Ritiro per la Pasqua. Domenica in Albis
Mons. Luigi Novarese - Omelia – 1966 – 17 aprile 1966 - Montichiari - Domenica in Albis
Da: 660417.mp3 (trascritto da Mariangela Prussiani ad aprile 2012)
Le circostanze ci hanno portato a concludere il ciclo pasquale qui a Montichiari e ad incominciare il ciclo di
attuazione del programma di rinnovamento delle anime nostre che la Pasqua stessa ci porta e ci presenta.
Abbiamo trascorso dei giorni di intensa meditazione sulla vita, sulla passione, sulla morte, sulla
resurrezione di nostro Signor Gesù Cristo. Oggi noi, secondo la liturgia nell’oremus, abbiamo domandato al
Signore la grazia di poter vivere e realizzare in noi, nella sua pienezza, il frutto della Santa Pasqua. Abbiamo
domandato al Signore la possibilità, per mezzo della grazia divina, di vivere da risorti, da persone nuove, da
persone che sono diventate, secondo l'insegnamento di nostro Signor Gesù Cristo, bambine e che quindi
hanno bisogno, secondo l'introito, di un latte sincero, buono, di un latte che faccia crescere, di un latte che
è frutto dell'Eterna Sapienza che viene a noi per mezzo di nostro Signore Gesù Cristo. Questo noi abbiamo
domandato nell’oremus, però la Chiesa non si ferma in una semplice richiesta, anche se la sua richiesta si è
esaudita per la sua riverenza, ossia per la dignità di colei che chiede: la sposa di nostro Signore Gesù Cristo
e la Chiesa ci pone quest'oggi davanti il mezzo con cui noi possiamo attuare nelle anime nostre il mistero
pasquale. Ci pone dinanzi a questo elemento, a quest'atto che deve trasformare le anime nostre, che deve
capovolgere i nostri ragionamenti, che deve svegliare i nostri cuori e spingerci a portare quotidianamente
con nostro Signore Gesù Cristo la sua croce e la nostra croce, per poter dire di essere quotidianamente suoi
discepoli. Che cosa ci mette dinanzi il mistero della Santa Pasqua? Proprio come diceva il Santo Padre il
mercoledì dopo la Pasqua, ci mette dinanzi all'idea dell'uomo nuovo; noi siamo creature redente e perciò
non possiamo considerare l'uomo come un essere frutto di materia, come un essere che non debba
ritornare al Principio che l'ha creato: Dio. Il mistero della Santa Pasqua ci mette ancora allo stato di grazia
per cui noi possiamo ritornare al Signore e perciò, in conseguenza, siamo condotti a considerare l'uomo
come la creatura uscita dall'onnipotenza del Signore, lasciata su questa terra perché si arricchisca dei veri
valori per poi ritornare con Lui con i frutti del proprio lavoro che egli ha attuato sulla terra combattendo se
stesso. Questo è il primo insegnamento della Pasqua: l'uomo rinnovato, l'uomo completo, però questo
uomo completo è completo soltanto se ha la vita di Dio in se stesso e ci è stata ridata per mezzo del sangue
di nostro Signor Gesù Cristo, per cui continua ancora il Santo Padre dicendo che noi dobbiamo vivere la vita
di cristiani, ossia di persone relative a Cristo, ossia tendenti a nostro Signor Gesù Cristo, ma non soltanto
con una tendenza esterna, con una relazione esterna come potrebbe essere un atto d'affetto, di stima
verso una creatura, ma di tendere a Cristo accettando la sua vita in noi, perché chi è nato nella vita del
Battesimo abbiamo rivestito, ci siamo rivestiti di nostro Signore Gesù Cristo. Cristus induisti - dice San Paolo
- ci siamo rivestiti totalmente della vita di Cristo, ma non un vestito esterno che avvolge il nostro corpo, ma
è la vita che si innesta nella nostra vita per cui noi diventiamo, come leggevamo ieri o l'altro ieri
nell'epistola di S. Pietro, ci trasforma in figli di Dio “voi siete deificati”; noi siamo gente santa, noi
diventiamo regale sacerdozio, perché noi partecipiamo della regalità di nostro Signor Gesù Cristo, noi
partecipiamo del sacerdozio di nostro Signor Gesù Cristo, noi partecipiamo della sua santità e perciò noi
rendiamo testimonianza, come abbiamo letto nell'epistola di questa mattina, e del Padre e del Figlio e dello
Spirito Santo, perché abbiamo accettato la testimonianza in noi e dello spirito e dell'acqua e del sangue.
Dello spirito che deve tendere a Dio, dell'acqua che ci ha rigenerati e del sangue che è la passione di nostro
Signore Gesù Cristo. Dobbiamo attuare in noi questo programma di rinnovamento della nostra vita
spirituale mediante la fede, perché questo è l'elemento che vince il mondo ed è la fede. Se noi non
abbiamo questo spirito di fede vivo, operante, travolgente delle anime nostre, noi non potremo su questa
terra rendere continuamente testimonianza a Dio mediante la morte del nostro io, mediante il portare la
croce quotidianamente. Ed ancora il Santo Padre il venerdì Santo, rivolgendosi all'umanità al colosseo, dice:
“qual è la nostra croce? Quand'è che noi dobbiamo portarla?” Ed allora dice: la dobbiamo portare come
dice l'evangelista Luca “quotidianamente”, vale a dire tutti i giorni. Se noi abbiamo un giorno senza croci,
senza prove, senza tentazioni è un giorno morto di fronte a Dio, non lo abbiamo meritato e non siamo stati
stimati degni di portare la croce con Lui. Quindi quotidianamente dobbiamo realizzare questo programma
di discepoli di nostro Signor Gesù Cristo che quotidianamente si immolano, quotidianamente sono crocifissi
con e per nostro Signor Gesù Cristo per poter avere con Lui la vita di Dio per essere partecipi del
complemento della Pasqua, vale a dire della nostra resurrezione.
II - il Papa si domanda: qual è allora questa croce che quotidianamente noi dobbiamo portare ed allora lo
precisa. Sono croci le sofferenze fisiche, sono croci gli impegni quotidiani del proprio stato, sono croci la
fedeltà ai nostri impegni, sono croci l'osservanza fedele degli insegnamenti di nostro Signor Gesù Cristo,
sono croci lo stesso lavoro che noi attuiamo durante la nostra vita. Questa è la croce! Ed allora tutto quello
che affligge, tutto quello che ci porta a morire a noi stessi per nostro Signor Gesù Cristo, questo è il
patrimonio della croce che noi dobbiamo attuare nelle anime nostre. Il Vangelo poi ci mette dinanzi alla
beatitudine che Gesù Cristo proclama proprio per noi, noi non abbiamo visto, noi abbiamo creduto ed
allora noi siamo i beati. “Beati coloro che non hanno visto e hanno creduto” e questo in opposizione
all'attaccamento alla propria idea dell'apostolo Tommaso. Io non sono come gli altri dieci, gli altri dieci sono
stati dei creduloni, hanno creduto subito nella resurrezione di un morto e io non credo, devo avere la
sicurezza di poter mettere il mio dito nelle piaghe delle sue mani e dei suoi piedi, di poter constatare la
ferita del suo costato e se io potrò vedere e toccare con le mie mani, vale a dire la sicurezza personale di
quello che voi mi dite, allora finalmente anch'io crederò come voi. A quell’ attaccamento alle proprie idee
di Tommaso nostro Signore Gesù Cristo ha una parola sola: “vieni qui, metti pure la tua mano nelle mie
piaghe, metti pure il tuo dito nel mio costato e non essere incredulo ma credente. È un richiamo alla fede,
la Pasqua è una sconfitta del ragionamento, perché non si è mai visto che un morto risorga per virtù propria
ed allora la Chiesa vuole richiamare alle anime nostre, ponendoci dinanzi questo insegnamento che è
proprio avvenuto nel giorno ottavo della Santa Pasqua, vale a dire oggi. Ed allora ascoltiamo la beatitudine
che Gesù Cristo ha proclamato proprio per noi per poter essere degni di avere l'annuncio di pace che Lui ha
annunciato agli apostoli immediatamente dopo la sua resurrezione: “pace a voi” e vedete come Gesù Cristo
abbia voluto con la sua bocca dire queste parole. La pace l’avevano cantata gli angeli sulla capanna di
Betlemme, per comando certamente di Dio, e l'annuncio di pace per mezzo della (…..) per mezzo della
nascita di quel figliolo da Maria Santissima. Oggi la pace era conclusa e toccava all'autore della pace, al
principe della pace ad annunciarla, toccava a nostro Signore Gesù Cristo e l'annuncia solennemente al suo
collegio apostolico: “pace a voi”, con quella sicurezza che viene soltanto dal Figlio di Dio, con quella
sicurezza che noi vediamo dinanzi alla tomba di Lazzaro quando lo chiama: “vieni fuori”, con quella
sicurezza che la vivete anche otto giorni dopo dinanzi all'incredulo Tommaso: “pace a voi, non essere
incredulo, ma fedele” e sii tale per poter avere la gioia della pace nell'anima tua, perché lo stesso
ragionamento ti toglie la pace, lo stesso dubbio ti toglie la pace, la mancanza dell'adesione alla verità di
Cristo ti toglie la pace ed allora vivi una vita di fede se vuoi avere nell'anima tua il frutto della redenzione
che è la pace. Questo è l'insegnamento liturgico di questa domenica in Albis, in Albis perché si depongono
le vesti bianche della Pasqua in quelli che erano stati battezzati, questo è l'insegnamento che noi vogliamo
attuare durante tutto l'anno, che ci preparerà di nuovo, se Dio vorrà, a vivere nuovamente il mistero della
Pasqua nell'anno entrante. Ogni giorno deve essere una Pasqua per le anime nostre, una Pasqua vuol dire
un giorno di morte e un giorno di resurrezione; un giorno di morte a noi stessi e un giorno di vita alla vita
della grazia, un giorno di resurrezione, vale a dire di distacco da noi stessi per essere totalmente e sempre
aderenti alla vita di nostro Signore Gesù Cristo.