc…) sono solventi ottimi per i composti apolari. d. temperatura e pressione Nei gas la pressione influisce moltissimo sulla solubilità: - maggiore è la pressione esercitata su un gas, maggiore è la sua solubilità La costante di equilibrio della reazione di un non elettrolita in soluzione è kc=[NE](sol). In una soluzione con elettroliti si ha il cosiddetto prodotto di solubilità: - La costante di dissociazione del prodotto di solubilità è data dal prodotto delle concentrazioni degli ioni disciolti kps=[X+][Y-] - Quando si tratta di un sale (poiché sono elettroliti forti, completamente dissociati) si può anche calcolare il prodotto di solubilità (kps) elevando al quadrato la solubilità S=[X]=[Y], quindi kps=S2. In generale, per i sali il prodotto di solubilità è il prodotto delle concentrazioni degli ioni, ciascuna elevata al proprio coefficiente stechiometrico. - La solubilità dipende da: - temperatura - natura di soluto e solvente - pressione (per i gas) La notevole solubilità dei nitrati spiega il motivo della loro assenza nei minerali. La scarsa solubilità dei fosfato fornisce un vantaggio allo scheletro del corpo umano, formato principalmente da fosfato di calcio, poiché gli conferisce la rigidità. La dipendenza della solubilità dalla natura del solvente è riassunta con una regola che “il simile scioglie il simile”: La legge di Henry stabilisce che la solubilità di un gas in un liquido è proporzionale alla pressione parziale del liquido stesso. S kH P , Dove S è la concentrazione molare del gas disciolto e kH è la costante di Henry, che dipende da: - temperatura - natura del solvente - natura del gas Questo aumento della solubilità dovuto ala pressione si può spiegare in termini di equilibrio dinamico tra le molecole del gas e quelle della soluzione: - all’aumento della pressione, l’equilibrio varia, poiché vi sono molecole che entrano con maggiore velocità - per il principio di Le Chapelier, che afferma che un equilibrio dinamico si oppone a qualsiasi cambiamento dell’equilibrio stesso, le molecole tenderanno ad uscire anche più velocemente - si stabilisce un nuovo equilibrio dinamico, in cui è maggiore il numero di molecole coinvolte Per quanto riguarda l’effetto della temperatura: - i gas si sciolgono più facilmente a temperature più basse - i solidi invece aumentano la propria solubilità con l’aumentare della temperatura - il comportamento dei solidi non è tuttavia sempre regolare e. entalpia della soluzione un comportamento di un solido può essere definito endotermico quando ha bisogno di energia per potersi sciogliere. Quando invece nello scioglimento viene ceduta energia, allora la reazione è esotermica. Alcuni solidi si sciolgono endotermicamente, altri esotermicamente. Il processo di dissoluzione in un soluto avviene in due stadi: 1) entalpia reticolare: rottura dell’energia reticolare (endotermico) 2) entalpia di idratazione: idratazione del solido disciolto (esotermico) Una sostanza che si scioglie endotermicamente è più solubile all’aumentare della temperatura, una sostanza che si scioglie esotermicamente è meno solubile all’aumentare della temperatura. Normalmente una dissoluzione avviene a temperatura costante: - l’energia prodotta o assorbita dalla soluzione è equivalente ad una variazione di entalpia detta entalpia di soluzione (H). L’entalpia di idratazione è maggiormente esotermica con: - ioni di raggio minore - ioni di carica maggiore - pressione osmotica una proprietà colligativa è una proprietà che: - non dipende dalla natura del soluto e del solvente - dipende solamente dal numero di particelle Per quanto riguarda il numero delle particelle: - cationi e anioni (gli ioni dissociati) agiscono separatamente, ovvero devono essere contati effettivamente, non come un composto molecolare - le molecole non dissociate sono invece contate unitariamente. i. abbassamento della tensione di vapore per la legge di Raoult: - la tensione di vapore è proporzionale alla frazione molare del solvente nella soluzione P xsolvente P La causa di questo fenomeno è data dalla quantità di molecole di soluto in superficie, che diminuiscono la velocità del distacco. ii. abbassamento del punto d’ebollizione L’innalzamento del punto d’ebollizione è proporzionale alla molalità (m) della soluzione Inn.Ebulloscopico kb m kb è la costante ebulloscopica del solvente. Questa è regolata dalla legge di Born. f. proprietà colligative L’effetto di un soluto disciolto in una soluzione produce quattro cambiamenti tra loro correlati: - abbassamento della tensione di vapore - abbassamento del punto di ebollizione - abbassamento del punto di congelamento (punto crioscopico) Considerare lamolalità in termini di ioni nei composti disciolti!! iii. abbassamento del punto crioscopico Un soluto diminuisce il punto di congelamento del solvente, determinando il cosiddetto abbassamento crioscopico. Questo fenomeno è causato da: - numero minore di pariticelle in contatto con la superficie del solido, - vi è la presenza di altre particelle nel solido Lo studio dei meccanismi di reazione prevede la caratterizzazione dei possibili intermedi, che comportano la formazione di prodotti intermedi. Anche la temperatura di solidificazione è proporzionale alla molalità: La velocità è definita come la variazione della concentrazione dei prodotti e dei reagenti nell’unità di tempo. abb.crioscopico k f m iv. osmosi e pressione osmotica Il fenomeno dell’osmosi è il passaggio di solvente attraverso una membrana semipermeabile in una soluzione più concentrata. La pressione necessaria per arrestare il flusso di solvente è detta pressione osmotica. La causapuò essere spiegata in questi termini: - la velocità del passaggio attraverso una membrana è influenzata dal soluto - la velocità è minore dal lato della soluzione, poiché solamente le molecole del solvente possono attraversare la membrana, nonostante quelle del soluto premano su essa. Il calcolo della pressione osmotica è dato dalla legge: V=nRT in cui il numero di moli degli elettroliti deve essere duplicato in vista della dissociazione. 14. cinetica chimica a. velocità di reazione La cinetica chimica si occupa di studiare la velocità con cui avviene una reazione e i fattori che la influenzano: - sono determinanti nella conoscenza di prodotti intermedi Le velocità di reazioni non possono essere determinate a priori, ma solamente in via sperimentale. La velocità è quindi data dalla legge v - d[A] : dt il segno + è se il prodotto aumenta (sarà meno per il reagente in questione) il segno – se il prodotto diminuisce nel tempo La velocità di reazione dipende dai seguenti fattori: 1) natura chimica dei reagenti 2) concentrazioni delle specie chimiche coinvolte 3) temperatura 4) presenza di catalizzatori La stessa velocità cambia con il tempo: - si possono tracciare i grafici che esprimono l variazione della velocità La velocità di reazione in cinetica chimica si può anche esprimere con la formula: v k [A] [B] La cinetica chimica è lo studio delle velocità delle reazioni chimiche e dei meccanismi di reazione con cui queste avvengono. In cui k rappresenta la costante di velocità specifica per quella reazione. La ordine di reazione è dato dalla somma degli esponenti a cui si elevano le concentrazioni. b. reazioni di primo ordine Si dimostra sperimentalmente che le reazioni del primo ordine hanno velocità pari a v k [A] . Sono di primo ordine tutte le velocità che hanno un solo reagente, così come i decadimenti radioattivi. d[A] k [A] dt c. reazioni di secondo ordine d[A] k dt ed integrando si ottiene: [A] ln[ A] kt cos t . Si ha una reazione del secondo ordine se le equazioni derivate assumono la forma: 1) derivata sperimentalmente v k[A]2 2) oppure v k[A][B] , in cui la somma degli esponenti è 2 Poiché al tempo t=0 la concentrazione sarà quella iniziale [A]0, quindi Nel tempo, una reazione come la (1) varia secondo una legge che separando termini da che 1 1 kt [A] [A]0 1 1 1 t ( ) k [A] [A]0 ln[ A] kt ln[ A]0 che trasformata debitamente darà la formula finale, ovvero che 1 [A]0 t ln , che può anche essere espressa con [A] [A]0 ekt k [A] 1/[A] in funzione del tempo da una linea retta. Si utilizza spesso l’emivita, poiché è un modo semplice e pratico per esprimere le velocità. La concentrazione del reagente diminuisce quindi in maniera esponenziale. Per rettificare il grafico con pendenza -k, occorrerà esprimere in funzione del logaritmo del rapporto tra la concentrazione iniziale ed una data concentrazione, che varia nel tempo costantemente. SI ha quindi una espressione cinetica del tipo v 1 [A]0 1 t 1 ln ln 2 k 1 [A] k 2 0 2 0,69 t1 k 2 Ha senso quindi parlare di tempo di dimezzamento, ovvero il tempo necessario affinché la concentrazione siala metà di quella iniziale, seguendo la formula: d. reazioni di ordine zero Le reazioni di ordine zero sono reazioni in cui la velocità non varia con il variare della concentrazione. La concentrazione varia in funzione del tempo con un andamento rettilineo. Questa legge mette parecchio in risalto il fatto che la velocità di una reazione dipenda dalla temperatura. Per queste reazioni la velocità è espressa come v = k. La velocità di una reazione chimica aumenta sempre con la temperatura, quindi, perché aumenta il numero di molecole con Ek > Ea. e. Teoria delle collisioni o degli urti efficaci Affinchè delle molecole reagiscono sono necessari due procedimenti: - queste debbono incontrarsi - l’urto deve essere tale che l’energia cinetica liberatasi sia sufficiente a rompere i legami tra orbitali e formarne di nuovi Siccome il numero degli urti è proporzionale alla loro concentrazione si può scrivere freq.collisioni = K[A][B], Se tutti gli urti avessero delle collisioni efficaci la K sarebbe identica alla k della velocità di reazione, quindi la frequenza delle collisioni sarebbe identica alla velocità. Tuttavia non sempre gli urti tra molecole risultano efficaci. Gli urti efficaci avvengono solamente se le molecole possiedono una energia superiore all’energia minima che li rende efficaci, l’energia di attivazione. Con una distribuzione di Maxwell è possibile intuire come si trovino le molecole: E a f e RT Considerando due fattori si giunge alla nota equazione di Arrhenius: - non tutte le molecole possiedono energia cinetica superiore all’energia di attivazione - le molecole devono essere orientate stericamente in maniera adeguata per fare avvenire la reazione Ea k A e RT Il grafico di questa equazione nella forma logaritmica ci da la possibilità di osservare la velocità di una reazione chimica in funzione della temperatura, con l’andamento di una retta: ln k ln A Ea RT Riportando nel grafico i valori di lnk in funzione di 1/T, si ottiene una retta che ha pendenza –Ea/R, che intercetta l’asse delle ordinate nel punto lnA. Con un alta energia di attivazione, la pendenza aumenta, quindi la velocità aumenta velocemente all’aumentare della temperatura. f. Teoria del complesso attivato Secondo la teoria del complesso attivato, quando le molecole iniziano ad interagire, le lunghezze di legame e la disposizione geometrica cambiano e si giunge ad una configurazione della complesso attivato (o stato di transizione). In quell’istante, si forma un complesso estremamente instabile, con un picco di energia potenziale molto più alta di quella di reagenti e prodotti. Proprio per l’estrema instabilità, il complesso attivato tende a cambiare configurazione, assumendo quella iniziale o quella di prodotto: - non si trova mai isolato - l’energia di attivazione è quella che determina il complesso attivato Ovviamente, quindi, con una bassa energia di attivazione, si potrà formare un maggior numero di complessi attivati e la reazione procederà con una maggiore velocità. Un catalizzatore modifica il processo di reazione, determinando un abbassamento dell’energia di attivazione, non il punto di inizio o il punto di fine. La variazione di energia tra reagenti e prodotti non comprende l’Ea, e può essere: - maggiore nei prodotti (reazione endoenergetica) - minore nei prodotti (esoenergetica) Al termine di una reazione, il catalizzatore si trova sostanzialmente inalterato: - solitamente velocizza sia la reazione diretta che quella inversa. g. meccanismi di reazione Per parlare di meccanismo di reazione occorre introdurre il concetto di molecolarità: - numero delle specie chimiche che intervengono nella formazione del complesso attivato Occorre distinguere due tipi di catalisi: - catalisi omogenea: il catalizzatore ed i reagenti sono in una fase unica - catalisi eterogenea: il catalizzatore è in una fase distinta dai reagenti (sistema polifasico: reagenti in soluzione e catalizzatore in stadio solido) 15. equilibrio chimico Se la molecolarità coincide con l’ordine di reazione allora si tratta di una reazione elementare. Talvolta si formano più stadi nel meccanismo di reazione, con la formazione di più complessi attivati: - si forma un intermedio di reazione tra un complesso attivato e l’altro, che può esistere anche come molecola indipendente - in una reazione a più stadi la velocità del processo è determinata dallo stadio più lento. h. Catalisi La velocità di molte reazioni e di quasi tutte le reazioni biochimiche è aumentata dall’azione di catalizzatori, molecole proteiche ad attività catalitica. Un catalizzatore, può accelerare solamente reazioni termodinamicamente possibili, non reazioni endoenergetiche. Non ha alcun effetto sull’equilibrio, non ne modifica la costante, ma aumenta solamente la velocità delle reazioni. a. equilibri dinamici Solamente in alcune reazioni i reagenti si trasformano completamente in prodotti: - capita molto spesso che una volta innescata la reazione, i prodotti siano in grado di trasformarsi a loro volta in reagenti - si innesca una reazione inversa - la reazione, se reversibile, tende ad uno stato di equilibrio dinamico, in cui la velocità di reazione di quella diretta è identica a quella della inversa La miscela, una volta raggiunta la condizione di equilibrio, tende a rimanere invariata nel tempo: - solamente la temperatura può far variare le velocità di reazione - quindi cambiare le concentrazioni. b. Legge di azione di massa e costanti di equilibrio Data una reazione del tipo aA + bB cC +dD si chiama costante di equilibrio kc una costante specifica di una reazione, dipendente solamente dalla temperatura, data dalla legge kc c d [C] [D] [A]a [B]b Data la natura matematica di questa legge, si deduce che: - se k > 1 sarà maggiore la concentrazione dei prodotti, quindi favorita la reazione diretta - se k < 1 sarà maggiore la concentrazione dei reagenti, quindi è favorita la reazione inversa Solitamente si dice che per 0,1< k <10 nessuna specie è nettamente favorita. Per esprimere la concentrazione si possono utilizzare diverse unità di misura con differenti risultati numerici. È opportuno distinguere tra: - equilibri omogenei: le specie chimiche coinvolte sono tutte nella medesima fase - equilibri eterogenei: le specie chimiche coinvolte sono in fase differente c. Equilibri omogenei Se le specie chimiche coinvolte si presentano tutte in fase gassosa, talvolta può essere opportuno esprimere la costante di equilibrio in funzione delle pressioni parziali, poiché sono dipendenti solamente dalla molarità a pressione costante: pV=nRT p = n/V RT p = [X] RT Si ha quindi una variazione dell’equazione precedente ed una nuova costante kp. kp [ pC ]c [ pD ]d [ p a ]a [ p b ]b Le due costanti stanno tra loro in rapporto a RT, secondo la legge k p kc (RT)(a b )(c d ) d. Equilibri eterogenei Se almeno una delle specie chimiche si trova in una fase differente dalle altre interne alla reazione, si parla di specie chimica. Sono esempi: - pressione di vapore tra il gas e un liquido - la decomposizione del carbonato di calcio La costante di equilibrio di queste reazioni è espressa in funzione della kp o della kc del gas, ma esprime anche le specie più condensate. e. Principio di Le Chatelier Con le variazioni delle condizioni di temperatura, pressione e concentrazione di una delle specie presenti nella reazione, gli equilibri si spostano secondo il principio di Le Chatelier: - un equilibrio dinamico tende ad opporsi ad ogni cambiamento minimizzando l’effetto della perturbazione Con una variazione di concentrazione di una delle specie: - all’aggiunta dei prodotti la reazione si sposta verso sinistra (oppure con la sottrazione di una quantità di reagente) - all’aggiunta di reagente o sottrazione di prodotto, la reazione si sposta verso destra. Se in una situazione di equilibrio uno dei prodotti viene allontanato, l’equilibrio non viene più raggiunto e la reazione procede in una sola direzione, fino alla trasformazione totale di tutti i reagenti. Per quanto riguarda le variazioni di pressione e volume: - - per le reazioni che hanno un medesimo numero di molecole tra prodotti e reagenti, le variazioni di pressione e volume sono ininfluenti in una reazione in cui è diverso il numero di molecole da entrambi i lati, un aumento di pressione sposta la reazione verso sinistra, mentre una diminuzione la sposta a destra. Se invece la concentrazione degli ossidrili è superiore a quella degli ioni idronio la soluzione è detta basica. La neutralità si ha quando le due concentrazioni sono identiche. b. secondo Arrehnius Un aumento di temperatura ad un equilibrio chimico comporta assorbimento di calore: - aumenta sia la velocità della reazione diretta che quella della inversa. Secondo Arrhenius un acido è una sostanza che in soluzione acquosa rilascia ioni H+. Una base di Arrhenius è una sostanza che in soluzione acquosa è in grado di liberare ioni OH-. 16. acidi e basi L’ammoniaca si comporta da base perché nella reazione con acqua acquista un protone e rilascia ioni OH-: a. Auto-ionizzazione dell’acqua NH3 +H2O NH4+ + OHL’acqua in minima parte si trova dissociata in H+ e OH-. Siccome gli ioni H+ non possono esistere da soli questi si trovano sotto forma di ioni idronio H3O+. La costante di equilibrio è data da [H 3O ][OH ] kc [H 2O]2 Poiché a 25° C la concentrazione di acqua ionizzata è molto bassa, si può considerare l’acqua non dissociata come costante, con una concentrazione di 55,5 M (1000g/l / 18,011 g/mol = 55,5 mol/l ). kw kc [H 2O]2 [H 3O ][OH ] 1,0 1014 Questa nuova costante è definita prodotto ionico dell’acqua. In acqua, se è maggiore la concentrazione di ioni idronio rispetto a quella degli ossidrile la soluzione è detta acido. Ma la definizione di Arrhenius non spiega il perché, poiché non è l’ammoniaca a rilasciare lo ione OH-. Si deve giungere ai concetti di acido e base coniugata, secondo la definizione di Brownsted e Lowry. c. Secondo Bronsted e Lowry La definizione di Brownsted e Lowry amplia di parecchio il campo di applicazione della teoria di Arrehnius. Definiscono: - acido: una sostanza che posta in soluzione libera ioni H+ - base: una sostanza che in soluzione è in grado di accettare ioni H+ Quando un acido ha perso un suo protone può però a sua volta diventare accettare, quindi base: si chiama base coniugata di un acido, quell’acido che ha perso uno o più protoni. Si dice altresì acido coniugato una base che ha già accettato uno o più protoni ed è in grado di donarli. d. Secondo Lewis Lewis definisce: - acido: una sostanza in grado di accettare un doppietto elettronico (elettrofilo) - base: una sostanza in grado di cedere un doppietto elettronico (nucleofilo) In base a questa teoria, tra un acido ed una base può formarsi un legame covalente. e. Costanti di ionizzazione acida e basica Siccome la concentrazione dell’acqua rimane sostanzialmente costante si definisce una costante di dissociazione acida ed una costante di dissociazione basica: K b K a K w 1,0 1014 f. Strutture e forza di acidi e basi Un acido è tanto più forte quanto si dissocia maggiormente. Anche una base, è più forte se si dissocia di più. Quando è posto in soluzione acquosa, un acido: - se è donatore più forte dello ione idronio è un acido forte - se è un donatore meno forte dello ione idronio è detto acido debole - se è un donatore meno forte dell’acqua non è un acido Quando è posto in soluzione, una base: - è detta base forte se è più accettare di protoni di OH- è detta base debole se è meno accettare di protoni dell’ossidrile - non è una base se è meno accettrice di protoni dell’acqua. ka kc [H 2O] [H 3O ][A ] [AH] Un acido è molto forte se la molecola presenta legami dell’idrogeno con un altro atomo con alta differenza di elettronegatività. kb kc [H 2O] [BH ][OH ] [B] Un altro fattore determinante è l’energia del legame con l’idrogeno: - scende lungo i gruppi in relazione alle dimensioni dell’atomo ligante l’idrogeno - più si formano anioni voluminosi, più questi sono stabili (sono tendenzialmente più acidi poiché molto poco accettori.) Queste due costanti possono anche essere linearizzate con i logaritmi negativi in base 10: pK a log ka pK b log kb pK a pK b pK w 14 Queste sono in relazione con il prodotto ionico dell’acqua secondo le leggi: Per gli acidi ossigenati si individuano due categorie: - atomo centrale Y e numero variabile di ossigeni: quanto maggiore è il numero di atomi di ossigeno legati ad Y, maggiore è la forza dell’acido - acidi con numero di ossigeni costante: la forza dell’acido aumenta con l’elettronegatività dell’atomo centrale. 17. modifiche del pH a. definizione di pH La concentrazione degli ioni H+ in soluzioni acquose assume caratteristiche molto importanti riguardo all’acidità o alla basicità della soluzione. Piuttosto che esprimere la [H+] con numeri molto piccoli, si preferisce esprimere le potenze di 10 con logaritmi negativi in base 10, secondo la definizione b. Calcoli di pH con acidi e basi deboli e forti Se si aggiunge in acqua un acido forte (con concentrazione maggiore di 5 10-7 M), poiché questo si dissocia completamente, si può utilizzare la formula: pH = pCacido La stessa cosa si fa se si aggiunge una base forte: pH = 14 –pCbase pH log[ H ] [H ] 10 pH Da cui si può dedurre, secondo la legge di azione delle masse, che pH pOH pKw 14 Se invece si è in presenza di acidi o basi deboli si deve considerare anche la costante di dissociazione, poiché non li si troverà tutti dissociati. In presenza di una soluzione acquosa con un acido debole: Un pH può essere misurato con opportuni apparecchi detti pHmetro, che indicano la concentrazione di ioni idronio. A livello numerico, la neutralità si ha quando la concentrazione di H+ è uguale alla concentrazione di OH-: pH = (pCacido+ pKa)/2 la medesima cosa si ha in presenza di una soluzione acquosa con una base debole: pH = 14 - (pCbase+ pKb)/2 pH pOH 14 pH pOH 2 pH 2 pOH 14 14 pH 7 2 Le concentrazioni di ioni idronio o ossidrili, come formule inverse per gli acidi e le basi deboli, saranno date da: - per gli acidi deboli [H3O ] K a Ca Se la concentrazione degli ioni H+ è alta, si ha una soluzione acida, quindi pH<7. Se la concentrazione di ioni H+ è bassa (minore di quella di OH-) si ha una soluzione basica, con pH > 7. Se si è nel caso di acidi poliprotici, ovvero quegli acidi che possono dissociare più di uno ione H+, la ka sarà data dal prodotto delle k di prima, seconda,terza…n-esima dissociazione, ed in base a quella si potranno fare i debiti calcoli. - per le basi deboli [HO ] K b Cb c. aggiunta all’acqua di sali un sale è un composto ionico che si viene a formare per reazione di un acido e una base. Si può dimostrare che vi è un’equazione che mette in relazione la costante dell’acido debole con quella della sua base coniugata: ki k b I sali, poiché sono composti ionici, in acqua si dissociano completamente: - talvolta tendono a reagire con l’acqua e ne alterano il pH - possono avere sia comportamento acido che basico il termine idrolisi salina indica la dissociazione di molecole d’acqua indotta dagli ioni liberati da un sale. d. soluzioni saline kw ka tramite una costante Ki detta “costante di idrolisi” che altro non è se non la costante di dissociazione basica dello ione coniugato all’acido debole. Poiché lo ione acetato, in questo esempio, è pari agli ossidrili che si vengono a formare (trascurando quelli dell’autoprolisi dell’acqua) e un sale si dissocia completamente si può affermare che: [CH3OO-]=Csale i. sali neutri in cui Csale è la concentrazione del sale disciolto. Alcuni sali, si dissociano in ioni che non possono in alcun modo accettare o donare protoni. Si avrà dunque che per la base coniugata all’acido debole: Ad esempio, NaCl deriva dalla reazione di un acido e una base molto forti: - Na+ in soluzione non può ne accettare né donare protoni, quindi non reagisce con l’acqua - Cl- è la base coniugata di un acido forte, e la sua reazione con i protoni è pressoché nulla Il risultato è che il pH dell’acqua resta inalterato. ii. sali basici [OH ] k b Cs [H ] ka Ca iii. sali acidi Per i sali acidi, ovvero quelli derivanti da un acido forte e da una base debole, si assisterà invece ad una diminuzione del pH, poiché la base debole tenderà a cedere gli ioni H+. Le equazioni rimangono Altri sali, come ad esempio l’acetato di sodio, derivano da un acido debole e da una base forte: - lo ione acetato (CH3OO-) è la base coniugata di un acido debole come l’acido acetico ed ha affinità per gli H+; - lega un protone dall’acqua e forma ioni OH- [OH ] k b Cs [H ] ka Ca iv. sali con cationi acidi e anioni basici In caso di sali basici si ha un aumento del pH. Se il sale deriva da un acido debole e da una base debole, il pH della soluzione dipende dalle costanti di dissociazione degli ioni che si liberano: - prevale la reazione in cui la cosante di dissociazione è maggiore 18. titolazioni a. effetto della specie comune ed equazione di Henderson- Hasselbach Quando sono presenti in soluzione differenti ioni appartenenti ad una specie comune, ad esempio un sale basico ed un acido debole da cui il sale basico è derivato, si utilizza la equazione di HendersonHasselbach, che prevede: [acido] [H 3O ] ka [base /salebasico] [acido] pH log k a log [base] è importante notare che: - la concentrazione della base (quella derivata dalla dissociazione del sale che acquista protoni dall’acqua) è identica a quella del sale - la concentrazione dell’acido all’equilibrio è uguale a quella iniziale (lo si suppone indissociato) Se sono presenti un acido, ed il suo sale coniugato con una base forte, le variazioni di pH sono molto piccole quando si aggiungono piccole quantità di una delle due specie: - si definiscono tamponi quelle soluzioni che reagiscono con piccole variazioni (rispetto all’acqua pura) all’aggiunta di quantità discrete di acido o base Il sangue ed altri liquidi biologici devono essere mantenuti il più possibile a pH vicino a 7,4: - sono presenti vari sistemi tampone a livello biologico che assolvono questo compito Anche per calcolare l’efficacia dei tamponi si utilizza l’equazione di Hendersson-Hasselbach. La capacità tampone è la quantità di un acido o una base che può essere aggiunta a una soluzione tampone senza fare cambiare il valore del pH oltre un valore predefinito. Il sistema acido/base coniugata ha capacità tampone quando il rapporto delle concentrazioni (Ca/Cb) è compreso tra 0,1 e 10. Quindi il campo di pH in cui un determinato tampone è operativo è di pK= 1. Le capacità tampone sono legate alle concentrazioni assolute dell’acido e della base coniugata: - maggiori sono le concentrazioni, maggiore è la quantità di acido che si può aggiungere per produrre una variazione di pH di una data entità b. tamponi Si nota che in una soluzione quando sono presenti un acido e il suo sale (base coniugata) le cui concentrazioni differiscono per meno di un ordine di grandezza, il pH della soluzione varia molto poco variando le concentrazioni relative delle due componenti disciolte. c. importanza biologica del tampone bicarbonato e del tampone fosfato d. titolazioni acido-base i. base forte con un acido forte ii. acido debole con una base forte iii. acido debole con una base debole 19. termodinamica chimica a. introduzione La termodinamica studia gli scambi di energia che avvengono durante una reazione chimica. Tutte le reazioni chimiche rispettano due principi fondamentali sulla conservazione: - conservazione della massa - conservazione dell’energia L’energia è definita come la capacità di un sistema di compiere un lavoro. L’energia si trova in varie forme: - energia cinetica: l’energia associata ad una massa in moto - energia radiante: energia associata alle radiazioni elettromagnetiche (es. l’energia emanata dal sole) - energia termica: associata al moto browniano delle particelle in una sostanza. - Energia chimica: è l’energia determinata dalle interazioni di legami di varia natura (covalente, ionico, polare, ecc..) - Energia potenziale: è relata alla posizione degli atomi che vanno a costituire una determinata sostanza. L’energia interna di un sistema è data dalla somma di tutti questi tipi di energia che questo possiede. L’energia si misura in Joule [kg m2/s2], ma può anche essere espressa in calorie: - la caloria esprime la quantità di energia necessaria per fare aumentare la temperatura di 1 g d’acqua di 1°C. - 1 cal = 4,184 j b. primo principio della termodinamica - la quantità totale di energia dell’universo è costante Per definire meglio gli oggetti di studio si distingue tra: - sistema: porzione dell’universo oggetto di studio - ambiente: tutto l’universo al di fuori del sistema In relazione all’ambiente si distinguono tre tipi di sistemi: - sistema aperto: può scambiare con l’ambiente sia materia che energia - sistema chiuso: può scambiare con l’ambiente solamente energia - sistema isolato: Non scambia con l’ambiente né energia né materia (E = costante) Per definire un sistema termodinamico si utilizzano dei parametri detti variabili di stato: quando questi sono definiti si parla di uno stato termodinamico: - se i valori non variano nel tempo questo sistema è in equilibrio termodinamico - se il sistema ha le variabili di stato che non sono costanti, tenderà a raggiungere la costanza, quindi anche l’equilibrio termodinamico. Alcune variabili di stato, per le peculiari caratteristiche sono dette funzioni di stato: - l’energia interna di un sistema è una funzione di stato, poiché non è possibile determinarla, ma si possono osservare solamente le variazioni Quindi, la variazione di energia in un sistema interno è: E E finale E iniziale Volendo riferirsi ad un sistema chiuso come quello utilizzato nelle reazioni chimiche, si ha: E Q W La legge della conservazione dell’energia assume che: E Q1 L1 Q1 0 Q1 Ovvero che la variazione di energia di un sistema chiuso è data dalla somma del calore assorbito, e del lavoro fatto sul sistema (oppure compiuto dal sistema, con lavoro negativo). La convenzione sui segni prevede che, per il calore: - positivo il calore assorbito - negativo il calore ceduto La convenzione sui segni prevede che, per il lavoro: - positivo il lavoro compiuto sul sistema - negativo il lavoro compiuto dal sistema. Calore e lavoro ad una pressione costante Si prenda ad esempio il lavoro meccanico fatto da un gas che si espande muovendo un pistone che si considera privo di massa. Il suo lavoro sarà dato da: L = - pV Il meno è perché è lavoro compiuto dal sistema. Si evince da questa legge che il lavoro compiuto è attuato dal sistema. Questa legge fornisce un lavoro espresso in [ l atm ], che per essere convertiti in joule devono essere moltiplicati per il fattore di conversione E Q2 L2 Poiché la variazione di energia sarà uguale per entrambe le differenti trasformazioni si può scrivere Q1 = Q2 + L2 Il calore ed il lavoro sono dunque proprietà del sistema che esistono solamente durante una trasformazione, quindi non sono funzioni di stato. La variazione di energia interna, data dalla somma tra calore e lavoro, è una funzione di stato. Entalpia e primo principio della termodinamica. Quasi tutte le reazioni di nostro interesse avvengono a pressione costante: - se si ha un aumento del numero di moli di gas, il sistema compie lavoro sull’ambiente - se diminuiscono le moli di una sostanza allo stato gassoso, il lavoro sarà compiuto dall’ambiente sul sistema Se una reazione non ha né reagenti, né prodotti, la variazione di volume può essere trascurata e considerata nulla. 1 atm = 101,3 J Si ipotizzi di avere una reazione siffatta: reagenti prodotti. Ne il lavoro né il calore scambiati dal sistema sono funzioni di stato: - si hanno due trasformazioni in cui si ha uno stato iniziale e finale - la prima necessita di lavoro pari a zero - la seconda necessita di lavoro diverso da zero. La variazione dell’energia interna è descritta da E = Qp - pV Le variazioni di energia saranno date da: Si può scrivere, dopo opportuni calcoli che Ef – Ei = Qp – pVf + pVi Qp = (Ef + pVf) - (Ei + pVi) Quindi, l’espressione E + pV è una equazione di stato (formata da tre variabili di stato) che si definisce entalpia: Ogni reazione chimica è quindi caratterizzata da un proprio H: - i valori delle variazioni di entalpia standard sono indicati con H0 H = E + pV Esprimibile anche come: Hf – Hi = = Qp L’entalpia di formazione standard di un elemento è la variazione di entalpia che si ha con la formazione del composto a partire dagli elementi costituenti. È quindi interessante notare che la variazione di entalpia coincide con la quantità di calore scambiato, quando: - pressione e temperatura sono costanti - il lavoro è solamente di espansione Per determinare le variazioni i entalpia standard si seguono due convenzioni: - L’entalpia degli elementi è considerata uguale a zero - Il valore di entalpia di una molecola nella sua forma più stabile è zero (ad esempio, lo O2 ha entalpia nulla in condizioni standard) Poiché la pressione è costante, e intervengono solamente variabili di stato (dipendono solo dallo stato iniziale o finale), si può scrivere anche: La variazione di entalpia che si ottiene facendo reagire i due elementi è l’entalpia di formazione standard del composto. H = E + pV Utile sottolineare che se nella reazione non si presenta lo stato gassoso si può considerare nulla la variazione di volume, esprimendo la variazione di entalpia pari alla variazione di temperatura: Legge di Hess La legge di Hess afferma che: “il calore messo in giuoco, a pressione costante, in una reazione chimica con solo lavoro di espansione, è lo stesso sia che la reazione avvenga in un solo stadio, sia che avvenga in più stadi”. H = E Contano dunque solamente lo stato iniziale e lo stato finale. Si possono quindi definire le reazioni secondo la variazione di entalpia: - se H < 0: la reazione viene detta esotermica, poiché diminuisce l’energia interna al sistema, che viene ceduta all’ambiente - se H > 0: la reazione è detta endotermica, poiché per avvenire ha bisogno di assorbire energia dall’ambiente. Entalpia di formazione standard Per poter paragonare le variazioni di entalpia delle varie reazioni è necessario riferirsi a dei parametri standard di temperatura e pressione: 1 atm e 25°C. Energia di legame È l’energia che si identifica con l’energia necessaria per rompere il legame stesso: - può essere misurata in termini di entalpia standard di legame c. secondo principio della termodinamica ed aumento di entropia Alcune reazioni possono avvenire spontaneamente, altre no. Ciò non significa che le reazioni spontanee siano per forza esotermiche, ovvero che debbano passare ad uno stato di minore energia interna. Per chiarire il concetto di spontaneità occorre ricorrere ad un’altra grandezza termodinamica, l‘entropia, che stabilisce il grado di disordine di un dato sistema: - più un sistema è disordinato, maggiore è la sua entropia - più un sistema più ordinato, minore è la sua entropia. Al contrario dell’energia interna e dell’entalpia, è possibile determinare il valore assoluto di entropia della sostanza, purché in condizioni standard. Ovviamente, quando ci si discosta dalle condizioni standard il valore dell’entropia cambia: - passando da 25°C a -10°, per l’acqua, si ha un passaggio di stato, la solidificazione, che comporta una ingente variazione di entropia - uno stato liquido ha le molecole disordinate, con un buon numero di gradi di libertà - uno stato solido, permette alle molecole un minor numero di gradi di libertà, il che comporta una minore entropia - un gas, avrà il massimo della entropia Anche l’entropia è una funzione di stato, la cui variazione tra due punti è: S=Sf-Si L’aumento di entropia (S>0) comporta un aumento del disordine, mentre la diminuzione (S<0) comporta il passaggio ad uno stato più ordinato. Legge dell’aumento di entropia La legge dell’aumento di entropia, detta anche secondo principio della termodinamica è espressa: - l’entropia dell’universo (come sistema isolato) aumenta in un processo spontaneo e rimane invariata ad un processo all’equilibrio In altri termini: - per un processo spontaneo l’entropia aumenta, viene generata - per un processo all’equilibrio è concesso solamente il trasferimento di entropia da una parte all’altra del sistema isolato L’entropia dell’universo tende quindi a crescere, e può essere matematicamente espressa dalla legge: Suniv=Ssist+Samb che per una reazione spontanea sarà positiva, mentre per un processo all’equilibrio sarà nulla. Variazione di entropia in un sistema costituito da reazioni chimiche Si consideri una reazione che rappresenta il sistema del tipo aA bB La variazione di entropia che comporta è data da Ssist= Sreaz= bS0(B) – aS0(A) ovvero la differenza tra le entropie standard dei prodotti e dei reagenti, moltiplicate per il coefficiente stechiometrico. In sunto si possono trarre le seguenti considerazioni generali: 1. se la reazione porta ad un aumento del numero totale di molecole allo stato gassoso, la variazione di entropia del sistema è positiva 2. se il numero totale di molecole allo stato gassoso diminuisce, la variazione di entropia è negativa 3. non v’è variazione del numero totale di molecole, la variazione di entropia può essere sia positiva che negativa, ma è comunque piccola. Variazione di entropia dell’ambiente - calcolo della variazione di entalpia a partire dalle entalpie standard di formazione calcolo della variazione di entropia del sistema mediante i valori di entropia standard calcolo della variazione di entropia dell’ambiente secondo la legge Samb Hsist - Si considera la relazione esistente tra entropia e entalpia. Quando in un sistema avviene un processo esotermico: - aumento del moto delle molecole dell’ambiente (aumento di disordine), quindi aumento dell’entropia dell’ambiente - diminuzione di entropia del sistema Se in un sistema isolato avviene un processo endotermico: - trasferimento di calore dall’ambiente al sistema - diminuzione di entropia dell’ambiente - aumento dell’entropia del sistema Per i processi che avvengono a pressione costante, la variazione di entalpia è uguale al calore scambiato, quindi, in virtù dell’aumento o della diminuzione del disordine, l’entropia e l’entalpia sono legate dalla legge: Samb Hsist T Se si suppone che sia l’ambiente che il sistema siano alla medesima temperatura T. Con i tre metodi operativi imparati si può trovare la variazione di entropia dell’universo secondo la legge: Suniv=Ssist+Samb I tre metodi sono: T d. terzo principio della termodinamica Il terzo principio della termodinamica afferma che l’entropia di una sostanza cristallina pura allo zero assoluto è nulla. S0 K= 0 Si è visto che: - quando in una reazione chimica aumenta il disordine, ovvero quando aumenta il numero di molecole di gas, ‘entropia aumenta - quando in una reazione diminuisce il numero di molecoe disordinate (di gas), l’entropia diminuisce. Tuttavia, si possono considerare altri movimenti delle molecole che non sono solo presenti allo stato gassoso: - moto traslazionale di una molecola - moto rotazionale della molecola - moto vibrazionale degli atomi Questi moto sono un modo delle molecole di accumulare energia: - quando viene fornito calore, ovvero viene aumentata la temperatura, i moti aumentano e si accrescono - allo zero assoluto, in una sostanza cristallina, non vi è moto, quindi non vi è disordine e l’entropia è nulla Ludwig Boltzman propose una formula che tiene conto di queste considerazioni, i cui termini sono: - K, che è espresso dal rapporto R/Na tra la costante dei gas e il numero di Avogadro - W, che è il numero di modi differenti con uguale energia in cui gli atomi si possono disporre nel cristallo. S = K ln W Per grado di movimento 1, ovvero per cristalli puri che non presentano alcun movimento, l’entropia, secondo questa legge, è nulla. Il terzo principio della termodinamica permette di calcolare l’entropia assoluta di una sostanza, poiché: S S f Si S f 0 S f Dove Sf è proprio l’entropia assoluta. Funzione di Gibbs: l’energia libera. Per compiere un calcolo riguardo alla variazione di entropia dell’universo non è strettamente necessario operare facendo calcoli relativi all’ambiente e al sistema. Poiché i termini H sist TSsist (H f TS f ) (H i TSi ) , si può definire una nuova funzione di stato, detta energia libera di Gibbs, indicata con G, la cui variazione, a temperatura costante, è G H TS che può anche essere espressa nella forma H G TS Come si può vedere, il calore prodotto in un processo (la variazione di entalpia) è utilizzabile in maniera differente: esprime il calore che non può essere utilizzato per - il termine TS compiere lavoro, dissipato - invece il termine G può essere sfruttato per compiere lavoro, essendo energia libera. Non tutto il calore prodotto in un sistema può essere utilizzato per compiere lavoro. Energia libera e spontaneità di una reazione. È possibile riferirsi solamente al sistema, trovando determinate equazioni. Per processi spontanei si sa che: Suniv=Ssist+Samb > 0 e sostituendo al Samb il termine Samb Hsist si ottiene T TSuniv TSsist Hsist con funzioni relative al sistema. Cambiando che è espresso solamente di segno e operando opportuni raccoglimenti si ottiene: TSuniv TSsist Hsist 0 In funzione della variazione di energia libera possiamo indicare la spontaneità di una reazione: - G < 0: reazione spontanea - G = 0: il sistema è in equilibrio - G > 0: la reazione non è spontanea, ma lo è nel senso opposto. Avendo la formula dell’energia libera, si possono esaminare in base a questo schema quando la reazione o il processo è spontaneo. Si facciano delle disequazioni con la legge: G H TS Energia libera e costante di equilibrio. L’energia libera è una grandezza estensiva, dipende cioè dalla quantità di materia presa in considerazione. Per facilitare il confronto tra le varie sostanze ci si riferisce ad una energia libera molare standard, ovvero a grandezze espresse con la lettera G0, di: - 1 mole di sostanza - a 25°C - alla pressione di 1 atm In maniera analoga, per una reazione si esprime la variazione di energia libera standard con il termine G0, definita come: G0reazione RT ln K eq K eq e Per calcolare il G di una reazione occorre conoscere: - valore di G dei prodotti e dei reagenti - concentrazioni Per una sostanza singola, G è espressa dall’equazione Gx = G0 + RT ln[X] Per una reazione, la variazione di energia libera, sarà quindi data dalla legge: G reazione G reazione 0 [C]c [D]d RT ln [A]a [B]b Il segno della variazione di energia libera di una reazione non dipende solamente dalla variazione standard, ma anche dal segno del logaritmo naturale del rapporto tra le concentrazioni dei prodotti e dei reagenti. Poiché all’equilibrio G=0, si ha che G0 RT equazione di van’t Hoff Dall’equazione precedente, deriva un’equazione che, noti i valori di due costanti di equilibrio a date temperature, è possibile risalire alla variazione di entalpia: ln K 2 ln K1 H 0 reazione T2 T1 RT1T2 G0reazione G0prodotti G0reagenti Sempre se la reazione avvenga in condizioni standard (25°C e 1 atm per una mole di reagente). Energia libera: considerazioni generali e reazioni accoppiate. che alcune reazioni con una variazione standard di Si può dimostrare energia libera positiva, possono essere spontanee se inserite in un ciclo di reazioni, dette reazioni accoppiate. Dal punto di vista biochimico, questo tipo di reazioni è molto interessante: - quando un prodotto di una prima reazione serve da reagente per la seconda, se la variazione totale di energia libera in una serie di reazioni è negativa, allora la reazione è spontanea - anche se le reazioni intermedie possono avere G>0, la reazione complessiva dice che queste semireazioni sono spontanee e. significato fisiologico del H di reazione 20. elettrochimica 1. coppie coniugate di ossidoriduzione In una reazione red-ox, è bene notare che: - ogni ossidante si trasforma in un riducente ogni riducente si trasforma in ossidante - Quando un elemento si ossida, perde due elettroni. Dopo essersi ossidato può potenzialmente ricevere nuovamente i due elettroni persi, quindi ridursi. La medesima cosa avviene con un elemento che si riduce: acquista elettroni ed in seguito è potenzialmente disposto a cederli. Questo concetto permette di parlare di coppie coniugate di ossidoriduzione: - reazioni/semireazioni in cui un ossidante si trasforma in un riducente e viceversa - Per misurare quantitativamente l’attitudine di due elementi ad ossidarsi e ridursi è utile avere un metodo numerico che descriva il potere ossidante o riducente delle coppie coniugate Quel metodo numerico esiste ed ha le basi nell’elettrochimica, e permette di: - constatare se la reazione avviene realmente (se la coppia di ossidoriduzione esiste) - prevedere il verso di una reazione redox. 2. principi di elettrochimica Affinché la materia possa condurre corrente elettrica devono essere soddisfatte due condizioni: 1- devono esistere particelle cariche libere di muoversi 2- deve esistere una differenza di potenziale che le obblighi a muoversi Nei metalli sono gli elettroni liberi dal reticolo cristallino che si muovono sotto l’azione di una ddp. gli ioni positivi vanno verso l’elettrodo negativo (anodo) e acquistano elettroni subendo una trasformazione riduttiva gli ioni negativi vanno verso l’elettrodo positivo (catodo) cedendo elettroni, dunque ossidandosi. Nell’elettrolisi del cloruro di sodio (NaCl) avvengono queste due semireazioni: Na+ + e Na 2Cl- Cl2 + 2e è necessario aggiungere che affinché si verifichi il transito degli ioni è necessario raggiungere una differenza di potenziale minina, detto potenziale di scarica, che è caratteristico dello ione in determinate condizioni sperimentali. Se sono presenti sia ioni negativi che positivi, la scarica si dirige in maniera preferenziale verso lo ione che richiede minor energia. 3. leggi quantitative dell’elettrolisi: l’equivalente elettrochimico La carica di un elettrone è pari a 1,602 10-19 coulomb, e per ridurre un grammoatomo di qualsiasi ione positivo, devono passare per l’anodo 1 mole di elettroni: - la carica di 96494 coulomb è la carica di una mole di elettroni, detta faraday (F) Per il passaggio di 1 F attraverso l’anodo dovranno passare: - 1 mole di ioni monovalenti positivi - ½ mole di ioni bivalenti positivi - 1/3 moli di ioni trivalenti - ecc.. Questo vale ovviamente anche per gli anioni Nelle soluzioni sono gli ioni disciolti che si muovono nel liquido sotto l’azione di una differenza di potenziale. Il processo di elettrolisi permette il trasporto di carica in soluzione e avviene quando vi sono ioni in una soluzione: Si definisce equivalente elettrochimico il peso in grammi di sostanza trasformata all’elettrodo per il passaggio di un faraday. L’equivalente elettrochimico è uguale al peso molecolare o atomico diviso per il numero di elettroni scambiati durante la trasformazione. Queste considerazioni portano alle due leggi di Faraday: - la quantità in peso di una sostanza che si trasforma al catodo o all’anodo è direttamente proporzionale alla quantità di elettricità che passa attraverso la cella elettrolitica - la quantità in peso di sostanze differenti trasformate alla stessa quantità di elettricità sono direttamente proporzionali ai loro pesi equivalenti. Le due leggi di Faraday possono essere riunite in: - al passaggio di una quantità di corrente pari ad 1 faraday (96494 coulomb) corrisponde un equivalente di sostanza chimica trasformata all’elettrodo. 4. celle galvaniche: potenziale elettrochimico La reazione tra Zn metallico e solfato di rame produce: - ossidazione dello zinco (ZnZn2+) - riduzione del rame (Cu2+Cu) Affinché non si verifichi la saturazione di ioni positivi in una cella (Zn2+) e di ioni negativi nell’altra (SO4-), si inserisce tra le due celle un tubo ad U detto ponte salino, che contiene un sale che rilascia ioni per bilanciare le cariche. Avviene dunque: - flusso di elettroni dall’anodo al catodo per mezzo del conduttore esterno - flusso di cationi verso il catodo di rame - ionizzazione degli atomi di zinco - flusso di anioni verso l’anodo di zinco Il fatto che gli elettroni fluiscano da una cella all’altra indica la presenza di una ddp che ne permette il flusso tra gli elettrodi: - la ddp (E) è misurabile quando il circuito è aperto, ovvero in assenza di passaggio i corrente tramite un voltmetro. Il modo convenzionale per rappresentare una cella è: Zn(s) / Zn2+(sol) // Cu2+(sol) / Cu(s) Le due semireazioni possono essere fatte avvenire in ambienti separati: - lo scambio di elettroni avviene per mezzo di un conduttore esterno - gli elettroni fluiscono provocando una circuitazione di carica, quindi il passaggio di corrente elettrica attraverso il conduttore esterno In tal modo si può ottenere la trasformazione di energia chimica in energia elettrica. L’apparato che permette la produzione di energia per mezzo di una redox spontanea è detto cella elettrolitica o pila. Per convenzione gli elettrodi vengono chiamati: - anodo dove avviene la reazione di ossidazione (uno ione si ossida) - catodo dove avviene la reazione di riduzione. Le linee diagonali semplici indicano le separazioni di fase, quelle doppie il ponte salino. 5. equazione di Nerst L’energia elettrica che passa per una cella è data dal prodotto della ddp per la carica che la attraversa: energia elettrica = E q in cui E è la differenza di potenziale, espressa in volt e q la carica in coulomb che può anche essere data da q=nF, quindi energia elettrica = E n F In un processo spontaneo la variazione di energia libera è negativa, e per la reazione precedente può essere espressa da: Una serie elettrochimica è in ordine decrescente di potere ossidante e crescente di potere riducente. -G = E n F G reazione G0reazione RT ln [Zn 2 ][Cu] [Cu2 ][Zn] Dopo opportuni calcoli, eguagliando le due precedenti si ottiene l’equazione di Nerst, che è espressa come: E E0 in cui: - RT [ox] ln nF [red] R è la costante dei gas T è la temperatura in k N è il numero di elettroni scambiati F è la costante di Faraday E è il potenziale e E0 è il potenziale in condizioni standard. [ox] è la concentrazione dell’elemento ossidato [red] è la concentrazione dell’elemento ridotto I potenziali di elettrodo vengono per convenzione sempre espressi come potenziali di riduzione standard: - OxRed I potenziali di riduzione ordinano le sostanze in base al loro potere riducente o ossidante: - esprimono l’energia libera della semireazione in volt - i valori negativi sono associati ad alti poteri riducenti della forma ridotta (esempio Zn è ridotto, ed ha alto potere riducente poiché si ossida facilmente) - i valori positivi sono ad alto potere ossidante della forma ossidata (esempio Cu2+, poiché è propenso a ridursi, può ossidare facilmente) 6. i tipi di elettrodo elettrodi metallici. Gli elettrodi a rame e zinco fino a ora analizzati sono elettrodi metallici, costituiti da metalli immersi in soluzioni con i propri ioni. Per avere i potenziali di un elettrodo con una reazione metallica ione/metallo, si utilizza l’equazione di Nerst. E E0 RT ln[ Me n ] nF inoltre, a 25°C si po’ trasformare l’equazione precedente in E E0 0,059 log[ Me n ] n elettrodi a gas. Tipici elettrodidi questo tipo sono gli elettrodi ad idrogeno, fluoro e cloro, basati su reazioni del tipo: 2H+(sol) + 2e- H2(g) In questo tipo di elettrodi, la specie gassosa viene fatta gorgogliare a 1 atm intorno ad una lamina di platino immersa nella soluzione contenente la stessa specie in forma ossidata (nel caso dell’H+) o ridotta. La lamina di platino ha la funzione di assicurare una superficie su cui avvenga la reazione che può consentire il contatto esterno. L’equazione di Nerst, ad esempio per l’H è applicata così: RT [H 2 ]2 E H2 / H E0 ln nF [H] EH 2 /H E0 Se dunque si usa una semicella ad idrogeno e un’altra semicella con un altro elemento, la fem della cella sarà data dal potenziale dell’altro elemento. 0,059 log[ H2 ]2 n Elettrodi di materiale inerte immersi in una soluzione con semicoppia ossidoriduttiva Una lamina di platino (Pt) è immersa in una soluzione contenente sia ioni ferrosi che ioni ferrici. La superficie di platino immersa in una soluzione che contiene i due ioni fa da tramite tra le due specie e assume un potenziale in funzione delle loro concentrazioni relative: E Fe 2 / Fe 3 E 0 RT [Fe 3 ] ln nF [Fe 2 ] in cui lo ione ferroso è ‘elemento ridotto e lo ione ferrino è quello ossidato. 7. elettrodo di riferimento a idrogeno e misura dei potenziali standard delle semicoppie ossidoriduttive La ddp che determina il passaggio di elettroni tra due semicelle esprime la tendenza a ridursi/ossidarsi delle coppie ossidoriduttive. Non essendo possibile misurare il potenziale di una singola semicella, si misurano le ddp degli elettrodi di una pila chimica. Come elettrodo di riferimento è stato scelto l’idrogeno, a cui è stato posto potenziale E=0 V, in condizioni standard: - temperatura 25°C - pressione 1 atm - concentrazione delle specie chimiche 1 M Per convenzione il potenziale è: - negativo: i semielementi che provocano la riduzione dell’idrogeno - positivo: i semielementi che ossidano l’idrogeno In definitiva, si definisce come potenziale di riduzione standard di una certa redox la fem che si stabilisce in condizioni standard tra le semicelle dell’elemento e dell’idrogeno (campione). Le varie coppie ossidoriduttive possono essere quindi disposte in una serie dei potenziali standard di riduzione: - esprimono la tendenza dell’elemento a ridursi (acquistare elettroni). - Rappresenta una misura del potere ossidante e riducente delle coppie coniugate. I potenziali che sono positivi tenderanno ad ossidarsi (alto potere ossidante), quelli negativi a ridursi (alto potere riducente) rispetto all’idrogeno. Una conseguenza importante è data dalla possibilità di prevedere il verso della reazione: - Il potenziale maggiormente positivo tra due elementi ha maggiore potere ossidante, quindi ossida l’altro elemento che si trova nella forma ridotta - Il potenziale maggiormente negativo ha maggior potere riducente, quindi riduce l’altro elemento che si trova nella forma ossidata 8. costante di equilibrio e f.e.m. di una pila in condizioni standard Per una reazione di ossidoriduzione vale la relazione -G = E n F in condizioni standard è anche vero che G0reazione RT ln K eq Che eguagliandole permette di ottenere la relazione: nF E0 = RT ln Keq. Da questa equazione si deduce che: - è possibile nota la fem determinare la costante di equilibrio di una data reazione - la spontaneità di una reazione è associata al valore positivo di E 9. pile a concentrazione e misura potenziometrica del pH E’ possibile, data la legge di Nerst, costruire una pila in cui le due semicelle possono essere costituite dalla stessa coppia i reazione, ma con concentrazioni differenti. In una semicella si ha Cu / [Cu2+]= C1, nell’altra [Cu2+]=C2/Cu. E = RT/nF ln(C2/C1) Quando le due soluzioni saranno giunte ad equilibrio, l’energia elettrica cessa di circuitare. Una pila a concentrazione di ioni idrogeno, permette grazie a questo principio, nota una concentrazione degli ioni H+ di una delle due semicelle, di determinare l’altra concentrazione di ioni H+. La formula per calcolarla è E = 0,059 (pH1-pH2). Noto uno dei due valori di pH si può giungere all’altro misurando la fem. 21. cenni di bioinorganica