1 Modulo 16: L’intervento pubblico 16.1. Regolamentazione dell’attività economica Seguendo quello che abbiamo appreso fino a questo momento, ci verrebbe da pensare che il nostro sistema economico può essere tranquillamente composto solamente da due categorie di soggetti: gli individui e le imprese; le cui intenzioni si incontrano e si equilibrano all’interno di quel luogo fisico o ideale che è il mercato. Non sembrano essere necessari altri protagonisti poiché, da quello che abbiamo appreso, se vige una condizione di concorrenza perfetta, è garantita una allocazione delle risorse efficiente. Tuttavia già dalle pagine iniziali di questo corso che, seppur ci siamo limitati ad osservare situazioni molto semplificate rispetto alla realtà effettiva, sappiamo che altri soggetti sono coinvolti nelle interazioni che danno corpo al sistema economico. Uno di questi è lo Stato (o Governo o Pubblica Amministrazione), il quale, come vedremo, contribuisce a regolamentare con le proprie scelte talune specifiche situazioni che si configurano a seguito delle dinamiche di mercato. Il termine “settore regolamentato” fa generalmente pensare alle imprese che effettuano una qualche funzione di pubblica utilità, come le società che si occupano dell’erogazione di servizi telefonici ed energetici. Queste e altre imprese simili sono soggette a una regolamentazione di carattere economico, nel contesto della quale sono varie autorità a fissare i prezzi e a decidere chi deve vendere e che cosa. Anche se sono pochi i casi limite di settori dell’economia completamente regolamentati, non è troppo distante dalla realtà l’affermazione secondo la quale tutti i mercati sono in qualche modo soggetti a forme più o meno “pervasive” di regolamentazione. Un esempio chiaro viene dall’industria automobilistica americana. Nonostante il mercato automobilistico non sia appunto un settore regolamentato, la Federal Trade Commission si pronuncia sulla correttezza o meno della pubblicità dei prodotti; la Environmental Protection Agency regolamenta l’inquinamento provocato dagli impianti di produzione e assemblaggio; la U.S. Occupational Safety and Health Administration impone norme stringenti per la salvaguardia della salute e dell’integrità dei lavoratori durante la loro attività. L’industria delle automobili statunitense non deve essere considerata come un caso isolato. A ben guardare, sono molti i settori dell’economia sottoposti a normative simili a quelle poc’anzi elencate. Ne sono un esempio le banche commerciali, le compagnie assicurative e le altre istituzioni che raccolgono depositi, ma anche l’attività di molte categorie come avvocati, notai, commercialisti, architetti e ingegneri, i quali sono tenuti a superare un esame prima di poter esercitare la propria professione. Persino l’apertura del semplice esercizio commerciale “dietro l’angolo” deve sottostare al conferimento di specifiche autorizzazioni, siano esse sanitarie, di sicurezza o semplicemente relative alla costruzione e all’utilizzo degli immobili urbani. Inoltre, come abbiamo visto dalla 2 precedente lezione, tutte le imprese sono soggette alle norme che vietano pratiche anticoncorrenziali, come ad esempio la costituzione di cartelli.1 L’economista Merton J. Peck un giorno ebbe a dire “gli economisti fabbricano le pallottole che i politici si sparano l’un l’altro”. L’immagine è abbastanza forte, ma è una buona metafora per sottolineare come, in definitiva, siano i politici, non gli economisti, a svolgere un ruolo determinante nella regolamentazione della vita pubblica. In questa loro attività, l’analisi economica rappresenta certamente un elemento di ispirazione, a volte diretto a volte indiretto. Al fine di delineare i tratti salienti dell’intervento pubblico in economia, in questo modulo riporteremo il complesso di attività che richiedono il ruolo normativo dello Stato e i principali strumenti che esso adotta. Nei moduli successivi svilupperemo alcune problematiche, maggiormente collegate all’analisi economica dell’equilibrio di mercato, che si pongono quale ulteriore giustificazione della presenza dello Stato in economia. 16.2. Gli strumenti “economici” dello Stato I limiti e le potenzialità dei poteri pubblici all’interno di un paese è oggetto di speculazioni e approfondimenti filosofici fin dai tempi della polis nella Grecia classica. La nostra discussione prende avvio da epoche più recenti e si concentra sulle attività che hanno implicazioni di natura economica. Dal preambolo di questo modulo, sembra che in una economia industriale moderna non esista sfera della vita economica che possa essere completamente scevra da una qualche forma di “controllo governativo”. Questa attività si articola prevalentemente attraverso i seguenti strumenti: 1. Le imposte. Rappresentano l’elemento cardine del cosiddetto sistema fiscale. Riducendo il reddito, le imposte limitano la spesa dei consumatori, tuttavia forniscono le risorse per la spesa pubblica, ovvero l’acquisto dei beni e servizi di pubblico interesse. Il sistema fiscale ha inoltre la duplice funzione di scoraggiare alcune attività tassandole maggiormente (come ad esempio il consumo di sigarette) e di incoraggiare altri settori tassandoli meno (ad esempio la proprietà della prima casa); 2. Le spese e i trasferimenti. La Pubblica Amministrazione “spende” le proprie risorse per produrre beni e servizi (carri armati, istruzione, ordine pubblico, ecc.) ed eroga trasferimenti (pensioni, sussidi di disoccupazione, ecc.) che sostengono i redditi dei cittadini meno abbienti o in condizioni di non poter partecipare della vita produttiva, per ragioni di età o di impedimento fisico; 3. Le regolamentazioni. Lo Stato effettua una serie di controlli che spingono gli individui a eseguire o a evitare certe attività economiche (come ad esempio le norme che limitano l’inquinamento prodotto dalle imprese, o che regolamentano le 1 Fischer, Dornbusch e Schmalensee (1996) 3 condizioni ambientali di lavoro, o che richiedono informazioni sul potere nutritivo degli alimenti). Come molte delle variabili che abbiamo incontrato fino a questo momento, quelle che descrivono i conti dello Stato sono forse le più conosciute dall’opinione pubblica, dato che con cadenza quasi quotidiana, se ne sente parlare attraverso i principali organi di informazione. Per oltre un secolo, il reddito nazionale e la produzione hanno presentato un andamento crescente in quasi tutte le economie industriali e, contemporaneamente, in molti paesi la spesa pubblica è aumentata ancora più rapidamente. I periodi di crisi (depressioni, guerre o calamità naturali molto gravi) richiedono ovviamente una estensione dell’attività dello Stato per porre rimedio, dunque si assiste ad una espansione della spesa pubblica. Tuttavia, una volta superate le emergenze, i controlli e la spesa pubblica non tornano mai ai livelli precedenti. Ad esempio, negli precedenti alla Prima Guerra Mondiale, negli Stati Uniti il totale della spesa pubblica o dell’imposizione fiscale a livello statale e federale, ammontava a poco più del 10% dell’intero prodotto interno lordo (Pil). Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Pubblica Amministrazione fu costretta a consumare circa metà dell’output nazionale totale, che nel frattempo era notevolmente aumentato. All’inizio degli anni Novanta la spesa pubblica degli Stati Uniti rappresentava il 35% circa del prodotto interno lordo (Pil).2 Figura 16.1: Andamento della spesa pubblica italiana (Milioni di euro) 3 Per quanto riguarda l’Italia, così come per molti dei maggiori paesi europei, il rapporto tra spesa pubblica e Pil è cresciuto notevolmente negli anni Settanta e Ottanta, mentre la pressione tributaria (il rapporto tra entrate fiscali e Pil) è cresciuta in maniera inferiore, e in ritardo rispetto alla dinamica della spesa. L’effetto è stato l’accumulo di debito pubblico, che oggi, nonostante i ben noti vincoli imposti dai parametri di Maastricht, si aggira attorno a 2 3 Samuelson e Nordhaus (1996). Fonte dati: Eurostat, Government expenditure by function. 4 quote superiori al 100% del Pil. In effetti per l’Italia le casse dello Stato rappresentano un vera e proprio nervo scoperto della politica economica; spesso al centro di un rimbalzo di responsabilità tra una parte politica e l’altra. In Figura 16.1 può essere notato l’andamento della spesa pubblica italiana nell’ultimo decennio. È possibile osservare un chiaro e marcato trend crescente che, dall’inizio degli anni Duemila interrompe una certa stabilità media che si era osservata negli anni precedenti. È ipotizzabile che questa crescita sarà senz’altro confermata qualora saranno disponibili i nuovi dati, visti gli impegni assunti per il superamento della crisi attualmente in atto. 16.3. La funzione della Pubblica Amministrazione Stiamo cercando di esplorare, con gradualità, il modo in cui uno Stato svolge il proprio ruolo in un sistema economico e interagisce con esso in qualità di soggetto economico anch’esso. Quali sono gli obiettivi economici della Pubblica Amministrazione in una moderna economia? Di seguito verranno esaminate le quattro principali finalità che essa persegue attraverso le proprie attività: 1. 2. 3. 4. Miglioramento dell’efficienza economica; Miglioramento della distribuzione del reddito; Stabilizzazione mediante politiche macroeconomiche; Rappresentare il paese al livello internazionale. Miglioramento dell’efficienza economica. Uno dei principali obiettivi economici della Pubblica Amministrazione è quello di guidare l’allocazione delle risorse nel modo desiderato dalla società. Questo aspetto microeconomico della politica pubblica si concentra sul “cosa” e sul “come” della vita economica. Le politiche microeconomiche variano da Stato a Stato a seconda delle diverse abitudini e filosofie politiche: alcuni paesi preferiscono un approccio di non intervento, nello stile del quasi completo laissez-faire, e lasciano che sia il mercato a prendere la maggior parte delle decisioni. In altri, l’intervento pubblico è invece più consistente: viene posto l’accento sui compiti di controllo e lo Stato stesso è spesso proprietario di imprese in cui le decisioni relative alla produzione e all’offerta sono di competenza di pianificatori pubblici. Nelle economie di mercato ci attendiamo, almeno per quello che riguarda le questioni microeconomiche, che sia il mercato a risolvere i problemi; eppure talvolta l’intervento pubblico si rende necessario per correggere le decisioni allocative derivanti dalla domanda e dall’offerta di mercato. Un sistema liberistico in cui si attua un intervento pubblico minimo, potrebbe rappresentare un sistema valido, se le condizioni che assicurano la concorrenza perfetta fossero sufficientemente operanti. In tutte le società umane, in realtà, queste 5 condizioni vengono in qualche misura violate. Inoltre, come vedremo in seguito (ma come in parte già sappiamo), molti tipi di produzione possono avvenire nel modo più efficiente soltanto in unità troppo grandi per un sistema di concorrenza perfetta; le fabbriche non regolamentate tendono a inquinare l’aria, l’acqua e il territorio; spesso si diffondono malattie infettive e i mercati privati non sono sufficientemente incentivati a sviluppare efficaci programmi di sanità pubblica; i consumatori sono poco informati sulle caratteristiche dei beni. Miglioramento della distribuzione del reddito. Anche se la mano invisibile di Smith opera nel modo più efficiente possibile, si può ugualmente verificare un’enorme sperequazione nella distribuzione del reddito. In un sistema caratterizzato dal laissez-faire gli individui possono essere molto ricchi o molto poveri a seconda della ricchezza ereditata, delle doti e dell’impegno personali, della fortuna che consente, per esempio, di trovare il petrolio o di possedere terreni in determinate zone, e infine in base all’appartenenza a un sesso piuttosto che all’altro e al colore della pelle. Ad alcuni, la distribuzione del reddito derivante dalla concorrenza non regolamentata appare tanto arbitraria quanto la distribuzione darwiniana del cibo tra gli animali nella giungla. Nelle società più povere l’eccedenza di reddito prelevabile dai ricchi per trasferirla ai poveri è contenuta, ma via via che le società umane si arricchiscono, aumentano anche le risorse disponibili per i servizi sociali. La ridistribuzione del reddito è la seconda funzione economica pubblica per ordine di importanza. Oggi negli Stati dell’America settentrionale e dell’Europa occidentale, i governi destinano una parte significativa del reddito al mantenimento dei livelli minimi di sanità, alimentazione e reddito; ciò avviene in genere tramite politiche di imposizione fiscale e di spesa, ma in alcuni casi anche la regolamentazione riveste un ruolo importante. Nei paesi avanzati vigono determinati principi fondamentali come ad esempio che i bambini non devono soffrire la fame a causa delle condizioni di indigenza dei genitori, che i poveri non devono morire perché non possono premettersi cure adeguate, che i giovani devono essere istruiti a spese dello Stato e che gli anziani devono disporre di un livello minimo di reddito. Stabilizzazione mediante politiche macroeconomiche. I primi esempi di capitalismo erano caratterizzati da periodi di inflazione e depressione, e i ricordi traumatici della Grande Depressione degli anni Trenta rivivono oggi nelle terribili conseguenze della crisi economica promanata dall’esplosione della bolla speculativa immobiliare nell’estate del 2007. Oggi i Governi si assumono la responsabilità di evitare il ripetersi di tali disastri mediante un’assennata politica fiscale e monetaria e una rigorosa regolamentazione del sistema finanziario; cercano inoltre di attenuare i cicli economici per evitare gli effetti di alcune patologie di sistema quali la disoccupazione su vasta scala o la violenta inflazione dei prezzi. 6 In tempi relativamente recenti, hanno iniziato a occuparsi dello sviluppo di politiche economiche in grado di incrementare la crescita economica nel lungo periodo.4 Rappresentanza dello Stato a livello internazionale. In anni recenti, il commercio e la finanza internazionali hanno assunto un’importanza sconosciuta in passato, e ciò significa che oggi i governi svolgono l’importante funzione di rappresentare gli interessi nazionali sulla scena internazionale e di negoziare accordi vantaggiosi con altri paesi. Le questioni internazionali della politica economica possono essere raggruppate in quattro aree principali: Riduzione delle barriere commerciali. Un parte rilevante della politica economica riguarda l’armonizzazione delle leggi e la riduzione delle barriere commerciali, favorendo il più possibile il libero scambio tra i paesi. Negli ultimi anni sono stati negoziati numerosi accordi commerciali per ridurre i dazi doganali e altre barriere commerciali su prodotti industriali e servizi. Nel 1993, ad esempio, Stati Uniti, 4 Messico e Canada conclusero l’accordo definito NAFTA (North American Free Trade Agreement, ovvero il Patto Nordamericano di Libero Commercio) finalizzato alla riduzione delle barriere commerciali tra di loro. Più o meno nello stesso periodo le nazioni europee, tra cui l’Italia, eliminarono molte delle restrizioni alla libera circolazione di lavoro e capitale, procedendo nel cammino che conduceva verso l’Unione Europea. La negoziazione che accompagna la stipula di questi accordi non è mai agevole. Seppur siano noti i benefici degli scambi, infatti, in alcuni casi l’eliminazione di barriere commerciali può rappresentare la rimozione di uno strumento di difesa di alcuni gruppi sociali. Ciò avviene quando ad esempio l’eliminazione dei dazi può causare la contrazione dell’occupazione in una determinata industria. Oppure, in alcuni casi, gli accordi internazionali possono comportare una qualche riduzione della sovranità nazionale quale prezzo da pagare per ottenere un aumento dei redditi. Supponiamo che le leggi di uno Stato proteggano i diritti di proprietà intellettuale, come i brevetti o i diritti di autore, mentre in altri Stati la legge consenta di copiare liberamente libri, DVD e software. Quali leggi avranno il sopravvento? Programmi di assistenza. Le nazioni ricche dispongono di numerosi programmi per il miglioramento delle condizioni dei poveri di altri Stati. Questi programmi prevedono aiuti diretti ai paesi stranieri, assistenza tecnica e, in caso di calamità, il supporto di istituzioni come la Banca Mondiale (http://www.worldbank.org/), che Questi problemi, come avevamo accennato in apertura di corso, sono approfonditi nella branca della macroeconomia. 7 offre prestiti a condizioni molto favorevoli, e concessioni sulle esportazioni verso nazioni povere; Coordinazione delle politiche macroeconomiche. Le nazioni si sono rese conto che l’accresciuta interdipendenza economica richiede la coordinazione delle politiche macroeconomiche per combattere fenomeni quali la disoccupazione e l’inflazione. I tassi di cambio (vale a dire i prezzi relativi delle valute di nazioni diverse) non si gestiscono da sé, e la creazione di un sistema di cambi armonico costituisce un prerequisito per l’efficienza del commercio internazionale. Le politiche fiscali e monetarie di un paese possono infatti influire sulle condizioni economiche di altri. Quando nel 1979 gli Stati Uniti alzarono i tassi di interesse per combattere l’inflazione, la scarsità di moneta in circolazione provocò una recessione mondiale e una crisi del debito internazionale. Negli anni Ottanta, soprattutto nelle zone caratterizzate da una forte integrazione, come ad esempio l’Europa Occidentale, gli Stati si sforzano di coordinare le loro politiche fiscali e monetarie in modo che l’inflazione e la disoccupazione di uno Stato non si estendano fino a provocare effetti negativi nell’intera zona; Protezione dell’ambiente. La novità più recente della politica economica internazionale consiste nella collaborazione tra nazioni al fine di proteggere l’ambiente nei casi in cui numerosi paesi partecipano alla gestione di una certa risorsa ambientale. In anni passati i campi in cui si sono ottenuti maggiori successi dalla negoziazione multilaterale sono stati la salvaguardia del pesce nelle acque internazionali e la preservazione dell’acqua dei fiumi. Al giorno d’oggi, la crescente preoccupazione per il carico di emissioni a cui l’ambiente è sottoposto, con conseguenti fenomeni di surriscaldamento del globo, deforestazione e l’incedere nell’estinzione di intere specie animali e vegetali, gli Stati hanno iniziato ad analizzare e sviluppare strategie risolutive. Si pensi ad esempio ai meccanismi previsti dal Protocollo di Kyoto o al pacchetto di direttive europee noto come “2020-20” attraverso il quale si punta a ridurre del 20% le emissioni di gas serra e ad incrementare del 20% la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili; il tutto entro il 2020. È chiaro che i problemi ambientali a livello internazionale possono essere risolti solo tramite la cooperazione di numerose nazioni anche se l’elevato numero di parti in causa è spesso un ostacolo alla conclusione di risultati concreti. 16.4. Breve storia dell’Unione Europea Chiudiamo questo modulo ripercorrendo per grandi linee la storia dell’Unione Europea, che rappresenta il massimo esempio, a noi vicino sia geograficamente che storicamente, di come i governi abbiamo in definitiva un ruolo determinante nel regolare la vita economica interna e 8 esterna di un paese. La storia “moderna” del vecchio continente è una storia di guerre tra potenze rivali. Basti pensare alle frequenti e accese ostilità che fin dal Cinquecento hanno insanguinato Spagna, Francia, Germania e Italia. Dopo la catastrofe della Seconda Guerra Mondiale, alcuni statisti europei si convinsero che l'unico modo per garantire una pace duratura tra i loro paesi era unirli economicamente e politicamente. Fu così che nel 1950 il ministro degli esteri francese Robert Schuman propose una prima forma di integrazione che coinvolgesse i settori del carbone e dell'acciaio dell'Europa occidentale, materie prime chiave per l’industria pesante (dunque anche per il settore degli armamenti). Da questa proposta scaturì, nel 1951, la Comunità Europea per il Carbone e l'Acciaio (CECA), che all’alba della sua costituzione contava sei membri fondatori: Belgio, Germania Occidentale, Lussemburgo, Francia, Italia e Paesi Bassi. Il potere di prendere decisioni riguardanti l'industria del carbone e dell'acciaio di questi paesi fu conferito ad un organismo indipendente e sopranazionale denominato Alta Autorità, il cui primo presidente fu Jean Monnet. La CECA venne entro breve considerata un successo tanto che, nell'arco di pochi anni, gli stessi sei paesi decisero di compiere un passo successivo, integrando altri settori delle proprie economie. Nel 1957, con la firma del Trattato di Roma, vennero sancite l’istituzione della Comunità Europea dell'Energia Atomica (EURATOM) e della Comunità Economica Europea (CEE), primo vero “embrione”, quest’ultima, della odierna Unione Europea, dato che gli Stati membri si impegnarono a rimuovere le barriere commerciali fra loro esistenti per raggiungere l’obiettivo di costruire un mercato comune. Nel 1967 venne decisa la fusione in un unico soggetto di tutte le tre istituzioni che fino a quel momento avevano scandito il processo di aggregazione politica ed economica dell’Europa. A seguito di questa evoluzione, il potere politico venne concentrato in una Commissione, un Consiglio dei ministri e un Parlamento europeo. In origine, gli europarlamentari venivano scelti dai parlamenti nazionali, fino al 1979, anno in cui ebbero luogo le prime elezioni dirette, che consentirono ai cittadini degli Stati membri di esprimere attraverso il voto un candidato di loro scelta. Da allora le elezioni dirette si svolgono ogni cinque anni. Un ulteriore decisivo passo verso l’integrazione si ebbe con il Trattato di Maastricht (1992), il quale introdusse nuove forme di cooperazione tra i Governi degli Stati membri, soprattutto in materia di difesa, giustizia e affari interni. Aggiungendo questa forma di cooperazione intergovernativa al sistema "comunitario" esistente, il trattato di Maastricht ha creato l'Unione Europea (UE). L'integrazione economica e politica tra gli Stati membri dell'Unione europea comporta l'obbligo per questi paesi di prendere decisioni congiunte su molte questioni. Essi hanno pertanto elaborato politiche comuni in molteplici settori: dall'agricoltura alla cultura, dalla tutela dei consumatori alla concorrenza, dall'ambiente ed energia ai trasporti e agli scambi. Inizialmente l'accento era posto su una politica commerciale comune per il carbone e l'acciaio e su una politica agricola comune. 9 Col passare del tempo e col presentarsi dell'esigenza si sono aggiunte nuove politiche. Alcuni dei principali obiettivi strategici sono cambiati alla luce delle mutate circostanze: ad esempio, l'obiettivo della politica agricola non consiste più nel produrre la maggior quantità di alimenti ai prezzi più convenienti, bensì nel sostenere sistemi agricoli che garantiscano la produzione di alimenti sani e di alta qualità nonché la tutela dell'ambiente, aspetto ormai presente nell'ambito di tutte le politiche comunitarie. Anche le relazioni dell'Unione Europea con il resto del mondo sono diventate essenziali. L'UE conduce negoziati in materia di importanti scambi commerciali e di accordi di assistenza con altri paesi e sta inoltre sviluppando una politica estera e di sicurezza comune. Durante gli anni Novanta è diventato sempre più facile per le persone circolare liberamente in Europa, grazie all'abolizione dei controlli doganali e dei passaporti presso la maggior parte delle frontiere interne dell'UE. Ciò ha significato, tra l'altro, una maggiore mobilità per i cittadini dell'Unione. La completa rimozione di tutte le barriere commerciali tra gli Stati membri, al fine di istituire un mercato comune, è stato un processo molto lento formalmente compiutosi nel 1992 con la creazione di un vero e proprio “mercato unico europeo”, in cui è garantita la piena liberta di circolazione di beni, servizi, persone e capitali. 5 Il passaggio chiave è stata la definizione dei 5 parametri di convergenza e l’istituzione dell'Unione Economica e Monetaria (UEM), basata essenzialmente sull'introduzione di una moneta unica in luogo delle valute nazionali e l’affidamento dei poteri di politica monetaria da ogni singola banca centrale ad un’unica Banca Centrale Europea.6 La moneta unica (euro) è divenuta realtà il 1° gennaio 2002, quando banconote e monete in euro hanno iniziato a sostituire gradualmente le valute nazionali in dodici dei 15 paesi dell'Unione Europea (Belgio, Germania, Grecia, Spagna, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Austria, Portogallo e Finlandia). Lo spazio politico dell’UE si è gradualmente estesa grazie a progressivi allargamenti avvenuti negli anni successivi, in particolare: 1973: Danimarca, Irlanda e Regno Unito; 1981: Grecia; 1986: Spagna e Portogallo; 1995: Austria, Finlandia e Svezia; 2004: Lettonia, Estonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Malta e Cipro; 2007: Bulgaria e Romania. In verità, in alcuni settori la completa integrazione a livello europeo ancora “latita”. Si pensi, ad esempio, alla creazione di un effettivo mercato unico dei servizi finanziari. 6 Rispetto al “vecchio ordinamento”, le singole banche centrali nazionali hanno preservato il potere di vigilanza sugli istituti di credito del proprio paese. 5