Modulo n. 3 - Etica e politica 1) Alcuni chiarimenti terminologici: Morale – Etica a. Morale: il termine sembra ricordi i morsi della coscienza, il rimorso, ed ha a che fare con lo stare bene con se stessi o con la propria coscienza. b. Etica: “quello che è dovuto da ciascuno a tutti” (De Monticelli); ha a che fare con lo stare bene con le altre libere coscienze. c. “Per me la distinzione tra etica e morale è questa: l'etica generalmente riguarda il rapporto con gli altri, la dimensione pubblica, mentre la morale riguarda sostanzialmente la voce della coscienza, il rapporto con se stessi.” (Remo Bodei) 2) “Non vi può essere morale/etica senza libertà e non vi può essere libertà senza verità” a. Come posso chiedermi se quello che hai fatto è bene o male se non lo hai fatto tu? Come posso decidermi su una questione se non mi è data la libera possibilità di pensarla e valutarla? L’etica presuppone la libertà ma molte volte, paradossalmente, è morale violare l'etica. b. Il paradosso consiste nel fatto che se l’etica ha bisogno della libertà, la libertà deve limitarsi e sacrificarsi in nome dell’etica. Abbiamo ricordato che l’etica vuole essere e divenire una scienza prescrittiva o normativa, dunque nel momento che ti prescrivo una regola limito di fatto la tua libertà. c. Posso dirmi libero se quello che ho deciso l’ho voluto veramente decidere, se quello che ho fatto l’ho voluto veramente fare, se la causa del mio agire sono io e nessun altro perché questo avvenga l’io deve venire in chiaro con se stesso deve divenire trasparente a se stesso. Quello che voglio lo voglio veramente perché risultato di una mia intima e profonda convinzione, la libertà presuppone la presenza totale di se a se stessi. La libertà presuppone la verità con se stessi e la verità con gli altri, ricorda che verità (aletheia) è venire alla luce, non nascondimento, svelatezza, chiarezza e trasparenza. d. Se la morale presuppone la chiarezza di se a sé stessi l’etica presuppone la chiarezza e la trasparenza con l’altro, il dire sé stessi all’altro. La chiarezza con l’altro ha nome responsabilità. Questi due aspetti della verità non sono distinti ma uniti. Da Socrate sappiamo che non c’è conoscenza di se stessi senza il confronto con l’altro, il diverso da me. Per conoscer me stesso devo sperimentarmi nei momenti più impegnativi della vita. e. L’altra dimensione della verità è il confronto, la condivisione o in termini religiosi la carità. La verità è sempre il risultato di un confronto dialettico tra una affermazione e una negazione. Se può essere vero che ognuno ha la sua morale questo non significa che non possa esserci il confronto tra morali diverse allo scopo di addivenire ad una etica pubblica. 3) Cartesio e l’etica razionale. a. Il contesto storico e storico-filosofico: il sovvertimento delle verità tradizionali e la ricerca di un criterio stabile e sicuro per individuare nuove verità e certezze (il dubbio e il cogito). b. La filosofia come albero le cui radici rappresentano la metafisica mentre i rami le diverse scienze. L’etica è fondata sulla metafisica. La metafisica dualista che distingue e separa l’anima (sostanza pensante) dal corpo (sostanza estesa). c. E’ dalla metafisica che dovrà essere dedotta l’etica. Il metodo deduttivo e le sue regole: il criterio dell’evidenza. d. Ma, in attesa che si giunga a verità chiare e distinte (evidenti) intorno a ciò che è bene e ciò che è male e dunque ad una morale definitiva, si costruisca una morale provvisoria a partire non da ciò che è bene per tutti e per sempre ma da ciò che è bene per ora e perlopiù. e. In attesa di affidarci alla Ragione ci si affidi alla ragionevolezza: la metafora della casa demolita. f. La regola d’oro consiste nel “fare del proprio meglio” per quanto possibile, ossia nell’utilizzare al meglio la propria ragione, assumendosi la responsabilità delle proprie azioni. Il soggetto morale deve trovare dentro se stesso la regola d’azione che ritiene più ragionevole (soggettivismo etico). g. Le regole della morale provvisoria: ragionevolezza, coerenza e senso del limite. h. Le passioni dell’anima: azioni o volizioni e affezioni o passioni; l’anima agisce e subisce o meglio patisce (passioni); nulla agisce sull’anima più del corpo a cui essa è unita; l’anima è ciò che si serve del corpo e contemporaneamente ciò che serve il corpo nel suo scopo di autoconservare la vita; l’anima può essere signora e serva del corpo così come il corpo può essere signore e servo dell’anima. i. Alle affezioni appartengono le emozioni causate nell’anima dagli spiriti vitali provenienti dalla ghiandola pineale; l’emozione ha lo scopo di disporre l’anima a preservare la vita del corpo indicando alla stessa ciò che deve essere evitato e allontanato da ciò che deve essere avvicinato e desiderato; le emozioni di base sono: la tristezza e la gioia. Le emozioni, essendo spesso contrarie tra di loro distraggono e disorientano l’anima sollecitandola a desiderare un bene e il suo contrario; sottraggono libertà all’anima. j. La guida razionale delle emozioni/passioni. (Stoicismo e mito della biga alata) 4) Il materialismo etico di Hobbes a. Egli critica l’impostazione dualistica di Cartesio. Le idee non sono “l’oggetto dell’intelletto quando l’intelletto pensa” e dunque pensiero (sostanza pensante) ma nascono nel corpo (nulla vi è nell’intelletto se prima non è passato attraverso i sensi empirismo) e sono del corpo che unico esiste. Le idee sono i movimenti e i mutamenti che le cose provocano nel nostro corpo (nei diversi organi del nostro corpo) venendo a contatto con esso. Metafisica monista e materialista. b. Questi mutamenti e movimenti sono l’unica causa delle nostre volizioni e delle nostre scelte. E’ la legge naturale e fisica alla quale obbedisce il nostro corpo ad essere sovrana circa le nostre deliberazioni. Scompare il libero arbitrio e scompare la responsabilità. c. Non c’è nell’uomo libertà di volere (determinismo materialista), ma solo libertà di fare; posso cioè utilizzare la ragione per individuare le strategie migliori per soddisfare i miei desideri, ma questi ultimi non posso sceglierli. In questo senso la ragione è al servizio della passione. La ragione è il mezzo (migliore ?) con il quale perseguiamo i fini posti dalla natura. d. Le motivazioni del nostro agire sono esclusivamente materiali. Bene è ciò che piace e che procura diletto – e dunque ciò che si desidera – male è ciò che dispiace e che viene evitato. (Vedi Pascal- testo 1-2-3 pag. 125-127 – L’uomo desiderio frustrato; l’insufficienza della ragione sia essa pura o no a fondare l’etica) e. La vita sarebbe una guerra continua tra volontà che perseguono ognuna il proprio utile se non ci fosse lo Stato (Leviatano), una forza più forte delle forze corporee che ci governano. L’uomo non è un animale socievole. (vedi Locke) 5) L’Etica di Spinoza: L’etica dimostrata secondo l’ordine geometrico a. Anche in questo caso dobbiamo partire dalla metafisica monista che riduce tutto all’unica sostanza che è infinita ed eterna: è Dio la Natura di tutte le cose; tutto ciò che è, è in Dio e tutto ciò che è non può esistere fuori dal rapporto con Dio; ne consegue che da Dio deriva necessariamente tutto e che la vita del tutto deriva necessariamente dalla vita di Dio. Siamo ancora liberi? b. La differenza tra pensiero ed estensione è interna stessa a Dio (due dei suoi infiniti attributi). Noi ignoriamo che cosa sia veramente la sostanza ma sappiamo che i singoli corpi e i singoli pensieri sono modi o affezioni (proprietà) della sostanza; sono l’effetto della causalità divina. c. La Sostanza Dio è perfetta e dunque non può volere qualcosa di altro da sé perché in tal caso mancherebbe di qualcosa e dunque sarebbe imperfetta. Dunque i pensieri e i voleri di Dio non sono relativi a ciò che non è Dio. Dio pensa a se stesso e non all’uomo; Dio non può agire diversamente da come agisce; la realtà non potrebbe essere diversa da come è; l’essere e il dover essere in Dio coincidono. d. Il volere di Dio che è il volere della natura ha deciso che la vita fosse al tempo stesso molto preziosa e molto precaria pertanto doveva essere conservata al meglio. Spinoza parla di un conatus, di uno sforzo, di una tensione propria d’ogni ente a persistere nel proprio essere. Tale conatus si traduce, per il corpo, in appetito e, per la mente, in volontà. Nel caso dell’uomo, poi, tale conatus lo spinge a vivere secondo quanto di più alto vi è in lui, ovvero secondo ragione. e. Bene è ciò che permette ad ogni essere di raggiungere una “maggior perfezione” funzionale alla conservazione di sé stesso e che Spinoza identifica con la gioia. Tale sforzo deve perfezionarsi per conseguire forme di conservazione sempre migliori: il livello più basso di conservazione è quello regolato dai desideri individuali, il livello più alto dalle relazioni di cooperazione e competizione sociale. f. “Bene e male non sono valori assoluti; una cosa è buona soltanto perché, corrispondendo al nostro bisogno, diventa oggetto del nostro appetito” (D. Massaro) g. La passione (affetto = a differenza delle azioni sono ciò di cui non siamo causa adeguata) non deve essere repressa ma compresa ossia illuminata dalla ragione, conoscendole si possono controllare e l’uomo può divenirne responsabile (è l’unico margine di libertà che ci è concesso). Il saggio è colui che sa accettare con tranquilla beatitudine il suo essere parte di un tutto perfettissimo e necessario. Il saggio non reprime i propri desideri ma sa coordinarli in vista del perfezionamento di sé. L’etica da prescrittiva diviene descrittiva tendente a comprendere le azioni e le passioni senza condannarle né giudicarle. h. “Agire per virtù è agire sotto la guida della ragione, e tutto ciò che ci sforziamo di fare con la ragione è comprendere, e perciò il sommo bene di coloro che seguono la virtù è conoscere Dio, ossia il bene comune a tutti gli uomini e che da tutti può essere ugualmente posseduto in quanto sono della medesima natura” (Spinoza, Etica) i. Il sommo bene dell’uomo (la sua beatitudine) consiste nella conoscenza di Dio. j. Nello stato di natura l’uomo di Spinoza è molto simile a quello di Hobbes:ogni uomo, impegnato ad affermare il proprio essere si scontra con il suo simile. k. Ogni uomo cerca il proprio utile e all’uomo niente è più utile dell’uomo stesso o meglio dell’unità e della concordia degli uomini tra di loro. La vita in comune è di gran lunga preferibile a quella solitaria. Il fine dello Stato è quello di fare le leggi e chiederne con la forza l’obbedienza al fine di garantire la pace e la sicurezza di tutti ma lo Stato non può sopprimere le libertà di pensiero e di espressione degli individui. l. “Vige il principio secondo cui l’individuo, pur essendo inserito in un sistema rigidamente deterministico, conserva la propria libertà” (D. Massaro) m. Con metodo deduttivo si derivano tutte le passioni a partire dall’appetito e dalla cupidità (vedi pag. 155) 6) Hume: etica della simpatia a. Come per Hobbes anche per Hume la passione è sicuramente più forte della ragione: la ragione è, e deve essere, schiava della passione. b. L’uomo è visto nella sua naturalità, non ha un fine o un progetto che deve perseguire; il dover essere è l’essere stesso. Non esistono verità oggettive, necessarie ed universali e dunque non esistono valori universali ed eterni; l’empirismo si è trasformato in scetticismo e la scienza è risultata fondata sull’abitudine e la credenza; i giudizi morali si formano sulla necessità di assicurare una ordinata convivenza civile. (vedi la legge di Hume) c. Pertanto lo scopo dell’uomo come quello degli altri organismi è di vivere e di vivere bene ma a differenza di Hobbes per Hume l’uomo non è naturalmente egoista ed egocentrico. d. La natura ha predisposto l’organismo umano di emozioni e sentimenti, prima ancora che di ragione, per perseguire il proprio bene. Tra questi sentimenti spicca la simpatia. e. Anche nel caso di Hume la ragione, la coscienza non sono fine ma mezzo per una vita migliore. f. Simpatia = “generoso interesse” per l’umanità; sentimento di spontanea benevolenza nei confronti degli altri uomini che consente il costituirsi di quelle virtù artificiali che vanno sotto il nome di giustizia, lealtà, ecc… (vedi neuroni a specchio) g. Hume va ricordato anche per quella che viene spesso citata sotto l’etichetta di “legge di Hume”, secondo la quale non è lecito passare dalle descrizione di fatti a prescrizioni moralmente vincolanti; dall’essere al dover essere. Questo significa che il darsi di fatto di determinate situazioni più o meno piacevoli non autorizza, di per sé, a dedurre da tali dati di fatto prescrizioni (ovvero norme di comportamento, massime del tipo “si deve”) morali. Il ben e il male si giudicano sulla base di criteri empirici. Le azioni sono buone o cattive se recano danno agli altri e non in base a principi universali e necessari. h. In politica Hume è convinto che il contratto razionale sia necessario ma non sufficiente a fondare uno Stato; ogni patto deve essere preceduto dal sentimento di fiducia che unisce gli individui stessi. Se non ci si fida, cioè, se non ci si affida a quel sentimento naturale di fiducia tra gli uomini nessun patto avrà mai valore ed efficacia. Enzo prof. Piemontesi