— CONSULENTI DEL LAVORO Consiglio Provinciale di Napoli ASSOCIAZIONE NAZIONALE CONSULENTI DEL LAVORO Unione Provinciale di Napoli Via A. De Gasperi n° 55 80133 - Napoli Prot. N°1277I22 Circolare N° 16/2006 Maggio 2006 A tutti i colleghi Oggetto: Disposizioni in materia di totalizzazione dei periodi assicurativi. Esclusione dell’indennità ordinaria di disoccupazione con requisiti normali e con requisiti ridotti nel caso di lavoro parziale verticale. Sussistenza dell’obbligo assicurativo dei coadiutori familiari di titolari d’impresa non iscrivibili alla Gestione previdenziale degli esercenti attività commerciali. Questione di legittimità della cartella esattoriale di pagamento Disposizioni in materia di totalizzazione dei periodi assicurativi La totalizzazione dei periodi assicurativi è indubbiamente un tema di rilevanza fondamentale nel nostro sistema previdenziale, nei confronti del quale la categoria dei consulenti del lavoro presta, da tempo, estrema attenzione, anche in ragione dei risvolti, spesso drammatici, che la perdita del lavoro assume per un cittadino in età matura (over 45 anni) e per il suo nucleo familiare. Dunque, spesso ci si trova a lavorare in un sistema di sicurezza sociale gestito da Enti diversi e con prestazioni che richiedono il raggiungimento di determinati requisiti. Cosa succedeva, allora, se un “lavoratore” , nell’ambito di ciascun Ente previdenziale, non aveva raggiunto i requisiti previsti laddove, invece, per sommatoria con altri periodi presso altri Enti poteva aver diritto alla prestazione? Da qui un primo intervento della Corte Costituzionale con il quale si conferma il buon diritto del lavoratore a ricevere comunque una prestazione. Un principio, pertanto, che abbisognava di una norma di attuazione. Dopo un lungo e difficile dibattito politico-sociale, nella Gazzetta Ufficiale n. 39 del 16 febbraio 2006 è stato pubblicato il Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 42 recante “Disposizioni in materia di totalizzazione dei periodi assicurativi” che, senza modificare le vigenti disposizioni in materia di ricongiunzione dei periodi assicurativi, tratta le questioni della totalizzazione ai fini della pensione di vecchiaia e di anzianità, della totalizzazione ai fini della pensione di inabilità e ai superstiti, dell’ esercizio del diritto, delle modalità di liquidazione dei trattamenti e del loro pagamento. Vediamo insieme gli aspetti principali della norma. Innanzitutto occorre ribadire che la totalizzazione è rivolta agli iscritti a due o più forme di assicurazione obbligatoria per le pensioni di invalidità, vecchiaia e superstiti, alle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima (comprese le Casse di previdenza dei professionisti, il Fondo Clero e dei ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica e la gestione separata dei parasubordinati), nonché alle forme pensionistiche obbligatorie gestite dagli enti di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509(es. l’ENPACL) che non siano già titolari di trattamento pensionistico autonomo presso una delle predette gestioni. Costoro possono cumulare i periodi assicurativi non coincidenti, di durata non inferiore a sei anni, al fine del conseguimento di un’unica pensione. Per i periodi di durata inferiore è comunque possibile la ricongiunzione. La facoltà di totalizzare i periodi assicurativi può essere esercitata a condizione che: - a) il soggetto interessato abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e possa far valere un’anzianità contributiva almeno pari a venti anni ovvero, indipendentemente dall’età anagrafica, abbia accumulato un’anzianità contributiva non inferiore a quaranta anni; - b) sussistano gli ulteriori requisiti, diversi da quelli di età ed anzianità contributiva, previsti dai rispettivi ordinamenti per l’accesso alla pensione di vecchiaia. La totalizzazione è ammessa a condizione che riguardi tutti,e per intero, i periodi assicurativi. La richiesta di restituzione dei contributi, ove prevista, presentata successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo il n. 42 del 2006, preclude il diritto all’esercizio della facoltà di totalizzazione. La facoltà di totalizzare può essere, inoltre, esercitata per la liquidazione dei trattamenti pensionistici per inabilità assoluta e permanente e dai superstiti di assicurato ancorché quest’ultimo sia deceduto prima di aver acquisito il diritto a pensione. A tal fine il diritto si consegue in base ai requisiti di assicurazione e di contribuzione richiesti nella forma pensionistica nella quale il lavoratore è iscritto al verificarsi dello stato invalidante. lì diritto alla pensione ai superstiti, esercitabile per i decessi avvenuti a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 42/2006, e’ conseguito in base ai requisiti di assicurazione e di contribuzione richiesti nella forma pensionistica nella quale il dante causa era iscritto al momento del decesso. Ai fini del perfezionamento dei predetti requisiti rileva la sommatoria dei periodi assicurativi e contributivi risultanti presso le singole gestioni sopra citate. In quanto alle modalità di esercizio del diritto necessita sapere che la domanda va presentata dal lavoratore o dal suo avente causa all’ente gestore della forma assicurativa a cui da ultimo il medesimo è, ovvero è stato, iscritto. 1 Tale ente promuove il procedimento. La domanda di ricongiunzione dei periodi assicurativi, perfezionata mediante accettazione da parte dell’interessato ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, preclude il conseguimento dei trattamenti pensionistici da totalizzazione. Per i casi di esercizio della facoltà di ricongiunzione da parte del lavoratore, titolare di più periodi assicurativi, che consentono l’accesso alla totalizzazione, la cui domanda sia stata presentata prima del 3 marzo 2006 e il cui procedimento non sia stato ancora concluso, a seguito del pagamento integrale delle rate, e’ consentito, su richiesta dell’interessato, il recesso e la restituzione degli importi eventualmente versati a titolo di ricongiunzione, maggiorati degli interessi legali. lì recesso di cui sopra non può, comunque, essere esercitato oltre il termine di due anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 42/2006. E vediamo adesso come si determina la quota di pensione. Le gestioni interessate, ciascuna per la parte di propria competenza, determinano il trattamento pro quota in rapporto ai rispettivi periodi di iscrizione maturati, secondo le regole indicate nel decreto legislativo n. 42/2006. Qualora il requisito contributivo maturato nella gestione pensionistica sia uguale o superiore a quello minimo richiesto per il conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia, si applica, per il periodo contributivo relativo a tale gestione, il sistema di calcolo della pensione previsto dall’ordinamento della gestione medesima. Le quote di pensione sono poste a carico delle gestioni interessate, e sono reversibili ai superstiti con le modalità e nei limiti previsti da ogni singola gestione. lì pagamento degli importi liquidati dalle singole gestioni è effettuato dall’INPS, che stipula con gli enti interessati apposite convenzioni, I trattamenti pensionistici derivanti dalla totalizzazione decorrono dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda di pensione in regime di totalizzazione. In caso di pensione ai superstiti la pensione decorre dal primo giorno del mese successivo a quello del decesso del dante causa. lì decreto in esame ha abrogato il regime di totalizzazione di cui all’art. 71 della legge n. 388/2000 che rimane in vigore, se più favorevole, per le sole domande presentate prima della sua entrata in vigore. lì Ministero del Lavoro, con direttiva del 2/3/2006, ha ampliato le possibilità (e la convenienza) di ricorrere al regime di totalizzazione contributiva in parola chiarendo che la clausola di una contribuzione minima dei sei anni per ogni gestione interessata è riferita solo alle pensioni di vecchiaia e di anzianità e non anche a quelle di inabilità ed ai superstiti. Inoltre, modificando la lettera del decreto legislativo 42/2006 che, nel fissare la regola del calcolo contributivo, aveva ristretto la deroga alle sole casse privatizzate, il predetto Dicastero ha stabilito che, qualora l’assicurato abbia già raggiunto i requisiti minimi richiesti per il diritto di autonoma pensione in una gestione a carico degli enti previdenziali pubblici, la “pro quota” sarà calcolata con il sistema del computo previsto dall’ordinamento della stessa. Esclusione dell’indennità ordinaria di disoccupazione con requisiti normali e con requisiti ridotti nel caso di lavoro parziale verticale La Corte Costituzionale, con decisione del 24 marzo 2006, n. 121, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 45, terzo comma, regio decreto legge 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, proposta da tribunale di Roma in riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione. Secondo la normativa citata «l’assicurazione per la disoccupazione involontaria ha per scopo l’assegnazione agli assicurati di indennità nei casi di disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro». La norma è stata impugnata nella parte in cui, nell’interpretazione della Corte di cassazione, «non contempla tra i lavoratori disoccupati involontari aventi diritto, alle altre condizioni di legge, all’indennità di disoccupazione ordinaria, i lavoratori occupati con contratto a tempo parziale verticale su base annua ultrasemestrale che abbiano chiesto di essere tenuti iscritti nelle liste di collocamento per i periodi di inattività». L’ordinanza è stata resa nel giudizio proposto da una lavoratrice a tempo parziale verticale (che nel 1999 aveva lavorato in una mensa scolastica nei mesi di apertura della scuola, ossia da gennaio a giugno e da settembre a dicembre) per ottenere dall’INPS l’indennità di disoccupazione per il periodo di inattività, che l’INPS contestava ritenendo la disoccupazione non “involontaria”. Il Tribunale di Roma ha richiamato anzitutto il “diritto vivente”, sorto sulla base della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (n. 1732 del 2003) secondo la quale la libera accettazione, da parte del lavoratore, del tempo parziale verticale su base annua esclude che per i periodi di sospensione dell’attività lavorativa possa ravvisarsi disoccupazione involontaria, così ricavandone l’impossibilità di dare una lettura diversa della norma impugnata. Ha poi osservato che, a suo avviso, la norma, così interpretata, viola l’art. 3 della Costituzione per irragionevole disparità fra il trattamento da essa riservato ai lavoratori a tempo parziale annuo e quello dei lavoratori stagionali e degli altri assicurati contro la disoccupazione involontaria. Viola, altresì, l’art. 38, secondo comma, della Costituzione che garantisce la tutela del disoccupato anche se la sospensione del lavoro sia prevista, voluta e programmata in relazione al tipo di rapporto instaurato. L’INPS ha eccepito l’inammissibilità della questione di costituzionalità, sotto il profilo che il rimettente avrebbe dovuto censurare le norme del Capo VI, Sezione III, del r.d.l. n. 1827 del 1935, in particolare l’art. 76, piuttosto che l’art. 45, norma di valenza generale, che non individua direttamente i lavoratori assistibili e le tipologie di lavoro subordinato alla cui cessazione possa conseguire uno stato di disoccupazione involontaria. L’art. 45 del r.d.l. n. 1827 del 1935, nel fissare l’oggetto delle assicurazioni obbligatorie, stabilisce, al comma terzo, che «l’assicurazione per la disoccupazione involontaria ha per scopo l’assegnazione agli assicurati di indennità nei casi di disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro». lì successivo ari. 73 precisa che la ‘prestazione consiste in un’indennità giornaliera di un dato ammontare, e ribadisce che il diritto sorge «in caso di disoccupazione involontaria». Dal suo canto l’art. 76 dello stesso regio decreto-legge n. 1827 esclude, al primo comma, la spettanza dell’indennità in due casi di lavorazioni intermittenti, caratterizzate dall’alternanza di periodi di attività lavorativa e periodi 2 di inattività: «la disoccupazione nei periodi di stagione morta, per le lavorazioni soggette a disoccupazione stagionale, e quella relativa a periodi di sosta, per le lavorazioni soggette a normali periodi dì sospensione». La portata della norma è stata innovata radicalmente dalla sentenza n. 160 del 1974 della stessa Corte Costituzionale che ha dichiarato non fondata «nei sensi di cui in motivazione» la questione di legittimità costituzionale dell’art. 76, comma 1, ritenendo che in base ad esso «il lavoratore, rimasto privo di lavoro durante tale periodo [di sosta], può senz’altro acquisire il diritto all’indennità di disoccupazione» purché «chieda la iscrizione nelle liste di collocamento per altre occupazioni». L’interpretazione della Corte si fonda sull’affermazione che nel lavoro stagionale la prevedibilità del rischio di disoccupazione, fisiologico per la naturale alternanza dì periodi dì attività produttiva e periodi di sosta, non basta a rendere la disoccupazione volontaria. La Corte è poi tornata sul tema con la sentenza n. 132 del 1991, dopo che l’art 5 del decreto-legge n. 726 del 1984 aveva introdotto la figura del lavoro a tempo parziale. La sentenza — nel dichiarare parzialmente incostituzionale l’art. 17, comma secondo, della legge 30dicembre 1971, n. 1204, sulla tutela delle lavoratrici madri, con particolare riguardo a quelle assunte con rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale su base annua — in motivazione ha richiamato la sentenza n. 160 del 1974, ponendo in rilievo che essa si era occupata della disoccupazione conseguente al periodo di sosta nei rapporti di lavoro stagionali, definiti «analoghi a quello qui considerato». La giurisprudenza della Corte di cassazione in un primo momento ha ritenuto che il lavoratore a tempo parziale annuo abbia diritto all’indennità dì disoccupazione per i periodi di sospensione della sua prestazione tra una fase di lavoro e l’altra, purché per tali periodi risulti iscritto nelle liste di collocamento. Ma in seguito è sorto sul punto un contrasto composto dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 1732 del 2003. La sentenza ha affermato che l’indennità di disoccupazione non spetta in nessun caso di lavoro a tempo parziale su base annua, in quanto — da un lato — la stipula di un tale contratto «dipende dalla libera volontà del lavoratore contraente e perciò non dà luogo a disoccupazione involontaria indennizzabile nei periodi di pausa» e — dall’altro — questa conclusione non contraddice la disciplina della disoccupazione involontaria per i lavori stagionali, che non può essere estesa in via analogica ai lavori a tempo parziale su base annua. lì giudice rimettente — partendo da tale sentenza — ha ritenuto impossibile sottoporre a interpretazione adeguatrice una norma di cui le Sezioni Unite avevano dato un’interpretazione divenuta poi ” diritto vivente”. Ma. a suo avviso, questa interpretazione è contraria alla giurisprudenza costituzionale, in particolare in quanto la scelta del lavoratore dì accettare, «liberamente e volontariamente», un lavoro a tempo parziale verticale annuo non è indice di volontarietà della condizione di non occupazione per il periodo contrattuale di inattività più di quanto non lo sia, di per sè, l’accettazione del lavoro stagionale cui si è riferita la sentenza di questa Corte n. 160 del 1974; ed in quanto l’estensione analogica della disciplina del lavoro stagionale a quello a tempo parziale, rifiutata dalle Sezioni Unite, è stata invece ammessa dalla citata sentenza n. 132 del 1991. Ne consegue, secondo il rimettente, la violazione dell’art. 3 della Costituzione, per irragionevole disparità di trattamento dei lavoratori a tempo parziale verticale rispetto ai lavoratori stagionali e agli altri lavoratori fruenti dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria; e dell’art. 38, comma secondo, della Costituzione che garantisce una qualche tutela al disoccupato involontario pur se la sospensione del lavoro sia prevista, voluta e programmata in relazione al tipo di rapporto instaurato, quando ciò derivi dalle condizioni del mercato del lavoro. La prima delle citate decisioni (sentenza n. 160 del 1974) ha fornito un’interpretazione adeguatrice dell’art. 76 del r.d.l. n. 1827 del 1935, nel senso che nel lavoro stagionale l’indennità di disoccupazione spetta nei periodi dì “stagione morta”, ed ha così attratto questo tipo di lavoro nella regola generale secondo cui la disoccupazione involontaria comporta il diritto alla relativa indennità. Ma rispetto al lavoro stagionale (soggetto a tale regola) il tipo contrattuale del tempo parziale verticale presenta sicuri elementi di differenziazione. In particolare, nel lavoro stagionale il rapporto cessa a ‘fine stagion&’, sia pure in vista di una probabile nuova assunzione stagionale; nel lavoro a tempo parziale verticale invece il rapporto “prosegue” anche durante il periodo di sosta, pur con la sospensione delle corrispettive prestazioni, in attesa dell’inizio della nuova fase lavorativa. Pertanto il lavoratore stagionale non può contare sulla retribuzione derivante dall’eventuale nuovo contratto, mentre il lavoratore a tempo parziale può fare affidamento sulla retribuzione per il lavoro che presterà dopo il periodo di pausa. L’esclusione del diritto all’ indennità di disoccupazione per i periodi di mancata prestazione dell’attività lavorativa nei rapporti di lavoro a tempo parziale verticale su base annua non viola quindi l’art. 3 della Costituzione, per le differenze esistenti tra le due situazioni poste a confronto. Nè viola l’art. 38 Cost., perchè nel tempo parziale verticale il rapporto di lavoro perdura anche nei periodi di sosta, assicurando al lavoratore una stabilità ed una sicurezza retributiva, che impediscono di considerare costituzionalmente obbligata una tutela previdenziale (integrativa della retribuzione) nei periodi di pausa della prestazione. Questa conclusione non trova ostacoli nella sentenza n. 132 del 1991. Con essa la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 17, comma secondo, della legge n. 1204 del 1971, sul diritto delle lavoratrici all’indennità giornaliera di maternità, «nella parte in cui, per le lavoratrici con contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale su base annua, allorquando il periodo di astensione obbligatoria abbia inizio più di 60 giorni dopo la cessazione della precedente fase di lavoro, esclude il diritto all’indennità giornaliera di maternità, anche in relazione ai previsti successivi periodi di ripresa dell’attività lavorativa». Questa esclusione comportava, per la Corte, «una palese incoerenza, tale da determinare un’ingiustificabile disparità di trattamento» lesiva dell’art. 3 della Costituzione, in quanto «la lavoratrice, per effetto della maternità, viene a perdere una retribuzione dì cui avrebbe certamente — e non solo probabilmente — goduto se non si fosse dovuta astenere dal lavoro in ragione del suo stato». Tale motivazione sorregge compiutamente ed esaustivamente la dichiarazione di incostituzionalità della norma, onde il successivo richiamo al lavoro stagionale considerato dalla sentenza del 1974, ed al suo carattere “analogo” rispetto al lavoro a tempo parziale verticale su base annua, è del tutto estraneo alle ragioni che hanno condotto alla decisione. 3 L’INPS, con circolare n. 198 del 13 luglio 1995 aveva già fornito istruzioni in merito all’indennizzabilità dei periodi di inattività per i lavoratori che svolgano attività con contratto di lavoro cosiddetto a part-time dì tipo verticale In tale circolare l’istituto aveva precisato che non sussistono le condizioni per l’indennizzabilità dei periodi dì inattività, in quanto i lavoratori concentrano la propria attività in alcuni mesi dell’anno, ovvero in alcune settimane del mese o in alcuni giorni della settimana, e vengono assunti con contratto a tempo indeterminato, con tutti i benefici ad esso connessi. Con successivo messaggio n. 253 del 25 marzo 2003, il criterio sostanziale della circolare n. 198/1995 è stato ribadito, anche a seguito di sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, la n. 1732 del 2003, con la quale si è è risolto il contrasto che si era venuto a creare a seguito di pronunce difformi in seno alla Sezione Lavoro della stessa Suprema Corte, affermando che la stipulazione di un contratto di lavoro a tempo parziale verticale dipende dalla libera volontà del lavoratore e pertanto non sussistono i presupposti per considerare lo stato di inattività come stato di disoccupazione involontaria e perciò indennizzabile. Alla luce della sentenza della Corte Costituzionale in esame, l’INPS, con circolare n. 55 del 13 aprile 2006 ha ribadito ulteriormente che i periodi dì inattività in caso di lavoro a part-time di tipo verticale non possono essere indennizzati nè con l’indennità dì disoccupazione ordinaria con requisiti normali, nè con l’indennità ordinaria di disoccupazione con requisiti ridotti. Sussistenza dell’obbligo assicurativo dei coadiutori familiari di titolari d’impresa non iscrivibili alla . Gestione previdenziale degli esercenti attività commerciali Alcune strutture periferiche dell’INPS, a seguito dell’emanazione della circolare n. 70 del 26 aprile 2004, concernente l’obbligo assicurativo dei coadiutori familiari dei farmacisti, hanno chiesto alla Direzione Generale dell’Istituto di conoscere se il predetto obbligo assicurativo sia configurabile, sempre nel caso in cui il titolare non sia iscrivibile alla Gestione, in riferimento a qualsivoglia attività del commercio, del turismo e dei servizi, ancorché manchi una formale preposizione del coadiutore. In particolare il quesito fa riferimento alle ipotesi nelle quali, mentre il titolare d’impresa non è in possesso dei requisiti previsti per l’iscrizione — ad esempio dedicandosi ad altra attività con carattere di abitualità e prevalenza - un parente o affine entro il terzo grado del medesimo titolare partecipi al lavoro aziendale con tutti i requisiti di legge. A tal proposito la Direzione interrogata è stata dell’avviso che, allorquando il familiare coadiutore partecipi all’attività con carattere di abitualità e prevalenza e non sia configurabile un rapporto di lavoro dipendente, il medesimo coadiutore abbia diritto, anche in assenza di obbligo di iscrizione del titolare, alla tutela previdenziale prevista per tale categoria di lavoratori. Conseguentemente, in tali fattispecie, l’imprenditore sarà iscritto quale titolare non attivo, ai soli fini dell’imposizione dei contributi dovuti per i coadiutori familiari, secondo le procedure in atto per i preposti all’attività commerciale. A sostegno di tale assunto la predetta Direzione pone in considerazione che la legge 22 luglio 1966, n. 613, agli articoli 1 e 2, ha esteso l’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti agli esercenti attività commerciali ed ai loro familiari coadiutori, sempre che gli stessi non siano soggetti all’assicurazione generale obbligatoria in qualità di lavoratori dipendenti; che tale obbligo è stato ribadito, da ultimo, dall’art. 1, comma 206, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 che lo ha previsto sino al terzo grado dei rapporti di parentela ed affinità; che l’ultimo comma dell’art. 10 della citata legge n. 613/1966 e, successivamente, il primo comma dell’art. 2 della legge 2 agosto 1990, n. 233 hanno posto a carico del titolare dell’impresa commerciale l’obbligo del pagamento dei contributi anche per i familiari coadiutori; che i più recenti orientamenti giurisprudenziali, anche della Corte costituzionale, tendono ad assimilare, con riguardo al versamento della contribuzione (ad esempio in materia di rendita vitalizia), i lavoratori autonomi che non hanno la disponibilità giuridica della loro posizione previdenziale ai lavoratori dipendenti. In tale contesto, tenuto anche conto della riforma della disciplina relativa al settore commercio di cui al decreto legislativo n. 114/1998, ad avviso della Direzione ogni diversa interpretazione rivolta ad escludere la tutela assicurativa dei lavoratori in questione in qualità di coadiutori familiari di titolari non attivi - una volta accertata l’insussistenza del rapporto di lavoro dipendente - non appare sostenibile, anche perché determinerebbe una lacuna nella tutela pensionistica dei lavoratori, non altrimenti colmabile con gli strumenti apprestati dall’ordinamento previdenziale. Per concludere, Vi segnaliamo la sentenza della Ctp di Torino sulla liquidazione della dichiarazione dei redditi di un contribuente. La questione riguarda l’illegittimità della cartella di pagamento se manca la prova della preventiva comunicazione al contribuente. Questa la motivazione della sentenza dell’11.1 2006 con la quale la 14a sezione della Commissione tributaria provinciale di Torino ha accolto il ricorso contro una cartella di pagamento emessa a seguito di liquidazione ex art. 36-bis del dpr n 600/1973 della dichiarazione dei redditi di un contribuente relativa all’anno d’imposta 1998, in cui venivano iscritte a ruolo le imposte risultanti dalla dichiarazione stessa di cui era stato omesso il versamento, con relativi interessi e sanzioni, I giudici piemontesi, inoltre, hanno ritenuto viziata la cartella anche sotto il profilo della motivazione, non essendo state puntualmente esposte le somme di cui si contestava l’omesso o carente versamento, nè fornite indicazioni circa l’elemento soggettivo ai fini dell’irrogazione della sanzione. Auguriamo a Voi tutti un proficuo proseguimento delle attività professionali e di formazione continua ricordando a noi stessi che solo un professionista aggiornato e preparato è un buon professionista. A tal proposito vi ricordiamo che è in corso il Master in Contenzioso Tributario ogni lunedì, New Europe Hotel, dalle ore 15 alle ore 19 per celebrare, in modo degno, la nostra riammissione, a pieno titolo, fra i soggetti legittimati alla piena assistenza del contribuente innanzi le Commissioni Tributarie. 4 Il giorno 28 Giugno p.v. è, inoltre previsto un Convegno, sempre al New Europe Hotel dalle ore 9:00, sull’apprendistato professionalizzante alla luce degli indirizzi operativi emanati dalla Regione Campania, sulla normativa “antiriciclaggio” e sulla certificazione dei contratti. Cordiali saluti. Ordine Provinciale Consulenti del Lavoro di Napoli il Presidente F.to Dott. Edmondo Duraccio A.N.C.L. U.P. NAPOLI il Presidente F.to C.d.L Gennaro Ragosta A.N.C.L. U.P. di Napoli Centro Studi “O. Baroncelli” lì Coordinatore F.to Dott. Vincenzo Balzano 5