Durante la fase di liquidazione di una societa` di persone non si puo

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In nome del popolo italiano
TRIBUNALE DI SALERNO
I SEZIONE CIVILE
Il Tribunale di Salerno, I sezione civile, riunito in persona dei signori
Dott. Antonio Valitutti
Presidente
Dott. Maria Assunta Niccoli
Giudice
Dott. Antonio Scarpa
Giudice relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa n. 5146/2005, avente ad oggetto: opposizione a delibera di esclusione,
proposta da
MARIA STEFANIA COLARIETI, GEMMA CAPACCIO COLARIETI, GIORGIO
COLARIETI, MARINA COLARIETI, BRUNO CENTOLA, CLAUDIO NAPPI,
ERCOLE DI FILIPPO, MARIA ROSARIA VIGORITO, LAURA SCHETTINO,
PASQUALE TORELLA, ALBERTO BARBAGALLO, PANCRAZIO BELLACOSA,
DANIELE
ANGRISANI,
PASQUALE
CAMMARANO,
FLORA
ANGRISANI,
MASSIMO VIGORITO, CLELIA MARTINELLI, PAOLO NAPPI, FRANCESCO
BARBAGALLO, GIUSEPPE MANCO, ANNA SENATORE, ANIELLO NAPPI, tutti
rappresentati dai difensori Avv. A. Bellicosa ed Avv. A. Bassi, con procure apposte a
margine dell’atto di citazione
ATTORI
E
COOPERATIVA S. PIETRO AL LAGO IN LIQUIDAZIONE e MARINO CORRADO,
rappresentati dai difensori Avv. B. Corrado e L. Bocchino, con procure apposte a
margine della comparsa di risposta
CONVENUTI
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Le parti hanno preso le conclusioni di cui all’istanza di fissazione di udienza ed alla
nota ex art. 10, co. 1°, D. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5.
Svolgimento del processo e motivi della decisione
MARIA STEFANIA COLARIETI, GEMMA CAPACCIO COLARIETI, GIORGIO
COLARIETI, MARINA COLARIETI, BRUNO CENTOLA, CLAUDIO NAPPI,
ERCOLE DI FILIPPO, MARIA ROSARIA VIGORITO, LAURA SCHETTINO,
PASQUALE TORELLA, ALBERTO BARBAGALLO, PANCRAZIO BELLACOSA,
DANIELE
ANGRISANI,
PASQUALE
CAMMARANO,
FLORA
ANGRISANI,
MASSIMO VIGORITO, CLELIA MARTINELLI, PAOLO NAPPI, FRANCESCO
BARBAGALLO, GIUSEPPE MANCO, ANNA SENATORE, ANIELLO NAPPI, tutti
soci della COOPERATIVA S. PIETRO AL LAGO IN LIQUIDAZIONE, hanno citato la
medesima COOPERATIVA S. PIETRO AL LAGO, nonché il liquidatore MARINO
CORRADO, per sentir dichiarare illegittima la deliberazione del 1° giugno 2005, con
cui il liquidatore aveva deciso l’esclusione dei soci opponenti dalla cooperativa,
condannando
il liquidatore al risarcimento dei danni in loro favore. Gli attori
sostengono che l’esclusione sarebbe incompatibile con la fase di liquidazione in cui
versa la società; contestano il difetto di collegialità della determinazione di esclusione;
evidenziano il conflitto di interessi del liquidatore, avendo egli escluso quei soci che
avevano anticipato, nel non approvare il bilancio, di voler agire in responsabilità
contro di lui; deducono l’insussistenza della grave inadempienza posta a base del
provvedimento di esclusione.
La COOPERATIVA S. PIETRO AL LAGO ed il liquidatore MARINO CORRADO
evidenziano come gli attori fossero risultati morosi nel pagamento dei contributi in
base al bilancio approvato al 31 dicembre 2003, permanendo in tale condizione di
morosità pur dopo le dilazioni concesse loro dall’assemblea.
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All’udienza del 20 giugno 2006, esaurita la discussione, la causa passava in decisione e
il tribunale, vista la particolare complessità della controversia, disponeva che la
sentenza fosse depositata nei trenta giorni successivi, ex art. 16, comma 5, D. lgs. 17
gennaio 2003, n. 5.
Va premesso che GEMMA CAPACCIO COLARIETI, GIORGIO COLARIETI e
MARINA COLARIETI devono ritenersi costituiti in proprio e non tramite MARIA
STEFANIA COLARIETI, che si dichiara loro rappresentante ma non dimostra i
necessari requisiti della rappresentanza processuale posti dall’art. 77 c.p.c.
Possono di seguito partitamene prendersi in esame i motivi di opposizione
all’esclusione avanzati dagli attori.
1) E’ ammissibile procedere all’esclusione dei soci pure durante la fase di
liquidazione della società.
E’ noto come la società, sia pure regolarmente sciolta, continui in realtà a sopravvivere
come soggetto collettivo, pur dopo la messa in liquidazione, all’unico scopo di
liquidare i risultati della cessata attività sociale, sicché non è consentito ai liquidatori,
a norma degli art. 2278 e 2279 c.c., intraprendere nuove operazioni, intendendosi
per tali quelle che non si giustificano con lo scopo di liquidazione o di definizione
dei rapporti in corso, e che costituiscano, viceversa, atti di gestione
dell’impresa
sociale, da ritenersi del tutto inefficaci per carenza di potere. In particolare, i
liquidatori si intendono mandatari "ex lege", oltre che della società, anche dei creditori
sociali, che essi sono chiamati a tutelare direttamente e prima dei soci; perciò i
liquidatori devono evitare atti e comportamenti che conducano ad un fine diverso
dall’integrale soddisfacimento delle ragioni dei creditori.
Ai sensi dell’art. 2489 c.c., richiamato per le società cooperative dell’art. 2519
c.c., salvo diversa disposizione statutaria ovvero adottata in sede di nomina, i
liquidatori hanno dunque il potere di compiere tutti gli atti utili per la liquidazione
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della società, proprio come previsto pure dall’art. 2278 c.c., cui faceva rinvio il vecchio
art. 2452 c.c. Del resto, lo scioglimento di una società non ne produce l’estinzione,
continuando essa ad esistere con la stessa individualità, struttura e organizzazione;
indubbio né è però il restringimento della capacità, derivante dalla modificazione
dello scopo, che non è più quello dell’esercizio dell’impresa, bensì quello, appunto,
della sua liquidazione, attraverso la definizione dei rapporti di credito e di debito con
i terzi.
Ora, secondo un orientamento, riferito pure dalla difesa degli attuali attori, dopo la
deliberazione di scioglimento di una società, pure se non abbiano ancora avuto inizio
le operazioni di liquidazione, resterebbe in astratto addirittura preclusa la possibilità
per gli amministratori di esercitare poteri diversi da quelli previsti dall’art. 2274 c.c.;
analoghe limitazioni dovrebbe conoscere il liquidatore nel caso già fosse già stato
nominato. Nella sostanza, non si potrebbe proprio, dopo lo scioglimento della società
e la nomina dei liquidatori, procedere all’ esclusione di un socio , atteso che la
configurabilità di uno scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio ,
con liquidazione della relativa quota, troverebbe ostacolo nel passaggio della società in
una fase alla liquidazione di tutti i soci, con la ripartizione del residuo attivo, dopo
l’estinzione dei debiti (cfr. Cassazione civile, sez. I, 25 giugno 1980, n. 3982).
Di contrario avviso va altra giurisprudenza della Suprema Corte. Secondo queste
avverse pronunce, dovrebbe premettersi come la società rilevi, sul piano giuridico
(non solo come contratto, ma) come forma di organizzazione di una attività economica
da svolgere nei confronti di altri soggetti. Questo spiegherebbe perché il suo
scioglimento non faccia venir meno la forza vincolante dell’atto dal quale ha avuto
origine, ma segni l’inizio di una nuova fase (la liquidazione), destinata a definire i
molteplici rapporti derivati dall’esercizio dell’attività programmata e a ripartire
l’eventuale residuo tra i soci. Invero, il verificarsi di un fatto che determina lo
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scioglimento della società non comporta affatto la cessazione dell’autonomia
patrimoniale, che anzi si rafforza (artt. 2271, 2280 c.c.), non libera i soci dall’obbligo di
effettuare i conferimenti (art. 2280, secondo comma, c.c.), nè infine determina la
dissoluzione dell’organizzazione sociale, poiché anche in tale fase è individuabile una
ripartizione di organi e di competenze finalizzata al raggiungimento di una finalità di
comune interesse (la definizione delle passività sociali) che la legge considera
necessariamente collegata alla gestione delle società (art. 2280 c.c.). Ciò starebbe
piuttosto ad indicare che, benché sciolta, la società permane come gruppo organizzato
e che i soci continuano ad essere titolari di diritti e di obblighi: cadrebbe
conseguentemente la premessa dogmatica propensa a negare l’operatività, durante la
liquidazione, delle cause di scioglimento del rapporto sociale limitatamente a un socio.
Nè, per giungere ad una diversa conclusione, varrebbe richiamarsi all’art. 2270,
secondo comma, c.c., posto che il principio desumibile da tale disposizione non è
quello della prevalenza delle cause di scioglimento della società rispetto allo
scioglimento del singolo rapporto sociale, ma quello - ben diverso - della impossibilità
di ottenere, dopo lo scioglimento della società , la liquidazione della quota ai sensi
dell’art. 2289 c.c.: principio che costituisce il necessario corollario dell’altro, che vieta di
effettuare riparti o rimborsi in favore dei soci prima delle estinzione delle passività
sociali (artt. 2280, 2282 c.c.), e che non vi è nessuna difficoltà a ritenere operante anche
rispetto alle cause di scioglimento del singolo rapporto sociale quando esse
sopravvengano durante la liquidazione della società . Questo diverso orientamento,
che il Tribunale vuole condividere, riconosce pertanto che non vi sono ostacoli alla
possibilità di deliberare l’esclusione dalla compagnie sociale dei soci durante la fase di
liquidazione, ove questi sia siano resi colpevoli di gravi inadempienze rispetto ai
doveri imposti dall’atto costitutivo o dalla legge, in maniera da non aggravare lo stato
dell’impresa e lo stesso procedimento di liquidazione, anche laddove si sia verificato
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un fatto che abbia determinato lo scioglimento della società : del resto, se così non
fosse, i soci inadempienti dovrebbero essere ammessi a partecipare alla vita della
società , pur versando in una delle situazioni che legittimano l’esclusione, e questo
apparirebbe non solo irragionevole, ma altresì contrario ai principi che reggono
l’esecuzione del contratto di società, il quale dà vita alla costituzione di una comunione
di interessi, la cui esistenza, se giustifica la subordinazione dell’interesse del singolo
socio a quello della maggioranza, certamente esclude che possano essere assunti
legittimamente
(e,
quindi,
senza
alcuna
conseguenza
sul
piano
giuridico)
comportamenti in danno degli altri soci o della società nel suo complesso (così
Cassazione civile, sez. I, 15 luglio 1996, n. 6410). Per di più, come si osserva in dottrina,
ove si vietasse l’esclusione di un singolo durante la liquidazione della società, si
porrebbero i soci nell’impossibilità di fatto di adottare quelle decisioni per le quali è
richiesta l’unanimità.
Non è dunque corretto sostenere che la società in liquidazione entri in uno stato di
limitata capacità di agire, nel quale verrebbe meno non solo l’interesse ad un
provvedimento di esclusione ma, una volta ultimata la liquidazione , anche lo status di
socio. Autorevoli ricerche avevano in effetti sostenuto che, una volta sciolta la società,
non si potesse più parlare nemmeno di persistenza del contratto sociale per il venir
meno degli effetti tipici che dal contratto derivavano e, cioè, la destinazione dei beni
sociali alla prosecuzione di un lucro mediante l’esercizio di una attività in comune. E’
invece ormai convincimento acquisito che, pur dopo il verificarsi di una causa di
scioglimento, la società continua ad esistere e che lo stesso stato di liquidazione debba
collocarsi dentro l’ambito del contratto di società. Sarebbe contrario allo stesso scopo
istituzionale della fase di liquidazione della società ritenere che il verificarsi di un
fatto che cagioni ex se la liberazione dei soci dall’obbligo di effettuare i conferimenti: e
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tale persistenza di obblighi, di organi e di competenze merita di essere presidiata
mediante un efficace strumento di reazione quale l’esclusione dei soci inadempienti.
Altro discorso è quello della incompatibilità della liquidazione anticipata della quota
di colui che sia stato escluso contrasta con lo scopo della liquidazione della società. Il
problema si risolve, come visto, precludendo il soddisfacimento del socio escluso
prima della completa definizione dei rapporti sociali.
2.) Competenza e procedimento in ordine all’esclusione dei soci morosi.
L’art. 2533, comma 2, c.c. prevede che l’esclusione del socio deve essere deliberata
dagli amministratori o, se lo richieda l’atto costitutivo, dall’assemblea. L’art. 13.2. dello
statuto della COOPERATIVA S. PIETRO AL LAGO afferma che l’esclusione deve
essere deliberata dagli amministratori. Anche per quanto sopra detto, può riconoscersi
la competenza del liquidatore a deliberare l’esclusione dei soci inadempienti.
Il provvedimento espulsivo dei soci della cooperativa, firmato dal liquidatore in data
1° giugno 2005, risulta quindi idoneo ad integrare gli estremi identificativi di una
deliberazione di esclusione, emergendo sia il requisito soggettivo della sua
imputabilità al liquidatore, competente in luogo del consiglio di amministrazione, sia il
requisito oggettivo della sua esternazione attraverso il procedimento destinato alla
formazione della volontà dell’organo, nella specie individuale e non collegiale.
Non risultano del resto documentate specifiche limitazioni dei poteri attribuiti al
liquidatore avvocato Marino Corrado imposte dall’assemblea, essendo la volontà
assembleare fonte delle attribuzioni del liquidatore stesso. Anzi, l’assemblea del 28
febbraio 2004, nell’approvare il bilancio al 28 febbraio 2004, deliberò altresì
all’unanimità di dare mandato al liquidatore di attore i necessari provvedimenti nei
confronti dei soci morosi nel pagamento dei contributi, ivi compresa l’esclusione degli
inadempienti dalla cooperativa.
3) Non sussistono i requisiti per l’esclusione; la domanda risarcitoria non è fondata.
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L’ esclusione del socio di una società cooperativa, secondo la previsione dell’art. 2533
n. 2 e 4 c.c. (pure in relazione all’art. 2286 c.c.), può aver luogo per inadempimento di
obbligazioni che discendano dalla legge o dal contratto sociale. Si tratta pertanto di
requisiti necessari, sindacabili dal giudice in sede d’impugnazione da parte
dell’interessato della deliberazione espulsiva, ed attinenti alla colposità di tale
inadempimento, da presumersi in applicazione della regola generale dell’art. 1218 c.c.,
ed alla gravità del medesimo, da riscontrarsi in relazione al pregiudizio arrecato al
perseguimento dello scopo sociale. Non si richiede invece che, nella contestazione al
socio del fatto, si preannunci espressamente l’adozione del relativo provvedimento. In
presenza degli indicati requisiti, resta sottratta al giudice dell’impugnazione ogni
valutazione sull’opportunità dell’ esclusione, vertendosi in tema di scelte discrezionali
della società.
Il Tribunale ritiene allora di rilevare la mancanza di gravità delle inadempienze
contestate ai soci esclusi nella delibera del 1° giugno 2005. Si contesta, invero, ai soci
ora attori il pagamento pagamento di contributi per importi variabili da un importo
massimo di € 2.293,70 ad un importo minimo di appena € 116,20. Per dieci degli
esclusi, gli inadempimenti perdurano addirittura da trenta anni, e sono stati fino ad un
anno fa tollerati; per gli altri morosi, gli inadempimenti vanno avanti dal 1989. E’ del
tutto evidente che dette remote inadempienze, economicamente modeste, non sono
state tali da impedire il raggiungimento dell’ambizioso scopo sociale (di cui all’art. 5
dello Statuto: costruzione di abitazioni, coltivazione dei terreni, allevamento del
bestiame, ecc.), né possono aver comunque inciso negativamente sulla situazione della
cooperativa, rendendone meno agevole il perseguimento dei fini (cfr. Cassazione
civile sez. I, 1 giugno 1991 n. 6200; Cassazione civile, sez. I, 14 luglio 1988, n. 4598;
Cassazione civile, sez. I, 17 aprile 1982 n. 2344).
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D’altro conto, l’esclusione dei soci opponenti neppure sembra ispirata dallo scopo –
che dovrebbe governare l’attuale fase della Cooperativa S. PIETRO AL LAGO - di
liquidare i risultati della cessata attività sociale e di definire i rapporti in corso, in
maniera da pervenire all’integrale soddisfacimento delle ragioni dei creditori.
Piuttosto, la determinazione espulsiva sembrerebbe realmente configurabile come una
forma impropria di reazione del liquidatore al promovimento da parte dei soci qui
attori di un aspro contenzioso nei suoi confronti, iniziato nel maggio 2005.
Manca perciò la gravità dell’inadempimento dei soci e la delibera di esclusione va
dichiarata illegittima.
Quanto invece alla domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti del
liquidatore (perciò passivamente legittimato in proprio rispetto ad essa), è vero che è,
in teoria, ipotizzabile una pronuncia di condanna al risarcimento dei danni in favore
del socio di
una
società
che
sia
stato illegittimamente escluso
dalla società
medesima, per il potenziale pregiudizio conseguente all'estromissione dall'attività
societaria. Tale aspirazione risarcitoria non trova ostacolo nemmeno nella circostanza
che la società si trovi in fase di liquidazione, giacché, anche a prescindere dalla
eventualità che la liquidazione sia revocata, pure in tale situazione viene a
verificarsi una estromissione in relazione alle attività inerenti alla definizione della
situazione patrimoniale della società.
Nel caso in esame, tuttavia, negata in radice la possibilità di limitare la pronuncia
all’an debeatur, con condanna generica di risarcimento e rinvio della liquidazione ad
altro giudizio, va riaffermato l’onere a carico degli istanti di provare il danno in tutti
i suoi elementi. Non può soccorrere, vista la totale inerzia istruttoria degli attori, il
potere
discrezionale riconosciuto al giudice
dall’art. 1226 c.c. di liquidare
equitativamente il danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare,
atteso che il criterio sussidiario di valutazione equitativa non esonera comunque la
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parte dal fornire elementi probatori circa la sussistenza del danno stesso, in modo da
consentire che l’apprezzamento equitativo sia, per quanto possibile, limitato
e
ricondotto alla sua caratteristica funzione di colmare soltanto le inevitabili lacune al
fine della precisa determinazione del danno. Gli attori, invece, nulla hanno dedotto
circa la situazione
patrimoniale della cooperativa, e circa il pregiudizio da loro
risentito per non aver potuto partecipare alla compagine sociale in seguito alle
illegittime esclusioni del 1° giugno 2005.
Non sussistono gli estremi per disporre la cancellazione delle espressioni contenute nel
capo 5) della memoria di replica degli attori, inserendosi esse nel loro sistema
difensivo e non rivelando alcun intento gratuitamente denigratorio della controparte,
in quanto piuttosto preordinate a dimostrare una valutazione negativa del
comportamento dell’avversario.
Tenuto conto della soccombenza degli attori quanto alla domanda risarcitoria
formulata nei confronti del liquidatore in proprio, nonché della complessità delle
questioni di diritto affrontate, ed ancora del comportamento preprocessuale e
processuale osservato dalle parti, paiono sussistere giusti motivi per compensare tra le
stesse le spese processuali sostenute.
p.q.m.
Il Tribunale di Salerno, I sezione civile, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione
disattesa, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da MARIA
STEFANIA COLARIETI, GEMMA CAPACCIO COLARIETI, GIORGIO COLARIETI,
MARINA COLARIETI, BRUNO CENTOLA, CLAUDIO NAPPI, ERCOLE DI FILIPPO,
MARIA ROSARIA VIGORITO, LAURA SCHETTINO, PASQUALE TORELLA,
ALBERTO BARBAGALLO, PANCRAZIO BELLACOSA, DANIELE ANGRISANI,
PASQUALE CAMMARANO, FLORA ANGRISANI, MASSIMO VIGORITO, CLELIA
MARTINELLI, PAOLO NAPPI, FRANCESCO BARBAGALLO, GIUSEPPE MANCO,
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ANNA SENATORE, ANIELLO NAPPI, nei confronti della COOPERATIVA S. PIETRO
AL LAGO IN LIQUIDAZIONE, nonché di MARINO CORRADO,
dichiara illegittima la deliberazione di esclusione dei soci attori, adottata dal
liquidatore della COOPERATIVA S. PIETRO AL LAGO IN LIQUIDAZIONE in data 1°
giugno 2005;
rigetta la domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti di MARINO
CORRADO;
compensa per intero tra le parti le spese processuali sostenute.
Salerno, 4 luglio 2006
Il Presidente
Il Giudice estensore
Dott. Antonio Valitutti
Dott. Antonio Scarpa
11
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