Ruggero Bacone e Isaac Newton: pensare sperimentalmente tra

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PONTIFICIA UNIVERSITÁ GREGORIANA
FACOLTÁ DI TEOLOGIA
LICENZA IN TEOLOGIA FONDAMENTALE
ANNO ACCADEMICO 2008/2009
ELABORATO CONCLUSIVO DEL CORSO
TF2021 – ESPERIENZA E RIFLESSIONE:
LA GENESI DELLA FEDE E LA NASCITA DELLA TEOLOGIA
RUGGERO BACONE E ISAAC NEWTON:
PENSARE SPERIMENTALMENTE
TRA TEOLOGIA E “SCIENZE” TRADIZIONALI
Docente:
Elmar Salmann
Studente:
Gabriele Leone
matr. 157748
Introduzione
Il corso al termine di cui si situa questo elaborato, si inserisce nel solco del
lavoro di quei teologi che stanno tentando di «ricucire lo strappo avvenuto
tra mistica, teologia positiva e speculativa, tra vissuto e riflessione»1.
Strappo avvenuto tra il XII e il XIII secolo, quando una buona parte della
teologia, fino ad allora studio della Bibbia nell’alveo della Tradizione, dal
«semplice impiego dialettico delle sette arti, in ogni epoca più o meno
gradito dai commentatori», passa lentamente «ad una elaborazione
sistematica del dato rivelato in forma di un corpo scientifico, di una summa
theologica»; passa cioè «dalla dialettica alla scienza … ad una filosofia
dello spirito, che, al di là delle formule razionali, comporta una conoscenza
del mondo e dell’uomo»2. Conoscenza mediata dalla assunzione dell’opera
di Aristotele e che vede la ragione usata quasi esclusivamente nel suo
procedere deduttivo, a suo agio soprattutto con universali e ipotesi.
A questa teologia nascente fecero resistenza varie correnti, a cui si è rifatto
chi ha tentato di ricucire lo strappo tra vita e pensiero.
Nel presente lavoro si è cercato di guardare a due personaggi, Roger Bacon
(da ora Ruggero Bacone) e Isaac Newton, che si trovano in una di queste
correnti che tenta, al pari degli Scolastici, una visione unica del sapere, ma
che, a differenza degli Scolastici, trova nel ricorso alla ragione induttiva e
al singolare, lo strumento privilegiato per procedere.
Personaggi poliedrici e passionali, assumono tonalità varie come i colori e
la luce che hanno tanto amato, e sono stati per lungo tempo considerati, da
gran parte della critica, o come iniziatori del metodo sperimentale o come
gli ultimi grandi maghi, comunque in opposizione agli oscurantisti del loro
periodo. Solo recentemente i loro commentatori hanno iniziato a
considerarli nella loro organicità, perché «ogni punto, ogni parte si connette
alle altre e all’insieme e il rischio è appunto quello corso da molta critica:
di isolare la parte, il punto, da ciò che riflette invece corrispondenze e
connessioni di insieme in ogni punto»; organicità che fa di ognuno di questi
due uomini «un pensatore non immobile in una “sintesi” sua»3.
Il dittico che segue è quindi un tentativo, incipiente, di guardare, grazie al
lavoro di altri osservatori, a queste due figure, partendo dalla loro biografia
e dai loro tratti comuni, per vedere quale apporto possano dare al tentativo
di riconciliare esperienza e riflessione.
1
ELMAR SALMANN, Esperienza e riflessione: la genesi della fede e la nascita della
teologia, in PONTIFICIA UNIVERSITÀ GREGORIANA, Facoltà di teologia – Programma
degli studi, Roma 2008, 133
2
M. D. CHENU, La teologia come scienza. La teologia nel XIII secolo, Jaca Book,
Milano 1971, 20
3
F. ALESSIO, Ruggero Bacone, Gius. Laterza & Figli, Gorgonzola (MI) 2002, 128-129
1
1. Biografie e primi spunti
1.1 Ruggero Bacone
Nato nel 1214 circa ad Ilchester nel Somersetshire – all’inizio della
Cornovaglia, vicino al confine con l’attuale Galles – «appartenente ad una
famiglia nobile, fedele alla monarchia plantageneta»4, fedeltà che significò
la miseria economica e sociale, in seguito alla guerra dei Baroni.
Di lui si sanno poche cose: era di carattere ipercritico e molto dotato
intellettualmente; crebbe studiando tra le università nascenti di Parigi e
Oxford ed entrò, attorno al 1257, nell’ordine dei Francescani.
Il papa Clemente IV, che l’aveva conosciuto quand’era cardinale, il 22
giugno 1266 gli scrisse chiedendo «la trasmissione pronta di quel lavoro
che “costituito in minor dignità già gli aveva detto di comunicare al diletto
figlio Raimondo di Laon” annullando, all’uopo, ogni contraria disposizione
della Regola o dei Superiori» e «insieme alla comunicazione del lavoro
scientifico, Ruggero Bacone doveva per lettera esporre quali gli paressero i
migliori rimedi ai mali che egli stesso aveva già denunciati al Papa; e ciò
presto e segretamente»5, mali riguardanti la situazione della Chiesa e della
formazione teologica: ma il lavoro non esisteva ancora. Il fatto diede così
l’occasione al frate di comporre la trilogia formata da Opus Maius, Opus
Minus, Opus Tertium. Trittico che è la sua produzione più famosa, che gli
valse il titolo di Doctor Mirabilis, e che è «più che una vera e propria
summa, una sorta di organon, cioè uno strumento che rende capaci di
“critica” e di “aperture” nei riguardi della complessità delle scienze»6.
Nel 1268 Clemente IV muore e Bacone torna nell’ombra, declino che,
performativamente simboleggiato, inizia con l’imprigionamento che il suo
superiore Girolamo d’Ascoli gli impone tra la fine del 1277 e l’inizio del
1278. Punizione strettamente legata alla condanna del 1277 del vescovo di
Parigi Tempier, perché «con ogni probabilità riguardavano proprio lui
quattro dei 219 errori condannati, errori concernenti l’astrologia»7.
Come la nascita anche la morte è incerta e sembra sia intorno al 1292.
A partire da questi pochi dati di Bacone, è bene porsi domande sul legame
tra vita, persona ed opera, quali: quanto ha influito la rovina della sua
famiglia per la fedeltà a dei principi? e l’entrare nell’ordine francescano? e
l’entrarci ad età così avanzata, che egli vedeva come ottimale per tutti?
4
F. ALESSIO, op. cit., 119
M. BRUSADELLI, Ruggero Bacone nella storia, in A. GEMELLI (a cura), Rivista di
filosofia Neoscolastica, fascicolo VI anno VI, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze
1914, 472-528, 474
6
D. BOSCO, Bacon Roger, in G. TANZELLA-NITTI – A. STRUMIA (a cura), Dizionario
interdisciplinare di Scienza e Fede, vol. 2, Urbaniana University Press – Città Nuova,
Roma 2002, 1577-1583, 1578
7
M. BRUSADELLI, op. cit., 510
5
2
1.2 Isaac Newton
«Il 25 dicembre 1642 in una casa di pietra grigia nel Lincolnschire [contea
situata nell’Inghilterra centro-orientale], nacque Isaac Newton. Per
l’Europa cattolica che aveva adottato la riforma gregoriana del calendario,
era il 4 gennaio 1643»8. Figlio unico, il padre muore tre mesi prima della
sua nascita e tre anni dopo la madre si risposa con il reverendo Barnabas
Smith, mandandolo a vivere dalla sua nonna materna.
«Newton frequentò le scuole elementari a Skillington e Stoke Rochford,
piccoli villaggi che potevano essere raggiunti a piedi da Woolsthorpe.
All’età di dodici anni circa, fu mandato alla King’s School di Grantham,
che distava più di dieci chilometri da Woolsthorpe. Un certo Clark,
farmacista della città, lo tenne a pensione»9. A scuola studiò principalmente
il latino e la Bibbia. Intanto, la mamma nel 1653 rimase nuovamente
vedova e «tornò a vivere nel maniero del primo marito con i tre figli del
secondo. Isaac ereditò i beni di suo padre e del patrigno; non si prese troppa
cura di essi ma gli garantirono sempre una sicurezza economica»10.
Per interessamento dello zio Willyam Ayscough, il 5 giugno 1661 va
all’università di Cambridge, andando a risiedere presso il Trinity College,
entrandovi «come subsizar. I subsizar a Oxford venivano anche chiamati
più semplicemente “servitori”. Si trattava di studenti poveri che si
guadagnavano la retta servendo a tavola gli altri studenti e rassettando le
stanze»11. Gli venne affidato come «tutore Pulleyn, e nel luglio successivo
venne immatricolato come sizar, categoria di studenti poveri alla quale
Newton apparteneva per censo»12.
«Il curriculum degli studi a Cambridge era rimasto pressoché inalterato dal
Medioevo. Il nucleo degli studi era costituito dalla filosofia aristotelica: si
iniziava con la logica, a cui venivano affiancate l’etica e la retorica. Gli
esercizi accademici prevedevano dispute in forma sillogistica (la quaestio
disputata medievale). Durante il Cinquecento la ventata umanistica aveva
ampliato gli studi letterari»13. Newton approfondisce anche gli autori
moderni, Descartes e Boyle in particolare, e segue i corsi della cattedra
lucasiana di matematica, istituita nel 1663, e tenuta da Isaac Barrow.
In questi anni emerge e si consolida il carattere solitario di Newton.
8
M. MAMIANI, Introduzione a Newton, Gius. Laterza & Figli, Gorgonzola (MI) 2002, 3
Ibid., 4
10
A. PÉREZ DE LABORDA, Newton Isaac, in G. TANZELLA-NITTI – A. STRUMIA (a cura),
Dizionario interdisciplinare di Scienza e Fede, vol. 2, Urbaniana University Press –
Città Nuova, Roma 2002, 1986-2003, 1986
11
N. GUICCIARDINI, Newton un filosofo della natura e il sistema del mondo, in I grandi
della scienza, n.2, aprile 1998, Le Scienze S.p.A., Milano 1998, 17
12
A .PALA, Isaac Newton. Scienza e filosofia, Giulio Einaudi Editore, Torino 1969, 6
13
M. MAMIANI, op. cit., 18
9
3
Il 28 aprile 1664 ottiene una scolarship, molto probabilmente per la
protezione di suo zio e di «Henry More, il neoplatonista più illustre del
Christ’s College, anch’egli originario di Grantham», che «esercitò
un’indubbia influenza sul pensiero del giovane studente»14. In breve
termina i suoi studi, ottenendo il grado di Bachelor of Arts nel 1665,
diventando Junior Fellow nel 1667, Master of Arts e Senior fellow nel 1668
e sostituendo Barrow sulla cattedra lucasiana nel 1669.
«Prima ancora del suo interesso al Trinity College, Newton aveva acquisito
l’abitudine di prendere nota dei libri letti, delle sue riflessioni su di essi, e
delle spese fatte. Questi diari sono tre»15 e sono molto importanti per
conoscere lo sviluppo del suo pensiero. Da essi si evince che «dal 1664 al
1666 Newton … da solo, con l’unico supporto di non molti libri scelti,
assimila i risultati scientifici di tutto un secolo, trovandosi quasi subito
sulla linea di frontiera di ogni campo di ricerca» e «individua le direzioni
più proficue di sviluppo e imposta nuove soluzioni di problemi che da
sempre avevano impegnato l’umanità». Come lui stesso ammette «“Tutto
ciò avvenne nei due anni della peste del 1665 e 1666, poiché in quei giorni
ero nel fiore dell’età creativa e attendevo alla Matematica e alla Filosofia
più di quanto abbia mai fatto in seguito”»16.
Il suo operato non viene però alla luce pubblicamente. La prima comparsa è
l’8 febbraio 1672 davanti alla Royal Society quando, invitato dal presidente
Oldenbourg, espone La nuova teoria su luce e colori. Essa diede il via ad
un forte dibattito, specialmente con Hooke, fino a quando «nel settembre
del 1677 muore Oldenburg … Hooke viene eletto segretario della Royal
Society. Newton si dedica alla teologia e all’alchimia, e per lui iniziano
anni di silenzio, in volontario esilio dalla comunità scientifica»17. Nella
primavera del 1679 morì anche sua madre.
Il vero e proprio exploit avvenne il 5 luglio 1687 con l’edizione dei
Philosophiae Naturalis Principia Matematica noti come Principia: opera
possibile grazie ad Halley che la stimolò e la seguì, finanziandola
economicamente e mediando con la Royal Society che la stampò. Opera
divisa in tre libri, di cui i primi due sono prevalentemente di matematica ed
il terzo tratta del “Sistema del mondo”, difficile da leggere perché
«Newton, lavorando con furore inventivo, ha prodotto un lavoro
circonvoluto, pieno di imprecisioni e di lacune … L’importanza dell’opera
venne però immediatamente riconosciuta, anche da parte dei suoi critici»18.
14
A .PALA, op. cit., 7
Ibid., 8
16
M. MAMIANI, op. cit., 53-54
17
Ibid., 81
18
N. GUICCIARDINI, op. cit., 52
15
4
Anche quest’opera fu accompagnata, già nella sua produzione, da notevoli
dibattiti e Newton sceglie di tornare così nell’ombra. Il 1693 sarà il suo
anno nero, con crisi depressive e sintomi di alienazione.
Lentamente risalirà, grazie anche al lavoro presso la Zecca, che ottenne nel
1699. Nel 1703 diviene presidente della Royal Society e pubblica il
secondo grande pilastro della sua opera, l’Opticks. Nel 1713 esce la
seconda edizione dei Principia, con il famoso “scolio generale”.
Muore il 20 marzo del 1727 a Kensington ed il suo funerale, in quanto a
solennità, non fu meno di quello di un re. «È seppellito nella cattedrale di
Westminster, dove sono sepolti gli uomini più importanti della storia
inglese … in perfetta simmetria con la tomba dell’ammiraglio Nelson»19.
Cercando di interrogare la sua biografia è lecito chiedersi: quanto hanno
influito i primi traumatici anni della sua infanzia sul suo carattere schivo e
passionale e sulla sua vita? quale rapporto tra ciò e le sue opere?
1.3. Distillando comparativamente
Bacone e Newton appartengono all’Inghilterra, che ha vissuto sempre male
il connubio del Papato con l’Impero prima e la Francia poi, ed i rapporti di
preferenza con la Spagna; con tutti questi ha avuto così un rapporto
burrascoso di odio-amore, vedendo il papato come il padre da uccidere,
l’Impero e la Francia le matrigne da evitare e la Spagna la sorellastra su cui
primeggiare: il suo essere un’isola si è ripercosso anche sulle vicende
storiche. I suoi abitanti sono noti poi per il loro pragmatismo e per una
religiosità intimistica e tradizionale, ed allo stesso tempo ostentata e alla
moda quando si fa pubblica. È solo un caso che anche questi due pensatori
abbiano incarnato bene le caratteristiche di questa isola e dei suoi abitanti,
tanto nella loro biografia, quanto nel loro modo di lavorare?
Entrambi sono cresciuti negli ambienti universitari del loro tempo,
rispettivamente presso le eterne rivali Oxford e Cambridge, segnati così da
una massiccia formazione filosofica, che resterà un primum mai eliminato.
Entrambi sono stati da sempre portati ad un approccio pratico nel
conoscere, anche se più che a fare esperimenti sono stati bravi a guardare a
quelli fatti da altri, a raccontarli, a pensarli e anche a sognarli.
Entrambi, pur non essendo dottori di teologia, scrissero trattati teologici.
Entrambi, più che innovatori, si vedevano come “riscopritori” di antiche
conoscenze, anche nel caso delle “scienze tradizionali” quali l’alchimia e
l’astrologia, pur se con interessi diversi.
Pensiero sperimentale, teologia e “scienze” tradizionali sono dunque aree
comuni ai due, e queste passiamo ora ad analizzare, guardando anche ai
loro maestri, o giganti come piace a Newton, e ai loro avversari.
19
A. PEREZ DE LABORDA, op. cit., 1986
5
2. Pensiero sperimentale
2.1 Filosofia
Cresciuti in università imbevute di Aristotelismo, entrambi si confrontano
anzitutto con il pensiero dello Stagirita.
Bacone lo ha conosciuto grazie a Roberto Grossatesta, del quale, egli
sottolinea come abbia «“indagato sulle affermazioni di Aristotele mediante
le proprie esperienze, mediante quello che dicevano altri autori, mediante
quello che si poteva ottenere attraverso altre discipline; solo così ha potuto
ottenere risultati di gran lunga migliori di quelli che si trovano nelle opere
pessimamente tradotte di Aristotele”»20. Egli apprezza dunque il pensiero
di Aristotele, ma di quello “originale”, così come tramandato da Averroè ed
Avicenna, e non di quello che si attinge dalle varie traduzioni che
circolano, che egli ritiene scadenti sia dal punto di vista letterale che
teoretico, perché spesso si è cercato di cristianizzarne i contenuti.
Detto questo egli rigetta però l’uso di Aristotele per fare teologia in senso
stretto, che è e resta commento del textus de ore Dei. Lo stagirita è
necessario come propedeutico, così come tutte le altre scienze, perché per
lui «non è possibile dedicarsi ai gravi problemi della teologia senza aver
percorso per intero l’iter delle discipline umane. Invece, si vedono
dappertutto “ragazzi inesperti di se stessi e delle cose del mondo …
pretendere di determinare le questioni teologiche, la cui soluzione
presuppone la conoscenza dell’intero sapere umano”»21: questi “ragazzi”
erano i numerosi giovani che entravano tra i francescani e i domenicani.
A Newton invece non piacciono i peripatetici, «nella sua biblioteca non
compare alcuna opera di Aristotele, mentre c’è l’opera omnia di Platone»,
perché, come scrisse nel 1669 nel suo diario, «“non hanno trattato per nulla
della causa particolare di una forma qualunque e della ragione per cui
differisce dalle altre. E così rinunciarono a quelle cose la cui spiegazione
sembra essere il compito sommo dei filosofi”»22. La passione per Platone la
eredita da Henry More. colui che si era tanto preso cura di lui.
Egli preferisce di gran lunga Descartes, con cui ha un rapporto fortemente
critico-dialettico, ma «in un certo senso Newton fu cartesiano per tutta la
vita, se intendiamo con il termine “cartesiano” non la passiva accettazione
delle teorie del filosofo francese ma la vocazione a realizzare una grande
sintesi fisico-cosmologica che stesse alla pari con i sistemi degli antichi»23.
Entrambi dunque pensatori originali, perché pensanti con la propria testa.
20
citato in F. BOTTIN, Introduzione, in R. BACONE, La scienza sperimentale, Rusconi,
Milano 1990, 7-41, 32
21
F. BOTTIN, op. cit., 11
22
M. MAMIANI, op. cit., 19
23
Ibid., 36
6
2.2 Importanza del metodo sperimentale
Originalità, la loro, legata a doppio filo con la passione per il provare, il
verificare ciò che gli altri dicono, soprattutto sulla luce e gli astri.
Da Grossatesta Bacone eredita la passione per lo sperimentare con un
metodo “scientifico”, articolato in tre suggerimenti per lo scienziato:
«“massima apertura intellettuale e interesse per le cose nuove … [ripeterle]
mediante le tecniche sperimentali in suo possesso o escogitate dalla sua
ingegnosità. … elaborare una teoria che fornisca una spiegazione razionale
del fenomeno basata sui principi scientifici di cui si è in possesso”»24.
Teoria in cui la matematica è lo strumento principale, porta et clavis omnis
scientiarum. Così per Bacone il sapiente «è un dominus experimentorum
perché basa le sue conoscenze sperimentali sulla matematica»25.
Newton invece eredita la sua passione per gli esperimenti da Boyle, ma la
applica nel suo confrontarsi soprattutto con Cartesio, «non abbandona la
teoria, ma continua ad esaminarla suggerendo una serie di esperimenti
introdotti con le parole “Try whether ( o if) …” (provare se). Molti di questi
esperimenti differiti avranno conseguenze imprevedibili. Le più importanti
scoperte di Newton nasceranno in questo modo». Lui preferisce così «usare
l’esperimento come controesempio di una qualche teoria, sia per metterla
alla prova in senso positivo o negativo, sia soprattutto per ricavarne
conseguenze pratiche o teoriche»26. Ed è curioso notare come «la fiducia di
Newton nell’esperimento, come strumento conoscitivo si accompagna a
una pari sfiducia nella conoscenza sensibile», tanto che per lui la
condizione della conoscenza è la «astrazione dalle qualità sensibili e ci
sono due modi di astrarre dalle qualità sensibili: la matematica e
l’esperimento fondato sulle operazioni reciproche tra i corpi»27.
Ma il grande merito di Newton sta nell’aver dato una forma più precisa al
metodo sperimentale. Già nel 1670 egli scopre che i cultori di geometria
accettano comunque tacitamente delle ipotesi fisiche e viceversa la filosofia
può estendere i propri principi mediante ragionamenti matematici; dunque
«c’è un unico metodo per costruire una conoscenza certa: l’uso congiunto
dell’esperimento e della matematica», e solo così, solo «“filosofando i
geometri e esercitando la geometria i filosofi, otteniamo, al posto di
congetture e cose probabili, che si smerciano ovunque, una scienza della
natura finalmente confermata con la più alta evidenza”»28. E uno dei motivi
degli scontri con Hooke e Leibniz sta proprio nell’unicità di questo metodo.
24
citato in F. BOTTIN, op. cit., 20
Ibid., 34
26
M. MAMIANI, op. cit., 37-38
27
Ibid., 57-58
28
Ibid., 67
25
7
2.3 Unitarietà del sapere e suo orizzonte morale
Bacone vede il periodo storico in cui lui vive, depositario di una missione
unificatrice di tutto il sapere umano. I Latini così, per un verso devono
«ricercare un sapere già dato e disperso nelle opere di innumerevoli
scienziati, appartenuti ad altre civiltà e ad altri popoli, per un altro verso ad
essi spetta il compito di controllarne la validità e di ridare unità alle nozioni
scientifiche più disparate»29 e solo una filosofia sperimentale può far ciò.
Egli sognò così a lungo di poter redigere un’Enciclopedia, e tratti ci provò,
ma egli la pensava come un’opera collettiva e pagata da un mecenate, che
sperò di trovare nel papa, quando questi lo invitò a mandargli la sua opera.
Se la teologia costituisce il cardine e il fine ultimo di questa enciclopedia,
per Bacone «solo la filosofia morale è in grado di attribuire alla
molteplicità delle scientiae quel fine e quel senso che si concretizzano nella
sapientia … qualunque cosa l’uomo faccia, per quanto grande e
straordinaria l’impresa possa essere, è assolutamente priva di un vero scopo
se non è finalizzata al miglioramento etico del soggetto»30.
La tensione all’unità del sapere in Newton emerge invece dal suo metodo
utilizzabile in qualsiasi campo e si manifesta «nell’avversione alle ipotesi
come forma di incertezza conoscitiva e arbitrio morale quanto nel continuo
abbattimento dei confini disciplinari. Matematica, filosofia, religione,
alchimia, cronologia: tutti aspetti che sono assunti da una sola verità,
dispiegata nel macrocosmo come nel microcosmo»31.
Ricerca della verità che per Newton va di pari passo con quella del bene
morale, tanto che per lui la perfezione della filosofia naturale consiste nel
raggiungimento della prisca sapientia, velata nelle leggi dell’universo, che
permette di adorare il vero Autore e benefattore di tutto l’Universo e
conoscere così il bene, avendo la possibilità di operarlo.
Tanto in Bacone quanto in Newton, unità del sapere pratico e suo orizzonte
morale sono così strettamente legati a Dio e si aprono sulla teologia.
3. Teologia
3.1 Quale Dio?
Quale Dio è visibile in filigrana nell’opera di questi due pensatori? Quale
Dio è il fondamento e l’orizzonte del loro pensiero?
Bacone, ponendosi nella scia dei grandi apologeti ebrei e cristiani, vede
Dio come il grande rivelatore d’ogni verità che l’uomo conquista e questo
lo porta ad oscillare «tra una effettiva rivelazione divina ai filosofi,
dimostrata come necessaria per la inaccessibilità naturale del vero
29
F. BOTTIN, op. cit., 20
Ibid., 40
31
M. MAMIANI, op. cit., 113
30
8
filosofico … e una constatazione storica sulla origine biblica delle verità
filosofiche»32 e proprio per attingere a questa verità diffusa e ricapitolarla, è
necessaria la nuova organizzazione degli studi da lui proposta.
A questo Dio non è necessario produrre il mondo, ma «è necessario per il
mondo essere prodotto dalla infinita Sapienza, Potenza e Bontà. In termine
più scolastico, il necessario è una necessità di conseguenza»33.
Fin da giovane in Newton emerge «una religiosità arcaica con una forte
impronta veterotestamentaria … che gli faceva accettare alla lettera il
decalogo e tutte le ingiunzioni bibliche»34, immagine che egli si porterà
dietro tutta la vita. Essa emerge chiaramente, come la punta di un iceberg,
nello “scolio generale” della seconda edizione dei Principia: «“Da una
cieca necessità metafisica, che è identica senz’altro sempre e ovunque, non
nasce alcuna varietà di cose. L’intera diversità delle cose, ordinata secondo
i luoghi e i tempi, poté nascere solamente dalle idee e dalla volontà di un
ente necessariamente esistente”»35. Scolio che egli introduce per evitare il
dualismo cartesiano tra pensiero e materia di Descartes, sotteso anche alla
“armonia prestabilita” di Leibniz, che apre la via al materialismo: caos e
leggi di natura non bastano a dar forma al mondo.
Questo ente è Dio, signore e re, realmente presente ed operante nel mondo,
è pantokrator, non un re in esilio, come il Dio di Descartes: non a caso egli
afferma di aver scritto i Principia per della gloria di Dio. Tuttavia non
essendo visto da Newton come l’anima del mondo, si salva dal panteismo.
Questa visione di Dio va di pari passo con il suo esse ariano, o unitariano
come si diceva in quel periodo, ma «anche in questo Newton non fa
eccezione. Sono molti gli ariani in questo periodo in Inghilterra»36.
Per Newton la conoscenza del Dio-verità passa o per lo studio del mondo
fisico o quello della Sacra Scrittura, mondi che «hanno entrambi diritto alla
piena oggettività perché una sola ne è la causa: la libera volontà di Dio»37.
Così egli era convinto che Dio avesse «rivelato ai patriarchi e ai profeti,
come Mosè, Noè e Daniele, un insieme di verità che riguardano non solo
Dio e le sue relazioni col Creato, ma il Creato stesso … ma questa saggezza
si era persa a causa dei falsi interpreti»38. Lui, con il suo metodo
sperimentale, era il solo che poteva attingere a questo patrimonio contenuto
nei libri sacri, soprattutto quelli di stampo apocalittico.
32
M. BRUSADELLI, op. cit., 498
Ibid., 505
34
M. MAMIANI, op. cit., 11
35
citato in M. MAMIANI, op. cit., 105
36
N. GUICCIARDINI, op. cit., 39
37
M. MAMIANI, op. cit., 113
38
N. GUICCIARDINI, op. cit., 41
33
9
3.2 Sfondo apocalittico
Per entrambe gli autori l’apocalittica è la cornice entro cui stagliare le
opere di Dio e la loro stessa opera scientifica, ma con intenzioni diverse.
Bacone fu molto influenzato dal gioacchinismo e nella sua trilogia mostra
come la cristianità europea sia attanagliata da problemi interni, causati da
una mancata renovatio della chiesa messa a nudo dalla crociata dei bambini
e dalla rivolta dei Pastoureaux del 1251, ed esterni, visibili nell’incedere di
Tartari e Saraceni. Egli vede in queste vicende l’opera dell’Anticristo e
dice che l’efficacia di questi movimenti è legata all’uso che essi facevano
di arti sconosciute. Bacone è infatti convinto che l’Anticristo si manifesterà
principalmente mediante un uso distorto del sapere e che con l’uso di mezzi
frutto di arti magiche e ritrovati sperimentali «avrà la capacità di sedurre, di
convincere, di incantare con apparenze meravigliose i singoli individui e
interi popoli, ma in realtà condurrà ogni cosa alla rovina, trasformerà gli
uomini in animali bruti, porterà ovunque la discordia»39.
Tutto ciò rende urgente il rinnovamento del sapere come egli lo propone.
Newton ha composto un manoscritto di 550 pagine sull’Apocalisse, libro
che egli apre con una introduzione per il lettore:
Avendo ricercato (e per grazia di Dio ottenuto) la conoscenza nelle scritture
profetiche, ho pensato di essere obbligato a comunicarla per il beneficio di
altri, ricordando il giudizio di colui che nascose il suo talento in un panno …
Non vorrei che nessuno si scoraggiasse per la difficoltà e l’insuccesso che gli
uomini fino a ora hanno incontrato in questi tentativi. Questo è proprio ciò che
era necessario che fosse. Infatti è stato rivelato a Daniele che le profezie
riguardanti gli ultimi tempi dovrebbero essere nascoste e sigillate fino al
momento della fine: ma allora i saggi capirebbero e la conoscenza sarebbe
aumentata (cf Dan 12,4.9.10). E perciò più a lungo gli uomini sono rimasti
nell’oscurità, più speranze ci sono che sia imminente il tempo in cui esse
devono essere rese manifeste. Se esse non devono mai essere comprese, a
quale fine Dio le ha rivelate?40
Newton si sentiva chiaramente uno di questi saggi e dunque per lui i tempi
erano maturi, era prossima la fine del mondo. E ciò è strettamente legato
con la sua visione di Chiesa, edificata in attesa di questi saggi, che egli
vedeva come l’unione delle persone «“sparse che Dio ha scelto, tali che
senza essere condotti da interesse, educazione o autorità, possono porsi
sinceramente e ardentemente alla ricerca della verità”»41.
Questo manoscritto non è però mai stato dato alle stampe, anche perché il
suo carattere ermetico lo rendeva accessibile solo agli eletti e non a tutti.
39
F. BOTTIN, op. cit., 37
citato in M. MAMIANI, op. cit., 108
41
citato in M. MAMIANI, op. cit., 109
40
10
4. “Scienze” tradizionali
La visione di una scienza unitaria che riattinge dagli antichi e di una
teologia in cui Dio è rivelatore tanto nel registro della creazione quanto in
quello della storia, ibridata da forte tensioni apocalittiche, sono strettamente
legate all’interesse dei due per quei saperi pratico-misterici che tanto
avevano caratterizzato l’antichità e che procurerà loro non pochi problemi.
4.1 Alchimia
La passione di Bacone per l’alchimia si inserisce in quella di molti
francescani, che la vedevano come uno strumento per soccorrere i malati.
Per lui essa è dunque una scienza experimentales, che convalida le
conclusioni della filosofia naturale e apre territori nuovi del sapere. Tramite
essa si può arrivare alla produzione di meravigliosi segreti, quale ad
esempio «il farmaco che può trasformare la complessione elementare del
corpo umano, riportandola all’equilibrio perfetto (aequalitas) proprio del
corpo di Adamo prima della caduta e, ancora più, dei corpi gloriosi oggetto
del dogma cristiano della risurrezione della carne». In quest’ottica, «la
perfezione metallica di cui sono dotati oro e argento prodotti mediante le
tecniche alchemiche, risulta essere nient’altro che un caso particolare della
perfezione naturale che può essere conferita a tutti i corpi, definita da
Bacone come aequalitas»42, che «non consiste nell’uguaglianza in quantità
o in peso fra i quattro elementi (fuoco, aria, acqua e terra)»43, ma
nell’armonia di queste.
Newton si dedicò all’alchimia fin dall’inizio dei suoi studi, soprattutto
grazie all’influsso di Henry More, e rimase una passione costante della sua
vita, a cui si dedicò soprattutto negli anni di silenzio.
Egli ricava da essa una «una suggestione che si sposa con le sue concezioni
atomistiche: la materia di tutto le cose è una sola, ed essa si trasforma
mediante operazioni naturali nelle innumerevoli specie dei corpi»;
convinzione che introdusse nella prima edizione dei Principia sotto forma
di ipotesi, ma «che poi espunse nelle edizioni successive»44.
«Dai manoscritti alchemici rimasti, che sono ancora in parte da analizzare,
emerge un concetto centrale, quello di fermentazione, intorno a cui Newton
ritornò a più riprese»45, che è la chiave della trasformazione dei corpi l’uno
nell’altro, e che è all’opera nei corpi viventi e in numerosi altri fenomeni
chimici. Concetto questo, legato al suo anticartesianesimo, alla sua
convinzione che esistessero altre cause oltre a quelle meccaniche.
M. PEREIRA, I Francescani e l’alchimia, in CONVIVIUM ASSISIENSE X (2008) 1,117157, 132
43
Ibid., 133
44
M. MAMIANI, op. cit., 97s
45
Ibid., 98
42
11
4.2 Astrologia
Tema fra i più cari a Bacone, allo stesso tempo è dai suoi scritti su di essa
che furono estrapolate le quattro proposizioni di condanna, estrapolazioni
che, come tali, non tengono conto della finezza del suo pensiero.
Bacone sa dell’esistenza di due matematiche, «l’una scientifica, che si
scrive, in greco, col t aspirato … e l’altra magica (che si scrive col t non
aspirato e viene da mantia), anzi più precisamente seconda pars artis
magicae; la quale ars magica completa comprende cinque specie mantica,
matematica, maleficium, praestigium, sortilegium», questa seconda, usata
in astrologia egli la bolla come «“damnata est non solum a sanctis (questo
per l’ortodosso) sed a philosophis (questo per la ragione o la scienza)”» 46.
Egli si approccia così all’astrologia usando la matematica scientifica, come
aveva imparato a fare dal Grossatesta, per darle «un più solido
fondamento», e per separarla dalle «credenze magiche e superstiziose,
proprio grazie alla determinazione delle leggi dell’ottica»47; separazione
che comportava anche una riduzione del determinismo ad influsso:
“I veri astrologi non hanno la pretesa di conoscere con certezza le vicende
umane, ma si limitano a stabilire in qual modo l’influsso astrale può
modificare i corpi e come tale influsso sui corpi si riversa a sua volta negli
animi, spingendo a compiere determinate azioni pubbliche o private, pure
restando immutata in ognuno la libertà di giudizio. Infatti, benché l’anima
razionale non sia sottoposta a costrizione nelle azioni che compie, tuttavia può
venire fortemente influenzata e indotta a volere spontaneamente proprio quelle
cose verso le quali le forze celesti ci inclinano”.48
E la conoscenza di questi influssi è quanto mai fondamentale per i medici.
Newton non tratta direttamente di astrologia, ma soprattutto nel terzo
volume dei Principia, dedicato al cosmo, emergono particolari interessanti.
Egli fonda tutto il suo sistema sul principio di attrazione dei corpi, di cui
però non rende ragione e che è uno dei punti su cui è stato attaccato. In un
carteggio iniziato nel 1694 con Bentley, alla richiesta del perché le stelle
non si attirino, arriva a chiamare in causa la Provvidenza divina: «il sistema
delle stelle è in equilibrio perché Dio le ha poste a grande distanza» e
«interviene con un “miracolo continuo” evitando che le stelle cadano». La
regolarità del cosmo, non è garantita dunque «da cause naturali, ma da
cause soprannaturali, da una “riforma divina”»49. Visione in cui le comete
svolgono un ruolo particolare, assumendo compiti apocalittici.
Più che fare astrologia, Newton vede un cosmo sorretto da forze divine.
46
M. BRUSADELLI, op. cit., 510-11
M. MAMIANI, op. cit., 27
48
citato in M. MAMIANI, op. cit., 28
49
N. GUICCIARDINI, op. cit., 82
47
12
Conclusione
Cosa si può imparare dall’esperienza di questi due intellettuali, che tanto
hanno desiderato “sporcarsi le mani” con le questioni naturali? Cosa ne può
venire al tentativo di riconciliare l’aspetto pratico e teorico del sapere?
Anzitutto va detto che il filone carsico, di cui essi sono espressione, è vivo
e mi sembra abbia trovato nel ‘900 due esimi rappresentati: in campo fisico
Einstein, che tante somiglianze ha con entrambe (passione per luce e
cosmo, simbiosi di fisica e matematica, fondamento e orizzonte divino che
poco si concilia con il caos); in campo più riflessivo Lonergan, che al
metodo fondato sulla capacità di astrarre dal singolare, “embrionale” in
Bacone e “adolescente” in Newton, visto come asse di tutto il sapere
umano, ha dedicato la maggior parte delle sue opere. Filone visibile anche
in opere che, nei vari ambiti del sapere, cercano un approccio unitario al
reale, nel campo teologico si pensi a Ganoczy.
Oggi cresce però anche la settorializzazione e specializzazione dei vari
ambiti del sapere, tendenza che mal sopporta i tentativi di coloro che
tentano di trovare un approccio unitario, e parallelamente crescono coloro
che cercano ritorni acritici ad una confusione degli ambiti.
Gli influssi in gioco sono dunque gli stessi agenti ai tempi dei nostri due
pensatori, ma mentre allora erano un po’ confusi, eccessivamente
comunicanti, oggi si trovano un po’ separati, quasi per nulla comunicanti. È
così più che mai urgente tendere a un ritmo calcedoniano, in cui approccio
deduttivo e induttivo procedano non confusamente e non separatamente. A
mio avviso alcuni passi di questo ritmo sono rintracciabili nei nostri due.
In Bacone essi sono le voglie enciclopediche, l’amore per tutti i linguaggi
(anche quello dei segni), il fare teologia solo dopo aver conosciuto il
mondo e le altre scienze, l’approccio aperto a qualsiasi pratica, seppur da
decifrare e interpretare correttamente, il rapporto vivo (e quindi anche
dialettico) con la Chiesa e al servizio della fede.
In Newton soprattutto il suo metodo che, unendo senza confondere parte
teorica-matematica e pratica-filosofica, sa di duplex ordo cognitionis.
In entrambi il forte approccio critico e l’orizzonte etico del sapere.
In loro c’è però anche un passo falso di cui tener conto: la tendenza ad
unilateralizzare, dovuta paradossalmente ad una certa acriticità verso la
propria posizione, al sentirsi degli eletti e certo anche agli influssi, a cui
tanto devono in bene e in male, di un carattere solitario, di un contesto
culturale dialettico e della loro realtà storico-sociale.
Unilateralizzazioni che però scoprono la loro sensibilità “antiochena” per il
concreto, tipica di tutta la cultura inglese, sensibilità che oggi, in un
contesto socio-culturale sempre più glocal, va cercando una forma, anche
nella chiesa, e che in loro può trovare dei compagni di viaggio.
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Introduzione ................................................................................................. 1
1. Biografie e primi spunti .......................................................................... 2
1.1 Ruggero Bacone .................................................................................. 2
1.2 Isaac Newton....................................................................................... 3
1.3. Distillando comparativamente............................................................ 5
2. Pensiero sperimentale ............................................................................. 6
2.1 Filosofia .............................................................................................. 6
2.2 Importanza del metodo sperimentale .................................................. 7
2.3 Unitarietà del sapere e suo orizzonte morale...................................... 8
3. Teologia .................................................................................................... 8
3.1 Quale Dio? .......................................................................................... 8
3.2 Sfondo apocalittico ........................................................................... 10
4. “Scienze” tradizionali ........................................................................... 11
4.1 Alchimia ............................................................................................ 11
4.2 Astrologia.......................................................................................... 12
Conclusione ................................................................................................ 13
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