ALESSANDRO MAGNO a TILOS - La Beccaccia Scientifica

ENRICO CAVINA
ALESSANDRO MAGNO
a
TILOS
Un romanzo storico tra Storia , leggende , miti
e fantascienza – Scritto a TILOS nel 2005 -
N.B. Pur scritto nel 2005 , la stesura dattiloscritta , l’impaginazione e le illustrazioni sono state
redatte in questo Testo definitivo nel 2016 .
PREFAZIONE
Ebbene sì ! E’ proprio così , come ha scritto Wilbur Smith nel suo romanzo “ Il
potere della spada “ (1986 ) “ Scrivere un libro è un’impresa solitaria – disse –
come gridare nella notte , senza nessuno che ti oda o ti risponda “ .
Questo libro nasce proprio con questa sensazione ,tenuta dentro, e nasce anche come
una divagazione culturale dell’Autore , il sottoscritto , che vive a Tilos – piccola
isola del Dodecanneso nel Mare Egeo in Grecia – per oltre metà dell’anno , anche
per questo anno 2005 .
Per chi si trova in questa splendida isola così vicina a tante altre isole e siti ricchi di
Storia antica , viene spontaneo chiedersi : “ ma qui cosa è successo nei vari momenti
della complessa Storia della Grecia classica , che poi in fondo in fondo è la Storia
della nostra Civiltà ? Chi è passato di qui dei grandi personaggi dell’antichità ?
Alcuni o nessuno ? E chi è passato cosa potrà aver fatto qui in questo luogo ?
Quante tragedie e quanti momenti gloriosi o nefandi qui si sono consumati ? “
Più in particolare quando nelle belle giornate dopo una bufera di Meltemi , il sacro
vento dell’Egeo, si vede nitida come a toccarla la costa turca , ecco allora viene da
domandarsi cosa è successo nel tempo in questo braccio di mare , perché dall’altra
parte sono ancora splendide le rovine – in buona parte ancora inesplorate – di
Cnidos
grande città greca , Cnidos , che fu culla di grandi nomi della cultura ellenistica , e lì
anche si svolse nel 349 a.C. una battaglia navale cruciale per la Storia della Grecia
e quindi anche dell’Occidente .
Quando poi si affonda l’interesse , o anche solo la curiosità, più nelle profondità
della Storia , si rimane affascinati da tanti episodi ed eventi ,dalle storie di tanti
uomini e condottieri,da aneddoti,dalle credenze mitologiche,dalle leggende,dai
conflitti interni ed esterni,politici e militari,che hanno via via segnato il destino delle
Civiltà d’Occidente di allora , un destino contrapposto al prolungato tentativo di
sopraffazione che veniva , con i Persiani,dalle Civiltà d’Oriente.
Sì, è proprio così: l’eterno conflitto tra Oriente ed Occidente ! Poi ecco che qui viene
in mente la breve ma intensa , gloriosa e pur contraddittoria vicenda di Alessandro
Magno il Macedone , condottiero e personalità affascinante - se pur discussa – che
da queste parti di certo passò nel lungo viaggio verso le conquiste dell’Oriente : il
capolavoro della sua breve vita .
Più lontano , molto più lontano nel tempo dei millenni,scopriamo anche frammenti e
briciole di Storia del primo popolo che colonizzò questa isola : i Telchini , la cui
cultura rimane avvolta di mistero e - così si tramanda nei secoli – ricca di pratiche
magiche non disgiunte dalla conoscenza di saper fondere e modellare leghe
metalliche in varie forme di utilizzo . Avvenimenti e leggende di questo popolo venuto
dal sud e qui certamente insediatosi nell’epoca pre-minoica nel periodo tra 2000 e
3000 a.C.. Nei quartieri di shopping di Rodi , c’è un negozio titolato “ I Telchini” .
Così quindi , con queste poche conoscenze e qualche non facile approfondimento
storico mi è capitato di lasciar vagare la fantasia , fantasia e romanzo , miti e
leggende e ricerca storica . Ne è nata questa storia che scorre via via per gli
avvenimenti che accompagnarono Alessandro Magno nel suo viaggio , durante le sue
soste e battaglie e prima ancora di proseguire da qui verso l’Oriente
sconosciuto.Con “Lui” e dopo di lui s’intersecano molte leggende e molte cose vere :
è straordinario , ma alcune leggende ancora trovano – tramandato nei secoli – un
vivace e creduto ricordo nei racconti di alcuni vecchi abitanti di questa isola , Tilos .
Seguendo quindi il filo della logica e della cronaca storica – nonché forse molto di
più il filo della fantasia , o addirittura della fantascienza non disgiunta dalla
discussa positività delle Ricerche di Zecharia Sitchin ( www.sitchin.com ) – ci è stata
data l’occasione di approfondire la ricerca dei dettagli storici navigando in mezzo ad
un grande mare di notizie e di informazioni ben reperibili su tanti siti di Internet.
Molto , moltissimo ci ha affascinato il fatto – tra l’altro nemmeno conosciuto dalla
gente dell’isola – che dopo il viaggio di conquista di Alessandro e dei suoi Capitani
ed Ammiragli ( Niarchos il Cretese in primis ) sino alla penisola Arabica , un’isola
del Golfo Persico , l’attuale Bahrain ( antica Dilmun , vedi Wikipedia ) fu anche
chiamata Tylos o Tilos . Ed ancora più affascinante e misterioso è il rapporto che
esisteva tra la Civiltà Sumerica , che lì - nell’odierno Iraq e dintorni – si era
sviluppata , e la Civiltà dei Telchini : i Telchini da lì migrarono verso l’attuale Egitto
e poi Creta e poi verso il Mar Egeo , a Rodi e sino appunto a Tilos , dove per certo
una comunità di Telchini si stabilì.
Per il Lettore che vorrà benevolmente abbandonarsi nella lettura di questa nostra
storia , raccomandiamo che lo faccia senza nessuna pretesa di trovare dati
propriamente e rigidamente scientifici-storiografici . Ma al nostro Lettore dobbiamo
anche dare alcune giustificazioni ed informazioni .
- La RICERCA STORICA che forse ingiustamente abbiamo anche definito come
possibilmente noiosa , è stata condotta consultando numerose fonti tratte da
siti del Web dedicati alla storiografia scientifica . Tuttavia per un esperto sarà
inevitabile trovare errori ed a volte contraddizioni , quali elementi fisiologici
per un dilettante come appunto l’Autore.
- La DATAZIONE STORICA – per rendere l’evoluzione cronologica più
comprensibile ad un Lettore di oggi – viene riferita con gli anni a.C o b.C (
ante- o before Cristo ) riportati in numero “crudo” quindi senza aggiungere
appunto a.C o b.C , poiché tutta la vicenda di Alessandro Magno si svolge
ampiamente “prima di Cristo” . Solo per esempio : la battaglia navale di
Cnidos si svolge nel 394 ( che è ovviamente a.C) e la morte di Alessandro , più
vicina a noi , avviene nel 323 ( che è ovviamente a.C.) . Per dovuta
precisazione dobbiamo anche ricordare che tutta la storiografia Greca antica
( ad esempio Erodoto e Tucidide ) ha sempre una datazione costruita sugli
intervalli ( quattro anni ) tra le Olimpiadi : ad esempio Alessandro sbarca in
Asia nell’anno terzo della 103° Olimpiade il che corrisponde al 334 a.C.
- I NOMI delle persone , degli Dei e quant’altro della Mitologia , nonché i nomi
delle località potranno molto variare secondo influssi linguistici , dialettali ,
etimologici e per via di diverse tradizioni locali variamente tramandate .
D’altronde è così per tutte le indagini storiche e soprattutto mitologiche . Per
esempio il nome stesso di Tilos viene spesso anche indicato come Tylos e Telos
.; Poseidone che è il Dio del mare è anche chiamato
Enalios,Ippios,Thalassios,Pelagios e così via . Per indicare la località spesso
si è preferito citare il nome “moderno” anziché quello antico , così può essere
più facile per il Lettore l’orientamento geografico : ad esempio diciamo
Dardanelli anziché Eliosponto . Comunque per qualsiasi incertezza di lettura
invitiamo a consultare specificatamente Wikipedia o lo stesso Google .
Bene . Quello che andate a leggere è in fondo solo un romanzo , o “romanzetto” se
volete . Quindi ripetiamo a voi Lettori , per mettervi bene sull’avviso : qui non c’è
alcuna pretesa letteraria storiografica nel senso propriamente scientifico della
ricerca cronologica e dell’interpretazione degli avvenimenti . Qualsiasi Storico come
tale , potrebbe forse inorridire o ridere di fronte alle inesattezze qui eventualmente
riportate . Ma si sa …., le stesure romanzate della Storia o delle leggende storiche
sono piene d’inesattezze od errori . Ma queste inesattezze , per essere benevoli ,
adattandosi qua e là alle realtà storiche rendono forse più piacevole – per il Lettore
comune – il racconto propriamente storico . Quindi in definitiva l’interpretazione dei
periodi storici qui riportati , è un’interpretazione libera , molto e forse troppo libera ,
della Storia , per quanto riguarda le vicende di Alessandro Magno .
Ma tant’è così ci è piaciuto , per quella che abbiamo chiamato una nostra libera e
fantasiosa divagazione culturale .
Se il Lettore vorrà , potrà perdonarci .
Eventuali contatti con l’Autore a : [email protected]
CAPITOLO I
Alicarnasso , Cnidos , Tilos : il prologo
Scrutava il mare , Alessandro , là sulle rocce scintillanti d’oro , quell’oro evanescente
e caldo che il sole ormai quasi al tramonto spandeva sul mare dell’Egeo così tremulo
sopra i suoi profondi azzurri e cupi fondali custodi di miti e leggende nel dominio
del dio Poseidone che laggiù dicevano albergasse . Rocce scintillanti
d’oro…..quell’oro stesso che impreziosiva i biondi riccioli di Alessandro appena
scomposti dal vento .
Era l’anno terzo dalla 103° Olimpiade ( 334 a.C.) .
La primavera “asiatica” era trascorsa svelta ed impetuosa per Alessandro e per i suoi
Generali e compagni , e per le sue amate truppe, nei giorni dopo lo sbarco in Asia : la
lancia conficcata nel suolo della costa Asiatica e lanciata dalla prua della sua nave
ammiraglia , poi lo sbarco ad Abydos , la visita reverenziale ed emotivamente
sofferta sulla tomba di Achille –emblematico eroe di tutto il suo “essere”- davanti alle
rovine di Troia ,l’attacco folle e vincente contro l’esercito Persiano guidato da
Memnone di Rodi , mercenario dei Persiani ,schierato e là travolto al di là del fiume
Granico ,e là Clito lo aveva salvato –Alessandro- proprio quando ferito stava per
essere ucciso dalla scimitarra di Spitridate scimitarra che volò in aria insieme a tutto
il braccio del Nobile Persiano tranciato dal fendente di Clito ; poi la repressione truce
ed implacabile sui mercenari Greci che mercenari avevano servito Dario , e dopo la
sorprendente resa di Sardi , la caduta di Efeso,la rapida discesa per le valli boschive
del Regno di Caria ,e l’incontro con la Regina Ada ,la rapida caduta di Mileto
grazie alla flotta piccola ed efficiente al comando di Niarco il Cretese che aveva
saputo bloccare con abile strategia navale l’accesso alla più grande flotta Persiana .
Emozioni tutte : orgoglio,coraggio,paure ed emozioni affastellate nella mente e nei
ricordi così ancora vivi del Condottiero appena all’inizio della sua avventura in Asia .
Emozioni quasi trasportate dal vento .
Ed ora ecco che il vento dolce e caldo dell’estate Anatolica scendendo al mare
sventagliava appena la tunica di lino bianco , striata di preziosi luccicanti ricami
d’oro , la tunica che avvolgeva la figura del piccolo grande giovane Conquistatore in
piedi sulle rocce di granito subito fuori dalla sua tenda grande ed ordinata che
spaziava al mare ,davanti , e dietro allo sterminato accampamento di mille e mille
tende del suo amato Esercito , brulicante di uomini ed anime trasportate sin lì dal suo
carismatico sogno di conquista .
Il sole iniziava ormai a tramontare deciso giù verso l’isola di Kos ad occidente , ed
ancora illuminava splendente la costa tutta del grande golfo dove laggiù alla punta era
Cnidos , città culla di grandi uomini del pensiero e dell’arte , città greca nello spirito
e nella cultura ; e più in là appena s’intravedevano i profili delle piccole isole di
Nissiros e di Tilos. Il mare era calmo e liscio sotto costa e solo più ad occidente
appariva ora appena increspato dai tremuli luccichii riflettenti il tramonto rosso del
sole .
Alessandro viveva in quel momento una sua intima pausa di pace interiore .
I riccioli d’oro ribelli appena scesi sul volto perfetto , impreziosivano l’intensità del
suo sguardo profondo teso a scrutare un suo solo ed immaginario orizzonte virtuale ,
ed era appena più cupo quando si volgeva là oltre –ai due promontori sopra il porto –
dove sorgeva la città di Alicarnasso e lì tra le mura e le torri imponenti della cittadella
si erano asserragliati i resti dell’esercito Persiano con il suo satrapo Orontobate ormai
dipendente solamente dal genio militare di Memnone il Rodiense – uno straniero
mercenario quindi – e dai Comandanti Ateniesi anch’essi mercenari Efialte e
Trasibulo .
Alicarnasso era di fatto già ai suoi piedi , e ormai attendeva rassegnata la sua fine .
Era la città ultima roccaforte dell’egemonia Persiana sulla costa Anatolica e pur
“Greca” così come appunto Alessandro la sentiva .
Quella sera al tramonto , quello era un momento di riflessione del giova Re : lui che
aveva vissuto la sua adolescenza tra gli aspri paesaggi della Macedonia e le albe ed i
tramonti nebbiosi delle paludi intorno a Pella , era lì attonito di meraviglia e di
stupore e rispetto di fronte allo splendore del mar Egeo , del suo cielo e del suo sole ,
e del divino senso di sacralità che solo Poseidone poteva aver sparso di fronte a lui ,
lui piccolo grande uomo già ora egli stesso travolto dalle sue intime contraddizioni di
coraggio e timori , di violenza e di sentimenti di bontà, già travolto forse da un divino
destino .
Era vero quello che gli aveva detto Aristotele quando egli ancora tra l’adolescenza e
la prima maturità apprendeva dal Maestro razionalità e poesia , storia e filosofia ,
scienza e rispetto dell’arte , analisi e pragmatismo : “ Vedrai , mio Principe e giovane
futuro Re , un giorno ti troverai di fronte all’immensità del mare e della sua luce , la
dove io stesso vissi anni di ascetica ispirazione per comprendere meglio il senso della
nostra Ragione ,il senso della Natura e dei suoi elementi e degli animali , il rispetto di
grandi valori dell’animo e della nostra ragione sempre più tesa ad indagare l’ignoto
per esaltare la grandezza stessa dell’Uomo pur devoto agli Dei . Allora - - era sempre
questo il ricordo di Aristotele che parlava – ero a Mitilene nel mare Egeo . Ricordati
Alessandro ed anche tu Efestione : la bellezza della natura e dei suoi scenari ci aiuta
a trovare la strada del raziocinio e trasportare noi stessi nelle verità sacrali e
fideistiche dei nostri Dei e di chi essi han portato a noi “
Così gli aveva parlato Aristotele , allora lui Alessandro , il figlio del Re Filippo ,
poco più che adolescente .
E lì ora di fronte a quello stesso mare e di fronte alle sue grandi responsabilità di Re ,
Alessandro provava un senso trascendentale quasi presago di divinità in terra .
La brezza di terra , man mano che il sole scendeva all’orizzonte , si era appena
rinforzata e portava al Re il vociare allegro dei suoi soldati che si adoperavano
intorno ai fuochi dei bivacchi . Là gli addetti giravano spiedi succulenti ed odorosi , e
mestoli enormi schiumavano i vapori di zuppe in enormi pentoloni e il vino ricco di
sapori di resine selvatiche , il vino scorreva a fiumi .
Le truppe , i suoi uomini vivevano l’esistenziale godimento fisico che precede il
riposo nel mistero dei sogni della notte.
Davanti e dentro di Lui , il Capo , era l’immensità dei sentimenti , ammantati dalla
bellezza della natura e del paesaggio . Dietro di Lui la realtà prosaica e pragmatica
della vita esaltata dei soldati e delle loro violenze passate e future . E di Lui stesso.
Si girò Alessandro verso l’ingresso della sua tenda Reale : a lato garrivano ,
splendenti nel sole calante , i vessilli suoi e dei suoi Generale e Comandanti .
I paggi erano accoccolati a terra rispettosi ed affascinati anch’essi dall’intensità del
momento ; più avanti sulle rocce erano i suoi più fidati Generali ed amici.Il suo
sguardo incrociò tra tutti ,come sempre , lo sguardo di Efestione il suo vero ed
assoluto amico ed amore , l’alter-ego di vita e di sentimenti , PhiloAlexandro come
era uso chiamarlo sempre il Re che dalla profondità trascendente della sua amicizia
teneva tutto come intimo tesoro .
Così gli parlò Alessandro :
“ PhiloAlexandro , Efestione tu ben m’intendi di quanto tutto questo avanti a noi mi
trasporta al ricordo degli insegnamenti del nostro Maestro Aristotele . La sua realtà
virtuale – ora concreta pienamente esistenziale - è qui tutta davanti e dentro di noi . “
“ E’ vero , mio Re e Principe del mio animo , credo Tu debba abbandonarti
completamente ai sensi sacrali e divini di questo momento baciato dai misteri del
destino . Poi certo troverai tutta la forza infallibile della Tua razionalità e della Tua
capacità di decidere per le cose più pratiche da farsi . “
“ Hai sempre ragione mio PhiloAlexandro tu entri nel mio cuore e nella mia mente
con tutta la tenerezza dell’animo tuo.
Guarda….guarda anche tu laggiù verso Cnidos e Nissos e Tilos .Vorrei andare
laggiù….vorrei . Ma questo lo vedremo più in là.
Ora – e si rivolse a tutti generali e comandanti – ora miei prodi , prima che il nettare
dionisiaco del buon vino ed il piacere del cibo serale offuschino il nostro raziocinio ,
ritiriamoci nella tenda del Consiglio e programmiamo con cura le nostre future
strategie .
Alicarnasso cadrà , Memnone ed i Satrapi Persiani e gli Ateniesi mercenari saranno
sconfitti , la Caria e tutto più in là ad Oriente sarà nostro per il bene delle nostre
civiltà : il bene non di una civiltà sola ma anche di quelle d’Oriente e dovremo
trovare il modo di unirle , ora e per i secoli futuri.”
“ Vita e gloria al nostro Re !! “ esclamarono tutti insieme i Comandanti , ed i paggi
già si affrettavano a stendere i tappeti e porgere piatti di frutta e le essenze a
rinfrescarli , mentre altri attizzavano piccoli bracieri da dove fumi di profumato
piretro si spargevano a difendere dagli insetti della sera .
Il piccolo corteo dietro al grande Capo , ora più amichevolmente vociante , si avviò
verso una grande tenda subito a lato di quella più suntuosa del Re . Grandi cuscini
con ricami multicolori sopra pelli lucidissime erano disposti intorno ad un grande e
basso tavolo di forma ovale . Nel centro ben disposto sopra una decina di grandi
magnifici tappeti , fresco bottino di guerra dei palazzi dei Satrapi nelle città da poco
conquistate , era un plastico di argilla e di sassi e di legni e di canne con i quali i
topografi dell’Armata avevano perfettamente raffigurato la situazione del campo di
battaglia ,del porto e della cittadella con le sue mura e porte e torri .
La dettagliata programmazione dei piani d’attacco derivava per paradosso storico
dagli antichi insegnamenti di Memnone il Rodiense , sì proprio l’assediato di ora ,
quando per un anno era stato esule alla corte di Filippo , il padre di Alessandro ,
affascinando anche lui allora ragazzo .
Lì ora si sarebbero decisi i tempi ed i modi per concludere – si sperava possibilmente
al più presto – l’assedio di Alicarnasso.
Si sa che Alicarnasso era considerata una delle più belle città del mondo ellenico e
che era stata fondata dai Dori e lì era nato Erodoto ( 484 a.C.) il padre della
Storiografia . Questa città nata dall’unione di 20 villaggi era pregnante di storia e di
avvenimenti e di opere di grandi uomini e donne : Alessandro aveva coscienza di ciò.
La città aveva vissuto lo splendore politico dell’ “esapoli” Dorica con
Kos,Cnidos,Lindos,Kamirus e Ialissos ,queste ultime le tre città di Rodi . Alicarnasso
ospitava una delle sette meraviglie del mondo di allora , la monumentale tomba che
prese il nome dal suo ideatore lì sepolto , Mausolo,satrapo dell’impero Persiano la cui
sorella Ada era a lui succeduta come Regina della Caria ed Alessandro la aveva da
poco incontrata .Quella tomba imponente diede il nome alle più grandi tombe del
mondo intero e da lì all’eternità : fu chiamata “Mausoleo” .
Alessandro sapeva anche che prima di avanzare oltre,nell’Anatolia,doveva
sconfiggere definitivamente quel baluardo militare che era la cittadella di Alicarnasso
con le sue imperforabili mura e torri che costituivano il Tripollion , e del quale il
punto più famoso e resistente era la Porta di Myridas dove si consumarono poi
attacchi e sconfitte anche per i suoi soldati .
Quella sera di fronte al modellino in argilla ,miniatura eccellente del campo di
battaglia stesa sul grande tavolo della tenda del Consiglio di Guerra ,
le discussioni ed i pareri dei suoi Generali diedero a tutti coscienza delle difficoltà
che avevano davanti a loro.Là dentro le mura era lo stratega Memnone . Durante in
Consiglio tutti guardavano e scrutavano il volto e le espressioni del loro Re che
sempre aveva dimostrato impeto e genio istintivo per le azioni di guerra.
Ebbene quella volta invece scoprirono lineamenti sereni , disposti a più pacate
riflessioni di strategia anche politica . Quella sera capirono che in Alessandro non
c’era solo la violenza istintiva del genio militare : il suo carisma aveva forza e
costrutto in una più ampia visione dell’impresa di conquista di terre e di nuove
culture cui si accingevano .
L’incubo Persiano era stato paurosamente incombente sul mondo Ellenico troppo
spesso scomposto nelle diatribe interne – politiche,istituzionali,territoriali e militari –
tra Atene e Sparta e tra i grandi e vari Regni Ellenici inclusa la sua Macedonia , ed
ora lui il “barbaro” giovanissimo Re Macedone , plasmato dal classicismo
aristotelico, avrebbe saputo rigettare ad oriente per sempre quell’incubo delle
Dinastie Persiane e dei loro Satrapi.Ma al tempo stesso avrebbe condotto – illuminato
dalla forza della sua “divinità”- uno sforzo concreto di riconciliazione tra la cultura e
la potenza di occidente con l’altra odiata cultura d’Oriente .
Questo intendimento era stato di certo nel suo animo già quando poco tempo prima
preparava l’invasione dell’Asia , con una visione più politica e culturale – se pur
utopica – che non solo “ barbaramente “ militare quale era stata per suo padre
Filippo II di Macedonia . Dopo lo sbarco in Asia tutto era andato avanti velocemente,
e per il meglio, esaltando lo spirito militare del suo esercito e dei suoi alleati: tutti i
suoi generali avevano acquisito, riconosciuti, i meriti di imprese militari e di
conquista.
Ora forse per la prima volta, egli, il Capo supremo, doveva sedare gli altrui impeti
militari che nei suoi, e doveva iniziare a far intendere a latere di una o mille conquiste
di territori, si dovevano anche concertare conquiste – pur insidiose – politiche e
culturali.Gli sguardi dei suoi Capitani e dei suoi amici fidati rivelavano il primo dei
loro desideri “battaglia chiama battaglia e.. quando? Quanto più presto che sia!”.
Ancora una volta gli occhi splendenti del re incrociarono la coinvolgente serenità
dello sguardi di Philo-Alexandro, poi il Re alzò lo scettro e tutti zittirono intorno a
lui.
“Signori, amici miei, comprendo il vostro desiderio, che – in fondo in fondo – è
anche il mio, di liquidare subito questa faccenda con Memnone e i comandanti
mercenari Ateniesi – dei quali non voglio fare nemmeno il nome per la nefandezza di
cui si stanno coprendo, espletata poi contro tutti i desideri del mondo ellenico – e con
il satrapo Persiano Orontobate. Ma le notizie che abbiamo sulla solidità delle mura
della cittadella e sulla capacità di resistenza e di provvigioni all'interno del baluardo
persiano, devono far riflettere per non rischiare perdite troppo grandi. E
compromettere qui tutta la nostra grande futura impresa in Asia.
Dobbiamo poi considerare – così proseguì Alessandro – che la nostra piccola flotta
così mirabilmente comandata da Niarco nella conquista di Mileto, potrebbe fare
molto poco se, per qualche sciagurata occasione di nostra difficoltà, la grande flotta
Persiana, oltre 30 navi, potesse uscire dal porto della città e dalle baie nascoste che
sono lungo la costa e ben sappiamo dai nostri informatori che sono si rifugiate ma
anche pronte a sferrare l'attacco. Se pur sappiamo che tutte le città elleniche della
costa anatolica e delle isole si sono ribellate ai satrapi persiani – e questo avvenne
subito alla notizia del nostro arrivo liberatorio – sappiamo anche che Cos,qui davanti
a noi, isola più grande e ricca e piena di scorie alimentari, è ancora soggetta al
comando Persiano. Allora noi dobbiamo prepararci ad un elastica strategia di assedio
e di logoramento delle forze resistenti all'interno della cittadella. I nostri ingegneri
sapranno costruire sempre miglior macchine di assalto alle mura ed alle porte, la
nostra artiglieria migliorerà le sue gettate. Questa esperienza dovrà aiutarci anche per
il futuro quando dovremo procedere verso le grandi città interne d'oriente. Ma prima
qui noi dobbiamo dimostrare tutta la nostra forza capace di sfondare ogni resistenza.
Ora pur senza intaccare lo spirito battagliero e l'impeto vostro e delle nostre truppe
dobbiamo concedere riposo ai nostri soldati e nello stesso tempo ogni comandante
dovrà adoperarsi a studiare piccole azioni di attacco e disturbo, di guerriglia in più
punti delle mura. I comandanti dovranno coordinarsi tra loro senza mia
compromettere il senso e la capacità offensiva militare di ogni battaglione, come dire
l'unità dell'esercito. Agiremo come tante piccole fastidiose punture di zanzare,
tenendo continuamente sotto pressione il nemico. Gli arcieri avranno il loro da fare.
Intanto la nostra organizzazione di spie – così com'è stato a Granico – saprà come
stimolare ripetute condizioni di panico all'interno della cittadella. La nostra flotta
impedirà altri rifornimenti da Cos, e se la flotta Persiana tenterà di uscire dal porto, di
certo si saprà fermarla.
Questo tempo di attesa dovrà anche consentire il riposo dei nostri soldati dopo le
battaglie da Granico in giù. I nostri medici e chirurgici potranno meglio curare i feriti
per poi organizzare per quanto possibile il rientro a Pella dei sopravvissuti. Abbiamo
avuto esperienze con le tecniche di battaglia di questi nemici Persiani ed allora ogni
comandante potrà studiare ed esercitare al meglio le tattiche di attacco e di difesa dei
suoi nemici.
Ci alleniamo adesso per le nostre future avanzate. Non so dirvi quanto dovrà durare
questo tempo; ma intanto all'intorno di Alicarnasso e per tutta la Caria dovremmo
meglio organizzare le nostre guarigioni e presidi nelle città e nei villaggi occupati.
Cercheremo anche di creare un sicuro sistema di intercomunicazioni su tutto il
territorio sino a proiettarlo anche a portare le nostre notizie a Pella in Macedonia: i
nostri curatori di piccioni viaggiatori sono maestri in questo in tutta l'Ellade. Io
cercherò di sfruttare il buon rapporto con la Regina di Caria, che chiamai “madre”
Ada , e che galoppò audace per le sue valli quando venne, ad offrir a noi la sua saggia
disponibilità.
I nostri contabili metteranno a punto un equilibrato sistema fiscale per i territori
conquistati, in modo da dare l'impressione – solo l'impressione – di una nuova libertà
democratica diversa dall'oppressione persiana, e al tempo stesso far sentire bene il
comando delle “cose”, che dovrà rimanere nelle nostre mani. Tutto dovrà sempre far
capo al Consiglio di guerra ed a me.
Poi cercherò anche di esplorare meglio i vaticini degli astri con l'aiuto di Aristandro e
con la devozione mia e vostra ai nostri Dei, secondo il sapere dei saggi. Insieme
cercheremo di cogliere quanto più possibile il profumo della nostra cultura ellenica
che mi pare traspiri da tutte le città e le genti di questa corte e lidi ed isole di questo
splendido mare.
Questo è il mio dire, questo dissi e decisi! Comunque ora ascolto voi, a me così cari,
voi per i quali è la mia stima, e così sarà nel futuro di questi giorni e nel futuro
dell'impresa di conquista dell'oriente, se avrete consigli e suggerimenti.”
Il carisma del grande Re si era diffuso prepotente e sicuro negli animi e nelle menti di
tutti i presenti nella tenda del Gran Consiglio di guerra.
“Fedeli a te, nostro Sire! Fedeli e sicuri con Te ore e per sempre!”
Così si alzarono tutti in piedi e ponendo la mano destra sul cuore e la sinistra alla
spada resero più forte e gestuale l'omaggio ad Alessandro. Il Re appena ricambiò con
il capo abbassato ed alzando il braccio e la mano destra aperta invitò ad andare. Così
si avviarono i primi più vicini all'uscita della grande tenda dove i paggi subito accorsi
avevano aperto i tendaggi e spazzato i tappeti.
“Niarco – disse ancora il Re – aspetta ti prego, ed anche tu Callistene, e tu Parmenion
e tu ovviamente Philo Alexandro, e anche voi Tolomeo e Selenco , fermatevi a cenare
con me perché vorrei spiegarvi di un mio desiderio. Ed anche voi Cratere ed Eumene,
fermatevi. Ascolterò poi i vostri consigli e poi decideremo insieme se quello che io
desidero si può fare o no. Voi paggi correte a dire ai cuochi di preparare cibi leggeri e
pur gustosi e già ora versate nelle coppe quel buon vino bianco e quei succhi spremuti
dai frutti ed arricchiti di essenze. E che sia tutto fresco delle nevi invernali dei monti
macedoni. Suvvia ritiriamoci nella mia tenda privata. E tu paggio Cronus avvisa i
nostri topografi bematisti di farci avere al più presto la migliore mappa disponibile
circa le coste e le isole qui davanti. Così come deve essere secondi gli insegnamenti
di Memnon amico un tempo, nemico ora. Andiamo amici.”
Il piccolo gruppo di nobili si trasferì nella tenda del Re, dove i paggi si affrettavano a
preparare tavoli e cuscini,piatti,vassoi e coppe, mentre altri curavano la disposizione
delle lanterne e fiaccole perchè il loro fumo subito fosse tirato fuori dagli spioncini
del tetto.
“Ah! Ecco la bella tavola dove qui grazie ai topografi si intendono bene i luoghi che
sono intorno e davanti a noi. È una bella mappa. Qui siamo noi e subito davanti Cos,
mentre un po' più lontano dall'altra parte del golfo c'è il promontorio della costa
anatolica con la città ed il doppio porto di Cnidos e lì davanti la piccola isola di Tilos;
in mezzo tra Tilos e Kos c'è il vulcano di Nissiros.
Sediamoci,vi prego...
ecco per quanto possibile, anche se siamo in troppi per mantenere un segreto, vi
pregherei la massima riservatezza: è importante per evitare rischi.
Ebbene, vi dico: in questi giorni prima di cominciare a dare i colpi più grossi con la
nostra macchina di assedio, vorrei andare, con tutti voi insieme a me, a Cnidos e
Tilos. Poi vi dirò perché. Prima voglio sapere da te, Niarcos: come giudichi la
possibilità di una breve navigazione di un paio di giorni, andata e ritorno, a Tilos?
Credo che tu conosca meglio di tutti la situazione della costa e sulle isole:lo so che le
tue barchette leggere ed invisibili sfidano i colpi improvvisi di questo mare e sfilano
informazioni preziose di isola in isola sino a te.”
“Mio Sire, mi fai un onore grande di conoscenza e responsabilità. Preferirei essere
alla punta della mia trireme pronto a saltare sul ponte dell'Ammiraglia di Memnone,
che non qui a giocare con le parole e supposizioni. Ma proverò ad esprimere un
equilibrato giudizio sul rischio e sulle probabilità di successo di quanto tu mi chiedi.
A Cnidos la situazione mi sembra tranquilla e favorevole: già due giorni fa, alla
notizia del nostro arrivo ad Alicarnasso il popolo di Cnidos si è sollevato: un
manipolo di disertori tra i mercenari greci della guarnigione persiana è corso al
palazzo del governo ed ha trafitto il satrapo Arnibaro a colpi di spada, gli stessi
mercenari hanno provato ad imporre un'oligarchia ma subito la massa del popolo con
i suoi notabili più autorevoli è riuscito a far massa intorno al palazzo ed ha impostato
la democrazia. Molti si sono armati ed hanno costituito una gerarchia del popolo, così
immensa e decisa tale da creare panico tra i pochi persiani rimasti, e convincere i
mercenari a buttare le armi e passare dalle loro parte. Una sola nave persiana era alla
fonda del porto ed è fuggita con pochi superstiti della satrapia veleggiando per Cos.
Quindi a Cnidos attualmente c'è un primo Consiglio del popolo con un collegio di
notabili che tramite un messo e le nostre spie ha fatto sapere di attendere al più presto
una nostra guarnigione di garanzia. Queste son le mie inforamzioni di pochi momenti
fa, subita prima di venire alla tua tenda, mio Re, quando una nostra piccola e veloce
galea che era alla fonda in una piccola baia nascosta vicino a Cnidos, è arrivata qui
portando le notizie appena raccolte dai nostri informatori.
Cnidos con le sue bellezze di palazzi, templi, teatri è intatta senza danni materiali
dovuti all'insurrezione. A Tylos la situazione è ancora molto più semplice e definita:
gli abitanti sono pochi, pochissimi per lo più dediti all'agricoltura e per questo
sfruttati dalla satrapia di Cnidos. La guarnigione persiana era di soli dieci uomini
armati. Quando un pescatore incrociò la galea persiana che fuggiva a Cos, gli
urlarono di scappare anche lui. Ma lui era greco e volò a Tylos annunciando l'evento
di Cnidos: preti e sacerdoti che erano e sono più numerosi degli uomini
d'amministrazione corsero in cima al castro e gridarono alla rivolta. Più di 200
uomini scesero alla guardiola del porto di Livadia, armati di bastoni e forconi e
fionde tirarono una pioggia di pietre e rami contro gli armigeri persiani che si
arresero subito. Il popolo e i preti proclamarono la democrazia e subito a sera con le
lanterne e i fuochi segnalarono l'evento ai greci di Cnidos. Così subito la notizia fu
subito presa e riferita dai nostri informatori.
Di Nissiros e Kos nulla sappiamo di preciso se non che la più potente guarnigione
Persiana mantiene il controllo del governo oligarchico.”
“ Le tue notizie sono molto precise ed incoraggianti. Ma se decidessimo di andare,
direi quasi in segreto assoluto, come potremmo organizzare questo breve viaggio?”
“Mio Sire - così rispondeva Niarco – ancora mi spingi a prendere una grande
responsabilità nel mettere a rischio te, che in questo momento sei tutta la Grecia, te
mio re insieme ai tuoi e miei amici?
E questo mi chiedi senza che io ed anche tutti loro si sappia ancora quali sono i
motivi che ti spingono a questa avventura. Comunque io direi di programmare alcune
azioni diverse per dirottare l'attenzione dei Persiani solo su Cos e Nissos. Subito
domani mattina - il tempo è favorevole così penso sarà nei prossimi giorni – alcune
nostre navi, una decina, potrebbero veleggiare compatte, verso la costa di Cos, dando
l'impressione di essere avanguardia per uno sbarco. Per Nissos basterebbero 3-4 navi.
Altre dieci navi con almeno cento armigeri scelti dovrebbero invece aggirare Nisso e
Tylos ad occidente per poi sbarcare a Tylos provenendo da sud ed istallando una
solida guarnigione. Tutto potrebbe concludersi anche nella giornata di domani e
dopodomani. Poi più meno negli stessi giorni da terra e da mare una guarnigione di
almeno 500 uomini dovrebbe essere prontamente insediata a Cnidos, per
salvaguardare il collegio dei Notabili e l'evoluzione del governo democratico appena
ora instauratosi lì. Ma questo si potrà anche fare meglio – se tu lo credi – nei giorni a
seguire. Comunque mi sentirei tranquillo nel programmare il tuo viaggio. Domani è
notte quasi di luna piena ed una volta sicuri che Tilos è totalmente sotto controllo,
allora di notte abbiamo due scelte. La prima possibilità è via terra verso Cnidos :
potreste cavalcare lungo costa un po' all'interno sino ad una baia nascosta poco prima
del promontorio di Cnidos. Però il percorso via terra è lungo, e ci vorrà quasi tutta la
notte.
L'altra soluzione è totalmente via mare, sempre di notte, quando di notte il vento è in
genere favorevole per andare dalla costa qui vicino sino alla punta di Cnidos. Credo
convenga sempre prima arrivare a Cnidos in segreto per rendersi conto della
situazione. Ci sono due piccole baie nascoste, molto ben riparate, da dove poi
potremmo salpare per Tilos.Quì dopo la tua permanenza , penso breve , potremo
organizzare il ritorno .
Da Tilos – non so quanto ti vorrai fermare – converrà poi ritornare proprio a Cnidos.
La tua visita penso potrebbe allora ben essere resa ufficiale a Cnidos , in città, per
guadagnare credito ed obbedienza dai notabili della città. Per lo stesso motivo
sarebbe conveniente e più sicuro, protetto da alcuni nostri squadroni appositamente
inviati ad attenderti, che tu proseguissi il ritorno via terra anche per sollevare spirito
ed intenzioni presso le popolazioni dei villaggi lungo costa.
Gli unici rischi di questo viaggio potrebbero venire solo da un'azzardata ed
improbabile sortita di molte navi persiane fuori dal porto di Alicarnasso. Ma di certo
non osano, almeno per ora. Poi abbiamo altri motivi di sicurezza: la segretezza di
tutta l'operazione, le diversioni di Cos e Nissos, e poi c'è tutta la nostra evidente forza
di contenimento all'imboccatura del porto, che è molto stretta e sempre sotto
controllo.”
Alessandro aveva seguito con grande attenzione il programma di Niarcos e a tratti
con una lunga canna indicava punti ed i movimenti sulla mappa appena realizzata dei
suoi topografi. Così poi si risolve all'Ammiraglio.
“Oh, Niarcos! Mio fidato generale di mare e delle coste, la tua lucidità e genialità di
strategia è davvero disarmante per ogni tipo delle mie personali preoccupazioni di
rischio. Mi pare di capire che anche tu preferisci l'opzione via mare da qui a Cnidos:
così sia. Invece è ottima l'idea del ritorno via terra, anche per dare un segno ai
villaggi sottomessi: per stare più sicuri mobiliteremo alcuni squadroni di copertura.
Ora è giunto il momento che io vi sveli il “perché” di questa strana mia idea di andare
a Tilos.
Ah!.... ma ecco che paggi hanno pronta a servire la nostra cena e le nostre libagioni.
Via via, servite prima i miei amici, mentre io cercherò di spiegare, spero nel modo
migliore, i motivi di questa mia voglia.”
Grandi vassoi ricolmi di verdure cotte e crude, di pasticci odorosi spalmati su grandi
frittelle de pasta di ceci, sfilarono davanti ai convitati; poi fornirono fumanti carni
arrostite, carni di cervo e cinghiale e di teneri capretti e agnelli e conigli selvatici.
Cominciarono a mangiare parchi, quasi ossequiosi verso il loro Capo che appena
sorseggiava una coppa di vino bianco.
“ Di certo tu Philo-Alexandro e tu Callistene potrete meglio comprendere il motivo di
questo mio desiderio.
Voi ricordate il nostro Maestro e zio tuo Callistene, il grande saggio Aristotele
quando a Pella ci insegnava a seguire gli insegnamenti della storia, “prima di
decidere o giudicare gli avvenimenti del vostro momenti di vita, ricordatevi di
conoscere tutto, nel bene e nel male, di quello che la storia ha lasciato come segno di
comportamento dei condottieri e dei popoli.” Così ci diceva Aristotele.
Ecco vedete ora siamo qui ad Alicarnasso dove nacque ed operò Erodoto, il padre dei
nostri metodi di studio della storia .
E qui nel passato, abbastanza vicino a noi, 60 anni fa, proprio a Cnidos si combatté
una battaglia decisiva per l'egemonia dei nostri mari. E fu quando la flotta
Persiana,Persiana sì ma comandata dal transfugo ateniese Canone di fatto distrusse
distrusse per sempre ogni aspirazione Spartana sul mare. E gli Dei solo sanno quanto
gli Spartani oppressero le genti di queste isole con tasse e tributi. Ebbene Aristotele
mi diceva spesso che quando aveva vissuto a Mitilene, spesso raccoglieva le voci di
questo grande mare, che riportavano come a Tilos viveva un grande vecchio saggio,
Ocirne , che era stato testimone della battaglia di Cnidos e che tutto sapeva della
storia dei nostri ultimi 150 anni. Costui era stato anche a trovare Aristotele e con lui
aveva un continuo scambio di lettere. Ecco il primo motivo per cui vorrei andare a
Tilos è proprio quello di poter incontrare Ocirne , e viceversa – se possibile – dalla
sua saggezza ricevere migliore comprensione ed incitamento conoscitivo per la nostra
impresa di conquista che è appena cominciata.” –
Alessandro aveva smesso i panni del guerriero avventuriero e parlava ai suoi con il
parlar forbito del saggio studioso cosciente del suo ruolo di capo colto ed oculato di
responsabilità anche culturali.
“Un altro motivo per andare a Tylos è legato di più alla sacralità dei nostri pensieri,
all'incertezza del nostro destino, al senso divino della nostra devozione agli dei ed ai
loro sacerdoti: lì a Tylos da sempre vivono preti e sacerdotesse, molto vicini a
Dionisio e Poseidone del quale i Telchini misteriosi furono messaggeri e maghi per i
segreti di oracoli sconosciuti a noi. Ecco vorrei cercare di capire, se là nei templi
della piccola isola, sopravvivono questi misteri e se da essi possono ancora venire a
noi presagi ed aiuti che dai nostri padri Dei figlino concrete azioni per la nostra
impresa. E infine perché Cnidos. Perchè li – ci dicono i fatti – esistono nei templi di
Dionisio e di Afrodite e nel tempio delle Muse tesori, statue e monumenti tra i più
belli creati dai nostri migliori artisti, e perché li nacquero e prosperarono anche gli
studi e i dettami di dottrine matematiche , di astrologia e di astronomia , e di lì è
attiva la prima grande scuola di medicina di Ctesias e lì gli archivi storici, anche
questi legati a Ctesias come storico , conservano tutti i segreti delle dinastie persiane.
Ecco credo che solo l'immergersi brevemente nell'atmosfera di questa città dove la
cultura si è fatta materia, potrà giovare al nostro animo ed al nostro sapere. E così
anche gioverà alla politica di conquista del mondo orientale e della sua cultura. Per
tutto questo, poiché siamo noi qui di fronte a questo mare ed alle sue terre, abbiamo
la possibilità – che trascende la valenza delle nostre guerre – la possibilità di cogliere
qualche frutto più dolce utile a noi.”
Sia negli ultimi momenti di questo suo dire, i suoi occhi neri incorniciati nell'oro dei
suoi riccioli, avevano incontrato lo sguardo appassionato e devoto di PhiloAlexandro.
E così palò Efestione.
“Mio Re ed eterno amico, poco fa quando eri assorto da solo di fronte alla bellezza di
questo mare e di questa natura, credevo tu volessi solo estraniarti dalla brutalità delle
nostre violenze di guerra, per riposare, riparare e basta, l'animo tuo placando istinti e
cattivi pensieri. Invece era di più , molto di più e solo ora posso capirlo.
Dalla immensa ricchezza dal tuo ragionare dalla profondità dell'animo tuo divino, il
tuo sguardo là verso il sole che tramonta si tuffava lì nell'azzurro splendenti delle
sacrali onde di Poseidone, ma lì voleva raccogliere la totalità di un progetto di
conquista e di bene assoluto da trasmettere allo nostre genti ed ai nostri popoli e se
possibile anche ai popoli che ora ci sono nemici. La vocazione della tua grandezza di
condottiero, ora mi è più chiara ed a questo accorro con le mie povere forze per
assolvere ciò che il benevolo destino mi ha assegnato di compiere per te, con te, per
tutta la mia vita.
Tu dirai “andiamo” - e credo di rappresentare l'assenso di tutti noi qui presenti – e noi
diremo
“veniamo, veniamo con te”.
L'atmosfera conviviale dentro la tenda ora era diventata solenne. Alessandro tese la
sua spada sopra il braciere fumante di piretro e mirto , e le mani di tutti i convitati si
incrociarono sopra il ferro già caldo.
Alicarnasso era di fatto già ai suoi piedi. Ormai gli assediati attendevano quasi
rassegnati la loro fine nella città che rappresentava l'ultima roccaforte della egemonia
persiana sulla costa anatolica e pur “greca” così come anche Alessandro la sentiva.
Quella sera al tramonto – bello come sono tutti i tramonti sul mare Egeo – quello era
anche un momento di riflessione del giovane Re:lui che aveva vissuto la sua
adolescenza tra gli aspri presagi della Macedonia e le albe ed i tramonti nebbiosi
delle paludi intorno a Pella, la capitale, “lui” era li attonito di meraviglia, di stupore e
rispetto di fronte allo splendore del mare Egeo. Quel mare era come se avesse un
“suo” cielo ed un “suo” sole, ed in quella luce suprema si spandeva un senso di
sacralità che solo Poseidone, il dio del mare, poteva aver concepito, fosse anche pur
lui piccolo grande uomo già ora egli stesso travolto dalle sue ultime contraddizioni di
coraggio e paure, di violenza e sentimenti di bontà, già travolto forse dal mistero di
un divino destino. Lì aveva capito: era vero quello che gli aveva detto Aristotele che
parlava così “ ero a Mitilene nel mar Egeo. Ricordati Alessandro ed anche tu
Efestione : la bellezza della natura e dei suoi scenari ci aiuta a trovare la strada del
raziocinio e trasportare noi stessi nelle verità misteriose e sacrali dei nostri Dei e di
chi Essi hanno portato a noi.”
Così gli aveva parlato Aristotele allora, lui adolescente. E lì adesso di fronte a quello
stesso mare che bagna anche Mitilene, e di fronte alle sue grandi responsabilità di Re,
Alessandro provava un senso trascendente, quasi presago, di divinità in terra.
La brezza di terra, man mano che il sole arrossendo scendeva all'orizzonte, si era
appena rinforzata schiacciando il mare così sempre più calmo sottocosta e portava al
Re il vociare allegro e chiassoso dei suoi soldati che si adoperavano intorno ai fuochi
dei bivacchi. Là gli addetti inservienti giravano spiedi di capre e pecore succulenti ed
odorosi, altri giravano i mestoli enormi che schiumavano in grandi pentoloni e caldai
i vapori delle zuppe. I ragazzi delle famiglie di alcuni soldati, che avevano avuto il
permesso appunto di portarsi appresso la famiglia, giravano con boccali e brocche
versando il vino bianco resinosi saccheggiato in grandi botti dopo la resa dei Sardi.
L'euforia così sovrastava la stanchezza della vita militare: le truppe, i suoi uomini
vivendo l'esistenziale godimento fisico del banchetto al campo, prima del riposo forse
aspettando misteriosi sogni della notte. Davanti e dentro di loro, il loro Capo, era tutta
l'immensità dei sentimenti ammantata dalla bellezza della natura intorno. Dietro di lui
era la realtà prosaica e pragmatica della vita dei soldati e delle loro violenze passate e
future. Ed anche quelle di lui stesso,
Si girò Alessandro verso l'ingresso della sua tenda reale: a lato garrivano splendenti
negli ultimi raggi di sole i vessilli suoi e dei suoi generali e capitani. I paggi del Re
erano accoccolati a terra rispettosi ed affascinati anch'essi dall'intensità del momento,
più avanti sulle rocce, lisce e levigate dalle mareggiate, erano i suoi più fidati generali
ed amici. Il suo sguardo incrociò fra tutti, come sempre, gli occhi di Efestione il suo
vero ed assoluto amico ed amore, con lui cresciuto sin da bambino e di certo
diventato l'alter-ego di vita e di sentimenti, Philo Alexandro come era uso chiamarlo
sempre il Re che dalla profondità trascendente della sua amicizia teneva tutto come
intimo tesoro.
Così a lui si rivolse Alessandro:
“Philo Alexandro tu ben m'intendi di quanto mi trasporta tutto questo nel ricordo
degli insegnamenti ed avvedimenti del nostro Maestro Aristotele. La sua realtà,
quella che raccontava a noi ragazzi, forse allora ci sembrava virtuale ma ora è qui
tutta avanti e dentro di noi.”
“È vero – rispose Efestione – mio re e principe dell'animo mio, credo che tu debba
abbandonarti completamente nei sensi sacrali e divini di questo momento, ammantati
dalle bellezze della natura dell'Egeo. Poi certo troverai più giusta la forza della tua
razionalità e capacità di decidere delle cose pratiche.”
“Hai sempre ragione Philo Alexandro, tu sai entrare nel mio cuore e nella mia mente
con tutta la tenerezza dell'animo tuo. Guarda, anche tu laggiù verso Cnidos e Nissiros
E Tylos. Vorrei andare laggiù, vorrei. Ma questo lo vedremo più in là, ora - e si
rivolse a tutti i generali e comandanti riuniti in un gruppetto un po' distaccato – ora
miei prodi, prima che il nettare dionisiaco del buon vino di Sardi ed il piacere del
cibo serale offuschino il nostro raziocinio, ritiriamoci insieme nella tenda del
Consiglio e programmiamo al meglio le nostre strategie.
Alicarnasso cadrà, Memnon ed i Satrapi e gli Ateniesi mercenari saranno ancora
sconfitti, la Caria e tutto più in là ad Oriente sarà nostro, per il bene delle nostre
civiltà: il bene non di una civiltà sola, la nostra, ma anche quella d'Oriente e
dovremmo trovare il modo di unirle.
Ed ora noi il nostro lavoro e le nostre responsabilità. Ritiriamoci nella tenda del
consiglio.”
“ Vita e gloria al nostro Re, e alla sua Saggezza!” esclamarono tutti insieme i
comandanti, ed i paggi già si affrettavano a stendere i tappeti e porgere i piatti di
frutta e i distillati di essenze a rinfrescarli, mentre altri inservienti attizzavano piccoli
bracieri da dove fiumi di profumato piretro e da foglie secche di eucalipto e geranio si
spandevano a difendere dagli insetti della sera.
Il piccolo corteo ora non più amichevolmente vociante si avviò verso una grande
tenda seduta al canto di quella sontuosa del Re. Grandi cuscini con ricami d'argento
sopra la pelle lucida e sgabelli imbottiti borchiati di palline di bronzo erano disposti a
semicerchio intorno ad un grande e basso tavolo ovale. Era situato nel centro della
tenda sopra una decina di magnifici tappeti, bottino di guerra dei palazzi dei satrapi
delle città conquistate. Sopra il tavolo era disposto un plastico di argilla e di sassi e di
canne e legni. Era stato costruito dai topografi dell'armata Macedone e per paradosso
avevano seguito gli insegnamenti di strategia di Memnon, proprio l'assediato di ora
che molti anni prima era stato esule alla corte di Filippo a Pella affascinando lo stesso
Alessandro ancora ragazzo. Qui avevano perfettamente raffigurato la situazione del
campo di battaglia, del porto o della cittadella fortificata con le mura,i bastoni, le
porte.
Lì ora il consiglio di guerra doveva decidere i tempi ed i modi per concludere – si
sperava possibilmente a più presto – l'assedio di Alicarnasso.
Allora – e già da molto tempo – Alicarnasso era considerata una delle più belle città
del mondo ellenico. Era fondata dai Dori e lì era nato Erodoto (484 a.C.) il padre
della Storiografia. Questa città era nata dall'unione di venti villaggi ed era pregnante
di storia e di avvenimenti e di opere di grandi uomini e donne. Alessandro aveva
piena coscienza di tutto ciò.
La città aveva anche vissuto lo splendore politico dell'esapoli Dorica con Cos,
Cnidos, Lindos, Camirus e Ialysus queste ultime le tre città e contee di Rodi.
Alicarnasso ospitava una delle sette meraviglie del mondo di allora: la monumentale
tomba che prese il nome dal suo ideatore lì sepolto, Mausolo, satrapo dell'impero
Persiano la cui sorella Ada , regina di Caria, Alessandro aveva da poco incontrato lì e
prima di lei l'altra sorella Artemisia II avevano di fatto abbandonato la cultura
orientale e si sentivano pienamente greche: per finire quel monumento avevano
chiamato a lavorare i migliori artisti del mondo di allora.
“Vi ringrazio , amici fedeli, voi tutti verrete con me, tranne te Parmenion ce resterai
in mia vece a comandare il campo, e tu Niarco oltre ad organizzare da subito il tuo
piano per domani, dovrai rimanere a coordinare i movimenti delle navi ed il controllo
del porto nemico. Mi darai il tuo appoggio il migliore dei tuoi capitani di mare. Solo
così mi sentirò tranquillo nel lasciare per pochi giorni il comando. Agiremo
segretamente e solo quando sarò a Cnidos sulla via del ritorno, allora proclameremo
alle truppe la piena conquista della costa. E sarà festa, prima delle nuove battaglie.”
CAPITOLO II
Il viaggio verso Tilos
Quando Alessandro si svegliò ed uscì dalla tenda, il sole era già sorto ad illuminare la
costa di Cos lì davanti. Vide subito che un gruppo di navi, con in testa la trireme di
Niarco, veleggiavano in formazione verso Cos, un gruppo più piccolo sembrava già
staccarsi da loro dirigendosi a sud verso Nissos. Il grosso della flotta si era disposto
minaccioso contro l'imboccatura del porto di Alicarnasso e si intravedevano gli alberi
delle navi persiane come affastellati e appena coperti dalle mura dei pontili. Sotto i
due torrioni all'ingresso del porto c'era animazione di soldati e frontalieri ed un
plotone di arcieri era pronto ad intervenire.
Su alle mura e alle torri si vedeva l'animazione del nemico che forse già prevedeva un
attacco. Uno specchio concavo e grigliato segnalava al porto di Cos la minaccia delle
navi di Niarcos, e da Cos altri lampegii sembravano segnalare richieste d'aiuto.
Il piano di Niarcos funzionava e l'attenzione del nemico si concentrava sul pericolo di
uno sbarco a Cos.
Una trireme persiana sembrò affacciarsi all'imboccatura del porto, come per uscire,
ma subito si fermò di fronte alla minaccia di tre navi greche che si disposero a
ricacciarla indietro.
Alessandro si compiacque ancora del piano di Niarcos, e gioì del fresco con l'acqua
linda che i paggi gli offrivano con brocche e catini di rame lucente. Tornò all'interno
della tenda e guardò on attenzione le mappe di argilla del golfo e delle isole. Fece
chiamare Parmenion e con lui si apprestò a studiare ancora il modellino plastico della
città e del campo macedone intorno: diede precise disposizioni per i punti delle porte
e delle mura dove ancora esercitare la pressione di guerriglia anche in sua assenza. E
si preoccupò molto d' invitare Parmenion a trovare spie ed informatori fidati che
subito si infiltrassero nella città per verificare la tenuta della segretezza del suo
viaggio a Tylos. Poi salì a cavallo, il suo amato cavallo Bucefalo ornato di finimenti
d'oro, e con gli attendenti e a fianco di Prmenion girò la rassegna nei vari gruppi di
attendamenti dei singoli capitani suscitando ovunque clamori di gioia ed incitamento.
Aveva per tutti i capitani, ed anche per i singoli caporioni dei singoli manipoli
d'assalto della fanteria e delle falangi e per i soldati stessi, parole confidenziali di
fiducia e di apprezzamento: al di là del suo coraggio in battaglia era questo suo
carisma di semplice commilitone con tutti i suoi soldati, a dare fiducia e forza a tutta
la sua terribile macchina bellica.
Intanto questi plateali movimenti nell'immenso attendamento macedone
rinvigorivano i movimenti d'ansia e di paura su per i bastoni degli assediati. La
sceneggiata dello stato maggiore di Alessandro e delle navi di Niarco continuò per
tutta la mattinata . Poi Alessandro si ritirò nella sua tenda ed in solitudine, scrisse
sulle tavolette d'argilla fresca una lunga lettera alla madre Olimpiade, come sempre
aveva fatto da quando era sbarcato in Asia.
“Madre e Regina, e grande sacerdotessa di Dionisio e devota a Zeus, la bellezza
della natura, del paesaggio e delle cose qui intorno, mi ricordano la bellezza tua e mi
trasportano nell'intimità che l'animo tuo sempre volle che fosse con me, con tutto
quello spirito di protezione e di incitamento che sempre hai saputo darmi.
Ecco così mi dispongo a dirti che ancora seguo il destino divino per la salvezza tua e
del mio popolo e di tutta la Grecia, teso ad infliggere castigo e sottomissione a quei
popoli d'oriente che sempre ci minacciarono e minacciarono i nostri alleati e forse
per l'eternità minacceranno il nostro mondo più civile. Le notizie che mi giungono da
Pella mi rassicurano su come amministri il Regno in mia assenza, anche con
attenzione per le invidie di Antipatro. So quanto devota segui i riti dell'estasi del tuo
padrone Dionisio e quante processioni guidi con le ceste ricolme d'edera a
rinfrescare i tuoi amati serpenti ti esorto ad essere parca di abusi sul controllo
dell'anima tua adorata, per seguitare più pronta il controllo del regno.
Io tengo nel cuore e nella mente il segreto tuo che mi svelasti, e seguo mio fratello
che tu e Zeus voleste divino: gli Dei seguitano a proteggermi nei grandi pericoli
della battaglia e mi sostengono nelle decisioni , così come i tuoi amati astrologi che
volesti al mio fianco suggeriscono ancorai tuoi desideri di ogni giorno che leggono
nel libro magico del cielo stellato, dove le “tue” stelle sembrano più luminose per
loro e per me.
La tua fede nel mio desiderio, mi sostiene ogni momento. Con devozione e amore di
figlio mi sento totalmente tuo.
Alessandro.”
Alessandro rilesse la lettera appena scritta e si compiacque del pudore e timore con
cui aveva tenuto ancora nascosto il suo incontro con la Regina Ada, che aveva
chiamato “Madre” soggiogato d'istinto dal suo fascino maturo e carismatico ben
diverso dal tumulto dei sensi e delle ambizioni che invece Olimpiade, sua madre vera,
aveva sparso spendeva intorno e dentro di lui.
Consegnò al saggio la lettera chiusa a sigillo tra due fogli d'argento, raccomandando
che si avesse cura a difenderla durante il viaggio che il messo di turno avrebbe
intrapreso verso Pella, così come avveniva ogni giorno per l'efficienza del servizio
postale utile a tuta l'armata di Mnemone .
Faceva caldo ed i paggi portarono succhi rinfrescanti appena intrisi di distillato
d'anice e vassoi ricolmi di frutti ed essenze. Nel tardo pomeriggio mentre Alessandro
si era concesso ancora una lettera dell'amata Iliade di Omero, giunsero uno dopo
l'altro i convocati al viaggio.
C’erano l'attendente di sempre,Eumero il segretario, Callistene lo storiografo o
meglio il cronista Tolomeo e Selerco e Aristandro quest'ultimo a capo dei sacerdoti,
astrologi ed indovini che seguivano l'armata Macedone ed ovviamente Efestione,
sette uomini fidati ai quali si aggiunse Chernico il comandante navale, uomo fidato
dell'Ammiraglio Niarco, che doveva gestire tutta la spedizione via mare. Con
Alessandro ed il suo paggio Cronus erano 10. Fu proprio Cherinico, per ordine di
Alessandro, che diede subito le disposizioni ai convenuti.
“Qui ci sono 3 ceste nelle quali voi tutti dovete riporre i vostri abiti ed armature
leggere. La spada, quella corta, la potete tenere. Ora subito vestirete questi vestiti
stracciati da pescatori. Ognuno di voi terrà nascosta la spada in un rotolo di corde o di
reti, che ognuno dovrà portare a spalla.
Appena buio, tenendo presente che il chiarore lunare salirà più tardi, dovremo
camminare tutti insieme per circa un'ora: arriveremo in una piccola insenatura tra le
rocce dove sarà pronta una piccola galea con otto uomini ai remi e due timonieri. I
miei uomini porteranno via le ceste con i vostri vestiti ed altre ceste con vivande e
bevande: loro non sanno ancora chi salperà con la nostra piccola ma veloce nave.
Raccomando il silenzio e la rapidità dei movimenti: dovremo sembrare a tutti un
gruppo di pescatori che vanno a mettere le reti per la notte. Tu, mio Sire, non dovrai
camminare alla testa della fila, ma stare mischiato ed incappucciato in mezzo ai tuoi
fidati amici.”
Tutti – quasi allegri, gioiosi e scherzosi - si vestirono e rivestirono con i vestiti dei
poveri pescatori. Subito i paggi portarono via le ceste consegnandole agli uomini di
Cherinico che si affrettarono al mare. Alessandro diede disposizione di portare subito
una cena frugale, mangiarono, e appena fu buio tutti si incamminarono lungo la costa
attraversando gli ultimi fuochi e attendamenti del campo da dove i soldati in riposo
rivolti ai “pescatori” urlavano: “Portateci buon pesce domani. Io voglio un octopus ed
una murena per fare la zuppa. Io voglio un tonno. Io voglio un dentice succoso. Non
fate arrabbiare Poseidone, mi raccomando, non cercate di scopare le sirene, e tutti
ridevano e così via. Gli uomini appesantiti delle corde e dalle reti appena
rispondevano con una cenno . Dopo circa un'ora Cherinio fece segno di accostarsi di
più al mare e ben mimetizzata tra due grandi rocce e con l'albero maestro tirato giù
trovarono la nave con tutti i marinai.
“Svelti saliamo perchè è ancora buio e si sta alzando una brezza favorevole.
Sistematevi a poppa . Partiremo subito.”
I marinai staccarono la corda a terra e tirarono su l'ancora; con i remi in punta contro
le due rocce fecero sfilare all'indietro la galea che uscì in mare aperto. Subito tirarono
su l'albero maestro e dopo un'abile virata di Cherinico che stava al timone,
dispiegarono la larga vela di iuta leggera che subito si gonfiò e diede impulso alla
nave mentre anche i rematori iniziavano a spalare svelti con tocchi secchi ed unisoni
dei remi che appena graffiavano l'acqua dando immediato impulso. Non molto
lontano l'incipiente chiarore lunare lasciava intravedere il profilo scuro del torrione
orientale all'imboccatura del porto dove dietro alla fonda erano le navi persiane. Fu
allora che udirono un clamore sulle mura e videro una raffica di frecce incendiarie
che piovevano sulle mura stesse: Alessandro capì e gioì che appena allora, con
perfetto tempismo, Parmenione aveva dato il via da terra ad una piccola azione di
guerriglia notturna per distogliere l'attenzione delle guardie sui bastioni verso il mare.
“Tutto bene – rassicurò – Cherinico rivolto alla comitiva di uomini non di mare –
vedete là al largo del porto la nostra flotta blocca ogni possibilità di uscita di navi
persiane, e noi ngià abbiamo perso il buon vento e forse non sarà necessario
nemmeno remare, che così la nave può avere ninfine stabilità. Vedete laggiù, di
fronte alla nostra prua, s'intravedono piccolissime le luci dei fuochi del promontorio
di Cnidos. Penso che arriveremo presto.”
La luna era più alta sull'orizzonte ed il suo chiarore lasciava ben distinguere nell'aria
cristallina della notte, il profilo di Cnos, Nissos, Tilos e di tutta la costa anatolica che
si insinuava nel golfo tra Cnidos ed Alicarnasso.
Gli uomini ed il re erano rimasti in silenzio e lasciavano ai marinai il sommesso
vociare di comandi che appena si mischiava con lo sciacquio della prua e delle
fiancate che ormai sfilavano sicure e leggere sulle onde appena increspate.
Cherenico teneva saldamente il timone e gli uomini tendevano o rilasciavano il
cordone che consentiva alla vela larga e rettangolare di gonfiarsi al massimo, e
sfruttare così la corrente delle onde.
La luna era ancora alta nel cielo quando la nave si trovò vicina al profilo della costa
che degradava al mare sul promontorio di Cnidos . Cherinico appoggiò il vascello più
sottocosta nel golfo e le tremule luci della città, poste al di là del promontorio,
scomparvero. Quasi alla punta la nave puntò in una piccola baia anfrattuosa dove la
superficie del mare era calma come un olio: gli uomini turarono giù la vela e con solo
la metà dei remi approcciarono silenziosamente nel più profondo dell'insenatura.
Laggiù una lanterna sventagliò sicura per pochi momenti. Fu a quel punto che
Cherinico diede l'ordine di assestare la remata e diede voce - a due mani alla bocca –
alla parola d'ordine “Alicarnasso” e della riva dove spiaggiata s'intravedeva una barca
risposero “Alicarnasso”.
A quel punto Cherinico si rivolse ai suoi uomini marinai e rematori : “ Ragazzi avete
avuto l'ordine di portare , qui il suo Re e la sua fidata Corte militare: onore a lui.”
Gli uomini rimasero esterrefatti e stavano per gridare tutta la loro gioia ed
ammirazione . Alessandro si tolse il drappo di iuta che gli avvolgeva il capo ed il
collo, e alzando il braccio per ordinare il silenzio, parlò benevolmente a loro.
“Ragazzi, miei uomini di mare, non è questo il momento di cerimonie. Devo dirvi
solo ammirato dalla vostra capacità d'azione, quale magistralmente il vostro
Ammiraglio ha ideato ed il vostro comandante Cherinico ha eseguito. Vi ringrazio.
Credo che in qualche modo saremo ancora insieme per qualche giorno: dieci talenti in
più della vostra paga vi saranno dati, non appena saremo ritornati ad Alicarnasso. Per
ora grazie e andate via : il nostro breve viaggio non è ancora finito.”
“Onore a te, nostro Sire” risposero gli uomini in coro sottovoce.
Cherinico si sentì sollevato dall'aver finalmente svelato il segreto ai suoi uomini, e
riprese in mano il comando dell'operazione.
La barca a terra era di un informatore greco prezzolato dal sevizio segreto di
Alessandro e che era stato affiancato da un altro uomo di Niarco inviato
appositamente da Alicarnasso il giorno prima appena presa la decisione. Il loro
compito era quello di garantire la tranquillità del breve percorso tra Cnidos e Tilos e
di essere informati che la guarnigione di occupazione inviata a Tilos via mare nella
giornata precedente avesse realmente raggiunto l'obbiettivo.
Chirinico invitò i due uomini ad abbordare la galea greca con al loro piccola barca.
Quando salirono a bordo si prostrarono in devozione al Re, il quale lasciò a Cherinico
il compito di interrogarli.
L'informatore riferì che a Cnidos era tutto tranquillo a parte l'ansia dei Notabili del
Collegio di Democracia di avere al più presto la copertura fissa di una guarnigione
macedone. La città era rimasta intatta pur dopo i tafferugli della breve rivolta ed il
popolo fremeva di afferrare definitivamente la propria indipendenza dalla satrapia
Persiana.
L'uomo di Niarco aveva ricevuto con segnali luminosi dalla punta rocciosa di Tilos, li
subito davanti a loro, la conferma che a piccola guarnigione macedone sufficiente ad
occupare l'isola aveva raggiunto il suo scopo e da là il comandante Leandraculos
attendeva il segnale che avvisava appunto che Alessandro era sul punto di arrivare e
sbarcare a Tilos.
Il vento fuori dalla piccola baia stava calando ora prima dell'alba, e sarebbe stato
necessario procedere nella bonaccia anche a remi. I due dalla barca tornarono a terra
con il compito di mantenersi attivi per le informazioni ed aspettare la nutrita
guarnigione macedone che sarebbe giunta in giornata procedendo a cavallo e a piedi
lunga la costa del golfo : avrebbero dovuto incontrarli e aggiornarli delle ultime
informazioni prima del loro ingresso a Cnidos.
Appena staccatasi la barca, Cherinico fece virare il vascello con la prua verso Tilos, il
cui profilo si stagliava nitido contro il cielo stellato e contro la superficie del mare
che ormai si adagiava nella calma piatta prima dell'alba ed era splendente di luce
lunare.
Da terra intanto i due informatori avevano accesso un grosso fuoco che fu il segnale a
Leandroculos per l'arrivo del Re. I remi della nave macedone battevano sicuri e lo
scafo scivolava veloce verso la punta dell'isola di fronte, poi – aveva deciso
Cherinico – avrebbero costeggiato la costa orientale dell'isola per giungere nella baia
di Livadia , che dalle informazioni acquisite anche dall'informatore Cnidiano, era
sempre tranquilla e riparata da eventuali burrasche. Alessandro invitò gli amici fidati
a provare ora a distendersi e riposare un po' prima dell'arrivo a Tilos. E così fecero
tutti, e sarà stata O ON per il superamento della tensione del viaggio, dormirono, il
Re incluso.
Cherinico rimase vigile al timone della nave; era ancora notte e la luna era calata a
occidente quando ormai stavano entrando nella baia di Livadia dove in fondo la
spiaggia brillavano i fuochi dell'accampamento della guarnigione giunta non molte
ore prima. Le altre 8 erano state nascoste in altre piccole insenature per controllare
l'altra parte dell'isola. Cherinico svegliò Cronos, il paggio del Re , e lo pregò di
preparare il risveglio di Alessandro nel modo migliore che lui conoscesse e
preparasse anche per lui e per gli altri gli abiti e le armature leggere che per il viaggio
erano state nascoste nelle ceste. Dopo poco tutto era pronto, anche alcune tazze di tè
caldo riempite dalla brocca che era stata posta sul piccolo braciere sempre acceso
nella parte di prua sulla stiva.
Cronos si chinò verso il Re e scosse delicatamente il braccio avvisandolo che erano
arrivati. Così fece con tutti e tutti bevvero con piacere il tè caldo.
All'orizzonte di oriente si stagliava il profilo dell'isola di Symi e là dietro all'orizzonte
una tenue riga di azzurro violetto sfumata e marcata sopra da una tenue luminosità
bianca e rosa annunciava il prossimo sorgere del sole.
Tutti gli uomini si alzarono e si adoperarono a svestirsi degli stracci del travestimento
da pescatori ed indossare i loro abiti e le loro armature leggere pronte per i militari
con il Re compreso ed una tunica dorata per il sacerdote astrologo Aristandro.
I primissimi raggi del sole resero splendenti le armature dorate, mentre da terra il
campo della guarnigione si animava per il benvenuto al Sovrano.
Alessandro si gettò a tracolla una sciarpa di seta preziosa che parzialmente copriva le
borchie in petto del corpetto dell'armatura bronzea modellata sul torace perfetto. Si
portò in cima alla prua alzando il braccio sinistro a salutare i suoi soldati macedoni
che l'attendevano a terra e ponendo la mano destra appoggiata sul pomo della corta
spada al fianco.
Da terra e dal ponte delle due triremi si levò un grido corale che riecheggiò
amplificato nell'imbuto della grande baia rocciosa:
“Sia gloria a te, Alessandro nostro Signore. Sia gloria a te che ci guidi!”.
Alessandro agitò lentamente la mano alzata e fece cenno al suo seguito di stringersi
intorno a lui per salutare tutti insieme ai prodi che là a riva avevano costituito la
prima guarnigione dell'isola.
Dietro le tamerici che orlavano a monte la spiaggia sassosa e il piccolo molo di massi
e pietre, erano alcune casupole di pietra e più indietro si intravedeva l'architrave
triangolare della facciata di un piccolo tempio. Da lì una strada piastrellata a ciottoli
scendeva al mare, e da lì si vide scendere una processione guidata da un vecchio in
tunica bianca, seguito da giovani donne con ghirlande, e da alcuni austeri sacerdoti e
notabili. Alcuni paggi tenevano ancora accese fumanti fiaccole la cui luce ormai si
perdeva nella luce del sole via via più alto all'orizzonte dietro la nave e sopra l'isola di
Simi.
La nave di Cherinico si affiancò più – vicina a terra – alle altre triremi già alla fonda
di alcune barche più piccole si affrettarono ad andare a trasbordare il Re ed il suo
seguito. Alessandro in cima alla prima barca balzo agile a terra, andando incontro alle
genti.
Il comandante Leandroculos della guarnigione alzò la spada ed il vessillo e ripetè: “
Sia gloria a te, mio Re” . Il vecchio ed i notabili si inchinarono reverenti e il vecchio
solo disse con voce alta chiara: “ Sia pace a te ed a noi che tu proteggi nella nostra
terra”.
Era questo un saluto sereno e lindo da istinti di guerra ed al tempo stesso era forte
nell'affermare l'indipendenza dell'isola. Questo senso non sfuggì al Re.
Alessandro era giunto a Tilos.
CAPITOLO III
OCIRNE
Leandroculos, il comandante della guarnigione macedone, che da poco era arrivata,
aveva fatto preparare alcune tende collocate nel grande spazio del grande campo,
dietro la spiaggia ciottolosa, dove era anche il piccolo ma sontuoso tempio di
Poseidone.
Aveva anche istituito un autorevole servizio d'ordine che impedisse alla curiosità
degli isolani subito accorsi, di disturbare la tranquillità di Alessandro e dei suoi
luogotenenti e amici che subito si erano sistemati nelle tendo dopo una frugale
colazione: Alessandro ed Efestione avevano voluto fare un breve bagno di mare e
quando uscirono i paggio Cronus aveva già organizzato un salutare scroscio
dell'acqua fresca versato da quattro giovani donzelle del posto, emozionate ed
eccitate. Tutti si vestirono con il meglio dei loro indumenti ed indossarono anche gli
elmi, che per i militari, erano stati portati con le triremi di Leandroculos.
Intanto il popolo si era radunato nella piazza “rupestre” davanti al tempio di
Poseidone e sullo scaleo attendeva impaziente la delegazione che prima era scesa ed
incontrare il Re subito allo sbarco.
Il popolo costituito prevalentemente da contadini, figli di figli di razze e stirpi diverse
che nel tempo si erano intrecciate nell'isola, vociavano più sguaiatamente e
rumorosamente che non il sommesso vocio dei notabili, i quali comunque avevano
costante punto di riferimento nel vecchio austeri che aveva già prima guidato il
piccolo corteo di benvenuto giù alla spiaggia.
Alessandro scortato da un plutone con le lance ed i vessilli, seguito dai luogotenenti
ed amici, uscì dalla tenda principale e si avviò allo scaleo del tempio.
Il sole era già alto e scottava, ma una leggera brezza muoveva le fronde alte degli
eucalipti e dei cipressi e degli ulivi che incorniciavano l'area del tempio e della
piazza, procurando per tutti una piacevole sensazione di fresco. Accanto ad
Alessandro era il paggio Cronus che reggeva una braciere ormai spento di bronzo
impreziosito da anelli e borchie d'oro e d'argento. Dietro ancora erano alcuni soldati
che tenendo gli scudi rovesciati ci trascinavano sopra sacchi di sementi e grappoli di
datteri di certo arrivati ad Alicarnasso dai mercanti d'Oriente. L'atmosfera era – in un
certo senso – solenne. Fu il Re a parlare per primo.
“Saggio Ocirne ho ascoltato prima le tue parole di benvenuto e ne ho intenso il
significato più profondo: che pace sia ora nella vostra civile e che io possa avere
forza a proteggervi da Persiani o altri oppressori – con i miei uomini – garantendo
comunque l'identità culturale, sociale e religiosa della vostra terra, che vostra deve
rimanere nella democrazia che avete ora restaurato. Proclamo oggi di fronte ai
notabili del vostro indipendente consiglio democratico e di fronte al popolo, che per
dieci anni da oggi la lega dei nostri popoli greci non pretenderà tasse o tributi da voi,
e garantirà la presenza di una guarnigione adeguata ai vostri bisogni di protezione.
Questo braciere mio modesto omaggio alla vostra isola e che consegno ai sacerdoti
del tempio di Poseidone, possa a lungo spandere i profumi delle essenza più preziose,
delle quali è ricca la vostra terra sin dai tempi di Tilos figlio di Alia sorella dei
Telchini e del Sole. E sia il suo fuoco segno di ardente libertà che possa spandersi
sulle isole e terre qui intorno. E che da questi sacchi – e si volse ai soldati che pronti
accatastavano i sacchi sullo scaleo della piazza – i tuoi cittadini, artigiani della terra e
delle pietre, possono trarre e spandere tutte le sementi utili a ricevere il caldo raggio
del vostro sole e a succhiare la limpida fresca acqua che dalle viscere della terra sorge
abbondante sui vostri monti. Sia pace a te , oh Ocirne , ed al popolo di Tilos”.
Un corale grido di “evviva” si levò tutt'intorno, e quando dall'interno del tempio si
sparse fuori il suono delle arpe - che Alessandro aveva voluto – insieme al canto
sommesso delle vestali, Alessandro con al fianco Ocirne il vecchio si inginocchiò in
silenziosa preghiera di fronte alla statua di Poseidone, mentre un sacerdote sgozzava
un bianchissimo agnello il cui capo era posto in un opercolo al tabernacolo sopra
l'altare: il sangue fluì per un canalicolo intarsiato nel marmo e si raccolse in una
piccola tazza sull'altare. Così tutti sfilarono lì a lato intingendo nel sangue le dita
della mano destra, passandola poi sulla fronte.
Quando tutti uscirono dal tempio, Alessandro con un gesto di reverente e amichevole
devozione prese sottobraccio il vecchio Ocirne e l'invitò a seguirlo nella sua tenda,
insieme ai suoi luogotenenti e amici.
Chi era Ocirne il vecchio.
Ocirne era nato ad Atene da Dracoro di Lamia e Inna di Maratona nell'ultimo mese
dell'anno 413 a.c. Il padre funzionario capo dell'Amministrazione delle strade
cittadine era uomo colto e tranquillo, che sempre si era estraniato dalle diatribe
politiche, vivendo pacificamente con la moglie e le due figlie, oltre Ocirne. Voleva
che il figlio maschio crescesse nel segno della migliore educazione culturale e per via
della sua posizione di buon prestigio nella media borghesia ateniese riuscì a
raccomandarlo ai notabili nella scuola di Cxesias di Cnidos, allora famosa per il
prestigio di medico in una Scuola, quella di Cnidos, che era stata antecede4nte con i
suoi pionieri Italioti e poi contemporanea a quella che fu poi più famosa la Scuola di
Ippocrate a Cos. Cxesias di Cnidos fu anche medico , alla corte Persiana e non solo
medico perchè divenne forse più famose ancora avendo scritto la storia dei Persiani il
24 tomi. Il giovane Ocirne era giunto a Cnidos che aveva 18 anni, ma subito aveva
preso il meglio della cultura polivalente che quella Scuola gli offriva, pur in un
ambiente sottomesso a satrapia persiana. Già allora aveva avuto occasione di fare
brevi escursioni da Cnidos a Tilos li davanti che godeva di fama – ed ovviamente
stimolava la curiosità che la fede dei giovani – di ospitare singolare riti dionisiaci
ispirati anche all'antica civiltà dei Telchini. Poi successe che il giovane fu in qualche
modo testimone della famosa battaglia navale di Cnidos dove la flotta sì Persiana ma
comandata dal transfugo Ateniese Canone, affossò definitivamente le aspirazioni di
Sparta a comandare sul mare Egeo. Dopo quella battaglia Ocirne entrò nelle grazie
dell'ammiraglio Canone e con lui rientrò ad Atene. Allora abbandonò gli studi
propriamente di Medicina e viaggiò a lungo il mondo acquisendo il meglio delle
culture di vari paesi e coltivò a lungo l'aspirazione di scrivere le storie di quegli anni
e di quei popoli.
Nel periodo in cui Aristotele, prima di diventare precettore di Alessandro, visse a
Mitilene nell'isola di Lesbo, Ocirne fu lì e lo conobbe ed ebbe modo di instaurare un
colloquio scolastico e culturale tale che lasciò indelebile segno nella sua esistenza,
ancora per molti e molti anni, esistenza di giramondo affamato di nuove conoscenze
ed anche di scienza. Non si sposò mai e non ebbe figli. Quando il peso degli anni
cominciò a farsi sentire, interferendo sulla sua voglia di eterno viaggiatore, solo
allora – memore delle bellezze e dell'atmosfera magica del mare Egeo - decise di
ritirarsi a Tilos quale rifugio di riflessioni e di meditazione. Di questa sua scelta
Aristotele era venuto a conoscenza e più volte aveva menzionato al giovane
Alessandro il ricordo di questo uomo saggio testimone di molta storia, e che aveva
deciso di ritirarsi a Tilos. Molte di queste cose Alessandro quindi sapeva, e ritenendo
Ocirne appunto testimone vivo di molti fatti di storia, voleva sentire dalla sua viva
voce quanto di più potesse egli raccontargli tutto ciò. Alessandro lo desiderava per
arricchire le motivazioni che erano alla base della sua spedizione di conquista contro
la Persia ed oltre.
Questo disse allora Alessandro rivolto al vecchio:
“Oh , uomo saggio, sapiente e capace di riflessioni profonde vissute nella pace di
questa magica atmosfera Egea, io ti chiedo di portarmi – con la tua limpida parola via via in mezzo agli eventi che hanno fatto la storia delle nostre terre di Grecia.
Perchè io possa ritrovare più profondo senso al sentimento di conquista che mi
pervade e mi costringe anche ad azioni atroci e violente contro genti delle quali io
non conosco la storia. Sono certo che tu mi potrai aiutare, e così lo sono anche i
luogotenenti e gli amici che ho qui intorno a me. In particolare forse più di tutti
Callistene di Olinto, che mi segue come cronista di storia e che è , come tu stesso sai,
pronipote di Aristotile.”
Dalla tenda , dopo un frugale desinare, si erano trasferiti tutti all'ombra di un gruppo
di secolari eucalipti e tamerici che tenevano in ombra un seggio circolare costruito
con pietre d'epoca minoica, forse residuo di un torre o di un muro. Alcune donzelle
con ghirlande avevano portato brocche calici con fresche bevande di latte di capra e
miele, e latte di mandorle e vino resinato. L'atmosfera aveva perso ogni aspetto o
sfumatura di solennità ed ormai prevaleva in tutti un senso affettuoso di devozione e
di ammirazione verso questo vecchio canuto che Alessandro aveva additato a tutti
come depositario di tesori della storia.
Così allora parlò Ocirne:
“Tu mi fai grande onore, Sovrano massimo, e pure allievo del grande Aristotele , a
chiedere a me di aiutarti a comprendere meglio il senso delle tue conquiste attuali e
future, il senso storico delle forme di governo che vorrai attuare, seguire, modificare
o - per altro verso – combattere.
La mia povera persona, con fantasia irrequieta, e mai sazia di conoscenza girò sì il
mondo per apprendere ma ora rinchiusa nella sua solitaria pace di riflessioni, di certo
è indegna – al tuo cospetto – di elargire insegnamenti che, irriverenti della tua
grandezza, possano in qualche modo condizionare le tue scelte e decisioni. Ma tu
chiedi “Storia” e cercherò di porgerla a te ed alla scrittura di Callistene di Olinto che
per te è portato a trascrivere eventi ed imprese, come io fui una volta con
l'Ammiraglio Conone. Devo però premettere che io so già che in te vivono gli
insegnamenti di Aristotele, pur diversi dalla tua natura istintiva e passionale. Qui oggi
hai voluto mettere da parte quindi i tuoi istinti per attingere al piacere del raziocinio,
per modulare le scelte adatte al tuo fine ultimo, che intravedo sì collocato, per una
certa pace tra i popoli, ma ahimè legato anche alle tue ambizioni e valenze ed alle tue
superstizioni forse troppo disperse nei meandri paludosi dell'occulto. Ma la felicità –
tua e degli amici tuoi e delle genti a te ora vicine e quelle che saranno tali necessariamente deriva dall'esercizio della ragione, come afferma il tuo maestro
Aristotele.
Ed io , se io potrò e saprò indirizzare raggi di luce chiara sopra le macchie scure del
mio istinto, sarò stato fortunato e dovrò ringraziare gli Dei di avermi dato questa
possibilità ed onore.
Vedi, mia Maestà, ho cominciato a parlarti quasi offendendoti, ma se tu sei qui io
credo tu sia già disposto a perdonarmi perchè io mai potrò rinunciare alla mia – credo
tale sia – onestà e libertà d'intelletto.”
“Padre del sapere dell'animo e della mente tua – così interloqui Alessandro – sono io
a ringraziarti si essere qui disponibile ad esaudire il mio inconscio desiderio di meglio
sapere le cose degli anni che furono e delle genti e uomini che li vissero. Ti
ascoltiamo reverenti e devoti: puoi starne certo.”
Poco lontano, dietro il tempio, si udirono suoni dolcissimi di arpe e flauti: le giovani
e i giovani clerici devoti ai riti di Poseidone si stavano preparando a dare il meglio di
se per le musiche che avrebbero accompagnato le cerimonie della sera.
Alessandro fece segno che fossero lasciati fare: la dolcezza dei suoni soffusi
mischiata al leggero sfrondare degli alberi, creava un sottofondo musicale discreto ed
accattivante per momenti d'intensa riflessione spirituale. Tutti erano riuniti affascinati
dal breve filosofare di Ocirne, colloquiante così – riguardoso e insieme deciso - con il
Re.
Ocirne allora iniziò meglio a svolgere quella che sarebbe stata come una magistrale
orazione di Storia rivolta a colui che stava per divenire il Conquistatore di mezzo
mondo.
CAPITOLO IV
IL RACCONTO STORICO
Ocirne parlava e raccontava con pacatezza e con singolare capacità di alternare
sintetici schemi storici ed episodi di cronaca, quasi aneddotici, ed emotivamente più
coinvolgenti lui stesso ed i suoi ascoltatori. Il ritmo del suo racconto era equilibrato, e
spesso citava fonti storiche quali quelle di Erodoto, Eschilo, Tucidide, Senofonte, ma
fondamentalmente il “pathos” era tutto amalgamato con il suo sapere, la sua
personale analisi critica, il suo senso di moralità scarsamente disposti a compromessi
con il truce pragmatismo della politica e dei servi della politica.
Così cominciò con una promessa, che era omaggio e testimonianza di un'assoluta
fedeltà ai principi di consequenzialità scientifica propri della dialettica Aristotelica.
“Anche se tu , mio Re, e voi amici suoi vi aspettate di conoscere da me subito, e
meglio di me quello che già non sappiate, gli avvenimenti dei quali sono stato diretto
partecipe e testimone, eventi stessi che hanno portato prima tuo padre Filippo ed ora
tu Alessandro ad incarnare la vendetta contro i soprusi che venivano da Oriente. Io
debbo prima ricordarmi il percorso della storia quale fu per il tempo lungo delle circa
50 Olimpiadi che precedono il nostro tempo.”
Così il resoconto storico di Ocirne partì dai tempi in cui Pisistrato era diventato
dittatore in Atene e qui gestì il potere che aveva conquistato – pure dopo un esilio –
con la presa dell' Acropoli. Il suo potere seguiva – più ancora indietro nel tempo –
quello di Silone che aveva abolito la schiavitù, svalutato la moneta, e diviso i cittadini
secondo il censo, liberi, tutti di fronte alle stesse leggi, ma con diritti politici che
variavano secondo quanto ciascuno pagava le tasse, e di fatto aveva creato una prima
democrazia nella quale si articolavano tre partiti: quello di destra con gli aristocratici,
quello di centro con la borghesia e i mercanti e gli armatori, quello di sinistra con il
proletariato della città e dei contadini.
Pisistrato, scaltro e ambizioso cugino di Solone,conquistò il potere con un colpo di
stato, e fu poi ricacciato in esilio, ma 3 anni dopo (546 a.c.) restaurò il suo regime
dittatoriale che durò 19 anni.
Intanto proprio in quegli anni i Persiani avevano incominciato ad occupare le città
dell'Anatolia e della costa instaurando le Satrapie.
Pisistrato fu il primo a capire pienamente che per difendere la cultura e
l'organizzazione sociale d'Occidente, Atene doveva essere un baluardo. Il destino di
Atene era sul mare e sul mare si doveva costruire la potenza di Atene:”Questo
disegno avrà bisogno di 70 anni prima di realizzarsi” sottolineò Ocirne. Egli,
Pisistrato, fu un uomo di ferro, e di modi e di gusti raffinati ed esercitava un vero e
grande carisma ammantato da disponibilità e cordialità con tutti.
“Tu Alessandro che tanto ami Omero, ed i suoi eroi , sai bene che fu proprio lui ad
istituire una commissione di studiosi che operò la raccolta ed il riordino dei
frammenti delle odi Omeriche, l'Iliade, e l'Odissea e che erano sparsi nelle biblioteche
delle città del Mediterraneo e dell'Ellade. Tutto il suo governo era impostato ad
evitare le guerre e nello stesso tempo dare ad Atene il duo ruolo di capitale morale
della Grecia.”
Ocrine volle ricordare quello che era successo in Libia, già prima dell'insediamento di
Pisistrato in Atene e durante la sua dittatura.
Creso, re della Libia, era stato amico di Solone, il precedessore di Pisistrato del quale
ultimo era invece cugino. Creso già nel 560 aveva annesso le isole della Jonia, ma
non aveva ben considerato le prime mosse della grande espansione persiana. Quando
se ne accorse era già troppo tardi e Ciro il Grande, Re Persiano, lo sconfisse e poi lo
portò sul rogo e qui lo graziò, e dopo ne divenne anche amico e protettore. Ma la
Persia (546) conquistò la Libia e così si affacciò sulle sponde del mare Egeo e poi,
dopo Ciro, fu Dario che conquistò le isole.
Intanto ad Atene Ipparco primo figlio ed erede di Pisistrato, fu travolto da amori
omosessuali e congiure di palazzo sino al suo assassinio. Ippia, l'altro figlio di
Pisistrato, scampò, ma poi dovette esiliare dopo il colpo di stato di Clistene (508) che
quasi dopo vent'anni dopo la morte di Pisistrato cercò di rivederne le politiche.
Clistene inventò anche un sistema di voto assembleare che di fatto aveva potere di
condannare ed indurre all'esilio uomini dell'amministrazione e del potere politico, sin
anche al vertice: il sistema fu quello dell'ostracismo. Ippia intanto, già nel 510 si era
rifugiato alla corte di Dario sino a diventare consigliere utilizzando così i suoi piani
di vendetta contro Atene che lo aveva costretto all'esilio. Vedrete come poi nel corso
degli anni ed eventi della Storia più volte si ripeterà questo – chiamalo – meccanismo
storico: Greci, ed in particolare Ateniesi, osteggiati ed esiliati si pongono al servizio
dei nemici d'oriente per la vendetta o altre mire di potere da realizzare con il ritorno
in Patria.
“Vedete amici _ così proseguì Ocirne – quali e quante piccolezze e cattiverie
dell'animo, possono condizionare malamente la storia e nuocere alle genti inermi che
possono solo seguire inermi i destini imposti dai potenti. Ippia, che alla corte Persiana
si era guadagnato subdolo prestigio, convinse Dario a conquistare Mileto (492) dove i
Persiani realizzarono terribili crimini di guerra, e poi lo convinse ad estendere la
guerra contro Atene.
Così iniziarono le prime guerre contro i Persiani. Così i Persiani erano finalmente
arrivati ad installarsi prepotentemente sulle coste anatoliche del Mar Egeo, e appena
due anni dopo il sacco di Mileto, una grande flotta Persiana con 200 navi ed un
esercito di 200.000 uomini fu in grado di conquistare l'Eubea. Solo allora nelle città
della Grecia cominciò a nascere la coscienza di doversi opporre alla minaccia
d'Oriente, una minaccia che si presentava come barbara, estranea ai valori più elevati
della civiltà greca. Atene però si trovò inizialmente molto sola e ci volle ancora più di
un decennio prima che in qualche modo, con la forza e l'ingegno, l'opposizione alla
Persia divenisse concreta.
Quando i Persiani ebbero occupato l'Eubea, Atene trovò alleata solo la piccola Platea,
ed inoltre il suo esercito era malamente organizzato proprio per una visione distorta
della democrazia: una democrazia che così alterava totalmente l'assiomatica necessità
che le decisioni militari toccano sempre ad un solo comandante. Invece Atene aveva
imposto all'esercito una parcellizzazione di comandi a tempo che di fatto andavano a
turno.
Quando l'esercito Ateniese si disperse ad affrontare i Persiani a Maratona, il turno di
comando toccava ad Aristotele, che era un uomo onesto e giusto, sì che lui rinunciò al
suo turno di comando cedendolo a Milziade . I Persiani con diverse centinaia di
triremi alla fonda nel mare antistante avevano trasportato diverse decine di migliaia
di uomini in armi e persino la cavalleria. Là attesero, poiché speravano che spie
infiltrate ad Atene fomentassero una rivolta interna. Gli Ateniesi invece portarono
l'esercito sulle alture sovrastanti le paludi che circondavano la piana di Maratona;
l'esercito Ateniese era di soli 11.000 uomini e per questo aveva inviato Fidippede ad
avvisare Sparta invocando l'aiuto di quell'esercito, ma questo esercito non arrivò e
Fidippede ritornò comunque a Maratona. Qui gli Ateniesi, vedendo movimenti di
accerchiamento da parte dei Persiani, attaccarono e vinsero, poi di corsa, tornarono ad
Atene per non lasciare sguarnita la città. Milziade sconfisse così il pur più grande
esercito persiano, che era stato però incapace di attuare una vera strategia militare.
La notizia della vittoria di Milziade fu portata in Atene sempre da Fidippede che
corse la lunga distanza tutta d'un fiato, morì per lo sforzo, e così entrò nell'eternità
della storia. Era l'anno 490.”
Il tempo d'orazione “storica” di Ocirne scorreva in assenza che ci fosse alcun segno
di noia o di disattenzione da parte dei presenti e di Alessandro, che ad ogni cenno o
particolare di battaglia metteva istintivamente la mano sul pomo della spada al fianco,
accarezzandolo come ad ubbidire ad un 'inevitabile comando del subconscio.
Callistene a tratti prendeva appunti schematici su una tavoletta d'argilla, Efistione
viveva all'unisono con Alessandro la profondità del racconto e delle sue implicazioni,
l'unico che ogni tanto si distraeva era il comandante Leandroculos che con cenni
discreti chiamava a sé un qualche soldato di guardia perchè gli riferisse se le vedette
poste nei punti cruciali dell'isola fossero al loro posto e vigilassero prontamente su
eventuali pericoli del mare. In silenzio ogni tanto alcune donzelle timorose e
intriganti portavano brocche con dissetanti succhi di frutta ed acqua fresca di fonte.
Ocirne a tratti fissava in alto il cielo azzurrissimo come a cercare nell'immensità
precisi ricordi e sensazioni storiche. Dopo il riferimento alla battaglia di Maratona si
avvertiva, anche nel racconto, l'inizio del momento cruciale della vita militare,
sociale e politica della nuova Grecia – pur ancora soffertamente divisa – sacra
depositaria della cultura d'Occidente contro la minaccia che veniva d'Oriente.
Momento cruciale che aveva comunque ancora il suo fulcro in Atene. “Ad Atene era
ben solido l'arconte Temistocle al quale si opponeva Aristide il giusto, lo stesso che
aveva ceduto il comando a Milziade a Maratona. Milziade era morto tra i due,
Temistocle ed Aristide era sempre vivo un rancore tremendo derivato dal fatto di
essere stati ambedue innamorati di una ragazza, Stesilao di Ceo, che era morta
qualche tempo prima. Nella diatriba politica tra i due vinse Temistocle che propose
l'ostracismo come Aristide, il Giusto, così come capita spesso ai galantuomini.
Temistocle era indubbiamente più intelligente, e politicamente senza scrupoli: era
l'uomo di cui aveva bisogno Atene in quel momento. Aristide, udito il verdetto
dell'ostracismo contro di lui, disse serenamente: “Spero, Ateniesi, che non abbiate più
occasione di ricordarvi di me.” E invece poi non fu così.
Nel 486, alcuni anni dopo Maratona, Dario morì in Egitto dove si era recato per
domare una rivolta, e gli successe il figlio Serse. Questo nuovo Re dei Persiani si
sentiva fortemente destinato a diventare Re dei Re dopo che avesse sottomesso tutta
la Grecia. Serse cominciò ad organizzare un'immensa forza militare di occupazione
usufruendo di tutti i riferimenti che otteneva dalla città della costa ed anche dalle
isole che erano spremute a produrre viveri: successe anche a Tilos. Erotodo disse che
l'esercito di Serse consisteva in due milioni e mezzo di uomini e la flotta contava
1200 navi: forse aveva esagerato, ma il corpo di spedizione Persiano era veramente
inimmaginabile.
Di fronte a tanta minaccia finalmente anche Sparta si coordinò con Atene in quella
che fu la Lega Ellenica. Ma la forza d'urto della spedizione fu enorme: attraversarono
l'Ellesponto (Dardanelli) con un ponte di 700 barche completato con sopra tronchi
d'albero e terra, poi scavarono un canale di 4 mila braccia così lungo da poter
attraversare l'istmo del monte Athos.
L' esercito persiano scendendo da nord verso Atene fu inaspettatamente affrontato
alle Termopili da 300 Spartani guidati dal loro Re Leonida ed ovviamente malgrado
l'eroica resistenza spartana, li travolse. Intanto Temistocle era riuscito a non perdere
nella battaglia navale di Artemisia, ma quando giunse la notizia dell'avanzata
persiana, dopo le Termopoli, si trovò in grande difficoltà a convincere i generali del
suo esercito e della sua flotta a studiare comunque una strategia di difesa e
contrattacco.
Gli Spartani,allora alleati di Atene e comandati da Euridiade che pretendeva il
comando assoluto se pur formale di tutta l'azione, erano contrari ad uno scontro
deciso sul mare ed avrebbero preferito costruire un muro sull'istmo di Corinto per
prevenire l'invasione del Peloponneso che a loro premeva di più. Temistocle li
persuase a rinunciare a questa strategia, avvertendoli che con l'immensa flotta che
avevano, i Persiani potevano sbarcare a sud di Corinto quando volevano.
Gli Ateniesi lasciarono la città, ed i Persiani arrivati via terra trovarono una Città
vuota e la loro flotta entrò nella rada per accerchiare definitivamente gli Ateniesi.
Temistocle con un inganno di falso spionaggio riuscì a creare una situazione per cui i
suoi generali ed ammiragli Ateniesi e alleati, furono costretti a battersi. Infatti in quel
momento sembravano prevalere intenzioni distinte: ma così non fu.
“ Credo che a tutti voi – così parlava più emozionato Ocirne – piaccia conoscere più
un dettaglio come si svolse la battaglia di Salamina che di fatto salvò la Grecia tutta
dal dominio Persiano. Sono convinto che le genti che verranno cento e cento, mille e
mille anni nel futuro del tempo dovranno riconoscere che con questa vittoria Greca
contro il barbaro Oriente, furono salvi i valori di una civiltà, la nostra che nulla aveva
– e nulla avrà mai – a che fare con quella distorta visione di vita civile e morale che
viene dall'Oriente. Ebbene ecco che cosa avvenne. Serse si fece portare un trono d'oro
sull'altura del Pireo, il monte Aegoleus, dominante il mare davanti a Salamina per
assistere alla battaglia che riteneva sicuramente vittoriosa. Non fu così. Correva
l'anno ???? ed era la fine del mese di Settembre.
I Greci avevano 371 triremi e più piccoli vascelli con 50 remi: 180 navi erano
Ateniesi, 40 da Corinto, 30 da Egina e 16 da Sparta e tutte le altre degli alleati,specie
le isole. La più grande flotta Persiana aveva 600 navi pronte alla battaglia, anche se la
più grande flotta d'invasione era giunta nel mare Egeo con 1207 navi delle quali
molte erano affondate per la tempesta e per la battaglia navale di Artemisio appena
un mese prima di Salamina. Là Temistocle era riuscito a contenere la forza d'urto dei
Persiani.
Temistocle anche a Salamina era di fatto il comandante delle operazioni e giocò
d'astuzia. Inviò una falsa spia, uno slavo di nome Sicimmus, di modo che i Persiani
credessero in una furtiva notturna ritirata dei Greci di fronte alla flotta Persiana già
schierata. Serse cadde nel tranello e per non farsi sfuggire l'occasione di distruggere
la flotta Greca e decimare così i Greci, inviò il grosso della flotta sul lato occidentale
del Golfo per chiudere gli “stretti” a ricercare le navi Greche e fuggitive. Ma i Greci
erano rimasti nascosti alla fonda davanti alla costa di Salamina. Al mattino i Persiani
erano esausti per il lungo notturno perlustrare il mare ad occidente dove sarebbero
dovuti passare i Greci fuggitivi. Alle prime luci del giorno le navi Corinzie finsero
una ritirata attirando i Persiani nello stretto. Nessuna nave Greca si mosse sino a che
una triremi Greca velocemente speronò la nave Persiana di testa: a quel punto tute le
navi greche attaccarono. Così come era successo nella battaglia di Artemisio la flotta
persiana molto numerosa e con navi persiane. Queste cercarono di ritirarsi e tornare
indietro, ma un forte vento li ostacolò e li intrappolò: anche le poche navi che erano
state capaci di rigirarsi a vento si trovarono poi bloccate dalle stesse loro navi
Persiane che avevano ostruito lo stretto. A quel punto le navi greche e persiane si
scontrarono l'un l'altra e la battaglia sembrò trasformarsi in una battaglia di terra.
Ambedue gli eserciti di mare avevano a bordo i soldati da combattimento terrestre, i
Greci avevano gliarcieri e frontalieri. L'ammiraglio persiano Ariamenes speronò la
nave di Temistocle ma egli stesso, il Persiano, rimase ucciso in un combattimento
corpo a corpo. Riuscirono a ritirarsi solamente 100 delle 600 navi di Serse ed anche i
successivi tentativi di contrattacco furono bloccati dai Greci.
Mi ero dimenticato di dirvi che con la flotta persiana combatteva anche un piccolo
contingente di navi comandato in prima persona da Artemisia Regina della Carnia ,
regione allora sottomessa alla Persia ed obbligata ad essere alleata nella guerra della
Grecia. Artemisia aveva inutilmente tentato di convincere Serse ed Ariamenes che la
loro strategia navale era sbagliata in quel mare di Salaminia, ma inutilmente. Si battè
comunque l'Amazzone marinara con un grande coraggio e quando si trovò attaccata
da una nave ateniese, essa stessa simulò un attacco ad una nave persiana convincendo
così il capitano greco che anche lei stava dalla sua parte. Le navi di Alicarnasso
riuscirono a distruggere nove navi Ateniesi ed il Re Serse, che assistette esterrefatto
dal trono il disastro della sua flotta ed ammirato del coraggio e della bravura navale
di Artemisia esclamò una famosa frase: “ il mio generale donna è diventato uomo ed i
miei generali maschi sono diventati femminucce!”
Le perdite persiane oltre che propriamente navali, furono disastrose per numeri di
uomini persi, poiché la maggior parte dei soldati imbarcati non sapeva nuotare. Tutti i
comandanti greci avevano combattuto con coraggio e con sapiente strategia navale:
oltre allo spartano Euridiade e Temistocle, c'era anche Adeimantus di Corinto e
pensate, pensate... Aristide il giusto che già prima delle battaglie con i Persiani, di
fr5onte all'incombente pericolo era stato richiamato in Atene dall'esilio. Aristide poi
sopo la vittoria di Salamina sarà l'artefice principale nella costruzione della Lega di
Delos.
Ma torniamo a Serse subito dopo Salamina: con tutto l'esercito di terra avendo
comunque predisposto avamposti di occupazione, Serse corse verso l'Ellesponto dove
aveva lasciato il ponte di barche ed iniziò subito la ritirata verso la Persia. Lasciò
comunque in Eubea un grandeesercito affidando il comando a Mardonico che fu
anche capace di rioccupare Atene. Da Atene fu costretto poi a ritirarsi in Beozia,
poiché le truppe greche della Lega stavano notevolmente rinforzandosi.
Non era ancora passato un anno dalle battaglie di Capo Artemisione nell'agosto, ed
ancora più quella decisiva di Salamina in Settembre, che gli eserciti della Lega e
quello dei Persiani e loro alleati tra cui Tebe, si prepararono ad affrontarsi in Boezia a
nord di Atene sulla pianura ed sui colli ed i monti tra le due principali strade direttrici
verso Tebe: Mardonio non aveva voluto ritirarsi a Tebe, convinto con il suo esercito
avrebbe saputo distruggere l'esercito greco: in mezzo ai due eserciti era il fiume
Asopo e dietro ai Greci a sud era il passo di Driocefale attraverso il quale i Greci
ricevevano i rifornimenti. Ancora enormi erano le differenze numeriche tra i Greci e i
Persiani, ma altrettanto grande era la capacità strategica ed offensiva a vantaggio dai
meno numerosi Greci.
Prima della battaglia si consultarono a lungo anche gli indovini dei due campi avversi
, con alterni presagi di preferenza alle strategie di difesa o d'attacco. I Persiani furono
i primi ad attaccare anche con sortite di disturbo attuate dalla loro cavalleria, ma le
caratteristiche elle falangi greche ostacolarono queste azioni. I greci comunque
passarono momenti di difficoltà, poiché esistevano, come sempre, differenze di
vedute tra gli alleati sulla tattica da seguire e lo schieramento da predisporre. Il
comandante in capo alle truppe Greche, lo spartano Pausania seppe però superare le
difficoltà interne e fu l'eroe della battaglia. L'assalto decisivo fu ancora dei Persiani
quando Mardonio ordinò l'avanzata in massa di tutto l'immenso esercito superiore ai
100.000 uomini. La cavalleria, gli arcieri ed i giavellottisti si mossero con decisione e
con grande forza d'urto. Mardonio sembrava prevalere all'inizio ma commise l'errore
di serrare troppo i ranghi tra i reparti che divennero si più compatti ma che non erano
in condizione di reggere l'urto, devastante delle falangi che con gli opliti fecero
breccia nello schieramento nemico determinando caos e inducendo i Persiani ad un
fuggi fuggi generale. Mardonio fu ucciso mentre combatteva nelle prime linee.
Contemporaneamente a questa definitiva battaglia e vittoria di terra del mattino; nel
pomeriggio lì a Capo Micale subito davanti all'isola di Samos, la flotta della Lega
inflisse l'ultio definitivo colpo mortale ai resti della flotta Persiana – in una convulsa
battaglia di mare e di terra -. L'armata greca a campo Micale inseguì i Persiani sino
all'Ellesponto.
Era l'anno 479 e nell'anno successivo proprio Aristide il Giusto perfezionò gli accordi
della Lega di Delos che includeva le Cicladi e le città greche dlla costa tracio –
macedone e della costa asiatica. La Lega, di fatto, era gestita da Atene ce si rafforzò
moltissimo raccogliendo tasse e tributi.
Dopo circa 70 anni si realizzava il disegno e l'aspirazione di Pisistrato che vedeva il
futuro di Atene proiettato sul mare.”
Ocirne si fermò un momento per dissetarsi con una fresca bevanda poi riprese il
racconto storico.
“Mio Sire, ed amici miei fidati, e voi comandanti d'armi, io vi ho raccontato di quegli
anni terribili che io non ho vissuto personalmente, ma di quegli anni tutti i ricordi, e
le paure e le grandi speranze le ho sentite mille e mille volte nei racconti di mio padre
e di mio nonno, e le ho studiate e rilette negli scritti dotti e precisi di Erodoto e di altri
Storici e le ho ancora sentite nelle lezioni di Cnitos di Cnidos.
Forse nel mio racconto posso avervi annoiato nel seguire uni schema storico o ne
lasciarmi trasportare da emozioni storiche non vissute ma certamente sentite come
mie. Ma credetemi, voi che vi accingete all'impresa di ricacciare lontane le nuove
intrusioni delle culture e della barbara violenza dell'Oriente e in parte già lo avete
fatto in pochi mesi, credetemi: è importante, tenere bene a mente quello che è stato o
che ritorna nei flussi e nei riflussi della storia: questi riportano criminali, aspirazioni
d'espansione e di oppressione contro le nostre città greche e contro le nostre genti,
contro la nostra civiltà. Aspirazioni che – per flussi e riflussi – forse esisteranno
ancora per i millenni futuri.
In quegli anni, allora successero invero eventi d'immensa portata storica per il futuro
di tutta l'umanità. Ora forse il mio racconto diverrà più scolastico e sintetico sino ad
arrivare agli accadimenti che riguardarono la mia gioventù sino ad arrivare a quegli
anni di storia dei quali direttamente o indirettamente ho potuto essere umile
testimone.”
Il racconto di Ocirne si sviluppò quindi sottolineando gli avvenimenti più importanti
che negli anni a seguire si verificarono in Grecia e per le terre interne e quelle in
mezzo al mare. I contrasti tra Atene e Sparta coinvolgenti anche – con alterne
posizioni – altre città e regioni, dominarono questo periodo storico e poi infine con le
guerre che furono dette guerre del Peloponneso. Nella complessità di questi
avvenimenti si verificarono tradimenti,voltafaccia, intrighi politici e militari, storie di
amori e di adulteri, storie di cortigiane e di omosessuali. Uomini saggi e grandi
imbroglioni vissero in questo periodo. Per paradosso fu proprio in questo lasso di
tempo che Pericle donò ad Atene 30 anni di benessere e di splendore artistico e
culturale, quel periodo d'oro che trovò la sua massima concreta espressione nella
costruzione del Partenone e nella attività artistica di Fidia e nella filosofia di Socrate.
Poi ci furono anche eventi catastrofici ed imprevedibili: ci fu un terremoto devastante
a Sparta e ci fu la peste ad Atene, e di peste morì ahimè Pericle.
Nel 415 Atene organizzò una spedizione in Sicilia per aiutare Segesta contro le
doriche Selinute e Siracusa legate a Sparta: a Siracusa Atene subì una disfatta e perse
quasi la metà dei suoi uomini, e tutta flotta.
Con alterne vicende si scambiarono il potere regimi oligarchici e democratici e con
alterne vicende per terra e per mare si affrontarono i Capitani ateniesi e spartani.
Poi Sparta prese il sopravvento anche sulle isole e coste asiatiche, attuando una
tremenda pressione per tasse e tributi gestendo il territorio con governatori
“coloniali”. Venne a verificarsi una situazione per cui Atene era debole, Sparta non
aveva prestigio e quindi si riaffacciò di nuovo lo spettro dell'espansionismo persiano.
Ancora per assurdo si verificò poi che proprio i Persiani spalleggiati da condottieri
Ateniesi transfughi nelle città divenute setrapia, proprio i Persiani misero fine alle
aspirazioni di Sparta per l'egemonia sul mare.
Strani scherzi dei destini e della Storia.
“Ero ancora un ragazzo di dodici anni quando si seppe (401) che in Persia contro il
Re allora Artaserse si era ribellato il fratello di lui Ciro il quale aveva messo su un
esercito con mercenari dei quali 12.000 erano Spartani, ma c'erano anche comandanti
Ateniesi tra i quali Senofonte. Ciro fu sconfitto e la disfatta pesò enormemente
sull'esercito dei mercenari greci che si trovarono senza rifornimenti nel mezzo dell'
Anatolia: fu allora che Senofonte guidò questi reduci spaesati attraverso tutte le aride
terre e montagne brulle e rocciose sino a giungere sulle rive del Mar Nero a
Trebisonda e da qui via mare i reduci poterono rientrare in Grecia. Questa epica
spedizione di ritirata – poi raccontata da Senofonte nell' “Anabasi” - ebbe grande
risonanza in Grecia si che i Greci dei vari popoli ritrovarono l'orgoglio e la forza di
contrapporsi ancora, ancora una volta contro il nemico Persiano, ma nello stesso
tempo si riattivarono incredibili contrasti tra i popoli stessi della Grecia, ed ancora tra
Sparta ed Atene. La spedizione di Senofonte aveva fatto comprendere ad Agesilao,
Re di Sparta, che in fondo Artaserse non era poi così forte e pericoloso e forse si
poteva battere. In quegli anni io ero già a Cnidos, alla Scuola di Ctesias e Cnidos era
diventata una satrapia di Artaserse, anche se conservava tutti gli elementi della civiltà
e della cultura propriamente greca e, a dir meglio, ateniese. Io come giovane
Ateniese, avevo normalmente la mia vita di studente e frequentavo attivamente la
comunità Ateniese di Cnidos. Noi giovani studenti sentivano i fermenti convulsi e
complessi che si agitavano tra le comunità greche ma eravamo molto dipendenti ai
sentimenti fortemente filo-persiani del nostro Caposcuola, Cterios ormai legato alla
Corte Persiana.
Quando l'esercito di Sparta guidato dal Re Agesilao, esercito piccolo ma agguerrito,
attaccò Artaserse, il Re Persiano allora con una subdola ma efficace azione
diplomatica “comprò”, letteralmente comprò l'alleanza di Atene e di Tebe che si
sollevarono alle spalle di Agesilao. Ci fu poi ancora una vittoria di Agesilao a
Coronea, ma ormai la sconfitta definitiva per Sparta doveva avvenire. È qui, ed è
proprio qui davanti a noi alla punta di quella costa che là oltre il mare tu puoi vedere,
è qui che conobbi Conone subito dopo la battaglia di Cnidos nell'Agosto 394. Noi
giovani avevamo assistito alla battaglia dall'alto del promontorio proprio sopra il
doppio porto di Cnidos: allora tutta la regione era ancora sotto il controllo di Sparta,
ma la Caria era di fatto gestita dal satrapo persiano Pharnabaus.
Nelle piccole e sicure baie della Cilicia e poi in quelle della penisola subito dopo la
battaglia di Cnidos nell'Agosto 394 Canone, - l'ammiraglio Ateniese sopravvissuto
alla sconfitta di Ellosponto esiliato a Cipro e poi assoldato da Artenese ( poi ne
parleremo meglio, per meglio comprendere il suo profilo di guerriero di mare) –
aveva dislocato una parte della flotta.
Forse anche i suoi esperti di Astrologia avevano sbagliato qualche calcolo, perchè
pochi giorni prima, esattamente il giorno 14 di Agosto il sole si era totalmente
oscurato in pieno giorno e la notte improvvisa aveva creato sgomento e paure in tutti.
Forse gli Astrologi avevano letto nell'evento, un segno di comando di uscire dal buio
di un'occupazione senza fine, e ritornare sul continente a difendere gli interessi di
Sparta.
Appena le vedette sulla costa si diedero la voce che gli Spartani salpavano, le navi di
Canone uscirono dalle baie della costa e come falchi piombarono sulle navi Spartane.
Come spesso capita nella seconda metà di Agosto, il mare può sembrare abbastanza
calmo all'inizio del giorno, ma se si alza il vento di nord (Meltemi) bisogna essere
abili marinai e strateghi per mantenere posizioni di schieramento, e Pisandro non
aveva esperienza di quelle condizioni di mare. Le forse delle due flotte erano
abbastanza equilibrate con 95 triremi di Canone e 85 di Pisandro, ma l'attacco in
favore di vento fu micidiale per le navi spartane delle quali molte furono spinte
contro la costa e le spiagge e molte altre, quasi 50, furono via via catturate dai
marinai di Canone. I combattimenti corpo a corpo con le navi agganciate tra loro
furono terribili e lo stesso Pisandro fu ucciso mentre difendeva la sua nave
ammiraglia. Di fatto tutte le navi della flotta spartana furono distrutte o catturate. Gli
spartani sulle navi ormai in mano ai marinai e soldati di Canone, avevano ancora la
forza di cantare il loro coro d'orgoglio “ Prodi giovani un giorno noi fummo. Ed or,
guardaci, prodi noi siamo – noi un giorno saremo più prodi”. Ma a nulla valse, le
aspirazioni di Sparta sul mare erano definitivamente cancellate. Io ero ancora un
giovane vivace e curioso, e quando la flotta persiana alla quale prima della battaglia
si erano aggiunti i resti della flotta ateniese, si ancorò nella baia di Cnidos dopo la
vittoria, io cominciai a visitare spesso il porto affascinato dalle navi e dai marinai, e
dai soldati e dai capitani che si davano la voce a lavorare sulle attrezzature e le armi.
Ogni tanto parlavo con loro e chiedevo agli uomini Ateniesi che cosa stese
succedendo ad Atene. Fu così che dall'alto della prua della nave più bella, un
guerriero imponente con l'elmo lucido e lo scudo borchiato d'oro appoggiato al bordo
della nave, volse lo sguardo verso di me, piccolo piccolo seduto su un masso da
ancoraggio del porto, e mi parlò
Conone
“ Ho sentito che chiedi di Atene ….ed il tuo accento è sicuramente Ateniese. Che ci
fai ….a Cnidos …..tu , qui, ragazzo ? ! “
Chi mi aveva parlato era Conone , l’Ammiraglio in capo di tutta la flotta persiana ,
ma era anche l’Ateniese esiliato ed ora vincitore contro Sparta .
Conone era stato uno deu fortunati sopravvissuti alla battaglia navale di EgospotaniDardanelli – quando la flotta Ateniese era stata sconfitta dalla flotta di Sparta . Fu
allora che gli Spartani credettero di aver definitivamente cancellato il potere di Atene
sul Mar Egeo .
Solo Conone subito all’evolversi della sconfitta sul mare riuscì a scappare con nove
navi Ateniesi . Così cominciò a covare forti senimenti di vendetta contro Sparta . Si
rifugiò esule Ateniese a Cipro e qui – per la sua fama di Condottiero del mare –
arrivarono i Persiani a proporgli e chiedergli di comandare , Ammiraglio mercenario,
la flotta Persiana . Infatti già nel 397 Pharnabasus , satrapo molto influente a Corte,
aveva convinto Artaserse a proseguire la guerra contro i Greci allora dominati da
Sparta . Laggiù in quell’angolo del mar Mediterraneo aveva fatto preparare
un’imponente flotta di 300 navi fenicie e cipriote , ma aveva bisogno di un
Ammiraglio con grande esperienza di guerra nel Mar Egeo . Così aveva convinto
Conone – che in fondo in fondo non aspettava altro – a prendere il comando
dell’intera flotta .Così ancora una volta una situazione mercenaria entrava con forza
nei destini della Grecia , con un Ateniese al comando di una flotta Persiana contro i
Greci di Sparta !
Così proseguiva il racconto storico di Ocirne e così entrava in avvenimenti che lui
stesso aveva in qualche modo vissuto e che riguardavano un periodo storico subito
antecedente l’ascesa e l’impresa di Alessandro ora qui davanti a lui a Tilos .
Conone da grande stratega quale era , aveva prima distribuito la flotta
frammentandola nelle insenature e golfi della Cilicia e della Carnia , poi si stabilì a
Rodi – che è qui molto vicino come tu sai, mio Sire – perché lì c’erano stati
importanti avvenimenti politici , dato che l’oligarchia Rodiense da tempo favorevole
a Sparta era stata spodestata e sostituita da un regime democratico . Fu infatti allora
che Sparta mosse la sua flotta per ristabilire il suo potere a Rodi e sulle isole di quella
parte del Mar Egeo .E Conone attese le prime mosse degli Spartani , proprio a Cnidos
– qui davanti – dove appunto come già vi ho raccontato distrusse completamente la
flotta Spartana .
Ma torniamo al mio incontro – io ragazzetto o poco più - con l’Ammiraglio . Conone
mi aveva notato e mi aveva parlato ! Io inorgoglito ed intimidito allo stesso tempo
trovai la forza di gridare tutto il mio rispetto di Ateniese al Comandante in capo della
flotta , pur Persiana e così gli dissi:
< Sono solo uno studente - mi chiamo Ocirne – uno studente della Scuola del Grande
Maestro Cnitos famosa nel mondo delle Scienze e per questo mio padre Ateniese mi
aveva mandato a studiare qui . Così –quasi senza accorgermi di quello che avveniva
– mi sono trovato intrappolato in mezzo alle vicende politiche e militari di Sparta ,
Atene e dei Persiani . Persiani che ora dicono che governano , ma non è vero loro
occupano con la forza questa città così ricca di sapienti e di sapienza e di opere d’arte
figlie dei nostri grandi artisti greci. >
“ Hai molto orgoglio Ateniese ….bravo ragazzo ! Mi piaci . Ora ….voglio quindi
dirti che qui con me ho alcuni Medici che si occupano della salute delle mie truppe , e
molti hanno studiato qui a Cnidos . “ così mi disse Conone dalla tolda della nave e
quindi m’invitò a salire accanto a lui. Poi volle fare sfoggio della sua cultura e
m’interrogò di quanto sapevo io della Scuola Medica di Cnidos: lui conosceva molti
particolari ed appunto che questa Scuola era nata da Medici venuti da lontano , dalla
Magna Grecia e più precisamente da Crotone . E poi c’era stato Filistione da Locri
appartenente alla Scuola dei Philologoi Italioti , e poi Eurifone di Cnidos famoso per
la cura della malattia che provoca tosse con sangue e pus . Quest’ultimo Medico fu
anche famoso – e tu Alessandro ne avrai ben sentito parlare a Pella – perché insieme
ad Ippocrate di Cos fu chiamato a consulto al capezzale di Perdicca , allora Re dei
Macedoni , che poi morì nel 414 , e che aveva combattuto contro Ateniesi e Barbari .
E poi infine il grande Ctesius che era nato a Cnidos nel 445 : egli dopo essere stato
fatto prigioniero dai Persiani divenne Medico personale di Artaserse dopo averlo
guarito da una grave ferita purulenta che nessun Medico di Corte era riuscito a curare
. Questo Grande Maestro già allora aveva iniziato a trasmettere ai Discepoli un vero
“metodo” di studio ed apprendimento , e nello stesso tempo -grazie alle sue
poliedriche capacità culturali- aveva cominciato a scrivere di Storia .Ctesia era
quindi Maestro di Medicina e di Storia.
Tutte queste cose ernano note a Conone , sin anche a sapere dei contrasti dialettici tra
le Scuole di Ippocrate di Cos e quella appunto di Cnidos : la prima aveva interesse
preminente per il malato , mentre la seconda per la malattia .
( Ndr : http://www.treccani.it/enciclopedia/cnido_%28Enciclopedia-Italiana%29/ )
Ecco…allora io seduto sopra un grande rotolo di gomene sul ponte della triremi
ammiraglia ascoltavo ammirato , e mi rivolsi riverente e rispettoso al grande
Condottiero .
< Mio Signore –gli dissi – rimango ammirato di quante cose tu sai dei sapienti e della
sapienza della Scuola dove io ancora sono un umile novizio studente . Vorrei
rivolgerti – perdonami la libertà – una deferente richiesta , giacchè tu sei Ateniese e
di certo prima o poi –e penso molto presto – tornerai ad Atene per riavere tutto
l’onore grande che ti spetta . Io sono un povero giovane , quasi ancora ragazzo
Ateniese e vorrei vivere il mio futuro con uomini della mia Città e della mia Cultura.
Ti prego , Comandante , trovami un qualche posto tra le tue truppe dove io possa
guadagnarmi da vivere sino al momento in cui tu di certo saprai riportarmi ad Atene
>
Conone che sino ad allora mi era parso arcigno e severo , si sciolse in un grande
sorriso e mi porse le braccia affinchè io mi avvicinassi al suo insperato abbraccio
quasi paterno . Ed io avevo le lacrime agli occhi per la felicità .
“ Ragazzo – mi disse – mi par di capire che tu non ami molto lo studio della
Medicina , ma ami molto la Storia come il Maestro Cneta . Allora ti dico : avrai posto
su questa nave e sarai sempre al mio fianco se tu saprai dimostrarmi di diventare il
cronista scribano degli avvenimenti e delle storie che ci attendono . Questo dico in
nome della simpatia che hai saputo in un attimo suscitare in me che non ho avuto figli
, ed in nome soprattutto del nostro amore per Atene , la nostra grande Città dove – te
lo assicuro – torneremo presto “
Così fu che divenni il cronista di Conone , così come ora – in dimensione
immensamente più grande – Callistene scrive dal vivo la tua Storia di condottiero
conquistatore .
Presi così le mie decisioni : lasciai quasi in silenzio gli amici ed i Maestri della
Scuola e mi trasferii sulla nave di Conone dove mi era stato assegnato dal nostromo
un piccolo spazio sottocoperta con un’amaca appesa , un seggiolino ed una cassa
come scrittoio . Da lì attraverso una piccola feritoia potevo vedere e registrare tutto il
movimento sopra ed intorno le navi che si preparavano a nuove imprese . Ed infatti
nuove imprese ci aspettavano perché – pur onestamente legato ovviamente agli
interessi Persiani come Mercenario – Conone aveva il dente avvelenato contro quelli
che ad Atene avevano ordito contro di lui costringendolo all’esilio a Cipro .
Devo poi ricordarvi quello che allora stava succedendo sull’Ellade continentale dopo
che Pharnabasus aveva inviato un Rodiense di nome Timonate a “comprare”
l’alleanza di molte città della Grecia come Argos , Corinto , Tebe , e la stessa Atene ,
tant’è che li Ateniesi avevano riconosciuto il grande contributo di Conone contro i
tentativi di egemonia praticati da Sparta e gli avevano inviato armi ed
equipaggiamenti militare già prima della battaglia navale di Cnidos . Sempre allora
appena saputo dei traffici ed intrighi di Timonate il Rodiense , Agesilao era rientrato
precipitosamente dall’Asia attraversando la Tracia e la Macedonia verso Sparta , ed
aveva già raggiunto Coronea quando si verificò l’evento dell’oscurarsi del sole ,
presago di cattive notizie che non tardarono a giungergli dopo la sconfitta navale a
Cnidos . Allora Agesilao attaccò l’esercito dei Confederati e vinse , ma non fu capace
di dare valore politico alla sua vittoria e lasciò la Beozia attraversando il golfo di
Corinto dato che l’istmo era presidiato dai Confederati , per tornare in Peloponneso e
riorganizzare il disegno egemone di Sparta .
E’ straordinario dover solo pensare che per paradosso storico e politico , Conone ,
esule dalla sua Patria e poi assoldato dal nemico esterno di sempre “i Persiani “
poteva ritornare ad Atene proprio con l’aiuto anche economico dei Persiani dopo aver
cancellato insieme a loro ogni aspirazione del nemico “interno” quale era Sparta .
Eppure questo fu il destino di Conone .
Ricordo ancora come il grande Ammiraglio fremeva da desiderio di salpare da
Cnidos verso Atene . Il satrapo Pharnabasus di nuovo fedele alla Corte di Artaserse ,
riconoscente per la vittoria contro Sparta che aveva minacciato le coste asiatiche di
dominio Persiano , aveva lasciato a lui Conone tutte le navi vittoriose a Cnidos . Gli
aveva lasciato anche grandi tesori e monete che Conone avrebbe potuto utilizzare per
ricostruire le mura tra Atene ed il Pireo . Fremeva Conone in quei giorni di forte
vento di Meltemi che ritardava il suo rientro ad Atene . Mi diceva : “ vedi ,ragazzo
mio , il vento è troppo forte ora , ma come sempre durerà tre o sei o nove giorni e poi
verrà calmo il mare ed ancora dopo un qualche vento dalla Libia ci porterà sù verso la
nostra Città. “
Ricordo ancora quella sera quando eretto sulla prua della triremi ammiraglia ,
scrutando il cielo ed il mare ancora increspato dalle frange bianche e schiumose di
onde sempre più corte , capì che il vento stava calando e diede l’ordine di preparare le
navi pronte a salpare all’alba del giorno dopo.
Ci fu un gran trambusto di preparativi al porto ed in città , dovendosi caricare barili di
acqua fresca , barili con pesce essiccato e stipato con sale , tinozze ricolme di uve ed
albicocche e prugne selvatiche e mandorle , e sacchi ripieni di farro ed avena . Tutti i
forni della città furono attivati per cuocere gran quantità di pane che in cesti grandi fu
portato su ogni nave , ed ogni nave ebbe capre per latte e formaggi di feta e capretti
pronti da sgozzare .
A sera con cento e cento fiaccole accese Conone e tutti i suoi Capitani e le truppe che
mercenarie lo avevano seguito in Asia , con i vessilli al vento e le armature e scudi
lucidi e splendenti , si recarono in corteo al Tempio di Poseidone : qui Conone in
persona sgozzò un capretto bianco sull’altare di Poseidone , ed un coro prima
sommesso poi via via urlato dalle sue truppe , rese grazie agli Dei ed invocò l’aiuto
del Dio del Mare per il viaggio che li attendeva .Pochi dormirono quella notte , poi
subito prima dell’alba alle primissime luci del giorno che ancora non impedivano di
vedere le ultime stelle , fu un gran fermento di operosi rimestii di marinai , sino a che
ancora Conone ritto sulla prua alzò il braccio al cielo ed al mare ed urlò “ via !! via !!
ora si va ad Atene !” . Le triremi sfilarono via alla voce , mentre i primissimi raggi
del sole illuminavano davanti a Cnidos i profili di Tilos ,Nissiros e Cos . E si prese la
via di Atene risalendo il Mar Egeo d’Oriente sicuri in un mare appena increspato da
venti favorevoli incanalati tra isole e coste e poi decisi in mare aperto verso il Pireo .
All’alba del settimo giorno di navigazione quando la primissima luce del mattino
perforò lo spioncino tra il fasciame di prua dove dormivo nella mia amaca , sentii
sopra di me il ticchettio dei passi inconfondibili dell’Ammiraglio quando si recava a
prua come pronto per la battaglia .Io trasalii ed infilata la tunica salii di corsa saltando
su dal boccaporto di prua ed appena fuori rimasi come folgorato dalla visione che mi
si presentò davanti .
Conone anche lui vestito della sola tunica era inginocchiato a prua con le braccia
aperte e là davanti ancora lontana si stendeva bianca , baciata dalla prima luce , la
costa di Atene . La foschia confondeva appena il confine tra spiaggia , mare e cielo ,
e su quella striscia bianca evanescente quasi di nebbia , si ergeva imponente se pur
ancoea lontano il Partenone .
Conone sommessamente piangeva
La vela principale era appena tesa , ed il fruscio della chiglia della nave che alla punta
schiaffeggiava il mare , sembrava quasi un dolce canto e ditirambo ritmato dai remi,
che nel turno del mattino battevano più svelti su una superficie del mare liscia come
l’olio .
Le altre triremi seguivano l’ Ammiraglia , distanziate tra loro di poche braccia , ed al
comando dei nostromi si stesero veleggiando come in parata , mentre i Comandanti
vestite le armature salivano svelti alle prue .
Conone che prima si era inginocchiato devoto agli Dei , si alzò di scatto e si sfilò la
tunica . Subito due paggi gli porsero la lucida armatura che egli indossò insieme ai
calzari di cuoio borchiati di fregi bronzei ed alla spada al fianco , calzò l’elmo
aprendo al primo sole la visiera ed impugnò lo scudo e la lancia con il vessillo .
Mi vide accoccolato sul solito gomitolo di gomene e mi sorrise appena .
Alzò il vessillo al cielo e gridò :
“ Sia grazie agli Dei che ci hanno riportato a casa . Sia grazie ad Atena ed a
Poseidone !! “
“Sia grazie ! “ urlarono gli altri Capitani .
Poi comandò alla voce alle altre navi :
“ Fate uscire gli uomini tutti ! “
I rematori , i soldati, i marinai salirono tutti sulla tolda delle navi al grido di “ urrahh !
urrahh !! “
Poi tutti ripresero il loro posto ed il battito ritmato dei remi si fece più stretto e pieno
ed i timonieri con agili manovre disposero le navi ora in fila una dietro l’altra .
Davanti a loro ormai , la montagna del Pireo splendeva di sole mentre noi entravamo
nella baia raggianti e colmi di emozione .
Fu allora che Conone si rivolse a me :
“ Vedi Ocirne come sono imprevedibili gli eventi della Storia . Lassù sopra quelle
rocce del Monte Aegaleus , quasi novant’anni orsono , Serse Re di Persia si era fatto
portare il trono per assistere alla disfatta della flotta di Atene e dei Greci , proprio là
di fronte all’isola di Salamina . Invece assistette sconvolto alla disfatta definitiva
delle sue navi .
Oggi con l’appoggio di Artaserse anche lui Re dei Persiani oggi , noi torniamo al
Pireo al Pireo per aiutare Atene a risorgere dai danni che – non gli stranieri d’Oriente
– ma gli stessi Greci di Sparta hanno inflitto alla nostra Città ed al nostro popolo .
Non so , ben cosciente dell’imprevidibilità della Storia, cosa ci riserverà il futuro ,ma
sono orgoglioso e commosso di essere qui ora . “
Ricordo che allora io piansi di gioia ed il Grande Ammiraglio , quasi ridendo con
paterna affezione mi diede uno scappellotto sulla nuca , dicendo “ ma via ,
Ocirne,proprio ora che sei tornato a casa ? ! “
Bene . Potrei ora ricordarvi e narrarvi degli onori ipocriti che gli Ateniesi resero a
Conone e tutti noi reduci da Cnidos . Potrei anche narrarvi dell’emozione mia e dei
miei genitori di fronte alla sorpresa – per loro – di riavermi a casa , dopo che di fatto
ero rimasto come prigioniero in terra di Grecia amministrata dai Persiani e senza
notizie per loro e per me . Ma preferisco invitarvi ad una riflessione storica , più
profonda di quel che possa sembrare nella retorica comunque essa stessa , la retorica,
quasi sempre fisiologicamente insita nella Storia.
Conone aveva sottolineato a me il contrasto di potere e di cultura che era stato tra
Serse ed Artaserse con in mezzo quasi 90 anni : Serse allora nemico acerrimo di tutti
i Greci , era quasi riuscito a conquistare la nostra Atene , portando prepotentemente la
barbara cultura d’Oriente quasi ad annullare la nostra civiltà ; ed ora Artaserse
fomentato dalle voglie di potere dei suoi Satrapi aveva di nuovo tentato di riaffermare
il suo potere sulla “ Grecia asiatica “ quella della costa Anatolica . Ciò era stato
possibile quando la nostra Civiltà era dilaniata da lotte interne e la nostra Atene
soccombeva al rude potere di Sparta . Ma ora i Persiani – minacciati essi stessi da
Sparta – avevano avuto bisogno del genio militare di un Ammiraglio Ateniese e di
fatto poi avevano permesso a lui – anche aiutandolo – di riportare il prestigio Greco
tutto ad Atene , da ora in poi padrona del Mar Egeo . Qui dunque c’era una
concertazione d’interessi e forze i cultura , pur diverse tra loro , che consentivano una
qualche possibilità di accordo o quanto meno di convivenza tra la Civiltà d’Oriente e
la Civiltà d’Occidente .
Poi certo avvennero altri fatti , anzi quello più grave avvenne appena un anno dopo la
nostra vittoria a Cnidos contro gli Spartani .
Gli Spartani , gradualmente negli anni pur di agire contro gli interessi di Atene ,
negoziarono con i Persiani , offrendo a loro di lasciare tutte le città greche dell’Asia
.La pace di Antalcida sancì questo patto dodici anni dopo la battaglia di Cnidos .Ma
già prima , otto anni dopo Cnidos , Sparta aveva inviato Antalcide a negoziare con
Tiribarus , Satrapo di Sardi,
Ed ecco ancora un ruolo per Conone .
I Confederati – conoscendo i suoi buoni rapporti con i Persiani – inviarono Conone a
negoziare per salvaguardare gli interessi di Atene . Io ad Atene ero ancora lo scribano
cronista dell’Ammiraglio ora reintegrato nel suo prestigio di Ateniese .
Ricordo ancora quando mi fece chiamare perché mi preparassi a partire con lui per
Sardi . Mi raccomandò anche di attenermi sempre alle sue disposizioni e non di altri e
stare sempre un po’ in disparte dalla delegazione ufficiale , perché quella era una
missione speciale e pericolosa per possibili intrighi ed intrusione di spie . Così
quando arrivammo a Sardi io mi dileguai nel grande e confuso bazar della città ,
spacciandomi per un giovane Medico in cerca di clienti . Avevo trovato sistemazione
in una locanda confortevole e nessuno sospettava di me . Ma dopo solo tre giorni dal
nostro arrivo , una notte fui svegliato dal fidato Ariticulo , luogotenente di Conone
che mi informò come il Satrapo Persiano Tiribaru , in barba e dispregio di ogni buon
costume diplomatico ed avendo deciso di appoggiare gli interessi di Sparta , aveva
arrestato ed imprigionato Conone .
Il luogotenente di Conone aveva con se molte borse di danaro della Delegazione
Ateniese e così con la sua astuzia e con quel danaro riuscimmo a corrompere le
guardie del carcere e far fuggire Conone .Quella notte Conone mi abbracciò e mi
disse :
“ Conserva tu le cose buone della mia storia e butta via quelle cattive . Vai ora per la
tua strada o per Atene o per altre vie del mondo . Sei un bravo giovane ed hai di certo
un grande tesoro : la tua cultura “
Noi riuscimmo da Sardi a ritornare ad Atene in incognito e Conone riuscì ad arrivare
a Cipro dove aveva amici e dove era stato nel primo esilio dopo la sconfitta di
Ellosponto . Conone non poteva nemmeno ritornare ad Atene , pur dopo aver così
tanto fatto ed agito per il dominio di Atene sul Mar Egeo . Infatti sia per il fallimento
della missione a Sardi sia per i suoi precedenti rapporti mercenari con i Persiani i suoi
antichi nemici in Atene , di certo avrebbero trovato modo di perseguitarlo se non
ucciderlo . Quindi di fatto Atene ancora una volta lo aveva esiliato .
Dopo non molto tempo giunse la notizia della sua morte a Cipro . Il suo cuore non
aveva retto al dolore di un nuovo ingiusto esilio . Io piansi , piansi a lungo .
Dopo la morte di Conone , anch’io ostico agli intrighi subdoli della vita cittadina
della società ateniese , lasciai Atene e diventai un giramondo andando e venendo per
isole e Paesi , pur tenendo sempre viva in me la cultura propria della mia Atene .
Dovrei concludere ora questa mia chiacchierata che credo abbia avuto il carattere di
un racconto storico : scrivere ed interpretare la Storia è sempre stata la mia passione .
I fatti che seguirono il nuovo voltafaccia di Agesilao di Sparta non furono esaltati per
l’eterno rincorrersi dei tentativi per un’unità della Grecia , Grecia che di fatto
conservava i primordiali barbari istinti e conflitti delle prime tribù che l’avevano
abitata .
Sparta pur di conservare il dominio sulle terre continentali dell’Ellade , vendette tutte
le città greche delle coste qui di fronte a Tilos e sulle coste del Mar Nero . Le
vendette ai Persiani e loro Satrapi e Satrapie che prima erano state nemiche ed ora di
nuovo conniventi con Sparta. Con la pace di Antalcida era stato segnato il destino di
queste città così lasciate sotto il domino persiano .
Non starò a dirvi degli anni successivi che non ebbero poi a segnare alcuna iniziativa
storica contro la Persia . Vi ricorderò solo che dopo la nascita di una seconda Lega
navale Attica – 16 anni dopo la battaglia di Cnidos – la disputa tra Atene e Sparta
ricominciò a dilaniare i nostri popoli tra intrighi e conflitti aspri e sanguinosi finchè
spuntò la supremazia di Tebe con il suo genio militare , pur inquietante , Epaminonda
, dal quale molto apprese tuo padre Filippo , caro Alessandro , quando da Pella fu
mandato a Tebe come ostaggio.Contro questa supremazia e nuovo ruolo di Tebe e di
Epaminonda , Sparta prese l’iniziativa e marciò in Beozia con il suo esercito di
10.000 uomini “ di ferro” . Epaminonda con il suo esercitò di 6000 uomini li affrontò
nella piana di Leuttra . Epaminonda di origine aristocratica aveva studiato a fondo le
tattiche militari degli Spartani ed istituì nel suo esercito un Corpo Speciale di 600
uomini scelti a coppie di omosessuali , legati tra loro da amore indissolubile e capace
di farli combattere anche per la sopravvivenza l’un l’altro e quindi con un forte
impatto negli scontri di massa : combattevano allo spasimo salvaguardandosi
vicendevolmente. Gli Spartani abituati a combattere gli attacchi frontali non
riuscirono a contenere la forza di questi Corpi Speciali che attaccavano lateralmente
e furono sconfitti lasciando attonita tutta la Grecia da sempre abituata allo strapotere
militare di Sparta .Epaminonda incalzò il nemico sino ad arrivare in Laconia e poi ci
fu ancora una grande battaglia a Mantinea dove ancora le sue truppe vinsero ma lui
Epaminonda morì in combattimento . E con lui finì il potere di Tebe . Tutto ciò
avveniva nel 362 . E poi ancora nessuna delle tre grandi città Greche ebbe più la forza
di dominare e procedere ad un processo di unificazione dell’Ellade . Tant’è che uno
scrittore del quale nemmeno io so il nome perché il vaticinio me lo rivelò una
misteriosa sibilla monastica , ebbe a dire “ la Grecia –dopo Leuttra e Mantinea – fu
più divisa , più egoista , più scervellata e più debole di prima “.
Atene s’illuse di poter riprendere il potere , dopo la morte di Epaminonda .
Era finito il tempo della “polis” come “città-stato” concetto di governo non più
adeguato alla nuova società ed alle nuove aspirazioni di civiltà più mature . Ed ecco
allora che arrivò il Regno di tuo Padre Filippo che cambiò il corso della Storia , sino
ora a Te , mio Signore , nuovo Conquistatore e Giustiziere dell’eterno conflitto tra
Oriente ed Occidente .
Se il mio racconto di queste cose di storie e fatti veri , potrà solo un poco aver
illuminato la tua genialità di stratega e di Re , io potrò dire – ancor prima di morire –
di avere un poco contribuito alla costruzione di questo tuo grande disegno di
conquista che è appena cominciato tra queste isole e queste coste belle e ricche tutte
di civiltà greca . “
Il sole ormai tramontava dietro la grande montagna di Tilos ed i colori unici , quasi
magenta , e dolcemente cangianti dall’altra montagna petrosa dominante la baia i
Livadia sfumavano al rosa ed al violetto configurando quella atmosfera di luce
magica riflessa che qui ogni sera si ripete .
Alessandro per primo si alzò ed andò a baciare le mani del vecchio Ocirne , ora quasi
esausto del suo lungo dire .
“ Ti ringrazio dal profondo del cuore e della mente ,oh Grande Vecchio ed Amico .Tu
non puoi immaginare quanta luce hai saputo infondere ai miei pensieri , oggi . Qui di
fronte alle coste del grande Continente d’Oriente , per tante parti così sconosciuto a
no. Devoto a Te sarà il mio progredire , conscio della sapienza che hai voluto e
saputo trasmettere a me ed ai miei compagni quali siamo oggi di fronte a così grandi
responsabilità per ridare forza alla Civiltà Greca tutta , contro od insieme alla Civiltà
d’Oriente . “
Tutti sfilarono deferenti ed affascinati ancora , a baciare la mano rugosa del vecchio
Ocirne , e si ritirarono nelle tende .
CAPITOLO V
Tilos: il mistero “ Celeste”
La sera era scesa dolcissima sula baia di Livadia, le luci delle lanterne e dei fuochi
del campo macedone si riflettevano tremule intorno alle navi ancorate alla riva; altri
fuochi erano alle “ punte” della baia dove i soldati di vedetta avrebbero bivaccato per
tutta la notte.
Il chiarore della luna sorgente era ancora soffuso la dietro la montagna che scende al
mare e copre, subito dietro, il profilo lontano di Halki e di Rodi.
I cuochi delle navi già preparavano spiedi e cuccume di minestra calda e pesci
insaporiti di aromi selvatici cotti sulle piastre arroventate, alcuni soldati accoccolati
sulle rocce bagnate dal mare calmissimo intonavano a tratti litanie macedoni e canti
che ricordavano la vita dei loro villaggi lontani.
Alcuni soldati accennavano piccoli passi e gesti di danza tra le risa e gli sberleffi di
altri.
Cronus, il paggio di Alessandro, si affannava a comandare alcune donzelle che erano
state mandate dal villaggio per accudire i bisogni degli ospiti.
Alessandro si era ritirato con Efestione, prima dei riti della sera che i sacerdoti
dell’isola avevano preannunciato al Tempio.
“ Hai sentito , Philo-Alexandro , quante cose sagge ci ha raccontato il vecchio Ocirne
? avevo bisogno di rinverdire i racconti del nostro maestro Aristotele , avevo bisogno
di sentirli narrare qui . è stato come un bagno di storia viva di fronte a questo mare e
a queste coste qui davanti a noi , dove più lontano, molto molto più lontano ci
attendono terre e popoli diversi da noi “ .
Efestione stava sdraiato su alcuni grandi cuscini di pelle e tappeti, e sorseggiava latte
di mandorle.
“Mio Sire e fratello e amante dolcissimo nel mio pensiero. Io so che l’animo tuo è
travagliato dal peso delle decisioni che dovrai prendere: fredde strategie di guerra,
falsità diplomatiche di vicendevole approccio alle genti straniere, violenze di giustizia
e abusi, perdoni e magnanimità di gesti e di azioni e di nuove leggi di conquista,
voglie di supremazia e di egemonia assoluta, sottomissioni sacrali ai riti e costumi di
altri popoli, decisioni di razzie su ricchezze altrui , ricchezze di cose e di ori e di
donne e di riti e di culture che nemmeno possiamo ora immaginarci. Voglio
umilmente richiamarti – ma credo non ce ne sia bisogno perché il tuo superiore
intelletto ha già colto il senso del suo messaggio – voglio richiamarti a quanto Ocirne
ci ha più volte sottolineato : fare sì giustizia contro le antiche e presenti aspirazioni
barbare di espansione dei Persiani e dell’Oriente verso le nostre terre ed i nostri
popoli, ma nello stesso tempo valutare tutte le possibilità di cogliere il buono che di
certo è nei loro costumi, nella loro scienza, nei loro riti e nelle loro arti, e cercare di
unire il loro al nostro modo di vivere e pensare.”
“ Come sempre ,oh amato Philo-Alexandro, tu sai dolcemente sollevare il coperchio
del mio animo e dello scrigno del mio pensiero per fare uscire alla ragione le cose che
già si erano racchiuse dentro e delle quali io stesso non avevo ancora presa piena
conoscenza.
Ma ora dobbiamo fare ancora due cose qui a Tilos. La prima è rendere devozione agli
Dei e chiedere a loro auspici e protezione, dimostrando a loro la nostra sacrale
sottomissione quale ora ci accingiamo ad offrire nelle liturgie che ci attendono qui nel
tempio di Poseidone dove stranamente sento aleggiare aria di misteri inquietanti.
E poi dobbiamo concederci anche un abbandono nei meandri inconsulti di una
ritualità a noi nota, come quando ragazzi la sbirciavamo nascosti dagli occhi dei
grandi e mia madre Olimpia trascinava i suoi ed i nostri sensi, ancora acerbi, nel
vortice orgiastico di Dioniso.
Poi allora dopo aver assolto anche ad alcuni impegni di nostro interesse militare e
politico , allora partiremo da Tilos.”
Lo sguardo si Efestione, anche lui bellissimo nel corpo e nel volto come Alessandro ,
si era già proteso in una intensità lasciva e sensuale quale è solo degli amanti, quando
il paggio Cronus si affacciò all’ingresso della tenda ed annunciò che i sacerdoti
stavano per iniziare la cerimonia religiosa : era ora di salire al tempio.
Il tempio di Poseidone aveva un suo preciso significato lì a Tilos. Dicevano che Telos
era stato il più giovane figlio di Alia – così dicevano – ma nella gran confusione degli
intrecci amorosi ed incestuosi anche dinastici tra dei e uomini e animali, si diceva
anche che Alia era una sorella dei Telchini, popolo misterioso e geniale, devoto a
magie e capace di lavorare i metalli già in tempi antichissimi, e che certo fu il primo
popolo ad abitare Rodi ed anche Tilos.
Poseidone era figlio di Crono- figlio a sua volta di Urano della stirpe dei Titani – e di
Rea e suoi fratelli erano Zeus ed Ade: i tre figli di Crono si erano spartiti il mondo e a
Zeus toccò il cielo, ad Ade gli inferi, a Poseidone il mare poi tutti e tre avevano anche
un pezzo di terra e Poseidone possedeva un palazzo sull’ Olimpo ed uno nelle
profondità del mare, vicino all’isola di Ege .C’era poi una legenda: Crono era
abituato a mangiarsi i figli appena nati e quando nacque Poseidone , Rea la madre
nascose il neonato e presentò un fagotto che conteneva invece un piccolo di asino e
Crono lo mangiò tutto di un fiato. Rea riuscì poi a nascondere Poseidone lontano da
Crono. Poseidone fu allevato dai Telchini e appunto poi sposò la loro sorella Alia.
Varie altre leggende si sono poi intrecciate intorno alle attività del potere divino di
Poseidone, armato del suo tridente – forgiato in leghe segrete di metalli dagli stessi
Telchini – spesso in contrasto per non dire a volte sottomeso al suo fratello Zeus.
Ebbe un grande amore per una delle Nereidi, Anfitrite, che inizialmente non lo voleva
sposare e si era rifugiata lontano in un mare per tutti sconosciuto, oltre le colonne d’
Ercole, ma Poseidone fu all’ora aiutato dai delfini, amici ed anche ibridi con gli
uomini Telchini che erano stati appunto i suoi genitori adottivi. I delfini gli
riportarono Anfitrite e da all’ora i delfini divennero animali sacri per questa irrequieta
divinità , quale Poseidone fu nelle varie leggende e sacrali storie dei miti della vita
religiosa dell’ Ellade il suo potere era capace anche di scuotere la terra ed i mari, per
cui era anche il Dio ch dominava questi fenomeni ed era anche chiamato “ colui che
scuote la terra” , Dio dei terremoti e dei maremoti. Ai tempi delle gradi lotte tra le
stirpi degli Dei , Poseidone aveva combattuto contro i Giganti quando dovette
abbattere il gigante Polibote : Poseidone dalla grande isola di Cos prese una grande
massa di terra e roccia e fuoco e schiacciò il gigante nel mare dando vita all’isola di
Nissiros, vicina a Tilos. Si invaghì di ninfe e di Dee e di sirene e donne comuni
mortali, ed ebbe una moltitudine di figli e creò mostri e draghi. Ma fece anche una
cosa buona per tutta l’umanità: si era innamorato della dea Demetra che però per
evitarlo si era trasformata in giumenta. Allora Poseidone divenne cavallo e generò
insieme a lei il cavallo Arione e più tardi poi con Medusa generò anche il cavallo
alato Pegasus. Per questo molti greci gli davano anche l’appellativo di Ippios.
Di certo comunque la sua figura risultò sempre prevalente come divinità del mare e
poiché la vita dei greci era fortemente condizionata dal mare Poseidone fu oggetto di
culto e di religiosa soggezione da parte di tutti i popoli dell‘Ellade in particolare su
tutte le isole. A Tilos c’era poi qualche motivo in più perché gli fosse stato dedicato
un tempio infatti Poseidone era stato figlio adottivo dei Telchini primi magici e
misteriosi abitanti dell’isola. Aveva sposato una loro sorella Alia che aveva generato
Telos, il figlio che qui infatti era poi stato a raccogliere essenze ed erbe magiche per
curare la madre da una grave malattia. Dopo la guarigione della madre, curata con le
erbe dell’isola, Telos ritornò e qui costruì templi per gli Dei e lui stesso divenne
sommo sacerdote.
Per questi motivi a Tilos c’era il tempio di Poseidone, così come in altre città della
Grecia ed in Asia, così come a Cnidos li davanti a Tilos.
E gli eventi straordinari che riguardavano i miti delle divinità e delle loro battaglie
contro i Titani ed i Giganti riguardavano anche gli uomini che crescevano sulla terra;
ecco allora che gli eventi si ritrovavano convulsamente sovrapposti ed intrisi di
leggende sino a stilarsi consolidati come momenti , a volte anche misteriosi, nelle
liturgie dedicate a dio Poseidone.
Il tempio di Tilos, non grande ma ben disposto ed architettonicamente equilibrato,
presentava il classico architrave forgiato con sopra il triangolo allungato che copriva
in avanti un grande spazio coperto, dal quale scendeva la scalinata a gradini larghi,
costeggiati da aiuole e vasi di fiori. Le colonne erano quattro con base larga rotonda e
capitello semplice come era nelle costruzioni templari ioniche. All’interno del
colonnato che si ripeteva anche sulla facciata posteriore c’era il muro proprio del
tempio così chiuso senza finestra laterali ma con davanti una imponente porta
grigliata borchiata di ornamenti bronzei tenuti a lucido e splendenti ai raggi del sole
del mattino. All’interno erano steli robuste ma elegantemente coniche sopra le quali
vi erano statue di alcuni Dei : Zeus, Atena , Apollo, Ermes, Dioniso, Afrodite, tre per
ogni lato, mentre sullo sfondo del muro posteriore in una imponente nicchia arcuata
con una cornice rigata ed impreziosita da fregi floreali, era la statua di Poseidone che
impugnava il tridente e aveva intorno alla base due bassorilievi raffiguranti delfini
che saltavano sul mare accanto a due cigni. Subito sotto la statua era l’ara , larga ed
appena sovrastata da un ceppo marmoreo modellato a ricevere il collo degli animali
sacrificali e da questo scendevano su due lati due piccoli canalicoli scolpiti nel
marmo lucente, pronti ad accogliere il sangue delle vittime dei sacrifici. Dietro l’ara –
quasi a volerlo nascondere – era posto un sarcofago , non molto grande, ma chiuso
ermeticamente da una lastra di marmo bloccata da borchie di ferro dalle quali si
dipartivano due nastri metallici che avvolgevano il sarcofago stesso. Sulla lastra era
impresso un bassorilievo circolare che rappresentava Poseidone con il tridente e
cavalcava un essere mostruoso mezzo uomo mezzo delfino.
In alto il tetto spiovente con architravi in legno scolpito di fregi e rifinito agli angoli
da lamiere di bronzo, si appoggiava ai muri laterali lasciando tre larghe fessure di
areazione. Un'altra ancora di queste fessure era in alto sul muro posteriore del tempio
dietro l’ara. Sotto gli architravi ai quattro angoli del tempio su quattro mensole
angolari di marmo bianchissimo erano rappresentati quattro animali: il capo di un
cavallo, uno di un toro, un’aquila ed un avvoltoio. Sullo scalino sotto l’ara era
appoggiato il prezioso braciere che Alessandro aveva donato al suo arrivo e dal quale
fumanti si spandevano vapori odorosi di prezioso incenso. Intorno e dentro il tempio
c’era una viva animazione quando Alessandro ed il suo seguito si mossero in corteo
lasciando l’attendamento. Ai lati della piazzetta alberata antistante il tempio e lungo
la scalinata s’era radunato ossequioso il popolo dell’isola sceso a Livadia anche dai
sentieri e per le strade che collegavano il porto di Livadia con Messaria ed il Castro
Massimo all’ altro capo dell’isola e con l’altro villaggio sul mare, Gera , all’estremità
più orientale dell’isola subito davanti a Rodi.
Due grandi bracieri ardevano ai lati delle grandi colonne della facciata illuminandola
tutta con fiammate di luce tremula, rossastra e d’oro, e su ogni scalino ai lati erano
giovani con torce anche esse fiammeggianti di rosso e d’oro. Dietro il tempio che era
incorniciato più in alto da eucalipti, cipressi, tamerici, già si stagliava illuminata dalla
luna crescente la collina rocciosa sulla quale troneggiava la torre minoica con i
grande massi squadrati amalgamati con le rocce naturali ed intorno i residui abitativi
terrazzati lungo i pendii del colle, su alcuni dei quali fiammeggiavano fuochi su su
sino ad uno spiazzo dove fuochi più tenui incorniciavano una piccola struttura
templare con una rozza ara preistorica ed un tabernacolo sacrificale scolpito in una
grande roccia. In questa atmosfera suggestiva a sacrale, impreziosita da musiche
d’arpe e lire e flauti e da sommessi cori liturgici, la corte di Alessandro salì al tempio
di Poseidone dove attendevano i Notabili, i Sacerdoti, e da anche Ocirne assiso a lato
dell’ara e circondato da giovani vestali inghirlandate da corone di fiori, mentre il coro
era dietro l’ara , davanti all’altare attendeva eretto il sacerdote Massimo con i suoi
preti.
Alessandro che aveva al fianco il suo astrologo Antipatro e tutti i suoi luogotenenti ed
amici si fermò poche braccia prima dell’altare, dove intanto si affannavano
chierichetti che trasportavano capretti per i sacrifici. Il gran sacerdote sgozzò i primi
due poi invitò Alessandro a salire all’altare ed il sovrano estratta la corta spada
sgozzò il terzo, mentre il coro guidato dal canto roco del sacerdote intonò preghiera
di buon auspicio invocando la clemenza di Poseidone ed il suo aiuto per mari e per
fiumi, e per paludi e terre dell’impresa futura del re avrebbe dovuto portare il segno
della potenza ellenica e di tutti Dei dell’Ellade.
Tutti i guerrieri e notabili e sacerdoti e vestali, contadini e marinai erano
intensamente trasportati nel misticismo della cerimonia: prima i sacerdoti e poi via
via Alessandro e tutti gli altri presenti all’interno del tempio sfilarono intorno all’ara
bagnando le punta delle dita con il sangue dei capretti raccolto nello scolatoio, e poi
uscirono in processione, con le vestali che portavano larghe coppe ricolme dello
stesso sangue e le portavano alle genti rimaste fuori dal tempio.
Il mare nella baia davanti al tempio era calmo e liscio e la luce piena della luna
creava un effetto di specchio per il profilo della costa e dei monti.
Ad un tratto mentre sullo scaleo Alessandro stava accomiatandosi dai sacerdoti e da
Ocirne, avvenne un evento miracoloso, e la gente urlò di meraviglia e poi si
ammutolì: dieci, venti, trenta, delfini solcarono il mare della baia saltando festosi
sulla scia della luce lunare e lontano alle due punte della baia si sentì chiarissimo il
lamentoso grido delle sirene, quasi una litania ritmata, straziante ed insieme
dolcissima. E dietro il tempio di Poseidone lassù tra le rocce della collina del castro
tra i ruderi del tempio antico dei Telchini, il fuoco accesso si gonfiò come spinto da
un soffio sotterraneo e si alzò tre volte in tre immense fiammate più alte di venti
braccia.
Su nel cielo stellato una, due, tre, dieci stele filanti frustarono il buio nero della notte
universale, lasciando attimi di polverose scie luminose. Poi un improvviso fortissimo
colpo di vento scese dai monti ed in un attimo spense tutti i fuochi e le fiaccole e le
torce e nel buio assoluto rimase solo il chiarore del braciere di Alessandro all’interno
del tempio ed il fuoco su all’altare dei Telchini. Un silenzio tombale avvolse la baia
tutta, mentre attoniti ed impietriti erano rimasti tutti i presenti. Via via poi si
riaccesero le fiaccole e le torce, ad un gesto del gran sacerdote le arpe e le lire
ripresero una melodia che accompagnava un sommesso coro propiziatorio.
Le genti ed i marinai ed i soldati erano ancora ammutoliti: il gran sacerdote prese in
disparte Ocirne e confabulò brevemente con lui sul sagrato del tempio, poi si
avvicinarono entrambi ad Alessandro.
Ocirne parlò:
“Maestà, il gran sacerdote desidera parlarti in estrema segretezza, qui dentro il
tempio” e con il gesto della mano invitò Alessandro ad entrare. Alessandro era
spaesato, la sua orgogliosa fierezza era scomparsa di fronte a pochi imprevisti
brevissimi eventi carichi di mistero: i delfini danzanti sul mare, il canto delle sirene,
il fuoco soffiante dalla terra, le comete nel cielo, il silenzio di tutti ed il buio
improvviso per un improvviso impeto di vento in una sera calmissima nell’aria.
“Ti seguo” disse Alessandro e congedò tutti del suo seguito, Efestione incluso.
A lui Alessandro diede l incarico di regolare il ritorno della gente alle case, dei
soldati e capitani all’accampamento – con grande disappunto dell’astrologo Antipatro
escluso dal tempio - e di accompagnare Ocirne alla sua dimora. Due guardie accesero
nuove fiaccole all’interno del tempio e quando Alessandro ed il sacerdote furono
entrati, chiusero la grande porta rimanendo di sentinella fuori con le lance incrociate.
Il sacerdote che si chiamava Ariocano era un uomo vecchio ma prestante; la sua
barba bianca e curata si confondeva con i lunghi capelli bianchi incorniciando un
volto rugoso, serenamente austero, con due cocchi azzurri che brillavano come pietre
marine rivelando però una certa emozione. Era vestito con una semplice doppia
tunica di lino, ornata con ricami d’oro e d’argento.
“Mio Sire – esordì- poco fa’ sono stati per noi segni divini, che per me sono come la
chiave , da lungo tempo attesa, per aprire lo scrigno del mio segreto,un segreto che da
cento e cento e forse più di mille ani viene tramandato dai sacerdoti massimi di
questa isola , quale io sono umile servitore degli Dei; e così sempre fu nel
tramandarci il peso di tanto segreto di generazione in generazione dai tempi dei
Telchini sino ad oggi.”
I riccioli biondi sparsi sulla fronte di Alessandro riflettevano la luce dorata delle
fiaccole dando più risalto ai suoi occhi neri incastonati in un volto dolce ed austero
all’insieme, che tradiva anche esso un intensa emozione per quel momento ancora
misterioso per lui.
“ Se i segni divini che mia madre Olimpia mi trasmise in segreto qui dovessero avere
conferme misteriose, io qui mi prostro di fronte al tuo carisma religioso, pronto ad
accogliere il tuo messaggio mistico e divino. Orsù dimmi il tuo dire oh santo vescovo
Ariocono.”
“I segni che sono appena avvenuti sono estremamente chiari < quando i delfini
danzeranno sul mare lunare e le ninfe canteranno e il fuoco arderà impetuoso alto sul
sacrario antico dei nostri padri Telchini e il vento soffierà improvviso per un attimo
solo , e le stelle fileranno trecce di luce nel cielo tutto questo vorrà dire che l’uomo
che avrà offerto il nuovo braciere a Poseidone dovrà ricevere il segno del segreto
antico, ed il custode del segreto del tempio- quale io sono ora- dovrà trasmetterlo a
lui> . e tu sei quell’uomo ed io sono il custode del grande segreto”.
Invitò poi Alessandro ad avvicinarsi al sarcofago dietro l’altare e comincio ad
armeggiare con le borchie che fissavano le cinture metalliche avvolgenti il sarcofago
stesso.
“ Devo darti prima alcune spiegazioni che riguardano i nostri avi Telchini che furono
qui su questa isola già molto più di mille anni fa. Essi giunsero prima a Rodi ed anche
a Creta ed in altre isole di questo mare dalle coste egiziane e libiche e fenice, e la loro
razza era una razza molto sviluppata che sapeva estrarre i minerali, fondere il bronzo
e con altri metalli erano capaci di creare leghe solide e di grande resistenza e con
proprietà magiche dei metalli stessi. Con questi sapevano colare statue ed anche
statue che potevano muoversi come gli esseri umani. Erano anche abili navigatori e
sapevano scrivere con caratteri simili ma non uguali a quelli dei sudditi dei faraoni
egizi, erano grandi organizzatori della propria società ne pur non essendo grandi
guerrieri sapevano imporre la loro potenza con le loro arti metallurgiche che ai rozzi
abitanti delle nostre isole apparivano come arti magiche. Avevano anche riti religiosi,
a volte anche violenti con sacrifici umani e tutta la loro civiltà era legata ad una
civiltà ancora più lontana nel tempo e nell’immensità dei deserti che circondano le
terre d’Egitto, più lontano e più lontano ancora, le terre dei Sumeri. Le loro arti
magiche facevano si che spesso gli abitati primitivi delle nostre terre li conoscevano
come esseri demoniaci che assomigliavano a pesci o a serpenti mostruosi capaci di
vivere sulla terra e nel mare. Erano per questo molto affini ad altro popolo quello dei
Cabiri, inteso anch’esso come demoniaco e che si era diffuso nell‘Ellade partendo da
coste lontane.
I Telchini furono a Tilos per cento e cento anni prima, molto prima che qui
giungessero i discendenti Cretesi di Minosse e del Minotauro. I resti del tempio
rupestre, là sul colle roccioso proprio qui sopra il nostro tempio di ora, sono l’unica
testimonianza certa che ci è rimasta insieme al segreto sacrale che i sacerdoti si
tramandarono nel tempo antico e presente, sino a me, ora custode di questo
sarcofago.
Ma per comprendere questo segreto devi ancora sapere, oh mio Re, che il popolo dei
Telchini venuto dai deserti di Arabia bagnati dai mari più caldi devoti a Elio, era un
popolo derivato da altro popolo di laggiù , un popolo che le storie ci indicarono e ci
indicano come “ celeste” , venuto dal cielo in epoche immensamente remote e che poi
scomparve ancora nel cielo fuggendo i cataclismi che sconvolgevano le terre e i mari.
Ma quando questo popolo era giunto dal cielo in quei deserti, non erano sceso
direttamente sulla terra: le loro immense macchine volanti si erano prima inabissate
nel mare e dal mare erano poi usciti questi ominidi, con forme di pesce e di delfini e
di sirene e via via avevano poi colonizzato le terre e ricevuto nel tempo nuovi
colonizzatori dal cielo.
Questo popolo si sviluppò nelle terre di Sumer e si chiamò popolo dei Sumeri. Di
questi avvenimenti persi nei meandri del tempo più antico, poco hanno saputo parlare
gli storici, e solo alcune tradizioni o leggende rimaste nelle genti lontane ricordarono
in qualche modo quegli eventi. Infine , infine i nostri avi Telchini furono gli ultimi
depositari, evoluti in una loro misteriosa civiltà depositari delle arti giunte sulla terra
mille e mille e mille anni ancora prima. Da loro nacque, come già ti dissi, l’arte di
estrarre, forgiare e lavorare e amalgamare i metalli.
A Tilos in una grotta qui sopra vicino al tempio rupestre ove il fuoco è esploso poco
fa in una grande fiammata lasciarono – mille e mille anni fa- una cassa mortuaria poi
trasformata in questo sarcofago qui davanti a noi, che contiene anche un disco di
metallo magico. È scritto e tramandato di sacerdote in sacerdote su questa isola che
questo disco dovrà essere consegnato all’uomo che richiamerà delfini e ninfe, stelle
filanti e fuochi e vento impetuoso e lui – ancora in segreto per tutte le genti- saprà
portarlo al suo luogo di origine nelle terre e nei mari di Sumer dove un giorno chissà
questo disco agendo come un faro guiderà di nuovo il ritorno degli uomini < caduti
dal cielo sulla terra > e che sono chiamati anche Nephilim o Ammunaki, signori di
Nibiru stella ruotante che torna vicino a noi ogni tre volte e più mille anni”.
Il sacerdote armeggiò ancora con le borchie di bronzo girandole a destra e a sinistra
con ritmi segreti e noti solo a lui, sino a che da sotto le borchie si aprirono le cerniere
che reggevano le fasce metalliche. Poi ancora tirando a se le borchie, avviò un
meccanismo a ruota intera che lasciò scivolare dolcemente la lastra marmorea che
chiudeva il sarcofago.
Pur avvezzo alle grandi emozioni della battaglia dove la propria potenza aggressiva
voleva dire morte o sopravvivenza, Alessandro si sentì completamente impotente
pervaso dall’emozione così colma di mistero quale la visione dell’interno del
sarcofago sapeva trasmettere, essa stessa carica di una incontrollabile potenza quasi
extraterrestre.
Le pareti del sarcofago erano laminate da spessi fogli di oro zecchino e dentro vi
erano adagiati due corpi l’uno accanto all’altro: ma mentre uno- quello più
impressionante- era un corpo umanoide fatto di carne apparentemente mummificata,
l’altro era solo una specie di armatura metallica simile all’altro corpo ma di fatto
costituita da tanti pezzi metallici uniti tra loro, incluse le braccia parzialmente carnee
e la testa con occhi a borchie di vetro verde come due globi di smeraldo. L’umanoide
era un essere macrocefalo con una pelle glabra e grinzosa per lo stato di
mummificazione naturale, giallo verdastra, occhi grandi parzialmente chiusi da
palpebre apparentemente cartilaginee, un naso schiacciato , senza orecchie apparenti
ed una bocca normale quasi umana proporzionata al viso che nel complesso dava
l’impressione di uno stato serenamente dormiente. Le braccia con mani grandi e dita
a ventosa erano ripiegate sull’addome nudo ed avvolgevano come a tenerlo un
piccolo scrigno argenteo. Dall’addome in giù il corpo era come avvolto in una tuta di
materiale gelatinoso, rappreso, solido , con gli arti inferiori corti che terminavano con
due piedi palmati, nudi fuori dell’indumento gommoso.
Il sacerdote avvicinò una torcia perché il re potesse meglio vedere.
Il re Alessandro aveva riacquistato la razionalità sopra- emotiva e , mosso più da
curiosità Aristotelica che non da timori magici, cercava di fare un bilancio anatomico
di quell’essere incredibile e dell’altro manichino anche carneo ma prevalentemente
strutturato con pezzi di ferro e di metalli sconosciuti .
“ Mio Sire non so dirti di più di quello che vedi. Sappiamo solo che nel corso dei
mille anni e più questi due esseri sono stati religiosamente conservati come reliquie
dai Telchini che li chiamavano < fratelli celesti >. Nessuna misura di conservazione
con alchimie, misture o altro è stata mai attuata.
Ogni quattro anni il sacerdote di turno aveva il compito di aprire da solo
segretamente il sarcofago e controllare lo stato di conservazione. Mai nulla è
successo. Le genti nostre mai nulla hanno saputo del contenuto reale del sarcofago
ma sapevano che dentro vi era una reliquia antica e sapevano bene – quasi con
terrore- che se qualcun si fosse azzardato profanarla, sarebbe tornato sulla terra il
Diluvio Universale e per prima tutta l’isola di Tilos sarebbe stata sommersa. Come
vedi qui davanti a questi esseri misteriosi < celestiali > la nostra mente ed il nostro
spirito lasciano via le devozioni, i misteri e i timori delle nostre fantasie religiose
riferite ai nostri Dei, ai miti ed alle follie dei nostri Dei. Qui sentiamo solo di essere
davanti ad una realtà corporea extraterrestre della quale perdiamo il senso, come
perso appunto nell’immensità dell’universo. Qui abbiamo la prova della nostra fede
nel soprannaturale. Qui possiamo pregare devoti, reverenti verso gli esseri celestiali
che ci degnarono un tempo della loro attenzione.
Ora compirò l’ultimo gesto che mi compete, per concludere la fase del viaggio
celeste e terreno, di questo essere misterioso, qui davanti a noi”.
Si chinò sul sarcofago e delicatamente prese lo scrigno che era adagiato tra le mani ed
appoggiato sull’addome dell’umanoide .
Lo sollevò e lo posò sull’altare accanto,poi armeggiando di nuovo con le borchie
riattivò il meccanismo a ruota che fece risalire a chiusura la lastra di marmo del
sarcofago, agganciò i due solidi nastri metallici alle cerniere della borchie che con
uno scatto si chiusero ermeticamente.
Prese di nuovo in mano lo scrigno che era grande non più di un palmo e mezzo e aprì
facilmente il coperchio toccando alcuni punti o pulsanti apparentemente nascosti . Da
dentro estrasse un disco di metallo sul quale a cerchi concentrici erano incisi caratteri
figurativi simili ai geroglifici egizi.
“Nessuno sa cosa significhino questi ideogrammi ma di certo sono un messaggio
tramandato da mille e mille anni a colui che un giorno saprà o dovrà leggerli.
A noi compete altro. Vorrei che tu mio signore, ora prendessi in mano questo disco.
Ecco, senti in questo momento pesa come se fosse di piombo e poi… ecco che ora è
leggero come un foglio di papiro. Mistero di questo metallo, ora se con questo
piccolo sasso lo percuoto, ecco senti questo suono acuto e prolungato che vibra e si
diffonde come il canto di una sirena. Di tutto questo noi, non sappiamo ne possiamo
sapere di più.
Ora lo richiudiamo nello scrigno e nessuno potrà o saprà riaprire il coperchio, sino a
che questo scrigno non sia giunto ai templi delle divinità che forse ancora sono in
qualche isola o in terra d’Arabia da dove è venuto una volta tanto tempo fa insieme
all’essere verdastro ed all’essere meccanico che giacciono nel sarcofago tramandatoci
dai Telchini.
Dicono i messaggi del tempo che quando il disco sarà di nuovo là da dove è venuto
allora gli < esseri celestiali > ritorneranno da noi. Era predetto che tu Alessandro
saresti arrivato qui a prenderlo, prima di intraprendere il lungo viaggio di conquiste
che porterà te e i tuoi uomini fino a laggiù. Sei obbligato a tenerlo segreto, ora solo
tu, custode di una reliquia preziosa, preziosa forse anche per l’avvenire delle nostre
civiltà presenti e future e per l’umanità tutta.”
“Le convulse emozioni che mi hanno appena pervaso- così rispose Alessandro sono
ora chetate nel sereno senso di responsabilità divina che tu e il destino mi avete ora
trasmesso.”
Alessandro prese in consegna lo scrigno e i due si avviarono alla porta del tempio.
Alessandro diede due colpi con il pomo della spada sulla porta e subito le due
guardie di fuori aprirono, scortando poi Alessandro alla sua tenda.
Il gran sacerdote rimase all’interno del tempio si inginocchiò come frustrato da un
immensa fatica ed attizzando in solitudine il fuoco d’incenso del braciere, rese grazie
agli dei e a Poseidone perché a lui Ariacono umile sacerdote, era toccato il compito
di sciogliere l’ultimo legame delle sacre reliquie celesti con il segreto del disco, che
ora intraprendeva il viaggio verso le sue terre d’origine dove- ora non più perso nei
mille e mille anni trascorsi un tempo - era sceso sacralmente portato dagli < esseri
celesti>.
CAPITOLO VI
Il secondo giorno
Alessandro dormì profondamente e molti sogni s’accavallarono dentro il suo sogno,
ma quando si svegliò – come sempre all’alba – non ricordava niente. I primi rumori
del risveglio dell’accampamento erano il segno verace della normale vita militare alla
quale era avvezzo.
Si alzò e spostò il tendaggio di entrata della sua tenda e respirò lungo di fronte al sole
che sorgeva dietro l’isola di Simi riflettendo il suo globo rosso sulla superficie calma
del mare. Cronus il paggio accorse premuroso, ma Alessandro gli fece il segno di
lasciarlo ancora solo.
L’immagine del “ caduto dal cielo” steso nel sarcofago accanto al suo gemello
metallico, lo scrigno del quale era ora responsabile , il racconto e le raccomandazioni
del sacerdote, gli eventi straordinari della cerimonia al tempio, si accavallavano nella
sua mente ora lucida e riposata.
“ Se segni divini quelli sono, rivolti a me che pure anche fui generato da Zeus, divino
sarà il senso del dovere con il quale assolverò i miei compiti.” Cosi penso Alessandro
poi dubito si ributtò nelle cose ancora da fare a Tilos.
Chiamò Cronus, si rinfrescò con acqua di brocca, mangiò una frugale colazione con
yogurt di capra e frittelle di ceci con abbondante miele, poi diede ordine a Cronus di
chiamargli subito il comandante della spedizione.
In un attimo quello fu davanti a qui con un preciso e sintetico rapporto militare : i
soldati di vedetta ai punti strategici dell’isola riferivano tutto tranquillo, e che con i
segnali luminosi che giungevano dalla costa erano stati informati che a Cnidos la
guarnigione macedone inviata da Parmenion da Alicarnasso era giunta nella notte con
una lunga ed ininterrotta marcia ed aveva preso pieno possesso di protezione sul
comando civile della città. Anche a Tilos la situazione era tranquilla e dal villaggio quello che era la capitale dell’isola – situato all’altra estremità dell’isola i notabili ed
il popolo attendevano la sua visita. Tutti parlavano degli eventi straordinari della
cerimonia nel tempio di Poseidone , e li interpretavano come un segno di buono
augurio per loro stessi e per l’impresa futura del re macedone.
“Bene - disse Alessandro – organizzate subito alcuni asini da sella, se non ci sono
cavalli, e partiamo subito per MegaloChorio, la capitale. Ritorneremo qui solo a sera
poi prenderemo le decisioni di quando ripartire per Cnidos.”
Era passato solo un giorno dall’arrivo di Alessandro a Livadia , eppure già tanti
avvenimenti, sensazioni e storie di vita si erano accavallati nel pur breve scorrere del
tempo.
Efestione e gli altri si radunarono intorno alla tenda del re; i soldati e gli isolani
avevano ben organizzato subito una piccola carovana di asini ed avevano anche
trovato gli unici due cavalli sull’isola, ed erano pronti.
Prima di partire Alessandro volle rivolgersi con autorità ai suoi luogotenenti ed
amici.
“ Ieri abbiamo avuto una giornata importante. Ocirne ci ha trasportato sulle strade
della nostra storia per comprendere meglio il senso, i valori, le violenze e le tragedie
dei conflitti tra i nostri popoli dell’Ellade e tra la nostra civiltà e quella d’ Oriente :
ognuno di voi avrà saputo trarre dal suo racconto il meglio ed il peggio delle vite dei
nostri antenati, il meglio ed il peggio di quello che sapremo ora proiettare nel futuro
delle nostre storie personali e di popolo e di civiltà.
Poi ieri sera abbiamo assolto i nostri doveri di devozione, di ringraziamento e di
preghiera per Poseidone e per i nostri Dei :segni fantastici e magici sono allora giunti
a noi attoniti che ora ringraziamo il cielo e gli Dei per averli offerti di buon auspicio
al nostro viaggio futuro.
Forse vi chiederete perché il Gran Sacerdote Ariacono ha poi voluto parlarmi in
segreto all’interno del tempio: ebbene io vi dico con tutta l’autorità come vostro Re
che giammai dovrete nemmeno pensare di potermi chiedere di questo segreto
religioso perché altrimenti sarei costretto a punirvi severamente. Vi basti sapere che
da quel segreto nascono anche più forti e benevoli auspici per tutti noi e per il nostro
viaggio.
Ora andiamo.”
Tutti rimasero silenziosi e nessuno osò commentare e tutti capirono che quello era il
momento dell’obbedienza assoluta.
Era ancora fresca l’aria del mattino quando la piccola carovana si avviò su verso il
passo che lasciava correre la strada in una piccola valle boschiva in mezzo a cumuli
di sedimenti vulcanici per poi affacciarsi di fronte alle due più grandi montagne delle
isole e ad occidente si vedevano i giardini agricoli e gli aranceti e la grande baia di
Eristos.
Mentre salivano al villaggio di MegaloChorio ed al suo Castro, Alessandro aveva al
suo fianco a cavallo il fido Efestione. Prima di salire al villaggio videro a lato della
strada, quasi nascosto , un tempietto contornato da vigne lussureggianti cariche di uve
rosse e bianche appena mature. Un messo del villaggio era venuto incontro per il
benvenuto ed Alessandro gli chiese : “ questo bellissimo e piccolo tempio è
ovviamente dedicato a Dionisio , o mi sbaglio ? ”
“ Certo lo è, oh mio signore e se pur piccolo è tenuto con grande cura da giovani
bellissime e dalla sacerdotessa Artemisia, devota alla madre tua Olimpia, quale essa è
nota in tutto l’universo dei riti e delle feste al Dio Dionisio.”
“ Ti prego allora, porta a lei questo messaggio: che prepari un rito breve ma intenso
per questa sera, quando per questa strada ritorneremo ai nostri accampamenti. Io e
Philo-Alexandro ci fermeremo per consumare con loro le loro emozioni di devozione
e gioia per vivere tutta la sacralità liturgica del loro e nostro signore Dionisio.”
Mentre il messo correva affannato verso il tempietto Alessandro ed Efestione si
scambiarono un integrante sguardo di intesa; il corteo riprese il cammino verso il
villaggio. Anche qui come a Livadia vi erano residui di mura minoiche che
abbracciavano il vallo intorno al paese e si amalgamavano con alte staccionate di
tronchi appuntiti, chiaro segno di necessità di difesa che più volte si erano presentate
nella storia degli abitanti di Tilos. Poiché qui al Castro tutti si rifugiavano quando vi
erano avvisaglie di sbarchi di barbari, o pirati o finti amici.
Il villaggio non era grande ma ben terrazzato su su fino al Castro in cima al monte
sul versante ad oriente. Alla porta dl villaggio incontrarono cinque notabili con l ‘
Arconte dell’isola e dietro ammassati nelle viuzze tutto il popolo festoso.
“Sii benvenuto nelle nostre povere case oh grande Alessandro, tu e tutto il tuo
seguito che ci onorate della vostra presenza.”
“ Sia onore a voi, che chiedete e ottenete la nostra protezione contro gli oppressori
incombenti da Oriente e quanti altri anche dalla Laconia volessero rendervi ancora
succubi.
Come ebbi a dire ieri mettendo piede su questa bella isola sarete esenti da tasse o
balzelli. Sarete protetti se manterrete valida la vostra proposizione democratica
devota alle nostre istituzioni, lontane si , ma vicine nei segni evidenti delle nostre
comuni forme di civiltà e governo della Grecia.”
“ Devoti siamo e saremo” rispose l’Arconte ed il popolo esultò offrendo ramoscelli
d’ulivo e fiori, e coppe di fresche bevande per tutti gli uomini del corteo.
Dopo aver lasciato asini e cavalli fissati agli anelli di ferro infissi nel muro, in
processione salirono al Castro: qui subito prima della cresta rocciosa del monte che
poi precipitava nel mare, era un altro piccolo tempietto dedicato ad Athena . Un
giovane sacerdote all’ingresso creava ed attizzava un braciere dove ardeva polvere di
incenso mista e piretro: il fumo odoroso si spargeva nell’aria. Tutti sfilarono accanto
ad una grande coppa ripiena della polvere sacrificale e colmando il palmo della mano
la buttavano poi sopra il braciere inneggiando alla Dea della Guerra che li assistesse
nell’impresa appena iniziata .Quando furono in cima al Castro, Alessandro salì sulla
torretta più alta insieme ad Efestione e Lisandroculos e due vessilliferi che piantarono
le lance con le bandiere sventolanti al cielo e al mare.
I tre si scambiarono a lungo pareri su quelle che potevano essere le vie militari e
navali in quello scenario immenso che avevano davanti ed intorno a loro.
Imponente avanti verso il nord era Nissiros con la sua cima chiaramente tagliata a
cratere dall’esplosione vulcanica di vari mille e mille anni prima, isola priva di grandi
anfratti portuali aveva poca importanza dal punto di vista strategico militare, ma
aveva importanza per i suoi prodotti agricoli rigogliosamente facilitati dal terreno
vulcanico. Pregarono insieme che Poseidone tenesse calmo il fuoco che appena
ancora soffiava sulla cima di Nissiros con soffioni di zolfo giallo.
Dietro a Nissiros più distesa e molto più larga quasi adagiata sul mare era invece Cos
che con i suoi molti abitanti ancora non aveva trovato la forza di ribellarsi alla
oppressione satrapica dei Persiani : li per ora - prima di pensare ad un attacco navale
con sbarco in forze - conveniva inviare gruppi organizzati di spie capaci di diffondere
il virus della ribellione nelle sue molte migliaia di abitanti. Più lontana la costa
asiatica dove sarebbero ritornati al più presto a chiudere i conti con Alicarnasso.
Più in là verso il mare aperto, lontani si intravedevano i profili delle isole di Astipalia
e di Kalimnos e Lari che pur non soggette alle satrapie persiane avevano regimi
oligarchici soggetti o molto legati a quel che rimaneva del potere di Sparta: il loro
destino sarebbe dipeso dalla capacità del governo macedone di coagulare tutto e tutti
in una Lega Ellenica di più larga e duratura portata. Per questo fine giocava un ruolo
preminente la politica pura, non molto congeniale con il carattere e gli impeti pratici
propri di Alessandro.
A sud, come ad oriente, Rodi e le sue isole intorno e Cnidos e la penisola asiatica
erano ormai soggette alle guarnigioni di Alessandro appena insiediatesi.
Là dall’alto del Castro sul monte di Tilos, Alessandro ed i suoi potevano godere – in
puro senso dello spazio – di tutta la vista dell’area che lo sguardo potesse esplorare.
Erano mari e terre e isole di conquista.
Scesero tutti di nuovo al villaggio dove il popolo aveva preparato un festoso
banchetto contadino nella piccola piazza accanto alla casa dell’ Arconte. Ci furono
balli e canti popolari, bevande e cibi frugali, semplici e gustosi. Non ci furono grandi
cerimonie se non proprio quel clima di ospitalità popolare spontanea e priva di
liturgie che offrì’ ad Alessandro ed ai suoi amici la possibilità di mischiarsi alla gente
per essere comunque “ uno di loro, ed uno per loro”.
Per questa sua capacità di essere “ uno per tutti” forse , ancora nel futuro di mille e
mille anni il ricordo di Alessandro sarebbe rimasto vivo a Tilos, pur ammantato da
leggende fantasiose.
CAPITOLO VII
Il rito Dionisiaco
Era quasi sera ed il tramonto bellissimo, dorato e rosso, stendeva la sua luce ed i suoi
colori sul mare di Eristos e della Plaka nella parte occidentale dell’isola. Dopo gli
ultimi congedi dai notabili e dal popolo, il corteo lasciò MegaloChorio in carovana e
si riavviò verso Livadia.
Quando arrivarono in fondo valle al bivio che conduceva alle vigne ed al piccolo
tempio di Dionisio, una fanciulla inghirlandata attendeva. Offrì una coppa di vino ad
Alessandro che sul cavallo procedeva in testa al gruppo dei Macedoni.
Così gli disse:
“ Oh figlio divino di Olimpiade e di Zeus , il tuo desiderio è il nostro, e la nostra
madre sacerdotessa ti attende al tempio come tu chiedesti per onorare i riti del nostro
dio Dionisio”.
Alessandro fece un gesto ad Efestione che era accanto, anche lui su un cavallo. Si
rivolse poi al suo seguito.
“voi tutti potete tornare all’accampamento; domani mattina prenderemo le decisione
per il rientro a Cnidos. Lasciate due guardie qui al bivio. Noi , io e Philo-Alexandro,
onoreremo il dio di mia madre”.
Tutti si avviarono sulla strada di Livadia ed Alessandro ed Efestione con i cavalli al
passo seguirono la giovane vestale su per il viottolo che tra le vigne portava al
tempietto.
La in fondo già si sentivano suoni di cetra ed un canto dolcissimo di giovani donzelle.
Quando arrivarono davanti al tempio trovarono la sacerdotessa Artemisia, donna di
certo non più giovane, che li attendeva: sul piccolo sagrato del tempio erano posti
numerosi cesti ripieni di uve ed anfore e brocche e due piccoli bracieri ardevano
essenze pungenti odorose alcune chiaramente afrodisiache . Alcune fiaccole e torce
erano già accese ai lati del piccolo colonnato ed altre erano all’interno. Ai due lati del
sagrato sotto due pergole fitte di rigogliosi tralci di viti, erano radunate alcune
giovani tutte con le ghirlande in testa e collane sopra le lievi tuniche che lasciavano
trasparire flessuosi corpi completamente nudi, lievemente ondeggianti sulle anche ,
al ritmo di un ditirambo corale, soffuso e dolce pur nella ossessività del ritmo stesso.
Subito ai lati della sacerdotessa erano due grandi cesti, alti e chiusi con un coperchio
appesantito da pietre. Alessandro capì subito che contenevano serpenti, da sempre
adorati da sua madre.
“Sii tu il benvenuto nella casa della madre tua che è la casa del nostro dio Dioniso
che la possiede. Gioisci con noi insieme al fratello tuo d’amore, le indicibili gioie che
il nostro dio sparge nell’aree di questo luogo dove – pur nel piccolo spazio di questa
isola – noi conserviamo e curiamo le ispirazioni sue.
Ora avvicinati Alessandro, perché voglio tu renda omaggio ai sempeterni compagni
della madre tua, che noi in omaggio a lei conserviamo in questi cesti.”
Così dicendo Artemisia scoperchiò i canestri dove nel fondo si avviluppavano serpi
dal corpo giallo rigato di nero, con testoline appiattite dalle quali uscivano guizzanti e
tremule le lingue biforcute ma non velenose .
Alessandro ne tirò a se una più grande, e mentre questa si avviluppava vogliosa
intorno al suo braccio, le accarezzò la testa con gesto d’amore quasi filiale.
Le vestali portarono grandi coppe di vino resinoso e più piccole coppe ripiene di un
trasparente distillato d ‘anice: tutte le giovani bevevano con saggia discrezione
mentre continuamente riempivano le coppe ai due giovani dai nobili riccioli d’oro.
Non c’erano altri uomini nel rituale convegno, ormai la luce del tramonto si
confondeva alla prima oscurità della notte incipiente.
Artemisia la sacerdotessa volle chinarsi alle ginocchia dei giovani, baciandole ed
accarezzando i loro falli al ritmo del ditirambo. Le altri giovani assistevano cantando
e ridendo e scherzando con chiaro riferimento alla non più giovane età della
sacerdotessa.
Poi Artemisia si alzò ed invitò Alessandro ed Efestione ad entrare nel tempio.
Fu improvvisata una piccola processione : in testa la sacerdotessa che reggeva un
piccolo braciere dove una vestale assistente poneva in continuazione fiori secchi di
papavero. Due altre giovani ai lati di Artemisia suonavano la cetra accompagnate da
un flauto e da un coro a bocca chiusa delle altre vestali che seguivano in gruppo i due
giovani nobili maschi. Alcune vestali più eccitate si baciavano in bocca l’un l’altra.
Il tempietto poteva accogliere si e no venti- venticinque persone , aveva una piccola
ara posta su una mezza colonna e dietro su due tabernacoli c’erano la statua di
Dionisio con la sua maschera facciale inghirlandata e gaudente, e la statua di Afrodite
flessuosa nelle sue nude sembianze. Da un ampia finestra laterale si vedevano
suggestive ormai nella notte piena le tremuli luci di MegaloChorio sul versante del
monte lì davanti.
Artemisia sparse incenso sul braciere e lo sventolò nell’aria che si fece acre e
pungente ed invocò il dio con una canto crescente, poi urlato, via via quasi invasato e
coinvolgente tutte le vestali che alzate le braccia al dio le muovevano ondulanti con il
ritmo ora sempre più ossessivo del ditirambo. Due vestali portarono ancora vini e
liquore a tutti e l’atmosfera si fece incandescente con le vestali che danzando
abbracciavano a turno i due giovani e sfregandosi a loro nei modi più lascivi e
totalmente disinibiti. Altre facevano lo stesso con la anziana sacerdotessa che le
stringeva al collo baciandole voluttuosamente sulla bocca.
Ad un tratto Alessandro fece un gesto autorevole invitando tutte al silenzio, e silenzio
fu nel tempietto illuminato da bagliori di fiaccole che ingigantivano l’effetto
ondulante dei fumi violetti delle essenze e dell’incenso e della polvere di papavero.
Così declamò Alessandro:
“Oh Signore, col quale Eros giovenco
e le ninfe “occhi – azzurri”
e Afrodite purpurea
insieme scherzano,
tu abiti dei monti le alte cime,
io ti prego, a noi vieni benevola
tu mia, nostra Afrodite
e ascolta benevola la mia preghiera.
A Philo-Alexandro sii buon consigliere anche tu mio dio,
fa che egli accolga, Dionisio,
il mio amore.”
E a lui rispose la sacerdotessa Artemisia:
“Oh figlio di Olimpia tu ci hai donato gli incantati versi che scrisse Anacreonte,
raffinato amante del vino si che diceva:
<Orsù – e così fate anche voi ora mie care Nereidi –
orsù portami un orcio, perché io lo beva tutto di un fiato,
versando dieci parti di acqua e cinque di vino perché io qui folleggi senza violenza.>
Non alla follia totale del vino amava abbandonarsi Anacreonte.
Ma qui a Tilos ancora fluttua la poesia dolcissima di Irinna, che in qualche casolare
ora lei riposa qui intorno, che mai volle confondere la sua intimità con i nostri riti.
Mai.
La sua poesia oggi fece rivivere sì i sentimenti convulsi di Saffo ma da lei si staccò
per abbandonare i suoi versi all’estasi della natura. Dei profumi dei fiori delle nostre
valli di Lei tutti nutriamo il rispetto più profondo.
Ed ora che la notte è scesa, a voi nobili dai riccioli d’oro, dai fremiti bronzei che
percorrono i muscoli splendidi dei vostri corpi perfetti e dei vostri falli, a voi voglio
darvi l’incontro notturno così com’è nella poesia Alicmane il poeta dei Sardi :
< Dormono le grandi cime dei monti, e i dirupi e le balze,
e i muti letti dei torrenti;
dormono quanti strisciano animali
sopra la terra nera,
e le fiere mondane
e le famiglie delle api; dormono i mostri giù nel fondo
del buio ceruleo mare; dormono gli uccelli dalle lunghe ali distese.>
E allora, se così l’incanto della notte porta veloce al sonno sereno, per averlo più
completo nell’estasi del riposo, voi , voi così giovani accorrete all’estasi dell’amore
ed abbandonatevi ad essa come Afrodite e Dioniso che ora vi chiamano.”
Alessandro ed Efestione col piglio maschile del possesso si mischiarono al ballo
ossessivo delle vestali ed ognuno prese per lui quella che per lui era la più bella;
stringendo ed avvolgendo al braccio le anche delle ragazze dalla pelle rosea e bianca,
appena coperta dei veli di lino, trascinarono fuori le due ragazze e corsero gioiosi ai
cavalli.
Balzarono in groppa e subito ognuno aiutò la sua compagna a salire essa
abbracciandolo schiacciata alla schiena con il seno fremente.
Così galopparono subito alla strada principale, gridando alla voce alle due guardie
insonnolite:
“tornate pure al campo con calma che noi là galoppiamo”.
La notte ora era illuminata dalla luna e le bianche balze solforose della valle,
riflettevano un bagliore brillante che scalava gradini lucidi di pomice e sabbia su
verso le rocce del monte. Il galoppo dei due cavalieri risuonava negli echi della valle
e sembrava voler perpetuare il ritmo incalzante del ditirambo del tempio. Così
arrivarono all’accampamento e trafelati corsero alla tenda del Re dopo aver lasciato i
due cavalli agli armigeri di guardia.
La tenda del Re era ampia e accogliente con grandi e soffici cuscini stesi sul
pavimento ricoperto di tappeti preziosi.
Abbracciati, senza alcun gesto di regale convenevole i quattro giovani tutti vicini si
buttarono sopra i cuscini. Si baciarono con delicata tenerezza e a tratti con inconsulta
violenza . Poi Alessandro scostò appena la sua donna prese la cetra e pizzicò una
dolce melodia. Le due giovani si alzarono ed ancheggiando sui fianchi ed alzando le
braccia si sfilarono lentamente le tuniche lasciando nudi i loro corpi bellissimi,
flessuosi , con i seni appena sballottanti più lucidi di sudore intorno ai bruni capezzoli
accarezzati ora in punta di dita dalle loro stesse mani ondeggianti.
I due giovani erano rimasti distesi estasiati da quella lieve danza ispirata da Eros.
Poi Alessandro gettò via la cetra e alzò le braccia invitando la giovane a venire a lui.
E così fece Efestione che gli giaceva accanto.
Le due giovani si avvinghiarono ai corpi bellissimi e frementi dei due giovani dai
riccioli d’oro: li baciarono e dovunque accarezzandoli con soffici movimenti delle
mani vellutate, li baciarono a lungo sulla bocca sprofondando nell’eros delle loro
mucose. Lasciarono a loro discendere dolcissimi sui loro capezzoli eretti, vibranti alla
carezza delle dita e delle labbra e della punta eccitata della lingua . Poi furono loro le
due ragazze quasi in contemporanea capaci di dominare i corpi dei due giovani
avvolgendoli con le cosce eburnee sino a ricevere gementi di voglie i loro lucidi falli.
Il tempo passò allora nella dolcezza dell’intimità assoluta prima di giungere all’estasi
che quasi sembrava volessero essi stessi allontanarla ancora nel tempo.
Poi Alessandro volse il capo verso Efestione che giaceva – avvinto ancora alla sua
donna – lì accanto: allora, mentre i corpi delle due vestali fremevano ora
convulsamente sopra di loro, i due giovani allungarono le braccia al toccarsi lieve
delle punte delle dita tra loro. E gli sguardi si incontrarono tra Alessandro ed
Efestione. E fu come se una scintilla, mille scintille esplodessero per tutti insieme
ragazzi e ragazze, in un orgasmo collettivo intenso e prolungato, dolcissimo, come
solo l’orgiastico Dionisio aveva potuto e voluto donare a loro.
Così dopo l’estasi divina, al fianco delle due giovani nude e spossate il Re e Philo
Alexandro si addormentarono.
Più tardi poi ancora nel cuore della notte le giovani si alzarono silenziosamente,
raccolsero le loro tuniche e quasi svanirono in punta di piedi fuori della tenda e dal
campo, appena accarezzate ancora dalla luce lunare e dalla brezza che precede l’alba.
Lontani, sparsi nella valle, i canti liutanti degli assioli sembravano voler ricordare a
tutti l’ineluttabilità dell’amore.
CAPITOLO VIII
L’Astrologo
Quando Alessandro si svegliò l’alba vera e propria era passata da poco: si sentiva
molto riposato e la sua mente non poneva alcuna attenzione di ricordo al breve ma
intenso rito Dionisiaco e alla conclusione erotica della notte appena trascorsa ,
piuttosto aveva presenti alcuni segni di un sogno appena sognato : immensi tesori
accumulati in casse e trasportati da carovane di cammelli e dromedari, enormi
caverne abitate da ninfe e sirene e poi aveva ancora sognato il suo Astrologo che
leggeva le stelle riflesse sul mare.
Il ricordo del sogno era confuso, ma questi particolari momenti erano molto impressi
in lui così schiavo di superstizioni e supposte premonizioni divine.
Mentre si rinfrescava e si rivestiva con l’armatura leggera di comando chiamò il
paggio Cronus ordinandogli di andare subito dal suo Astrologo Antipatro invitandolo
a venire nella sua tenda per la colazione del mattino.
Dopo poco Alessandro ed Antipatro erano seduti sotto il baldacchino che faceva da
veranda all’entrata della sua tenda. La colazione era apparecchiata su grandi vassoi
con frutta, yogurt, thè caldo , miele e biscotti. Il campo intorno si andava animando.
“Questa notte, o meglio poco prima di svegliarmi, ho fatto un sogno del quale ricordo
alcuni tratti confusi…”. E così via via Alessandro raccontò all’astrologo dei tesori,
dei cammelli, delle caverne con le sirene e di lui l’astrologo che leggeva le stelle
riflesse nel mare.
“Credo che tu questa notte , come so che fai ogni notte, abbia esplorato il firmamento
stellato , qui così limpido e vicino, per confrontarlo con le tue misteriose tavolette
dove racchiudi i segreti delle congiunzioni stellati e così leggi i destini degli uomini,
ma ora dimmi : sai leggere qualcosa in questo mio sogno?”
L’astrologo Antipatro, che avrebbe voluto dirgli soprattutto quello che lui stesso
aveva arguito circa il segreto colloquio tra il re ed il sacerdote al tempio, in effetti
aveva già stabilito connessioni tra quel segreto e la sua lettura delle stelle, tra Tilos e
quella loro presenza a Tilos nel bel mezzo di un impresa bellica di conquista di mondi
nuovi e sconosciuti, tra Tilos e quel segreto, e quei segni miracolosi che si erano
verificati dopo i riti propiziatori a Poseidone. L’astrologo sapeva già molto di più di
quello che Alessandro si immaginasse, ma ben si guardò di fare riferimento a quel
segreto del re, del quale il re aveva ingiunzione ed anatema di non parlarne mai; però
ora con il sogno di Alessandro aveva elementi in più per leggere il futuro o almeno
parte del futuro dell’impresa appena iniziata.
“Mio Sire, come tu hai già pienamente arguito, ho letto le stelle in queste notti così
chiare e limpide. Ora dai segni e dal sogno tuo emergono altri elementi, elementi
importanti per poter azzardare, io umile servitore delle stelle, e più ancora servitore
delle stelle che a te son più vicine per poter azzardare una previsione, sfumata ancora,
tra i misteri che circondano e sovrastano questa isola. Qui sopra le stelle sembrano
congiungersi a luci di meteore che vagano nel cielo della notte tiliana – così come fu
l’altra notte - e sembrano dire a noi che qui, e solo qui, si racchiudono e sono state
racchiuse per mille e mille anni voci misteriose e celestiali che soprastano esse stesse
gli intendimenti dei nostri Dei e della nostra fede in loro. Sembrano dire che tra loro e
te mio augusto Signore, dovrà esserci un qualche accordo perché tu posso portare il
loro occulto messaggio alle origini stesse della nostra vita umana, quasi che sia un
compimento sublime della impresa conquista verso i mondi che tu vorrai
sottomettere. Se poi – così seguitò l’astrologo – grandi fatiche e delusioni tradimenti
ed onori , battaglie e violenze, amori terreni e amori divini, morti e nascite, onori e
splendori, potranno avvolte far sembrare irraggiungibile questo destino, tu comunque
riuscirai a far giungere questo messaggio celeste la dove esso deve giungere.”
L’astrologo si era molto controllato nel non dare sensazioni di preoccupazioni in
quello che lui in più sapeva e doveva tacere: Alessandro sarebbe morto prima che
quella impresa si concludesse e altri – su suo mandato – avrebbero avuto il compito
di portare il messaggio per gli uomini “caduti dal cielo”.
Divagò perciò subito su altri aspetti più pratici e terreni che la sua lettura astrale gli
dava.
“ Questa isola ha le sue bellezze incomparabili nascoste nelle viscere della terra,
grotte e caverne si alternano a laghi di acqua di roccia , purissima, e laghi di acqua
marina azzurra e risplendente nel bianco di sabbie occulte dove vengono a partorire le
sirene e le ninfe.
La congiunzione delle stelle di Poseidone con quelle di Plutone indicano ricchezza e
questa notte erano in congiunzione con le stelle dei tuoi destini di Toro e quindi di
conquista e la dietro la montagna più alta di questa baia, la indicavano una o più
grotte destinate ad accogliere tesori inestimabili.
Le stelle dei tuoi destini ci dicono che tu guiderai i tuoi uomini per lontane montagne
e deserti e lunghe spiagge su per le dune, con carovane di cammelli e dromedari
porterai ori , diamanti, pietre preziose, argenti statue ed arazzi, sete e tappeti che ti
saranno donati o che tu razzierai per città e villaggi come pegno di guerra di chi oserà
opporsi alla tua potenza militare.
Sarà Tilos lo scrigno dei tuoi futuri tesori.
Già nei giorni trascorsi dopo le vittorie di Granico e Mileto e le conquiste di Sardi e
di Efesto hai raccolto tesori che tu inviasti alla tutela della madre tua Olimpia.
Questo farai ancora, ma una parte di questi tesori che saranno tesoro tuo e dei popoli
dell’Ellade, che appoggiano la tua impresa, questa parte dovrà via via essere d’ora in
poi nascosta per la sicurezza tua e del tuo regno.
Le stelle Urano e Plutone indicano che qui è il luogo dove dovrai, potrai depositare
queste immense ricchezze in un luogo sicuro dove solo le sirene arrivano attraverso
acque cristalline . questo p il mio dire che cosi mi han detto le stelle anche attraverso
i tuoi sogni “.
“ Ti ringrazio oh saggio astrologo, per quanti suggerimenti ha saputo darmi. Sono
certo che saranno utili alle mie decisioni.”
Alessandro dopo le pause di riflessione storica e di devozione religiosa , aveva
ripreso il cipiglio del capo stratega , immerso nelle responsabilità di decisioni che
fossero prontamente operative.
“Cronus, fatti accompagnare da una delle tue donzelle aiutanti, alla casa di Ocirne ed
invita il vecchio saggio a venire da me perche hp bisogno di un suo consiglio. Prima
avvisa il comandante Cherinico di venire subito qui insieme a Leondropoulos.”
I due comandanti furono subito da lui insieme agli altri luogotenenti.
“Sire i segnali da Cnidos ci dicono che lan guarnigione è la già giunta la Alicarnasso
ed è già saldamente insediata, e la popolazione ora ti aspetta. Le condizioni dei venti
e del mare sono buone e così saranno ancora oltre domani. I segnali da Nissiros ci
dicono che dal mare intorno Cos e dal golfo di Alicarnasso non si avvertono
movimenti navali che non siano sotto il controllo delle nostre navi. Nulla sappiamo
dalla parte di Rodi. La guarnigione che tu hai programmato per restare qui, si sta già
assestando e già viene rispettata dai notabili dell’isola.”
“ Bene, molto bene. Credo che potremo partire questa notte prima dell’alba del
giorno di domani, in modo da essere a Cnidos nel primo mattino.
Ah… ecco Ocirne. Lasciatemi solo con li , vi prego, poi potrò essere più preciso per
cosa organizzare e per quando partire.
CAPITOLO IX
La grotta delle Sirene
Ocirne scendeva dallo scaleo dl tempio di Poseidone accompagnato dal paggio
Cronus e da un altro uomo di mezza età ed aveva malgrado l’età un passo sicuro ed
un aspetto indubbiamente carismatico.
“ Sia lieto il giorno a te sacro vegliardo , per il quale il mio cuore di re nutre ora un
affetto figliale dopo che fosti così magnanimo da versare nella mia mente tutte le
conoscenze che volesti appunto donarmi.”
Così rispose Ocirne, che aveva lasciato lontano in disparte il suo accompagnatore.
“ L’anima mia essa stessa umilmente si sente onorata per così tanta tua regale
attenzione verso la mia indegna persona ed i mie ricordi. Mi hai chiamato, e questo
mi onora ancor di più e sono qui prostrato ad offrirti tutto quello che tu mi chiuderai
di fare per te.”
“Ocirne, gli astri in variegate congiunzioni tra loro mi hanno indicato che in questa
isola dovrò fare rifugio di tesori che potrò conquistare per la ricchezza futura dei
popoli dell’Ellade.
Ora questo è un segreto tra me e te. Ecco … ora ho bisogno assoluto di scoprire un
luogo anch’esso segreto che le stelle indicano siano la dietro al monete sopra la baia
perché li si possano nascondere in futuro i tesori e le ricchezze d’oriente. Dicono
ancora gli astri che in quel luogo vivono e partoriscono le sirene. Io ora vorrei trovare
questo luogo e visitarlo. Hai tu qualche aiuto da darmi?”.
“Se gli astri furono a dirti, per questo di certo tu chiamasti me. Credo di essere
l’unico oltre al mio discepolo Turisbulo che qui fuori aspetta, ha conoscere quel
luogo che gli astri ti indicano di cercare a Tilos.
Negli anni che furono quando la sete del sapere Aristotelico mi spronava a conoscere
più a fondo la natura, allora mi ero messo in testa di capire i segreti di quegli esseri
animali che sembrano sirene e che vivono nelle grotte sul mare, le foche del mare che
sembrano si sirene ma per il nero manto del quale si vestano sembrano anche piccole
nere sacerdotesse delle profondità dell’Ade, dove misteriose si immergono. E il loro
canto stridendo fuori e dentro l’acqua pelagica sembra un lamento funebre più che
ancora un canto così come quello degli uccelli pelagici. Esseri misteriosi e schivi
all’uomo che rifuggono via appena alla vista. Così mi ero proposto di capire meglio
della loro esistenza che si confondeva con quella dei pesci ma più necessitava della
nostra aria come noi la respiriamo.
Seguendo quindi quell’impulso naturalistico Aristotelico del quale già ti dissi, andavo
la nei luoghi che sapevo frequentati da questi esseri misteriosi. Ancora giovane nel
fisico e saltando di roccia in roccia andavo giù per il pendio del monte qui davanti a
noi sino agli scoglio sul mare dove mi nascondevo per vedere le sirene nere giocare o
pescare. Erano buffe avvolte , e avvolte mostravano una violenza inaudita quando
emergevano con un polipo in bocca e lo dilaniavano con i denti e quelle mezze
braccia che erano le pinne anteriori, e con quelle strappavano via i tentacoli del
polipo attorcigliati sul loro capo.
Per scendere al mare e agli scogli il percorso in discesa per me era lungo e pericoloso
anche perché lo facevo di notte per essere la all’alba. Così una volta, essendo ancora
molto lontano dal mare all’improvviso sprofondai in un a buca nascosta, profonda,
molto profonda, perché ci rotolai dentro per molte e molte braccia. Quando potei
fermarmi nella caduta cercando di aggrapparmi alla roccia, mi ritrovai nel buio più
assoluto, mi tastai addosso e mossi braccia e collo e gambe per vedere se ero tutto
integro, e così ero, si ammaccato ma integro. Però il buio mi dava un senso di panico
e impotenza a capire dove ero. A tratti nel silenzio mi sembrava di sentire lo
sciacquio della risacca del mare o forse sembrava anche lo scorre di un ruscello.
Gridai “Oh , Oh” ed il suono della mia voce si ripeté nell’eco una e dieci e dieci volte
ancora affievolendosi nelle profondità. Pensai di risalire a tastoni più che potevo ma
mi sembrò troppo pericoloso. Poi all’improvviso successe l’inverosimile: un chiarore
limpidissimo filtrava e vi via aumentava da sotto di me, non dalla parte da dove ero
caduto, ma sotto, più profondamente nel buio dove ero precitato. Quella luce aumentò
velocemente di intensità sino ad illuminare per riflesso una specie di camera, di
caverna dove era una laghetto: capì subito che quella era la luce dell’alba fuori e la
luce entrava da sotto l’acqua e da li si spandeva sulle pareti della caverna dove erano
diverse colonne naturali lucidissime e a tratti trasparenti come d’alabastro, quelle che
noi chiamiamo stalattiti e stalagmiti. Questo fondo d’acqua non era molto più in
basso di me, appena tre o quattro braccia per cui potei scendere immergendo le
gambe in quel laghetto non molto profondo. Regredii verso la zona da dove veniva
più luce e con l’acqua che mi arrivava al torace andai avanti in una galleria a tratti
anche nuotando perché l’acqua era più fonda. Entrai in un'altra camera cavernosa e
poi in un’altra ed in un’altra ancora sino ad arrivare in una caverna volto più grande
dove l’acqua era molto bassa e finiva in una spiaggietta sotterranea larga e …
rumorosa; si rumorosa perché li c’era vita e vidi due piccoli di foca marina che
squittivano e saltellavano strisciando tra acqua e sabbia. Dietro la spiaggietta c’erano
molte rocce rotonde e dietro ancora acqua, acqua quasi azzurra e a tratti con un fondo
sabbioso di un bianco abbaiante. Molto più in lontananza in fondo ad un'altra galleria
allagata c’era come un pertugio piccolo e più luminoso: ci arrivai a fatica ed appena
mi affacciai fuori mi ritrovai in una grotta aperta, aperta sul mare dove agitatissime si
muovevano due foche adulte, i genitori dei piccoli.
Avevo quindi trovato il posto dove i pescatori dicevano che partorivano le sirene.
Da allora tornai li molte volte passando sempre dal versante del mare riguadagnando
quel pertugio nascosto dopo essermi immerso nella grotta aperta al mare. Li mi creai
un nascondiglio attraverso il quale potevo osservare il comportamento delle foche
marine anche quando avevano i piccoli e fu per me un avventura naturalistica
meravigliosa. Così educai il mio discepolo Turisbulo a venire con me lasciando a lui,
più giovane ed agile, il compito di esplorare con la torcia i vari cunicoli che via via
scoprivamo nelle varie camere cavernose. Ecco … negli anni scoprimmo una vera
rete di caverne collegate, alcune allagate ed altre no e trovammo ance molti reperti di
ossa e di denti mostruosi e crani di animai sconosciuti che i si erano dispersi forse
mille e mille anni prima. Tutti i nostri appunti ed i nostri ritrovamenti furono da me
inviati più volte al grande Aristotele. Ecco questa è a storia che riguarda la mia
conoscenza delle grotte di Tilos. Ora tu sai e bene intendi che quel luogo è ideale per
nascondere qualsiasi cosa preziosa si voglia occultare.”
“Voglio senz’altro vedere questo posto” disse Alessandro.
“Non credo ci siano grandi difficoltà se non la fatica che per me – così rispose Ocirne
– non è più affrontabile. Ma Turisbulo, del quale io stesso porgo a te assoluta
garanzia di segretezza, saprà portarti la. Lui conosce tutti i segreti per arrivare dentro
le grotte da sopra le rocce, cioè dal buco dove io precipitai la primissima volta ,
perché percorrendo in discesa quella strada d’acqua e di rocce e di colonne più facile
è l’accesso alle camere laterali. Tu però farai preparare una delle tue trireme più
piccola perché possa attendervi quando uscirete sul mare. Ora ti presenterò
Turisbulo.”
Non era passata un ora che erano già pronti due asini con fiasche d’acqua e corde e
torce di pece pronte per essere accese. Alessandro Turisbulo partirono in groppa agli
asini, mentre una trireme appena apprestata con pochi marinai e rematori diresse
verso la punta a sud della baia di Livadia. Aveva l’ordine di andare avanti per circa
cinquecento braccia e poi attendere alla fonda oltre la baia di Gera.
Turisbulo guidò Alessandro prima su per il monte con gli asini, poi lasciati gli
animali sotto un fico selvatico, i due scesero a piedi sino ad un grande cespuglio
spinoso. Qui Turisbulo spostò alcuni rami e subito si vide il buco petroso che asciava
passare si e no un uomo di media corporatura. Turisbulo si legò una corda intorno la
vita e diede l’altro capo al re, poi con le torce accese , usando una piccola lampada ad
olio chiusa in terra cotta forata, entrarono scivolando a piedi in giù sino al primo
laghetto. Da qui l’esplorazione fu facile e completa, andando di camera in camera
dove con le torce subito Turisbulo trovava il forame di altre brevi gallerie che
portavano in altre camere splendide d’acqua cristallina e di stalattite e stalagmiti e di
fogli pietrosi trasparenti alla luce e gocce pendenti d’acqua. Per ogni camera nella
quale avanzavano lungo il percorso principale cerano due o tre gallerie da esplorare
ed altrettante corrispondenti camere tutte abbastanza spaziose ed alcune molto
asciutte e terrazzate naturalmente. Alessandro gioì nel verificare di persona queste
opportunità di nascondigli cosi sicuri per l’avvenire dei suoi tesori.
Non cerano foche marine e Turisbulo spiegò al re che non era mese di allevamento
dei piccoli perchè le famiglie si erano già trasferiti nell’isola li antistante, disabitata e
circondata da un mare pescoso. Questa isoletta si chiamava Antitilos.
Quando o uscirono al mare la triremi era ancora lontana coperta da un faraglione
sicché nessuno dei marinai aveva potuto vedere l’esatti punto della scogliera dal
quale il re e Turisbulo erano usciti nuotando dopo aver gettato via le torce.
Nuotarono alla voce sino alla nave ed i marinai con una scala di corda li aiutarono a
salire. Erano le prime ore del pomeriggio quando rientrarono al campo dove Ocirne li
aspettava. Subito Alessandro con Turisbulo ed Ocirne si ritiro nella sua tenda e diede
ordine a Cronus per fa si che nessuno li disturbasse.
“ Carissimo vecchio saggio Ocirne avevi pienamente ragione, quei post sotterranei
che tu hai trovato sono veramente l’ideale per nascondere il tesoro che verrà – e che
forse - dovrà tutelare il futuro dell’Ellade unita e del mio regno Macedone. Quelle
grotte sembrano fatte apposta per questo , oltre ad essere di una bellezza
impressionante scavata nei millenni della vostra terra.
Ora ho deciso.
Permanendo il vincolo di un segreto mortale, tu e Turisbulo sarete i miei fiduciari e
depositari. Via via che la mia spedizione di conquista procederà – spero – sul
continente verso oriente, tutte le ricchezze che potrò accumulare saranno spedite in
Grecia. Tutte le cose più voluminose e più grandi saranno spedite a Pella - così come
ho già fatto – per la custodia di mia madre Olimpia che ora governa il regno. Tutte le
cose più preziose, ma piccole, come diamanti , smeraldi, rubini, zaffiri, ametiste,
giade, pietre marine, lapislazzuli, e monete d’oro e d’argento e calici e piatti ed
anfore saranno stipate in casse che giungeranno qui in segreto a voi , e voi, tu in
particolare Turisbulo, troverete il modo di nasconderle in quelle grotte difese dal
mare e dalle acque sotterranee. Tu Ocirne, ti prego , dovrai tenere un archivio segreto
di questi tesori. Ogni volta ci sarà anche per voi l’adeguato compenso e premio che vi
possa consentire una migliore qualità di vita.
Sono certo che vorrete accettare questo mio incarico, con l’impegno mortale del
segreto.”
“Oh grande re, tu non immagini quanto onore mi fai e quanto possa essere il mio, il
nostro impegno per assolvere questo compito. Ti ringrazio dell’offerta che tu fai per
un nostro compenso, ma ti giuro che questo non è ne sarà mai importante per
assicurarti la nostra fedeltà. Devo però dirti che la mi età non offre molto spazio a
quello che potrà essere il mantenimento di questo incarico nel tempo a venire. La mia
vita volge naturalmente al suo termine. Ma sono certo che il mio fidato discepolo
Turisbulo saprà comunque mantenere tale impegno sino al momento aureo del tuo
ritorno.”
Così iniziò la storia del tesoro segreto di Alessandro a Tilos.
E segreto restò anche dopo la morte di Alessandro, e di Ocirne , e di Turisbulo.
CAPITOLO X
Il rientro a Cnidos
Era già il pomeriggio inoltrato quando Alessandro annunciò che il campo sarebbe
stato tolto in nottata e diede ordine ai capitani di preparare la partenza.
Arrivarono i notabili da MegaloChorio, il sacerdote massimo ed i suoi assistenti,
Ocirne , Turisbulo e tutto il popolo di Livadia.
Così ci fu una piccola cerimonia di saluto sul sagrato del tempio di Poseidone.
Poi Alessandro passò in rassegna i soldati e gli ufficiali della guarnigione che
sarebbe li rimasta, e si preoccupò di verificare con attenzione l’efficienza logistica dei
punti di vedetta e di osservazione che sarebbero rimasti nei presidi strategici
dell’isola e verificò anche il loro sistema di comunicazione incluso quello tra l’isola e
la costa di Cnidos.
Cenarono tutti nelle tende in maniera frugale e privata, poi si ritirarono per un breve
iposo prima di essere poi svegliati dalla campana della nave ammiragli per imbarcarsi
e partire.
Lisandro verificò le condizioni di sicurezza per la navigazione notturna e le
condizioni del mare che erano veramente ottime.
Poco prima di partire il paggio Cronus annunciò al re un’imprevista visita di Ocirne.
Il vecchio entrò nella tenda e con estrema riservatezza diede al re una funerea notizia:
il gran sacerdote… era stato trovato morto, quasi addormentato, steso accanto al
sarcofago del tempio di Poseidone. Di certo era morto serenamente perché tale era il
suo sguardo irrigidito teneva in mano un papiro dove era scritto “ salutate per me il
grande conquistatore che dominerà l’oriente e porterà i miei segni in Arabia”.
Alessandro mostrò un emozione contenuta, si inginocchiò ed in silenzio sussurrò
qualche parola di cordoglio e preghiera. Abbracciò poi Ocirne, salutando ancora.
Erano già passate più di due ore dalla metà della notte, quando le triremi salparono
verso Cnidos nella luce lunare che si specchiava sul mare tranquillo.
Alla prua della trireme di comando sedettero Alessandro ed Efestione e li mentre la
chiglia scorreva veloce sulle acque i due ebbero modo di scambiarsi molte opinioni
sui risultati di questa breve missione che il re aveva fortemente voluto.
Appena schiariva la linea dell’alba all’orizzonte, quando giunsero sotto costa prima
di entrare nel doppio porto di Cnidos dove una grande fuoco sul molo ed altri fuochi
sui muri del porto segnalavano il pieno possesso della situazione da parte della
guarnigione macedone giunta da Alicarnasso.
Le triremi di Alessandro accostarono alla parte sud del porto nell’insenatura più
ampia dove erano anche due grandi moli. Il ponte che collegava l’isolotto di Triopion
con la terra ferma, costituiva di fatto un valido frangi flutto riparando il porto dalle
eventuali mareggiate da vento proveniente da capo Krio che sovrastava la punta della
penisola e nascondeva la piccola baia dove era arrivato Alessandro tre giorni prima le
navi approdarono al molo principale che era già l’alba ed i primissimi raggi di sole
trapassavano gli spazzi colonnati dell’ampia strada piastrellata che collegava il porto
alla città verso l’interno e che prima delle mura si divideva in un'altra grande strada
lungo la costa del mar. il sole faceva brillare le armature di soldati della guarnigione
macedone allineati sul molo con i vessilli ed anche gli ornamenti bronzei che
impreziosivano molti cornicioni e colonne e portoni su su verso la città.
L’arrivo di Alessandro e del suo seguito era annunciato solo per i militari che
schierati con i vessilli al vento diedero il benvenuto alla voce ed il re li passo in
rassegna via via – come era solito fare – fermandosi a parlare con ufficiali e soldati.
Infondo al molo era stata preparata una lunga tavola con bevande calde, frutta, coppe
colme di miele e latte cagliato. Si fermarono in piedi per la colazione. Alessandro
ordinò che fossero avvisati i notabili della città che di li a circa un ora avrebbe avuto
l’occasione di incontrarli e poi visitare la città. Dopo poco da oltre le mura si senti un
gran vociare di gente che si riversava per le strade e nella piazza mentre sulle mura
venivano innalzate bandiere.
Ci fu anche un piccolo imprevisto evento: da alcune gabbie poste sulle torri della
porta principale furono lasciate volare via bene auguranti diverse decine di colombe
bianche. Dalla porta principale tra le mura usci un piccolo corteo di uomini vestiti
con tuniche bianche ed insieme erano i sacerdoti nel levare gerarchie. Un notabile
reggeva una copia del tripode bronzeo che era stato per molti e molti anni segno della
vittoria quando a Cnidos ogni quattro anni si svolgevano i giochi Dorici.
Inidos era una delle sei città della Lega Dorica insieme a Cos, Alicarnasso, Rodi ,
Ialissos, Kamiros: era l’offerta gestuale e simbolica e più prestigiosa che la città
appena liberata dai Persiani , potesse offrire al Liberatore macedone.
Ci furono molti discorsi di benvenuto e molti convenevoli, poi Alessandro tagli corto
e disse che voleva visitare subito questa splendida città ne conoscere gli uomini del
Scuole del Sapere quali erano famose in tutto il mondo Ellenico.
Così in corteo tutti entrarono attraverso la Porta Massima e tra ali di folla e lancio di
petali di fiori e di essenze, sostarono nella grande piazza Agorà dove tutto il popolo
inneggiò alla liberazione.
Alessandro fece un breve discorso assicurando che la sua guarnigione avrebbe
garantito l’evoluzione del loro governo democratico e salvaguardato tutti i tesori
d’arte e di cultura che erano a Cnidos. Così si avviò prima a visitare i templi
splendidi, grandi, collocati su vie d’accesso tutte splendidamente colonnate e con
scalei distesi ad accogliere i devoti. Anche qui il tempio di Poseidone dominava su
tutti per ampiezza e bellezza, il tempio di Afrodite conservava al suo interno, in una
cornice architettonica ricca di preziosi ornamenti, la statua di Afrodite che Prassitele
aveva scolpito per Cnidos. Era una statua di una bellezza sconvolgente dove la
bellezza appunto secondo lo stile proprio dell’artista - era unita alla grazia , e la
nudità della dea presentava una morbidezza appena sensuale che si confondeva con la
morbidezza del panno sopra l’anfora accanto alla dea ed ancora il volto con effetti
sfumati dove gli occhi e le palpebre si assottigliavano come a trasportare
l’espressione in un estasi di sogno.
Alessandro, Efstione e tutti i macedoni rimasero incantati. Così fu anche nel tempio
delle Muse che sovrastava la zona dove era il grande teatro e l’Odeum dedicato agli
spettacoli musicali. Tutto era contornato da belle colonne e da statue degli Dei e
basso rilievi di eventi mitologici e sportivi .
Poi si fermarono tutti ammirati della devozione che aveva indotto gli abitanti di
Cnidos a costruire un tempio dedicato a Demetra, dea dell’agricoltura e delle
stagioni. Alessandro era particolarmente colpito perché lui già da giovane era stato
sempre interessato alla programmazione dell’agricoltura e della rete idrica nella sua
terra.
Arrivarono alla grande biblioteca dove erano conservate un infinità di testimonianze
storiche antiche e recenti incluse le edizioni rimodellate dell’Iliade e dell’Odissea del
grande Omero, le Storie di Erodoto, e collezioni di poesie inclusa la mitica Saffo e
scritti di opere teatrali, opere di grandi filosofi , opere di medicina e di scienze
naturalistiche, insomma un luogo così pieno di tesori culturali che poneva chiunque
in assoluta soggezione.
Qui Alessandro con sua grande gioia sia pure nella brevità degli incontri, poté
conoscere i docenti e discenti delle Scuole che avevano dato lustro a Cnidos: la
Scuola dell’ astronomo e matematico Eudoxus , la Scuola medica e storiografica di
Ctesias e quella di scienze naturali che accoglieva Maestri essi stessi discepoli di
Aristotele, la Scuola di architettura e di urbanistica dove insegnava Sostratus il
vecchio, la Scuola di arti teatrali e di musica e di canto corale, la Scuola per le
scienze filosofiche e quella di letteratura, la Scuola archivisti e degli amministratori
delle città, la Scuola dei preti.
Con tutti ebbe parole di ammirazione e di auspicio di poter egli stesso un giorno – per
il bene del’Ellade – attingere a tanto “sapere” e d usufruire di tanta organizzazione
scientifica così come Aristotele gli aveva insegnato da ragazzo.
Così congedandi volle dire agli uomini del suo seguito:
“ Ricordatevi, amici e sudditi miei, che quello che abbia mo visto e sentito oggi qui,
equivale al più grande tesoro che l’umanità possa avere. Speriamo che le nostre
voglie e ambizioni di conquiste, così spesso violente, non abbiano vai a vanificare
tanto prezioso ed evolutivo sapere.”
Diede quindi ordine di riordinare le truppe della guarnigione e di collocare gli uomini
nelle sedi giuste del comando di protezione della città. Chiunque delle sue truppe ,
soldato o capitano, avesse osato di tentare di rubare qualcosa de tesori d’arte della
città sarebbe stato passato per le armi senza processo alcuno.
Corilumbulo, uno dei più autorevole notabili della città gli disse :
“ Sia grazie a te sire. Ora prima che tu parta per l’ennesima battaglia contro i persiani
e contro i traditori di Alicarnasso, noi ti abbiamo preparato una sorpresa.
Qui trovi quattro cavalli porti per te e per tre dei tuoi luogotenenti. Una nostra guida
ti porterà a vedere, qui fuori le mura, ma un po’ più lontano a sud della città, una
delle nostre ultime meraviglie d’arte.”
Cavalcarono per poco tempo e la sulla altura sovrastante il mare trovarono
improvvisamente davanti a loro una specie di struttura tombale sulla quale
troneggiava una colossale figura di leone scolpito in un unico blocco di marmo
Pantelico: un monumento alla forza rappresentata appunto dal leone , creato per
celebrare la vittoria di Conone nel mare li antistante, vittoria con la quale Cnidos si
pose nelle storia per avere demolito ogni aspirazione di Sparta a dominare il mare
Egeo.
Tornarono all’accampamento sul porto ed i luogotenenti e capitani presentarono al re
il programma di trasferimento di ritorno ad Alicarnaso , cosi come era già previsto
per via terra passando tra i villaggi e le genti della Caglia costiera che sentissero così
immanente della presenza fisica del condottiero Alessandro. Cenarono, dormirono ed
all’alba - ricevuti ancora gli onori della guarnigione – partirono tutti a cavallo scortati
per altro da una nutrita cavalleria d’assalto che garantiva la scurezza di fronte
qualsiasi insidia del percorso.
Alessandro era felice di poter cavalcare il suo mitico cavallo Bucefalo che gli era
astato portato da Alicarnasso. E così a sera giunsero alla città assediata dove
attendeva Partemion pronto per definire al più presto le modalità del’assalto finale
alla cittadella Roccaforte di Mnemone e dei Persiani.
Alicarnasso stava per cadere.
CAPITOLO XI
Da Alicarnasso a Babilonia:ancora il racconto storico
Callistene, lo storico cronista nipote di Aristotele e che aveva seguito Alessandro
anche a Tilos ci ha tramandato la storia della prima parte dell’impresa di Alessandro
d’Oriente: dieci anni di storia raccontata dal vivo , poi anche lui Callistene finì per
essere fortemente sospettato di aver tramato contro Alessandro quando il re era
arrivato in Bactria e aveva sposato Roxane. Callistene fu ucciso nella tarda estate nel
327.
Molti altri storici dell’epoca e dopo ancora nell’antichità ci hanno lasciato notizie
dell’evoluzione storica dell’impresa di Alessandro. Poi alla fine e subito dopo la
vicenda di vita e di conquiste di Alessandro la cronaca storica, proprio dal vivo, fu
scritta Nearco, ammiraglio della flotta che navigò per Alessandro dalle indie
all’Arabia e che ebbe una grande esaustiva importanza nella nostra storia leggendaria
che porta il nome di Tilos dalla Grecia all’Arabia e che si perde nel mistero “
celestiale” delle culture dei Telchini e dei Sumeri.
Ma ora dobbiamo ritornare agli eventi espressi in una sintesi di cronaca storica
estremamente stringata. Eventi che si susseguirono dal ritorno di Alessandro ad
Alicarnasso sino alla sua morte e dal compimento del suo destino quale lui – quasi in
punto di morte – ebbe la forza di trasmetterlo a Nearco.
Alicarnasso: l’assedio della città cosò molto ad Alessandro che comunque riuscì ad
occuparla pur essendo attrezzata con immense fortificazioni. Allora Alessandro
dovette anche rinunciare alla flotta di Niarco per motivi molto banali: cioè
mancavano i soldi per mantenere la flotta mercenaria , ed i proventi dei bottini di
guerra erano ancora pochi .Così senza la pressione della flotta greca, Mnemone poté
poi portare le sue navi residue a Cos e qui si rifugiò.
Dopo la conquista di Alicarnasso la strada della spedizione in Oriente fu più
decisamente affrontata, dopo aver affidato – ovviamente sotto tutela- il governo della
Caria ad Ada. Il racconto storico è ovviamente molto lungo per oltre dieci anni di
spedizione: dopo aver tagliato, lui sacrilego, il nodo di Gordio con un colpo di spada,
Alessandro – superando anche stadi di malattia e di serie ferite di guerra – affrontò la
battaglia decisiva ad Isso nel novembre del 333 sconfiggendo con impeto e grande
strategia il pur imponente esercito di Dario. Scese poi lungo la costa asiatica del
mediterraneo, Tiro e Gaza, sino in Egitto dove visitò nel cuore del deserto l’oracolo
Ammone. L’oracolo gli confermò nel marzo 331, di essere lui Alessandro figlio di un
dio.
Poi nell’aprile Alessandro sancì l’atto di fondazione di Alessandria sul delta del Nilo
e per la costruzione della città fece chiamare gli architetti di Cnidos. Quindi nel
giugno dello stesso anno risalì la Fenicia e la Siria,attese rinforzi dalla macedonia poi
dilagò in Mesopotamia e dopo l’altra epica battaglia di Guagamela conquistò
Babilonia. Susa e Persepoli incalzando Dario III sino alla morte del re persiano il 17
luglio 330. Lui stesso Alessandro gli tributo onori regali.
Conquistò tutti i territori della Mesopotamia sino al mar Caspio ed al Caucaso.
Da tutte queste conquiste Alessandro aveva tratto grandi incommensurabili tesori di
ogni tipo e come aveva previsto inviò sempre, con un collaudato incredibile servizio
di correre attraverso l’Asia, tutta la parte più voluminosa del bottino direttamente alle
tesorerie del suo Stato in macedonia. Tutta la parte più comprimibile in piccole casse
e bauli fu inviata a Tilos una o due volte per anno. Queste spedizioni erano
fortemente tutelate durante il viaggio e l’affidabilità del servizio era garantita dalla
fedeltà di Ada , “madre” regina che lui Alessandro aveva lasciato a governare la
Caria. Era lei che si preoccupava di ricevere personalmente la carovana dei tesori ed
organizzava con segretezza e sicurezza la successiva spedizione via mare; più
impegnativo era il viaggio verso la Macedonia più riservato e furtivo il viaggio dei
piccoli pacchi di gioielli e monete e altri ori e argenti da Alicarnasso a Tilos. Qui,
sempre nella massima segretezza , Ocirne e Tirasibulo ricevevano i bauli e questi
venivano occultati segretamente nelle grotte delle foche marine.
Durante il tempo della lunga spedizione asiatica, Alessandro si concesse molti amori
con nobili donne dei siti conquistati e poi sposò, profondamente innamorato, Roxane
figlia di Ossiarte, signore della Battiana, e che gi diede un figlio , ma questa nascita
avvenne poi piu tardi subito dopo la morte di Alessandro. Quando la sposò
Alessandro aveva 29 anni e Roxane 16 anni . L’anno dopo del matrimonio nel 326
Alessandro attraversa l’Indo e sconfigge il re Poro sul fiume Idaspe. Dopo la vittoria
in india per Alessandro iniziò il periodo più difficile per i suoi rapporti con il suo
stesso esercito ed i suoi capitani, da troppo tempo lontani da casa.
Alessandro decise allora di dividere il suo esercito in tre parti: una avrebbe seguito la
via di ritorno per terra, una avrebbe proseguito per graduali conquiste ancora ad
Oriente; ma poi dovette percorrere immense zone desertiche, il Makran , ad
Occidente di Karaki e subì grandi perdite durante questo attraversamento. Nel 324 è a
Susa dove perseguì il suo sogno di poter dare un organica unione tra gli uomini di
Occidente e d’Oriente. Cosi obbliga di fatto i suoi compagni ad andare a nozze con
donne delle nobiltà persiane, ed egli stesso sposa Statira, figlia maggiore di Dario,
come seconda moglie dopo Roxane.
Ce poi la terza parte dell’esercito che viene programmata per ritornare via mare con
quella flotta nuova costruita apposta con i legni delle grandi foreste indiane ; flotta
che avrebbe navigati verso l’Arabia agli ordini di Nearco, Nearco il Cretese, il suo
ammiraglio di sempre. Nell’ottobre del 324 muore con suo grande terribile dolore
l’amico suo di sempre Philo Alexandro Efestione ed Alessandro oltre ad attributargli
esequie di grande maestosità chiede per lui gli onori divini. Tra l’altro fece anche
uccidere il medico che non aveva saputo curare Efestione. Nell’aprile del 323
organizza meglio la flotta che da Babilonia dovrebbe scendere, sempre al comando di
Niarco a conquistare l’Arabia tutta. Ma nel giugno dello stesso anno colpito da più
grave attacco di malaria muore senza aver potuto vedere la nascita del figlio suo e di
Roxane che sempre era stata al suo fianco.
CAPITOLO XII
La morte di Alessandro e l’investitura di Niarco
Era la fine del mese di maggio del 323 ed Alessandro a Babilonia stava
programmando la spedizione per la conquista dell’Arabia e quindi aveva frequenti
riunioni con Niarco, l’amico fidato di sempre ed anche suo ammiraglio e curatore
della nuova flotta.
Quel giorno Niarco si trovava ai cantieri navali dove stavano perfezionandosi le
ultimi rifiniture delle navi, e già nel mezzo della mattinata il fervore degli operai e dei
marinai era totalmente dedicato e devoto al lavoro. Niarco girava a controllare tutto
tra un molo ed un’altro quando dalla scalinata che portava al porto giunse trafelato un
paggio di Alessandro.
“Gran Generale Ammiraglio, corri, vieni subito alla dimora del n ostro Sire. E ià da
questa notte che il re sta male, ha la febbre altissima e a tratti delira e dice cose
inconsulte e spesso molto, molte volte invoca il tuo nome Niarco. Roxane è sempre a
lui vicina con tutti i medici che lo curano. E lei che mi ha detto di correre ad
avvertirti.”
In gran fretta Niarco corse in città al palazzo reale. Nell’ampio patio alberato di
palme e rinfrescato da flussi di fontane gorgoglianti, erano tutti gli uomini dello stato
maggiore capeggiati da Perdicca; e Roxane agitatissima accompagnata da due
giovani dame entrava ed usciva da dietro una tenda che coprivi l’accesso alla grande
stana dove nel grande letto era Alessandro.
“ Vieni, mio caro Niarco, ora sembra che si sia assopito ma spesso, prima, nel delirio
ha chiamato il tuo nome e a tratti parlava di cose incomprensibili.”
Roxane chiamò “l’attore di corte” a ripetere le frasi deliranti di Alessandro e quello
così recitò. Diceva: “ siate devoti all’uomo caduto dal cielo , quello che riposa a Tilos
accanto al suo gemello di ferro. Guardate, guadate, questo uomo che non è uomo, ha
la pelle gialla e gi occhi coperti dall’osso…. È lui , è lui che ha portato il sacro
messaggio ai Telchini e loro per devozione lo portarono a Tilos, custodito dal gran
sacerdote di Poseidone. Ma no … non più il sacerdote è morto. … via via lasciatemi
compiere il mio destino divino. Niarco , dove sei? Dobbiamo andare insieme a
ricongiungerci ai nostri fratelli Nephlim, gli Annuraki, i signori di Nibiru, i nostri
fratelli caduti dal cielo…via via Niarco, salpiamo le navi e riportiamo a loro la chiave
per ritornare esseri celesti… via via nel profondo nel mare dove cantano le sirene
come a Tilos.
Cosi di nuovo Roxane si rivolse a Niarco: “ ecco Niarco amico di lui sempre fidato,
io non so leggere nulla di comprensibile in quello che li andava delirando, ma certo il
suo volto, il suo corpo, si contraevano cosi come quando egli si alzava sul cavallo per
combattere il nemico.
Ora ha sudato molto, ed i bagni freddi e la ventilazione forzata che i servi non
smettono mai sul suo corpo adorato, sembra abbiano prodotto un buono effetto e si è
rilassato. I medici dicono che questo è buon segno e che forse la crisi è passata ma
non sanno se si ripeterà.”
“ Mia cara Roxane così rispondeva Niarco – io stesso nulla comprendo del delirio
che tu mi dici , non afferro nessun senso di cose passate – anche quelle della breve
visita a Tilos dieci anni fa – o progetti futuri. Però , però in questi ultimi giorni, come
non mai lì ho visto e sentito molto molto impegnato a programmare il viaggio e la
perlustrazione e la conquista di quelle terre che chiamano Arabia, e dove dicono sia
stato un tempo il Giardino dell’Eden. Mi diceva spesso che assolutamente la
dovevamo andare, molto molto costeggiando ed avremmo avuto bisogno di marinai
molto esperti a stare bene in prua per scoprire in tempo gli scogli insidiosi. Mi diceva
di sentirsi certo che la avremo trovato segni di una grande civiltà e se fossimo riusciti,
oltre alla conquista delle terre, forse saremm9o stati allora, solo allora, vicini alle
origini stesse della vita e così avremmo raggiunto il punto massimo del’estasi di
conquista per il bene e per il futuro dei nostri popoli.
Ora quello che tu mi riferisci, Roxane, circa il suo delirio mi lascia perplesso e penso
, penso a questa sua insistenza come per la ricerca di andare la in Arabia a sciogliere
un qualche immenso mistero.”
In quel momento usci il capo dei medici ed informò Roxane che la temperatura del
corpo si era completamente normalizzata, Alessandro ora dormiva calmo e
profondamente ma non si potava prevedere se le crisi si sarebbero ripresentate.
Tutti restarono in attesa nel patio e non era difficile intendere che nei parlotii dei
piccoli gruppi dei suo luogotenenti, i Diaconi di certo qualcuno avanzava prospettive
di successione nel caso il re fosse morto.
Roxane era di nuovo entrata nella sua stana e lo vegliava devota pronta a cogliere
ogni piccola sfumatura d’allarme sulle contrazioni sul suo volto dormiente.
In serata il re si svegliò ed apparve assolutamente normale, si alzò ad orinare poi
comandò i paggi che gli portassero da mangiare. Roxane uscì dalla stanza nel patio e
con il gesto delle mani fece intendere a tutti di uscire e che il re appunto ora stava
bene così come avevano confermato i medici. Anche Niarco se ne andò.
Il girono dopo Niarco era ancora i cantieri navali, quando di nuovo arrivò di corsa il
paggio del re “ Grande Generale, il Sire Massimo vuole vederti subito, è in gran
forme e sta dando ordini a tutti che si preparino per la nuova spedizione d’Arabia.”
Molto sollevato Niarco salì a Palazzo dove il re lo attendeva contornato dai suoi
luogotenenti.
“ mie cari Generali, tutto del nostro futuro e dell’ormai prossimo viaggio, dipende da
lui, il nostro Ammiraglio e costruttore di navi, Niarco il mio amico fidato che qui ora
davanti a voi tutti nomino Comandane in capo di questa spedizione. Tutti voi e forse
io stesso dovremo attenerci alle sue decisioni per le strategie marittime e terresti da
svolgere durante il viaggio. Chiedo a voi tutti di giurare solennemente a lui , Niarco,
la vostra ubbidienza devota.”
Una investitura così totale e solenne, sia pure estemporanea, non era prevista da
nessuna, nemmeno da Niarco, ma quando il re così esternava le sue decisioni non
c’era molto spazio per contestarle se non preferire di morire di li a poco secondo
qualche modalità sfuggente tipica di costumi delle corti antiche.
Tutti giurarono fedeltà a Niarco.
Il re li congedò e chiamò a se l’ammiraglio nella sua biblioteca privata.
Niarco si inginocchiò a baciare le mani di Alessandro “ mio Sire mai avrei
immaginato che tu concedessi a me tanto onore e tanta responsabilità. Mi solleva la
certezza che la tua autorità assoluta rimarrà tale anche sopra, enormemente sopra il
comando pratico della spedizione che ora hai voluto affidarmi.”
“ Amico mio e fidato custode della mia sovranità ovunque noi siamo stai fin’ora da
quando partimmo da Pella, le cose non stanno così semplicemente come tu pensi si
possano svolgere.
I medici mi hanno informato della grave crisi di febbre che i ha avvolto ieri, e della
quale io nulla ricordo; e mi hanno anche detto che questa crisi, e altre ancora
potranno ripresentarsi a breve. Se ciò avvenisse io non sarei in grado di comandare la
spedizione che invece deve, assolutamente deve, avvenire e al più presto.
Per questo ho volto dare subito a te l’alta ufficialità del comando che solo tu puoi
assolvere con al competenza e la fedeltà che mi hai sempre dimostrato.
Se io non dovessi essere mentalmente presente, tu potrai usare il massimo
dell’autorità di giustizia , anche giustizia mortale, la dove si verificassero atti od
anche solo sospetti di tradimenti dei nostri ufficiali. Ma or devo darti un più alto
incarico, che richiede il senso più assoluto della segretezza in te e fuori di te, pena la
vita tua e della tua famiglia. So di essere duro, ma questo ho dovuto dirti. Sappi
Niarco che ora sto per affidarti una parte importante delle competenze segrete che il
destino aveva affidato a me, e che comunque devono essere assolte per il bene della
Grecia e dell’umanità tutta.”
“Maestà, Sire mio adorato non voglio nemmeno sentire un accenno al tuo ventilato
pessimismo che tu non possa essere presente al compimento del tuo destino di
Conquistatore. Le mie orecchie non sentono non vogliono sentire di queste tue
preoccupazioni e il mio cuore non le sopporta.
Devo però a assicurarti che, se questo è necessario per la tranquillità interiore del tuo
grande destino, ogni segreto tu volessi trasferire a me rimarrebbe sepolto ed in
raggiungibile a chiunque , anche sotto eventuali minacce di spada e morte su di me.
Questo io giuro, qui ora prostrato a te che da sempre mi illumini.”
“Io ti ringrazio Niarco perché quanto sto per dirti non è solo un segreto ma racchiude
misteriosi segni sopravvissuti allo scorrere di mille mille anni e forse come ,tali
misteriosi, ancora proiettati in un futuro che ancora sfugge alla nostra piena
comprensione. Mistero divino e celeste nel quale forse dobbiamo volgere atti di
immensa fede.
Questo segreto è stato trasmesso a me,con grande sacralità e con grande devozione a
Poseidone nel tempio del dio, quando fui a Tilos, il gran sacerdote del tempio me lo
trasmise perché io lo portassi a compimento, e siccome sento che il destino delle
nostre conquiste sta per giungere al termine ecco che lo trasferisco a te perché tu
possa comunque scioglierlo al tempio virtuale delle celesti creature che lo portarono a
noi su questa terra.
Quando tu organizzasti la direzione delle navi persiane in modo che io potessi
attraversare il golfo da Alicarnasso a Knidos e poi Tilos, avvennero allora segni
miracolosi fuori del tempio di Poseidone: i delfini danzarono sul mare, le sirene
cantarono lontane, le stelle lanciarono filanti scie luminose nel cielo, il fuoco si alzò
impetuoso dalle rocce. Il sacerdote Massimo mi chiamo in segreto nel tempio e mi
mostrò una reliquia impressionante lasciata li mille e mille anni prima da Telchini
colonizzatori venuti dalle terre più lontane dell’Egitto e dei Sumeri. Di questa reliquia
io stesso non posso dirti di più per segreto divino invalicabile anche per me. Ma devi
sapere che questa reliquia aveva portato con se un ‘altro segreto che ora è rinchiuso in
questo piccolo scrigno che ora tu vedi qui su questo tavolo e che io ho conservato per
tutti questi anni.
Il sacerdote mi disse che i segni celestiali e divino che si erano poco prima presentati
poco prima , nella baia di Livadia, indicavano con assoluta chiarezza che io
Alessandro ero l’uomo al quale il destino aveva deciso di affidare il compito di
portare quello scrigno in terra di Arabia.
Così allora mi disse il sacerdote < qui dentro c’è un disc di metallo sconosciuto che
racchiude segni e messaggi misteriosi che laggiù, da dove vennero un giorno lontano,
devono ora tornare, perché laggiù si troverà chi potrà aprire lo scrigno e leggere e
capire il messaggio che è qui inciso; dicono appunto i segni del tempo che quando il
disco sarà di nuovo la , allora esso stesso saprà guairei ritorno degli essere celestiali “
caduti dal cielo”. Tu ora Alessandro sei custode di una reliquia preziosa forse anche
per l’avvenire delle nostre civiltà presenti e future > .
Già prima di mostrarmi il disco il gran sacerdote così mi aveva detto < colui al quale
sarà consegnato saprà portarlo al suo luogo di origine nelle terre e nei mari di Sumer
dove un giorno chissà questo disco come un faro guiderà di nuovo il ritorno degli
uomini “caduti dal cielo sulla terra” e che sono chiamati anche Nephilin e Annuraki,
signori di Nibiru stella ruotante che torna vicino a noi ogni tre volte e più mille
anni>”
“Mio Sire, perdonami ma mi sento confuso – disse Niarco – i misteri dei quali mi dici
sono troppo lontani da me perché io possa o voglia quanto meno intuirli. Mi aggrappo
alla fede che tu mi trasmetti, ed e depongo la mia obbedienza ai tuoi piedi. Di certo
comprendo che noi dovremmo andare nella terra di Sumer, e li cercare segni nascosti
del luogo dove dovremmo consegnare o lasciare questo scrigno prezioso utile forse a
nuovi misteri del futuro della civiltà.
Io posso assicurarti che la nella terra e nei mari di Sumer noi sapremmo andare.”
“ Questo mi dici , e questo molto mi rassicura. Perciò consegno a te ora il piccolo
scrigno perché tu lo possa conservare durante il nostro viaggio, quale che sia quello
tuo o quello mio, che ora navigo anche nei dubbiosi meandri della malattia che mi
opprime.
Ecco ora sono certo del tuo del nostro impegno e così mi sento sereno. Grazie, amico
Niarco.”
Alessandro abbraccio l’ammiraglio e dopo avergli assegnato lo scrigno ed il
messaggio misterioso lo congedò.
Mentre lui Niarco usciva, confuso e sconvolto, reggendo tra le braccia il piccolo
scrigno, Alessandro lo seguì con lo sguardo velato dalla tristezza consapevole del suo
destino.
Il giorno dopo Alessandro fu di nuovo scosso da brividi e contrazioni, la febbre salì
vertiginosamente ed il respiro si fece affannato e soffocante.
Il 10 giugno Alessandro morì. Era l’anno 323 .
CAPITOLO XIII
Le isole di Sumer: Tilos in Arabia ed il giardino dell’Eden
Mentre i Diaconi, i luogotenenti Generali e Notabili di Alessandro si apprestavano a
spartirsi l’impero a suo tempo conquistato in Asia nonché spartirsi il potere sulla
Grecia, Niarco affrettò i tempi di allestimento della folla ed in pochi giorni salpò
quasi furtivamente. Si sentiva sicuro, perché nessuno degli altri Diaconi aveva
capacità marinare tali da poterlo insidiare nel suo viaggio ulteriore conquista
dell’Arabia in nome di Alessandro.
Aveva con se una schiera di Astrologhi e Astronomi: Niarco era rimasto molto
colpito dalle frammentarie rivelazioni del re, e temeva moto un viaggio tra tante
incognite “celesti”. Per questo aveva voluto con se “ i lettori delle stelle” con i quali
consultarsi, senza comunque mai svelare a loro il segreto dello scrigno. Nel corso del
viaggio però questa idea non si rivelò molto utile ma anzi fu fonte di indicazioni
confuse e contrastanti.
Spesso di notte mentre le triremi scivolavano sulle acque calde del mare sotto coste,
mare sconosciuto ed insidioso, Niarco si sedeva a prua e si abbandonava a riflessioni
guardando le stelle che nelle notti limpide di quei luoghi sembravano più vicine e
luminose.
Perché mai un piccolo disco metallico doveva servire a creare un contatto con
misteriosi esseri celestiali? Esseri che non erano Dei e che nei tempi così lontani
erano “caduti dal cielo”. Così come aveva detto Alessandro.
Niarco ricordava che nella sua Creta viveva una leggenda per un disco conservato nei
templi di Festo. Dicevano fosse un disc che nessuno riuscisse a leggere ma
racchiudeva una messaggio delle Pleiadi. Chissà se quell’altro disco che a Tilo sera
stato consegnato ad Alessandro aveva un qualche nesso con il disco di Festo.
Infondo, infondo quel popolo antico dei Telchini, gli uomini che sapevano modellare
i metalli, erano stati anche a Creta prima ancora di Minosse. Creta era la sua terra ed
ora questo compito dato a lui poteva essere segno di predestinazione.
E poi c’erano quei nomi strami Nephilin , Annuraki, Signori di Nibiru e poi quei
riferimenti ai delfini e alle sirene presenti in tutti mari forse loro avrebbero potuto
indicargli il luogo dove lasciare quello scrigno e il suo prezioso segreto. Già, la nella
terra e nei mari dei Sumeri.
Via via che si avvicinavano sempre di più a quelle terre, su alcuni tratti di costa, di
notte, si vedevano fuochi che ardevano vivaci e perenni. Quando poi una mattina si
avvicinarono ad una bai dove si intravedeva un piccolo villaggio, fu spiegato questo
fenomeno. In certi posti dalla terra sabbiosa emergeva un materiale nero, vischioso e
denso che poteva bruciare in continuazione e che gli abitanti del posto chiamavano
bitume: avvolte era liquido ed allora era più pericoloso perché l’impeto delle
fiammante era molto forte. Queste sostanze misteriose che da sole emergevano dalla
terra, ancora altre volte miste ad un gas che puzzava di uova marce e che poteva
uccidere come un veleno nell’aria, erano di fatto una fonte di energia che veniva
sfruttata dagli abitanti anche per fondere e forgiare i metalli. Così Niarco seppe del
dove erano scogli pericolosi nelle zone di mare e di costa che specie di notte
venivano sfruttate per la pesca dai pescatori locali, ebbene li queste genti
individuavano piccoli isolotti o scogliere a picco dove ponevano abbondante quantità
di questo bitume, che una volta accesso durava giorni e giorni, e poi via via rifornito
segnalava le zone rocciose dalle quali le barche dovevano essere tenute lontane nella
navigazione notturna.
Le navi di Niarco navigarono molti giorni lungo coste molto aride e inospitali, poi
scoprirono baie e piccoli golfi dove erano villaggi o accampamenti nomadi circondati
da valli boschive, avvolte anche lussureggianti dove in numerosi canali e piccole
piscine costruite dall’uomo, scorreva un’acqua limpida e fresca che scendeva da
canali più grandi persi su per gole e valli che entravano nelle montagne rocciose ed
aride. Erano l in queste oasi terre ricche di ott8imi prodotti agricoli e di frutti
dolcissimi prodotti da palme secolari. La poca gente che viveva in questi posti era
pacifica e parlava un a lingua antica, la lingua degli Accadi.
Lì Niarco cominciò a raccogliere notizie e leggende che si avvicinavano al segreto di
Tilos trasmessogli da Alessandro in punto di morte. Gli abitanti raccontavano che nei
tempi antichi, così come era tramandato dai vecchi più saggi, vi era stato un contatto
tra gli esseri umani della antica città sumera di Eridu ed esseri sovraumani, che
apparivano come coperti da vestiti di pelle gommosa, che erano metà pesce e metà
uomini chiamati Apkallu ed erano comandati da un animale anfibio, dotato di
raziocinio con una testa enorme e con dei piedi sotto la coda, e che era chiamato
Oannes: parlava di giorno insegnando a fondere e modellare i metalli e come
costruire le case. Poi di notte si rituffava nel mare. Alcuni lo chiamavano anche
Odacon. Di queste storie – dicevano gli abitanti della costa – era depositario un
sacerdote di nome Beroso, gran sacerdote del Dio Assiro Bel-Morduk , e che ancora
viveva in una grande isola dove erano templi e sepolcri. Lì Beroso – così dicevano le
genti – sapeva leggere le incisioni cuneiformi e pittografiche su cilindri, tavolette e
pareti dei templi risalenti a migliaia di anni prima.
Beroso ed altri sacerdoti erano custodi di una terra dove in mille e mille tumuli di
terra erano le tombe di mille e mille antichi abitanti ed anche di re, queste ultime
tombe coperte da cumuli di terra alte più di quindi braccia e larghe quarantacinque. È
quella la terra di A’ali e li un tempo era il giardino dell’Eden e risalivano ad una
civiltà vicina a quella degli Accadi e che era detta Dilmun.
Niarco era molto impressionato da queste storie e leggende che via via raccoglieva
visitando villaggi e piccole città lungo costa e spingendosi avvolte anche all’interno.
Ormai era certo di essere arrivato e le terre di Sumer, a non sapeva ancora qual
indicazioni sfruttare per identificare il posto, o trovare direttamente gli uomini di un
posto, dove consegnare lo scrigno con il segreto di Tilos.
Convocò gli astrologhi e gli astronomi perché gli trovassero una qualche indicazione
utile, ma ben presto si accorse che erano troppi e divorati dalle invidie reciproche
sfornavano vaticini confusi e contrastanti tra loro.
Il suo pensiero e più fisso a quelle relazione evidente tra gli uomini Apkallù, metà
uomo e metà pesce, ed i Telchini, anche loro fin dai tempi di Minosse della sua Creta,
spesso rappresentati negli afreschi come metà uomo e metà pesce. Infondo erano lo
ro che avevano allevato il dio Poseidone e nel tempio di Poseidone a Tilos era stato
consegnato lo scrigno ad Alessandro.
Navigarono ancora molti giorni poi Niarco decise di creare una base navale in quella
parte della costa più ricca di acqua dolce e quindi anche di vegetazione e di frutti e
che sembrava la zona più a nord di un immenso golfo circondato dalle terre della
Persia e che di certo nel’antichità erano state le terre di Sumer. Da lì trovò l’isola
Folaika (oggi Qwaet) e poté anche identificare uno stretto, lo stretto di Hormuz dove
era una città persiana chiamata Badis e da lì partiva una grande striscia di terra , un
penisola chiamata Maka , governata da una satrapia dell’impero Achaemeneide.
Fù li che Niarco scoprì che quella regione chiamata Maka aveva avuto mille e mille
anni prima il nome di Mogon ed i suoi abitanti erano stati gli Akadian. Qui una
qualche civiltà sconosciuta aveva insegnato a costruire i canali per raccogliere
l’acqua dai monti, ed usare il bitume per fuochi così forti, capaci di forgiare i metalli.
Sentiva Niarco di essere vicino al luogo che stava cercando per esaudire l’ultimo
imperiale desiderio di Alessandro, un desiderio dettato da un destino divino.
Molte cose cominciavano a combaciare
Era lì la terra di Sumer, già terra degli Accadi che avevano chiamato Annunaki gli
uomini celesti caduti dal cielo: così appunto tutto coincideva con quanto aveva detto
ad Alessandro il gran sacerdote di Poseidone nel tempio di Tilos. Molti parlavano di
leggende con uomini-pesce capaci di modellare i metalli e di farne di nuovi con leghe
sconosciute. Li i pescatori riferivano che c’erano posti dove ancora erano molte e
molte sirene che non erano uomini-pesce ma di certo grossi enormi anfibi che spesso
rubavano il pesce dalle reti. Niarco che molto aveva navigato nell’egeo conosceva
bene le foche marine e quanto queste furono odiate dai pescatori.
Una notte mentre erano alla fonda in un accogliete baia dove fiorivano i coralli sopra
un fondale di sabbia bianca , splendente anche con la luna, Niarco guardava le stelle
vicinissime, affascinato ed impegnato nel riconoscere le varie costellazioni. Ad un
tratto una serie incredibile di scie luminose, stelle cadenti e filanti meteore si sviluppò
la dove evidente e vicina era la stella di Afrodite, l’ultima a scomparire al mattino. Fu
una sequenza di dieci e dieci ed anche di più stelle che tutte cadevano orientandosi la
dove era venere, sembrava quasi che volessero indicare un punto preciso.
Niarco non ebbe dubbi, non consultò nessun astronomo, svegliò i marinai e diede
ordine di salpare e fare rotta subito tenendo bene la prua puntata verso la stella di
venere. Al mattina quando ormai la note svaniva nel chiarore rose dell’alba, la verso
dove ancora brillava la stella di venere, comparve il profilo di una terra piatta e
prolungata. Quando si avvicinarono di più alla costa trovarono una bai accogliente ed
il mare qui era di un azzurro splendente, trasparente e sul fondo si vedevano migliaia
e migliaia di pesci dalle molte forme e dai molti colori come mai i greci e i cretesi
avevano potuto vedere.
Infondo alla baia era il profilo di una città fortificata circondata da mura imponenti
ma di certo fragili perché fatte di fango e sabbia, con due torrioni merlati posti
affianco della grande porta dalla quale scendeva una strada lastricata che arrivava
sino al mare. Qui due grandi moli accoglievano decine e decine di piccole barche a
vela, tutte fornite di un pattino laterale per il bilanciamento.
Subito alla vista dell’arrivo della piccola flotta di Niarco, le mura si riempirono di
gente che salutava e dalla grande porta quasi subito scese un piccolo corteo di
notabili che salutarono ossequiosi Niarco appena egli sbarcò.
C’erano alcuni sacerdoti, così almeno sembravano, che parlavano un qualche
linguaggio greco e con loro come interpreti fu possibile a Niarco colloquiare con i
Notabili della piccola satrapia locale. Anche questa era gente pacifica e subito
disposta a sottomettersi a chiunque fosse venuto a conquistarli, purchè fosse
salvaguardato il loro lavoro principale che era la pesca delle perle e il commercio di
queste e le pratiche della loro religione.
Niarco autorevolmente declamò a voce un improvvisato editto di conquista , una
conquista nel nome dell’impero di Alessandro che sopravviveva alla morte stessa del
grande re.
Tutti i villaggi e le città ed i paesi stessi dell’Oriente ormai sapevano di essere terre di
conquista di un esercito formidabile che aveva sconfitto i re persiani, prendendone il
potere ma la tempo stesso salvaguardando le culture locali, forzandosi di creare una
vera integrazione tra l’Occidente greco e l?oriente asiatico.
Quindi quando arrivarono in posti isolati le guarnigioni o le navi di Alessandro, tutti
erano già pienamente disposti ad assoggettarsi. E così fù anche lì in quella che era
l’isola di Muharraq facente parte dell’arcipelago di Dilmun e che subito con
imperiosa autorità Niarco ribattezzò con il nome greco di Aradous. Lì Niarco cercò di
raccogliere subito altre informazioni che potessero meglio orientarlo verso il suo
obbiettivo: il luogo dove consegnare lo scrigno don il disco.
E lì appunto ebbe ulteriori conferme delle sue già buone intuizioni.
Non lontano da Aradous era un’altra isola chiamata Manama di Dilmun dove
dicevano esistessero templi dei quali uno era dedicato all’uomo dio Enlil, ed un altro
tempio era quello dell’eroe sumero Ziusutra utnapishtin che era diventato dio e qui
era il luogo della immortalità assoluta. Lì erano state poste le tombe dei re e dei
notabili di tutte le terre intorno al golfo, perché appunto li era il luogo della vita
eterna. Questo luogo – dicevano – erano custodito da una comunità di sacerdoti molto
saggi.
Niarco, dopo appena due giorni di assestamento del potere nella satrapia di Aradous,
lasciò qui una nave con una guarnigione, ovviamente saccheggiò – come tributi –
quante più perle potessero contenere i suoi cesti, e viaggiò ancora verso la stella di
Venere.
L’isola di Manama di Dilmun era molto più accogliente delle altre sin’ora visitate.
Imponenti giardini lussureggianti di fiori e di piante si alternavano a veri boschi di
palme , con ampi spazzi erbosi solcati da innumerevoli canali che confluivano in
piscine, laghetto, fontane zampillanti acqua freschissima.
Non vi era una reale città, quanto piuttosto una gran quantità ti templi e tempietti che
si alterano ad edifici squadrati cui angoli erano come borchiati da grandi lamiere di
rame. Tutto era posto con un ordine geometrico inusuale per le città ed i siti
d’Oriente.
L’accesso dal mare avveniva da una piccola baia di cui contorni rocciosi erano stati
amalgamati a moli costruiti con grandi pietre squadrate che ricordavano a Niarco le
mura della città cretesi minoiche. Qui vi erano solo due o tre barche da trasporto
ancorate. L’acqua dai moli e dalla costa sprofondava in un mare limpido e profondo
nella sua cupezza d’azzurro scuro, calmo come un’ olio li e per tutta la baia.
Già prima di entrare nel porto Niarco che a prua scrutava la superficie ed il fondo del
mare trasparente, aveva notato un incredibile ricchezza di praterie sottomarine
avvolte intercalate da grandi spiazzi , fondali di sabbia bianca sopra i quali intorno a
bellissime isolotti di coralli, si vedevano volteggiare un’infinità di colorate meduse,
grandi e piccole, quasi che esse stesse fossero minacciosi urticanti difensori contro
esseri invadenti i loro territori. Le praterie avvolte sembravano delle vere foreste
fluttuanti al “vento” delle correnti sottomarine con colori varianti dal verde brillante
nero bruno e dal giallo ed al tratti anche rosse. Attraversandole sopra, Niarco si era
meravigliato di non vedere pesci li sopra quelle immense vegetazioni. Ma quando
entrarono ella baia del porto dove la superficie del mare era calmissima, una vera
tavola di vetro trasparente, lì sotto le prue delle navi apparvero gioiose enormi figure
animalesche guizzanti sopra le erbe del fondo. Nairco non aveva mai visto nulla di
simile, ma sapeva della loro esistenza. Non erano foche marine come quelle che
frequentavano le scogliere isole del mare egeo e e delle coste di Creta, queste erano
molto molto più grandi ,a alcune lunghe più di 6-8 braccia , con delle grandi teste
che sembravano come coperte de un elmo lucidissimo che finiva con una specie di
visiera sopra due occhi piccoli e vivaci, ed una bocca appena accennata più
somiglianti ad un becco come quello di grandi uccelli;il corpo si sviluppava grande
ed affusolato con due pinne laterali simili a piccole braccia ed una cosa grande
palmata sotto la quale sputavano altre due piccole pinne come fossero piedi.
Quelle li sotto le navi macedoni nel mare d’Arabia ,non erano sirene mitiche ma
erano esseri sirenidi pur essi anfibi ed avevano bisogno di emergere per respirare
l’aria. Non cacciavano pesci ma mangiavano le erbe di quelle grandi praterie
sottomarine, le erbe di Poseidone. Avvolte quando uscivano appena dalla superficie
del mare con la testa alzavano il muso verso le navi e sembravano quasi salutare con
un suono acuto e metallico quasi di un diapason musicale “diiiiiiii gang gang gang”
“diiiiiiii gang gang gang”. Erano molte decine e decine, giocavano rivotandosi in
acqua ed alcune accompagnavano i loro piccoli sopra le erbe da mangiare. Quello
spettacolo confortò Niarco nella convinzione di essere arrivato più vicino alla meta.
Sul molo principale del porto, adorno – nella parte più interna a terra – di grandi
colonne che circondavano un altare , c’era ad attendere un’improvvisata delegazione
di uomini con grandi turbanti in capo, alcuni di stoffa bianca altri di verde smeraldo e
di rosso vermiglio. Erano una decina di persone capeggiate da un vecchio che aveva
l‘aria veneranda di un gran sacerdote e che impugnava un grande bastone d’argento
tempestato di pietre preziose luccicante ai raggi del sole.
“Porgo a te, grande ammiraglio Niarco, messo imperiale di Alessandro Magno il
benvenuto mio e della mai comunità di religiosi che curiamo nel tempo la sacralità di
tutte le reliquie di questa isola, dove i templi onorano il nostro grande dio BelMorduk , e gli dei alieni Enlil e Ziusundra utnapishtin che vennero su questa terra
portati dagli Annuki gli uomini caduti dal cielo al tempo del regno di Accadia. Io
sono Beroso gran sacerdote ed umile servitore degli dei Assirir e del regno di Ur che
qui tramanda nei secoli i misteri stellari quelli furono lasciati dagli uomini celesti in
consegna al primo gran sacerdote di questa stirpe di custodi delle religioni, che qui
sempre vissero anche più di cento anni ognuno e vivono nei mille e mille anni
trascorsi.
Quando i messi delle terre di Arabia portarono a noi la notizia che tue le tue navi
vagavate nel nostro mare alla ricerca di posti divini , noi invocammo le stelle e gli
uomini di lassù ed i loro dei perché vi dessero dei segni miracolosi che vi indicassero
la strada. E così fu. Ora finalmente siete qui.
Ora noi comunità religiosa aliena da ogni politica o forma di governo terreno,
porgiamo a te ed al grande imperatore Alessandro la nostra sottomissione, certo che
saprete proteggere e rispettare la nostra sacrale esistenza. Tu ed i tuoi uomini siete i
benvenuti.”
Niarco ed i suoi luogotenenti erano rimasti molto impressionati dall’eccezionalità del
luogo, impressionati dagli esseri sereni abitanti del mare , ed ora da tanto dignitosa
cerimonia di benvenuto.
Visitarono subito l’isola iniziando a girare guidati dai sacerdoti per i sentieri dei
giardini lussureggianti dove zampillavano fontane d’acqua e dove in vari laghetti
svolazzavano confidenti uccelli grandi e piccoli, colorati di mille colori, uccelli
sin’ora mai visti da greci.
I tempi non avevano all’interno statue o pitture , quanto piuttosto basso rilievi e
tavole di iscrizioni figurative, incomprensibili nel loro significato, ma ordinate come
di un’intelligenza superiore che li avesse voluto lascare segno delle supreme regole
dell’esistenza. Molte, molte tavole si collocavano come alla fine di una sequenza di
segni dove poi veniva a raffigurarsi la mappa di una costellazione celeste, e Niarco
riconosceva facilmente le Pleiadi così come erano state raffigurate a Creta nel sito di
Festo dove era raffigurato il messaggio misterioso in un disco che nessun aveva mai
saputo leggere.
Altre cose singolari erano evidenti in quel luogo: la presenza di grandi lastre di
metalli lucenti, alcune lastre erano di rame ma altre di metalli sconosciuti ; in ogni
tempio o tempietto era un altare, al centro, e sopra questo c’era sempre un disco
metallico molto solido ed eretto con una faccia intarsiata di iscrizioni e l’altra
completamente liscia; le luci ed i bracieri non erano alimentati da legno o carbone ma
da anfore di bitume molto liquido che gocciava a mantenere la fiamma; altre lanterne
erano invece collegate ad un tubo metallico dal quale usciva come soffiata una
fiammella rosso – violetta. Quello che più colpiva nell’insieme architettonico dei
tempi, degli edifici e dei giardini era l’ordine geometri e simmetrico delle strade e dei
sentieri e dei canali dell’acqua, delle balaustre e delle scalinate agli altari. Tutto ciò
era completamente nuovo per le conoscenze di uomini di Niarco ed i suoi , avvezzi a
ben altri elementi di urbanistica e di espressioni artistiche più formali, lontani da
quella estetica “matematica e geometrica” che qui ovunque appariva.
Ma all’aperto anche questo ordine geometrico delle cose si amalgamava
perfettamente con la vegetazione lussureggiante e ben curata, che di per sé era un
inno alla natura nelle espressioni più libere delle piante, degli alberi, dei fiori e degli
animali.
Beroso, il gran sacerdote, aveva lasciato che altri sacerdoti - tutti molto colti e che ,
questo era un altro mistero, parlavano correttamente il greco ma un linguaggio greco
avvolte più difficile come si rivelava in un sistema arcaico della frase e
dell’espressione – facessero da guida a Niarco ed al suo seguito nella lunga visita dei
giardini e dei templi.
Beroso li aspettò in grande patio in mezzo a due templi colonnati, dove era stato
preparato un pranzo totalmente a base di vegetali in varie forme di elaborata cucina ,
accompagnato da bevande moderatamente alcoliche e più intrise di sapori di essenze
naturali.
Poi Beroso invitò tutti a seguirlo su per un viottolo alberato che attraversava un bosco
sopra una piccola, molto piccola collina sovrastante i giardini.
Quando furono in cima si presentò uno spettacolo incredibile. Ai piedi della collina
dall’altra parte dei giardini si estendeva una pianura desertica , sabbiosa, dalla quale
emergevano a vista d’occhio innumerevoli cumuli di sabbia e pretisco, chiaramente
spazzati e modificati nel tempo dal vento, tutti a ricoprire parzialmente steli e piccoli
edifici tombali qua e la affioranti dai cumuli stessi. Ognuno di questi tumuli era alto
più di 20-25 braccia con una base larga il doppio. Nessun altro monumento , statue o
colonna scolpita era presenti in quel monumentale cimitero in un deserto abbaiante
nel contrasto con il verde lussureggiante dei giardini che erano dall’altra parte della
collina. Il cimitero si spandeva verso un orizzonte tremulo, quasi stratificato da
sabbie volanti e si perdeva là verso il mare.
“Ecco Niarco – così parlò Beroso - qui tu puoi vedere il segno sacrale del rispetto dei
nostri re , nobili e religiosi verso i nostri dei che qui promisero la vita eterna. Qui
davanti ha tutto l’orrore devastato delle case della morte, le tombe, e qui dietro a noi
lo splendore della vita eterna nel Giardino dell’Eden.
Qui tutti gli uomini che vennero sepolti hanno potuto lasciar la loro anima vagante tra
il silenzio del’umano corpo ormai marcito o essiccato e lo sfrondare della vita quale
sempre si rinnova nella stregone delle piante.
Ecco perché nel corso di mille e mille anni i re, i notabili, i sacerdoti, gli uomini di
scienza e di pensiero che vissero nelle città me nei paesi che circondano questo mare
,ed anche da più lontani, vollero essere portati qui con il loro corpo defunto.
Noi sacerdoti che qui abbiamo - forse per dono divino - la possibilità di vivere in
questo giardino siamo i custodi della pace di tutti i defunti qui sepolti nei mille e
mille anni della nostra storia qui sparsi in questo deserto esso stesso monumento
incancellabile dedicato nelle sua immensità alle loro stesse esistenze eterne.”
Niarco ed i suoi uomini erano annichiliti di fronte a tanta monumentale sacralità della
morte e della vita.
Niarco cercava ancora di meglio leggere i segni occulti che dovevano dargli la
sicurezza che quello era il luogo giusto dove lui avrebbe dovuto lasciare lo scrigno di
Tilos.
Più evidenti e chiarificatori furono altri segni che lui poté cogliere , o meglio gli
furono offerti direttamente, quando il gran sacerdote Beroso lo invitò a proseguire il
cammino solo con lui. La visita si prolungò per altri siti, una visita strettamente
riservata condotta quasi in segretezza anche per gli altri sacerdoti che lo avevano
accompagnato e che sommessamente via via si dileguarono portando via insieme a
loro come a svanire nel labirinto del giardino dell’Eden tutti i luogotenenti del seguito
di Niarco.
Beroso e Niarco ora soli si incamminarono per una stradina che attraversava
trasversalmente tutto il boschi della collina quella stessa da dove erano stati a vedere
il cimitero sparso nel deserto. Era una piccola strada lastrica tata con pietre
rigorosamente rettangolare 4intercalate da altre pietre triangolari che si incastrano tra
di loro a quadrato, ed ai lati del camminamento c’era un muricciolo di sabbie
solidificate tutto coperto da una lunghissima ed uniforme cornice metallica che
avvolgeva la parte superiore del muro che era trapassato da alcuni tubi. Questi tubi
alimentavano alcune lanterne a palla con fiammella evidentemente sempre accesa di
giorno e di notte. Ogni cinquanta braccia c’era un grosso cubo metallico con botton i
e borchie tutte numerate. Proseguirono per circa 300 braccia e si affacciarono su una
piccola terrazza sotto la quale in un grande incavo del terreno era come uno stadio
circolare circondato da un alto muro leggermente avvolgente a cupola, ma non
sorreggeva nessun tetto.
Scesero una scala ed entrarono in questa struttura che aveva un diametro di oltre 150
braccia ed una sola porta di accesso, chiusa da un portone di metallo che il sacerdote
aprì con una grossa chiave intarsiata di lapislazzuli.
In mezzo a questo edificio che solo al centro era a cielo aperto, troneggiava una
parabola larga più di 40 braccia sorretta da un grande colonna. Tutto era costruito con
un metallo lucente. Ai piedi del piedistallo della parabola erano quattro cubi come
quelli situati lungo il percorso di accesso. Beroso toccò un bottone su uno di questi
cubi e subito quella grande parabola cominciò a girare su se stessa, lentamente e con
vari piani di inclinazione quasi fluttuante senza emettere alcun rumore.
Nel centro della parabola era come un piccolo spazio vuoto, circolare anch’esso che
appariva come fosse fatto per accogliere un disco o un globo.
Dall’altra parte dello spazio aperto dell’edificio era un piccola piscina collegata ad un
canale di dimensioni utili a nuotarci dentro. Questo canale attraversava quasi
sotterraneo il muro di cinta proseguendo poi verso il mare che non era molto lontano
e dal fondo rifletteva una luce in reale di colore quasi azzurro fosforescente. Beroso
azionò un altro bottone ed una leva posta accanto ad una specie di ruota strutturata
con catini di marmo e che cominciò a muoversi alimentando una debole corrente di
acqua che dal canale fluiva nella piscina.
Niarco era esterrefatto di fronte alla grandiosità ed il mistero di quell’edificio e dei
macchinari che vi erano contenuti, tutti così è ben funzionanti al tocco lieve delle
mani di Beroso, il quale così ancora gli parlò.
“ Ora io ti debbo delle spiegazioni, dalle quali tu certo, grande Ammiraglio saprai
trarre tutte le indicazioni che tu vorrai, e saprai trarne le conseguenze.
Qui sapevamo dalle stelle che tu stavi arrivando, anche se non sappiamo ancora se tu
porti con te quello che noi aspettiamo da mille e mille anni quando la stella di Nibiru
fu più vicina a noi. Dicono gli scritti conservati nei nostri templi che da quel pianeta
scese il Dio Ennellil, con i suoi Annunaki che qui allungo si fermarono portando i
segni di una civiltà sconosciuta ai pochi uomini di allora, uomini molto primitivi.
Insegnarono tante cose e qui vicino costruirono anche Tibira, il luogo luminoso dove
veniva lavorato ogni tipo di metallo estratto da miniere lontane e vicine, ed anche
dalle profondità del mare, dove oro sapevano facilmente scendere e poi risalire. Qui
c’era allora La.ra.ak, un fuoco sempre acceso come un faro che serviva ad altri
Annunaki per scendere dal cielo con grandi macchine volanti.
Tutto quello che ti dico sono cose misteriose anche per me, ma che a me sono state
tramandate dai sacerdoti, tanti che si sono succeduti nei mille e mille anni trascorsi.
Allora gli Annunaki ebbero lunghi rapporti con i Sumeri, ai quali affidarono tutte
queste cose lasciando a loro anche la custodia delle loro tombe.
Un giorno, un tempo che noi non conosciamo avvenne – così dicono sempre gli scritti
dei nostri templi – un grande cataclisma tale che non consentì più la vita per gli
Annunaki. Gli Annunaki ripartirono per le vie del cielo con le loro macchine volanti.
Rimasero invece le condizioni utili alla sopravvivenza dei Sumeri. Questo popolo fu
poi sopraffatto dai Telchini, un grande popolo nomade che vagava per l’Asia alla
ricerca del potere assoluto. Qui i Telchini assoggettarono i Sumeri obbligandoli a
trasmettere a loro tutti i segreti della lavorazione dei metalli e di tuta quella cultura
astronomica e matematica che li era arrivata con gli uomini Annunaki, poi chiamati
“caduti dal cielo”. Quando dopo molti anni anche i Telchini se ne andarono cercando
altri luoghi dove esercitare il potere delle arti trasmesse dagli uomini caduti dal cielo,
qui rimase un primo abbozzo di questa città sacra con i suoi giardini e templi. Qui i
sacerdoti riuscirono a conservare tesori e segreti. Infatti i Telchini avevano razziato
molte cose e reliquie e avevano profanato anche le tombe degli Annunaki. E tra
queste tombe anche una che conteneva ilo corpo di un gran sacerdote della loro
gente, il quale conservava nella bara un disco di un metallo magico e pregiato.
Dicono i nostri sacro testi che questo disco doveva servire a richiamare un giorno,
chissà quando, gli Annunaki, solo quando questo disco fosso stato inserito in quella
grande parabola che ora io ti ho mostrato funzionante.
Ecco di quel corpo del sacerdote Annunako e di quel disco magico, si persero
completamente le tracce nel tempo. Quando i Telchini se ne andarono rimasero
ancora alcuni sacerdoti Sumeri che piano piano si riorganizzarono in questa città con
l’aiuto delle popolazioni di queste terre, e riuscirono nel tempo a ricostruire tutto
quello che era stato lasciato dagli Annunaki e che tu hai oggi potuto vedere.
Io sono l’ultimo di quella progenie di sacerdoti al quale è stata donata la facoltà di
una vita molto lunga, oltre cento cento anni. A me è stato tramandato anche il
compito e dovere di vegliare su questo luogo sacro, essendo io capace di leggere gli
ideogrammi scolpiti nelle tavole dei templi e capace un giorno forse di leggere i
segreti del disco scomparso che da qui i Telchini avevano trafugato.”
Niarco era come trasognato, trasporto nel melanconico del suo re scomparso e
nell’impeto di correre a compiere l’atto finale del desiderio espresso da Alessandro
prima di morire.
Ecco allora forse lui Niarco aveva con se il tassello mancante perché i destini delle
civiltà terrene e celesti si toccassero ancora tra di loro, per un avvenire ammantato di
certo ancora di mille e mille misteri divini.
“Gran Sacerdote, venero in te il sacro messo delle divinità che è pronto a cogliere i
sacri gesti della riunione delle civiltà terrene con quelle celesti.
Anch’io ho avuto segni celesti dalle stelle ch emi hanno guidato qui da te, e altri
ancora da mare dove ho visto gli esseri sirenidi che nuotavano gioiosi nello tuo porto.
Io sono poi depositario di altri segni quello che identificavano il mio re supremo
Alessandro come il messo incaricato dal destino di riportare al luogo d’origine le
reliquie che si erano perse nello scorrere dei millenni. Reliquie che di certo erano
giunte nelle nostre isole egee portate dai Telchini. Lui, Alessandro , a sua volta era
stato indicato da segni miracolosi o come essere lui stesso l’uomo giusto per questo
compito. Compito che a lui era stato trasmesso da un altro grande gran sacerdote,
custode del tempio di Poseidone, il nostro Dio del mare, nel quale tempio erano state
difese nel mille e mille anni le reliquie scomparse da qui e che li erano state portate
dai Telchini.”
Così parlo ancora Baroso:
“La scorsa notte i segni del cielo mi rivelarono che qualcosa stava avvenendo qui
intorno a noi in questo mare, in queste terre vicine. Sentii in me come il comando di
ritirarmi da solo in questo luogo sacro dove siamo ora. Vidi la nel centro di quella
parabola accendersi scintille luminose, scariche di luce che poi si disperdevano
nell’aria come attratte da un richiamo misterioso. Questo fenomeno durò allungo e
quando cessò, io tornai nel tempio di Ennelil, dove rilessi le tavole degli ideogrammi
che raccontavano la storia della discesa di Ennelil sulla terra.
In una tavola era scritto che quando i metalli lontani e gemelli avessero avuto premiti
di scintille ,quello sarebbe stato il segno di doverli presto ricongiungere. Dalla loro
fusione sarebbe originata la salvezza del mondo e da li in poi il Bene avrebbe
sopravanzato il Male.
Poi sei arrivato tu Niarco.
Sei arrivato da un mondo dove di certo nei mille e mille anni trascorsi erano giunti
anche i Telchini con le reliquie Annunake razziate prima da qui. Forse tu hai qualche
notizia di quelle reliquie tal che possa ancora confortare il destino dei popoli celesti,
dei quali segni terreni io fui fatto – ultimo dei sacerdoti – umile e devoto custode per
più secolo di vita.”
“ Ecco ora quello che devo dirti – riprese a parlare Niarco – perché sono certo, e
ringrazio gli dei di questa mia consapevolezza, che tu sei il destinatario della mia
missione.
Alessandro i punto di morte consegnò a me un piccolo scrigno dove disse che era
racchiuso un disco di un metallo magico, e questo doveva essere riportato in qualche
luogo di terra d’Arabia dove qualcuno a lui sconosciuto avrebbe saputo leggerlo.
Ora so che quel qualcuno tu sei per certo ed io posso assolvere il compito che il mio
re mi diede.”
A quel punto Beroso cadde in ginocchio e singhiozzando si inchinò al cielo
ringraziando i suoi dei.
Tornarono al porto e subito Niarco salì sulla sua nave e da un baule estrasse il piccolo
scrigno. Mentre scendeva dalla nave vide nelle acque del porto uno strano ribollire
delle acque stesse mosse da decine di “sirenidi” che in gruppo quasi danzavano
festosi.
Beroso lo attendeva al molo ed insieme camminando in religioso silenzio attraverso i
vili e gli scalei ritornarono all’edificio della parabola.
Prima che il sacerdote riaprisse la porta d’accesso dell’edificio, Niarco lo fermò e gli
disse :
“Sacerdote massimo del Dio Ennelil. Io ho ricevuto questo scrigno chiuso e nessuno
sa come possa essere aperto io lo consegno a te e così ritengo assolto il mio compito.
Così credo di doverti lasciare solo nel compimento dei segreti atti liberatori.”
“ Ti ringrazio Niarco per il tuo senso di riservatezza ma io desidero che tu sia con me
quando aprirò lo scrigno. Nessun segno astrale lo vieta. Entriamo.”
Beroso appoggiò lo scrigno su un odei cubi alla base della parabola, e alcune borchie
del cubo d’appoggio combaciavano perfettamente con le borchie dello scrigno. Si
senti subito uno scatto ed il metallo dello scrigno si illuminò di una luce viola
incandescente, ed una fessura si aprì al coperchio. Il sacerdote completò a mano
l’apertura e con evidente emotivo tremolio nelle mani estrasse il disco e si chinò con
il capo per meglio leggere le iscrizioni.
“È tutto chiaro - poi disse – il disco che prima era pesante come di piombo ed ora è
leggero come una piuma, deve essere posto al centro della grande parabola qui
sopra.”
Aprì quindi uno sportellino al fon de della parabola e facilmente introducendo un
braccio collocò un disco nell’apposito spazio al centro della parabola stessa.
Appena questo avvenne tutta la parabola tremò e la vibrazione rimase prolungata e
visibile per molti minuti mentre la parabola girava su se stessa.
Poi tutto si fermò ed il disco divenne incandescente luminosissimo.
“ Ecco, disse Beroso, il contatto è avvenuto ed è stabile. Di più ora io stesso non so.
Di certo molto dei nostri compiti finisce qui. Ora tutta potrà avvenire,e nulla
possiamo noi prevedere. Se qualcosa avverrà questo potrà essere subito od anche tra
molto molto tempo ancora. Questo solo gli esseri celestiali possono saperlo.
Andiamo ora.”
Quella sera nel tempio di Enlil ci fu una cerimonia di ringraziamento ufficiata con
una liturgia semplice e breve.
Per tutta la notte dalla parabola con il disco innescato, sfavillarono lampi di luce e
raggi luminosi si perdevano ritmicamente come a perforare il cielo nerissimo e
punteggiato di stelle.
Il mattino dopo le navi di Niarco si apprestarono a partire. Sul molo scese ancora a
delegazi9one dei sacerdoti guidata da Beroso.
“Sia grazie a te , Niarco messo di Alessandro. Qualsiasi cosa tu possa desiderare qui,
ti prego esternarla senza esitazione alcuna. Sarai di certo esaudito.”
Rispose Narco:
“Oh grande sacerdote, nessun desiderio di cose terrene pervade il mio animo e il mio
cuore, ora appagati dall’aver compiuto la mia missione .
Una sola cosa debbo chiederti pur nel rispetto della cultura della civiltà di Dilmun.
L’oggetto sacro che giunse qui con me per voi che lo attendevate mille anni e più, fu
prelevato nell’isola di Tilos nel mare Egeo dove era stato portato dai Telchini e li fu
consegnato al mio re Alessandro.
Da Tilos percorse – gelosamente custodito – le vie di conquista del nostro grande
signore Alessandro che ora è tornato tra gli Dei.
Ora il disco è ritornato invece qui.
Ti chiedo , grande sacerdote, che questa isola abbia da oggi in poi il nome greco di
isola di Tilos”.
.
“Ma altro ancora debbo dirti Niarco. Questa notte i miei astrologhi hanno letto e
riletto i messaggi delle stelle e questi tutti ci dicono che là , a Tilos , nel mar Egeo tu
devi ritornare e là potrai trovare il grande tesoro che Alessandro durante il viaggio di
conquista aveva inviato e fatto nascondere per il bene del nostro popolo e della
Madre Sua Olimpia. Va dunque oh Niarco , e là troverai i segni e i custodi del tesoro
sarà così di certo, vai fiducioso per il bene del popolo tuo e dell’Ellade tutta. Da oggi
questa terra ha il nome di Tilos. E così sia.”
Così sancì solennemente il gran sacerdote Beroso.
CAPITOLO XIV
Epilogo “antico”
Niarco partì.
Quella notte si verificò un evento straordinario: una stella luminosa, o una meteora si
fermò per qualche ora nel cielo sul golfo di quelle terre un tempo terre di Sumer.
Dal globo luminoso partì un fascio di luce che attraversò tutto il mare e si fermò per
qualche tempo fisso congiunto con le terre della “nuova” isola di Tilos.
Niarco assistesse all’evento mentre navigava sulla via del ritorno, si inginocchiò e
pianse.
Così si concludeva la spedizione d’Arabia, che tutta si svolse nella seconda età
nell’anno 323 e nei primi mesi del 322.
Niarco scrisse un libro delle avventure dei suoi viaggi e lo intitolò Indikè: di questo
libro si persero tutti gi originali ma molto fu poi riportato dallo storico Anian di
Nicomedia. Molte tracce di questa storia si son poi trascinate negli scritti di altri
storici e cronisti dell’antica Grecia.
L’ammiraglio Niarco di certo partecipò a qualcuno dei conflitti bellici nelle guerre
dei Diaconi che smembrarono tutto l’impero di Alessandro. L’ultima notizia storica
di Niarco risale a diedi anni dopo la spedizione d’Arabia: nel 312 era al fianco di uno
dei Diaconi, Demetrio ed allora doveva avere circa 45-50 anni d’età.
Di certo nel tempo degli oltre duemila nani che sono trascorsi da quel giorno, quando
il disco di Tilos fu riportato in terra d’Arabia, allora Dilmun, e in tutti questi anni
molti avvenimenti misteriosi, molte leggende hanno vagato nel modo tutto a ricordare
agli uomini che forse non sono i soli esseri intelligenti nell’universo. Molti
avvistamenti di oggetti volanti extraterrestri i sono verificati un po’ ovunque e sono
stati e sono oggetto di grande attenzione scientifica e più ancora fantascientifica.
Ma nulla di più specifico e più tangibile è avvenuto come evento chiaramente
riferibile a quel congiungimento del disco di Tilos riportato nell’isola di Delmun, ora
rinomata come tale Dilmun e non più chiamata Tilos. L’oblio di quelli eventi qui
raccontati ha seppellito ogni epocale interpretazione come invece ci si sarebbe potuto
aspettare. La vita e la storia dell’umanità sono trascorse così come è stato. Questo
racconto è forse sacrilego di questa normalità trascorsa e presente.
A Tilos nel mar Egeo sono rimaste molte leggende di quel tesoro di Alessandro
Magno , tesoro che mai nessuno ha più trovato e che sarebbe stato nascosto nelle
grotte dell’isola durante gli anni della spedizione di Alessandro. Anche qui a Tilos la
vita è trascorsa tra i convulsi ma normali eventi della Storia.
CAPITOLO XV
Epilogo “moderno “ : post-scriptum del
2006 a Tilos
Era la notte di San Lorenzo , nell’agosto de 2006, ed Enrico, scrittore dilettante,
aveva appena concluso di scrivere un libro sulla storia del viaggio di conquista di
Alessandro Magno e della sua sosta a Tilos. Enrico , aveva assunto questo nome
appunto “ Enrico”, anagrammandolo dal nome di Ocirne uno dei protagonisti della
sua storia.
Quel giorno 12 agosto, Enrico, nel girovagare con i suoi cani tra i massi e le rocce
della collina che sovrasta Livadia, era passato là dove alcuni anni prima aveva
scoperto, “scoperto” si fa per dire, una struttura preistorica una specie di rudere di
tempio antico con tanto di ara come altare e di tabernacolo. Si sapeva – ed era scritto
anche sulle “guide di Tilos” – che tutti i terrazzamenti ed i residui abitativi di quella
collina sopra Livadia erano quindi riferibili ad insediamenti preistorici, antecedenti
anche ai ruderi del Castro Minoico tutt’ora li presenti, ed erano quindi riferibili al
periodo di colonizzazione dei Telchini primo popolo già presente anche a Rodi.
Allora Enrico aveva segnalato questo residuo rupestre templare agli archeologi di
Rodi, ma questi dopo un frettoloso sopralluogo avevano scartato ogni ipotesi di
interesse di studio.
Quel giorno invece passando di lì era stato colpito, Enrico da un riflesso metallico in
mezzo a quei sassi in un punto dove batteva l sole ormai al tramonto e li aveva
raccolto una strana pietra rigata da starti lucenti di vario colore, ed uno di questi strati
aveva un chiaro riflesso metallico. Enrico l’aveva raccolta questa pietra e come
faceva altre volte l’aveva pulita e lucidata e messa come fermacarte duella sua
scrivania del suo studio dove spesso sedeva la sera di fronte allo scenario della baia di
Livadia, illuminata dalle luci riflesse della strada panoramica sul lungo mare e quelle
degli alberghi e dei ristoranti.
Quella notte di San Lorenza Enrico accese il computer e cominciò a navigare su
Internet alla ricerca degli ultimi dettagli documentativi da inserire nel libro appena
finito di scrivere.
Ad un tratto notò – attraverso l’ampia vetrata della finestra del suo studio – che nel
cielo stellato era presente molto nitida una stella, o meglio una struttura stellare, forse
una meteora fissa nel cielo e molto luminosa: li per lì no vi diede molta attenzione
perché non era infrequente il lento passaggio dei satelliti artificiali sopra l’isola.
Poi si accorse che questo satellite appariva molto più vicino del solito e la sua
dimensione ovalare era decisamente anomala e molto grande.
All’improvviso dal” satellite” partì un fascio di luce, come un riflettore sul un
palcoscenico, una luce che cominciò girare sulla baia per poi fermarsi sulla collina
rocciosa proprio nel punto del tempio rupestre preistorico.
Enrico trasalì e sobbalzò sulla poltroncina e nello stesso momento vide che la pietra
con la stria metallica raccolta nel pomeriggio, vibrava sulla superficie di vetro della
scrivania e gradualmente diventata incandescente.
Allora il fascio di luce che si era fermato fisso sulla collina, si mosse rapido e si
piantò davanti, proprio davanti alla finestra dello studio di Enrico, e
contemporaneamente il desktop del computer cominciò “ a friggere” rumorosamente
come se stesse per saltare.
Scomparvero tutte le icone dello schermo si riempì di luccichii di mille colori, come
fosse un caleidoscopio in rilievo tridimensionale, poi divenne completamente nero
tutto lo schermo ed in caratteri greci fu scritto: “Enlil e Niarcos ringraziano te
Ocirne.”
La scritta rimase per pochi secondi.
Poi tutto tonò normale. Il sasso sulla scrivania era noma lemne inerte , lo schermo del
computer aveva riacquistato tutte le icone, il fascio luminoso sulla baia non c’era più
e solamente il “satellite”, o disco volante se volete, si vide ancora per un po’ per poi
allontanarsi ora velocemente verso sud.
Quella notte nel cielo della notte di San Lorenzo, ci fu un inimmaginabile caduta di
stelle filanti e tutte nella loro caduta si orientavano verso sud.
Il giorno dopo sui giornali e sulle news di internet apparvero alcune delle tanto
ricorrenti notizie circa gli avvistamenti degli UFO. “ UFO avvistati nel golfo persico.
Alcuni astronomi ricercatori presenti nell’isola di Dilmun (Tilos) nel Baerhain hanno
potuto documentare ieri notte un supposto atterraggio di una squadriglia di UFO.”
Quello stesso giorno Enrico tornò sulla collina sopra Livadia sul posto della “sua”
struttura templare preistorica. Al centro del piccolo patio templare circondato dalle
enormi pietre poste in forma ovalare trovò uno scavo.
Era come se quella notte sconosciuti archeologi avessero lavorato, con ordine,
all’estrazione di un reperto.
Lo scavo era te rettangolare e profondo un metro e mezzo, ed era come se lì fosse
stata un bara a dimensione d’uomo, ora sottratta.
Nessun altro segno o residuo di reperto appariva dentro o intorno allo scavo, solo
qualche arbusto intorno si presentava come bruciacchiato.
Il cielo era limpido ed il sole già caldo inondava le rocce e la montagna. La natura
intorno riprendeva la sua vita di sempre, più o meno offesa dai turisti dell’estate.
INDICE
PREFAZIONE
Capitolo I
- Alicarnasso , Cnidos , Tilos : il prologo
Capitolo II
- Il viaggio verso Tilos
Capitolo III - Ocirne – Conone
Capitolo IV
- Il racconto storico
Capitolo V
- Il mistero “Celeste”
Capitolo VI - Il secondo giorno a Tilos
Capitolo VII - Il rito Dionisiaco
Capitolo VIII – L’Astrologo
Capitolo IX
- La grotta delle Sirene
Capitolo X
- Il rientro a Cnidos
Capitolo XI - Da Alicarnasso a Babilonia
Capitolo XII - La morte di Alessandro e l’investitura di
Niarco
Capitolo XIII - Le isole di Sumer: Tilos in Arabia
Capitolo XIV
- Epilogo “antico “
Capitolo XV
- Epilogo “ moderno “
INDICE
***********______________
DATAZIONI STORICHE
Alessandro Magno
-
ottobre 336 – a Pella in Macedonia , Alessandro Re succede a Filippo il Macedone
maggio 334 – inizia la spedizione in Asia con l’attraversamento del Bosforo
(NB:l’anno 334 è l’anno Terzo della 103° Olimpiade )
giugno – battaglia di Granico
agosto – inizia l’assedio di Alicarnasso
settembre – visita Cnidos e Tilos ( il dato storico è falso e qui frutto di fantasia )
settembre 333 – invasione della Cilicia
novembre 332 – entra in Egitto
marzo 331 – visita l’Oracolo di Ammone
agosto – campagna di Mesopotamia
ottobre – battaglia di Guagamela e caduta di Babilonia
gennaio 330 – raggiunge Persepoli
maggio 329 – avanza verso l’India ed attraversa l’Hindu Kush
inverno 328 – arriva in Bactria
estate 327 – sposa Roxane
aprile 326 – le sue armate , dopo essere state anche in Afghanistan , si riuniscono
sull’Indus
settembre – inizia la costruzione della flotta di navi per il ritorno di Niarco in appoggio
al ritorno dell’armata via terra
settembre 325 – Niarco parte con la flotta
marzo 324 – Niarco arriva a Susa ed incontra Alessandro
ottobre – muore Efestione
aprile 323 – Alessandro è a Babilonia
maggio – Niarco prepara la spedizione in Arabia
giugno – Alessandro muore
Dilmun o Delmon – odierna Barhain
-
si sviluppa nell’Eta’ del Bronzo dal 3000 a.c.
dal 3000 a.c. accoglie popoli Sumeri , Akkadian , TELCHINI
2200-1600 a.c. Età dell’Oro e Dinastia Ur ( 2600 a.c. )
900-600 a.c. – popoli vassalli degli Assiri sino al 323 a.c.
323-324 a.c. arrivo di Niarco che cambia il nome in TYLOS
323-250 a.c. – presenza Greca
Tutti gli altri riferimenti Storici e datazioni ( vedi anche metodo d i datazione con le Olimpiadi
come descritto in Prefazione ) che riguardano il periodo antecedente l’invasione Asiatica di
Alessandro ,sono riportati nel Capitolo IV “Il racconto storico “ .
In più parti della trattazione storica sono riportati molti dati riguardanti il popolo dei Telchini e
Tilos , e mitologia connessa .
NOMI antichi riportati nel Testo ( anche con variazioni )
NOMI dei principali Personaggi :
-
Alessandro – Alessandro Magno – Alessandro il Grande
Niarco o Nearco o Nearco il Cretese o Niarchus
Ocirne
Conone o Canone
Olimpia o Olimpiade
Beroso
Efestione o Philo-Alexandro
Altri nomi e denominazioni :
Aristotele o Aristotile , Memnone o Memnon , Dario , Serse , Artaserse , Ada,
Spititridate,Clito,Achille,Orontobate,Efialte,Trasibulo,Poseidone, Erodoto ,
Mausolo,Artemisia,Tolomeo,Selenco,Aristodauro,Cratere,Eumero,Callistene,Parm
enion,Ctesias o Ctesia , Dionisio o
Dioniso,Bucefalo,Zeus,Antipatro,Cherinico,Cronus,Leandroculos,Telos,Alia,Elio,
Dracoro,Inna,Ippocrate,Eschilo,Irinna,Tucidide,Senofonte ,Pisistrato,Solone,Ippia
, Ipparco,Creso, Ciro,Clistine ,
Fidippede,Milziade,Temistocle,Aristide,Stesilao,Leonida,Euribiade,Siccinnus,Aria
menes,Adeimantus,Mardonio,Pausania,Pericle,Fidia ,
Socrate,Agesilao,Pharnabasus,Pisandro,Filistione,Eurifone,Perdicca,Timocrate,At
ena,Tiribazus,Antalcide,Epaminonda,Crono,Rea,Ade,Nereidi,Anfitrite,Ercole,Poli
bote,Demetra,Arione,Medusa,Pegasus,Ippios,Apollo,Ermes,Afrodite Venus
Venere,Ariocono,Cabiri,Sumeri,Nephilin,Annunnaki,Accadia,Akkadian,Anacreont
e,Alcmane,Eros,Urano,Plestone,Turisubulo,Iliade,Odissea,Eudoxus,Epaminonda,
Sostratus,Roxane,Androtimus,Barsine,Mentore,
Eracle,ammone,Ossia,Poro,Statira,Diaconi Diadochi,Pleiadi ,
Apkellu,Oannes,Odacon
,BelMorduk,Achemenide,Eulil,Ziosudra,Utnapishtin,Arrion,Nicomedia,Indikè
NB: alcuni dei NOMI citati anche se non direttamente iscritti nel Testo , sono nomi emersi
nelle ricerche bibliografiche connesse agli eventi romanzati .
LOCALITA’ :
Abydos,Troia,Sardi,Efeso,Caria,Mileto,Kos o Cos,Cnidos,Nissos o Nissyros,Alicarnasso o
Bodrum,Pella,Egeo,Mitilene,Lindos,Camirus o Kamiros,Ialliso o
Ialyssos,Anatolia,Tripollion,Libia,Myndos,Atene,Sparta,Beozia,Tebe,Granico,
Livadia,Symi,Maratona,Lamia,Olinto,Ellade,Grecia,Eubea,Platea,Corinto,Peloponneso,Elospont
o Dardanelli Bosforo,Athos,Termopili Artemisio,Salamina,Rodi Rodos,Pireo, Monte
Aegaelus,Egina,Delos,Asope,Driocefale,Micale,Samos , Partenone , Sicilia, Magna
Grecia,Crotone,Selininte,Siracusa, Dodecanneso
Trebisonda,Egospotami,Cipro,Cilicia,Coronea,Argos,Macedonia,Antalcida,Attica,Mantinea,Ege,
Gera,Messaria,MegaloChorio,Egitto,Troade,Arabia,
Delmun,Sumer,Babilonia,Susa,Nibiru,Eristos,Laconia,Astypalia,Kalimnos,Lari,Plaka,Krio,Bem
atisti,Octopus,Tuna,
Bactria,Afghanistan,Licia,Pamphyla,Isso,Tiro,Gaza,Alessadria,Fenicia,Siria,Mesopotamia,Perse
pol,Battiana,Idapse,Makzan,Karachi,Creta,Festo,Eridu,A’ali,Eden,Folaika
Kwait,Badis,Maka,Aradous,Manama,Accadia,Tibira ……. ed altri .
TILOS o TYLOS o Telos
NB: sono possibili omissioni ed errori
BIBLIOGRAFIA
-
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