di Pasqua de Candia – Responsabile Educazione allo Sviluppo CISS Bari “L'Altra pagina: storie nei media e per i media. Comunicare in multicolor” Seminario di aggiornamento per giornalisti e operatori dell’informazione Sala Conferenze Ordine dei giornalisti di Puglia. Venerdì 22 febbraio 2008 - Bari Nell’ambito del progetto europeo “Meta”, il Comune di Bitonto e l’ARCI di Bari, in collaborazione con l’Ordine dei giornalisti di Puglia, hanno organizzato un seminario di aggiornamento, rivolto in particolare agli operatori dell’informazione, sui temi del diritto d’asilo e dell’immigrazione, partendo da un approccio interculturale. Il seminario, tenutosi il 22 febbraio 2008 a Bari presso la Sala Conferenze dell’Ordine dei Giornalisti di Puglia, si colloca fra le attività del progetto “META”1, progetto dedicato ad attività di comunicazione, mainstreaming, diffusione di informazioni, scambio di buone prassi. L’obiettivo generale del progetto è quello di promuovere, migliorare e favorire la comunicazione e l’informazione sui richiedenti asilo e rifugiati, sostenendo una serie di attività di mainstreaming orizzontale e verticale. Il seminario è stato uno spazio e un’occasione per riflettere su due ambiti in particolare: come i media rappresentano l’immigrazione e l’alterità, e come sia possibile un giornalismo “diverso” che possa raccontare la società in cui viviamo, anche dai vari punti di vista. Un giornalismo “interculturale”, attento al dialogo, al rispetto dell’Altro, ma che stia attento ai pregiudizi e agli stereotipi di cui è spesso intessuta la cronaca di giornali, radio, tv e siti web. Si sono affrontati, infatti, aspetti quali la comunicazione interculturale e il sistema dei mass media, le opportunità e gli ostacoli del giornalismo interculturale, la rappresentazione dell’immigrato e del rifugiato nei mass media, la percezione dell’immigrazione, ecc., aspetti affrontati passando dai testi, ossia dalle analisi effettuate su articoli giornalistici, alla viva voce di un giornalista che ha raccontato la sua storia niente affatto facile di rifugiato politico in Italia. Tra gli interventi previsti, significativi sono stati quelli di Livia Cantore, Responsabile Progetto Bitonto Integra–Meta2, Marco Bruno, Docente della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università “La Sapienza” di Roma e curatore di “Oltre la discriminazione - Manuale operativo di comunicazione sociale su immigrazione e tratta di persone”, Marta Helena De Mata Almeida, Presidente della Federazione dei Media Culturali Stranieri (Roma) e dell’Associazione Culturale “Mundo Brasil”, Isalia Virginia Nunez Martinez, Redattrice di “Asterisco radio” e del mensile “Il Tamburo” (Bologna), Aladji Cellou Camara, Giornalista della Guinea, rifugiato politico. Era previsto anche l’intervento di Laura BOLDRINI, Portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati – UNHCR, che per motivi di salute non era presente. “META” è un progetto di attuazione dell’obiettivo dell’azione 3 del Programma EQUAL 2000-2006 (EQUAL è un’iniziativa comunitaria finanziata dal Fondo Sociale Europeo che, nel quadro della Strategia Europea per l’Occupazione, mira ad innovare gli approcci e le politiche finalizzate a contrastare il fenomeno della discriminazione e della disuguaglianza nel mercato del lavoro, ponendosi come laboratorio per sperimentazioni su base locale e transnazionale.). Il progetto META è espressamente dedicato ad attività di comunicazione, mainstreaming, diffusione di informazioni, scambio di buone prassi, e nasce dalla necessità di favorire i processi di integrazione socio-economica dei richiedenti asilo e rifugiati attraverso una comunicazione efficace e corretta del tema Asilo a vari livelli: istituzionale, informativo, educativo e politico. 1 2 Bitonto INTEGRA (Integrazione Richiedenti Asilo), è il servizio promosso dal Comune di Bitonto all’interno del Progetto EQUAL Integ.r.a. Bitonto Integ.r.a. è un Centro Interculturale, nato nel 2005, in collaborazione con e gestito dall’ARCI comitato territoriale di Bari, all’interno del quale si svolgono attività per minori e adulti, attività di aggiornamento rivolte agli operatori istituzionali, del terzo settore e dei mass media locali, e che dispone di un Centro di documentazione con 460 titoli; ed è uno Sportello di accompagnamento e orientamento ai servizi di accoglienza, di consulenza per i richiedenti asilo, attivo dal 2001. Sportello Bitonto Integra - Piazza Aldo Moro, 17 – Bitonto Tel/Fax 0803745047 - [email protected] - www.comune.bitonto.ba.it Il prof. Marco Bruno, che svolge attività di ricerca e didattica nella facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università “La Sapienza” di Roma, è il coordinatore dell’Osservatorio MediaMigranti (Comunicazione di e per i migranti) e partecipa al coordinamento di MediaMonitor (di cui ha coordinato la sezione notizie su informazione e immigrazione3). L’Osservatorio MediaMigranti (che opera all’interno del più grande contenitore “Terza Com”, Osservatorio sulla comunicazione sociale e del terzo settore) ha lo scopo di raccogliere esperienze di ricerca su casi di studio, mettere in rete contatti, competenze e risultati, formare studenti intorno al tema del rapporto comunicazione-immigrazione e, in particolare, sulla produzione di comunicazione da parte dei migranti e sui consumi culturali dei migranti. L’intervento del prof. Bruno parte proprio dall’analisi testuale e di contesto degli articoli giornalistici, e significativi sono i risultati ottenuti. Dalle ricerche effettuate, infatti, in particolare nell’ambito dell’analisi delle notizie diffuse dai media, si nota che la maggior parte di queste notizie sui migranti si trova nella cronaca, in particolare dei reati, passando dalle notizie di piccola portata ai casi eclatanti che poi forniscono quelle immagini iconiche dell’immigrazione, come può essere l’immagine dello “sbarco”. L’appiattimento sulla cronaca e la forma della notizia di cronaca rende evidente e supporta la visione stereotipa dell’immigrato, nonché deriva da o nasconde la questione di provenienza dei dati e delle informazioni utilizzate per gli articoli. Infatti, tra gli altri dati, nell’analisi lessico-testuale di questi articoli si rileva come la parola più frequente non sia quella di immigrato, ma quella di “carabiniere”, con una frequenza di circa 330 contro le 320 volte in cui compare la parola “immigrato”, e se si dovesse calcolare la frequenza delle parole che individuano tutte le forze dell’ordine si arriverebbe a 550. Nei fatti di cronaca, pertanto, è evidente, e l’analisi testuale lo conferma, la catena logica (illogica dovremmo dire) criminale – irregolare - immigrato: nei fatti eclatanti, per esempio uno sbarco, dice il prof. Bruno, si parla di clandestini-profughi e si passa dall’allarmismo (quando uno sbarco va bene si parla di “invasione”) alla compassione (quando uno sbarco va male “poveretti”), entrambe visioni stereotipe; o i migranti sono clandestini già prima di partire es. “immigrati clandestini sulle coste libanesi in attesa di partire”. Il fatto che la regolarità e la nazionalità siano tra i pochi dati rinvenibili nelle notizie riguardanti gli immigrati oltre a supportare e facilitare i pregiudizi dei fruitori delle informazioni, come dicevamo, deriva da e nasconde il problema delle fonti: è “ovvio” infatti che queste notizie provenendo da questure non possano che prevedere e contenere questi dati, per cui si trasforma la nazionalità e lo status giuridico in notizia. Il tema della nazionalità è un altro segnale forte dell’attuazione di un meccanismo di tipizzazione, che etichetta creando una catena stigmatizzante consecutiva per cui: criminenazionalità-immigrato-immigrazione/crimine-clandestinità-immigrato-immigrazione: per esempio nel caso di cittadini rumeni, albanesi, africani ecc. non si usa dire il cittadino rumeno o il cittadino albanese, ma il rumeno, l’albanese. C’è “un’ossessione”, afferma il prof. Bruno, per la nazionalità e per le etichette, quasi come fosse un meccanismo psicologico con la funzione di “riassorbimento” del nuovo e della devianza, dell’atipico nel tipico. Ri-assorbimento, perché non è un evento nuovo, ce ne sono vari esempi vicini e lontani nel tempo. Infatti, il prof. Bruno ha trovato dinamiche e composizioni testuali simili analizzando articoli risalenti agli anni ‘70 in cui si etichettava e si assorbiva l’atipico, il ragazzo che si vestiva in maniera strana, che protestava e si faceva crescere i capelli, chiudendolo nella definizione tipica “il CAPELLONE”, il mostro che in quegli anni disturbava la quiete, atterriva vecchiette ecc. C’è, quindi, una paura diffusa del degrado sociale per cui l’altro, inquadrato nella provenienza, nello stato sociale, il diverso da noi, è il miglior capro espiatorio per questa società. Per cui c’è un costante “doppiopesismo” nelle notizie di cronaca, per cui, facendo un confronto tra notizie che parlano di 3 Ha pubblicato i risultati della sua ricerca nel rapporto: Binotto M., Martino V., (a cura di), Fuoriluogo. L’immigrazione e i media italiani, Rai-Pellegrini Editore, 2005) una azione, o reato (essendo comunque quasi sempre notizie di cronaca) simili, una commessa da un italiano e una da uno straniero, è evidente come vengano descritte con un linguaggio e una scelta di parole che fanno passare come uno mostro lo straniero rispetto all’italiano. Altro atteggiamento che spesso si ritrova negli articoli è quello di folklorizzare i migranti, quasi come fossero stregoni che vengono a praticare qui i loro riti magici. C’è, ed è evidente, un grosso problema da parte dei giornalisti di riuscire a restituire la complessità della realtà e della società contemporanea: la difficoltà di rappresentare gli immigrati rientra nella difficoltà più grande della rappresentazione della società in generale, della sua pluralità e complessità. E c’è un grandissimo problema che è quello della responsabilità sociale dei giornalisti, anche in questo c’è, se vogliamo definirlo così, un “doppiopesismo”: se un giornalista si fa mille problemi, e si preoccupa delle proprie responsabilità e del peso delle proprie affermazione nell’ambito delle notizie riguardanti la politica o il tale politico, non fa assolutamente altrettanto nei riguardi delle questioni sociali e dei migranti in particolare! E non aiutano a cambiare le cose, sempre dal punto di vista mediatico, quelle che il prof. Bruno definisce “eccezioni nella regola della schematizzazione”, ossia quelle trasmissioni, servizi, documentari, filmati ecc., che raccontano delle esperienze positive, delle notizie positive, ma che funzionano con modalità on/off, sono a se stanti, e in quanto eccezioni, come tutte le eccezioni, confermano le regole, dice il prof. Bruno. Quello che si potrebbe fare, sempre dal punto di vista mediatico, sarebbe di serializzare e non lasciare al singolo servizio, la diffusione di notizie ed esperienze positive e di insistere sul grande ruolo che i mass media hanno nel cambiamento sociale. Anche perché le difficoltà, le ripercussioni di questo sono duplici, nel senso che se da una parte supportano quelle catene (il-)logiche di cui parlavamo prima da parte degli indigeni verso gli immigrati, dall’altra parte creano un allontanamento da parte di questi ultimi nei confronti degli indigeni in generale, anche di chi vuole aiutarli: è infatti difficile avvicinare e operare con i migranti se il punto di partenza è il pregiudizio diffuso. E proprio contro questo andazzo, se un cambiamento nell’orizzonte del lavoro con gli immigrati si vuole, ci deve essere un passaggio nell’operare con loro, dal “prendersi cura”, e quindi dalla visione assistenzialistica emergenziale, all’inte(g)razione reale che significa avere e mettere in atto strumenti di conoscenza e di dialogo. Significa, quindi, attuare un percorso che dia visibilità e voce ai migranti stessi, alla loro cultura, ai loro bisogni: significa comunicare, togliere la distanza prodotta dalla mancanza di conoscenza dell’altro, incontrare l’altro personalmente e culturalmente. Proprio in tale direzione è andato l’intervento di Marta Helena De Mata Almeida, Presidente della Federazione dei Media Culturali Stranieri (Roma), dell’Associazione Culturale “Mundo Brasil” ed editore della rivista culturale “Mundo Brasil”. La Federazione dei Media Culturali Stranieri, ci spiega, è nata a Latina nel novembre del 2005, dalla volontà di professionisti stranieri che promuovono la cultura attraverso media, associazioni culturali, di volontariato e iniziative di vario genere, con l’intento di organizzarsi come associazioni di mutuo appoggio per la promozione, divulgazione, raccolta fondi per iniziative organizzate sul territorio italiano. L’obiettivo è incentivare lo sviluppo sociale dei cittadini stranieri residenti in Italia, tutelando la loro integrità culturale e facendo sì che abbiano spazi e opportunità per manifestarsi come individui, con il proprio carico di ricchezza culturale, favorendo attraverso il dialogo tra le varie comunità e quella italiana un processo di sereno confronto, in modo da abbattere i pregiudizi stereotipati che portano inevitabilmente all’intolleranza reciproca. Il mezzo, individuato dalla Federazione, attraverso cui attuare questi obiettivi è quello della costruzione di una rete di comunicazione e scambio tra i soggetti che si occupano di immigrazione e promuovono l’intercultura: sostenendo e stimolando lo sviluppo di un’informazione trasparente e veritiera che parta da una reale conoscenza delle realtà di cui ci si occupa; stimolando la pubblicazione dei media in più lingue; creando un marchio di qualità. In particolare, uno degli obiettivi della Federazione è quello di riunire tutte le maggiori iniziative di media rivolte agli immigrati in Italia, tra cui la carta stampata, canali radio e Tv rivolti alle comunità straniere, siti internet, forum, associazioni ecc. che lavorano con e per i migranti e che favoriscono la comunicazione tra europei ed extracomunitari. “Viviamo da immigrati in un mondo parallelo”, dice la signora Almeida, e ogni comunità è chiusa in sé in un meccanismo di auto-protezione, per ragioni di sopravvivenza. Il lavoro che si va facendo è un avvicinamento di immigrati verso altri immigrati, lavoro molto complicato perché ci sono grandi resistenze, gli stessi immigrati e comunità si guardano storto tra di loro, spesso anche per colpa delle notizie e dei media. Infatti, gli immigrati non si preoccupano delle notizie che riguardano un immigrato ma della ricaduta che quella notizia avrà su tutte le comunità. Quello che la Federazione cerca di fare è la costruzione di meccanismi di valorizzazione e conoscenza delle culture: ogni immigrato ha infatti dietro di sé un back ground incredibile, di storie personali e del proprio paese di provenienza. La paura dell’altro, dell’immigrato, non è un problema che si limita al non conosciuto, ma si inserisce in una paura più grande, più generale quella della società che vive una grande crisi. Quello che bisogna trovare è una strada per vivere in maniera armoniosa e crescere insieme. Per cambiare questo status la stampa, i media e la politica sono fondamentali, dice la signora Almeida, bisogna dare voce, “esistere” e quindi partecipare alla vita sociale e culturale e un obiettivo che ci si può porre è quello di costruire e diffondere un giornale in varie lingue. In continuità con questo intervento è il contributo di Isalia Virginia Nunez Martinez, redattrice di “Asterisco radio” e del mensile “Il Tamburo” di Bologna. Esigenza forte è quella di dare voce di rappresentare una realtà, quella dei migranti, che non è quella rappresentata dai media, soprattutto i grandi media; mentre i piccoli media, tra i quali si annoverano i media interculturali, sono più rappresentativi delle realtà. “Asterisco radio” e “Il tamburo”, sono frutto del lavoro di una cooperativa di Bologna che si occupa di comunicazione e intercultura, e che lavora su tre canali media: Il tamburo, giornale mensile di 5000 copie, Asterisco radio che è una radio web, e un portale “immigrati a Bologna”. Il Tamburo è un giornale scritto in italiano, lingua di mediazione proprio per mettere in comunicazione italiani e stranieri. Le fonti utilizzate per scrivere gli articoli sono diverse, dagli amici e contatti diretti a comunità e associazioni; non ha parole vietate, ma tratta con particolare cura argomenti e parole come “nazionalità” o extracomunitario. Asterisco radio è un contenitore di 60 trasmissioni radiofoniche curate da cittadini immigrati, “dai nuovi cittadini per tutti i cittadini” ed è attiva 24 ore su 24. Ha convenzioni con una radio internazionale francese di cui trasmette trasmissioni in lingua e ci si sta attivando per creare con altri paesi altre convenzioni. Hanno un progetto assieme al COSPE per la costituzione di radio comunitarie. Immigrati a Bologna è un portale web, che però raccoglie informazioni su eventi culturali anche sul territorio nazionale, in base alle segnalazioni che vengono effettuate. Asterisco radio è nata con un progetto in partenariato col comune di Bologna, ma ha dovuto chiudere i suoi studi e quindi diventare web, a chiusura del progetto, per mancanza di fondi. E questo è il problema fondamentale, la mancanza di finanziamenti con cui si è quotidianamente costretti a combattere per sopravvivere, e che spesso ti crea problemi nel creare e sviluppare professionalità e nel rappresentare tutte le comunità. Interrogandosi su qual è il mezzo più fruibile per i migranti, è venuto fuori che sicuramente la free press è il mezzo, ma oggi come oggi è usata malissimo. Il linguaggio usato spesso non è di integrazione, e spesso utilizzando le brevi di cronaca riportano e copiano il grande problema di tutti i media che è quello delle “etichette”. Sicuramente quello su cui puntare è la formazione, puntando a non interiorizzare errori e schematismi in uso. L’ultimo intervento, intenso quanto duramente realistico è stato quello di Aladji Cellou Camara, giornalista della Guinea, rifugiato politico. Camara era un giornalista attivo in Guinea dal 1994 (dall’età di 18 anni) e ha lavorato lì fino al 2005, anno in cui era diventato direttore dell’Indipendent, maggiore testata giornalistica della Guinea. La Guinea è un paese indipendente dal coloni francesi dal 1958, ma da allora ha visto avvicendarsi al governo solo due presidenti, non il massimo della democrazia insomma. Nel 2005 Camara scrive un editoriale sull’operato del governo dell’ultimo presidente, Lansana Contè, che regna da 23 anni, e da allora sono cominciate le minacce, a causa delle quali ha dovuto rinunciare alla professione di giornalista e scappare dal suo paese, perché come dice un detto del suo paese “Chi combatte e fugge può tornare a combattere un’altra volta, chi combatte e muore non può più combattere”. Quindi avendo già provato la prigione guineana (nel 1999, per un suo articolo su uno scandalo finanziario che coinvolgeva un ministro, il giornale era stato chiuso e lui era finito in prigione per qualche mese), accetta il consiglio di amici e scappa, pensando che sarebbe stato per poco tempo, ma non è stato così. Arrivato in Belgio, quando ha chiesto asilo, il visto per un periodo più lungo, risultava essere quello italiano per cui è stato chiesto all’Italia di studiare la richiesta, e l’Italia ha accettato. In Italia ha ottenuto l’asilo politico nonostante le richieste di non essere inviato lì, in quanto dai rapporti delle varie associazioni internazionali sui diritti umani la situazione in Italia non è delle più felici. Nonostante le proteste, per la Convenzione di Dublino, ha dovuto accettare di restare in Italia. “Quando all’estero parli della Bossi-Fini ci si spaventa, perché è come se in Francia parlassi di una legge di Le Penn”, dice Camara. Fra i paesi dell’Unione europea, l’Italia è quello che riceve meno richieste di asilo. Contro le diecimila domande del 2006, paesi come Francia, Regno Unito, Svezia e Germania, ne contano tra le 24 mila e le 30 mila ognuno. Ma non è solo un problema di lingua, mancano le strutture adeguate. In Italia, a Firenze, dove è stato destinato, il supporto gli è arrivato non tanto dalle Istituzioni quanto da contatti con Reporters Sans Frontières e dall’ordine dei giornalisti. Le istituzioni fiorentine erano assolutamente impreparate all’accoglienza e, dice Camara, “non è possibile che un Paese che accetti un rifugiato politico poi non si prepari e attivi per un’accoglienza dignitosa. Perché accoglie se poi non può gestire?”. Un problema che accomuna i giornalisti rifugiati in Italia è la lingua e quindi la possibilità di continuare il proprio mestiere. “Ho fatto dei tirocini nelle radio locali per poter imparare la dizione – racconta Aladji Cellou Camara – però nessuno mi ha chiesto di scrivere un articolo perché ho ancora difficoltà con l’italiano”. È stato tirocinante presso la struttura del Cospe, con cui ha fatto una ricerca sui rifugiati-giornalisti. L’immigrazione viene percepita come un fenomeno subito, ma dietro questa c’è una “scelta subita”, perché non si può rimanere nei paesi da cui si scappa. Ora l’Italia non può più tornare indietro, il paese cresce con il contributo degli immigrati. “Non è vero che in Italia non ci sono possibilità, non si vuole, si ha paura, qui si rifiuta ancora.” Il fenomeno dei profughi-giornalisti è in crescita in tutto il mondo e anche in Italia, anche se nessuno sa dire esattamente quanti siano, perché non esistono statistiche precise. Un’esperienza, per il momento unica, di accoglienza di giornalisti rifugiati, è quella della Francia. Nella banlieue parigina di Bobigny, dal 6 maggio del 2002, esiste la Maison des Journalistes, la casa dei giornalisti in esilio. Una struttura che ogni anno ospita 30 professionisti nell’arco di sei mesi. A garantire i finanziamenti sono i media francesi, il Fondo europeo per i rifugiati e la città di Parigi. Da giugno 2002 ad oggi ha accolto un’ottantina di giornalisti provenienti da numerosi paesi: dall’Algeria a Cuba, dalla Birmania alla Bielorussia, dalla Cina al Pakistan, allo Yemen. Gli ospiti della Maison partecipano alla redazione di un trimestrale L’Oeil de l’exilé. La Germania e la Spagna hanno già avviato progetti simili e presto la Haus der journalisten e la Casa de los periodistas apriranno i battenti. In Italia non esiste una struttura di riferimento che accoglie i giornalisti rifugiati.