PONTIFICIA UNIVERSITÁ GREGORIANA FACOLTÁ DI TEOLOGIA LICENZA IN TEOLOGIA FONDAMENTALE ANNO ACCADEMICO 2008/2009 ELABORATO CONCLUSIVO DEL CORSO TF2021 – ESPERIENZA E RIFLESSIONE: LA GENESI DELLA FEDE E LA NASCITA DELLA TEOLOGIA RUGGERO BACONE E ISAAC NEWTON: PENSARE SPERIMENTALMENTE TRA TEOLOGIA E “SCIENZE” TRADIZIONALI Docente: Elmar Salmann Studente: Gabriele Leone matr. 157748 Introduzione Il corso al termine di cui si situa questo elaborato, si inserisce nel solco del lavoro di quei teologi che stanno tentando di «ricucire lo strappo avvenuto tra mistica, teologia positiva e speculativa, tra vissuto e riflessione»1. Strappo avvenuto tra il XII e il XIII secolo, quando una buona parte della teologia, fino ad allora studio della Bibbia nell’alveo della Tradizione, dal «semplice impiego dialettico delle sette arti, in ogni epoca più o meno gradito dai commentatori», passa lentamente «ad una elaborazione sistematica del dato rivelato in forma di un corpo scientifico, di una summa theologica»; passa cioè «dalla dialettica alla scienza … ad una filosofia dello spirito, che, al di là delle formule razionali, comporta una conoscenza del mondo e dell’uomo»2. Conoscenza mediata dalla assunzione dell’opera di Aristotele e che vede la ragione usata quasi esclusivamente nel suo procedere deduttivo, a suo agio soprattutto con universali e ipotesi. A questa teologia nascente fecero resistenza varie correnti, a cui si è rifatto chi ha tentato di ricucire lo strappo tra vita e pensiero. Nel presente lavoro si è cercato di guardare a due personaggi, Roger Bacon (da ora Ruggero Bacone) e Isaac Newton, che si trovano in una di queste correnti che tenta, al pari degli Scolastici, una visione unica del sapere, ma che, a differenza degli Scolastici, trova nel ricorso alla ragione induttiva e al singolare, lo strumento privilegiato per procedere. Personaggi poliedrici e passionali, assumono tonalità varie come i colori e la luce che hanno tanto amato, e sono stati per lungo tempo considerati, da gran parte della critica, o come iniziatori del metodo sperimentale o come gli ultimi grandi maghi, comunque in opposizione agli oscurantisti del loro periodo. Solo recentemente i loro commentatori hanno iniziato a considerarli nella loro organicità, perché «ogni punto, ogni parte si connette alle altre e all’insieme e il rischio è appunto quello corso da molta critica: di isolare la parte, il punto, da ciò che riflette invece corrispondenze e connessioni di insieme in ogni punto»; organicità che fa di ognuno di questi due uomini «un pensatore non immobile in una “sintesi” sua»3. Il dittico che segue è quindi un tentativo, incipiente, di guardare, grazie al lavoro di altri osservatori, a queste due figure, partendo dalla loro biografia e dai loro tratti comuni, per vedere quale apporto possano dare al tentativo di riconciliare esperienza e riflessione. 1 ELMAR SALMANN, Esperienza e riflessione: la genesi della fede e la nascita della teologia, in PONTIFICIA UNIVERSITÀ GREGORIANA, Facoltà di teologia – Programma degli studi, Roma 2008, 133 2 M. D. CHENU, La teologia come scienza. La teologia nel XIII secolo, Jaca Book, Milano 1971, 20 3 F. ALESSIO, Ruggero Bacone, Gius. Laterza & Figli, Gorgonzola (MI) 2002, 128-129 1 1. Biografie e primi spunti 1.1 Ruggero Bacone Nato nel 1214 circa ad Ilchester nel Somersetshire – all’inizio della Cornovaglia, vicino al confine con l’attuale Galles – «appartenente ad una famiglia nobile, fedele alla monarchia plantageneta»4, fedeltà che significò la miseria economica e sociale, in seguito alla guerra dei Baroni. Di lui si sanno poche cose: era di carattere ipercritico e molto dotato intellettualmente; crebbe studiando tra le università nascenti di Parigi e Oxford ed entrò, attorno al 1257, nell’ordine dei Francescani. Il papa Clemente IV, che l’aveva conosciuto quand’era cardinale, il 22 giugno 1266 gli scrisse chiedendo «la trasmissione pronta di quel lavoro che “costituito in minor dignità già gli aveva detto di comunicare al diletto figlio Raimondo di Laon” annullando, all’uopo, ogni contraria disposizione della Regola o dei Superiori» e «insieme alla comunicazione del lavoro scientifico, Ruggero Bacone doveva per lettera esporre quali gli paressero i migliori rimedi ai mali che egli stesso aveva già denunciati al Papa; e ciò presto e segretamente»5, mali riguardanti la situazione della Chiesa e della formazione teologica: ma il lavoro non esisteva ancora. Il fatto diede così l’occasione al frate di comporre la trilogia formata da Opus Maius, Opus Minus, Opus Tertium. Trittico che è la sua produzione più famosa, che gli valse il titolo di Doctor Mirabilis, e che è «più che una vera e propria summa, una sorta di organon, cioè uno strumento che rende capaci di “critica” e di “aperture” nei riguardi della complessità delle scienze»6. Nel 1268 Clemente IV muore e Bacone torna nell’ombra, declino che, performativamente simboleggiato, inizia con l’imprigionamento che il suo superiore Girolamo d’Ascoli gli impone tra la fine del 1277 e l’inizio del 1278. Punizione strettamente legata alla condanna del 1277 del vescovo di Parigi Tempier, perché «con ogni probabilità riguardavano proprio lui quattro dei 219 errori condannati, errori concernenti l’astrologia»7. Come la nascita anche la morte è incerta e sembra sia intorno al 1292. A partire da questi pochi dati di Bacone, è bene porsi domande sul legame tra vita, persona ed opera, quali: quanto ha influito la rovina della sua famiglia per la fedeltà a dei principi? e l’entrare nell’ordine francescano? e l’entrarci ad età così avanzata, che egli vedeva come ottimale per tutti? 4 F. ALESSIO, op. cit., 119 M. BRUSADELLI, Ruggero Bacone nella storia, in A. GEMELLI (a cura), Rivista di filosofia Neoscolastica, fascicolo VI anno VI, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1914, 472-528, 474 6 D. BOSCO, Bacon Roger, in G. TANZELLA-NITTI – A. STRUMIA (a cura), Dizionario interdisciplinare di Scienza e Fede, vol. 2, Urbaniana University Press – Città Nuova, Roma 2002, 1577-1583, 1578 7 M. BRUSADELLI, op. cit., 510 5 2 1.2 Isaac Newton «Il 25 dicembre 1642 in una casa di pietra grigia nel Lincolnschire [contea situata nell’Inghilterra centro-orientale], nacque Isaac Newton. Per l’Europa cattolica che aveva adottato la riforma gregoriana del calendario, era il 4 gennaio 1643»8. Figlio unico, il padre muore tre mesi prima della sua nascita e tre anni dopo la madre si risposa con il reverendo Barnabas Smith, mandandolo a vivere dalla sua nonna materna. «Newton frequentò le scuole elementari a Skillington e Stoke Rochford, piccoli villaggi che potevano essere raggiunti a piedi da Woolsthorpe. All’età di dodici anni circa, fu mandato alla King’s School di Grantham, che distava più di dieci chilometri da Woolsthorpe. Un certo Clark, farmacista della città, lo tenne a pensione»9. A scuola studiò principalmente il latino e la Bibbia. Intanto, la mamma nel 1653 rimase nuovamente vedova e «tornò a vivere nel maniero del primo marito con i tre figli del secondo. Isaac ereditò i beni di suo padre e del patrigno; non si prese troppa cura di essi ma gli garantirono sempre una sicurezza economica»10. Per interessamento dello zio Willyam Ayscough, il 5 giugno 1661 va all’università di Cambridge, andando a risiedere presso il Trinity College, entrandovi «come subsizar. I subsizar a Oxford venivano anche chiamati più semplicemente “servitori”. Si trattava di studenti poveri che si guadagnavano la retta servendo a tavola gli altri studenti e rassettando le stanze»11. Gli venne affidato come «tutore Pulleyn, e nel luglio successivo venne immatricolato come sizar, categoria di studenti poveri alla quale Newton apparteneva per censo»12. «Il curriculum degli studi a Cambridge era rimasto pressoché inalterato dal Medioevo. Il nucleo degli studi era costituito dalla filosofia aristotelica: si iniziava con la logica, a cui venivano affiancate l’etica e la retorica. Gli esercizi accademici prevedevano dispute in forma sillogistica (la quaestio disputata medievale). Durante il Cinquecento la ventata umanistica aveva ampliato gli studi letterari»13. Newton approfondisce anche gli autori moderni, Descartes e Boyle in particolare, e segue i corsi della cattedra lucasiana di matematica, istituita nel 1663, e tenuta da Isaac Barrow. In questi anni emerge e si consolida il carattere solitario di Newton. 8 M. MAMIANI, Introduzione a Newton, Gius. Laterza & Figli, Gorgonzola (MI) 2002, 3 Ibid., 4 10 A. PÉREZ DE LABORDA, Newton Isaac, in G. TANZELLA-NITTI – A. STRUMIA (a cura), Dizionario interdisciplinare di Scienza e Fede, vol. 2, Urbaniana University Press – Città Nuova, Roma 2002, 1986-2003, 1986 11 N. GUICCIARDINI, Newton un filosofo della natura e il sistema del mondo, in I grandi della scienza, n.2, aprile 1998, Le Scienze S.p.A., Milano 1998, 17 12 A .PALA, Isaac Newton. Scienza e filosofia, Giulio Einaudi Editore, Torino 1969, 6 13 M. MAMIANI, op. cit., 18 9 3 Il 28 aprile 1664 ottiene una scolarship, molto probabilmente per la protezione di suo zio e di «Henry More, il neoplatonista più illustre del Christ’s College, anch’egli originario di Grantham», che «esercitò un’indubbia influenza sul pensiero del giovane studente»14. In breve termina i suoi studi, ottenendo il grado di Bachelor of Arts nel 1665, diventando Junior Fellow nel 1667, Master of Arts e Senior fellow nel 1668 e sostituendo Barrow sulla cattedra lucasiana nel 1669. «Prima ancora del suo interesso al Trinity College, Newton aveva acquisito l’abitudine di prendere nota dei libri letti, delle sue riflessioni su di essi, e delle spese fatte. Questi diari sono tre»15 e sono molto importanti per conoscere lo sviluppo del suo pensiero. Da essi si evince che «dal 1664 al 1666 Newton … da solo, con l’unico supporto di non molti libri scelti, assimila i risultati scientifici di tutto un secolo, trovandosi quasi subito sulla linea di frontiera di ogni campo di ricerca» e «individua le direzioni più proficue di sviluppo e imposta nuove soluzioni di problemi che da sempre avevano impegnato l’umanità». Come lui stesso ammette «“Tutto ciò avvenne nei due anni della peste del 1665 e 1666, poiché in quei giorni ero nel fiore dell’età creativa e attendevo alla Matematica e alla Filosofia più di quanto abbia mai fatto in seguito”»16. Il suo operato non viene però alla luce pubblicamente. La prima comparsa è l’8 febbraio 1672 davanti alla Royal Society quando, invitato dal presidente Oldenbourg, espone La nuova teoria su luce e colori. Essa diede il via ad un forte dibattito, specialmente con Hooke, fino a quando «nel settembre del 1677 muore Oldenburg … Hooke viene eletto segretario della Royal Society. Newton si dedica alla teologia e all’alchimia, e per lui iniziano anni di silenzio, in volontario esilio dalla comunità scientifica»17. Nella primavera del 1679 morì anche sua madre. Il vero e proprio exploit avvenne il 5 luglio 1687 con l’edizione dei Philosophiae Naturalis Principia Matematica noti come Principia: opera possibile grazie ad Halley che la stimolò e la seguì, finanziandola economicamente e mediando con la Royal Society che la stampò. Opera divisa in tre libri, di cui i primi due sono prevalentemente di matematica ed il terzo tratta del “Sistema del mondo”, difficile da leggere perché «Newton, lavorando con furore inventivo, ha prodotto un lavoro circonvoluto, pieno di imprecisioni e di lacune … L’importanza dell’opera venne però immediatamente riconosciuta, anche da parte dei suoi critici»18. 14 A .PALA, op. cit., 7 Ibid., 8 16 M. MAMIANI, op. cit., 53-54 17 Ibid., 81 18 N. GUICCIARDINI, op. cit., 52 15 4 Anche quest’opera fu accompagnata, già nella sua produzione, da notevoli dibattiti e Newton sceglie di tornare così nell’ombra. Il 1693 sarà il suo anno nero, con crisi depressive e sintomi di alienazione. Lentamente risalirà, grazie anche al lavoro presso la Zecca, che ottenne nel 1699. Nel 1703 diviene presidente della Royal Society e pubblica il secondo grande pilastro della sua opera, l’Opticks. Nel 1713 esce la seconda edizione dei Principia, con il famoso “scolio generale”. Muore il 20 marzo del 1727 a Kensington ed il suo funerale, in quanto a solennità, non fu meno di quello di un re. «È seppellito nella cattedrale di Westminster, dove sono sepolti gli uomini più importanti della storia inglese … in perfetta simmetria con la tomba dell’ammiraglio Nelson»19. Cercando di interrogare la sua biografia è lecito chiedersi: quanto hanno influito i primi traumatici anni della sua infanzia sul suo carattere schivo e passionale e sulla sua vita? quale rapporto tra ciò e le sue opere? 1.3. Distillando comparativamente Bacone e Newton appartengono all’Inghilterra, che ha vissuto sempre male il connubio del Papato con l’Impero prima e la Francia poi, ed i rapporti di preferenza con la Spagna; con tutti questi ha avuto così un rapporto burrascoso di odio-amore, vedendo il papato come il padre da uccidere, l’Impero e la Francia le matrigne da evitare e la Spagna la sorellastra su cui primeggiare: il suo essere un’isola si è ripercosso anche sulle vicende storiche. I suoi abitanti sono noti poi per il loro pragmatismo e per una religiosità intimistica e tradizionale, ed allo stesso tempo ostentata e alla moda quando si fa pubblica. È solo un caso che anche questi due pensatori abbiano incarnato bene le caratteristiche di questa isola e dei suoi abitanti, tanto nella loro biografia, quanto nel loro modo di lavorare? Entrambi sono cresciuti negli ambienti universitari del loro tempo, rispettivamente presso le eterne rivali Oxford e Cambridge, segnati così da una massiccia formazione filosofica, che resterà un primum mai eliminato. Entrambi sono stati da sempre portati ad un approccio pratico nel conoscere, anche se più che a fare esperimenti sono stati bravi a guardare a quelli fatti da altri, a raccontarli, a pensarli e anche a sognarli. Entrambi, pur non essendo dottori di teologia, scrissero trattati teologici. Entrambi, più che innovatori, si vedevano come “riscopritori” di antiche conoscenze, anche nel caso delle “scienze tradizionali” quali l’alchimia e l’astrologia, pur se con interessi diversi. Pensiero sperimentale, teologia e “scienze” tradizionali sono dunque aree comuni ai due, e queste passiamo ora ad analizzare, guardando anche ai loro maestri, o giganti come piace a Newton, e ai loro avversari. 19 A. PEREZ DE LABORDA, op. cit., 1986 5 2. Pensiero sperimentale 2.1 Filosofia Cresciuti in università imbevute di Aristotelismo, entrambi si confrontano anzitutto con il pensiero dello Stagirita. Bacone lo ha conosciuto grazie a Roberto Grossatesta, del quale, egli sottolinea come abbia «“indagato sulle affermazioni di Aristotele mediante le proprie esperienze, mediante quello che dicevano altri autori, mediante quello che si poteva ottenere attraverso altre discipline; solo così ha potuto ottenere risultati di gran lunga migliori di quelli che si trovano nelle opere pessimamente tradotte di Aristotele”»20. Egli apprezza dunque il pensiero di Aristotele, ma di quello “originale”, così come tramandato da Averroè ed Avicenna, e non di quello che si attinge dalle varie traduzioni che circolano, che egli ritiene scadenti sia dal punto di vista letterale che teoretico, perché spesso si è cercato di cristianizzarne i contenuti. Detto questo egli rigetta però l’uso di Aristotele per fare teologia in senso stretto, che è e resta commento del textus de ore Dei. Lo stagirita è necessario come propedeutico, così come tutte le altre scienze, perché per lui «non è possibile dedicarsi ai gravi problemi della teologia senza aver percorso per intero l’iter delle discipline umane. Invece, si vedono dappertutto “ragazzi inesperti di se stessi e delle cose del mondo … pretendere di determinare le questioni teologiche, la cui soluzione presuppone la conoscenza dell’intero sapere umano”»21: questi “ragazzi” erano i numerosi giovani che entravano tra i francescani e i domenicani. A Newton invece non piacciono i peripatetici, «nella sua biblioteca non compare alcuna opera di Aristotele, mentre c’è l’opera omnia di Platone», perché, come scrisse nel 1669 nel suo diario, «“non hanno trattato per nulla della causa particolare di una forma qualunque e della ragione per cui differisce dalle altre. E così rinunciarono a quelle cose la cui spiegazione sembra essere il compito sommo dei filosofi”»22. La passione per Platone la eredita da Henry More. colui che si era tanto preso cura di lui. Egli preferisce di gran lunga Descartes, con cui ha un rapporto fortemente critico-dialettico, ma «in un certo senso Newton fu cartesiano per tutta la vita, se intendiamo con il termine “cartesiano” non la passiva accettazione delle teorie del filosofo francese ma la vocazione a realizzare una grande sintesi fisico-cosmologica che stesse alla pari con i sistemi degli antichi»23. Entrambi dunque pensatori originali, perché pensanti con la propria testa. 20 citato in F. BOTTIN, Introduzione, in R. BACONE, La scienza sperimentale, Rusconi, Milano 1990, 7-41, 32 21 F. BOTTIN, op. cit., 11 22 M. MAMIANI, op. cit., 19 23 Ibid., 36 6 2.2 Importanza del metodo sperimentale Originalità, la loro, legata a doppio filo con la passione per il provare, il verificare ciò che gli altri dicono, soprattutto sulla luce e gli astri. Da Grossatesta Bacone eredita la passione per lo sperimentare con un metodo “scientifico”, articolato in tre suggerimenti per lo scienziato: «“massima apertura intellettuale e interesse per le cose nuove … [ripeterle] mediante le tecniche sperimentali in suo possesso o escogitate dalla sua ingegnosità. … elaborare una teoria che fornisca una spiegazione razionale del fenomeno basata sui principi scientifici di cui si è in possesso”»24. Teoria in cui la matematica è lo strumento principale, porta et clavis omnis scientiarum. Così per Bacone il sapiente «è un dominus experimentorum perché basa le sue conoscenze sperimentali sulla matematica»25. Newton invece eredita la sua passione per gli esperimenti da Boyle, ma la applica nel suo confrontarsi soprattutto con Cartesio, «non abbandona la teoria, ma continua ad esaminarla suggerendo una serie di esperimenti introdotti con le parole “Try whether ( o if) …” (provare se). Molti di questi esperimenti differiti avranno conseguenze imprevedibili. Le più importanti scoperte di Newton nasceranno in questo modo». Lui preferisce così «usare l’esperimento come controesempio di una qualche teoria, sia per metterla alla prova in senso positivo o negativo, sia soprattutto per ricavarne conseguenze pratiche o teoriche»26. Ed è curioso notare come «la fiducia di Newton nell’esperimento, come strumento conoscitivo si accompagna a una pari sfiducia nella conoscenza sensibile», tanto che per lui la condizione della conoscenza è la «astrazione dalle qualità sensibili e ci sono due modi di astrarre dalle qualità sensibili: la matematica e l’esperimento fondato sulle operazioni reciproche tra i corpi»27. Ma il grande merito di Newton sta nell’aver dato una forma più precisa al metodo sperimentale. Già nel 1670 egli scopre che i cultori di geometria accettano comunque tacitamente delle ipotesi fisiche e viceversa la filosofia può estendere i propri principi mediante ragionamenti matematici; dunque «c’è un unico metodo per costruire una conoscenza certa: l’uso congiunto dell’esperimento e della matematica», e solo così, solo «“filosofando i geometri e esercitando la geometria i filosofi, otteniamo, al posto di congetture e cose probabili, che si smerciano ovunque, una scienza della natura finalmente confermata con la più alta evidenza”»28. E uno dei motivi degli scontri con Hooke e Leibniz sta proprio nell’unicità di questo metodo. 24 citato in F. BOTTIN, op. cit., 20 Ibid., 34 26 M. MAMIANI, op. cit., 37-38 27 Ibid., 57-58 28 Ibid., 67 25 7 2.3 Unitarietà del sapere e suo orizzonte morale Bacone vede il periodo storico in cui lui vive, depositario di una missione unificatrice di tutto il sapere umano. I Latini così, per un verso devono «ricercare un sapere già dato e disperso nelle opere di innumerevoli scienziati, appartenuti ad altre civiltà e ad altri popoli, per un altro verso ad essi spetta il compito di controllarne la validità e di ridare unità alle nozioni scientifiche più disparate»29 e solo una filosofia sperimentale può far ciò. Egli sognò così a lungo di poter redigere un’Enciclopedia, e tratti ci provò, ma egli la pensava come un’opera collettiva e pagata da un mecenate, che sperò di trovare nel papa, quando questi lo invitò a mandargli la sua opera. Se la teologia costituisce il cardine e il fine ultimo di questa enciclopedia, per Bacone «solo la filosofia morale è in grado di attribuire alla molteplicità delle scientiae quel fine e quel senso che si concretizzano nella sapientia … qualunque cosa l’uomo faccia, per quanto grande e straordinaria l’impresa possa essere, è assolutamente priva di un vero scopo se non è finalizzata al miglioramento etico del soggetto»30. La tensione all’unità del sapere in Newton emerge invece dal suo metodo utilizzabile in qualsiasi campo e si manifesta «nell’avversione alle ipotesi come forma di incertezza conoscitiva e arbitrio morale quanto nel continuo abbattimento dei confini disciplinari. Matematica, filosofia, religione, alchimia, cronologia: tutti aspetti che sono assunti da una sola verità, dispiegata nel macrocosmo come nel microcosmo»31. Ricerca della verità che per Newton va di pari passo con quella del bene morale, tanto che per lui la perfezione della filosofia naturale consiste nel raggiungimento della prisca sapientia, velata nelle leggi dell’universo, che permette di adorare il vero Autore e benefattore di tutto l’Universo e conoscere così il bene, avendo la possibilità di operarlo. Tanto in Bacone quanto in Newton, unità del sapere pratico e suo orizzonte morale sono così strettamente legati a Dio e si aprono sulla teologia. 3. Teologia 3.1 Quale Dio? Quale Dio è visibile in filigrana nell’opera di questi due pensatori? Quale Dio è il fondamento e l’orizzonte del loro pensiero? Bacone, ponendosi nella scia dei grandi apologeti ebrei e cristiani, vede Dio come il grande rivelatore d’ogni verità che l’uomo conquista e questo lo porta ad oscillare «tra una effettiva rivelazione divina ai filosofi, dimostrata come necessaria per la inaccessibilità naturale del vero 29 F. BOTTIN, op. cit., 20 Ibid., 40 31 M. MAMIANI, op. cit., 113 30 8 filosofico … e una constatazione storica sulla origine biblica delle verità filosofiche»32 e proprio per attingere a questa verità diffusa e ricapitolarla, è necessaria la nuova organizzazione degli studi da lui proposta. A questo Dio non è necessario produrre il mondo, ma «è necessario per il mondo essere prodotto dalla infinita Sapienza, Potenza e Bontà. In termine più scolastico, il necessario è una necessità di conseguenza»33. Fin da giovane in Newton emerge «una religiosità arcaica con una forte impronta veterotestamentaria … che gli faceva accettare alla lettera il decalogo e tutte le ingiunzioni bibliche»34, immagine che egli si porterà dietro tutta la vita. Essa emerge chiaramente, come la punta di un iceberg, nello “scolio generale” della seconda edizione dei Principia: «“Da una cieca necessità metafisica, che è identica senz’altro sempre e ovunque, non nasce alcuna varietà di cose. L’intera diversità delle cose, ordinata secondo i luoghi e i tempi, poté nascere solamente dalle idee e dalla volontà di un ente necessariamente esistente”»35. Scolio che egli introduce per evitare il dualismo cartesiano tra pensiero e materia di Descartes, sotteso anche alla “armonia prestabilita” di Leibniz, che apre la via al materialismo: caos e leggi di natura non bastano a dar forma al mondo. Questo ente è Dio, signore e re, realmente presente ed operante nel mondo, è pantokrator, non un re in esilio, come il Dio di Descartes: non a caso egli afferma di aver scritto i Principia per della gloria di Dio. Tuttavia non essendo visto da Newton come l’anima del mondo, si salva dal panteismo. Questa visione di Dio va di pari passo con il suo esse ariano, o unitariano come si diceva in quel periodo, ma «anche in questo Newton non fa eccezione. Sono molti gli ariani in questo periodo in Inghilterra»36. Per Newton la conoscenza del Dio-verità passa o per lo studio del mondo fisico o quello della Sacra Scrittura, mondi che «hanno entrambi diritto alla piena oggettività perché una sola ne è la causa: la libera volontà di Dio»37. Così egli era convinto che Dio avesse «rivelato ai patriarchi e ai profeti, come Mosè, Noè e Daniele, un insieme di verità che riguardano non solo Dio e le sue relazioni col Creato, ma il Creato stesso … ma questa saggezza si era persa a causa dei falsi interpreti»38. Lui, con il suo metodo sperimentale, era il solo che poteva attingere a questo patrimonio contenuto nei libri sacri, soprattutto quelli di stampo apocalittico. 32 M. BRUSADELLI, op. cit., 498 Ibid., 505 34 M. MAMIANI, op. cit., 11 35 citato in M. MAMIANI, op. cit., 105 36 N. GUICCIARDINI, op. cit., 39 37 M. MAMIANI, op. cit., 113 38 N. GUICCIARDINI, op. cit., 41 33 9 3.2 Sfondo apocalittico Per entrambe gli autori l’apocalittica è la cornice entro cui stagliare le opere di Dio e la loro stessa opera scientifica, ma con intenzioni diverse. Bacone fu molto influenzato dal gioacchinismo e nella sua trilogia mostra come la cristianità europea sia attanagliata da problemi interni, causati da una mancata renovatio della chiesa messa a nudo dalla crociata dei bambini e dalla rivolta dei Pastoureaux del 1251, ed esterni, visibili nell’incedere di Tartari e Saraceni. Egli vede in queste vicende l’opera dell’Anticristo e dice che l’efficacia di questi movimenti è legata all’uso che essi facevano di arti sconosciute. Bacone è infatti convinto che l’Anticristo si manifesterà principalmente mediante un uso distorto del sapere e che con l’uso di mezzi frutto di arti magiche e ritrovati sperimentali «avrà la capacità di sedurre, di convincere, di incantare con apparenze meravigliose i singoli individui e interi popoli, ma in realtà condurrà ogni cosa alla rovina, trasformerà gli uomini in animali bruti, porterà ovunque la discordia»39. Tutto ciò rende urgente il rinnovamento del sapere come egli lo propone. Newton ha composto un manoscritto di 550 pagine sull’Apocalisse, libro che egli apre con una introduzione per il lettore: Avendo ricercato (e per grazia di Dio ottenuto) la conoscenza nelle scritture profetiche, ho pensato di essere obbligato a comunicarla per il beneficio di altri, ricordando il giudizio di colui che nascose il suo talento in un panno … Non vorrei che nessuno si scoraggiasse per la difficoltà e l’insuccesso che gli uomini fino a ora hanno incontrato in questi tentativi. Questo è proprio ciò che era necessario che fosse. Infatti è stato rivelato a Daniele che le profezie riguardanti gli ultimi tempi dovrebbero essere nascoste e sigillate fino al momento della fine: ma allora i saggi capirebbero e la conoscenza sarebbe aumentata (cf Dan 12,4.9.10). E perciò più a lungo gli uomini sono rimasti nell’oscurità, più speranze ci sono che sia imminente il tempo in cui esse devono essere rese manifeste. Se esse non devono mai essere comprese, a quale fine Dio le ha rivelate?40 Newton si sentiva chiaramente uno di questi saggi e dunque per lui i tempi erano maturi, era prossima la fine del mondo. E ciò è strettamente legato con la sua visione di Chiesa, edificata in attesa di questi saggi, che egli vedeva come l’unione delle persone «“sparse che Dio ha scelto, tali che senza essere condotti da interesse, educazione o autorità, possono porsi sinceramente e ardentemente alla ricerca della verità”»41. Questo manoscritto non è però mai stato dato alle stampe, anche perché il suo carattere ermetico lo rendeva accessibile solo agli eletti e non a tutti. 39 F. BOTTIN, op. cit., 37 citato in M. MAMIANI, op. cit., 108 41 citato in M. MAMIANI, op. cit., 109 40 10 4. “Scienze” tradizionali La visione di una scienza unitaria che riattinge dagli antichi e di una teologia in cui Dio è rivelatore tanto nel registro della creazione quanto in quello della storia, ibridata da forte tensioni apocalittiche, sono strettamente legate all’interesse dei due per quei saperi pratico-misterici che tanto avevano caratterizzato l’antichità e che procurerà loro non pochi problemi. 4.1 Alchimia La passione di Bacone per l’alchimia si inserisce in quella di molti francescani, che la vedevano come uno strumento per soccorrere i malati. Per lui essa è dunque una scienza experimentales, che convalida le conclusioni della filosofia naturale e apre territori nuovi del sapere. Tramite essa si può arrivare alla produzione di meravigliosi segreti, quale ad esempio «il farmaco che può trasformare la complessione elementare del corpo umano, riportandola all’equilibrio perfetto (aequalitas) proprio del corpo di Adamo prima della caduta e, ancora più, dei corpi gloriosi oggetto del dogma cristiano della risurrezione della carne». In quest’ottica, «la perfezione metallica di cui sono dotati oro e argento prodotti mediante le tecniche alchemiche, risulta essere nient’altro che un caso particolare della perfezione naturale che può essere conferita a tutti i corpi, definita da Bacone come aequalitas»42, che «non consiste nell’uguaglianza in quantità o in peso fra i quattro elementi (fuoco, aria, acqua e terra)»43, ma nell’armonia di queste. Newton si dedicò all’alchimia fin dall’inizio dei suoi studi, soprattutto grazie all’influsso di Henry More, e rimase una passione costante della sua vita, a cui si dedicò soprattutto negli anni di silenzio. Egli ricava da essa una «una suggestione che si sposa con le sue concezioni atomistiche: la materia di tutto le cose è una sola, ed essa si trasforma mediante operazioni naturali nelle innumerevoli specie dei corpi»; convinzione che introdusse nella prima edizione dei Principia sotto forma di ipotesi, ma «che poi espunse nelle edizioni successive»44. «Dai manoscritti alchemici rimasti, che sono ancora in parte da analizzare, emerge un concetto centrale, quello di fermentazione, intorno a cui Newton ritornò a più riprese»45, che è la chiave della trasformazione dei corpi l’uno nell’altro, e che è all’opera nei corpi viventi e in numerosi altri fenomeni chimici. Concetto questo, legato al suo anticartesianesimo, alla sua convinzione che esistessero altre cause oltre a quelle meccaniche. M. PEREIRA, I Francescani e l’alchimia, in CONVIVIUM ASSISIENSE X (2008) 1,117157, 132 43 Ibid., 133 44 M. MAMIANI, op. cit., 97s 45 Ibid., 98 42 11 4.2 Astrologia Tema fra i più cari a Bacone, allo stesso tempo è dai suoi scritti su di essa che furono estrapolate le quattro proposizioni di condanna, estrapolazioni che, come tali, non tengono conto della finezza del suo pensiero. Bacone sa dell’esistenza di due matematiche, «l’una scientifica, che si scrive, in greco, col t aspirato … e l’altra magica (che si scrive col t non aspirato e viene da mantia), anzi più precisamente seconda pars artis magicae; la quale ars magica completa comprende cinque specie mantica, matematica, maleficium, praestigium, sortilegium», questa seconda, usata in astrologia egli la bolla come «“damnata est non solum a sanctis (questo per l’ortodosso) sed a philosophis (questo per la ragione o la scienza)”» 46. Egli si approccia così all’astrologia usando la matematica scientifica, come aveva imparato a fare dal Grossatesta, per darle «un più solido fondamento», e per separarla dalle «credenze magiche e superstiziose, proprio grazie alla determinazione delle leggi dell’ottica»47; separazione che comportava anche una riduzione del determinismo ad influsso: “I veri astrologi non hanno la pretesa di conoscere con certezza le vicende umane, ma si limitano a stabilire in qual modo l’influsso astrale può modificare i corpi e come tale influsso sui corpi si riversa a sua volta negli animi, spingendo a compiere determinate azioni pubbliche o private, pure restando immutata in ognuno la libertà di giudizio. Infatti, benché l’anima razionale non sia sottoposta a costrizione nelle azioni che compie, tuttavia può venire fortemente influenzata e indotta a volere spontaneamente proprio quelle cose verso le quali le forze celesti ci inclinano”.48 E la conoscenza di questi influssi è quanto mai fondamentale per i medici. Newton non tratta direttamente di astrologia, ma soprattutto nel terzo volume dei Principia, dedicato al cosmo, emergono particolari interessanti. Egli fonda tutto il suo sistema sul principio di attrazione dei corpi, di cui però non rende ragione e che è uno dei punti su cui è stato attaccato. In un carteggio iniziato nel 1694 con Bentley, alla richiesta del perché le stelle non si attirino, arriva a chiamare in causa la Provvidenza divina: «il sistema delle stelle è in equilibrio perché Dio le ha poste a grande distanza» e «interviene con un “miracolo continuo” evitando che le stelle cadano». La regolarità del cosmo, non è garantita dunque «da cause naturali, ma da cause soprannaturali, da una “riforma divina”»49. Visione in cui le comete svolgono un ruolo particolare, assumendo compiti apocalittici. Più che fare astrologia, Newton vede un cosmo sorretto da forze divine. 46 M. BRUSADELLI, op. cit., 510-11 M. MAMIANI, op. cit., 27 48 citato in M. MAMIANI, op. cit., 28 49 N. GUICCIARDINI, op. cit., 82 47 12 Conclusione Cosa si può imparare dall’esperienza di questi due intellettuali, che tanto hanno desiderato “sporcarsi le mani” con le questioni naturali? Cosa ne può venire al tentativo di riconciliare l’aspetto pratico e teorico del sapere? Anzitutto va detto che il filone carsico, di cui essi sono espressione, è vivo e mi sembra abbia trovato nel ‘900 due esimi rappresentati: in campo fisico Einstein, che tante somiglianze ha con entrambe (passione per luce e cosmo, simbiosi di fisica e matematica, fondamento e orizzonte divino che poco si concilia con il caos); in campo più riflessivo Lonergan, che al metodo fondato sulla capacità di astrarre dal singolare, “embrionale” in Bacone e “adolescente” in Newton, visto come asse di tutto il sapere umano, ha dedicato la maggior parte delle sue opere. Filone visibile anche in opere che, nei vari ambiti del sapere, cercano un approccio unitario al reale, nel campo teologico si pensi a Ganoczy. Oggi cresce però anche la settorializzazione e specializzazione dei vari ambiti del sapere, tendenza che mal sopporta i tentativi di coloro che tentano di trovare un approccio unitario, e parallelamente crescono coloro che cercano ritorni acritici ad una confusione degli ambiti. Gli influssi in gioco sono dunque gli stessi agenti ai tempi dei nostri due pensatori, ma mentre allora erano un po’ confusi, eccessivamente comunicanti, oggi si trovano un po’ separati, quasi per nulla comunicanti. È così più che mai urgente tendere a un ritmo calcedoniano, in cui approccio deduttivo e induttivo procedano non confusamente e non separatamente. A mio avviso alcuni passi di questo ritmo sono rintracciabili nei nostri due. In Bacone essi sono le voglie enciclopediche, l’amore per tutti i linguaggi (anche quello dei segni), il fare teologia solo dopo aver conosciuto il mondo e le altre scienze, l’approccio aperto a qualsiasi pratica, seppur da decifrare e interpretare correttamente, il rapporto vivo (e quindi anche dialettico) con la Chiesa e al servizio della fede. In Newton soprattutto il suo metodo che, unendo senza confondere parte teorica-matematica e pratica-filosofica, sa di duplex ordo cognitionis. In entrambi il forte approccio critico e l’orizzonte etico del sapere. In loro c’è però anche un passo falso di cui tener conto: la tendenza ad unilateralizzare, dovuta paradossalmente ad una certa acriticità verso la propria posizione, al sentirsi degli eletti e certo anche agli influssi, a cui tanto devono in bene e in male, di un carattere solitario, di un contesto culturale dialettico e della loro realtà storico-sociale. Unilateralizzazioni che però scoprono la loro sensibilità “antiochena” per il concreto, tipica di tutta la cultura inglese, sensibilità che oggi, in un contesto socio-culturale sempre più glocal, va cercando una forma, anche nella chiesa, e che in loro può trovare dei compagni di viaggio. 13 Introduzione ................................................................................................. 1 1. Biografie e primi spunti .......................................................................... 2 1.1 Ruggero Bacone .................................................................................. 2 1.2 Isaac Newton....................................................................................... 3 1.3. Distillando comparativamente............................................................ 5 2. Pensiero sperimentale ............................................................................. 6 2.1 Filosofia .............................................................................................. 6 2.2 Importanza del metodo sperimentale .................................................. 7 2.3 Unitarietà del sapere e suo orizzonte morale...................................... 8 3. Teologia .................................................................................................... 8 3.1 Quale Dio? .......................................................................................... 8 3.2 Sfondo apocalittico ........................................................................... 10 4. “Scienze” tradizionali ........................................................................... 11 4.1 Alchimia ............................................................................................ 11 4.2 Astrologia.......................................................................................... 12 Conclusione ................................................................................................ 13 14