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Modulo 16: L’intervento pubblico
16.1. Regolamentazione dell’attività economica
Seguendo quello che abbiamo appreso fino a questo momento, ci verrebbe da pensare che il
nostro sistema economico può essere tranquillamente composto solamente da due categorie di
soggetti: gli individui e le imprese; le cui intenzioni si incontrano e si equilibrano all’interno
di quel luogo fisico o ideale che è il mercato. Non sembrano essere necessari altri protagonisti
poiché, da quello che abbiamo appreso, se vige una condizione di concorrenza perfetta, è
garantita una allocazione delle risorse efficiente. Tuttavia già dalle pagine iniziali di questo
corso che, seppur ci siamo limitati ad osservare situazioni molto semplificate rispetto alla
realtà effettiva, sappiamo che altri soggetti sono coinvolti nelle interazioni che danno corpo al
sistema economico. Uno di questi è lo Stato (o Governo o Pubblica Amministrazione), il
quale, come vedremo, contribuisce a regolamentare con le proprie scelte talune specifiche
situazioni che si configurano a seguito delle dinamiche di mercato.
Il termine “settore regolamentato” fa generalmente pensare alle imprese che effettuano una
qualche funzione di pubblica utilità, come le società che si occupano dell’erogazione di
servizi telefonici ed energetici. Queste e altre imprese simili sono soggette a una
regolamentazione di carattere economico, nel contesto della quale sono varie autorità a fissare
i prezzi e a decidere chi deve vendere e che cosa. Anche se sono pochi i casi limite di settori
dell’economia completamente regolamentati, non è troppo distante dalla realtà l’affermazione
secondo la quale tutti i mercati sono in qualche modo soggetti a forme più o meno
“pervasive” di regolamentazione. Un esempio chiaro viene dall’industria automobilistica
americana. Nonostante il mercato automobilistico non sia appunto un settore regolamentato,
la Federal Trade Commission si pronuncia sulla correttezza o meno della pubblicità dei
prodotti; la Environmental Protection Agency regolamenta l’inquinamento provocato dagli
impianti di produzione e assemblaggio; la U.S. Occupational Safety and Health
Administration impone norme stringenti per la salvaguardia della salute e dell’integrità dei
lavoratori durante la loro attività. L’industria delle automobili statunitense non deve essere
considerata come un caso isolato. A ben guardare, sono molti i settori dell’economia
sottoposti a normative simili a quelle poc’anzi elencate. Ne sono un esempio le banche
commerciali, le compagnie assicurative e le altre istituzioni che raccolgono depositi, ma
anche l’attività di molte categorie come avvocati, notai, commercialisti, architetti e ingegneri,
i quali sono tenuti a superare un esame prima di poter esercitare la propria professione.
Persino l’apertura del semplice esercizio commerciale “dietro l’angolo” deve sottostare al
conferimento di specifiche autorizzazioni, siano esse sanitarie, di sicurezza o semplicemente
relative alla costruzione e all’utilizzo degli immobili urbani. Inoltre, come abbiamo visto dalla
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precedente lezione, tutte le imprese sono soggette alle norme che vietano pratiche
anticoncorrenziali, come ad esempio la costituzione di cartelli.1
L’economista Merton J. Peck un giorno ebbe a dire “gli economisti fabbricano le pallottole
che i politici si sparano l’un l’altro”. L’immagine è abbastanza forte, ma è una buona
metafora per sottolineare come, in definitiva, siano i politici, non gli economisti, a svolgere un
ruolo determinante nella regolamentazione della vita pubblica. In questa loro attività, l’analisi
economica rappresenta certamente un elemento di ispirazione, a volte diretto a volte indiretto.
Al fine di delineare i tratti salienti dell’intervento pubblico in economia, in questo modulo
riporteremo il complesso di attività che richiedono il ruolo normativo dello Stato e i principali
strumenti che esso adotta. Nei moduli successivi svilupperemo alcune problematiche,
maggiormente collegate all’analisi economica dell’equilibrio di mercato, che si pongono
quale ulteriore giustificazione della presenza dello Stato in economia.
16.2. Gli strumenti “economici” dello Stato
I limiti e le potenzialità dei poteri pubblici all’interno di un paese è oggetto di speculazioni e
approfondimenti filosofici fin dai tempi della polis nella Grecia classica. La nostra
discussione prende avvio da epoche più recenti e si concentra sulle attività che hanno
implicazioni di natura economica. Dal preambolo di questo modulo, sembra che in una
economia industriale moderna non esista sfera della vita economica che possa essere
completamente scevra da una qualche forma di “controllo governativo”. Questa attività si
articola prevalentemente attraverso i seguenti strumenti:
1. Le imposte. Rappresentano l’elemento cardine del cosiddetto sistema fiscale.
Riducendo il reddito, le imposte limitano la spesa dei consumatori, tuttavia forniscono
le risorse per la spesa pubblica, ovvero l’acquisto dei beni e servizi di pubblico
interesse. Il sistema fiscale ha inoltre la duplice funzione di scoraggiare alcune attività
tassandole maggiormente (come ad esempio il consumo di sigarette) e di incoraggiare
altri settori tassandoli meno (ad esempio la proprietà della prima casa);
2. Le spese e i trasferimenti. La Pubblica Amministrazione “spende” le proprie risorse
per produrre beni e servizi (carri armati, istruzione, ordine pubblico, ecc.) ed eroga
trasferimenti (pensioni, sussidi di disoccupazione, ecc.) che sostengono i redditi dei
cittadini meno abbienti o in condizioni di non poter partecipare della vita produttiva,
per ragioni di età o di impedimento fisico;
3. Le regolamentazioni. Lo Stato effettua una serie di controlli che spingono gli
individui a eseguire o a evitare certe attività economiche (come ad esempio le norme
che limitano l’inquinamento prodotto dalle imprese, o che regolamentano le
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Fischer, Dornbusch e Schmalensee (1996)
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condizioni ambientali di lavoro, o che richiedono informazioni sul potere nutritivo
degli alimenti).
Come molte delle variabili che abbiamo incontrato fino a questo momento, quelle che
descrivono i conti dello Stato sono forse le più conosciute dall’opinione pubblica, dato che
con cadenza quasi quotidiana, se ne sente parlare attraverso i principali organi di
informazione. Per oltre un secolo, il reddito nazionale e la produzione hanno presentato un
andamento crescente in quasi tutte le economie industriali e, contemporaneamente, in molti
paesi la spesa pubblica è aumentata ancora più rapidamente. I periodi di crisi (depressioni,
guerre o calamità naturali molto gravi) richiedono ovviamente una estensione dell’attività
dello Stato per porre rimedio, dunque si assiste ad una espansione della spesa pubblica.
Tuttavia, una volta superate le emergenze, i controlli e la spesa pubblica non tornano mai ai
livelli precedenti. Ad esempio, negli precedenti alla Prima Guerra Mondiale, negli Stati Uniti
il totale della spesa pubblica o dell’imposizione fiscale a livello statale e federale, ammontava
a poco più del 10% dell’intero prodotto interno lordo (Pil). Durante la Seconda Guerra
Mondiale, la Pubblica Amministrazione fu costretta a consumare circa metà dell’output
nazionale totale, che nel frattempo era notevolmente aumentato. All’inizio degli anni Novanta
la spesa pubblica degli Stati Uniti rappresentava il 35% circa del prodotto interno lordo (Pil).2
Figura 16.1: Andamento della spesa pubblica italiana (Milioni di euro) 3
Per quanto riguarda l’Italia, così come per molti dei maggiori paesi europei, il rapporto tra
spesa pubblica e Pil è cresciuto notevolmente negli anni Settanta e Ottanta, mentre la
pressione tributaria (il rapporto tra entrate fiscali e Pil) è cresciuta in maniera inferiore, e in
ritardo rispetto alla dinamica della spesa. L’effetto è stato l’accumulo di debito pubblico, che
oggi, nonostante i ben noti vincoli imposti dai parametri di Maastricht, si aggira attorno a
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Samuelson e Nordhaus (1996).
Fonte dati: Eurostat, Government expenditure by function.
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quote superiori al 100% del Pil. In effetti per l’Italia le casse dello Stato rappresentano un
vera e proprio nervo scoperto della politica economica; spesso al centro di un rimbalzo di
responsabilità tra una parte politica e l’altra. In Figura 16.1 può essere notato l’andamento
della spesa pubblica italiana nell’ultimo decennio. È possibile osservare un chiaro e marcato
trend crescente che, dall’inizio degli anni Duemila interrompe una certa stabilità media che si
era osservata negli anni precedenti. È ipotizzabile che questa crescita sarà senz’altro
confermata qualora saranno disponibili i nuovi dati, visti gli impegni assunti per il
superamento della crisi attualmente in atto.
16.3. La funzione della Pubblica Amministrazione
Stiamo cercando di esplorare, con gradualità, il modo in cui uno Stato svolge il proprio ruolo
in un sistema economico e interagisce con esso in qualità di soggetto economico anch’esso.
Quali sono gli obiettivi economici della Pubblica Amministrazione in una moderna
economia? Di seguito verranno esaminate le quattro principali finalità che essa persegue
attraverso le proprie attività:
1.
2.
3.
4.
Miglioramento dell’efficienza economica;
Miglioramento della distribuzione del reddito;
Stabilizzazione mediante politiche macroeconomiche;
Rappresentare il paese al livello internazionale.
Miglioramento dell’efficienza economica. Uno dei principali obiettivi economici della
Pubblica Amministrazione è quello di guidare l’allocazione delle risorse nel modo desiderato
dalla società. Questo aspetto microeconomico della politica pubblica si concentra sul “cosa” e
sul “come” della vita economica. Le politiche microeconomiche variano da Stato a Stato a
seconda delle diverse abitudini e filosofie politiche: alcuni paesi preferiscono un approccio di
non intervento, nello stile del quasi completo laissez-faire, e lasciano che sia il mercato a
prendere la maggior parte delle decisioni. In altri, l’intervento pubblico è invece più
consistente: viene posto l’accento sui compiti di controllo e lo Stato stesso è spesso
proprietario di imprese in cui le decisioni relative alla produzione e all’offerta sono di
competenza di pianificatori pubblici.
Nelle economie di mercato ci attendiamo, almeno per quello che riguarda le questioni
microeconomiche, che sia il mercato a risolvere i problemi; eppure talvolta l’intervento
pubblico si rende necessario per correggere le decisioni allocative derivanti dalla domanda e
dall’offerta di mercato. Un sistema liberistico in cui si attua un intervento pubblico minimo,
potrebbe rappresentare un sistema valido, se le condizioni che assicurano la concorrenza
perfetta fossero sufficientemente operanti. In tutte le società umane, in realtà, queste
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condizioni vengono in qualche misura violate. Inoltre, come vedremo in seguito (ma come in
parte già sappiamo), molti tipi di produzione possono avvenire nel modo più efficiente
soltanto in unità troppo grandi per un sistema di concorrenza perfetta; le fabbriche non
regolamentate tendono a inquinare l’aria, l’acqua e il territorio; spesso si diffondono malattie
infettive e i mercati privati non sono sufficientemente incentivati a sviluppare efficaci
programmi di sanità pubblica; i consumatori sono poco informati sulle caratteristiche dei beni.
Miglioramento della distribuzione del reddito. Anche se la mano invisibile di Smith opera
nel modo più efficiente possibile, si può ugualmente verificare un’enorme sperequazione nella
distribuzione del reddito. In un sistema caratterizzato dal laissez-faire gli individui possono
essere molto ricchi o molto poveri a seconda della ricchezza ereditata, delle doti e
dell’impegno personali, della fortuna che consente, per esempio, di trovare il petrolio o di
possedere terreni in determinate zone, e infine in base all’appartenenza a un sesso piuttosto
che all’altro e al colore della pelle. Ad alcuni, la distribuzione del reddito derivante dalla
concorrenza non regolamentata appare tanto arbitraria quanto la distribuzione darwiniana del
cibo tra gli animali nella giungla.
Nelle società più povere l’eccedenza di reddito prelevabile dai ricchi per trasferirla ai
poveri è contenuta, ma via via che le società umane si arricchiscono, aumentano anche le
risorse disponibili per i servizi sociali. La ridistribuzione del reddito è la seconda funzione
economica pubblica per ordine di importanza. Oggi negli Stati dell’America settentrionale e
dell’Europa occidentale, i governi destinano una parte significativa del reddito al
mantenimento dei livelli minimi di sanità, alimentazione e reddito; ciò avviene in genere
tramite politiche di imposizione fiscale e di spesa, ma in alcuni casi anche la
regolamentazione riveste un ruolo importante. Nei paesi avanzati vigono determinati principi
fondamentali come ad esempio che i bambini non devono soffrire la fame a causa delle
condizioni di indigenza dei genitori, che i poveri non devono morire perché non possono
premettersi cure adeguate, che i giovani devono essere istruiti a spese dello Stato e che gli
anziani devono disporre di un livello minimo di reddito.
Stabilizzazione mediante politiche macroeconomiche. I primi esempi di capitalismo erano
caratterizzati da periodi di inflazione e depressione, e i ricordi traumatici della Grande
Depressione degli anni Trenta rivivono oggi nelle terribili conseguenze della crisi economica
promanata dall’esplosione della bolla speculativa immobiliare nell’estate del 2007. Oggi i
Governi si assumono la responsabilità di evitare il ripetersi di tali disastri mediante
un’assennata politica fiscale e monetaria e una rigorosa regolamentazione del sistema
finanziario; cercano inoltre di attenuare i cicli economici per evitare gli effetti di alcune
patologie di sistema quali la disoccupazione su vasta scala o la violenta inflazione dei prezzi.
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In tempi relativamente recenti, hanno iniziato a occuparsi dello sviluppo di politiche
economiche in grado di incrementare la crescita economica nel lungo periodo.4
Rappresentanza dello Stato a livello internazionale. In anni recenti, il commercio e la
finanza internazionali hanno assunto un’importanza sconosciuta in passato, e ciò significa che
oggi i governi svolgono l’importante funzione di rappresentare gli interessi nazionali sulla
scena internazionale e di negoziare accordi vantaggiosi con altri paesi. Le questioni
internazionali della politica economica possono essere raggruppate in quattro aree principali:

Riduzione delle barriere commerciali. Un parte rilevante della politica economica
riguarda l’armonizzazione delle leggi e la riduzione delle barriere commerciali,
favorendo il più possibile il libero scambio tra i paesi. Negli ultimi anni sono stati
negoziati numerosi accordi commerciali per ridurre i dazi doganali e altre barriere
commerciali su prodotti industriali e servizi. Nel 1993, ad esempio, Stati Uniti,

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Messico e Canada conclusero l’accordo definito NAFTA (North American Free
Trade Agreement, ovvero il Patto Nordamericano di Libero Commercio) finalizzato
alla riduzione delle barriere commerciali tra di loro. Più o meno nello stesso periodo
le nazioni europee, tra cui l’Italia, eliminarono molte delle restrizioni alla libera
circolazione di lavoro e capitale, procedendo nel cammino che conduceva verso
l’Unione Europea. La negoziazione che accompagna la stipula di questi accordi non
è mai agevole. Seppur siano noti i benefici degli scambi, infatti, in alcuni casi
l’eliminazione di barriere commerciali può rappresentare la rimozione di uno
strumento di difesa di alcuni gruppi sociali. Ciò avviene quando ad esempio
l’eliminazione dei dazi può causare la contrazione dell’occupazione in una
determinata industria. Oppure, in alcuni casi, gli accordi internazionali possono
comportare una qualche riduzione della sovranità nazionale quale prezzo da pagare
per ottenere un aumento dei redditi. Supponiamo che le leggi di uno Stato
proteggano i diritti di proprietà intellettuale, come i brevetti o i diritti di autore,
mentre in altri Stati la legge consenta di copiare liberamente libri, DVD e software.
Quali leggi avranno il sopravvento?
Programmi di assistenza. Le nazioni ricche dispongono di numerosi programmi per
il miglioramento delle condizioni dei poveri di altri Stati. Questi programmi
prevedono aiuti diretti ai paesi stranieri, assistenza tecnica e, in caso di calamità, il
supporto di istituzioni come la Banca Mondiale (http://www.worldbank.org/), che
Questi problemi, come avevamo accennato in apertura di corso, sono approfonditi nella branca della
macroeconomia.
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
offre prestiti a condizioni molto favorevoli, e concessioni sulle esportazioni verso
nazioni povere;
Coordinazione delle politiche macroeconomiche. Le nazioni si sono rese conto che
l’accresciuta interdipendenza economica richiede la coordinazione delle politiche
macroeconomiche per combattere fenomeni quali la disoccupazione e l’inflazione. I
tassi di cambio (vale a dire i prezzi relativi delle valute di nazioni diverse) non si
gestiscono da sé, e la creazione di un sistema di cambi armonico costituisce un
prerequisito per l’efficienza del commercio internazionale. Le politiche fiscali e
monetarie di un paese possono infatti influire sulle condizioni economiche di altri.
Quando nel 1979 gli Stati Uniti alzarono i tassi di interesse per combattere
l’inflazione, la scarsità di moneta in circolazione provocò una recessione mondiale e
una crisi del debito internazionale. Negli anni Ottanta, soprattutto nelle zone
caratterizzate da una forte integrazione, come ad esempio l’Europa Occidentale, gli
Stati si sforzano di coordinare le loro politiche fiscali e monetarie in modo che

l’inflazione e la disoccupazione di uno Stato non si estendano fino a provocare effetti
negativi nell’intera zona;
Protezione dell’ambiente. La novità più recente della politica economica
internazionale consiste nella collaborazione tra nazioni al fine di proteggere
l’ambiente nei casi in cui numerosi paesi partecipano alla gestione di una certa
risorsa ambientale. In anni passati i campi in cui si sono ottenuti maggiori successi
dalla negoziazione multilaterale sono stati la salvaguardia del pesce nelle acque
internazionali e la preservazione dell’acqua dei fiumi. Al giorno d’oggi, la crescente
preoccupazione per il carico di emissioni a cui l’ambiente è sottoposto, con
conseguenti fenomeni di surriscaldamento del globo, deforestazione e l’incedere
nell’estinzione di intere specie animali e vegetali, gli Stati hanno iniziato ad
analizzare e sviluppare strategie risolutive. Si pensi ad esempio ai meccanismi
previsti dal Protocollo di Kyoto o al pacchetto di direttive europee noto come “2020-20” attraverso il quale si punta a ridurre del 20% le emissioni di gas serra e ad
incrementare del 20% la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili; il tutto
entro il 2020. È chiaro che i problemi ambientali a livello internazionale possono
essere risolti solo tramite la cooperazione di numerose nazioni anche se l’elevato
numero di parti in causa è spesso un ostacolo alla conclusione di risultati concreti.
16.4. Breve storia dell’Unione Europea
Chiudiamo questo modulo ripercorrendo per grandi linee la storia dell’Unione Europea, che
rappresenta il massimo esempio, a noi vicino sia geograficamente che storicamente, di come i
governi abbiamo in definitiva un ruolo determinante nel regolare la vita economica interna e
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esterna di un paese. La storia “moderna” del vecchio continente è una storia di guerre tra
potenze rivali. Basti pensare alle frequenti e accese ostilità che fin dal Cinquecento hanno
insanguinato Spagna, Francia, Germania e Italia. Dopo la catastrofe della Seconda Guerra
Mondiale, alcuni statisti europei si convinsero che l'unico modo per garantire una pace
duratura tra i loro paesi era unirli economicamente e politicamente. Fu così che nel 1950 il
ministro degli esteri francese Robert Schuman propose una prima forma di integrazione che
coinvolgesse i settori del carbone e dell'acciaio dell'Europa occidentale, materie prime chiave
per l’industria pesante (dunque anche per il settore degli armamenti). Da questa proposta
scaturì, nel 1951, la Comunità Europea per il Carbone e l'Acciaio (CECA), che all’alba della
sua costituzione contava sei membri fondatori: Belgio, Germania Occidentale, Lussemburgo,
Francia, Italia e Paesi Bassi. Il potere di prendere decisioni riguardanti l'industria del carbone
e dell'acciaio di questi paesi fu conferito ad un organismo indipendente e sopranazionale
denominato Alta Autorità, il cui primo presidente fu Jean Monnet.
La CECA venne entro breve considerata un successo tanto che, nell'arco di pochi anni, gli
stessi sei paesi decisero di compiere un passo successivo, integrando altri settori delle proprie
economie. Nel 1957, con la firma del Trattato di Roma, vennero sancite l’istituzione della
Comunità Europea dell'Energia Atomica (EURATOM) e della Comunità Economica Europea
(CEE), primo vero “embrione”, quest’ultima, della odierna Unione Europea, dato che gli Stati
membri si impegnarono a rimuovere le barriere commerciali fra loro esistenti per raggiungere
l’obiettivo di costruire un mercato comune. Nel 1967 venne decisa la fusione in un unico
soggetto di tutte le tre istituzioni che fino a quel momento avevano scandito il processo di
aggregazione politica ed economica dell’Europa. A seguito di questa evoluzione, il potere
politico venne concentrato in una Commissione, un Consiglio dei ministri e un Parlamento
europeo. In origine, gli europarlamentari venivano scelti dai parlamenti nazionali, fino al
1979, anno in cui ebbero luogo le prime elezioni dirette, che consentirono ai cittadini degli
Stati membri di esprimere attraverso il voto un candidato di loro scelta. Da allora le elezioni
dirette si svolgono ogni cinque anni.
Un ulteriore decisivo passo verso l’integrazione si ebbe con il Trattato di Maastricht (1992),
il quale introdusse nuove forme di cooperazione tra i Governi degli Stati membri, soprattutto
in materia di difesa, giustizia e affari interni. Aggiungendo questa forma di cooperazione
intergovernativa al sistema "comunitario" esistente, il trattato di Maastricht ha creato l'Unione
Europea (UE). L'integrazione economica e politica tra gli Stati membri dell'Unione europea
comporta l'obbligo per questi paesi di prendere decisioni congiunte su molte questioni. Essi
hanno pertanto elaborato politiche comuni in molteplici settori: dall'agricoltura alla cultura,
dalla tutela dei consumatori alla concorrenza, dall'ambiente ed energia ai trasporti e agli
scambi. Inizialmente l'accento era posto su una politica commerciale comune per il carbone e
l'acciaio e su una politica agricola comune.
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Col passare del tempo e col presentarsi dell'esigenza si sono aggiunte nuove politiche.
Alcuni dei principali obiettivi strategici sono cambiati alla luce delle mutate circostanze: ad
esempio, l'obiettivo della politica agricola non consiste più nel produrre la maggior quantità di
alimenti ai prezzi più convenienti, bensì nel sostenere sistemi agricoli che garantiscano la
produzione di alimenti sani e di alta qualità nonché la tutela dell'ambiente, aspetto ormai
presente nell'ambito di tutte le politiche comunitarie. Anche le relazioni dell'Unione Europea
con il resto del mondo sono diventate essenziali. L'UE conduce negoziati in materia di
importanti scambi commerciali e di accordi di assistenza con altri paesi e sta inoltre
sviluppando una politica estera e di sicurezza comune.
Durante gli anni Novanta è diventato sempre più facile per le persone circolare liberamente
in Europa, grazie all'abolizione dei controlli doganali e dei passaporti presso la maggior parte
delle frontiere interne dell'UE. Ciò ha significato, tra l'altro, una maggiore mobilità per i
cittadini dell'Unione. La completa rimozione di tutte le barriere commerciali tra gli Stati
membri, al fine di istituire un mercato comune, è stato un processo molto lento formalmente
compiutosi nel 1992 con la creazione di un vero e proprio “mercato unico europeo”, in cui è
garantita la piena liberta di circolazione di beni, servizi, persone e capitali. 5 Il passaggio
chiave è stata la definizione dei 5 parametri di convergenza e l’istituzione dell'Unione
Economica e Monetaria (UEM), basata essenzialmente sull'introduzione di una moneta unica
in luogo delle valute nazionali e l’affidamento dei poteri di politica monetaria da ogni singola
banca centrale ad un’unica Banca Centrale Europea.6 La moneta unica (euro) è divenuta realtà
il 1° gennaio 2002, quando banconote e monete in euro hanno iniziato a sostituire
gradualmente le valute nazionali in dodici dei 15 paesi dell'Unione Europea (Belgio,
Germania, Grecia, Spagna, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Austria,
Portogallo e Finlandia). Lo spazio politico dell’UE si è gradualmente estesa grazie a
progressivi allargamenti avvenuti negli anni successivi, in particolare:
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1973: Danimarca, Irlanda e Regno Unito;
1981: Grecia;
1986: Spagna e Portogallo;
1995: Austria, Finlandia e Svezia;
2004: Lettonia, Estonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria,
Slovenia, Malta e Cipro;
2007: Bulgaria e Romania.
In verità, in alcuni settori la completa integrazione a livello europeo ancora “latita”. Si pensi, ad esempio, alla
creazione di un effettivo mercato unico dei servizi finanziari.
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Rispetto al “vecchio ordinamento”, le singole banche centrali nazionali hanno preservato il potere di vigilanza
sugli istituti di credito del proprio paese.
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