XXXIII Domenica del Tempo Ordinario Antifona d`ingresso Dice il

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario
Antifona d'ingresso
Dice il Signore:
“Io ho progetti di pace e non di sventura;
voi mi invocherete e io vi esaudirò,
e vi farò tornare da tutti i luoghi dove vi ho dispersi”.(Ger 29,11.12.14)
Colletta
Il tuo aiuto, Signore,
ci renda sempre lieti nel tuo servizio,
perché solo nella dedizione a te, fonte di ogni bene,
possiamo avere felicità piena e duratura.
Oppure:
O Padre, che affidi alle mani dell’uomo
tutti i beni della creazione e della grazia,
fa’ che la nostra buona volontà
moltiplichi i frutti della tua provvidenza;
rendici sempre operosi e vigilanti
in attesa del tuo giorno,
nella speranza di sentirci chiamare
servi buoni e fedeli,
e così entrare nella gioia del tuo regno.
PRIMA LETTURA (Pr 31,10-13.19-20.30-31)
La donna perfetta lavora volentieri con le sue mani.
Dal libro dei Proverbi
Una donna forte chi potrà trovarla?
Ben superiore alle perle è il suo valore.
In lei confida il cuore del marito
e non verrà a mancargli il profitto.
Gli dà felicità e non dispiacere
per tutti i giorni della sua vita.
Si procura lana e lino
e li lavora volentieri con le mani.
Stende la sua mano alla conocchia
e le sue dita tengono il fuso.
Apre le sue palme al misero,
stende la mano al povero.
Illusorio è il fascino e fugace la bellezza,
ma la donna che teme Dio è da lodare.
Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani
e le sue opere la lodino alle porte della città.
SALMO RESPONSORIALE (Sal 127)
Rit: Beato chi teme il Signore.
Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
1
Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene. Rit:
La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa. Rit:
Ecco com’è benedetto
l’uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.
Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita! Rit:
SECONDA LETTURA (1Ts 5,1-6)
Non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési
Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che
il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!»,
allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire.
Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro.
Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre.
Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.
Canto al Vangelo (Gv 15,4.5)
Alleluia, alleluia.
Rimanete in me e io in voi, dice il Signore,
chi rimane in me porta molto frutto.
Alleluia.
VANGELO (Mt 25,14-30)
Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone.
+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi
beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi
partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così
anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un
solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai
consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli
disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del
tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti;
ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato
fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
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Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un
uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono
andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e
raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando,
avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti.
Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello
che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
Preghiera sulle offerte
Quest’offerta che ti presentiamo, Dio onnipotente,
ci ottenga la grazia di servirti fedelmente
e ci prepari il frutto di un’eternità beata.
Antifona di comunione
Il mio bene è stare vicino a Dio,
nel Signore Dio riporre la mia speranza. (Sal 73,28)
Oppure:
Dice il Signore:
“In verità vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera,
abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato”. (Mc 11,23.24)
Oppure:
“Servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco,
ti darò autorità su molto;
prendi parte alla gioia del tuo Signore”. (Mt 25,21)
Preghiera dopo la comunione
O Padre, che ci hai nutriti con questo sacramento,
ascolta la nostra umile preghiera:
il memoriale, che Cristo tuo Figlio
ci ha comandato di celebrare,
ci edifichi sempre nel vincolo del tuo amore.
Lectio
La parabola delle vergini si conclude con un invito a vegliare. Il versetto seguente (inizio del
vangelo di oggi), riprende: “Come infatti”. Ci deve essere un nesso tra le due cose, tra l’invito a
vegliare e la parabola così introdotta. Che cosa significa “vegliare”? La parabola precedente
conteneva già una risposta: sapersi equipaggiare per un tempo lungo. Ma da essa appariva già
chiaro che “vegliare” non è solo stare svegli durante la notte: tutte quelle vergini si sono
addormentate e questo non è un fatto che venga censurato. “Come infatti” allora vegliare? Matteo
continua a porsi lo stesso problema anche nella parabola dei talenti, e la sua risposta è questa volta
che la vigilanza deve ispirare le nostre occupazioni quotidiane.
L’invito all’impegno operoso è presente anche nella prima lettura: l’elogio della donna forte
che conclude il libro dei Proverbi. Il libro ha delineato pian piano l’immagine della persona saggia e
ora raccoglie tutti i diversi elementi nel comporre il ritratto di questa donna ideale: è laboriosa,
misericordiosa verso il povero; ha la sua bellezza nel timore santo di Dio che diventa impegno nelle
opere buone. Non ha bisogno di altre lodi: quello che lei compie è esso stesso una lode sincera.
v. 14:
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Ciò che giustifica la consegna dei beni è la partenza per un viaggio. Ci è dato di vivere la
ricchezza della misericordia di Dio nella consapevolezza che tutto ciò che ci è dato nasce da quella
condizione per cui un uomo è partito per un viaggio. La storia della salvezza ha spesso fatto
riferimento a dei viaggi: il viaggio di Abramo, il viaggio di Mosè con il suo popolo, il viaggio di
Gesù a Gerusalemme. Tutto ciò che siamo non ci deve fare dimenticare che se abbiamo dei doni li
abbiamo in virtù di quei viaggi che nella Scrittura sono viaggi di salvezza. È il modo in cui prima di
tutto Dio, e poi il suo popolo, ci descrivono cosa è racchiuso in quei doni che lui ci ha fatto.
Altrettanto i carismi e quindi i ministeri che vengono esercitati all’interno della comunità cristiana
devono sempre essere esercitati nella consapevolezza di un disegno di salvezza, nella
consapevolezza che devono esprimere un evento di salvezza, anticipato nei grandi viaggi del primo
Testamento e giunti al loro culmine nel grande viaggio di Gesù a Gerusalemme.
v. 15:
La condizione di coloro che si vedono destinatari dei beni dell’uomo che parte per un
viaggio è la condizione di servi. Il servizio è la realtà nella quale esprimiamo in modo sommo ciò
che Cristo ha compiuto nel suo viaggio verso Gerusalemme. In fondo, rispetto al viaggio che Gesù
ha compiuto, la nostra fedeltà per la nostra condizione di servi è ben poca cosa. Ma è una realtà alla
quale il Signore affida un valore immenso se vissuto nella consapevolezza che tutto dovrà essere a
lui reso.
L’inizio della vita è la consegna di un patrimonio da parte di Dio a noi. Quel patrimonio non
ce lo siamo del tutto meritato ed in fondo non appartiene del tutto a noi, perché della vita non
possiamo fare ciò che vogliamo; essa appartiene al Signore ed è un dono che il Signore ci fa.
“A ciascuno secondo la propria capacità”: il termine usato è dynamin: che significa: a
ciascuno secondo quanto può fare. È il talento che mette in condizione le persone di essere
valorizzate. Il carisma non si sostituisce alla persona, ma si incarna. In fondo, è il dono di essere
figlio che dà al figlio di essere figlio, se così si può dire, applicandolo a Gesù. Il termine dynamis è
il termine usato a proposito dell’azione dello Spirito nella Chiesa, la sua potenza. Il dono non si
sostituisce alla persona. Proverei a pensare a una Chiesa nella quale la presenza dei cristiani è
presenza preziosa perché è la presenza di coloro che vengono resi, per il dono dello Spirito Santo,
capaci. La capacità è legata al dono dello Spirito. Ecco allora l’importanza del discernimento dei
doni dello Spirito. La dynamin, allora, è quella capacità non intesa come capienza, ma come quella
condizione che, in virtù del carisma, mette in atto ciò che è, realizza ciò che è. Allora non ci
stupiremmo più del poter mettere in atto la parola da parte dei poveri, se è vero questo.
Chi è Colui che viene e che vuole regolare i conti? Colui che viene è Colui che ha donato. Il
regolamento avviene con Colui che ha donato. Ci si deve aspettare il ritorno di Colui che ha donato.
L’incontro è con Chi ama. Bisogna trovarsi in comunione con Chi ha donato.
Viviamo del dono di Dio e della fiducia di Dio; siamo chiamati a rispondere a Dio con la
dedizione fedele. Non basta non fare il male per compiere il senso della nostra esistenza: bisogna
piuttosto trasformare quello che abbiamo ricevuto secondo i progetti di Dio.
Attendere la venuta del Signore è un atteggiamento che ha un effetto oggi; La nostra vita
deve essere la vita di chi non si lascia sommergere dalle cose, pensando che le cose siano tutto.
Viviamo in mezzo alle cose, ma con quella riserva che sa che la propria vita non è misurata dalla
quantità di cose o dalla quantità di esperienze che riusciamo a fare. Teniamo aperto allora il cuore
alla comunione col Signore, alla visione della sua grazia e del suo amore.
vv. 20-23:
È l’amore e la fedeltà che ha mosso i due servi. Questi si sono impegnati, perché non hanno
avuto paura, hanno saputo amare ed hanno avuto il gusto di poter dare al Signore il patrimonio che
avevano ricevuto arricchito con un di più messo dal loro impegno. Se uno vuole trasformare la
propria vita, deve partire non con un atteggiamento di paura verso Dio, ma con un atteggiamento di
fiducia, deve essere convinto che il Signore lo ami, deve restituire amore per amore. È l’amore che
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ci porterà a fare ciò che piace a Dio, che ci spingerà a trasformare la nostra vita secondo una forma
che sia corrispondente al progetto di Dio.
La logica del regno è dunque questa: all’inizio sta un dono di Dio che esprime la sua fiducia
nell’uomo e la sua attesa; al dono di Dio l’uomo è chiamato a rispondere col suo dono e cioè
utilizzando nel modo migliore tutto quello che ha ricevuto; infine a questo dono dell’uomo
risponderà l’ultimo, definitivo dono di Dio che porta l’uomo nella sua stessa gioia. La ricompensa
per i servi è soprattutto la partecipazione alla gioia del padrone.
v. 24:
Il terzo servo confida di aver agito per paura: paura della durezza e della severità del suo
padrone. È sempre la natura del rapporto con il Signore che determina il comportamento quotidiano.
La malvagità è legata alla pigrizia. Don Dino, il fondatore dei Servi della Chiesa, diceva: “Facciamo
così fatica a viaggiare di notte, a fare le cose di notte, a fare le opere di bene di notte, quando di
notte c’è tanta gente che si dedica a cose che non sono sempre necessariamente buone”.
v. 25:
Di fronte alla giustificazione di chi ha consegnato un solo talento e non gli aveva fatto
portare frutto, il servo dice: “sapevo che tu sei un uomo severo”. Quando il padrone gli risponde, al
v 26, non dice: “sapevi che io sono un uomo severo”, ma dice: “sapevi che io mieto dove non ho
seminato, raccolgo dove non ho sparso”. In fondo, donare vuol dire saper mietere e raccogliere dove
non si è seminato. In fondo, il Signore ci ha raccolto dove non è stato Lui a disperdere. Questa non
è severità. Altrimenti al v 26 Matteo avrebbe ripreso tutta la frase del servo malvagio. Questa,
dunque, non è severità. Questa è benevolenza da parte di Dio. Pensiamo se il criterio delle nostre
chiese fosse la necessità di vivere il rapporto con chi appartiene a fedi diverse, come il vangelo
sottolinea. Cioè, il sapere raccogliere e mietere dove non si è sparso e seminato. Questa non è
severità. È l’atteggiamento di colui che ha donato, di colui che ci ha resi capaci della dynamis, della
potenza dello Spirito. Il rapporto con i popoli dell’Islam dovrebbe essere vissuto proprio in questo
senso.
Appendice
Col padrone di casa (il Signore) indica se stesso. La durata del viaggio è il tempo della
penitenza, durante il quale, sedendo nei cieli alla destra di Dio, ha accordato a tutto il genere
umano il potere di credere e di agire secondo il Vangelo. Ciascuno quindi ha ricevuto secondo la
misura della propria fede il proprio talento, cioè l’insegnamento del Vangelo, da colui che
insegnava. Questo è il bene incorruttibile, il patrimonio di Cristo riservato ai suoi eredi eterni
(Ilario, Comm. a Matteo 27.6).
Non c’è dubbio che quest’uomo, questo padrone di casa, è il Cristo stesso, il quale, mentre si
appresta vittorioso ad ascendere al Padre dopo la Resurrezione, chiamati a sé gli apostoli, affida
loro la dottrina evangelica, dando a uno più all’altro meno, non perché vuol essere con uno più
generoso e con l’altro più parco, ma perché tiene conto delle forze di ciascuno (l’Apostolo dice
qualcosa di simile quando afferma di aver nutrito col latte coloro che non erano ancora in grado di
nutrirsi di cibi solidi, cf 1Cor 3.2). Infatti poi con uguale gioia ha accolto colui che di cinque talenti,
trafficandoli, ne ha fatto dieci e colui che di due ne ha fatto quattro, considerando non l’entità del
guadagno, ma la volontà di ben fare. Nei cinque, come nei due e nell’unico talento, scorgiamo le
diverse grazie che a ciascuno vengono date (Girolamo, Comm. a Matteo 4.22.14).
Badiamo a noi stessi, fratelli, siamo vigilanti. Chi ci restituirà il tempo presente, se lo
perdiamo?… E questo ci accade perché il nostro cuore non è attento; se davvero volessimo lottare
un poco, non dovremmo soffrire né faticare a lungo. Anche se all’inizio infatti occorre far violenza
a se stessi, poi, poco per volta, perseverando nella lotta, si fanno progressi, e alla fine si fa tutto con
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pace, perché Dio vede che ci siamo fatti violenza e ci porge il suo aiuto. Anche noi dunque
facciamo violenza a noi stessi, mettiamoci all’opera, cerchiamo per lo meno di volere il bene,
perché anche se non abbiamo ancora raggiunto la perfezione, già il solo fatto di volere il bene è per
noi l’inizio della salvezza. Perché dal volere giungeremo, insieme a Dio, anche al lottare, e dalla
lotta riceveremo aiuto per l’acquisizione delle virtù; per questo uno dei padri dice: “Versa il tuo
sangue e ricevi lo Spirito”, cioè lotta e giungerai al possesso della virtù. È impossibile, in effetti,
restare sempre nella stessa condizione, si cammina inevitabilmente verso il meglio o verso il
peggio. Perciò chiunque vuol essere salvato non solo deve astenersi dal male, ma deve anche fare il
bene, come dice il salmo: Allontanati dal male e fa’ il bene (Sal 36.27) (Doroteo di Gaza,
Insegnamenti spirituali 104, 133).
Beato il servo che rende tutti i suoi beni al Signore Dio; perché chi riterrà qualche cosa per
sé, nasconde dentro di sé il denaro del suo Signore, e ciò che crede di avere gli sarà tolto
(Francesco d’Assisi Ammonizioni 19).
Paolo, scrivendo a Timoteo, gli prescrive di custodire il deposito (1Tm 6.20). Il deposito è il
contenuto della fede, cioè la parola che ci è stata data mentre il padrone è impegnato in un viaggio
da cui ritornerà solo dopo molto tempo. I talenti affidatici, come testimoniato dal loro immenso
valore, non sono altro che il deposito della parola. “Custodire” può significare anche osservare,
eseguire … Custodire il deposito significa mettere in pratica la parola affidataci, costruendo non
sulla mobile sabbia, bensì sulla salda e stabile roccia (Mt 7.24-27). La parola affidataci infatti non è
lontana, non risiede nei cieli, né al di là del mare, al contrario essa è molto vicina, è nella nostra
bocca e nel nostro cuore, affinché la si metta in pratica (Dt 30.11-14). Per costruire saldamente
bisogna conservare e custodire (come fece Maria) la parola nel proprio cuore e inculcarla nel cuore
dei propri figli.(…) Custodire il deposito significa trafficarlo, custodire il seme significa spargerlo.
La parola tuttavia, come toccò in sorte allo stesso Gesù, può anche venire rifiutata … Attraverso
l’esperienza del rifiuto, l’annuncio della parola viene così anch’esso legato all’economia, secondo
cui bisogna perdere la propria vita per ritrovarla (Mt 16.25); infatti è solo il chicco della Parola
capace di morire quello che riesce a dare molto frutto (P. Stefani, Sia santificato il tuo nome , App.
212-4).
Utilizzare il proprio dono è costruire la comunità. Non essere fedeli al proprio dono è
nuocere a tutta la comunità e ad ognuno dei suoi membri. Perciò è importante che ogni membro
conosca il proprio dono, lo eserciti e si senta responsabile della sua crescita; che sia riconosciuto nel
suo dono dagli altri e renda conto dell’uso che ne fa. Gli altri hanno bisogno di questo dono e
devono incoraggiare colui che lo ha ricevuto a farlo crescere, ad essergli fedele. Seguendo il proprio
dono ognuno trova il suo posto nella comunità. Non solo diventa utile, ma unico e necessario agli
altri. Soltanto in questo modo svaniscono le rivalità e le gelosie. (...) Il dono più prezioso nella
comunità si radica nella debolezza. È quando si è deboli e poveri che si ha bisogno degli altri, che li
si chiama a vivere e a esercitare i propri doni. Nel cuore della comunità c’è sempre il piccolo, il
povero, il debole. Chi si sente inutile, il malato, il morente, chi è malato nelle sue emozioni e nel
suo spirito, entra nel mistero del sacrificio. Con le sue umiliazioni e l’offerta delle sue sofferenze
diventa fonte di vita per gli altri. Per le sue piaghe noi siamo stati guariti (Is 53.5) (J. Vanier, La
comunità pp. 70, 296).
La Parola di Dio di questa domenica – la penultima dell’anno liturgico – ci ammonisce circa
la provvisorietà dell’esistenza terrena e ci invita a viverla come un pellegrinaggio, tenendo lo
sguardo rivolto alla meta, a quel Dio che ci ha creato e, poiché ci ha fatto per sé (cfr S. Agostino,
Conf. 1,1), è il nostro destino ultimo e il senso del nostro vivere. Passaggio obbligato per giungere a
tale realtà definitiva è la morte, seguita dal giudizio finale. L’apostolo Paolo ricorda che “il giorno
del Signore verrà come un ladro di notte” (1 Ts 5,2), cioè senza preavviso. La consapevolezza del
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ritorno glorioso del Signore Gesù ci sprona a vivere in un atteggiamento di vigilanza, attendendo la
sua manifestazione nella costante memoria della sua prima venuta.
Nella celebre parabola dei talenti – riportata dall’evangelista Matteo (cfr 25,14-30) – Gesù
racconta di tre servi ai quali il padrone, al momento di partire per un lungo viaggio, affida le proprie
sostanze. Due di loro si comportano bene, perché fanno fruttare del doppio i beni ricevuti. Il terzo,
invece, nasconde il denaro ricevuto in una buca. Tornato a casa, il padrone chiede conto ai servitori
di quanto aveva loro affidato e, mentre si compiace dei primi due, rimane deluso del terzo. Quel
servo, infatti, che ha tenuto nascosto il talento senza valorizzarlo, ha fatto male i suoi conti: si è
comportato come se il suo padrone non dovesse più tornare, come se non ci fosse un giorno in cui
gli avrebbe chiesto conto del suo operato. Con questa parabola, Gesù vuole insegnare ai discepoli
ad usare bene i suoi doni: Dio chiama ogni uomo alla vita e gli consegna dei talenti, affidandogli nel
contempo una missione da compiere. Sarebbe da stolti pensare che questi doni siano dovuti, così
come rinunciare ad impiegarli sarebbe un venir meno allo scopo della propria esistenza.
Commentando questa pagina evangelica, san Gregorio Magno nota che a nessuno il Signore fa
mancare il dono della sua carità, dell’amore. Egli scrive: “È perciò necessario, fratelli miei, che
poniate ogni cura nella custodia della carità, in ogni azione che dovete compiere” (Omelie sui
Vangeli 9,6). E dopo aver precisato che la vera carità consiste nell’amare tanto gli amici quanto i
nemici, aggiunge: “se uno manca di questa virtù, perde ogni bene che ha, è privato del talento
ricevuto e viene buttato fuori, nelle tenebre” (ibidem).
Cari fratelli, accogliamo l’invito alla vigilanza, a cui più volte ci richiamano le Scritture!
Essa è l’atteggiamento di chi sa che il Signore ritornerà e vorrà vedere in noi i frutti del suo amore.
La carità è il bene fondamentale che nessuno può mancare di mettere a frutto e senza il quale ogni
altro dono è vano (cfr 1 Cor 13,3). Se Gesù ci ha amato al punto da dare la sua vita per noi (cfr 1 Gv
3,16), come potremmo non amare Dio con tutto noi stessi e amarci di vero cuore gli uni gli altri?
(cfr 1 Gv 4,11) Solo praticando la carità, anche noi potremo prendere parte alla gioia del nostro
Signore. La Vergine Maria ci sia maestra di operosa e gioiosa vigilanza nel cammino verso
l’incontro con Dio. (Papa Benedetto XVI, Angelus 13 novembre 2011)
Passi biblici paralleli
Lc 19,11-27. “Mentre essi stavano ad ascoltare queste cose, Gesù disse ancora una parabola perché
era vicino a Gerusalemme ed essi credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un
momento all’altro. Disse dunque: “Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano per ricevere
un titolo regale e poi ritornare. Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele
fino al mio ritorno. Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un’ambasceria a dire:
Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi. Quando fu di ritorno, dopo aver ottenuto il
titolo di re, fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il denaro, per vedere quanto ciascuno
avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: Signore, la tua mina ha fruttato altre dieci mine. Gli
disse: Bene, bravo servitore; poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città.
Poi si presentò il secondo e disse: La tua mina, signore, ha fruttato altre cinque mine. Anche a
questo disse: Anche tu sarai a capo di cinque città. Venne poi anche l’altro e disse: Signore, ecco la
tua mina, che ho tenuta riposta in un fazzoletto; avevo paura di te che sei un uomo severo e prendi
quello che non hai messo in deposito, mieti quello che non hai seminato. Gli rispose: Dalle tue
stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che
non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il
mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi. Disse poi ai presenti:
Toglietegli la mina e datela a colui che ne ha dieci Gli risposero: Signore, ha già dieci mine! Vi
dico: A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici
che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”.
v. 14:
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Mc 13,33. “State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso. È come uno
che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il
suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare”.
v. 21:
Mt 8,11-12. “Ora vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa con
Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle
tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti”.
Mt 19,28-29. “E Gesù disse loro: “In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione,
quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, sederete anche voi su dodici troni
a giudicare le dodici tribù di Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o
madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna”.
v. 23:
Gv 15,11 “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i
comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in
voi e la vostra gioia sia piena”.
Gv 17,24 “Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché
contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del
mondo”.
Gv 14,1-4 “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella
casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto;
quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche
voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via”.
Ef 1,4 “In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo
cospetto nella carità”.
Nella parabola oltre ad essere ribadito (cfr. racconto della vergini) il tema della vigilanza, si
aggiunge il motivo complementare dell’impegno per far fruttare i doni ricevuti da Dio.
Mt 7,21-27 Non chiunque mi dice: “Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la
volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non
abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel
tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di
iniquità. Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio
che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e
si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque
ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua
casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella
casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande”.
Mt 21, 41.43 “Gli rispondono: “Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri
vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo”.
Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare”.
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