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Benito Mussolini - Le ragioni di “quota 90”
Fino al 1926 la politica economica del fascismo seguì i consolidati canoni di un moderato
liberismo, ereditati dai governi precedenti. Guidato dall’obiettivo primario di raggiungere il
pareggio del bilancio, il ministro delle Finanze e del Tesoro Alberto De Stefani (1879-1969) si era
fatto promotore di un marcato indirizzo produttivistico, volto a sostenere il rilancio e la
ristrutturazione dell’apparato industriale. Ormai inviso alla Confindustria e agli ambienti degli
affari, che di fronte a una crisi che si annunciava lunga e difficile volevano una persona di loro
fiducia alla direzione economica e finanziaria del paese, De Stefani fu sostituito nel luglio 1925 con
Giuseppe Volpi (1877-1947), personaggio di primo piano nel mondo affaristico e industriale
italiano. Nel 1926 si avviò la svolta economica, con il brusco riallineamento a 90 lire della moneta
nazionale rispetto alla sterlina inglese, dopo che per tutto l’anno la quotazione ufficiale si era
aggirata intorno alle 140-150 lire. Si inaugurava così una politica di strenuo sostegno della lira sui
mercati internazionali, per ritornare alla parità dell’immediato dopoguerra.
Roma, 8 agosto 1926
Caro Volpi,
le note che seguono sono il risultato non tanto di meditazioni e studi sul problema che tutti ci
angustia da parecchi mesi, quanto di intuizioni che, per quanto mi riguarda, sono quasi sempre
infallibili. Occorre dunque che Ella legga colla necessaria attenzione l’esposizione dei miei punti di
vista. Procederò, per facilità di lettura, a paragrafi.
La lira e il regime – Bisogna, anzitutto, porre a caposaldo di ogni considerazione questa verità, a
mio avviso, indiscutibile: la sorte del regime è legata alla sorte della lira. Questa è ormai
convinzione diffusa nelle file del Partito, ma è soprattutto la speranza convinta di tutti gli
oppositori, silenziosi nell’ombra all’interno, non silenziosi all’estero. [...] Ella comprende che
attorno alla lira cozzano le due concezioni politiche e sociali opposte e che quindi tutto il mondo
delle sinistre è ansioso di poter mostrare che i regimi di forza non riescono a salvare le valute
deprezzate, né a superare la crisi sociale del dopo-guerra. Se la lira precipita non solo resterà
praticamente annullata la mole superba di opere legislative ed economiche compiute dal Regime,
ma tutte le tendenze fasciste nel mondo declineranno e saliranno di nuovo le concezioni
democratiche-liberali-internazionaliste. È necessario dunque considerare la battaglia della lira come
assolutamente decisiva. E aggiungere che il regime – per la sua costituzione totalitaria – a mio
avviso logica e ineluttabile – non può scaricare questo peso su altre spalle di affini, o procedere a
collaborazioni clamorose – tipo Francia – perché attorno a noi non c’è che la polvere di tutto il
vecchio mondo politico non fascista. Siamo soli, dinanzi alle nostre terribili responsabilità; soli e da
soli dobbiamo giungere in porto.
I cambi durante il regime fascista – Ho preso in esame la vicenda dei cambi sulla sterlina durante
gli anni 1922-23-24-25 e sono giunto a delle constatazioni interessanti. Ordunque: il regime fascista
aveva nel dicembre 1922 la sterlina a 90. I casi, o le ipotesi, erano tre: il regime poteva ancora
migliorare questa quotazione, il regime poteva fissarla oppure peggiorarla. È questo terzo caso che
si è verificato. Ragione per cui io affermo, colla schiettezza veridica dei veramente forti, che qui il
regime è stato battuto.
Fatti e conseguenze – L’esame dei cambi mi porta a questa curiosa conclusione: quando il bilancio
dello Stato era in deficit; la circolazione eguale o superiore alla odierna; i debiti interalleati non
sistemati; il regime ancora all’inizio e combattuto – il cambio era buono o comunque discreto.
Adesso che il bilancio è in avanzo, che la circolazione è piuttosto diminuita, che il debito estero è
stato sistemato con una notevole, forte decurtazione, che il Paese è tranquillo e lavora come non
mai, il cambio è peggiorato. [...] Riversare le cause del fenomeno sulla bilancia commerciale
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deficitaria è semplicistico, anche perché è mia convinzione che la bilancia dei pagamenti non sia
deficitaria o lo sia in misura non pericolosa. [...] Bisogna convincersi che siamo davanti a un
fenomeno di sfiducia del mondo finanziario internazionale nei confronti della finanza italiana,
sfiducia che spiega e provoca la speculazione al ribasso. Ora, finché la sfiducia non si riverbera
all’interno, la situazione non presenta pericoli imminenti; ma il giorno in cui la sfiducia valicasse le
frontiere – (e a lungo andare questo è inevitabile), si diffondesse nel paese e spingesse i
risparmiatori al ritiro dei depositi (che sommano a 51 miliardi), nessuna forza di regime potrebbe
evitare il crollo.
Stabilizzazione ecc. – Mi domando: quale può essere la causa della sfiducia e del pessimismo nei
confronti della lira, dato che i debiti esteri furono sistemati, che la circolazione è diminuita, che il
bilancio è in pareggio ecc. ecc.? Rispondo: a mio avviso e procedendo per eliminazione, per i
seguenti motivi: a) diamo l’impressione di non avere un programma; b) la convinzione che il fondo
Morgan è esaurito; c) la circolazione fiduciaria di cui un buon terzo non ha garanzie di sorta. È cioè
papier peint. Abbiamo un programma? No. Dire che vogliamo stabilizzare la lira non significa un
bel nulla. È il livello della stabilizzazione che conta ed è il modus procedendi che conta. [...] C’è
insomma una stabilizzazione a tappe successivamente peggiorative e una stabilizzazione a tappe
successivamente migliorative. La preferenza non è dubbia. Bisogna adottare risolutamente la
seconda maniera, di stabilizzazione, anche perché la prima conduce all’abisso. La stabilizzazione di
tappa in tappa sempre più peggiorativa, come è quella che noi subiamo da quattro anni, conduce a
una tappa dalla quale per cause prevedibili o imprevedibili, la valuta brucia le tappe successive e
precipita nel fondo colla velocità fantastica della luce. È questo il nostro programma? Se sì,
facciamo girare i torchi e le rotative, e il risultato finale è sicuro. Ma se il nostro programma è,
come deve essere, diverso – allora la parola d’ordine del governo fascista per l’interno e soprattutto
per l’estero non può essere che questa: stabilizzazione della lira, ma a tappe successivamente,
gradualmente migliorative: stabilizzazione della lira, ma a un decente livello, come merita un paese
che ha il bilancio in avanzo, sistemati i debiti esteri ecc. [...] Non difendere la lira soltanto per
ritardarne la caduta, ma difendere la lira per rialzarla. Né si dica, come affermò l’on. Rocco
nell’ultimo Consiglio dei ministri, che questo è impossibile. È impossibile, assurdo, dannoso (forse)
tendere o anche semplicemente sperare in una rivalutazione del 100 per 100, ma una rivalutazione
che torni ad onore del regime fascista si può e si deve ottenere.
Banca d’Italia, circolazione ed eventuale nuovo prestito – Perno di manovra per la rivalutazione
della lira, col risanamento quantitativo e qualitativo della circolazione, deve essere la rinnovata ed
unica Banca di emissione. I tempi devono essere i seguenti: a) aumento del capitale della Banca
d’Italia. [...] c) Diminuzione e risanamento della circolazione ed azione per realizzare un’unica
forma di circolazione fiduciaria. [...] e) Negoziazione, a tempo opportuno, di un prestito non
inferiore ai 250-300 milioni di dollari per garantire la lira decentemente rivalutata e procedere
quindi alla riforma definitiva. Questo prestito dovrebbe essere fatto dalla Banca d’Italia con sua
garanzia e con quella di tutte le forze produttive industriali ed agrarie italiane. [...] f) Separare
nettamente la gestione dello Stato da quella della Banca d’Italia e dare a questa la più grande
autonomia.
Debito pubblico – Dopo avere sistemato il debito all’estero, bisogna affrontare [...] quello interno.
Conclusione – [...] È venuto il momento di agire fascisticamente: cioè con grande audacia ed
ampiezza di visione. E soprattutto non c’è un minuto di tempo da perdere. [...] Questo meraviglioso
popolo italiano che da quattro anni lavora come un eroe e soffre come un santo non merita di
soggiacere alla iugulazione aurea degli anglosassoni. Bisogna impedire a qualunque costo che ciò
avvenga, non solo per il regime, ma soprattutto per la Nazione. [...]
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R. De Felice, I lineamenti politici di quota 90, “Il Nuovo Osservatore”, 50/1966, pp. 398-401.