4° DOMENICA DI QUARESIMA 2009: Meditare fa bene

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4^ SETTIMANA DI QUARESIMA 2009
MEDITARE FA BENE!
AMC Animazione Missionaria Cappuccini
Via Villa Clelia 16 40026 IMOLA BO
www.imolanet.com/fraticappuccini
CRISI CRISI CRISI CRISI CRISI CRISI CRISI CRISI IN TUTTE LE LINGUE DEL MONDO
QUESTI ARTICOLI SONO TRATTI DALL’INSERTO DOMENICALE AGORÀ DEL QUOTIDIANO AVVENIRE
SONO UTILI PER COMPRENDERE CHE ANCHE E SOPRATTUTTO I POVERI SARANNO VITTIME DI QUESTA
CRISI NELLA QUALE CI SIAMO IMPANTANATI, ALLA RICERCA DI GUADAGNI FACILI E BEN POCO ETICI
Africa Sviluppo o recessione?
di Chiara Zappa
La recessione globale ha anche un volto africano. A dispetto delle speranze iniziali di chi sosteneva
che la crisi avrebbe risparmiato un continente in larga parte marginale rispetto ai mercati mondiali, il
terremoto economico in corso a livello internazionale sta mietendo le sue vittime anche a Sud del
Sahara.
Nel Katanga, provincia sud-orientale della Repubblica democratica del Congo e cuore minerario del
Paese, una cinquantina di fabbriche per la prima lavorazione dei metalli hanno chiuso in pochi mesi,
mentre secondo il governatore locale sono già circa 300 mila i nuovi disoccupati nella regione. Nelle
sterminate foreste congolesi, che custodiscono circa il 34% delle riserve planetarie di cobalto e il 10%
di quelle di rame, il calo drastico delle quotazioni dei due minerali (ridotte a un terzo in cinque mesi)
non ha lasciato scampo: secondo il governo di Kinshasa, nei prossimi mesi la produzione di rame
diminuirà tra il 30 e il 40%, mentre sono state dimezzate le previsioni delle esportazioni di cobalto per
il 2009. Intanto, la sudafricana De Beers sta valutando la chiusura di alcune miniere di diamanti,
un’altra delle risorse naturali del Congo.
La caduta dei prezzi nel settore minerario ha inferto un duro colpo anche ad altri Paesi che stavano
puntando sull’industria estrattiva per rilanciare economie in crisi, come lo Zambia e la Guinea. Proprio
qui, il colosso australiano Bhp Billiton ha rinunciato alla mega fusione con la britannica Rio Tinto per lo
sfruttamento del giacimento ferroso di Simandou, a causa della recessione e della riduzione della
domanda cinese.
Non va meglio per altre materie prime che hanno visto le quotazioni crollare – in testa il petrolio – o i
mercati contrarsi bruscamente: in Centrafrica, uno dei Paesi più poveri del pianeta, l’emergenza si è
ulteriormente intensificata dopo che i ricavi del legname, principale voce di esportazione, si sono ridotti
del 20%.
E il ciclone non ha risparmiato i mercati africani: le principali borse del continente, dall’Egitto alla
Nigeria fino al Sudafrica, hanno collezionato in questi mesi ribassi storici, con Johannesburg che ha
superato -20% e Nairobi che ha toccato addirittura 54%. In questo quadro generale, il Fondo
monetario internazionale ha corretto al ribasso - dal 6,5% al 5,1% - le previsioni per la crescita
africana nel 2009.
C’è più di un motivo, insomma, per preoccuparsi. Non ultimo, il timore che le nazioni ricche, in preda
alla recessione, stringano i cordoni della borsa. «Nei prossimi anni - ha affermato il presidente della
Banca africana per lo sviluppo Donald Karebuka - è verosimile che gli aiuti allo sviluppo non saranno
considerati una priorità». Puntualmente, al forum di Davos il premier britannico Gordon Brown ha
previsto che il credito ai Paesi emergenti, che due anni fa ammontava a mille miliardi di dollari, crollerà
nel 2009 a 150 miliardi.
Al recente vertice dell’Unione Africana ad Addis Abeba, alcune ong hanno lanciato l’allarme,
sostenendo che la riduzione degli aiuti occidentali ai Paesi africani costringerà questi ultimi a tagliare
ulteriormente le spese sociali.
Segni preoccupanti di contrazione sono già stati mostrati da un’altra voce di bilancio vitale per
numerose nazioni africane, spesso superiore agli introiti della stessa cooperazione: quella relativa alle
rimesse garantite alle comunità di origine dai tanti migranti che lavorano nei Paesi ricchi, oggi in preda
a una disoccupazione crescente.
In Kenya - solo per fare un esempio - lo scorso agosto il flusso di denaro inviato a casa dai cittadini
emigrati si era già ridotto del 38% rispetto allo stesso mese del 2007.
Una situazione allarmante di fronte alla quale il continente cerca di correre ai ripari. Rinnovando, tra
l’altro, il proprio appello al Nord del mondo affinché rispetti gli impegni presi: qualche giorno fa, la vice
presidente della Banca mondiale per la regione africana Obiageli Ezwkwesili ha rilanciato l’esortazione
del presidente Zoellick ai Paesi donatori a destinare lo 0,7% dei propri pacchetti di incentivi a un
Fondo di vulnerabilità per l’Africa.
Il continente, tuttavia, è pronto a prendersi le proprie responsabilità e a inventarsi nuove strategie di
rilancio. Il piano anticrisi presentato ad Abuja dai capi di Stato e di governo della Comunità economica
dell’Africa occidentale punta su forti investimenti per migliorare le infrastrutture, soprattutto nei settori
dei trasporti e delle energie anche rinnovabili. Da parte sua, il ministro delle finanze ugandese Ezra
Suruma ha invitato i suoi omologhi di 19 nazioni a «cercare mercati alternativi ai nostri prodotti» e
«accrescere le esportazioni verso i Paesi asiatici», a cominciare da India e Cina.
Ma sono in molti a pensare che la soluzione dell’attuale impasse vada cercata in un nuovo corso
economico all’interno dei confini del continente. «La crisi deve essere messa a profitto per fare
emergere delle economie regionali africane: dobbiamo spingere verso l’integrazione», ha affermato il
ministro gabonese dell’energia Casimir Oyé Mba. Per un continente con solo il 10% di esportazioni
rivolte verso l’interno - mentre l’Asia commercia con l’Asia per il 50% e l’Europa con l’Europa al 70% la grande sfida di oggi è la creazione di un mercato interafricano. La crisi potrebbe allora essere anche
un’opportunità per vedere un’Africa più unita, che punta a parlare - almeno economicamente - a una
sola voce.
Ma l’«arretratezza» può essere una protezione
C’è una «netta correlazione tra l’apertura all’esterno di un’economia e il modo con cui essa viene
toccata dalla crisi». Per questa ragione, secondo Duncan Campbell, direttore dell’analisi economica e
dei mercati del lavoro al Bureau international du travail, la situazione dell’Africa potrebbe essere meno
grave di quanto sembri. Non solo «certi settori sono più al riparo di altri», ma il continente potrebbe
addirittura «trasformare le proprie debolezze in vantaggi» e uscire dalla bufera rafforzato.
Campbell, intervistato dalla rivista on line Afrik.com sul recente rapporto dell’organismo di Ginevra
legato all’Onu, spiega in primo luogo che - a fianco dell’inevitabile perdita di posti di lavoro in alcuni
settori critici - nuove occasioni di impiego cominciano già ad essere create in ambiti legati al mercato
domestico: «Abbiamo visto in vari Paesi africani che alcuni governi cominciano a fare il proprio
dovere, investendo per creare lavoro, in particolare nelle infrastrutture». Parte di questi nuovi impieghi,
inoltre, «saranno verdi, orientati verso la lotta alla desertificazione, lo sfruttamento razionale delle
risorse idriche, la riforestazione», spiega l’economista, secondo cui «assisteremo d’altra parte a un
cambiamento nell’utilizzo delle risorse naturali: sfruttare il sole può essere molto redditizio, un fattore
non trascurabile di fronte all’aumento dei prezzi dell’energia».
Senza dubbio, un imperativo per i Paesi africani è diversificare la propria economia: «Dato che le
rendite delle esportazioni si abbassano, è meglio concentrarsi sul mercato domestico. Finché il valore
di alcune risorse naturali, come il cotone o il carbone, aumenta, bisogna utilizzare una parte degli
introiti relativi per finanziare i servizi legati al mercato interno».
Di fronte a un’emergenza che comunque la si guardi - sta mettendo a rischio la qualità di vita di
milioni di africani, tornati a dover affrontare lo spettro della fame, secondo Campbell il continente
saprà inoltre ricorrere, ancora una volta, alla strategia di sussistenza che le sue società già conoscono
fin troppo bene: l’appoggio massiccio sull’economia informale. Con la scelta obbligata, per molte
famiglie, di coinvolgere nel lavoro l’intero nucleo domestico. «Abbiamo assistito a un fenomeno simile
una dozzina d’anni fa in Asia, con i colletti bianchi del settore finanziario».
La speranza è che l’arte di arrangiarsi, che per gli africani è purtroppo già una specialità, non sia la
soluzione principale a cui essi si vedranno abbandonati dai propri governi e dall’Occidente.
domenica 15 marzo 2009
PENSIERINO FINALE:
Proverbio centrafricano: “chi dona ai poveri è a Dio che fa un prestito”.
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