CCEE-KEK COMITATO "ISLAM IN EUROPA"

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CCEE-KEK COMITATO "ISLAM IN EUROPA"
La presenza dei musulmani in Europa e la formazione teologica
dei collaboratori pastorali
Introduzione
1. Nel corso degli ultimi anni, la presenza dei musulmani in Europa ha suscitato reazioni
contraddittorie. In alcuni paesi i conflitti sociali sono degenerati in controversie religiose
come i rapporti fra i bulgari e la minoranza turca o i tragici avvenimenti di Jugoslavia
per non ricordare che questi due drammi. In altri paesi (per esempio in Gran Bretagna
con l’affare Rushdie o i Francia con la discussione sul “foulard” nelle scuole pubbliche)
sono sorti dibattiti sulla religione che hanno lasciato un sentimento negativo negli
europei. D’altra parte, la politica internazionale (cfr. guerra civile nel Libano, guerra del
Golfo) ha provocato tensioni all’interno della Comunità europea. Gli avvenimenti
negativi hanno suscitato un’attenzione maggiore delle esperienze positive che hanno
avuto luogo un po’ dovunque in Europa, come ad esempio la pratica già abituale della
preghiera per la pace a diversi livelli. Cristiani e musulmani devono continuare a
parlarsi e a lavorare assieme, anche se in alcuni paesi le attività interreligiose
conoscono gravi crisi. La ragione fondamentale di queste crisi sta nel fatto della
presenza permanente dei musulmani in Europa, presenza di cui le Chiese iniziano
soltanto ora a rendersi conto.
2. Il numero di musulmani che vivono in Europa viene stimato in circa 24 milioni, cosa che
fa dell’Islam dal punto di vista numerico la seconda religione, dopo il Cristianesimo.
Mentre i paesi dell’Europa orientale (Bulgaria, Grecia, ex-Jugoslavia, Russia)
conoscono la convivenza con i musulmani dal periodo dell’occupazione dell’impero
ottomano nel XVI secolo o dal tempo della colonizzazione russa nel XIX secolo, la
presenza dei musulmani nei paesi dell’Europa occidentale è il risultato dello sviluppo
economico di questi paesi nonché della situazione economica, sociale e politica dei
paesi di origine degli immigrati o di coloro che domandano l’asilo politico.
3. Per molto tempo i musulmani sono stati degli “immigrati”. Oggi li chiamiamo “i
musulmani” e nessuno più discute l’evidenza. Gli immigrati musulmani del Maghreb,
della Turchia, del Pakistan, dell’India, del Medio Oriente o dell’Africa subsahariana si
insediano definitivamente in Europa. Essi intendono passare dallo status di mano
d’opera o di operai immigrati a quello di settore riconosciuto della popolazione. Si sono
organizzati in tutti i paesi europei. Dispongono di moschee, di sale di preghiera, di
scuole private e di centri di insegnamento coranico, di giornali e bollettini di
informazione, di imam e di intellettuali. Ciò permette loro, da un lato, malgrado la loro
situazione minoritaria, di condurre una vita conforme alle loro tradizioni e dall’altro di
testimoniare la loro convinzione religiosa.
4. Questa evoluzione ha anche delle conseguenze per la società civile. Tutti gli stati
europei si sono costruiti su di una tradizione fortemente caratterizzata dal
Cristianesimo e, dalla Rivoluzione francese, da leggi unitarie (tutti sono uguali davanti
alla legge) nonché dal sistema democratico. In questo senso, gli stati europei formano
un insieme dal punto di vista religioso, politico e civile. Da questi dati fondamentali, la

La traduzione dall’originale inglese è di Maria Luisa Sandri
società europea e l’ordine pubblico traggono ancor oggi un insieme di valori e di criteri
morali e politici che possono tuttavia variare da un paese all’altro.
Questa unità non è messa in questione dal fatto che ogni stato europeo abbia trovato il
suo modus vivendi nel problema della convivenza fra cristiani e musulmani, più o meno
stabile o in via di stabilizzazione. I concetti e la realtà di “nazione”, “stato” e “religione”
sono molto antichi in Europa mentre gli immigrati musulmani vengono da regioni
caratterizzate da un diverso concetto di stato e società e che non hanno conosciuto lo
stesso sviluppo culturale della società che li accoglie (per esempio l’illuminismo).
5. In un primo tempo, alcuni cristiani o alcune Chiese si sono preoccupati della situazione
dei musulmani in questo contesto socio-politico. Si sono impegnati in opere sociali,
caritative e politiche. Per la maggior parte del tempo essi hanno difeso i diritti dei
diseredati.
6. L’incontro fra cristiani e musulmani si è esteso al campo pastorale, in occasione del
matrimonio fra cristiane e musulmani o fra musulmane e cristiani, negli asili infantili con
bambini nati da famiglie musulmane, nei movimenti cristiani giovanili, a proposito delle
conversioni o anche per adulti che chiedono di partecipare a gruppi familiari.
7. I rapporti sociali fra cristiani e musulmani si estendono attualmente anche alla ricerca
teologica. I cristiani europei devono affrontare il fatto che la società è ormai multireligiosa. Confessando il Dio unico che si è rivelato in Gesù Cristo, i cristiani vivono
con dei credenti che seguono un’altra tradizione religiosa. I musulmani fanno così ai
cristiani domande riguardanti la rivelazione, il profetismo, la fede in Dio come Trinità, la
cristologia ecc. Tutte le discipline teologiche sono interessate e devono poter dare una
risposta.
8. Le chiese cristiane d’Europa non sono rimaste indifferenti a questa situazione e hanno
creato dei segretariati dei gruppi di lavoro. Le loro attività sono state duplici: esse
hanno aiutato i cristiani a incontrare i musulmani e consigliato i responsabili delle
Chiese nel loro lavoro pastorale.
9. Poiché cristiani e musulmani si incontrano a tutti i livelli (umano, pastorale, teologico), il
Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) e la Conferenza delle Chiese
Europee (KEK) hanno creato congiuntamente nel 1987 un comitato “Islam in Europa”
che ha sostituito il “CEC - Consultative Committee on Islam in Europe” istituito nel
1978. Uno dei suoi primi compiti è stato costituire un inventario della presenza dei
musulmani in Europa e dei problemi posti da questa situazione alle Chiese e agli stati.
E’ parso sin d’allora necessario sottolineare la formazione teologica dei futuri sacerdoti,
pastori, insegnanti di religione, collaboratori pastorali affinché la loro formazione si
adatti a questa nuova condizione.
10. Il “Comitato Islam in Europa” si è trovato davanti a due possibilità: o elaborare un
programma di studio per un corso di introduzione all’Islam o preparare un programma
di studio che sottolineasse l’influenza dell’Islam su ogni disciplina della teologia
cristiana.
Durante la prima riunione del comitato, a Oegstgeest, in Olanda, nel 1988, i membri
hanno optato per la seconda formula perché permette di esporre più chiaramente i
problemi posti dalla dottrina musulmana e offre ai docenti di religione la possibilità di
rispondere a queste questioni.
11. Il comitato “Islam in Europa” ha studiato questi problemi in tre tappe:
- nel corso della seconda riunione, a Gazzada, in Italia, nel 1989, i membri hanno
lavorato sui punti relativi al dogma, all’esegesi e alla teologia pastorale;
- durante la terza riunione, a Leningrado (ora S. Pietroburgo) in quella che era allora
l’Unione Sovietica, nel 1990, studiarono le questioni relative alla storia della Chiesa,
alla Teologia morale e alla missiologia;
-
in questo lavoro, il comitato è stato assistito da docenti di teologia delle Chiese
cattolica, ortodosse e protestanti;
la terza fase ha avuto luogo dal 9 al 14 settembre 1991 presso i Selly Oak Colleges
di Birmingham dove i risultati delle due conferenze precedenti sono stati presentati
ai docenti di teologia e ai responsabili della formazione teologica. I risultati di questa
consultazione sulla “Presenza dei musulmani in Europa e la formazione teologica
dei collaboratori pastorali” sono contenuti nella presente documentazione, che
comprende:
 i rapporti dei Gruppi:
Esegesi
Teologia dogmatica
Teologia pastorale
Storia della Chiesa
Etica
Missione e Dialogo
 proposte per mettere in pratica le conclusioni
 lista dei nomi del Comitato CCEE/KEK “Islam in Europa”
 lista degli esperti e dei membri che hanno partecipato alle riunioni e alla
consultazione
 lista degli indirizzi dei Centri o delle persone che sono responsabili per le
relazioni con l’Islam
 lista dei nomi dei relatori e titoli delle loro conferenze.
Jan Slomp, presidente
Hans Vöcking, segretario
Esegesi
La presenza dei musulmani in Europa influenza il compito esegetico dei teologi cristiani; e
qui il termine teologi si riferisce non solo a coloro che insegnano nelle università o nei
seminari ma anche ai predicatori, agli insegnanti, agli assistenti parrocchiali, ai catechisti
e a tutti coloro che usano la Bibbia.
La posizione dei musulmani, che considerano il Corano come la parola di Dio rivolta a
tutta l’umanità, si oppone all’affermazione cristiana che Dio ha parlato all’umanità
attraverso Gesù Cristo, Suo Verbo eterno fattosi uomo. Questa posizione musulmana
porta con sé alcune conseguenze:
- Gli esegeti cristiani si trovano di fronte a problemi riguardanti:
a) la natura della rivelazione biblica
b) il significato dell’espressione “Scritture rivelate” nonché
c) il Canone e la canonicità.
- Le questioni di questo tipo obbligano i cristiani ad adottare un nuovo approccio ai
testi che studiano. Le traduzioni dei testi biblici in lingue moderne sono sempre
considerati con sospetto dai musulmani; per loro il Corano è intraducibile.
- E’ indispensabile sottolineare la necessità di un’intesa e di una collaborazione fra
esegeti e biblisti da un lato e dall’altro gli studiosi di teologia sistematica e altri
studiosi che si occupano del campo filosofico. La complessità degli incontri con
l’Islam esige questa collaborazione.
Alla luce di queste considerazioni preliminari si può notare che nel dialogo islamo-cristiano
il ruolo dell’esegesi ha due campi d’azione diversi ma strettamente connessi:
1. Innanzitutto per gli esegeti vi sono dei compiti importanti riguardanti la
testimonianza di altre religioni:
1.1 nell’antico Testamento il monoteismo/enoteismo; l’idolatria, la conoscenza di Dio
al di fuori dell’Alleanza (per es. Melchisedech, Abimelech, Giobbe, ecc.), il
significato dei racconti riguardanti Ruth, Giona, ecc.; la letteratura sapienziale.
Allo stesso modo, nel Nuovo Testamento, alcuni passi devono essere esaminati
attentamente. Così è per gli episodi del centurione romano (Mt 8,5 segg.), della
donna siro-fenicia (Mt 15,21 segg.), il prologo di Giovanni, le implicazioni del
racconto di Cornelio (Atti 10,1 segg.), la predicazione e il comportamento di San
Paolo ad Efeso e ad Atene (Atti 17,15 segg. e 19,1 segg.).
1.2 Un’attenzione speciale è richiesta nella spiegazione d testi come Giovanni 14,6
e Atti 4,12 (Io sono la Via, la Verità e la Vita, nessuno viene al Padre se non
attraverso di me. Non c’è nessun altro nome sotto il cielo dato all’umanità per
mezzo del quale dobbiamo essere salvati).
1.3 Nella Cristologia sarà necessario sottolineare i rapporti fra gli insegnamenti del
Vangelo e gli insegnamenti di S.Paolo, con le concordanze fra i due e il
progresso nel corpus paolino.
1.4 Nello studio delle tradizioni culturali e religiose contemporanee al Nuovo
Testamento, come quelle dei Samaritani e di Canaan, sarebbe possibile
includere le tradizioni dell’Arabia pre-islamica e il loro influsso sull’Islam
nascente.
2. In seguito, per quanto concerne più direttamente l’Islam, restano da studiare
questioni più specifiche; si tratta di temi biblici che sono molto enigmatici per i
musulmani; questi ultimi li conoscono ma, o li mettono in dubbio o li negano. I più
importanti sono:
2.1 Il monoteismo cristiano (a causa della Trinità);
2.2 La filiazione di Gesù Cristo (paragonata alle avventure delle divinità
mitologiche);
2.3 Maria e la nascita verginale;
2.4 Lo Spirito Santo (confuso con Gabriele; il Paraclito = Maometto);
2.5 La morte e la Resurrezione di Gesù Cristo (da essi negata);
2.6 Il ruolo di Messia di Gesù Cristo;
2.7 Il Vangelo unico di Gesù Cristo e i quattro Evangeli (problema sinottico);
2.8 Nello studio di certi temi biblici bisognerebbe aggiungere la diversa concezione
dei musulmani sull’argomento, per esempio sulla profezia, la legge, l’ispirazione,
l’alleanza, l’elezione, la grazia, ecc.
2.9 L’importanza di Abramo e delle tradizioni riguardanti Agar e Ismaele dovrebbe
essere tenuta presente; non bisogna dimenticare il ruolo di Israele nel Corano e
per i musulmani dei nostri tempi. In questo campo soprattutto l’esegesi richiede
per parecchi temi, la collaborazione con la teologia sistematica.
3. Infine, l’orientamento dell’insegnamento degli esegeti e dei biblisti dovrebbe tendere
ad aprire lo spirito.
3.1 Un senso di dinamismo e di progresso nei testi biblici, nel loro sviluppo e nella
loro spiegazione.
3.2 Un senso dell’esegesi antropologica e ideologica nella trattazione dei testi
biblici, ivi compresa una critica degli elementi culturali negli approcci esegetici.
3.3 La comprensione dei motivi e degli orientamenti che hanno guidato la
formazione del canone; ciò dovrebbe comprendere qualche nozione per cui la
Bibbia è diversa dal corano; si potrebbero includere un insegnamento sugli
apocrifi, il vangelo di Barnaba, il rapporto fra Scrittura e tradizione, il ruolo e il
posto attribuiti a ognuna delle due nelle diverse Chiese, cattolica, ortodossa,
protestante, e la differenza fra esse da una parte e il Corano e gli Hadith
dall’altra.
3.4 L’Esegesi dovrebbe aiutare a vedere le Scritture cristiane e la genesi della
dottrina cristiana nei loro contesti storici e culturali, in particolare nel contesto
delle diverse religioni presenti nel corso dei diversi periodi della storia biblica.
3.5 Studiando testi delle Scritture sarà necessario fare attenzione anche al rapporto
del testo in esame con la profezia in azione, non soltanto la profezia in parole e
il suo rapporto con la nozione di potere e l’esercizio del potere e il suo rapporto
con la “mistica della fondazione”, vale a dire con la storia viva.
La teologia dogmatica
Parecchie questioni attirano la nostra attenzione quando si affronta il problema dei rapporti
islamo-cristiani sul piano teologico.
Quali sono i punti di partenza delle nostre teologie quando toccano il pluralismo religioso e
i rapporti fra Cristianesimo e Islam? Per esempio, quali sono i presupposti antropologici,
filosofici o spirituali alla base del nostro ragionamento teologico?
Come trattiamo la domanda che spesso ci pongono: «Possiamo dire “Abbiamo lo stesso
Dio”?». Per esempio, qual è l’origine della posizione adottata dalla “Nostra Aetate” dove si
dice: «La Chiesa guarda anche con stima la fede dei musulmani che adorano il Dio, Vivo
ed Eterno, misericordioso e onnipotente, Creatore del cielo e della terra»?
Ci si può chiedere se esistano o no interferenze attive ed equivalenti significativi tra
Cristianesimo e Islam nei campi seguenti: Cristologia, pneumatologia, il concetto di
alleanza, di salvezza, di rivelazione o di accoglienza della rivelazione, di comunità, di
legge divina, di escatologia, di mediazione, la natura esemplare dei fondatori,
l’amministrazione del sacro, il linguaggio della fede, gli atteggiamenti di adorazione,
sottomissione, preghiera, amore e servizio; il rapporto con la modernità, la
secolarizzazione, l’agnosticismo, con le nuove forme di religiosità, i legami fra
evangelizzazione, missione e dialogo.
Ogni teologia, a chiunque sia destinata, dovrebbe oggi comprendere una seria formazione
sull’Islam ripartita in tutto l’insieme del programma di formazione teologica. Il percorso così
elaborato dovrebbe essere il risultato di una collaborazione fra teologi, storici, islamologi,
sociologi e operatori pastorali.
In un percorso teologico che includa questo riferimento all’Islam sarebbe auspicabile
partire da uno studio dell’esperienza religiosa in generale, anche al di fuori dell’asse
giudaico-islamo-cristiano: che cosa definiamo noi come “religione” e “religioso”? Qual è il
fine di ogni grande religione?
Si impone anche una ricerca sui prolegomeni antropologici e filosofici di una teologia in
dialogo con l’Islam o impegnata nel campo islamo-cristiano.
Sarebbe inoltre necessario fare un inventario delle differenze fra concetti o sistemi di
riferimento alla base delle strutture teologiche del Cristianesimo e dell’Islam. Infatti è
opportuno condurre una riflessione sul modo diverso in cui il Cristianesimo e l’Islam
intendono quello che chiamiamo teologia. C’è nella fede cristiana una concezione del
nostro rapporto con la Rivelazione che richiede un certo modo di fare della teologia
sistematica, in particolare un rapporto con un uso analogico del linguaggio (metafora,
simbolo, analogia ecc.) per il quale è difficile trovare un equivalente nel linguaggio
dell’Islam. DI qui la difficoltà del dialogo a questo livello. Un’epistemologia del linguaggio
teologico e religioso non è inutile.
Includere l’islamologia nel percorso teologico multidisciplinare non basta certamente. La
formazione proposta non può fare a meno di una riflessione teologica e di una riflessione
critica sulle trasformazioni stesse provocate dall’incontro fra cristiani e musulmani e sugli
effetti del confronto Cristianesimo-Islam. Avviene che il campo islamo-cristiano conduca
non solo il cristiano ma anche il musulmano in una misura che forse ignoriamo, a porsi
questioni specifiche, nuove, importanti sul modo di riferirsi alle fonti e di elaborare un
discorso di fede.
Tuttavia il Cristianesimo si costruisce anche in riferimento agli altri e il dialogo, come il
tener presente il modo in cui cristiani e musulmani si pongono di fronte ai momenti e agli
avvenimenti importanti della vita, la percezione profonda che ne hanno l’uno e l’altro,
l’esame di fondamenti e dei meccanismi dei pregiudizi rispettivi e reciproci sono altrettanti
luoghi di elaborazione della riflessione teologica e della verifica della sua coerenza.
In ogni caso, è importante e fruttuoso distinguere bene i livelli a cui operano effettivamente
le divergenze fra Cristianesimo e Islam: si tratta effettivamente di questioni che toccano la
rivelazione stessa? O, più concretamente di differenze a livello delle tradizioni religiose o
di modalità delle credenze? Oppure di un problema di barriere culturali? O ancora di
divergenze legate alle disparità sociali ed economiche fra comunità oppure provenienti da
reviviscenze legate alla storia?
Infine, questa formazione non può ignorare le situazioni particolari che devono affrontare
uomini e donne della nostra epoca e, fra queste situazioni, quelle più critiche nel campo
islamo-cristiano: la questione cruciale delle disuguaglianze, del sottosviluppo, della fame,
della violenza: i diritti dell’uomo, il laicismo, le discriminazioni, le precarietà ecc.; i vari
problemi delle persone che vivono a contatto coi musulmani: domanda di battesimo,
matrimonio, funerali; domande di assistenza spirituale nelle scuole, negli ospedali, nelle
carceri o nell’esercito; guida di gruppi di scambio islamo-cristiani, con crescenti richieste
nel campo della condivisione della preghiera, lo sviluppo delle correnti religiose integraliste
o fondamentaliste; la moltiplicazione delle sette e dei nuovi movimenti religiosi.
Queste questioni, situazioni, richieste dovrebbero essere studiate in modo da evidenziare
le implicazioni teologiche.
La teologia pastorale
La presenza musulmana in Europa e il suo significato sono percepiti diversamente nei
diversi paesi e nelle diverse Chiese. Ciò dipende dalla storia, dalla situazione sociologica
(maggioranza/minoranza) e psicologica (sicurezza/minaccia), e dal ruolo che ha avuto la
Chiesa nella vita del proprio popolo. Esiste per esempio una differenza fra gli ex paesi
dell’est, come la Jugoslavia e la RDA per quanto riguarda il concetto di secolarizzazione.
Proprio come le chiese cristiane non formano un gruppo omogeneo, esistono diverse
etnicità islamiche, che hanno esperienze e immagini divergenti delle Chiese.
La teologia pastorale ha le proprie radici in una coscienza evangelica di fede, d’amore e di
speranza. Essa presuppone una conoscenza profonda delle realtà socioeconomiche e
riguarda tutto il modo di essere, ad intra e ad extra, della comunità cristiana.
1. I luoghi di preghiera
Una delle priorità sembra essere il rafforzamento della fede e dell’identità cristiana per
entrare nei rapporti interreligiosi. Ciò presuppone infatti una certa fiducia in se stessi e una
coscienza della propria identità.
L’atteggiamento delle Chiese riguardo alla pratica religiosa musulmana nelle società di
tradizione cristiana influenza molto gli atteggiamenti generali nei riguardi delle minoranze
in genere. Quale atteggiamento adottare a proposito delle moschee e delle sale di
preghiera? La Chiesa locale deve avere un ruolo attivo nell’aiutare i musulmani a trovare
luoghi di preghiera? Quando un edificio non viene più utilizzato come chiesa è prudente
prestarlo o addirittura cederlo a dei musulmani? Una simile decisione non dovrebbe
essere presa da una sola persona ma dopo la consultazione della comunità cristiana e
delle altre Chiese. A questo proposito sorgono altri interrogativi: quale testimonianza dà
una chiesa vuota in un quartiere dove la popolazione è atea o musulmana? Come
interpreterà la comunità musulmana il fatto che una chiesa sia stata abbandonata o
sconsacrata ecc.?…
2. Simbolismo
Sembra importante che la formazione teologica – a livelli diversi – integri il simbolismo
religioso, tanto nella tradizione cristiana che nell’Islam: gesti, spazi, luoghi, riti. Questo
simbolismo è un mezzo importante per radicare la fede cristiana in un’espressione che
non sia unicamente intellettuale.
3. Catechesi e predicazione
La nuova generazione manifesta un nuovo modo di pensare in rapporto alle diverse
culture e alle diverse religioni. Questo non ci esime dal compito di insegnare la fede
cristiana evidenziando chiaramente e senza trionfalismi le convergenze e le differenze fra
le religioni. Ciò è tanto più necessario poiché il fatto di avere come vicini, colleghi e amici,
persone con convinzioni religiose diverse, può condurre sia a una totale indifferenza sia ad
un sincretismo.
In questa prospettiva tocca alle Chiese preparare orientamenti per i diversi livelli di
educazione, dall’asilo al seminario di teologia, tenendo conto della sfida positiva che
rappresenta nell’Islam l’osservanza della preghiera e della solidarietà della Umma.
Sarebbero anche necessari materiali semplici per presentare la fede cristiana ai
musulmani che l desiderano. Questi materiali dovrebbero essere preferibilmente preparati
e scritti in collaborazione con persone che conoscono bene il mondo musulmano.
4. Scuole cristiane e asili
La scuola è luogo privilegiato d incontro ma anche luogo di conflitto potenziale. Ci si è
chiesti quale sia la vocazione delle scuole tenute dalla Chiesa. A cosa servono? Soltanto
ai ricchi, sia cristiani che musulmani? Come possono essere al servizio dei poveri, dei figli
dei disoccupati per esempio, siano essi cristiani o musulmani?
In alcuni casi sembra utile avere dei musulmani fra gli insegnanti: questo non si verifica
facilmente dovunque. In ogni caso, è indispensabile che queste scuole manifestino il loro
progetto educativo di informazione cristiana, anche se la maggioranza degli allievi è di
origine musulmana.
Per alcuni non è evidente che l’insegnamento religioso obbligatorio a scuola sia la
soluzione migliore né per i cristiani né per i musulmani. L’interrogativo si pone oggi in
alcuni paesi dell’Europa centrale dove le Chiese sono in completa riorganizzazione.
Certamente si giungerà a soluzioni diverse (insegnamento religioso a scuola, in
parrocchia…).
5. La vita associativa
Si pensa generalmente che sia necessario incoraggiare i movimenti dei giovani ad aprirsi
ai musulmani, pur conservando il profilo specificamente cristiano dei movimenti. E’
importante anche favorire contatti informali fra gruppi di giovani, cristiani e musulmani che
abbiano uno stesso obiettivo: questo può prevenire gli scontri etnici e sociali che
potrebbero essere intesi come conflitti di religione.
6. Cappellanie
Le cappellanie non comprendono più soltanto sacerdoti e pastori ma anche religiose e
laici. Questi incarichi possono offrire occasioni di testimonianza disinteressata di vita
cristiana, soprattutto quando si tratta di persone isolate, in crisi o che soffrono. E’ stata
segnalata l’importanza degli incarichi ospedalieri così come il ruolo di chi visita le prigioni.
Qui si possono aiutare i musulmani, alcuni dei quali sembrano essere stati abbandonati
dalle loro famiglie, a riacquistare la loro dignità e stima di sé. In questo contesto, è stata
apprezzata l’esperienza fatta da alcune stazioni radio cristiane che servono da tramite fra
le famiglie e i detenuti quando questi ultimi non possono ricevere visite (per esempio di
domenica): il prigioniero può ascoltare membri della sua famiglia che telefonano alla radio.
7. Matrimoni misti
Le Chiese hanno pubblicato direttive per quanto riguarda i matrimoni misti. A questo
proposito gli interrogativi sono molti e in particolare ci si chiede se sia possibile qualche
tipo di “culto comune”. In ogni caso, è necessario che le coppie aventi diversi credi religiosi
ricevano sostegno e amicizia dopo il matrimonio, come dovrebbe accadere anche per i
divorziati. Non si devono trascurare neanche i parenti e le famiglie di origine perché per
loro un matrimonio islamo-cristiano può essere traumatizzante.
8. La vita quotidiana
La pastorale non si limita ad atti di catechesi o di culto. Deve riguardare anche i cristiani
che hanno numerosi contatti quotidiani con i musulmani (per esempio nei corsi per
analfabeti, nei club e nei gruppi, in vari centri…) per dare loro l’aiuto di cui hanno bisogno.
Nello stesso tempo, la pastorale deve essere consapevole dell’esistenza dei gruppi di
cristiani e musulmani che tentano di stabilire un dialogo perché il dialogo ha delle esigenze
e ha a sua volta bisogno di assistenza. Questi gruppi talvolta pongono la questione della
preghiera in comune fra cristiani e musulmani.
Infine, la pastorale non deve dimenticare coloro che, per vari motivi, rifiutano di avere
contatti con altre religioni. Come possono queste persone essere aiutate ad abbandonare i
loro timori e a prendere in considerazione i risultati positivi che possono derivare dal
dialogo interreligioso?
9. Osservazione conclusiva
I cristiani che hanno vissuto o vivono in paesi musulmani possono offrire un aiuto prezioso
grazie alla conoscenza che hanno dell’Islam dall’interno. Essi devono essere invitati a
collaborare ad ogni progetto di dialogo e di cooperazione interreligiosa.
Storia della Chiesa
1. Storia e Teologia
Come disciplina specifica la storia della Chiesa è diversa da altre storie, ad esempio dalla
storia secolare, nazionale, politica od economica, perché affronta il suo argomento in una
prospettiva teologica. La storia della Chiesa o piuttosto della cristianità è ovviamente parte
della storia generale dell’umanità. Questa prospettiva teologica della storia ha origine dalla
convinzione che tutta la storia dell’uomo è il racconto dell’azione di Dio sull’umanità.
Le prospettive della nostra storia e di quelle degli altri esseri umani sono in rapporto con la
nostra visione di noi stessi rispetto a Dio. Perciò la presenza di musulmani, o seguaci di
altre religioni principali e di atei solleva la questione del loro posto e del nostro nel progetto
di Dio. Poiché noi crediamo che Dio esegua i suoi disegni e missioni nel mondo usando le
persone, sia nel passato che nel presente (vedi Isaia 45,1 e Luca 2,1) anche al di fuori
della comunità dei credenti, diventa di fondamentale importanza fare una ricerca comune
di risposte alle domande che riguardano la visione di altri a proposito delle loro storie e
della nostra. Cercando tali tentativi di risposta gli storici (della chiesa) collaboreranno con
colleghi di altre discipline.
Questo diventerà tanto più necessario quando ci accorgeremo che, dopo quasi due
millenni di Cristianesimo ogni disciplina teologica (affrontata in questo rapporto) ha per se
stessa la propria storia.
2. L’insegnamento della storia, una questione essenziale
Un punto di vista storico è necessario ed essenziale per una comprensione critica del
presente e del ruolo di ciascuno in esso, a prescindere dalla funzione di ciascuno
all’interno della comunità cristiana. Le nostre comunità e istituzioni sono ciò che sono in
parte a causa di come erano. La loro esistenza presente è fondata su quello che è
successo dentro di loro e tra loro e il resto del mondo nel passato. La storia della Chiesa,
come argomento e disciplina specifici, è dunque qualcosa di più della storia di una chiesa,
e tanto meno la storia di una chiesa o delle chiese in se stesse isolate del loro particolare
contesto.
3. Allargare i temi, dal locale all’universale
L’insegnamento della storia della Chiesa all’interno dei nostri vari sistemi di educazione
teologica è tradizionalmente spesso isolato e concentrato su temi che riguardano la nostra
chiesa. Le relazioni con altre chiese erano spesso affrontate solo a proposito di conflitti
con esse. Questo vuol dire che le chiese occidentali di solito ignoravano cosa successe
nelle chiese Orientali dopo il concilio di Calcedonia nel 451 e dopo lo scisma tra i cattolici
Romani e i Bizantini Ortodossi nel 1054. Il risultato di una tale trattazione parziale della
storia della chiesa potrebbe anche implicare che i protestanti e i cattolici fossero ben poco
informati della reciproca storia del periodo della Riforma e Controriforma al Concilio
Vaticano Secondo. Questo pericolo è stato in parte scongiurato grazie al movimento
ecumenico.
Tuttavia, mentre questo movimento per il mutuo ampliamento e miglioramento della
conoscenza reciproca della storia delle altre chiese ha un’importanza crescente, un nuovo
paragonabile problema si presenta con l'arrivo di altri musulmani nell’Europa occidentale e
la riaffermazione di comunità islamiche più vecchie nella parte orientale del nostro
continente. Le relazioni con loro, come vicini e concittadini, sono fortemente condizionate
da eventi del passato. In un periodo nel quale tutte le chiese, seppure con diversi livelli di
intensità e di immediatezza, devono rapportarsi con i musulmani e/o il mondo musulmano,
l’esperienza accumulata nel passato è necessaria per tutti allo scopo di trarre lezioni dalla
storia per la missione e il compito di oggi. Questo processo di ampliamento del nostro
orizzonte storico non dovrebbe riguardare soltanto i temi da trattare ma anche il nostro
atteggiamento e anche la nostra disposizione interna. Un approccio storico che si limitasse
a una sola comunità, sia essa nazionale, etnica o confessionale, ignorerebbe che la nostra
storia si è svolta in rapporto con gli altri. Tale approccio favorisce l’auto-glorificazione e
l’etnocentrismo spesso basati su di un’identità comune fondata sulla violenza. La Storia
viene solitamente scritta da coloro che controllano la cultura del gruppo, perciò è orientata
contro le comunità esterne o, all’interno della propria comunità, contro le classi inferiori, i
colonizzati, i contadini, le donne, le classi operaie, le minoranze o giunge addirittura a
sopprimere gli elementi esterni o inferiori.
L’ampliamento dell’orizzonte storico ci permette di scoprire tradizioni perdute e arricchire i
rapporti con le altre. Rivela le dimensioni violente dei nostri miti di fondazione della
comunità, l’aggressività nelle storie di fondazione, l’ossessione del martirio collettivo, e
può aiutarci a trovare motivi più positivi e costruttivi per formare una comunità.
4. Storia dei rapporti fra cristiani e musulmani
4.1 Trattando la storia dei rapporti islamo-cristiani sarebbe indispensabile prendere
coscienza delle diverse origini delle due religioni.
4.2 La storia deve anche tener conto della storia delle altre comunità, nei paesi più
vicini e nel bacino mediterraneo più lontano. E’ importante offrire una certa
conoscenza circa la storia dei paesi da cui provengono gli immigrati musulmani in
Europa, e tener conto della storia dei rapporti fra cristiani e musulmani in quei
particolari paesi.
4.3 Le Chiese d’Europa potrebbero richiamarsi al lungo periodo del dibattito arabocristiano con l’Islam, che si estende per secoli dall’anno 750 dell’era cristiana fino al
giorno d’oggi.
4.4 Le Chiese occidentali dovrebbero ampliare le loro prospettive oltre i limiti negativi
posti dalle crociate o dagli atteggiamenti di Lutero e di Calvino riguardo ai Turchi.
Esse dovrebbero al contrario cercare punti di contatto positivi per esempio negli
scritti di Anselmo da Canterbury, Nicola Cusano ed Erasmo, per non citare che
pochi autori. Lo stesso vale, mutatis mutandis, per le Chiese dell’Europa orientale.
4.5 Le Chiese orientali devono scoprire che la storia dei rapporti fra cristiani e
musulmani va molto al di là delle sole prospettive dei conflitti nazionali recenti e dei
ricordi negativi risalenti al periodo dell’impero ottomano.
4.6 Questo ampliamento d’orizzonte sui temi storici deve includere la storia dell’Islam e
delle opinioni dell’Islam riguardanti il Cristianesimo, altrimenti i conflitti del passato
persisteranno e potranno perfino peggiorare.
4.7 Alcuni soggetti storici possono addirittura prestarsi ad uno studio congiunto fra
musulmani e cristiani ad esempio riguardo all’influenza negativa e positiva delle
Crociate sulle due comunità religiose; oppure sui rapporti fra religione e politica dai
due punti di vista, tenendo conto particolarmente della posizione delle minoranze
musulmane e cristiane sotto il dominio dell’altra comunità in quanto maggioranza.
4.8 Lo studio della storia può servire pure a liberarci da blocchi ideologici. Nel recente
passato abbiamo visto dovunque esempi in cui elementi della nostra religione, sia
cristiana, musulmana o altra, sono stati isolati dal loro contesto e inseriti in
paradigmi areligiosi di carattere nazionalista, razzista o “fondamentalista”.
4.9 Lo studio della storia può aiutaci a scoprire le radici di pregiudizi scambievoli e
menzogne storiche che avvelenano i rapporti fra l’una e l’altra religione.
4.10
Per raggiungere gli obiettivi citati precedentemente, insegnanti e allievi
dovrebbero sviluppare una sana sfiducia circa le fonti e andare al di là della
semplice consultazione dei volumi e dei periodici tradizionalmente usati nella loro
disciplina.
4.11
Lo studio della storia può aiutarci a scoprire che tutte le nostre storie
comportano episodi deprecabili in cui abbiamo tradito la nostra fede e a prendere
coscienza del fatto che ciascuno dei nostri atti è in ultima analisi sottoposto al
giudizio di Dio.
Etica
1. Motivi per studiare l’etica musulmana nelle istituzioni cristiane
Esiste una tensione creativa fra le discussioni di principio e le necessità delle
situazioni concrete che ci spinge a inserire questo studio nel nostro programma.
Fra le discussioni riguardanti le questioni di principio meritano di essere ricordati i
punti seguenti:
1.1 Alcune correnti all’interno del Cristianesimo considerano l’Islam come portatore
di verità attraverso il quale è giusto che i cristiani cerchino di approfondire la loro
conoscenza e consapevolezza del mistero di Dio.
1.2 La responsabilità dei popoli europei di fronte alla comunità umana suggerisce
che esistono molte questioni etiche le quali richiedono una prospettiva
interreligiosa, ad esempio questioni ambientali e assunti riguardanti la pace e la
giustizia.
1.3 L’influenza scambievole e il confronto delle comunità religiose con i punti di
vista secolarizzati dell’Europa contemporanea suggeriscono un tale approccio
per questioni come l’autonomia dell’essere umano, i diritti umani e la tensione
fra vita pubblica e privata.
1.4 In tutta l’Europa molti notano che i musulmani hanno un modo di vivere e un
sistema etico-religioso diverso. Questa percezione, che può essere vista da
alcuni in una luce minacciosa, deve essere studiata e affrontata.
2. I fondamenti dell’etica
Alla base dei motivi indicati si trovano questioni teologiche che sono state discusse
fra cristiani e musulmani in passato. E’ necessario comparare tanto le convergenze
quanto le divergenze fra le due tradizioni religiose alla luce delle loro antropologie;
le loro opinioni sulla libertà e sulle responsabilità umane, i rapporti fra legge e
morale, lo sforzo dell’uomo per distinguere la volontà di Dio; le sfide
epistemologiche ed ermeneutiche delle nostre tradizioni scritturali; l’applicazione di
tutti questi aspetti al contesto del mondo in cui oggi viviamo.
3. Riflessioni sul ruolo dell’etica nell’educazione teologica
Questo campo viene esaminato in sei punti:
3.1 Il programma di etica nella formazione dei ministri e dei teologi viene
costantemente influenzato dagli sviluppi sociali, economici, politici, giuridici e
scientifici. Tutto ciò dà regolarmente origine a nuove problematiche in campi come:
3.1.1
La natura della vita e della dignità umana, ivi inclusa l’etica medica, le questioni
dell’“ingegneria genetica”, l’interruzione della terapia (“eutanasia passiva”).
3.1.2
Il rapporto fra interessi personali e interessi familiari come il rispetto per la persona
e la proprietà, le responsabilità e i ruoli reciproci di uomo e donna, l’etica sessuale,
il matrimonio e il divorzio (specialmente quando i partners provengono da ambienti
diversi), i diritti e le responsabilità dei genitori nei confronti dei figli e viceversa.
3.1.3
L’etica sociale comprende questioni come i diritti civili e umani, le tensioni fra le
esigenze dell’individuo e quelle della comunità e la natura delle strutture di potere
esistenti (politiche, economiche, mezzi di comunicazione, religioni, ecc.)
3.1.4
Il problema della violenza riveste un’importanza particolare nelle questioni
riguardanti l’ordine sociale (violenza criminale e in reazione al crimine), nei rapporti
intercomunitari e internazionali (pacifismo, jihad, guerra giusta).
3.1.5
Il rapporto fra stato, religione e istituzioni religiose è una questione che continua a
preoccupare profondamente entrambe le tradizioni religiose.
Dobbiamo sottolineare che queste e molte altre questioni di etica costituiscono oggi
una sfida sia per i musulmani che per i cristiani e uno studio comune di tali problemi
può essere benefico per entrambi. Si dovrebbe ance sottolineare che la riflessone
su questi problemi pone interrogativi che non possono essere ignorati da altri rami
della teologia.
3.2 Il ruolo dell’etica all’interno degli studi teologici sottolinea questioni di metodologia,
di fonti, dell’autorità, delle soluzioni provvisorie e l’interazione con molte altre
discipline. L’etica tratta le questioni pratiche della vita umana e costituisce un
mezzo di coesione fra pensiero teologico e le questioni pratiche della fede viva.
Tutti questi temi sarebbero arricchiti da uno studio comparativo dell’etica
musulmana.
3.3 L’etica, una disciplina in continuo sviluppo, è eclettica per natura e integra concetti
derivanti da varie tradizioni morali. L’etica islamica dovrebbe essere considerata
come una delle tradizioni che possono essere viste come fonte di illuminazione su
particolari questioni.
3.4 Uno dei più importanti campi di dibattito per l’etica contemporanea deve essere il
rapporto fra religione, morale e diritto tanto secolare che religioso. Tale dibattito si
concentrerebbe su questioni come: in che modo la fede religiosa struttura la nostra
percezione dei sistemi di valori e di obblighi morali? E’ possibile stabilire una base
comune per i valori sociali che, in una società pluralista, sarebbe il fondamento di
diversi sistemi di valori? Si tratta di questioni che sono state dibattute nella storia
del pensiero musulmano e il loro studio potrebbe essere un contributo al dibattito in
corso.
3.5 Esiste nel campo dei rapporti interreligiosi un punto particolare in cui le nostre
tradizioni religiose devono prendere seriamente l’accusa secondo la quale noi
cristiani siamo stati storicamente tanto motivo di conflitto quanto portatori di pace o
forse più causa di conflitto. Questo è particolarmente valido per i rapporti islamocristiani. Dobbiamo esaminare più da vicino l’etica della missione e del dialogo.
3.6 Quali sono i rapporti fra lo studio accademico dell’etica e l’evoluzione del carattere
morale? In che misura gli educatori teologici, i ministri e gli assistenti pastorali sono
modelli per quanto riguarda la loro vita morale? Una ricerca su queste questioni alla
luce della tradizione islamica sarebbe feconda di risultati.
Missione e dialogo
1. Inserimento nella formazione teologica
La questione della missione e del dialogo prende una nuova attualità in un’Europa che
vede le sue strutture sociali e politiche profondamente influenzate dal pluralismo etnico,
culturale e religioso. Il tema dell’incontro islamo-cristiano deve trovare posto in ogni
curriculum di studi teologici:
- in missiologia: la sfida dell’Islam riguarda sia la missione all’estero che l’ambiente
locale
- in teologia fondamentale o apologetica: il pensiero islamico viene incontrato nel
corso degli studi teologici
- in ecclesiologia: la moschea e il mondo musulmano fanno parte dell’incontro della
Chiesa con il mondo
- a livello interreligioso: con l’Ebraismo, l’Islam permette di allargare la dimensione
interreligiosa.
2. Teologia interculturale e interreligiosa
Oggi la missione e i progetti di evangelizzazione per i cristiani in Europa passano dalla
scoperta del senso e del valore della coesistenza con altre culture e altre comunità
religiose. La vicinanza e l’interazione sociale richiedono un dialogo approfondito per
conoscere le tradizioni, le percezioni e le ricchezze di questi partenrs, sia cristiani di altre
culture che musulmani e seguaci di altre religioni.
Questa revisione fondamentale della missiologia che non è né a senso unico né riservata
alle Chiese d’oltremare conduce ad una teologia dei rapporti interculturali e interreligiosi
che permette di superare ogni presupposto sia confessionale e culturale, sia sociale e
culturale. E’ una teologia orientata al dialogo e risultante dal dialogo, nella quale l’Islam
viene percepito nelle sue dimensioni politiche, culturali e spirituali.
3. Missione e Dialogo
Per chiarire che cosa sia in gioco in questo nuovo approccio, si farà attenzione a basarsi
su una definizione precisa del dialogo, che non è più né polemica né apologetica e
nemmeno semplice studio comparativo di diversi sistemi di pensiero. E’ anche necessario
distinguere i diversi tipi di dialogo in rapporto ai suoi obbiettivi come:
- assicurare una coesistenza armoniosa,
- realizzare un progetto comune,
- approfondire le conoscenze teologiche,
- sviluppare una preghiera o una meditazione interreligiosa.
E’ importante pure specificare i rapporti fra dialogo e missione evangelizzatrice,
evitando il doppio sospetto di tradimento: snaturare il dialogo riducendolo ad una tattica
missionaria e tradire il progetto missionario rinunciando alla testimonianza e alla
conversione.
4. Incontro fra cristiani e musulmani
Lo studio dell’incontro specifico fra musulmani e cristiani passa dal riconoscimento del
carattere missionario dell’una e dell’altra tradizione con la ricerca di un modus vivendi che
rispetti l’integrità di ciascuno. Questo è un tema particolarmente delicato quando riguarda
le azioni caritative dei cristiani o certe affermazioni di identità per i musulmani.
In questa prospettiva, si deve fare attenzione alla storia dei rapporti islamo-cristiani e
anche alle differenze culturali e alle frustrazioni politiche, per tentare di definire le
condizioni della coesistenza e del dialogo a tutti i livelli: vita quotidiana, azioni comuni,
testimonianza di fede e ricerca spirituale comune.
5. Gli scopi della formazione
Aiutando gli studenti ad affrontare lo choc culturale e la sfida della diversità religiosa, noi
cerchiamo di formare dei responsabili religiosi e degli insegnanti aperti alle idee degli altri,
pronti ad adottare nuove prospettive, liberati da ogni complesso di superiorità perché critici
nei confronti della loro stessa istituzione religiosa e attenti ai pregiudizi di ogni genere.
Essi devono essere preparati a correre il rischio dell’incontro, per amore degli altri, disposti
a dimenticare quanto sanno per riapprendere in vista di un mondo nuovo, passando da
una visione monolitica alla percezione di una società pluralistica. E’ imparando ad
apprezzare la “diversità” degli altri che si può sperare di trasformare il rapporto con il
prossimo e di ampliare la propria visione del mondo.
6. La conoscenza indispensabile
In questa formazione, studentesse e studenti hanno bisogno di solide conoscenze nel
campo delle altre tradizioni religiose e della loro rispettiva cultura come l’Islam, con il suo
sviluppo su scala mondiale; si deve inoltre avere accesso alle diverse teologie cristiane del
terzo mondo, in particolare a quelle che sono state elaborate in ambiente musulmano. A
livello storico sarà necessario esser consapevoli dello sviluppo dei rapporti interreligiosi e
inteculturali, per esempio in area Mediterranea, nonché dell’evoluzione dell’atteggiamento
delle Chiese riguardo alla religione in generale e all’Islam in particolare. Tutto ciò dovrebbe
condurre ad una teologia delle religioni che sarà nello stesso tempo frutto dell’esperienza.
7. Il ruolo insostituibile dell’esperienza
Il programma preso in considerazione deve necessariamente includere un elemento di
immersione nel mondo islamico almeno di contatto diretto con i musulmani:
- un soggiorno prolungato nel piano di studi
- un viaggio di studio e/o la visita d una comunità
- un corso impartito da un o una seguace della religione insegnata
- incontri e dialoghi in modo da assicurare un feedback.
Non si tratta di fare del semplice turismo interreligioso, moltiplicando le esperienze,
come avverte T.S. Eliot «abbiamo fatto l’esperienza ma abbiamo mancato il
significato», ma di assicurare il legame fra teoria e pratica, fra il vissuto e
l’interpretazione.
8. Verso una teologia delle religioni
Con l’Islam, come con qualunque altra religione, non si può rinviare a tempo indefinito la
questione del valore della Salvezza che questa religione riveste per i suoi fedeli e, più
globalmente, quella dell’azione di Dio oltre i limiti della propria religione. Uno dei compiti
più urgenti in questa Europa secolarizzata dell’ultima parte del XX secolo è la via di una
teologia delle religioni capace di rendere conto del pluralismo religioso e per la quale la
presenza dei musulmani costituisce un incentivo essenziale.
Raccomandazioni
Tenendo conto della diversità dei centri di formazione teologica e pastorale delle varie
chiese, il Comitato “Islam in Europa” si permette di fare le seguenti raccomandazioni per
meglio integrare una riflessione sull’Islam nella formazione.
1. Prospettive e Metodi
1.1 E’ bene includere una riflessione sull’Islam nel quadro più generale di una riflessione
sulla pluralità delle religioni e i suoi effetti sulla fede cristiana.
1.2 In questa prospettiva è auspicabile:
- prendere come punto di partenza le esperienze religiose comuni, anche quelle
esterne alla tradizione ebraico-cristiana,
- esplorare i presupposti antropologici e filosofici delle diverse religioni,
- promuovere una riflessione teologica sull’incontro delle religioni, del dialogo
interreligioso e il suo ruolo nella missione della Chiesa,
- esplorare, in una prospettiva storica, il fondamento e i meccanismi reciproci.
1.3 Tale formazione richiede un approccio interdisciplinare (teologia pastorale, teologia
sistematica, esegesi, missiologia, ecc.)
1.4 Musulmani di diversa provenienza dovrebbero essere inseriti con discernimento e in
modo appropriato nell’insegnamento.
1.5 Niente può sostituire l’incontro con le comunità musulmane. A condizione di essere
ben preparati, le visite e i soggiorni effettuati dagli studenti nelle aree musulmane
dell’Europa orientale e nei paesi islamici sono un mezzo efficace per scoprire la logica
propria del pensiero e della fede musulmana.
2. Raccomandazioni particolari
2.1 Per la formazione di base.
- un corso introduttivo sull’Islam deve essere collegato a una riflessione sul dialogo
interreligioso nella sua specificità islamo-cristiana,
- è auspicabile comprendere un’introduzione alla lingua araba come una lingua
religiosa, se possibile con l’ebraico e il siriaco,
- lo scambio di professori e studenti cristiani è un buon mezzo per diffondere
l’informazione e la condivisione delle esperienze.
2.2 Per quanto riguarda la formazione permanente.
La formazione permanente è in certo qual modo il campo in cui l’approccio è più facile.
Coloro che sono impegnati nell’attività pastorale, religiosi e laici, prendono spesso
coscienza della necessità di una formazione più spinta a causa della situazione in cui
vivono e agiscono. Saranno dunque probabilmente più motivati a ricercare una
formazione supplementare. Questa formazione può assumere forme molto varie:
giornate di studio, corsi serali, ecc.
Sarebbe utile prendere in considerazione fatti di attualità come la crisi del Libano, del
Golfo, l’affare Rushdie, l’immigrazione.
Lo studio dei problemi etici, teologici e missiologici risultanti da tali situazioni danno
un’ottima occasione per focalizzare i punti di vista musulmano e cristiano.
2.3 Per quanto riguarda il personale docente.
L’aggiornamento continuo dei docenti, degli insegnanti e di altri è di fondamentale
importanza.
Si può realizzare in vari modi:
- partecipando a conferenze, sessioni, colloqui,
- incoraggiando pubblicazioni, ricerche e incontri,
- sviluppando la documentazione sull’Islam nei centri di formazione,
- collaborando coi centri di studio specializzato come il PISAI di Roma e Selly Oak di
Birmingham.
3. Il KEK/CCEE Comitato “Islam in Europa” potrebbe avere un ruolo importante in
parecchi campi:
- Può far conoscere le istituzioni che hanno una buona esperienza del dialogo e della
formazione.
- Potrebbe stimolare persone e istituzioni e sollecitare la loro collaborazione per
rispondere alle esigenze delle chiese e alle nuove questioni pastorali.
- Può incoraggiare i centri di studio islamo-cristiani e aiutarli a organizzare seminari
per docenti.
- Può favorire l’elaborazione e la diffusione di strumenti di lavoro appropriati.
Il Comitato “Islam in Europa” può aiutare a stabilire reti atte a realizzare scambi di
esperienza e una mutua assistenza fra le chiese.
Birmingham, 9-14 settembre 1991
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