RESTA CON NOI SIGNORE lo riconobbero nello spezzare il pane Lo riconobbero nello spezzare il pane… Eucaristia scuola di amore Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino”. S’è consumata una giornata, una vita a dire la delusione di quello che si è, è calata l’oscurità come frutto della delusione e della disperazione. Non volge al declino solo il giorno, ma la speranza, il senso di quello che si è. Come si può ricominciare da capo? la vita porta sempre qualche cosa di bello e di nuovo, di giusto e di vero oppure è una eternità ingessata nelle nostre miserie? E’ sera quando non sappiamo più chi siamo E’ sera se ci mettiamo noi al posto della verità E’ sera se cediamo alla casualità, se ci adattiamo E’ sera quando non si rispettano la dignità della persona e la sua sete di autonomia. E’ sera quando ci si rifugia a scambiare amore e si trova che è solo egoismo e fuga E’ sera quando mi scoraggio nella precarietà, quando mi distruggono il valore di tutto ciò che ho tentato di costruire nella vita. E’ sera quando ricasco nel vizio, dopo aver giurato, su quel che ho di più sacro, che avrei vinto. E’ sera quando non riesco a dare senso a nessuna preghiera, quando l’amore mi pare una abitudine e l’amicizia un egoismo camuffato E’ sera quando sperimento noia e non c’è niente che mi piace da fare. E’ sera quando mi si chiude il cielo sopra la testa, perché mi affido solo ai miei sensi. Ciascuno di noi ha il suo buio e oggi può dire a Gesù: Resta qui, non mi lasciare solo, stai con me, stringimi forte perché scivolo via come l’acqua. Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Gesù accetta l’invito, si ferma, non fugge, resta, si siede a mensa, vuol condividere il pane quotidiano, si accompagna nel momento della gioia della condivisione. E compie quel gesto profondo innovativo, rivoluzionario e intimo dell’ultima cena. Quella l’avevano ancora negli occhi, quel dono prima di morire li aveva stregati, li aveva convinti che Gesù non poteva abbandonarli. Si aprirono i loro occhi. Il corpo spezzato e il sangue versato sono segni di riconoscimento dei cristiani. E’ solo lì che noi possiamo definirci. Il brano evangelico qui va sicuramente oltre la narrazione di un fatto, assurge a simbolo della nuova vita dei credenti. Quei due discepoli che riconoscono Gesù allo spezzare del pane sono la comunità cristiana di tutti i tempi che si ritrova a fare Eucaristia sotto ogni cielo, ad ogni latitudine a incontrare il Risorto. Da Emmaus fino alla fine del mondo, fino al Regno dei cieli. L’Eucaristia scandisce i tempi della vita del mondo e dell’avvicinarsi del ritorno del Risorto. Sono andati a messa e hanno smesso di sentirsi soli, di parlare all’imperfetto, di tirare calci di dispetto ai sassi, di dire ormai… S’è illuminata il buio della loro vita. 1 Prendete e mangiatene tutti Qualcuno va dicendo con insistenza che “l’uomo è quello che mangia.” Vuol dire, in questo modo, che il tipo di cibo e di bevanda con cui l’uomo si nutre, la sua dieta vegetariana o carnivora, influisce su di lui anche a livello psicologico, evidenziando alcune tendenze o bloccandone altre. Non so se questo sia vero ed, eventualmente, in che misura. Ma so che questo è certamente vero di quel cibo che è l’eucaristia, se dobbiamo stare alle parole del Nuovo Testamento: chi mangia di Cristo, assume progressivamente la forma di Cristo. Si legge nel vangelo di Giovanni: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me.” (Gv 6,56-57) La partecipazione all’eucaristia crea dunque una condizione di appartenenza a Cristo (‘rimane in me – io in lui’), conferisce alla vita del credente una direzione, uno scopo unico: “vivrà per me” e cioè: riceverà da me la sua vita (mangiando e bevendo) e vivrà quindi la sua vita secondo la forma spirituale della mia. Parallelamente san Paolo scrive ai Corinzi: “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane.” (1Cor 10,16-17) Qui il discorso ha una valenza sociale. Dal mangiare e bere dell’eucaristia si forma il corpo di Cristo che comprende tutti i credenti: questi si accostano in tanti a mangiare e a bere. Ma unico è il corpo di Cristo di cui si nutrono; dunque unico è il corpo che essi vengono a formare e che avrà la forma stessa di quel Cristo di cui si sono nutriti. L’affermazione è chiarissima. Ma perché? Da dove viene questa strana celebrazione? Tutto comincia la sera prima della morte di Gesù. E’ vicino il momento del distacco e Gesù lo sa; l’aveva annunciato più volte ai discepoli durante il cammino e adesso lo vede imminente. Raccoglie allora i discepoli e fa con loro una cena; è l’ultima cena e Gesù lo rivela: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi prima della mia passione, poiché vi dico: non ne mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio. E preso un calice, rese grazie e disse: prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio.” (Lc 22,15-18) È una cena pasquale, dicono i vangeli; la cena nella quale si mangia l’agnello, segno della salvezza. Si mangia così la salvezza di Dio perché ogni generazione, anche quelle che non sono mai state in Egitto e non hanno conosciuto direttamente la liberazione di Dio, ogni nuova generazione, ogni nuovo anno possa rivivere l’esperienza fondativa del popolo. Ma questa volta Gesù non racconta – secondo gli usi – l’epopea dell’esodo dall’Egitto; fa qualcosa di inatteso: “Preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me. Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi.” (Lc 22, 19-20) Invece di raccontare il passato, annuncia il futuro: la passione, la morte, la sua vita ‘per voi.’ Per voi In questo modo Gesù interpreta la sua morte e le dà un significato preciso; è ‘per voi’, dove questa piccola preposizione ‘per’ interpreta nello stesso tempo tutta la vita di Gesù. Sono ‘per voi’ le guarigioni che Gesù opera – paralitici, ciechi, sordi, lebbrosi… - sono ‘per voi’ gli esorcismi coi quali Gesù libera l’umanità dell’uomo dalla schiavitù del principe del male – sono ‘per voi’ le parole con le quali Gesù annuncia l’amore del Padre per gli uomini e 2 chiede agli uomini di muoversi sulla via dell’amore – sono ‘per voi’ tutti i momenti della vita di Gesù in cui egli ascolta, risponde, consola, perdona. È questo stile di vita che dà valore alle parole dell’ultima cena e le rende ‘vere’, credibili. Se la vita di Gesù fosse stata dominata dall’egoismo, dal bisogno di affermare se stesso, le parole della cena (“questa è la mia vita per voi”) sarebbero vuote, senza contenuto reale. Ma se la vita di Gesù è stata davvero un atto di amore, allora la morte diventa compimento di amore, il sigillo posto su una vita; allora le parole di Gesù acquistano un significato pieno. Ma l’interpretazione della passione, l’annuncio di ciò che avverrà il giorno dopo vengono dati da Gesù non solo con delle parole; vengono date con un gesto significativo: pane – spezzato – donato per essere mangiato; vino – versato – donato per essere bevuto. Non solo qualcosa viene detto; qualcosa viene donato. È il testamento di Gesù. Al termine di una vita si lascia agli eredi il patrimonio che si è riusciti a raccogliere con la propria fatica. Ai suoi amici, che sono la sua famiglia, Gesù lascia il suo patrimonio. Non lascia soldi – non ne ha; non lascia posizioni di prestigio nella società – muore umiliato. Lascia tutto quello che ha: se stesso. Ma in questo ‘se stesso’ dobbiamo intendere tutto: le parole che ha detto, i gesti che ha compiuto e soprattutto, naturalmente, il dono della sua vita nella passione. In quel pane che Gesù offre ci sono le parole delle beatitudini nelle quali Gesù ha delineato la legge del regno, lo stile che è richiesto ai discepoli perché la loro vita sia sintonizzata sul regno di Dio: beati i poveri in spirito… gli afflitti… i miti… quelli che anno fame e sete di giustizia… i misericordiosi… i puri di cuore… i costruttori di pace… i perseguitati per la giustizia… Ci sono tutte queste parole dentro al pane dell’eucaristia. Chi mangia il pane dell’eucaristia assimila tutte queste parole; diventano cibo del suo spirito, sostegno della sua immaginazione, forza dei suoi desideri. In quel pane è contenuto il perdono di Gesù al paralitico: “Ti sono perdonati i tuoi peccati” o a Zaccheo: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa”; o l’accoglienza offerta ai pubblicani: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori.”; o la misericordia donata alla donna peccatrice: “Non ti condanno. Va’ in pace e non peccare più.” Chi mangia questo pane confessa umilmente davanti a Gesù i suoi peccati e attinge avidamente al perdono di Dio per poter vivere come creatura perdonata. In quel pane è contenuto il comando al cieco nato: “Va a Siloe (che significa: inviato) e lavati! Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.” Chi mangia di questo pane viene introdotto a una visione nuova del mondo: di Dio e del suo amore; del mondo e della sua vocazione; dell’uomo e della sua dignità. In quel pane è contenuto il dialogo con la Samaritana, con Nicodemo. Chi mangia di quel pane confessa la sua inquietudine, esprime il suo desiderio, accoglie con riconoscenza il dono del Signore. Insomma, nel pane dell’eucaristia è raccolta, condensata, tutta la vita di Gesù. Quanto più questa vita è conosciuta attraverso la conoscenza del vangelo; quanto più è amata con lo sguardo della fede; quanto più è interiorizzata con la memoria del cuore, tanto più l’incontro con l’eucaristia diventa incontro vivo, personale con Gesù. E viceversa: attraverso questo incontro personale tutta la vita di Gesù viene progressivamente interiorizzata, assimilata, appropriata. Così Gesù Cristo non è solo parola da ascoltare e comprendere; non è solo gesto da osservare ma è un dono da assimilare e da interiorizzare. Cambia la mia vita se lascio che la vita di Gesù entri dentro di me. Ne deriva una struttura di esperienza molto semplice e precisa. 3 Per la riflessione Che cos’è l’amore? Se guardi con coraggio dentro di te, riesci a cogliere i limiti di questo amore? 4