Capitolo VII Pubblicità e prova dei fatti giuridici 1. La pubblicità All’esigenza di conoscibilità l’ordinamento predispone un complesso sistema di pubblicità che si articola secondo modelli diversi che hanno in comune la necessaria completezza delle notizie. A tale scopo la legge pone a carico di determinati soggetti un obbligo di pubblicare, nelle forme fissate dalla legge, gli atti ricevuti, mentre per la collettività non sussiste in nessun caso un obbligo ma sempre e solo un onere. La pubblicità assolve a varie funzioni: Pubblicità notizia: si devono rendere noti determinati fatti o atti ai terzi. Né la validità né l’efficacia dell’atto è intaccata dall’eventuale mancata publicizzazione. E’ tale la pubblicità dei registri dello stato civile (nascita, morte, matrimonio, cittadinanza), dove figurano i relativi atti, che fanno fede fino a querela di falso o a prova contraria di ciò che, rispettivamente, attesta il pubblico ufficiale e dichiara il comparente e sono rettificati, in caso di errori o omissioni, con decreto motivato del tribunale. Pubblicità dichiarativa: l’omessa osservanza dell’onere di pubblicità può determinare l’inopponibilità dell’atto ai terzi, con la conseguenza che esso sarà, nei confronti di costoro, come non mai compiuto. Ad esempio la priorità di un acquisto immobiliare non può essere opposta da parte di un avente causa ad altro avente causa dallo stesso autore, a prescindere dall’osservanza dell’onere della trascrizione dell’atto di acquisto presso la Conservatoria dei registri immobiliari. Pubblicità di fatto: l’ordinamento ritiene equipollente all’avvenuta pubblicità, la conoscenza che il terzo abbia avuto dell’atto non pubblicizzato. Viceversa nel caso di omessa trascrizione, l’equipollente della conoscenza di fatto non trova applicazione in nessun caso. Pubblicità costitutiva: di rado l’adempimento dell’onere di pubblicità è richiesto per la stessa esistenza dell’atto pubblicizzato. Esempio l’iscrizione ipotecaria nei registri immobiliari, in difetto della quale il diritto reale d’ipoteca non nasce. L’onere d’informazione è posto spesso dall’ordinamento a carico del soggetto, pur al di fuori del generale meccanismo pubblicitario attuato mediante libri, registri, elenchi tenuti dalla pubblica autorità. Diversamente dalla pubblicità esso mira a rendere noto il fatto ad uno o più soggetti determinati al fine di conseguire un dato effetto vantaggioso. Ad esempio la notifica al debitore della cessione del credito che ha il fine di renderla efficace nei suoi confronti. 2. Le prove Spesso di un atto è possibile che debba essere data la prova a terzi, che ne siano restati estranei. Per esempio chi intende vendere un bene immobile non potrà limitarsi a dimostrare l’esistenza di una trascrizione in proprio favore di un atto di acquisto, ma dovrà anche provare l’esistenza di un titolo di proprietà valido ed efficace. Viceversa se la necessità di dover dare la prova di un fatto nasce tra le parti artefici, ciò significherà che tra esse è nata una lite in ordine al modo con cui il fatto si è prodotto o in ordine alla portata dell’atto. La prova, in tal caso, dovrà essere data in giudizio, o con accertamenti vincolanti a livello pattizio. Il negozio giuridico è atto con cui le parti dispongono di una situazione giuridica soggettiva. Le parti possono però anche accertare una data situazione già preesistente al fine di fissare l’ambito e gli effetti. Il negozio di accertamento non è ammesso da chi ritiene che la funzione di accertamento sia tipica del giudice, infatti l’unica forma di accertamento ammessa senza esitazioni è quella del riconoscimento di figlio naturale (art. 250), attività unilaterale che non presuppone una lite in atto ma vi può dar luogo nel caso di successiva impugnazione ad opera del figlio per difetto di veridicità. I privati, dunque, potrebbero non accertare ma transigere. Se le parti non dispongono sul piano sostanziale, dispongono però sul piano processuale quando assumono come reale quanto accertato pattiziamente, con un contratto a forma libera, e anche con un comportamento concludente, che ha efficacia preclusiva dell’insorgere di liti. Infatti con l’accertamento si elimina, con efficacia solo tra le parti, l’incertezza di una preesistente situazione giuridica, che ove fosse già certa o non esistesse, determinerebbe la nullità del negozio per difetto di causa, salvo che le parti ne fossero a conoscenza e intendessero modificarla o crearla, con un negozio di accertamento simulato o indiretto. Il codice civile regola le prove del processo. L’art. 2697 statuisce che chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. La prova di regola riguarda fatti positivi, ma, tramite essi, possono anche provarsi, in via presuntiva, fatti negativi. È questo il principio dell’onere della prova che è alla base del processo civile, a differenza di quello penale ove le prove devono essere addotte dal magistrato accusatore (pubblico ministero). Nel processo civile vige il principio dispositivo in conseguenza del quale il giudice decide esclusivamente in base alle prove fornite in giudizio dalle parti. Raramente, se la controversia ha ad oggetto diritti indisponibili, il principio dispositivo convive con il principio inquisitorio in base al quale le prove sono acquisite al processo anche ad iniziativa del giudice o del pubblico ministero, trattandosi di vicende considerate d’interesse pubblico. L’onere della prova relativo a diritti disponibili può essere pattiziamente invertito o modificato, ma in tal caso la legge pretende che l’inversione o la modificazione non abbia l’effetto di rendere ad una delle parti eccessivamente difficile l’esercizio del diritto stesso e comunque non vale quando è richiesto l’atto scritto ab substantiam. Talvolta poi è la stessa legge che dispone un’inversione dell’onere della prova (art. 1988) o una diversa distribuzione dell’onere stesso. Si distingue tra: - prove precostituite: preesistono al processo; - prove semplici: non preesistano al processo; - prove storiche: hanno ad oggetto lo stesso fatto d’accertare; - prove critiche: basate su presunzioni (prove presuntive), definite come le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto. Le presunzioni legali sono: - assolute (iuris et de iure): non ammettono prova contraria; sembrano operare sul piano sostanziale, nel senso di fissare un’equipollenza tra fatto produttivo di un dato effetto ed altro fatto dalla legge equiparato; - relative (iuris tantum): ammettono prova contraria; non sembrano inquadrarsi perfettamente nel fenomeno probatorio, perché è il fatto dell’equipollenza piuttosto che l’evento da provare ad essere oggetto di prova contraria. Le presunzioni semplici sono quelle non stabilite dalla legge e lasciate alla prudenza del giudice, sono mezzi di prova che rilevano solo in quanto gravi, con divieto di praesumptio de prasunto, cioè di secondo grado. Nell’ambito delle prove precostituite fondamentale importanza assume la prova documentale specialmente quando un contratto deve essere provato per iscritto secondo la legge o la volontà delle parti (ad probationem), e quando la forma scritta è richiesta sotto pena di nullità (ad substantiam), perché allora la prova va offerta mediante esibizione del documento, salvo smarrimento incolpevole. L’atto pubblico è il documento redatto da un notaio o da un altro pubblico ufficiale autorizzato; fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato e delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. La scrittura privata è il documento redatto per iscritto e sottoscritto dalla parti con firma autografa; fa piena prova della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta, se colui contro il quale è prodotta ne riconosce la sottoscrizione o questa è legalmente riconosciuta, salvo querela di falso. Se la scrittura è stata sottoscritta in bianco, la querela è possibile solo se il riempimento non è stato autorizzato. La sottoscrizione è legalmente riconosciuta se autenticata da notaio o altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato. Il telegramma ha l’efficacia probatoria della scrittura privata, se l’originale consegnato all’ufficio di partenza è sottoscritto dal mittente o se è stato consegnato, anche senza sottoscriverlo. La giurisprudenza ritiene che tramite tale mezzo possa concludersi un contratto per il quale la legge pretende la forma scritta ad substantiam. Particolare importanza può assumere la data del documento, per il principio prior in tempore potior in iure. Tra le parti, in mancanza di data, il tempo della scrittura può essere provato liberamente, anche mediante presunzione. Se invece una data è stata apposta, essa vale fino a prova contraria. Ai terzi è opponibile senza riserve la data risultante da atto pubblico o da scrittura privata autenticata mentre quella risultante da una scrittura privata è opponibile solo se certa. Del documento possono essere fatte delle copie; queste depositate presso pubblici uffici hanno la stessa efficacia dell’originale, secondo le forme prescritte dai pubblici depositi autorizzati. Ogni rappresentazione meccanica dei fatti o di cose, fa piena prova se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità. Il telefax è un mezzo idoneo ad attribuire la delega alla rappresentanza in giudizio, di notificare atti in via d’urgenza e di proporre appello con assimilazione al telegramma. Le prove semplici, assunte durante il processo, sono: - testimonianza o prova per testi: è disciplinata dagli artt. 1721 ss. negli aspetti sostanziali mentre in codice di procedura civile ne disciplina l’assunzione concreta in giudizio. Teste è qualsiasi individuo che, senza avere interesse nella causa, riferisca sotto giuramento fatti e circostanze di cui sia venuto a conoscenza direttamente o indirettamente. La prova per testi non è ammessa se ha ad oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, per i quali si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea (art. 2722), salvo: quando vi è un principio di prova scritta proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto allegato; quando la parte è stata nell’impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta; quando essa ha smarrito senza sua colpa il documento. In questo ultimo caso la prova per testi è ammissibile anche quando il contratto da provare richiede la forma scritta ad probationem o ad substantiam. Le suddette norme valgono per i contratti nonché per il pagamento, per la quietanza e per la remissione del debito; non valgono invece per gli atti unilaterali, come per esempio al promessa di pagamento. Secondo la giurisprudenza il limite dell’art. 2722 non opererebbe qualora il documento, il cui contenuto si vorrebbe contrastare con una prova per testi, fosse costituito da una scrittura privata sottoscritta da una sola parte, ad esempio una fideiussione. Ma in tal caso non si tiene conto dell’ipotesi di contratto unilaterale là dove esiste una controparte che non deve sottoscrivere, ma può rifiutare. - confessione: è la dichiarazione che una parte fa della verità dei fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte (art. 2730), che può essere resa in giudizio o stragiudizialmente (ad es. la quietanza). La confessione ha efficacia piena e incondizionata, può tuttavia essere revocata se si dimostra che è stata determinata da errore di fatto o da violenza non quindi da dolo o che ha avuto ad oggetto diritti indisponibili. Essa non è efficace se non proviene da persona capace di disporre del diritto cui i fatti confessati di riferiscono; inoltre non può avere ad oggetto un contratto in forma scritta ad substantiam. Qualora la parte renda una confessione, aggiungendo ulteriori dichiarazioni su circostanze tendenti ad invalidare l’efficacia del fatto confessato o a modificarne o ad estinguerne gli effetti, le dichiarazioni fanno piena prova nella loro integrità se l’altra parte non contesta la verità delle circostanze aggiunte, laddove se vi è contestazione l’efficacia probatoria della confessione è rimessa al libero apprezzamento del giudice. La confessione è atto giuridico in senso stretto che ha ad oggetto fatti obiettivi e non valutazioni o qualificazioni giuridiche. È dunque necessario l’animus confitendi, ma inteso come volontà riferita all’oggetto della dichiarazione o non ai suoi effetti e entro questi limiti la dichiarazione va interpretata. Vi è chi ritiene che la confessione stragiudiziale possa avere ad oggetto anche rapporti giuridici e l’equipara al negozio di accertamento. - giuramento: decisorio: è il giuramento che una parte, anche in via subordinata, deferisce all’altra per farne dipendere la decisione totale o parziale della causa; suppletorio: è deferito dal giudice ad una delle parti al fine di decidere la causa quando la domanda o le eccezioni non sono pienamente provate, ma non sono del tutto sfornite di prova (semiplena probatio) o al fine di stabilire io valore della cosa domandata, se esso non può essere accertato altrimenti (giuramento estimatorio). Il giuramento decisorio può anche essere riferito, dalla parte che se lo vede deferito, all’altra, con la conseguenza che spetterà di giurare alla parte che aveva deferito il giuramento, sempre se si tratti di fatti comuni ad entrambe le parti. Se il giuramento (deferito o riferito) è prestato, è l’altra parte a soccombere in quanto non è ammessa a provare il contrario, né a chiedere la revocazione della sentenza qualora il giuramento sia stato dichiarato falso in un giudizio penale, salvo però, il risarcimento dei danni. Il giuramento non può essere deferito o riferito per la decisione di cause relative a diritti di cui le parti non possono disporre, né sopra un fatto illecito civile, penale o amministrativo o sopra un contratto per la validità del quale sia richiesta la forma scritta, né per negare un fatto che da un atto pubblico risulti avvenuto alla presenza del pubblico ufficiale che ha formato l’atto stesso.