CHARLES BERNARD, Teologia spirituale, 487-489
INCIPIENTI, PROFICIENTI, PERFETTI
Qualunque sia il valore delle costruzioni sistematiche, tutti gli autori, per quanto riguarda
l’itinerario spirituale, concordano nell’accettare una divisione tripartita: inizio, metà e fine del
movimento spirituale. In realtà, questa divisione è poco più che una semplice indicazione del
progresso della vita spirituale. Sarà comunque utile per facilitare la direzione spirituale – dato che
si devono adattare i consigli allo stato spirituale tanto per ciò che riguarda i mezzi di progresso,
quanto le forme di orazione e il comportamento abituale –, presentare le caratteristiche principali
dei tre periodi che di solito caratterizzano la vita spirituale.
A. GLI INCIPIENTI
Non si tratta di fanciulli i quali, come si è detto non hanno coscienza della totalità della loro vita,
ma di quelli che intraprendono deliberatamente la vita interiore, cercando di conoscere e di
compiere la volontà di Dio nei loro riguardi. Questa decisione di darsi pienamente alla vita
spirituale produce di solito il desiderio di una perfezione più alta e di una vita cristiana integrale.
Spetta al padre spirituale di accendere e ravvivare con la parola, e ancor più con l’esempio, questo
desiderio.
Il primo passo è una conversione all’interiorità: la vita della grazia appare un “mondo nuovo”,
come quando sant’Ignazio cominciò a discernere i diversi moti della sua anima; così
l’interiorizzazione è accompagnata da una certa conoscenza di sé. L’incipiente accede anche, a poco
a poco, alla coscienza dei rapporti interpersonali. L’aspetto negativo di questo movimento è che
l’incipiente percepisce gli ostacoli e e ripugnanze interiori verso la vita soprannaturale, donde la
pratica dell’esame di coscienza, dello sforzo virtuoso e del sacramento della riconciliazione. In
questa fase bisogna sempre fare attenzione a che egli non cada negli scrupoli o nello
scoraggiamento.
L’incipiente tende alla conoscenza di Dio mediante il raccoglimento dell’anima e la pratica
dell’orazione, soprattutto mentale. Così facendo egli comincia a conoscere le verità della fede e la
regola evangelica: tale conoscenza, però, non è puramente oggettiva bensì vitale, tanto da
coinvolgere la volontà e l’azione. La memoria si riempie della presenza di Dio, l’intelletto è
illuminato dalla luce della fede, la volontà è accesa dal desiderio di adorare e servire Dio.
Tutti gli autori ritengono che l’orazione conveniente a questo stato sia la meditazione. Con ciò non
si deve intendere l’orazione speculativa, ma quella che si serve di tutte le facoltà secondo la loro
struttura naturale; l’anima non è ancora pervenuta al vero raccoglimento interiore e deve sostituire
immagini e giudizi spirituali alle immagini e ai giudizi naturali spesso mondani.
Generalmente parlando si può dire che la coscienza degli incipienti diviene cristiana nei pensieri,
nei giudizi e nelle azioni.
Tra i possibili pericoli di questa fase vi è quello della tensione e di un fervore indiscreto, perché
l’incipiente attribuisce maggiore importanza agli sforzi personali che non alla funzione delle grazia
e della libertà di Dio; le operazioni spirituali di questo periodo, infatti, sono molto simili alle
operazioni mentali naturali.
Lo scopo perseguito durante tale stato è principalmente la purificazione dell’anima; molti perciò
equiparano il grado degli incipienti alla via purificativa. In un primo tempo la purificazione
concerne i peccati, onde evitarli; poi, quando la coscienza è diventata più pura e attenta, penetra
fino alle radici stesse del peccato; l’incipiente cerca di distruggere le inclinazioni disordinate e
finalmente attacca lo spirito mondano di cui anch’egli è partecipe.
Tale purificazione implica comunque che la mente sia illuminata con l’orazione, la lettura e la
dottrina. Anche il cuore viene purificato dalle sollecitudini mondane e dagli affetti meramente
naturali, che ora vengono considerati alla luce dell’amore di Cristo.
B. I PROFICIENTI
Dopo un certo tempo (che varia secondo l’intensità del fervore e la profondità della purificazione
necessaria), l’anima accede ad uno stato spirituale più pacificato dove l’illuminazione diviene più
intensa e nulla o quasi nulla è concesso al peccato anche veniale.
Da notare qui l’importanza del fervore di spirito perché il progresso divenga continuo. Come
osserva Teresa di Gesù, vi sono anime che non superano le terze mansioni perché «non
comprendono bene la dottrina evangelica dell’abnegazione di sé e non si curano di acquistare
questa abnegazione». Molte anime restano mediocri, perché manca loro la volontà seria ed efficace
di progredire.
Nel grado dei proficienti si cerca la conformazione a Cristo. Grazie alla familiarità con il Vangelo e
alla comunione frequente, l’anima aderisce sempre più a Cristo, ne segue gli esempi, s’impregna del
suo spirito. Cristo è riconosciuto come capo della Chiesa, dispensatore della grazia, re dei cuori che
effonde il suo amore, maestro di vita che illumina l’esistenza dell’uomo.
Questo stato presuppone la vera vita interiore, cioè la presenza spirituale di Cristo che infonde i
giudizi, gli affetti e le azioni in modo abituale. Cristo diviene l’oggetto di un amore personale, il che
implica la custodia del cuore e i raccoglimento dello spirito. Tutte le creature ormai non sono più
considerate in se stesse, ma in relazione a Cristo per i servizio e la gloria del Padre.
Il proficiente appare generalmente padrone di sé, amante del silenzio e profondamente religioso:
avendo domato le sue passioni, egli può dedicarsi internamente al culto interno ed esterno di Dio.
Condizione e insieme effetto del progresso in questa via è l’impegno di abnegazione e di umiltà
sempre maggiori; l’uomo, infatti, non può gustare lo spirito di Cristo né esserne riempito, se non
rinnega totalmente se stesso e non svuota il proprio cuore da ogni egoismo.
Lo scopo di questo secondo momento è di illuminare la mente e di conformare la persona a Cristo
interiormente e nell’azione; esso corrisponde alla via illuminativa.
C. I PERFETTI
Il terzo grado, quello dei perfetti, non indica uno stato senza possibilità di ulteriore progresso, ma
piuttosto un stato in cui le condizioni per un progresso continuo sono possedute in modo
permanente e stabile.
Ci limitiamo a riportare la chiara descrizione del P. de Guibert:
«Tra questi perfetti si sogliono distinguere due gradi: a. La piena consumazione della carità o
carità eroica, quale la Chiesa suole richiedere per la beatificazione dei Servi di Dio, e che
benedetto XIV, dopo aver confrontato varie definizioni di teologici, definisce così: “La virtù
cristiana, per essere eroica, deve fare in modo che colui che la possiede operi facilmente,
prontamente e con gusto, in odo superiore all’ordinario, per un fine soprannaturale, senza
ragionamenti umani, con abnegazione e sottomissione dei moti dell’affettività” (De servorum
Dei beatificatione III, c. 22, n. 1). Si può aggiungere a questa descrizione: l’eroicità deve
risplendere talmente che il Servo di Dio possa essere proposto come esempio agli altri cristiani
viventi nelle medesime condizioni. b. Una perfezione della carità meno piena e splendente, ma
vera e sufficiente perché l’anima non possa più essere annoverata tra i semplici proficienti, in
quanto ha conseguito un tale grado di abnegazione e di raccoglimento, che è abitualmente
docile alle ispirazioni dello Spirito Santo e che la carità domina tutta la sua vita, eccetto alcune
infedeltà dovute a fragilità» (Theologia spiritualis, n. 357).