Massimo Pavin - Confindustria Padova

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Credibilità e riforme
DIALOGO SULLA CRESCITA
Intervento del Presidente Massimo Pavin
Lunedì 14 novembre 2011
Sheraton Padova Hotel
Signore e Signori, Gentili Ospiti, Cari Amici,
è con grande piacere che vi do il benvenuto a questo incontro davvero
importante, per il tema che affrontiamo, per la qualità dei nostri ospiti,
per il momento difficile che stiamo attraversando.
Do quindi il benvenuto e ringrazio, insieme a tutti voi, il Professor
Marco Fortis docente di economia industriale e commercio estero
all’Università Cattolica di Milano e Vice Presidente della Fondazione
Edison, esperto di economia italiana ed internazionale, al quale
chiederemo di aiutarci a interpretare uno scenario carico di incognite,
non solo per le imprese, ma per l’intero Paese e per la stessa Europa
Con lui, saluto e ringrazio Luca Orlando de Il Sole 24 Ore, che guiderà
la nostra discussione.
Un ringraziamento particolare va a Cassa di Risparmio del Veneto,
UMANA, Safin Consulting, ancora una volta al nostro fianco.
Viviamo giornate drammatiche. L’Italia è nel ciclone dei mercati, sotto
esame dell’Europa e delle autorità internazionali.
Dopo i segnali promettenti di inizio anno, lo scenario economico globale
è bruscamente peggiorato durante l’estate.
L’Eurozona è investita dalla crisi dei debiti sovrani. Le tensioni dei
mercati finanziari aumentano l’incertezza, indeboliscono consumi e
investimenti.
Per fine anno ci attende in Europa - ha detto il neo Presidente della
BCE, Mario Draghi - una «recessione morbida».
L’Italia patisce, in modo particolare, di tale diminuzione del potenziale
di crescita, già molto basso prima della crisi, che è poi il nostro vero
tallone di Achille.
Non si va molto lontani con una crescita dello 0,7% quest’anno, dello
0,6% il prossimo. [Ma già i principali organismi internazionali non si
spingono oltre lo 0,2-0,3 per cento.]
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È uno scenario che rischia di complicare gli stessi obiettivi di
risanamento dei conti e riforme strutturali, che ci hanno posto nel
ruolo di “sorvegliato speciale” in Europa.
L’Italia si trova davanti a un bivio.
Può scegliere tra la strada delle riforme e della crescita in un contesto
di stabilità dei conti pubblici o, viceversa, scivolare verso una deriva
economica e sociale.
Da troppo tempo il nostro Paese non cresce.
Da troppo tempo le nostre imprese perdono competitività nel confronto
con i maggiori competitor.
Da troppo tempo i nostri giovani vedono ridursi opportunità e speranze.
Le ragioni di tutto questo sono molteplici e nessuno può ritenersi
esente da responsabilità.
Per l’enorme debito pubblico, per la bassa crescita ormai
quindicennale, per gli alti tassi di spesa pubblica e di prelievo fiscale –
prossimo al record del 43,8% del Pil (per volare l’anno dopo al 44,5) – il
nostro Paese da tre mesi ha visto accrescere in modo intollerabile il
premio al rischio sui titoli di Stato, con uno spread Btp-Bund arrivato a
superare i 550 punti e rendimenti dei Buoni poliennali sopra il 7 per
cento.
Numeri allarmanti, che toccano direttamente il risparmio e il lavoro
degli italiani.
Il tempo è scaduto. Ciò impone scelte immediate e coraggiose.
Diversamente, ben al di là dei nostri demeriti, il mercato continuerà a
penalizzare i nostri titoli pubblici con inevitabili conseguenze sia sulla
tenuta dei conti dello Stato che sul costo della raccolta delle banche e,
quindi, sui tassi ai finanziamenti alle imprese e alle famiglie.
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Il prezzo è già alto. Secondo la rilevazione di ottobre del nostro Ufficio
Studi, per tre quarti delle imprese padovane finanziarsi in banca è
diventato più caro, con spread triplicati negli ultimi mesi.
Non si può assistere inerti a questa spirale. È in gioco più della
credibilità della politica. Sono a rischio anni e anni di sacrifici, la
possibilità di garantire ai nostri giovani un Paese con diritti, benessere
e possibilità pari a quelle che abbiamo avuto fino ad oggi.
In questi giorni - in queste ultime ore - la crisi politica pare avere preso
una direzione rapida e chiara, con l’incarico al Senatore Mario Monti a
formare il nuovo Governo. L’urgenza è fare presto e bene, nell’interesse
comune del Paese. Ora serve il più largo appoggio per «vincere la sfida
del riscatto».
Parte delle cause dell’attuale, difficile, fase economica dipendono da
fattori esterni. Non ultimo, le incertezze della governance europea nel
suo complesso.
Nello stesso tempo, siamo fermamente convinti che tocchi all’Italia, a
noi italiani fare, da subito, le scelte necessarie per riguadagnare il
rispetto e il prestigio che il Paese merita.
Rinunciando, tutti, a qualcosa.
Occorre un immediato e profondo cambiamento, capace di generare più
equità, maggiore ricchezza e riduzione del debito.
Non sono più rinviabili le misure per la crescita.
Confindustria si è posta in prima linea nel delineare una strategia
coerente e coraggiosa per la crescita, che dia un chiaro segnale di
inversione di marcia.
A cominciare da una riforma fiscale per lo sviluppo, che abbia come
obiettivo una significativa riduzione del prelievo sul lavoro e le imprese,
recuperando le risorse nelle sacche di spesa improduttiva, nella riforma
delle pensioni, nella lotta all’evasione.
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Ma il primo passo è dire con chiarezza come stanno le cose e fare quello
che l’Europa chiede.
Insomma, un’altra politica economica, che si assuma le responsabilità
e ritrovi la credibilità per chiedere a tutti i sacrifici necessari. Gli
italiani non si tireranno indietro.
Ancora una volta, è stato il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano a
indicare la strada.
«Parliamoci chiaro – sono sue parole –. Nei confronti del nostro Paese è
insorta in Europa, e non solo, una grave crisi di fiducia. Dobbiamo
esserne consapevoli, e sentircene, più che feriti, spronati nel nostro
orgoglio e nella nostra volontà di recupero».
Sono parole che muovono un sussulto di responsabilità, di coesione e
ricerca unitaria delle risposte da dare.
Ma risvegliano anche un senso, non retorico, di orgoglio, che discende
dalla consapevolezza di chi siamo.
Diciamolo chiaro. L’Italia non è la Grecia. È la settima economia al
mondo, la seconda industria manifatturiera d’Europa. Ha più
patrimonio che debiti. È ricca il doppio della Spagna. Non merita ironie
e sarcasmi. Ma il rispetto deve conquistarselo. E poi pretenderlo.
Le forze del lavoro e dell’impresa, il risparmio delle famiglie, il successo
dell’export italiano sui mercati mondiali, anche in questi anni difficili,
sono altrettanti punti di forza su cui costruire.
Sta qui il vero paradosso. Tra l’incendio degli spread e i fondamentali
dell’Italia. Tra il “costo” del rischio Paese e l’ostinata vitalità di un
tessuto produttivo che nel secondo trimestre dell’anno ha battuto tutti i
Paesi avanzati – Germania compresa – per aumento dell’export (+29%).
Le imprese sono pronte a fare la loro parte.
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In questi mesi lo hanno fatto a Padova e in Veneto. Una regione con un
Pil di 142 miliardi di euro, prima per crescita attesa1 (1,3%, più della
Lombardia), seconda per l’export.
Una regione che esporta quanto il 14% dell’intera Italia, che nel primo
semestre ha registrato un aumento della produzione del 4,3%, contro il
3,3 dell’Italia.
Sono dati che inducono ad un orgoglio di responsabilità. Che non
raccontano solo di ciò che è stato fatto. Ma che mettono in luce alcune
importanti discontinuità che prefigurano gli scenari di quel che sarà il
futuro della piccola e media impresa veneta.
Nella fase più acuta della crisi è emerso un nuovo profilo di impresa:
focalizzata sul proprio business, concentrata sull’innovazione e la
conoscenza, proiettata sui nuovi mercati, integrata in reti e filiere
lunghe, aperta all’apporto di capitali e competenze esterne.
È una trasformazione da incentivare e sostenere. Soprattutto in uno
scenario in cui appare sempre più fondamentale aprirsi ai mercati e
alla domanda estera.
E in cui è altrettanto importante la disponibilità e la lungimiranza di
mettere assieme il proprio saper fare per aumentare la capacità
competitiva sui mercati.
Sta qui il futuro delle nostre imprese.
Molto è ancora da fare, sia nel mondo delle aziende, sia in quello delle
Associazioni che le rappresentano. Ma certamente siamo sulla strada
giusta.
È questo il sentimento che stasera voglio condividere con Voi. Questa la
ragione profonda di fiducia che ci deve animare – nonostante tutto –.
Ho citato il Capo dello Stato Napolitano. Termino con le parole di un altro
grande Presidente, Carlo Azeglio Ciampi.
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Unioncamere-Prometèia.
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«Guai a dimenticare chi siamo. Anche l’Italia, anche noi, abbiamo lo
spirito, la tenacia, le risorse che servono per recuperare quella fiducia che
oggi appare incrinata, quella credibilità che oggi sembra scomparsa».
«Sta in noi; sta in noi, come europei, sta in noi come italiani».
Guardiamo avanti, allora. Insieme possiamo rimettere in moto il Paese.
Vi ringrazio.
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