CORSO DI CHIMICA GENERALE
Affermò che il mondo può essere spiegato con 4 elementi (acqua, aria,
terra, fuoco)che mescolandosi in diverse proporzioni formano le diverse
proprietà della materia, come i colori.
Prof. Arosio
Le qualità caldo, secco, freddo e umido sono la chiave per le
trasformazioni.
1. Le grandezze
a. Definizione di chimica e nascita storica
La chimica è la scienza che studia le proprietà, la composizione e le
trasformazioni della materia.
Una trasformazione è il passaggio fondamentale dello studio della
chimica:
- è il passaggio i una sostanza ad un’altra
- il cambiamento delle proprietà chimiche e fisiche
La chimica ha inizio con la legge di Lavoisier (della massa costante), la
quale afferma che
- durante una reazione chimica non vi è una trasformazione
apprezzabile per quanto riguarda la massa dei reagenti e dei
prodotti.
Una reazione può richiedere una determinata energia o calore d‘innesto,
e ne può liberare durante la reazione.
La chimica descrive in modo oggettivo queste trasformazioni.
Lo strumento principe che descrive le proprietà degli elementi è la
tavola periodica, in cui gli elementi sono organizzati secondo
determinate proprietà.
b. La chimica dell’antichità
Questa impostazione è rimasta sostanzialmente inalterata fino a
Lavoisier
c. i metalli e le credenze
I metalli erano sette, tutti provenienti da terre differenti che, bruciate
con il carbone, avrebbero dato il metallo puro.
Oro e rame erano i più puri, quasi divini, poiché si trovavano in natura,
mentre gli altri necessitavano di esser estratti e raffinati.
Varie credenze, come quelle di Paracelso e Becher cercarono di andare
oltre la chimica de 4 elementi aristotelici.
La pubblicazione del fisico e chimico Boyle, Sceptical chymist, fu un
inizio di messa in discussione radicale della teoria dei 4 elementi, che
verrà messa in disparte definitivamente da Lavoisier.
d. lavoisier e l’ossigeno
Lavoisier scoprì con esperimenti in cui metteva animali e una candela
sotto una campana di vetro, che l’aria era composta da due differenti
elementi:
- aria mefitica
- aria respirabile
Anche l’acqua è composta da due elementi, ma non è una miscela,
bensì un composto di ossigeno ed idrogeno.
Aristotele fu il creatore di quel dogma che è durato per secoli.
Con queste scoperte, Lavoisier instaura la crisi della chimica dei 4
elementi.
Un’aria fissa è liberata dai carbonati, ed è simile a quella del nostro
respiro (CO2). E’ mefitica.
4/5 dell’aria è mefitica, 1/5 è buona.
d. gli atomi di un elemento non possono essere convertiti in atomi
di altri elementi
e. in una trasformazione chimica gli atomi si separano e si
riuniscono con altri atomi di elementi differenti, quindi sono i più
piccoli fattori che intervengono in una reazione.
f. Le trasformazioni chimiche avvengono tra numeri interi di atomi
e. Gli elementi
h. Chimica organica
Sono sostanze che non possono essere più scomposte chimicamente.
Lavoisier ne indicò 33 e tra queste nominò:
- ossigeno, poiché genera gli ossidi (acidi)
- idrogeno, perché genera l’acqua
- azoto, perché toglie la vita (nitrati)
Oggi sono circa 100 gli elementi e molti non rispecchiano la
catalogazione di Lavoisier
f.
La loro classificazione
La scoperta della chimica porta con sé come conseguenza anche quella
della crisi del vitalismo:
- il tedesco Wholer sintetizza l’urea a partire da un composto
inorganico,
- ciò significa che è possibile sintetizzare composti organici da
materiale inorganico,
- sia i viventi che i no viventi sono composti tutti della stesa
materia
i.
Definizione di materia
Vi furono differenti modi di proporre la classificazione degli elementi.
La materia è tutto ciò che possiede una massa ed occupa un volume.
Mendelev fu colui che organizzò gli elementi in una tavola periodica, in
ordine crescente secondo il numero di massa, e disposti in colonne a
seconda di determinate proprietà fisico-chimiche.
La materi è costituita da atomi, i quali sono formati da tre particelle
subatomiche:
- protone
- elettrone
- neutrone
La tavola periodica degli elementi è attualmente aggiornata con tutti gli
elementi stabili che sono sulla terra. È definitiva.
j.
Peso atomico
g. Teoria atomica della materia
Teoria formulata da John Dalton nel 1803:
a. la materia è costituita di particelle piccolissime ed indivisibili dette
atomi
b. un elemento è costituto da un solo tipo di atomi;
c. un composto è costituito da due o più atomi di elementi
differenti
Si definisce peso atomico di un elemento la massa relativa e media di
quell'elemento rispetto ad 1/12 della massa di un nuclide di 12C.
Il peso atomico relativo (PA) pari l rapporto tra la massa assoluta
dell’atomo e l’unità di massa atomica (in kg).
k. Il peso molecolare
Il peso molecolare (PM) è uguale alla somma dei pesi atomici, ognuno
moltiplicato per il proprio indice.
-
l.
omogenea: la soluzione è uniforme ed identica in tutti i punti del
campione
eterogenea: la soluzione presenta differenti fasi del campione e
La mole
Una mole rappresenta la quantità di un elemento il cui peso, espresso in
grammi, è pari al suo peso atomico o molecolare.
le proprietà fisiche sono una composizione di quella degli elementi che
compongono la miscela.
o. Per separare le miscele
23
Una mole di qualsiasi sostanza contiene NA = 6,027 10 particelle.
Per calcolare il numero di moli di una massa di sostanza si rapporta la
massa (g) della sostanza al peso molare (g/mol).
m. Composti e molecole
Le sostanze che sono formate da più elementi sono dette composti
chimici, o semplicemente composti.
Una molecola è la più piccola particella di un composto che ne
possiede tutte le proprietà chimiche. È un aggregato discreto di atomi
tenuto insieme da legami chimici.
Un composto è determinato da una legge detta della composizione
costante:
- un composto ha sempre la stessa composizione, qualsiasi ne
sia la fonte
Le proprietà di un composto sono differenti da quelle degli elementi che
ne formano le molecole.
n. Miscele e sostanze pure
La materia può presentarsi sotto forma di:
- Miscele: insieme fisico di due o più sostanze (composti)
- sostanze pure: sono sostanze formate da un solo composto
vi possono essere due differenti tipi di miscugli:
Una miscela è tale se è possibile separare i vari composti che la
compongono mediante procedimenti fisici:
- filtrazione: permette di separare un liquido da un solido
sfruttando la dimensione delle particelle
- distillazione: permette di separare i vari composti mediante la
differente temperatura di ebollizione
- cromatografia: permette di separare dei componenti di una
miscela mediante la diversa velocità con cui qusti migrano
attraverso un supporto di carta. Per attuare questo procedimento
si sfrutta un solvente che risale nel supporto per capillarità
trascinando la miscela.
- Centrifugazione
p. Tipi di formule
Vi sono differenti tipi di formule:
- formula minima: indica il minimo rapporto in cui stanno gli
elementi di un composto
- formula molecolare: indica il numero reale di atomi dei vari
elementi all’interno della molecola.
Alcune molecole non sono discrete quindi vengono rappresentate
mediante formule minime (es. NaCl, CaCl2, Fe, O, ecc…)
In alcuni casi possono esservi dei composti formati con ioni la cui carica
elettrica risultante sia nulla:
- anche in questo caso si esprime con formula minima il minimo
rapporto tra cariche, facendo una formula ionica,
q. Esempio di ricavo della formula vera
Per ricavare la formula vera dai pesi dei vari componenti si seguono i
seguenti passaggi:
1. si svolge l’analisi qualitativa (si devono conoscere gli elementi
della molecola)
2. si svolge un’analisi quantitativa, per conoscere le percentuali in
peso
3. si ricava il numero di moli per 100 g di composto facendo % X /
massa molare,
4. si prende il numero di moli più piccolo e si divide per esso tutti i
numeri di moli dei vari componenti ottenendo la formula minima
5. per trovare la formula vera si utilizza la massa molecolare, che
va determinata attraverso una misura.
6. Si divide la massa molecolare misurata per la massa della
formula minima e si trova il rapporto in cui stanno le due formule.
Il passaggio di stato di una sostanza avviene per perdita o acquisizione
d’energia cinetica da parte delle particelle. Questo permette una
variazione della temperatura.
I passaggi di stato sono così chiamati:
- Fusione: da solido a liquido
- Evaporazione: da liquido a gassoso
- Sublimazione: da solido ad aeriforme
- Condensazione: da aeriforme a liquido
- Solidificazione: da liquido a solido
- Brinazione: da aeriforme a solido
Nei primi tre la materia acquista energia, negli ultimi tre la cede.
La pressione di vapore è la pressione del vapore in un recipiente
chiuso in equilibrio con un liquido (quando non evapora più nulla). È una
sorta di equilibrio dinamico, in cui vi è continuo scambio tra il liquido ed il
vapore.
2. Gli stati della materia
Energia di passaggio di stato
a. Solidi, liquidi, aeriformi
Si considera la materia come un insieme di particelle.
Queste particelle sono sottoposte a delle forze di interazione che le
legano l’una all’altra. A seconda della forza di interazione tra molecole si
individuano tre stati fisici:
- solidi: le forze di interazione tra particelle sono forti, queste sono
disposte in modo ordinato e non si muovono
- liquidi: le forze di interazione sono di media intensità, che
conferiscono la possibilità alle particelle di muoversi, di scorrere,
ma non di uscire dall’aggregato. La possibilità di movimento delle
particelle conferisce il carattere fluido.
- Gas: le forze di interazione sono molto deboli, le particelle sono
libere di muoversi di non essere a contatto tra loro.
b. Passaggi di stato
Quando in un liquido una molecola ha una certa energia che supera una
energia critica, questa risale in superficie ed evapora.
Il numero delle molecole che si trovano al di sopra dell’energia critica è
dato dalla legge NE = N e-E/RT.
Questa equazione da luogo ad una campana in un grafico statistico del
tipo (n° x E).
Si noti che la pressione di vapore varia a seconda della temperatura in k
secondo la legge Pv = k N e-E/RT.
A 100°C e 1 atm in un recipiente aperto l’acqua bolle, poiché Pv=Patm.
Durante i passaggi di stato, la temperatura resta costante ed occorre
una determinata energia per portarli a termine.
Non è solamente l’innalzamento della temperatura che può permettere
un passaggio di stato, ma anche la variazione della pressione o del
volume:
- aumentando la pressione il punto di fusione dell’acqua scende
(particolarità);
- aumentando la pressione cresce il punto di ebollizione
Per quanto riguarda la sublimazione (da solido ad aeriforme), la
pressione di vapore del ghiaccio cresce con l’aumentare della
temperatura.
Nei diagrammi di stato PxT, dell’acqua si può notare che in un solo
punto, ovvero con pressione pari a 4,58 mmHg e a 0 gradi, si ha il
punto triplo, in cui si può trovare l’acqua allo stato solido, liquido o di
vapore.
La particolarità dell’acqua rispetto ad esempio alla CO2, è che la retta
che descrive la pressione di fusione in funzione della temperatura ha un
andamento decrescente, contrario a quello di tutti gli altri elementi.
La liquefazione dei gas
Quando un gas scende al di sotto del punto di ebollizione le molecole si
avvicinano, agiscono le forze attrattive e il gas si liquefa.
Effetto Joule-Thomson
Quando in un gas si diminuisce la pressione, la maggior distanza tra le
molecole causa una diminuzione della velocità media, quindi un
raffreddamento.
c. Le particelle e il calore
Il calore è associato al movimento delle particelle:
- queste, cedendo il proprio movimento tramite urti anelastici ad
altre particelle trasferiscono il movimento dal materiale più caldo
a quello più freddo
-
il risultato sarà uno stato intermedio tra le due temperature
iniziali dei due corpi.
In prossimità dei passaggi di stato, visono delle temperature critiche,
alle quali per permettere il passaggio di stato è necessario fornire un
maggior quantitativo di calore, che permetterà la trasformazione fisica e
manterrà la temperatura costante finché il passaggio non sia
completato.
A temperatura costante, vi sono anche delle pressioni critiche, che
permettono il passaggio di stato.
Quando in un gas la temperatura scende sotto il punto di ebollizione:
- le molecole si muovono troppo lentamente per sfuggire alle forze
di interazione
- il gas si liquefa man mano.
- Si ha cessione di energia
d. Gas e leggi dei gas
Un gas è un insieme di molecole separate che si muovono in modo
caotico.
È comprimibile e molto sensibile ai cambiamenti di temperatura.
Un gas è definito da 4 variabili:
- pressione (P)
- temperatura (T)
- Volume (V)
- Moli (n)
La pressione
Si definisce come il rapporto tra una forza esercitata sull’unità di
superficie: P= F/S.
La pressione di un gas sulle pareti di un recipiente è data dall’insieme
delle collisioni delle molecole.
La pressione si misura in:
- mm di mercurio, o “Torr”: 1 torr = 760 mmHg = 1 atm
- pascal: 1Pa = 1 N/m2,
- bar: 100000 Pa
- atm: 1 atm = 101325 Pa = 760 mmHg.
La costante R è detta costante dei gas, ed è universale. Vale circa:
- 0,082 l atm / K mol
- 62,37 l torr / K mol
- 8,314 l Pa / K mol
La legge dei gas ideali è un’equazione di stato, poiché non
rappresenta l’andamento, ma ne descrive lo stato.
La temperatura
Rappresenta la intensità degli urti delle particelle, essendo strettamente
legata alla loro velocità.
La legge di Boyle
Questa legge regola le trasformazioni isoterme (T costante).
Si misura in:
- Gradi Celsius (0°C T del ghiaccio che fonde, 100 °C dell’acqua
che bolle)
- Kelvin: temperatura assoluta 0°C = 273,15 K
- Farenheit.
Gli 0 K, o anche – 273,15°C, rappresentano lo zero assoluto ovvero una
temperatura al di sotto della quale non può esistere la materia (cfr legge
di Boyle, altrimenti avrebbero V negativo)
A temperatura costante, volume e pressione sono inversamente
proporzionali.
PV=k
Le leggi di Gay-Lussac
Trasformazione isocora (V costante): P = P0 (1 + T )
Trasformazione isobara (P costante): V = V0 (1 + T )
la legge di Avogadro
Altre leggi
il volume di un campione di gas ad una data temperatura e pressione
è proporzionale al numero n delle moli di molecole presenti nel
campione, indipendentemente dalla natura chimica.
Con n e P costanti: V/V0=P/P0.
Con n e V costanti: T/T0=P/P0.
V= k n
La densità di un gas
In condizioni standard, una mole di gas occupa sempre circa 22,4 l.
Legge dei gas ideali
La massa di un campione si calcola moltiplicando la massa molecolare
per il numero di moli:
Unendo le leggi di Boyle, Charles, Avogadro, si ha un unica legge,
approssimativamente valida per tutti i gas ideali:
m = nM
Poiché la densità è il rapporto tra la massa ed il volume
PV=nRT
d = nM / V
Somma (ni) = 1
poiché
L’equazione di stato per le miscele
n/V = P/ RT
Ptot=Pa+Pb= ntotRT / V
si afferma che: d = P M / RT.
Facendo il rapporto membro a membro tra l’eq di stato di una P parziale
e quella della P totale, si ottienila frazione molare.
Si può dunque affermare che la densità di un gas è proporzionale alla
massa molecolare.
Pa/Ptot=Xa
Volume molare
Si definisce volume molare il volume che occupa una mole di gas.
Tutti i gas, per la legge di Avogadro, a pari condizioni (P, T, V) hanno il
medesimo volume.
Il volume molare di un gas è sempre molto più grande di quello di un
liquido o di un solido,con differenze di ordine di grandezza delle migliaia.
Miscele di gas.
Pressione parziale: in una miscela, la pressione parziale di un gas è la
P che esso eserciterebbe nelle stesse condizioni se occupasse il
medesimo contenitore.
Legge di Dalton (o dele pressioni parziali): la pressione totale di una
miscela di gas è pari alla somma delle pressioni parziali dei vari gas che
la compongono.
e. Teoria cinetica dei gas
Un gas è un insieme di molecole istanti l’una dalle altre. La teoia
cinetica ei gas si fonda su tre assunzioni:
- un gas è composto di molecole in continuo movimento casuale.
- Le molecole sono particelle puntiformi che si muovono su
traiettorie rettilinee uniformi interrotte da urti anelatici
- L’unica interazione tra le molecole è la collisione.
La teoria cinetica dei gas afferma che il volume e la pressione sono in
relazione mediante l’equazione:
1/3nMv2=nRT
Dove n è il numero di moli, M la massa molecolare, v la velocità
quadratica media delle molecole.
Questa legge indica che la velocità dipende SOLO dalla temperatura.
Lo zero assoluto non è raggiungibile perché tutte le molecole sarebbero
ferme.
P1= n1 RT / V
I gas reali
Frazione molare: è il numero di moli di un gas rispetto al numero di moli
di una miscela.
X1= n1 / ntot.
I composti in fase gassosa non sono mai gas perfetti, ma vi è sempreun
volume delle particelle e delle interazioni tra le molecole.
Un gas reale si avvicina all’idealità quando:
- si aumenta la T
- si diminuisce la P
- si aumenta il volume
Legge di Graham
La velocità di diffusione di un gas è inversamente proporzionale alla
radice quadrata del peso molecolare delle sue molecole.
In sostanza si avvicina all’idealità quando le sue molecole sono il più
possibile distanti tra loro.
A T costante V1/V2= (M2/M1)1/2
Facendo l’operazione inversa il gas si allontana dall’idealità e cambia di
stato diventando liquido.
La velocità delle molecole in un gas è simile a quella del suono, di fatti il
suono si propaga grazie al movimento di molecole.
equazione di van der Waals per i gas reali
(P + a n2/V2)(V-nb) = nRT
Se aumentano le forze di attrazione diminuisce la pressione totale
a e’ diverso da gas a gas.
Il volume a disposizione delle particelle si ottiene sottraendo al volume
del recipiente quello occupato dalle molecole
b e’ una costante tipica di ogni gas.
3. Le reazioni chimiche
a. Cosa è una reazione chimica
Una reazione chimica è una trasformazione della materia legata a:
- modifiche energetiche
- rottura di legami molecolari
una reazione chimica è definita mediante un’equazione chimica.
Distribuzione delle velocità molecolari secondo Maxwell
Ogni molecola va incontro a cambiamenti continui della propria velocità.
La campana che dercrive la percentuale di molecole che vnno ad una
determinate velocità è stata individuata da Maxwell. Questa curva viene
chiamata distribuzione.
Diffusione
La penetrazione di una sostanza in un’altra è chiamata diffusione.
Due gas si compenetrano tra loro perché le molecole sono in movimento
e libere di muoversi:
- la velocità della diffusione dipende dalla velocità delle molecole
- la velocità media è proporzionale alla radice quadrata della
massa molecolare di queste.
Una reazione DEVE sempre rappresentare un processo che avviene
in realtà, poiché non può riflettere un processo che non avviene.
Equazioni chimiche
Una reazione è scritta con una formula al cui centro c’è una freccia, a
sinistra gli elementi di partenza di una reazione, i reagenti, a destra gli
elementi finali, i prodotti.
La freccia significa “produce”, il simbolo “+” indica che le molecole
entrano insieme nella reazione.
La simbologia prevede:
- Solidi (s)
- Liquidi (l)
- Gas (g)
-
Soluzioni acquose (aq)
Catalizzatore H2SO4
gas che si disperde ()
cambio di temperatura ().
In una reazione, i numeri che prepongono le molecole sono detti
coefficienti stechiometrici, che indicano il numero di molecole che
interagiscono.
Talvolta, si mettono anche le quantità di energia che intervengono in
una reazione, come se fossero delle molecole.
c. stechiometria
è lo studio degli aspetti quantitativi delle reazioni chimiche:
- si basa sul principio di conservazione delle masse.
i. calcolo di resa teorica e resa effettiva
1. scrivere e bilanciare l’equazione
2. convertire in moli la massa del reagente
massa reagente / massa molare reagente = moli reagente
b. Il bilanciamento
3. convertire le moli dei reagenti nelle moli dei prodotti
Per il principio della conservazione delle masse (nulla si crea e nulla si
distrugge) l’equazione chimica deve essere bilanciata:
- deve esservi lo stesso numero di atomi sia nei prodotti che nei
reagenti
- la carica complessiva deve rimanere la stessa
- l’equazione deve essere bilanciata anche per quanto riguarda
l’energia.
Per bilanciare un’equazione chimica si osservano 4 passaggi base:
1. scrivere la formula corretta di reagenti e prodotti
2. controllare il numero di atomi di ciascun elemento a sx e
confrontarli con quelli della stesa specie a dx
3. stabilire i coefficienti stechiometrici in modo da avere il
medesimo numero di atomi da entrambi i lati,
4. verificare che:
a. il numero d atomi di una specie sia uguale da entrambi i
lati
b. la somma delle cariche sia identica
c. i coefficienti siano interi dal rapporto minore possibile tra
loro
ALCUNI SUGGERIMENTI PER BILANCIARE
1. considerare un elemento alla volta lasciando per ultimi O ed H
2. se tutto è bilanciato eccetto l’ossigeno, raddoppiare i coefficienti e riprovare
3. gli ioni poliatomici possono esere bilanciati come unità indipendenti
Moli prodotto = coeff. Stechiometrico/moli reagenti * moli reagente
4. convertire le moli del prodotto in massa del prodotto
moli prodotto * peso molecolare prodotto = massa prodotto
5. calcolare la resa percentuale (teorica) e confrontarla con la resa
effettiva
massa prodotto effettiva / massa prodotto teorica * 100% = resa %
ii. reagente linitante ed in eccesso
Un reagente si definisce limitante quando non è in quantità sufficiente
per determinare il consumo completo degli altri reagenti.
Gli altri reagenti sono in eccesso quando sono in quantità superflue
rispetto ad altri reagenti in modo da non rendere possibile un consumo
completo nel prodotto.
d. I tipi di reazione
Vi sono circa 5 tipi di reazione:
- dissociazione o analisi: una molecola si dissocia in due o più
molecole
- associazione: due più molecole si associano in un’unica
molecola
- precipitazione: due composti (solitamente ionici) in soluzione si
scambiano gli elementi
- acido-base: trasferimento di un protone (H+) da una specie
(acido) ad un’altra (base)
- ossidoriduzioni: passaggio di elettroni da un atomo all’altro.
-
l’idrogeno nei suoi composti ha N.O. pari a +1 (fanno eccezione
gli idruri dei metalli con EN minore di 2,1, con i quali N.O. è -1)
Fluoro, Cloro, Bromo e Iodio, se non sono composti con
l’ossigeno, hanno sempre N.O. uguale a -1.
L’ossigeno nei suoi composti ha sempre N.O. -2, (eccezione i
perossidi [con legame – O – O - ] in cui ha NO pari a -1).
Gli elementi non metalli possono assumere differenti valori di
ossidazione, solitamente tendenti alla configurazione otteziale.
L’azoto assume tutti i numeri di ossidazione, da -3 a +5.
iii. Bilanciamento delle ossido-riduzioni
i. Redox
Una ossido-riduzione è una reazione in cui dei reagenti si scambiano
elettroni per formare dei prodotti.
-
ossidazione: perdita di elettroni
riduzione: guadagno di elettroni
-
ossidante: elemento che guadagna elettroni
riducente: elemento che cede elettroni
Per il bilanciamento delle reazioni di ossidoriduzione si seguono i
seguenti passaggi:
1) individuare il numero di ossidazione di tutti gli elementi presenti
2) individuare e scrivere la due semireazioni
3) aggiungere gli elettroni consumati o prodotti
4) bilanciare le cariche aggiungendo ioni H+ (ambiente acido), ioni
OH- (ambiente basico) o sali
5) aggiungere H2O fino a bilanciare le masse totali
6) sommare le due semireazioni dopo averle moltiplicate per l’una
per il numero di elettroni scambiati dell’altra.
7) Dividere se possibile ed eliminare gli elementi in eccesso.
ii. il numero di ossidazione
4. Nomenclatura
numero di ossidazione: carica che un atomo assumerebbe se tutti gli
elettroni impegnati in legame si trovassero sull’atomo più
elettronegativo.
Per stabilire il numero di ossidazione è necessario tenere presente che:
- le molecole neutre hanno la somma algebrica dei N.O. pari a 0
- per gli ioni la somma è pari alle cariche con lo stesso segno
- il N.O degli elementi allo stato elementare è nullo
- i metalli dei gruppi 1,2,3 hanno N. O uguale al numero degli
elettroni esterni (+1, +2, +3);
a. Cationi
Uno ione positivo (catione) viene sempre indicato con la parola ione
seguita dall’elemento corrispondente. Ad esempio Na+ si denomina
ione sodio.
Quando gli ioni formati da un elemento sono più di uno si segue la
seguente tabella:
- oso
- ico
b. Anioni
Nel caso degli ioni negativi (anioni), se sono monoatomici si fa seguire al
nome dell’elemento il suffisso –uro.
Nel caso di OSSIANIONI si aggiunge all’elemento il suffisso –ato, nel
caso in cui siano monoatomici.
Qualora possono esservi più ossianioni con lo stesso elemento si segue
a nomenclatura della seguente tabella.
Ipo
per
- ito
- ito
- ato
- ato
c. Idruri
Sono composti formati da idrogeno e un metallo. In questi composti
l’idrogeno assume numero di ossidazione pari a -1.
La formula generale è MeHx.
La nomenclatura tradizionale li chiama: “idruro di X”.
d. Idracidi
Gli idracidi sono composti dell’idrogeno con i non metalli,
prevalentemente gli alogeni. Formula generica è HxnonMex.
La nomenclatura li chiama “acido nonMe-idrico”.
Questi composti sono pochissimi e si possono riassumere in una tabella.
HF
Acido fluoridrico
HBr
HCl
HI
HCN
H2S
Acido bromidrico
Acido cloridrico
Acido iodidrico
Acido cianidrico
Acido solfidrico
e. Ossidi basici
Gli osidi basici sono composti formati dal legame di ossigeno con un
metallo. La formula generale è Me2Ox.
La nomenclatura nel caso i due elementi abbino un solo numero di
ossidazione a cui legarsi li chiama con la formula “ossido di Me”.
Se i numeri di ossidazione sono più d’uno si segue il seguente schema:
Ipo
- oso
- oso
- ico
per
- ico
f.
Ossidi Acidi (anidridi)
Le anidridi sono composti formati dal legame di ossigeno con un non
metallo, con formula generale nMe2Ox.
Se vi è un solo numero di ossidazione compatibile si nominano
“anidride nMe -ica”.
Se i numeri di ossidazione sono più d’uno si segue il seguente schema:
Ipo
- oso
- oso
- ico
per
- ico
g. Ossiacidi
per
Sono i derivati delle anidridi per aggiunta di una o più molecole d’acqua.
- ito
- ato
- ato
La formula generale è HxnMeOy.
5. Struttura atomica
La nomenclatura segue quella delle anidridi corrispondenti, ma si
sostituisce la parola anidride con acido, formando nomi così strutturati
“acido X-ico”.
Con l’aggiunta di più molecole d’acqua, si aggiungono i prefissi meta (1
H2O), piro- (2 H2O), orto- (3 H2O).
h. Idrossidi
Sono composti derivati dall’unione di un metallo con uno o più gruppi
idrossile, con formula generale Me(OH)x.
Si nomenclano con “idrossido di Me” e nel caso vi possano essere più
numeri di ossidazione si segue lo schema:
Ipo
- oso
- oso
- ico
per
- ico
i.
Sali
Derivano dalla sostituzione di uno o più idrogeni da un idracido o da un
ossiacido, con un metallo.
La formula generale diventa Mex(RA)y.
La nomenclatura segue quella dall’acido da cui deriva, con le seguenti
desinenze (pari a quelle degli ioni):
Ipo
- ito
Secondo la teoria atomica, che si fa risalire a Dalton, un atomo è una
particella, la più piccola particella dotata di caratteristiche chimiche
dell’elemento che rappresenta.
La teoria si articola nei seguenti punti:
1- tutti gli atomi di un certo elemento sono uguali
2- Gli atomi di elementi differenti hanno masse differenti
3- Un composto è la combinazione di atomi di uno o più elementi
4- In una reazione chimica gli atomi non vengono né creati né
distrutti. Cambiano la loro disposizione formando nuove
sostanze
Un elemento è una sostanza che è costituita da un solo tipo di atomi,
ed ha proprietà fisiche che dipendono dal comportamento dell’insieme
degli atomi di tale sostanza.
a. l’elettrone
Thompson è stato il primo a determinare il rapporto carica-massa
dell’elettrone. La carica è stata poi misurata da millikan.
Gli elettroni sono in uno spazio intorno al nucleo
In un atomo elettricamente neutro il loro numero è pari a quello de
protoni.
La carica di un eletrone è – 1,602 10-19 C.
Ha una massa molto piccola, quasi trascurabile (9,1 1028 g)
b. il protone
Rutherford ha mostrato che il rapporto massa/carica differiva con il tipo
di gas usato.
Il rapporto più alto era ottenuto con l’idrogeno.
Il protone (H+) ha carica uguale ed opposta a quella dell’elettrone e
massa molto più grande (1,67 10-24).
c. il neutrone
Ha massa molto simile a quella del protone, ma carica neutra.
Solitamente il numero dei protoni e neutroni è uguale. Quando differisce
si parla di isotopi.
d. L’energia quantizzata ed il modello di Bohr
Maxwell nel 1864 sviluppa la teoria delle onde elettromagnetiche,
arrivando all’equazione c = 
Le onde elettromagnetiche sono onde oscillanti perpendicolarmente tra i
due campi: elettrico e magnetico.
Negli spettri elettromagnetici si riesce ad osservare le lastre delle onde
luminosa, con lunghezze d’onda tali per cui sono visibili.
Le onde ad alta energia hanno una lunghezza d’onda molto piccola,
quelle a bassa energia una molto grande.
Plank ipotizzò che le emissioni di un corpo riscaldato emettessero
radiazioni:
- osservando gli spettri delle emissioni si accorse che l’energia
risultava emessa in piccoli pacchetti, detti quanti.
L’energia era proporzionale alla frequenza secondo la legge
E=h,
Che con le dovute sostituzioni diventa E=h c/
In definitiva scopre che l’energia emessa è:
- direttamente proporzionale alla frequenza
- inversamente proporzionale alle lunghezze d’onda.
Balmer e Rydberg trovarono le equazioni che descrivevano le
lunghezze d’onda emesse dall’idrogeno:
- =R(1/nf2-ni2)
- ogni elemento emette linee con differenti lunghezze d’onda
Si giunge quindi al modello atomico di Niels Bohr, che prevede:
- Gli elettroni orbitano intorno al nucleo
- Gli elementi eccitati emettono energia
- Gli elettroni possono occupare solo orbite definite intorno al
nucleo.
- Ogni orbita definita ha una precisa energia (quantizzata)
- Passando da uno stato più eccitato ad uno stato con minore
energia un elettrone emette energia.
Nel 1924 il fisico e chimico De Broglie suggerisce che anche l’elettrone
deve avere proprietà ondulatoria:
- h / mv
da ciò scaturisce il principio di indeterminazione di Heisenberg:
“non è possibile definire esattamente la posizione di un elettrone se
questo è in movimento”.
e. Perché l’atomo non collassa nel nucleo
Sebbene l’elettrone abbia natura una velocità, dovrebbero essere attratti
dal nucleo.
In più, il movimento comporta l’emissione di radiazioni
elettromagnetiche, quindi la perdita dell’energia:
-
non vi è nessuna teoria della fisica classica che riesca a spiegare
questa attitudine
gli elettroni hanno dualità onda-particella
L’energia degli elettrico risulta essere quantizzata:
- un elettrone può occupare solamente determinate orbite, definite
da un’equazione detta funzione d’onda che permette, con le tre
variabili spaziali, di definire la probabilità che un elettrone si trovi
un una determinata regione
- Questa funzione è detta equazione di Schroedinger.
f.
Numeri quantici e orbitali
Nell’equazione di Schroedinger un elettrone è definito da quattro numeri
quantici:
-
-
il numero quantico principale (n): definisce l’energia
dell’elettrone, dunque il suo livello energetico; va da n=1 a n=7.
Il numero quantico secondario (l): dipende da n, e può variare
da 0 a n-1. Individua la forma dell’orbitale. Ad esempio per l=0,
orbitale s, per l=1 orbitale p, ecc..
Numero quantico magnetico (ml): indica i possibili orientamenti
spaziali dell’orbitale. Va da +l a –l, zero incluso.
Numero di spin (ms): descrive il verso i rotazione dell’elettrone
attorno al proprio asse. Può assumere solamente due valori+1/2
e -1/2, orario o antiorario.
Se due elettroni che ruotano nello stesso verso hanno spin parallelo,
due che ruotano in senso opposto sono in spin opposto.
6. Orbitali ed AUFBAU
Per determinare quali orbitali vengono occupati s applicano le regole
dell’aufbau, cioè il modo di riempimento convenzionale degli orbitali.
La particolarità del riempimento si ha con Z = 19, per cui non si occupa
come si dovrebbe l’orbitale 3d, ma il 4s, che ha un livello energetico
minore. L’orbitale 3d si inizia a riempire dallo scandio (Z=21).
L’aufbau permette di prevedere con una discreta correttezza l’80% delle
configurazioni elettroniche. Ci sono delle eccezioni:
- più di una ventina di elementi hanno piccole variazioni
- esempio: il Calcio (Z=24) ha configurazione [Ar] 3d5 4s1.
- Il Rame (Cu, Z=29) ha configurazione [Ar] 3d10 4s1.
Naturalmente anche il riempimento degli elettroni di ioni segue queste
regole.
La configurazione del livello più esterno degli elementi determina la loro
posizione nella tavola periodica:
-
ogni gruppo della tavola periodica ha la stessa configurazione
esterna
La tavola periodica è costruita morfologicamente sulle
configurazioni elettroniche esterne.
7. Tavola periodica
La tabella periodica degli elementi è stata proposta da Mendelev nel
1869, che dispose gli elementi in ordine di peso atomico in gruppi e in
periodi.
La tabella è divisa in blocchi corrispondenti alla configurazione
elettronica esterna:
- i blocchi s e p sono detti gruppi principali e si indicano con la
lettera A
- il numero del gruppo è dato dal numero di elettroni nel livello più
esterno
I periodi invece sono numerati a seconda del numero quantico principale
n: ad ogni gruppo corrisponde un livello energetico.
Il fatto che le configurazioni elettroniche esterne siano identiche in ogni
gruppo conferisce agli elementi di ogni gruppo caratteristiche chimiche
simili, che si articolano in maniera periodica lungo la tabella.
Il raggio atomico dipende dagli elettroni presenti, e dal numero di
elettroni presenti nell’ultimo livello energetico:
- maggiore è il numero di elettroni in un livello, maggiore sarà la
carica esercitta dal nucleo
- nei livelli più alti il raggio aumenta poiché aumenta il numero di
elettroni
- nei gruppi i raggio diminuisce poiché dove vi sono meno elettroni
nel livello più esterno vi è minore attrazione sugli elettroni spaiati
Nel caso dei raggi degli ioni:
- i cationi (ioni positivi) sono più piccoli degli atomi neutri perché la
forza attrattiva del nucleo è maggiore
- il raggio cationico aumenta procedendo verso il basso e verso
sinistra
- Gli anioni (ioni negativi) sono più grandi degli atomi neutri.
Aumentano verso il basso
Per quanto riguarda l’energia di ionizzazione, aumenta con
l’aumentare degli elettroni di valenza (da sx a dx) e diminuisce con
l’aumentare del raggio atomico (dall’alto verso il basso).
Le basse energie di ionizzazione a sinistra giustificano il carattere
metallico:
- un metallo è un’insieme di ioni positivi circondati da una nube di
elettroni
gli elementi del gruppo p sono caratterizzati da elettroni di valenza s con
un elevatissima energia di ionizzazione. Sono detti per ciò doppietti
inerti.
Si definisce affinità elettronica l’energia che si ottiene nel mettere un
elettrone nell’orbitale ad energia minore.
Esprime la tendenza dell’atomo a ricevere elettroni. Questa tendenza si
ha dal terzo al settimo gruppo della tavola, aumentando verso sinistra:
- gli atomi tendono a assumere la configurazione otteziale
- i gas nobili, proprio perché hanno l’ottetto completo, non
possono ricevere elettroni.
8. Chimica nucleare
La chimica nucleare studia la struttura e le trasformazioni che
avvengono a livello del nucleo atomico.
Avviene che i nuclei cambiano la propria struttura atomica
spontaneamente e nel farlo emettono radiazioni.
a. il nucleo e gli isotopi
Il nucleo, nel modello più semplice universalmente accettato, è un
insieme di nucleoni:
- protoni
- neutroni
la forza di attrazione che avviene con dispendio di massa (convertita in
energia secondo la formula E=mc2 ) tra i protoni nel nucleo vince le forze
di attrazione che si sviluppano all’interno dello stesso.
Sono definiti metalli gli elementi che tendono a perdere elettroni con
facilità nei loro composti di combinazione, a causa di:
- basso potenziale di ionizzazione
- bassa affinità elettronica
gli elementi del primo, del secondo e del terzo gruppo sono detti metalli,
per la loro tendenza a formare cationi.
Gli elementi del V, VI, VII gruppo sono detti non metalli, per la loro
tendenza a formare legami covalenti o anioni.
Gli elementi del III e del IV gruppo hanno caratteristiche intermedie e
sono definiti anfoteri, poiché presentano caratteristiche intermedie a
seconda dei legami che formano, tra metalli e non metalli.
Solitamente il nucleo di un atomo è stabile. Superati gli 83 protoni il
nucleo inizia a diventare instabile e va incontro a trasformazioni.
Un elemento è caratterizzato dal numero di protoni, ma può differire per
la presenza di neutroni:
- quando un atomo possiede un differente numero di neutroni
rispetto al numero di protoni si dice che è un isotopo.
- Esistono isotopi di quasi tutti gli elementi
- Un isotopo differisce per il numero di massa (A, numero di
nucleoni) e mantiene invariato il numero atomico (Z, numero di
protoni)
- Ciascun isotopo di un elemento è detto nuclide.
b. stabilità e instabilità
Per i primi venti elementi della tavola periodica il numero di protoni è
uguale al numero di neutroni.
Quando gli elementi hanno Z>21 il rapporto neutroni/protoni è maggiore
di 1 ed ha un incremento continuo.
Da elementi con Z>83, si inizia ad avere elementi instabili:
- il nucleo tende a frammentarsi in due elementi più piccoli
- ad emettere particelle o radiazioni elettromagnetiche
I nuclei stabili, sono pochissimi rispetto alle combinazioni possibili tra i
vari nucleoni:
- quando un nucleo non si trova in una combinazione stabile,
tende ad assumerla emettendo particelle o radiazioni
c. decadimento radioattivo
un decadimento radioattivo è un processo spontaneo in cui il nucleo
cambia la propria struttura:
- le radiazioni  e  sono spesso accompagnate anche
dall’emissione di fotoni, ovvero di energia che serve per
stabilizzare il nucleo sotto forma di radiazione .
- La disintegrazione trasforma il nucleo in quello di un altro
elemento
i. decadimento alfa
è l’emissione di un nucleo di elio, ovvero una molecola di He2+.
L’atomo perde due protoni e due neutroni (Z=-2; A=-4).
iii. decadimento gamma
é la semplice emissione di un fotone ad alta energia, accompagna tutti i
decadimenti.
iv. cattura elettronica
Un nucleo cattura uno dei propri elettroni e trasforma un protone in un
neutrone (Z-1).
Avviene con la trasformazione del Calcio-41 in potassio (K-41)
v. emissione di positroni
Un protone si trasforma in un neutrone e viene emesso un positrone
(massa identica all’elettrone con carica +1).
Il numero atomico diminuisce di una unità (Z-1).
d. Tipo di decadimento e stabilità
A seconda se un isotopo si colloca al di sopra o al di sotto della banda
di stabilità possono avvenire differenti tipi di decadimento:
- se deve diminuire il numero di massa emettendo un neutrone (al
di sopra della banda) possono emettere particelle beta.
- Se sono sotto la banda, ovvero sono ricchi di protoni per
spostarsi verso la banda di stabilità emettono un positrone
oppure catturano un elettrone (Z-1)
ii. decadimento beta
Il decadimento beta comporta l’emissione di una particella un
elettronecon la trasformazione di un neutrone in un protone.
Quando vi sono nuclidi pesanti e particolarmente instabili (sopra Z=83)
si hanno i decadimenti alfa, con emissione di 4 nucleoni (2 neut e 2
prot)
I numeri cambiano:
- Z=+1
- A resta invariato
Gli elementi tendono sempre ad assumere delle configurazioni stabili,
quindi vi sono delle proprie serie radioattive tracciabili e confrontabili a
partire da determinati isotopi.
e. emivita e tempo di dimezzamento
Quando il nucleo emette una radiazione () il numero atomico
varia e si forma un nuovo elemento.
-
Il C-14 è sempre presente in natura poiché si ricrea con i
decadimenti dell’azoto nell’atmosfera quando è colpito dalle
radiazioni cosmiche
f.
La velocità con cui avvengono queste emissioni può essere misurata
contando le radiazioni emesse nell’unità di tempo:
- ad ogni radiazione corrisponde una emissione e un decadimento
- il numero di decadimenti al secondo è definito Bequerel (Bq).
Esiste una legge di proporzionalità diretta tra la velocità con cui un
elemento decade (A, attività dell’elemento) e il numero di decadimenti
(N), espressa attraverso una costante (k, costante di decadimento
dell’isotopo):
A=kN
unità di misura della radioattività
La radioattività possiede differenti unità di misura:
- bequerel: numero di decadimenti al secondo
- CPM: conte per minuto. Utilizzato a seconda dello strumento
- Curie: misura complessa che si basa su un isotopo del radio.
g. radioisotopi in biologia e medicina
In biologia e medicina, gli isotopi radioattivi possono essere usati come:
- traccianti
- fonti di energia distruttiva (radioterapia)
Un’altra legge esprime questa velocità: ln (N/N0) = -kt.
In base a questa legge si definisce l’emivita il tempo necessario
affinché decada la metà degli atomi dell’isotopo radioattivo:
- la semplificazione della legge porta ad una nuova legge più
semplice
Per poter essere compatibili e non dannosi agli organismi devono avere:
- emivita molto breve (pochi giorni)
- devono poter essere smaltiti
- devono trasformarsi in isotopi stabili
9. Legami chimici
ln(N/2N)=-kt1/2
ln(1/2)=-kt1/2
t1/2= 0,963/k
Il tempo di dimezzamento (emivita) di un isotopo radioattivo dipende
dalla costante di decadimento, la quale dipende dalle caratteristiche
dell’isotopo.
Per la datazione dei reperti viene utilizzato un isotopo del carbonio, il
C-14, che ha un’emivita di 5730 anni:
- in virtù della relazione tra il C-14 e il C-12 di 1/100 in un individuo
in vita si calcolano gli anni in cui l’organismo era vivente.
Gli atomi interagiscono tra loro formando molecole. L’union di atomi
prende il nome di legame e può avvenire in vari modi.
La teoria dei legami degli atomi si deve a Lewis:
- Gli elettroni del livello più esterno sono quelli implicati nel
legame, e sono detti elettroni di valenza
- Se gli elettroni vengono trasferiti da un atomo all’altro si ha un
legame ionico
- Se gli elettroni vengono condivisi si ha un legame covalente.
- Regola dell’ottetto: gli atomi tendono sempre ad assumere la
configurazione del gas nobile che è loro più vicino, ovvero a
riempire il loro ottetto.
a. Covalente
Un legame covalente è formato da una coppia di elettroni messi in
compartecipazione tra due atomi.
Possono verificarsi due casi:
- ciascun atomo fornisce un elettrone compartecipato
- un atomo fornisce entrambi gli elettroni (legame dativo)
Un legame covalente si ha tra due atomi del gruppo p della tavola
periodica, oppure con H e Be.
Generalmente si osserva la differenza di elettronegatività tra i due atomi
che formano un legame:
- quando l’elettronegatività è minore di due, allora si ha
probabilmente un legame covalente
- quando il valore di E.N. è maggiore due si ha legame ionico
L’energia del legame covalente equivale all’energia necessaria per
scinderlo.
La lunghezza di legame è definita come la distanza tra i nuclei dei due
elementi. Dipende da:
- raggio atomico
- forza di legame
L’entalpia di legame è l’energia che si libera quando il legame viene
rotto.
A seconda della differenza di eletronegatività tra gli atomi considerati, un
legame covalente può essere:
- polare
- apolare
Un legame polare è un legame in cui, per la differenza di
elettronegatività tra i due atomi, gli elettroni tendono a spostarsi verso
uno dei due atomi, creando dei momenti dipolari differenti all’interno
della stesa molecola:
-
si creano parziali cariche di segno opposto
può essere considerato come un ibrido di risonanza tra un
legame covalente e un legame ionico
ha differenze di elettronegatività comprese tra 2 e 1
b. Ionico
Il legame ionico è l’attrazione elettrostatica tra le cariche di un anione e
un catione:
- se due atomi con alta differenza di elettronegatività si
avvicinano, il meno elettronegativo cede un elettrone all’altro,
divenendo un catione e anionizzando l’altro elemento
- Gli ioni tendono a riunirsi a formare un solido, e a disporsi con la
tipica struttura a reticolo cristallino, che comporta minore
energia
- L’entalpia reticolare di un solido ionico corrisponde alla
variazione standard di entalpia che si accompagna alla
trasformazione del solido in un gas costituito dai suoi ioni.
Il solido ionico è disposto in modo tale che tra gli ioni si abbia un minimo
di energia.
Un legame ionico è favorito da:
- bassa energia di ionizzazione del catione
- alta affinità dell’anione
- alta differenza di EN
- devono avere una piccola massa atomica e un alto numero di
carica per stabilire forti interazioni elettrostatiche che danno via
ad energia reticolare.
c. Regola dell’ottetto
Gli atomi tendono il più possibile a completare i propri ottetti di elettroni
nel livello energetico più esterno, lo fanno mediante coppie di elettroni
compartecipate.
Questa regola funge benissimo con gli elettroni del secondo periodo (O,
C, F, N, ecc..)
Quando entrano in giuoco anche gli orbitali d allora possono essere
riempiti più orbitali, e in un atomo possono essere sistemati più di otto
elettroni.
Per parecchie molecole, è possibile scrivere più di una formula di Lewis,
sono le varie strutture limite, dette ibridi di risonanza.
Gli elementi dal terzo periodo hanno a disposizione gli orbitali d, di
energia accessibile:
- possono espandere l’ottetto a 10, 12 e più elettroni
Un radicale è una porzione scissa da una molecola che ha almeno un
elettrone spaiato (esempio radicale ossidrile, OH):
- hanno vita molto breve
- tendono ad essere molto reattivi
10. forma delle molecole
a. forma delle molecole: teoria VSEPR
Spesso la struttura tridimensionale conferisce alla molecola le sue
proprietà chimiche. La struttura tridimensionale può essere descritta
mediante:
- angoli di legame
- lunghezze di legame
La struttura di Lewis fornisce indicazioni circa:
- tipo di legami tra atomi
- orbitali di valenza
- collegamento tra vari atomi
Tuttavia non fornisce informazione alcuna circa la struttura
tridimensionale della molecola.
La forma di una molecola può essere dedotta seguendo i principi della
teoria VSEPR, ovvero repulsione tra le coppie degli elettroni del livello di
valenza:
le coppie di elettroni nel livello più esterno tendono a disporsi il
più lontano possibile
Se è presente un atomo centrale allora gli atomi legati ad esso tendono
a disporsi sulla superficie di una sfera alla massima distanza
possibile.
La forma e l’angolo dipendono solamente dal numero dei sostituenti:
- 2 atomi: distanza lineare e angolo 180°
- 3 atomi: forma triangolare e angoli di 120°
- 4atomi: forma tetraedrica con angoli di 109,5°
- 5 elettroni: triangolare bipiramidale, con angoli di 120° sul piano
xy e 90 rispetto ai due atomi su z.
Tuttavia i doppietti solitari (lone pairs) fanno sentire il loro effetto:
- occupano più spazio di quelli di legame
- si comportano come un atomo nel determinare la forma di una
molecola.
I principi della teoria Vsepr possono essere applicati anche a molecole
più complesse:
- è necessario considerare un atomo centrale alla volta
b. Polarità delle molecole
Una molecola polare è una molecola che possiede un momento
dipolare differente da zero.
Una molecola che contiene legami non necessariamente è essa stessa
polare:
- occorre considerare la simmetria della molecola stessa
- un momento dipolare si instaura quando due cariche elettriche
uguali ed opposte sono distanziate tra loro
Il momento dipolare  si calcola come =Qr, dove Q è la carica e r la
distanza tra i due poli.
In molecole tridimensionali, la somma dei vettori del momento dipolare
di ciascun legame da la polarità della molecola.
11. orbitali ibridi e orbitali molecolari
a. Modello dell’orbitale di legame
c. come determinare le formule di struttura
Per gli elementi del secondo periodo occorre tenere presente che :
- dispongono di quattro orbitali atomici per un legame
- non possono formare più di 4 legami e essere circondati da più di
8 elettroni
- queste affermazioni talvolta sono estensibili al terzo periodo
Per i legami occorre tener presente alcune regole:
1) in una molecola formata da più di due atomi, la geometria
molecolare è determinata da un atomo centrale in funzione del
numero complessivo di coppie di legame sigma e coppie di non
legame da cui è circondato
2) le coppie di elettroni tendono a disporsi il più lontano possibile
l’una dalle altre (teoria VSEPR, minima repulsione elettrostatica)
3) il legame pigreco non influisce sulla repulsione delle cariche
4) molecole o ioni poliatomici che abbiano lo stesso numero di
atomi e lo stesso numero di elettroni di valenza hanno la stessa
struttura.
Il legame covalente avviene solamente quando due orbitali si
sovrappongono:
- Si possono formare legami sigma attraverso la sovrapposizione
delle estremità lobari di due orbitali secondo una forma testatesta
- Si formano legami pigreco quando si ha la sovrapposizione
laterale di due lobi degli orbitali secondo un modello fiancofianco
Gli orbitali possono ottenere una ibridazione mediante una cessione di
poca energia:
- un orbitale pieno (in cui vi sono 2 elettroni) può, con l’ausilio di
un po’ di energia, far passare un elettrone all’orbitale successivo,
quello con maggiore energia
- l’orbitale che cede l’elettrone passa ad una energia equivalente a
quello che lo riceve: si formano gli orbitali ibridi (stesso livello
energetico)
- questo processo avviene con orbitali ad energie confrontabili (s,
p, d)
Procedimento
1) sommare il numero di elettroni di valenza in una molecola e
dividere per due per ottenere le coppie di elettroni
2) prendere un atomo che si considera come centrale (solitamente
quello più elettronegativo)
3) si inseriscono tante coppie di legame quante ne servono per
legare l’atomo centrale a quelli periferici
4) si mettono tante coppie di non legame sugli atomi periferici tanto
da completarne l’ottetto
5) si mettono le coppie restanti come coppie di non legame
sull’atomo centrale (se vi sono, determinano la geometria
tetraedrica o trigonale planare)
6) si ridistribuiscono le coppie in modo che l’atomo centrale abbia
l’ottetto completo.
L’ammoniaca potrebbe formare tre legami planari sui 3 orbitali 2p,
invece ibrida gli orbitali e forma una struttura tetraedrica, con orbitali
ibridati sp3:
- il doppietto solitario dell’azoto occupa uno degli orbitali ibridi
Alcune geometrie molecolari che coinvolgono atomi centrali con ottetti
espansi possono essere interpretati come l’ibridazione di orbitali ibridi sp
con orbitali d per formare ibridi spd.
Lo stato di ibridazione lo si può dedurre dalla geometria molecolare in
relazione alla presenza di doppietti liberi.
All’interno della teoria dell’orbitale di legame si possono anche spiegare
i doppi e tripli legami:
-
avvengono con un legame  e con uno o due legami .
Sono rigidi alla torsione
Si formano solo con atomi relativamente piccoli (II periodo) per
permettere l’unione degli orbitali p nei legami .
L’ordine di legame è dato dal numero netto di legami che si ottiene
dopo aver annullato legami con antilegami.
La formula che descrive l’ordine di legama (bond order) è:
1
BO  (eLEG  eANTILEG )
2
b. Teoria dell’orbitale molecolare
Un orbitale molecolare è un orbitale esteso a due o più atomi uniti da
legami covalenti:
- è possibile visualizzarlo come la fusione degli orbitali atomici
Per approssimazione, si possono calcolare i moti di un elettrone intorno
ad un nucleo attraverso la combinazione lineare degli orbitali atomici
(metodo LCAO).
Con il metodo LCAO si possono individuare:
- orbitali di legame: se occupati da elettroni diminuiscono il
contenuto energetico della molecola e la stabilizzano
- orbitali di antilegame: se occupati da elettroni aumentano il
contenuto energetico di una molecola e la destabilizzano
Un orbitale di legame risulta la somma delle funzioni d’onda dei due
elettroni di legame:
ant  A  B
Un orbitale di antilegame risulta essere definito dalla sottrazione dele
funzioni d’onda dei due elettroni

ant  A  B
Negli elementi più piccoli Del blocco p nel secondo periodo è possibile
che si verifichi l’interazione tra orbitali s e p, con conseguente
ibridazione:

- vengono modificati i livelli energetici degli orbitali molecolari, con
l’inversione dell’ordine degli OM tra  e .
Chiaramente se il bond order è nullo, la molecola (o il legame descritto)
non esiste.

12. legami deboli
Le varie molecole sono attratte da forze intermolecolari che determinano
l’aggregazione in liquidi e solidi.
Questi legami attrattivi tra molecole hanno un’energia molto minore a
quelle dei legami covalenti (< 50 kJ/mol).
a. ione-ione
E’ il vero e proprio legame ionico, molto forte e di natura elettrostatica:
- agisce a lunga distanza
- è il responsabile dell’alta temperatura di ebollizione nei sali o in
altri composti ionici
L’energia di un legame ionico è data dalla relazione: E 
z1z2
.
d
b. ione dipolo
E’ l’interazione che si viene a formare quando
 sono disciolti in acqua gli
ioni:
- per sciogliere un sale, l’acqua si avvale dei propri dipoli ed
esercita forti attrazioni sulle estremità ioniche del composto
ionico
- gli ioni si dissociano e l’acqua li circonda con il dipolo del segno
opposto alla carica dello ione.
È responsabile dell’idratazione dei cationi in soluzione, ovvero del
legame di una molecola d’acqua ad un catione centrale
L’induzione di dipoli istantanei e delle conseguenti interazione è molto
più frequente nelle molecole cilindriche piuttosto che in quelle sferiche.
L’energia di questa interazione è maggiore con cationi molto piccoli,
L’energia delle forze di dispersione dipende dalla
poiché diminuisce con la distanza, secondo la legge: E 
polarizzabilità(): E 
z 
d
2
c. dipolo-dipolo
 tra molecole polari, in
Interazione di natura elettrostatica che si forma
cui vi è l’attrazione dei vari dipoli elettrici:
- l’attrazione è tra cariche parziali, quindi è minore del legame
ionico
- la rotazione delle molecole diminuisce l’interazione (quindi anche
l’aumento di temperatura)
Infatti, l’interazione diminuisce secondo le leggi:
-
nei solidi: E 
-
nei gas: E 
12
d3
12
d6
In una
miscela di liquidi, uno polare e uno non polare si può assistere
all’induzione di un dipolo:
- il composto polare induce un dipolo in quello apolare
- la forza di questa induzione dipende dalla polarizzabilità della
molecola (generalmente quelle più grandi sono più polari)
d. forze di London – Van der Walls
Sono dovute alla formazione di dipoli istantanei durante il moto degli
elettroni:
- sono maggiori quando è più alto il numero di elettroni in una
molecola
- sono forze parecchio deboli
- sono le responsabili della condensazione dei gas nobili
 A B
d6
e. legami H
Il legae idrogeno
è un legame di natura fortemente polare che avviene

quando l’idrogeno si pone a ponte tra atomi fortemente elettronegativi.
È il responsabile delle alte temperature d’ebollizione dei composti
dell’idrogeno con atomi fortemente elettronegativi (ad esempio l’acqua).
Il legame H è molto piccolo e presenta particolari caratteristiche, rispetto
a tutti gli altri legami dipolo-dipolo:
- se AH è molto polare, l’idrogeno ha praticamente una carica
positiva, poiché il suo nucleo è esposto
- attrae atomi molto elettronegativi
- i tre atomi in gioco devono essere allineati e posti ad una
distanza stabilita
- ha caratteristiche parziali di legame covalente
- ha energia bassa ma è estremamente diffuso
- è la forza intermolecolare più considerevole
f.
interazioni idrofobiche
Allo stato solido la molecola d’acqua è coinvolta in 4 legami H (2 H si
legano a 2 O di altre molecole, 2 O accettano 2 legami H).
Allo stato liquido questi legami sono circa tre.
Le forti attrazioni che avvengono a livello dell’H2O sono la causa della
repulsione e dell’espulsione di una molecola idrofoba:
- questa viene agglomerata e tendenzialmente portata fuori dal
liquido
m
Il legame ad idrogeno è il legame più forte, seguono le interazoni tra le
altre molecole polari, poi tra quelle apolari.
I punti di ebollizione e fusione dipendono in larghissima misura dalle
interazioni intermolecolari:
- sono tanto più elevati quanto più sono forti le interazioni
la frazione molare esprime il numero delle moli di una sostanza
rapportato alle moli dell’intera soluzione:

xa 
13. soluzioni
Sono definite soluzioni delle miscele omogenee in cui una sostanza
(soluto) è sciolta in un’altra (solvente).
nsoluto
Psolv
na
na  nb  n...
Molto utilizzata è anche la percentuale in massa, che è data dal
rapporto della massa di una certa sostanza sulla massa totale della
soluzione moltiplicata
 per 100:
In chimica conviene fare avvenire reazioni in soluzioni poiché gli atomi,
muovendosi, possono reagire con maggior facilità.
%A 
a. misure della concentrazione
PA
Ptot
Per poter attuare una misurazione in una reazione o fare vari calcoli
stechiometrici sono molto importanti i vari rapporti della concentrazione:
- le moli di soluto in un dato volume
- la percentuale della massa di un soluto nella massa totale
- numero relativo delle molecole del soluto e del solvente
- numero delle molecole di soluto per litro (meno importante)
Altre unità di misura sono:
Per esprimere i vari rapporti è necessario utilizzare delle varie unità di
concentrazione.
Tra i vari soluti ve ne possono essere alcuni che si dissociano in ioni
quando vengono posti in soluzione, conducendo elettricità: sono dette
sostanze elettrolite.
-
la concentrazione
 di massa c x 
-
le parti per milione (ppm).
PX (g)
Vsoluz
b. Elettroliti e non elettroliti

La più nota ed utilizzata è la molarità (M) che è data dal rapporto tra le
moli di soluto e il volume di soluzione in cui esse sono contenute:
M
n soluto
Vsoluz
Di minore importanza, ma altrettanto utilizzata è la molalità (m), che
esprime il rapporto tra le moli del soluto in una massa in kg di solvente.

Le molecole che invece non si dissociano in acqua e non conducono
elettricità sono dette non elettroliti.
c. solubilità e saturazione
Talvolta è possibile che il solvente non riesca più a disciogliere il soluto
e ne rimane una piccola quantità non disciolta:
-
è un esempio di equilibrio dinamico in cui la reazione diretta e
quella inversa avvengono con la medesima velocità
Una soluzione satura è una misura della capacità del soluto di
sciogliere il solvente
La solubilità di una sostanza in un solvente è la concentrazione
della soluzione satura.
-
un liquido polare, come l’acqua, scioglie con facilità i composti
polari
un liquido non polare (benzene, tetracloroetilene, ecc…) sono
solventi ottimi per i composti apolari.
d. temperatura e pressione
Nei gas la pressione influisce moltissimo sulla solubilità:
- maggiore è la pressione esercitata su un gas, maggiore è la sua
solubilità
La costante di equilibrio della reazione di un non elettrolita in
soluzione è kc=[NE](sol).
In una soluzione con elettroliti si ha il cosiddetto prodotto di solubilità:
- La costante di dissociazione del prodotto di solubilità è data dal
prodotto delle concentrazioni degli ioni disciolti kps=[X+][Y-]
- Quando si tratta di un sale (poiché sono elettroliti forti,
completamente dissociati) si può anche calcolare il prodotto di
solubilità (kps) elevando al quadrato la solubilità S=[X]=[Y],
quindi kps=S2.
In generale, per i sali il prodotto di solubilità è il prodotto delle
concentrazioni degli ioni, ciascuna elevata al proprio coefficiente
stechiometrico.
-

La solubilità dipende da:
- temperatura
- natura di soluto e solvente
- pressione (per i gas)
La notevole solubilità dei nitrati spiega il motivo della loro assenza nei
minerali.
La scarsa solubilità dei fosfato fornisce un vantaggio allo scheletro del
corpo umano, formato principalmente da fosfato di calcio, poiché gli
conferisce la rigidità.
La dipendenza della solubilità dalla natura del solvente è riassunta con
una regola che “il simile scioglie il simile”:
La legge di Henry stabilisce che la solubilità di un gas in un liquido è
proporzionale alla pressione parziale del liquido stesso.
S  kH  P ,
Dove S è la concentrazione molare del gas disciolto e kH è la costante di
Henry, che dipende da:
- temperatura
- natura del solvente
- natura del gas
Questo aumento della solubilità dovuto ala pressione si può spiegare in
termini di equilibrio dinamico tra le molecole del gas e quelle della
soluzione:
- all’aumento della pressione, l’equilibrio varia, poiché vi sono
molecole che entrano con maggiore velocità
- per il principio di Le Chapelier, che afferma che un equilibrio
dinamico si oppone a qualsiasi cambiamento dell’equilibrio
stesso, le molecole tenderanno ad uscire anche più velocemente
- si stabilisce un nuovo equilibrio dinamico, in cui è maggiore il
numero di molecole coinvolte
Per quanto riguarda l’effetto della temperatura:
- i gas si sciolgono più facilmente a temperature più basse
- i solidi invece aumentano la propria solubilità con l’aumentare
della temperatura
-
il comportamento dei solidi non è tuttavia sempre regolare
e. entalpia della soluzione
un comportamento di un solido può essere definito endotermico
quando ha bisogno di energia per potersi sciogliere.
Quando invece nello scioglimento viene ceduta energia, allora la
reazione è esotermica.
Alcuni solidi si sciolgono endotermicamente, altri esotermicamente.
Il processo di dissoluzione in un soluto avviene in due stadi:
1) entalpia reticolare: rottura dell’energia reticolare (endotermico)
2) entalpia di idratazione: idratazione del solido disciolto
(esotermico)
Una sostanza che si scioglie endotermicamente è più solubile
all’aumentare della temperatura, una sostanza che si scioglie
esotermicamente è meno solubile all’aumentare della temperatura.
Normalmente una dissoluzione avviene a temperatura costante:
- l’energia prodotta o assorbita dalla soluzione è equivalente ad
una variazione di entalpia detta entalpia di soluzione (H).
L’entalpia di idratazione è maggiormente esotermica con:
- ioni di raggio minore
- ioni di carica maggiore
-
pressione osmotica
una proprietà colligativa è una proprietà che:
- non dipende dalla natura del soluto e del solvente
- dipende solamente dal numero di particelle
Per quanto riguarda il numero delle particelle:
- cationi e anioni (gli ioni dissociati) agiscono separatamente,
ovvero devono essere contati effettivamente, non come un
composto molecolare
- le molecole non dissociate sono invece contate unitariamente.
i. abbassamento della tensione di vapore
per la legge di Raoult:
- la tensione di vapore è proporzionale alla frazione molare del
solvente nella soluzione
P  xsolvente  P
La causa di questo fenomeno è data dalla quantità di molecole di soluto
in superficie, che diminuiscono la velocità del distacco.
ii. abbassamento del punto d’ebollizione
L’innalzamento del punto d’ebollizione è proporzionale alla molalità (m)
della soluzione
Inn.Ebulloscopico  kb m
kb è la costante ebulloscopica del solvente.
Questa è regolata dalla legge di Born.
f.
proprietà colligative
L’effetto di un soluto disciolto in una soluzione produce quattro
cambiamenti tra loro correlati:
- abbassamento della tensione di vapore
- abbassamento del punto di ebollizione
- abbassamento del punto di congelamento (punto crioscopico)
Considerare lamolalità in termini di ioni nei composti disciolti!!
iii. abbassamento del punto crioscopico
Un soluto diminuisce il punto di congelamento del solvente,
determinando il cosiddetto abbassamento crioscopico.
Questo fenomeno è causato da:
- numero minore di pariticelle in contatto con la superficie del
solido,
- vi è la presenza di altre particelle nel solido
Lo studio dei meccanismi di reazione prevede la caratterizzazione dei
possibili intermedi, che comportano la formazione di prodotti intermedi.
Anche la temperatura di solidificazione è proporzionale alla molalità:
La velocità è definita come la variazione della concentrazione dei
prodotti e dei reagenti nell’unità di tempo.
abb.crioscopico  k f m
iv. osmosi e pressione osmotica

Il fenomeno dell’osmosi
è il passaggio di solvente attraverso una
membrana semipermeabile in una soluzione più concentrata.
La pressione necessaria per arrestare il flusso di solvente è detta
pressione osmotica.
La causapuò essere spiegata in questi termini:
- la velocità del passaggio attraverso una membrana è influenzata
dal soluto
- la velocità è minore dal lato della soluzione, poiché solamente le
molecole del solvente possono attraversare la membrana,
nonostante quelle del soluto premano su essa.
Il calcolo della pressione osmotica è dato dalla legge:
 V=nRT
in cui il numero di moli degli elettroliti deve essere duplicato in vista della
dissociazione.
14. cinetica chimica
a. velocità di reazione
La cinetica chimica si occupa di studiare la velocità con cui avviene una
reazione e i fattori che la influenzano:
- sono determinanti nella conoscenza di prodotti intermedi
Le velocità di reazioni non possono essere determinate a priori, ma
solamente in via sperimentale.
La velocità è quindi data dalla legge v  
-
d[A]
:
dt
il segno + è se il prodotto aumenta (sarà meno per il reagente in
questione)
il segno – se il prodotto diminuisce nel tempo

La velocità di reazione dipende dai seguenti fattori:
1) natura chimica dei reagenti
2) concentrazioni delle specie chimiche coinvolte
3) temperatura
4) presenza di catalizzatori
La stessa velocità cambia con il tempo:
- si possono tracciare i grafici che esprimono l variazione della
velocità
La velocità di reazione in cinetica chimica si può anche esprimere con la
formula:
v  k [A] [B]
La cinetica chimica è lo studio delle velocità delle reazioni chimiche e dei
meccanismi di reazione con cui queste avvengono.
In cui k rappresenta la costante di velocità specifica per quella reazione.

La ordine di reazione è dato dalla somma degli esponenti a cui si
elevano le concentrazioni.
b. reazioni di primo ordine
Si dimostra sperimentalmente che le reazioni del primo ordine hanno
velocità pari a v  k [A] .
Sono di primo ordine tutte le velocità che hanno un solo reagente, così

come i decadimenti radioattivi.

d[A]
 k [A]
dt
c. reazioni di secondo ordine
d[A]
 k dt ed integrando si ottiene:
[A]
ln[ A]  kt  cos t .
Si ha una reazione del secondo ordine se le equazioni derivate
assumono la forma:
1) derivata sperimentalmente v  k[A]2
2) oppure v  k[A][B] , in cui la somma degli esponenti è 2
Poiché al tempo t=0 
la concentrazione sarà quella iniziale [A]0, quindi
Nel tempo, una reazione come la (1) varia secondo una legge
che separando termini da che


1
1

 kt
[A] [A]0
1 1
1
t (

)
k [A] [A]0
ln[ A]  kt  ln[ A]0
che trasformata debitamente darà la formula finale, ovvero che

1 [A]0
t  ln
, che può anche essere espressa con [A]  [A]0 ekt
k [A]

1/[A] in funzione del tempo da una linea retta.


Si utilizza spesso l’emivita, poiché è un modo semplice e pratico per
esprimere le velocità.
La concentrazione del reagente diminuisce quindi in maniera
esponenziale. Per rettificare il grafico con pendenza -k, occorrerà
esprimere in funzione del logaritmo del rapporto tra la concentrazione
iniziale ed una data concentrazione, che varia nel tempo costantemente.
SI ha quindi una espressione cinetica del tipo
v
1 [A]0
1
t 1  ln
 ln 2
k 1 [A]
k
2
0
2
0,69
t1 
k
2
Ha senso quindi parlare di tempo di dimezzamento, ovvero il tempo
necessario affinché la concentrazione siala metà di quella iniziale,
seguendo la formula:
d. reazioni di ordine zero
Le reazioni di ordine zero sono reazioni in cui la velocità non varia con il
variare della concentrazione.
La concentrazione varia in funzione del tempo con un andamento
rettilineo.
Questa legge mette parecchio in risalto il fatto che la velocità di una
reazione dipenda dalla temperatura.
Per queste reazioni la velocità è espressa come v = k.
La velocità di una reazione chimica aumenta sempre con la
temperatura, quindi, perché aumenta il numero di molecole con Ek > Ea.
e. Teoria delle collisioni o degli urti efficaci
Affinchè delle molecole reagiscono sono necessari due procedimenti:
- queste debbono incontrarsi
- l’urto deve essere tale che l’energia cinetica liberatasi sia
sufficiente a rompere i legami tra orbitali e formarne di nuovi
Siccome il numero degli urti è proporzionale alla loro concentrazione si
può scrivere freq.collisioni = K[A][B],
Se tutti gli urti avessero delle collisioni efficaci la K sarebbe identica
alla
k della velocità di reazione, quindi la frequenza delle collisioni sarebbe
identica alla velocità.
Tuttavia non sempre gli urti tra molecole risultano efficaci. Gli urti efficaci
avvengono solamente se le molecole possiedono una energia superiore
all’energia minima che li rende efficaci, l’energia di attivazione.
Con una distribuzione di Maxwell è possibile intuire come si trovino le
molecole:
E a
f  e RT
Considerando due fattori si giunge alla nota equazione di Arrhenius:
- non tutte le molecole possiedono energia cinetica superiore

all’energia di attivazione
- le molecole devono essere orientate stericamente in maniera
adeguata per fare avvenire la reazione
 Ea
k  A  e RT

Il grafico di questa equazione nella forma logaritmica ci da la possibilità
di osservare la velocità di una reazione chimica in funzione della
temperatura, con l’andamento di una retta:
ln k  ln A 
Ea
RT
Riportando nel grafico i valori di lnk in funzione di 1/T, si ottiene una
retta che ha pendenza –Ea/R, che intercetta l’asse delle ordinate nel
punto lnA.
Con un alta energia di attivazione, la pendenza aumenta, quindi la
velocità aumenta velocemente all’aumentare della temperatura.
f.
Teoria del complesso attivato
Secondo la teoria del complesso attivato, quando le molecole iniziano
ad interagire, le lunghezze di legame e la disposizione geometrica
cambiano e si giunge ad una configurazione della complesso attivato
(o stato di transizione).
In quell’istante, si forma un complesso estremamente instabile, con un
picco di energia potenziale molto più alta di quella di reagenti e prodotti.
Proprio per l’estrema instabilità, il complesso attivato tende a cambiare
configurazione, assumendo quella iniziale o quella di prodotto:
- non si trova mai isolato
- l’energia di attivazione è quella che determina il complesso
attivato
Ovviamente, quindi, con una bassa energia di attivazione, si potrà
formare un maggior numero di complessi attivati e la reazione procederà
con una maggiore velocità.
Un catalizzatore modifica il processo di reazione, determinando un
abbassamento dell’energia di attivazione, non il punto di inizio o il punto
di fine.
La variazione di energia tra reagenti e prodotti non comprende l’Ea, e
può essere:
- maggiore nei prodotti (reazione endoenergetica)
- minore nei prodotti (esoenergetica)
Al termine di una reazione, il catalizzatore si trova sostanzialmente
inalterato:
- solitamente velocizza sia la reazione diretta che quella inversa.
g. meccanismi di reazione
Per parlare di meccanismo di reazione occorre introdurre il concetto di
molecolarità:
- numero delle specie chimiche che intervengono nella formazione
del complesso attivato
Occorre distinguere due tipi di catalisi:
- catalisi omogenea: il catalizzatore ed i reagenti sono in una fase
unica
- catalisi eterogenea: il catalizzatore è in una fase distinta dai
reagenti (sistema polifasico: reagenti in soluzione e catalizzatore
in stadio solido)
15. equilibrio chimico
Se la molecolarità coincide con l’ordine di reazione allora si tratta di una
reazione elementare.
Talvolta si formano più stadi nel meccanismo di reazione, con la
formazione di più complessi attivati:
- si forma un intermedio di reazione tra un complesso attivato e
l’altro, che può esistere anche come molecola indipendente
- in una reazione a più stadi la velocità del processo è determinata
dallo stadio più lento.
h. Catalisi
La velocità di molte reazioni e di quasi tutte le reazioni biochimiche è
aumentata dall’azione di catalizzatori, molecole proteiche ad attività
catalitica.
Un catalizzatore, può accelerare solamente reazioni
termodinamicamente possibili, non reazioni endoenergetiche.
Non ha alcun effetto sull’equilibrio, non ne modifica la costante, ma
aumenta solamente la velocità delle reazioni.
a. equilibri dinamici
Solamente in alcune reazioni i reagenti si trasformano completamente in
prodotti:
- capita molto spesso che una volta innescata la reazione, i
prodotti siano in grado di trasformarsi a loro volta in reagenti
- si innesca una reazione inversa
- la reazione, se reversibile, tende ad uno stato di equilibrio
dinamico, in cui la velocità di reazione di quella diretta è identica
a quella della inversa
La miscela, una volta raggiunta la condizione di equilibrio, tende a
rimanere invariata nel tempo:
- solamente la temperatura può far variare le velocità di reazione
- quindi cambiare le concentrazioni.
b. Legge di azione di massa e costanti di equilibrio
Data una reazione del tipo
aA + bB  cC +dD
si chiama costante di equilibrio kc una costante specifica di una
reazione, dipendente solamente dalla temperatura, data dalla legge
kc 
c
d
[C] [D]
[A]a [B]b

Data la natura matematica di questa legge, si deduce che:
- se k > 1 sarà maggiore la concentrazione dei prodotti, quindi

favorita la reazione
diretta
- se k < 1 sarà maggiore la concentrazione dei reagenti, quindi è
favorita la reazione inversa
Solitamente si dice che per 0,1< k <10 nessuna specie è nettamente
favorita.
Per esprimere la concentrazione si possono utilizzare diverse unità di
misura con differenti risultati numerici. È opportuno distinguere tra:
- equilibri omogenei: le specie chimiche coinvolte sono tutte nella
medesima fase
- equilibri eterogenei: le specie chimiche coinvolte sono in fase
differente
c. Equilibri omogenei
Se le specie chimiche coinvolte si presentano tutte in fase gassosa,
talvolta può essere opportuno esprimere la costante di equilibrio in
funzione delle pressioni parziali, poiché sono dipendenti solamente dalla
molarità a pressione costante:
pV=nRT  p = n/V RT  p = [X] RT
Si ha quindi una variazione dell’equazione precedente ed una nuova
costante kp.
kp 

[ pC ]c [ pD ]d
[ p a ]a [ p b ]b
Le due costanti stanno tra loro in rapporto a RT, secondo la legge
k p  kc (RT)(a b )(c d )
d. Equilibri eterogenei
Se almeno una delle specie chimiche si trova in una fase differente dalle
altre interne alla reazione, si parla di specie chimica.
Sono esempi:
- pressione di vapore tra il gas e un liquido
- la decomposizione del carbonato di calcio
La costante di equilibrio di queste reazioni è espressa in funzione della
kp o della kc del gas, ma esprime anche le specie più condensate.
e. Principio di Le Chatelier
Con le variazioni delle condizioni di temperatura, pressione e
concentrazione di una delle specie presenti nella reazione, gli equilibri si
spostano secondo il principio di Le Chatelier:
- un equilibrio dinamico tende ad opporsi ad ogni cambiamento
minimizzando l’effetto della perturbazione
Con una variazione di concentrazione di una delle specie:
- all’aggiunta dei prodotti la reazione si sposta verso sinistra
(oppure con la sottrazione di una quantità di reagente)
- all’aggiunta di reagente o sottrazione di prodotto, la reazione si
sposta verso destra.
Se in una situazione di equilibrio uno dei prodotti viene allontanato,
l’equilibrio non viene più raggiunto e la reazione procede in una sola
direzione, fino alla trasformazione totale di tutti i reagenti.
Per quanto riguarda le variazioni di pressione e volume:
-
-
per le reazioni che hanno un medesimo numero di molecole tra
prodotti e reagenti, le variazioni di pressione e volume sono
ininfluenti
in una reazione in cui è diverso il numero di molecole da
entrambi i lati, un aumento di pressione sposta la reazione verso
sinistra, mentre una diminuzione la sposta a destra.
Se invece la concentrazione degli ossidrili è superiore a quella degli ioni
idronio la soluzione è detta basica.
La neutralità si ha quando le due concentrazioni sono identiche.
b. secondo Arrehnius
Un aumento di temperatura ad un equilibrio chimico comporta
assorbimento di calore:
- aumenta sia la velocità della reazione diretta che quella della
inversa.
Secondo Arrhenius un acido è una sostanza che in soluzione acquosa
rilascia ioni H+.
Una base di Arrhenius è una sostanza che in soluzione acquosa è in
grado di liberare ioni OH-.
16. acidi e basi
L’ammoniaca si comporta da base perché nella reazione con acqua
acquista un protone e rilascia ioni OH-:
a. Auto-ionizzazione dell’acqua
NH3 +H2O  NH4+ + OHL’acqua in minima parte si trova dissociata in H+ e OH-. Siccome gli ioni
H+ non possono esistere da soli questi si trovano sotto forma di ioni
idronio H3O+.
La costante di equilibrio è data da
[H 3O  ][OH  ]
kc 
[H 2O]2

Poiché a 25° C la concentrazione di acqua ionizzata è molto bassa, si
può considerare l’acqua non dissociata come costante, con una
concentrazione di 55,5 M (1000g/l / 18,011 g/mol = 55,5 mol/l ).
kw  kc [H 2O]2  [H 3O ][OH  ]  1,0 1014
Questa nuova costante è definita prodotto ionico dell’acqua.

In acqua, se è maggiore la concentrazione di ioni idronio rispetto a
quella degli ossidrile la soluzione è detta acido.
Ma la definizione di Arrhenius non spiega il perché, poiché non è
l’ammoniaca a rilasciare lo ione OH-.
Si deve giungere ai concetti di acido e base coniugata, secondo la
definizione di Brownsted e Lowry.
c. Secondo Bronsted e Lowry
La definizione di Brownsted e Lowry amplia di parecchio il campo di
applicazione della teoria di Arrehnius.
Definiscono:
- acido: una sostanza che posta in soluzione libera ioni H+
- base: una sostanza che in soluzione è in grado di accettare ioni
H+
Quando un acido ha perso un suo protone può però a sua volta
diventare accettare, quindi base: si chiama base coniugata di un acido,
quell’acido che ha perso uno o più protoni.
Si dice altresì acido coniugato una base che ha già accettato uno o
più protoni ed è in grado di donarli.
d. Secondo Lewis
Lewis definisce:

- acido: una sostanza in grado di accettare un doppietto
elettronico (elettrofilo)
- base: una sostanza in grado di cedere un doppietto elettronico
(nucleofilo)
In base a questa teoria, tra un acido ed una base può formarsi un
legame covalente.
e. Costanti di ionizzazione acida e basica
Siccome la concentrazione dell’acqua rimane sostanzialmente costante
si definisce una costante di dissociazione acida ed una costante di
dissociazione basica:

K b K a  K w  1,0 1014
f.
Strutture e forza di acidi e basi
Un acido è tanto più forte quanto si dissocia maggiormente. Anche una
base, è più forte se si dissocia di più.
Quando è posto in soluzione acquosa, un acido:
- se è donatore più forte dello ione idronio è un acido forte
- se è un donatore meno forte dello ione idronio è detto acido
debole
- se è un donatore meno forte dell’acqua non è un acido
Quando è posto in soluzione, una base:
- è detta base forte se è più accettare di protoni di OH- è detta base debole se è meno accettare di protoni dell’ossidrile
- non è una base se è meno accettrice di protoni dell’acqua.
ka  kc [H 2O] 
[H 3O ][A ]
[AH]
Un acido è molto forte se la molecola presenta legami dell’idrogeno con
un altro atomo con alta differenza di elettronegatività.
kb  kc [H 2O] 
[BH  ][OH  ]
[B]
Un altro fattore determinante è l’energia del legame con l’idrogeno:
- scende lungo i gruppi in relazione alle dimensioni dell’atomo
ligante l’idrogeno
- più si formano anioni voluminosi, più questi sono stabili (sono
tendenzialmente più acidi poiché molto poco accettori.)
Queste due costanti possono anche essere linearizzate con i logaritmi
negativi in base 10:
pK a  log ka
pK b  log kb

pK a  pK b  pK w  14
Queste sono in relazione con il prodotto ionico dell’acqua secondo le
leggi:
Per gli acidi ossigenati si individuano due categorie:
- atomo centrale Y e numero variabile di ossigeni: quanto
maggiore è il numero di atomi di ossigeno legati ad Y, maggiore
è la forza dell’acido
- acidi con numero di ossigeni costante: la forza dell’acido
aumenta con l’elettronegatività dell’atomo centrale.
17. modifiche del pH
a. definizione di pH
La concentrazione degli ioni H+ in soluzioni acquose assume
caratteristiche molto importanti riguardo all’acidità o alla basicità della
soluzione.
Piuttosto che esprimere la [H+] con numeri molto piccoli, si preferisce
esprimere le potenze di 10 con logaritmi negativi in base 10, secondo la
definizione
b. Calcoli di pH con acidi e basi deboli e forti
Se si aggiunge in acqua un acido forte (con concentrazione maggiore
di 5 10-7 M), poiché questo si dissocia completamente, si può utilizzare
la formula:
pH = pCacido
La stessa cosa si fa se si aggiunge una base forte:
pH = 14 –pCbase
pH  log[ H  ]
[H  ]  10 pH
Da cui si può dedurre, secondo la legge di azione delle masse, che

pH  pOH  pKw 14
Se invece si è in presenza di acidi o basi deboli si deve considerare
anche la costante di dissociazione, poiché non li si troverà tutti
dissociati.
In presenza di una soluzione acquosa con un acido debole:
Un pH può essere misurato con opportuni apparecchi detti pHmetro, che
indicano la concentrazione di ioni idronio.

A livello numerico, la neutralità si ha quando la concentrazione di H+ è
uguale alla concentrazione di OH-:

pH = (pCacido+ pKa)/2
la medesima cosa si ha in presenza di una soluzione acquosa con una
base debole:
pH = 14 - (pCbase+ pKb)/2
pH  pOH  14
pH  pOH
2 pH  2 pOH  14
14
pH 
7
2
Le concentrazioni di ioni idronio o ossidrili, come formule inverse per gli
acidi e le basi deboli, saranno date da:
- per gli acidi deboli [H3O ]  K a  Ca
Se la concentrazione degli ioni H+ è alta, si ha una soluzione acida,
quindi pH<7. Se la concentrazione di ioni H+ è bassa (minore di quella
di OH-) si ha una soluzione basica, con pH > 7.
Se si è nel caso di acidi poliprotici, ovvero quegli acidi che possono
dissociare più di
uno ione H+, la ka sarà data dal prodotto delle k di
prima, seconda,terza…n-esima dissociazione, ed in base a quella si
potranno fare i debiti calcoli.
-
per le basi deboli [HO ]  K b  Cb
c. aggiunta all’acqua di sali
un sale è un composto ionico che si viene a formare per reazione di un
acido e una base.
Si può dimostrare che vi è un’equazione che mette in relazione la
costante dell’acido debole con quella della sua base coniugata:
ki  k b 
I sali, poiché sono composti ionici, in acqua si dissociano
completamente:
- talvolta tendono a reagire con l’acqua e ne alterano il pH
- possono avere sia comportamento acido che basico
il termine idrolisi salina indica la dissociazione di molecole d’acqua
indotta dagli ioni liberati da un sale.
d. soluzioni saline
kw
ka
tramite una costante Ki detta “costante di idrolisi” che altro non è se non
la costante di dissociazione basica dello ione coniugato all’acido debole.
Poiché lo ione acetato, in questo esempio, è pari agli ossidrili che si
vengono a formare (trascurando quelli dell’autoprolisi dell’acqua) e un
sale si dissocia completamente si può affermare che:
[CH3OO-]=Csale
i. sali neutri
in cui Csale è la concentrazione del sale disciolto.
Alcuni sali, si dissociano in ioni che non possono in alcun modo
accettare o donare protoni.
Si avrà dunque che per la base coniugata all’acido debole:
Ad esempio, NaCl deriva dalla reazione di un acido e una base molto
forti:
- Na+ in soluzione non può ne accettare né donare protoni, quindi
non reagisce con l’acqua
- Cl- è la base coniugata di un acido forte, e la sua reazione con i
protoni è pressoché nulla
Il risultato è che il pH dell’acqua resta inalterato.

ii. sali basici
[OH  ]  k b Cs
[H  ]  ka Ca
iii. sali acidi
Per i sali acidi, ovvero quelli derivanti da un acido forte e da una base
debole, si assisterà invece ad una diminuzione del pH, poiché la base
debole tenderà a cedere gli ioni H+.
Le equazioni rimangono
Altri sali, come ad esempio l’acetato di sodio, derivano da un acido
debole e da una base forte:
- lo ione acetato (CH3OO-) è la base coniugata di un acido
debole come l’acido acetico ed ha affinità per gli H+;
- lega un protone dall’acqua e forma ioni OH-
[OH  ]  k b Cs
[H  ]  ka Ca
iv. sali con cationi acidi e anioni basici
In caso di sali basici si ha un aumento del pH.

Se il sale deriva da un acido debole e da una base debole, il pH della
soluzione dipende dalle costanti di dissociazione degli ioni che si
liberano:
- prevale la reazione in cui la cosante di dissociazione è maggiore
18. titolazioni
a. effetto della specie comune ed equazione di
Henderson- Hasselbach
Quando sono presenti in soluzione differenti ioni appartenenti ad una
specie comune, ad esempio un sale basico ed un acido debole da cui il
sale basico è derivato, si utilizza la equazione di HendersonHasselbach, che prevede:
[acido]
[H 3O ]  ka
[base /salebasico]
[acido]
pH  log k a log
[base]


è importante notare che:
- la concentrazione della base (quella derivata dalla dissociazione
del sale che acquista protoni dall’acqua) è identica a quella del
sale
- la concentrazione dell’acido all’equilibrio è uguale a quella
iniziale (lo si suppone indissociato)
Se sono presenti un acido, ed il suo sale coniugato con una base forte,
le variazioni di pH sono molto piccole quando si aggiungono piccole
quantità di una delle due specie:
- si definiscono tamponi quelle soluzioni che reagiscono con
piccole variazioni (rispetto all’acqua pura) all’aggiunta di quantità
discrete di acido o base
Il sangue ed altri liquidi biologici devono essere mantenuti il più possibile
a pH vicino a 7,4:
- sono presenti vari sistemi tampone a livello biologico che
assolvono questo compito
Anche per calcolare l’efficacia dei tamponi si utilizza l’equazione di
Hendersson-Hasselbach.
La capacità tampone è la quantità di un acido o una base che può
essere aggiunta a una soluzione tampone senza fare cambiare il valore
del pH oltre un valore predefinito.
Il sistema acido/base coniugata ha capacità tampone quando il rapporto
delle concentrazioni (Ca/Cb) è compreso tra 0,1 e 10.
Quindi il campo di pH in cui un determinato tampone è operativo è di
pK=  1.
Le capacità tampone sono legate alle concentrazioni assolute
dell’acido e della base coniugata:
- maggiori sono le concentrazioni, maggiore è la quantità di acido
che si può aggiungere per produrre una variazione di pH di una
data entità
b. tamponi
Si nota che in una soluzione quando sono presenti un acido e il suo sale
(base coniugata) le cui concentrazioni differiscono per meno di un ordine
di grandezza, il pH della soluzione varia molto poco variando le
concentrazioni relative delle due componenti disciolte.
c. importanza biologica del tampone bicarbonato e del
tampone fosfato
d. titolazioni acido-base
i. base forte con un acido forte
ii. acido debole con una base forte
iii. acido debole con una base debole
19. termodinamica chimica
a. introduzione
La termodinamica studia gli scambi di energia che avvengono durante
una reazione chimica.
Tutte le reazioni chimiche rispettano due principi fondamentali sulla
conservazione:
- conservazione della massa
- conservazione dell’energia
L’energia è definita come la capacità di un sistema di compiere un
lavoro.
L’energia si trova in varie forme:
- energia cinetica: l’energia associata ad una massa in moto
- energia radiante: energia associata alle radiazioni
elettromagnetiche (es. l’energia emanata dal sole)
- energia termica: associata al moto browniano delle particelle in
una sostanza.
- Energia chimica: è l’energia determinata dalle interazioni di
legami di varia natura (covalente, ionico, polare, ecc..)
- Energia potenziale: è relata alla posizione degli atomi che vanno
a costituire una determinata sostanza.
L’energia interna di un sistema è data dalla somma di tutti questi tipi di
energia che questo possiede.
L’energia si misura in Joule [kg m2/s2], ma può anche essere espressa in
calorie:
- la caloria esprime la quantità di energia necessaria per fare
aumentare la temperatura di 1 g d’acqua di 1°C.
- 1 cal = 4,184 j
b. primo principio della termodinamica
-
la quantità totale di energia dell’universo è costante
Per definire meglio gli oggetti di studio si distingue tra:
- sistema: porzione dell’universo oggetto di studio
- ambiente: tutto l’universo al di fuori del sistema
In relazione all’ambiente si distinguono tre tipi di sistemi:
- sistema aperto: può scambiare con l’ambiente sia materia che
energia
- sistema chiuso: può scambiare con l’ambiente solamente
energia
- sistema isolato: Non scambia con l’ambiente né energia né
materia (E = costante)
Per definire un sistema termodinamico si utilizzano dei parametri detti
variabili di stato: quando questi sono definiti si parla di uno stato
termodinamico:
- se i valori non variano nel tempo questo sistema è in equilibrio
termodinamico
- se il sistema ha le variabili di stato che non sono costanti,
tenderà a raggiungere la costanza, quindi anche l’equilibrio
termodinamico.
Alcune variabili di stato, per le peculiari caratteristiche sono dette
funzioni di stato:
- l’energia interna di un sistema è una funzione di stato, poiché
non è possibile determinarla, ma si possono osservare
solamente le variazioni
Quindi, la variazione di energia in un sistema interno è:
E  E finale  E iniziale
Volendo riferirsi ad un sistema chiuso come quello utilizzato nelle
reazioni chimiche, si ha:

E  Q  W
La legge della conservazione dell’energia assume che:

E  Q1  L1  Q1  0  Q1
Ovvero che la variazione di energia di un sistema chiuso è data dalla
somma del calore assorbito, e del lavoro fatto sul sistema (oppure
compiuto dal sistema, con lavoro negativo).
La convenzione sui segni prevede che, per il calore:
- positivo il calore assorbito
- negativo il calore ceduto
La convenzione sui segni prevede che, per il lavoro:
- positivo il lavoro compiuto sul sistema
- negativo il lavoro compiuto dal sistema.
Calore e lavoro ad una pressione costante
Si prenda ad esempio il lavoro meccanico fatto da un gas che si
espande muovendo un pistone che si considera privo di massa. Il suo
lavoro sarà dato da:
L = - pV
Il meno è perché è lavoro compiuto dal sistema. Si evince da questa
legge che il lavoro compiuto è attuato dal sistema.
Questa legge fornisce un lavoro espresso in [ l atm ], che per essere
convertiti in joule devono essere moltiplicati per il fattore di conversione
E  Q2  L2
Poiché la variazione di energia sarà uguale per entrambe le differenti
trasformazioni si può scrivere

Q1 = Q2 + L2
Il calore ed il lavoro sono dunque proprietà del sistema che esistono
solamente durante una trasformazione, quindi non sono funzioni di
stato.
La variazione di energia interna, data dalla somma tra calore e lavoro, è
una funzione di stato.
Entalpia e primo principio della termodinamica.
Quasi tutte le reazioni di nostro interesse avvengono a pressione
costante:
- se si ha un aumento del numero di moli di gas, il sistema compie
lavoro sull’ambiente
- se diminuiscono le moli di una sostanza allo stato gassoso, il
lavoro sarà compiuto dall’ambiente sul sistema
Se una reazione non ha né reagenti, né prodotti, la variazione di volume
può essere trascurata e considerata nulla.
1 atm = 101,3 J
Si ipotizzi di avere una reazione siffatta: reagenti  prodotti.
Ne il lavoro né il calore scambiati dal sistema sono funzioni di stato:
- si hanno due trasformazioni in cui si ha uno stato iniziale e finale
- la prima necessita di lavoro pari a zero
- la seconda necessita di lavoro diverso da zero.
La variazione dell’energia interna è descritta da E = Qp - pV
Le variazioni di energia saranno date da:
Si può scrivere, dopo opportuni calcoli che
Ef – Ei = Qp – pVf + pVi
Qp = (Ef + pVf) - (Ei + pVi)
Quindi, l’espressione E + pV è una equazione di stato (formata da tre
variabili di stato) che si definisce entalpia:
Ogni reazione chimica è quindi caratterizzata da un proprio H:
- i valori delle variazioni di entalpia standard sono indicati con H0
H = E + pV
Esprimibile anche come:
Hf – Hi =  = Qp
L’entalpia di formazione standard di un elemento è la variazione di
entalpia che si ha con la formazione del composto a partire dagli
elementi costituenti.
È quindi interessante notare che la variazione di entalpia coincide con
la quantità di calore scambiato, quando:
- pressione e temperatura sono costanti
- il lavoro è solamente di espansione
Per determinare le variazioni i entalpia standard si seguono due
convenzioni:
- L’entalpia degli elementi è considerata uguale a zero
- Il valore di entalpia di una molecola nella sua forma più stabile è
zero (ad esempio, lo O2 ha entalpia nulla in condizioni standard)
Poiché la pressione è costante, e intervengono solamente variabili di
stato (dipendono solo dallo stato iniziale o finale), si può scrivere anche:
La variazione di entalpia che si ottiene facendo reagire i due elementi è
l’entalpia di formazione standard del composto.
H = E + pV
Utile sottolineare che se nella reazione non si presenta lo stato gassoso
si può considerare nulla la variazione di volume, esprimendo la
variazione di entalpia pari alla variazione di temperatura:
Legge di Hess
La legge di Hess afferma che: “il calore messo in giuoco, a pressione
costante, in una reazione chimica con solo lavoro di espansione, è lo
stesso sia che la reazione avvenga in un solo stadio, sia che avvenga in
più stadi”.
H = E
Contano dunque solamente lo stato iniziale e lo stato finale.
Si possono quindi definire le reazioni secondo la variazione di entalpia:
- se H < 0: la reazione viene detta esotermica, poiché
diminuisce l’energia interna al sistema, che viene ceduta
all’ambiente
- se H > 0: la reazione è detta endotermica, poiché per avvenire
ha bisogno di assorbire energia dall’ambiente.
Entalpia di formazione standard
Per poter paragonare le variazioni di entalpia delle varie reazioni è
necessario riferirsi a dei parametri standard di temperatura e pressione:
1 atm e 25°C.
Energia di legame
È l’energia che si identifica con l’energia necessaria per rompere il
legame stesso:
- può essere misurata in termini di entalpia standard di legame
c. secondo principio della termodinamica ed aumento
di entropia
Alcune reazioni possono avvenire spontaneamente, altre no. Ciò non
significa che le reazioni spontanee siano per forza esotermiche, ovvero
che debbano passare ad uno stato di minore energia interna.
Per chiarire il concetto di spontaneità occorre ricorrere ad un’altra
grandezza termodinamica, l‘entropia, che stabilisce il grado di disordine
di un dato sistema:
- più un sistema è disordinato, maggiore è la sua entropia
- più un sistema più ordinato, minore è la sua entropia.
Al contrario dell’energia interna e dell’entalpia, è possibile determinare il
valore assoluto di entropia della sostanza, purché in condizioni standard.
Ovviamente, quando ci si discosta dalle condizioni standard il valore
dell’entropia cambia:
- passando da 25°C a -10°, per l’acqua, si ha un passaggio di
stato, la solidificazione, che comporta una ingente variazione di
entropia
- uno stato liquido ha le molecole disordinate, con un buon numero
di gradi di libertà
- uno stato solido, permette alle molecole un minor numero di
gradi di libertà, il che comporta una minore entropia
- un gas, avrà il massimo della entropia
Anche l’entropia è una funzione di stato, la cui variazione tra due punti è:
S=Sf-Si
L’aumento di entropia (S>0) comporta un aumento del disordine,
mentre la diminuzione (S<0) comporta il passaggio ad uno stato più
ordinato.
Legge dell’aumento di entropia
La legge dell’aumento di entropia, detta anche secondo principio della
termodinamica è espressa:
-
l’entropia dell’universo (come sistema isolato) aumenta in un
processo spontaneo e rimane invariata ad un processo
all’equilibrio
In altri termini:
- per un processo spontaneo l’entropia aumenta, viene generata
- per un processo all’equilibrio è concesso solamente il
trasferimento di entropia da una parte all’altra del sistema isolato
L’entropia dell’universo tende quindi a crescere, e può essere
matematicamente espressa dalla legge:
Suniv=Ssist+Samb
che per una reazione spontanea sarà positiva, mentre per un processo
all’equilibrio sarà nulla.
Variazione di entropia in un sistema costituito da reazioni chimiche
Si consideri una reazione che rappresenta il sistema del tipo
aA  bB
La variazione di entropia che comporta è data da
Ssist= Sreaz= bS0(B) – aS0(A)
ovvero la differenza tra le entropie standard dei prodotti e dei reagenti,
moltiplicate per il coefficiente stechiometrico.
In sunto si possono trarre le seguenti considerazioni generali:
1. se la reazione porta ad un aumento del numero totale di
molecole allo stato gassoso, la variazione di entropia del sistema
è positiva
2. se il numero totale di molecole allo stato gassoso diminuisce, la
variazione di entropia è negativa
3. non v’è variazione del numero totale di molecole, la variazione di
entropia può essere sia positiva che negativa, ma è comunque
piccola.
Variazione di entropia dell’ambiente
-
calcolo della variazione di entalpia a partire dalle entalpie
standard di formazione
calcolo della variazione di entropia del sistema mediante i valori
di entropia standard
calcolo della variazione di entropia dell’ambiente secondo la
legge Samb  Hsist
-
Si considera la relazione esistente tra entropia e entalpia.
Quando in un sistema avviene un processo esotermico:
- aumento del moto delle molecole dell’ambiente (aumento di
disordine), quindi aumento dell’entropia dell’ambiente
- diminuzione di entropia del sistema
Se in un sistema isolato avviene un processo endotermico:
- trasferimento di calore dall’ambiente al sistema
- diminuzione di entropia dell’ambiente
- aumento dell’entropia del sistema
Per i processi che avvengono a pressione costante, la variazione di
entalpia è uguale al calore scambiato, quindi, in virtù dell’aumento o
della diminuzione del disordine, l’entropia e l’entalpia sono legate dalla
legge:
Samb 
Hsist
T
Se si suppone che sia l’ambiente che il sistema siano alla medesima
temperatura T.

Con i tre metodi operativi imparati si può trovare la variazione di entropia
dell’universo secondo la legge:
Suniv=Ssist+Samb
I tre metodi sono:
T
d. terzo principio della termodinamica

Il terzo principio della termodinamica afferma che l’entropia di una
sostanza cristallina pura allo zero assoluto è nulla.
S0 K= 0
Si è visto che:
- quando in una reazione chimica aumenta il disordine, ovvero
quando aumenta il numero di molecole di gas, ‘entropia aumenta
- quando in una reazione diminuisce il numero di molecoe
disordinate (di gas), l’entropia diminuisce.
Tuttavia, si possono considerare altri movimenti delle molecole che non
sono solo presenti allo stato gassoso:
- moto traslazionale di una molecola
- moto rotazionale della molecola
- moto vibrazionale degli atomi
Questi moto sono un modo delle molecole di accumulare energia:
- quando viene fornito calore, ovvero viene aumentata la
temperatura, i moti aumentano e si accrescono
- allo zero assoluto, in una sostanza cristallina, non vi è moto,
quindi non vi è disordine e l’entropia è nulla
Ludwig Boltzman propose una formula che tiene conto di queste
considerazioni, i cui termini sono:
- K, che è espresso dal rapporto R/Na tra la costante dei gas e il
numero di Avogadro
-
W, che è il numero di modi differenti con uguale energia in cui gli
atomi si possono disporre nel cristallo.
S = K ln W
Per grado di movimento 1, ovvero per cristalli puri che non presentano
alcun movimento, l’entropia, secondo questa legge, è nulla.
Il terzo principio della termodinamica permette di calcolare l’entropia
assoluta di una sostanza, poiché:
S  S f  Si  S f  0  S f
Dove Sf è proprio l’entropia assoluta.

Funzione di Gibbs:
l’energia libera.
Per compiere un calcolo riguardo alla variazione di entropia dell’universo
non è strettamente necessario operare facendo calcoli relativi
all’ambiente e al sistema.
Poiché i termini H sist  TSsist  (H f  TS f )  (H i  TSi ) , si può definire
una nuova funzione di stato, detta energia libera di Gibbs, indicata con
G, la cui variazione, a temperatura costante, è

G  H  TS
che può anche essere espressa nella forma

H  G  TS
Come si può vedere, il calore prodotto in un processo (la variazione di
entalpia) è utilizzabile in maniera differente:
 esprime il calore che non può essere utilizzato per
- il termine TS
compiere lavoro, dissipato
- invece il termine G può essere sfruttato per compiere lavoro,
essendo energia libera.
Non tutto il calore prodotto in un sistema può essere utilizzato per
compiere lavoro.
Energia libera e spontaneità di una reazione.
È possibile riferirsi solamente al sistema, trovando determinate
equazioni. Per processi spontanei si sa che:

Suniv=Ssist+Samb > 0
e sostituendo al Samb il termine Samb 
Hsist
si ottiene
T
TSuniv  TSsist  Hsist
 con funzioni relative al sistema. Cambiando
che è espresso solamente
di segno e operando opportuni raccoglimenti si ottiene:

TSuniv  TSsist  Hsist  0
In funzione della variazione di energia libera possiamo indicare la
spontaneità di una reazione:
- G < 0: reazione spontanea
- G = 0: il sistema è in equilibrio
- G > 0: la reazione non è spontanea, ma lo è nel senso opposto.
Avendo la formula dell’energia libera, si possono esaminare in base a
questo schema quando la reazione o il processo è spontaneo. Si
facciano delle disequazioni con la legge:
G  H  TS
Energia libera e costante di equilibrio.


L’energia libera è una grandezza estensiva, dipende cioè dalla quantità
di materia presa in considerazione.
Per facilitare il confronto tra le varie sostanze ci si riferisce ad una
energia libera molare standard, ovvero a grandezze espresse con la
lettera G0, di:
- 1 mole di sostanza
- a 25°C
- alla pressione di 1 atm
In maniera analoga, per una reazione si esprime la variazione di energia
libera standard con il termine G0, definita come:
G0reazione  RT ln K eq
K eq  e

Per calcolare il G di una reazione occorre conoscere:
- valore di G dei prodotti e dei reagenti
- concentrazioni
Per una sostanza singola, G è espressa dall’equazione
Gx = G0 + RT ln[X]
Per una reazione, la variazione di energia libera, sarà quindi data dalla
legge:
G
reazione
 G
reazione
0
[C]c [D]d
 RT ln
[A]a [B]b
Il segno della variazione di energia libera di una reazione non dipende
solamente dalla variazione standard, ma anche dal segno del logaritmo
naturale
del rapporto tra le concentrazioni dei prodotti e dei reagenti.
Poiché all’equilibrio G=0, si ha che
G0
RT
equazione di van’t Hoff
Dall’equazione precedente,
deriva un’equazione che, noti i valori di due

costanti di equilibrio a date temperature, è possibile risalire alla
variazione di entalpia:
ln K 2  ln K1 H 0 reazione

T2  T1
RT1T2
G0reazione  G0prodotti  G0reagenti
Sempre se la reazione avvenga in condizioni standard (25°C e 1 atm per
una mole di reagente).

Energia libera: considerazioni generali e reazioni accoppiate.
 che alcune reazioni con una variazione standard di
Si può dimostrare
energia libera positiva, possono essere spontanee se inserite in un ciclo
di reazioni, dette reazioni accoppiate.
Dal punto di vista biochimico, questo tipo di reazioni è molto
interessante:
- quando un prodotto di una prima reazione serve da reagente per
la seconda, se la variazione totale di energia libera in una serie
di reazioni è negativa, allora la reazione è spontanea
- anche se le reazioni intermedie possono avere G>0, la
reazione complessiva dice che queste semireazioni sono
spontanee
e. significato fisiologico del H di reazione
20. elettrochimica
1. coppie coniugate di ossidoriduzione
In una reazione red-ox, è bene notare che:
-
ogni ossidante si trasforma in un riducente
ogni riducente si trasforma in ossidante
-
Quando un elemento si ossida, perde due elettroni. Dopo essersi
ossidato può potenzialmente ricevere nuovamente i due elettroni persi,
quindi ridursi. La medesima cosa avviene con un elemento che si riduce:
acquista elettroni ed in seguito è potenzialmente disposto a cederli.
Questo concetto permette di parlare di coppie coniugate di
ossidoriduzione:
- reazioni/semireazioni in cui un ossidante si trasforma in un
riducente e viceversa
- Per misurare quantitativamente l’attitudine di due elementi ad
ossidarsi e ridursi è utile avere un metodo numerico che descriva
il potere ossidante o riducente delle coppie coniugate
Quel metodo numerico esiste ed ha le basi nell’elettrochimica, e
permette di:
- constatare se la reazione avviene realmente (se la coppia di
ossidoriduzione esiste)
- prevedere il verso di una reazione redox.
2. principi di elettrochimica
Affinché la materia possa condurre corrente elettrica devono essere
soddisfatte due condizioni:
1- devono esistere particelle cariche libere di muoversi
2- deve esistere una differenza di potenziale che le obblighi a
muoversi
Nei metalli sono gli elettroni liberi dal reticolo cristallino che si muovono
sotto l’azione di una ddp.
gli ioni positivi vanno verso l’elettrodo negativo (anodo) e
acquistano elettroni subendo una trasformazione riduttiva
gli ioni negativi vanno verso l’elettrodo positivo (catodo)
cedendo elettroni, dunque ossidandosi.
Nell’elettrolisi del cloruro di sodio (NaCl) avvengono queste due
semireazioni:
Na+ + e  Na
2Cl-  Cl2 + 2e
è necessario aggiungere che affinché si verifichi il transito degli ioni è
necessario raggiungere una differenza di potenziale minina, detto
potenziale di scarica, che è caratteristico dello ione in determinate
condizioni sperimentali.
Se sono presenti sia ioni negativi che positivi, la scarica si dirige in
maniera preferenziale verso lo ione che richiede minor energia.
3. leggi quantitative dell’elettrolisi: l’equivalente elettrochimico
La carica di un elettrone è pari a 1,602 10-19 coulomb, e per ridurre un
grammoatomo di qualsiasi ione positivo, devono passare per l’anodo 1
mole di elettroni:
- la carica di 96494 coulomb è la carica di una mole di elettroni,
detta faraday (F)
Per il passaggio di 1 F attraverso l’anodo dovranno passare:
- 1 mole di ioni monovalenti positivi
- ½ mole di ioni bivalenti positivi
- 1/3 moli di ioni trivalenti
- ecc..
Questo vale ovviamente anche per gli anioni
Nelle soluzioni sono gli ioni disciolti che si muovono nel liquido sotto
l’azione di una differenza di potenziale.
Il processo di elettrolisi permette il trasporto di carica in soluzione e
avviene quando vi sono ioni in una soluzione:
Si definisce equivalente elettrochimico il peso in grammi di sostanza
trasformata all’elettrodo per il passaggio di un faraday.
L’equivalente elettrochimico è uguale al peso molecolare o atomico
diviso per il numero di elettroni scambiati durante la trasformazione.
Queste considerazioni portano alle due leggi di Faraday:
- la quantità in peso di una sostanza che si trasforma al catodo o
all’anodo è direttamente proporzionale alla quantità di elettricità
che passa attraverso la cella elettrolitica
- la quantità in peso di sostanze differenti trasformate alla stessa
quantità di elettricità sono direttamente proporzionali ai loro pesi
equivalenti.
Le due leggi di Faraday possono essere riunite in:
- al passaggio di una quantità di corrente pari ad 1 faraday (96494
coulomb) corrisponde un equivalente di sostanza chimica
trasformata all’elettrodo.
4. celle galvaniche: potenziale elettrochimico
La reazione tra Zn metallico e solfato di rame produce:
- ossidazione dello zinco (ZnZn2+)
- riduzione del rame (Cu2+Cu)
Affinché non si verifichi la saturazione di ioni positivi in una cella (Zn2+)
e di ioni negativi nell’altra (SO4-), si inserisce tra le due celle un tubo ad
U detto ponte salino, che contiene un sale che rilascia ioni per bilanciare
le cariche.
Avviene dunque:
- flusso di elettroni dall’anodo al catodo per mezzo del conduttore
esterno
- flusso di cationi verso il catodo di rame
- ionizzazione degli atomi di zinco
- flusso di anioni verso l’anodo di zinco
Il fatto che gli elettroni fluiscano da una cella all’altra indica la presenza
di una ddp che ne permette il flusso tra gli elettrodi:
- la ddp (E) è misurabile quando il circuito è aperto, ovvero in
assenza di passaggio i corrente tramite un voltmetro.
Il modo convenzionale per rappresentare una cella è:
Zn(s) / Zn2+(sol) // Cu2+(sol) / Cu(s)
Le due semireazioni possono essere fatte avvenire in ambienti separati:
- lo scambio di elettroni avviene per mezzo di un conduttore
esterno
- gli elettroni fluiscono provocando una circuitazione di carica,
quindi il passaggio di corrente elettrica attraverso il conduttore
esterno
In tal modo si può ottenere la trasformazione di energia chimica in
energia elettrica.
L’apparato che permette la produzione di energia per mezzo di una
redox spontanea è detto cella elettrolitica o pila.
Per convenzione gli elettrodi vengono chiamati:
- anodo dove avviene la reazione di ossidazione (uno ione si
ossida)
- catodo dove avviene la reazione di riduzione.
Le linee diagonali semplici indicano le separazioni di fase, quelle doppie
il ponte salino.
5. equazione di Nerst
L’energia elettrica che passa per una cella è data dal prodotto della ddp
per la carica che la attraversa:
energia elettrica = E q
in cui E è la differenza di potenziale, espressa in volt e q la carica in
coulomb che può anche essere data da q=nF, quindi
energia elettrica = E n F
In un processo spontaneo la variazione di energia libera è negativa, e
per la reazione precedente può essere espressa da:
Una serie elettrochimica è in ordine decrescente di potere ossidante e
crescente di potere riducente.
-G = E n F
G reazione  G0reazione  RT ln
[Zn 2 ][Cu]
[Cu2 ][Zn]
Dopo opportuni calcoli, eguagliando le due precedenti si ottiene
l’equazione di Nerst, che è espressa come:

E  E0 
in cui:
-
RT [ox]
ln
nF [red]
R è la costante dei gas

T è la temperatura
in k
N è il numero di elettroni scambiati
F è la costante di Faraday
E è il potenziale e E0 è il potenziale in condizioni standard.
[ox] è la concentrazione dell’elemento ossidato
[red] è la concentrazione dell’elemento ridotto
I potenziali di elettrodo vengono per convenzione sempre espressi come
potenziali di riduzione standard:
- OxRed
I potenziali di riduzione ordinano le sostanze in base al loro potere
riducente o ossidante:
- esprimono l’energia libera della semireazione in volt
- i valori negativi sono associati ad alti poteri riducenti della forma
ridotta (esempio Zn è ridotto, ed ha alto potere riducente poiché
si ossida facilmente)
- i valori positivi sono ad alto potere ossidante della forma ossidata
(esempio Cu2+, poiché è propenso a ridursi, può ossidare
facilmente)
6. i tipi di elettrodo
elettrodi metallici.
Gli elettrodi a rame e zinco fino a ora analizzati sono elettrodi metallici,
costituiti da metalli immersi in soluzioni con i propri ioni.
Per avere i potenziali di un elettrodo con una reazione metallica
ione/metallo, si utilizza l’equazione di Nerst.
E  E0 
RT
ln[ Me n  ]
nF
inoltre, a 25°C si po’ trasformare l’equazione precedente in

E  E0 
0,059
log[ Me n  ]
n
elettrodi a gas.
Tipici elettrodidi questo tipo sono gli elettrodi ad idrogeno, fluoro e
cloro, basati su reazioni del tipo:
2H+(sol) + 2e-  H2(g)
In questo tipo di elettrodi, la specie gassosa viene fatta gorgogliare a 1
atm intorno ad una lamina di platino immersa nella soluzione contenente
la stessa specie in forma ossidata (nel caso dell’H+) o ridotta.
La lamina di platino ha la funzione di assicurare una superficie su cui
avvenga la reazione che può consentire il contatto esterno.
L’equazione di Nerst, ad esempio per l’H è applicata così:
RT [H 2 ]2
E H2 / H   E0 
ln
nF [H]


EH
2
/H
 E0 
Se dunque si usa una semicella ad idrogeno e un’altra semicella con un
altro elemento, la fem della cella sarà data dal potenziale dell’altro
elemento.
0,059
log[ H2 ]2
n
Elettrodi di materiale inerte immersi in una soluzione con
semicoppia ossidoriduttiva
Una lamina di platino (Pt) è immersa in una soluzione contenente sia
ioni ferrosi che ioni ferrici.
La superficie di platino immersa in una soluzione che contiene i due ioni
fa da tramite tra le due specie e assume un potenziale in funzione delle
loro concentrazioni relative:
E Fe 2 / Fe 3  E 0 
RT [Fe 3 ]
ln
nF [Fe 2 ]
in cui lo ione ferroso è ‘elemento ridotto e lo ione ferrino è quello
ossidato.

7. elettrodo di riferimento a idrogeno e misura dei potenziali
standard delle semicoppie ossidoriduttive
La ddp che determina il passaggio di elettroni tra due semicelle esprime
la tendenza a ridursi/ossidarsi delle coppie ossidoriduttive.
Non essendo possibile misurare il potenziale di una singola semicella, si
misurano le ddp degli elettrodi di una pila chimica.
Come elettrodo di riferimento è stato scelto l’idrogeno, a cui è stato
posto potenziale E=0 V, in condizioni standard:
- temperatura 25°C
- pressione 1 atm
- concentrazione delle specie chimiche 1 M
Per convenzione il potenziale è:
- negativo: i semielementi che provocano la riduzione
dell’idrogeno
- positivo: i semielementi che ossidano l’idrogeno
In definitiva, si definisce come potenziale di riduzione standard di una
certa redox la fem che si stabilisce in condizioni standard tra le
semicelle dell’elemento e dell’idrogeno (campione).
Le varie coppie ossidoriduttive possono essere quindi disposte in una
serie dei potenziali standard di riduzione:
- esprimono la tendenza dell’elemento a ridursi (acquistare
elettroni).
- Rappresenta una misura del potere ossidante e riducente delle
coppie coniugate.
I potenziali che sono positivi tenderanno ad ossidarsi (alto potere
ossidante), quelli negativi a ridursi (alto potere riducente) rispetto
all’idrogeno.
Una conseguenza importante è data dalla possibilità di prevedere il
verso della reazione:
- Il potenziale maggiormente positivo tra due elementi ha
maggiore potere ossidante, quindi ossida l’altro elemento che si
trova nella forma ridotta
- Il potenziale maggiormente negativo ha maggior potere
riducente, quindi riduce l’altro elemento che si trova nella forma
ossidata
8. costante di equilibrio e f.e.m. di una pila in condizioni
standard
Per una reazione di ossidoriduzione vale la relazione
-G = E n F
in condizioni standard è anche vero che
G0reazione  RT ln K eq
Che eguagliandole permette di ottenere la relazione:

nF E0 = RT ln Keq.
Da questa equazione si deduce che:
- è possibile nota la fem determinare la costante di equilibrio di
una data reazione
- la spontaneità di una reazione è associata al valore positivo di
E
9. pile a concentrazione e misura potenziometrica del pH
E’ possibile, data la legge di Nerst, costruire una pila in cui le due
semicelle possono essere costituite dalla stessa coppia i reazione, ma
con concentrazioni differenti.
In una semicella si ha Cu / [Cu2+]= C1, nell’altra [Cu2+]=C2/Cu.
E = RT/nF ln(C2/C1)
Quando le due soluzioni saranno giunte ad equilibrio, l’energia elettrica
cessa di circuitare.
Una pila a concentrazione di ioni idrogeno, permette grazie a questo
principio, nota una concentrazione degli ioni H+ di una delle due
semicelle, di determinare l’altra concentrazione di ioni H+.
La formula per calcolarla è
E = 0,059 (pH1-pH2).
Noto uno dei due valori di pH si può giungere all’altro misurando la fem.
21. cenni di bioinorganica