Ipotesi di lettura per Josef Ludy 1 Fischer

CORDUAS. S. Ipotesi di lettura per Josef Ludvík Fischer. In: FISCHER,
J. L. La crisi della democrazia, 2. ed. Torino: Giulio Einaudi, 1977. p.
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Ipotesi di lettura per Josef Ludyvík Fischer
Ci sono almeno tre modi di leggere Fischer (tutto Fischer, e non solo La
crisi della democrazia): una lettura,sociologica e politica porterebbe a
confrontare la sua critica della società capitalistica (principi e prassi) con
quele di Marx e della Scuola di Francoforte (di cui Fischer spesso
anticipa le idee); mentre i principi che informano il suo modello di
società «strutturalle » (nota 1) , e il modello stesso, si potrebbero
riportare ai modelli di società «organiche», «totali», «comprendenti»
ecc. Elaborati da numerosi sociologi e pensatori tra gli anni venti e
quaranta. Interno a questa lettura, troveremmo il tentativo fischeriano
di giungere al socialismo senza nulla concedere a ciò che per Fischer è
negativo nell’esperienza sovietica del socialismo.
Una seconda lettura, filosofica, dovrebbe partire dallo strutturalismo
ontologico di Fischer (in particolare dal problema del rapporto tra qualità
e quantità) per giungere, fin dove si può, all’analisi dei meccanismi di
una dialettica concreta e non astratta e formale. Qui il confronto utile
sarebbe con gli aspetti ontologici e metodologici dello strutturalismo di
Jan Mukarovsky, con l’antropologia filosofica di Robert Kalivoda e in
specie con la filosofia di Igor Hrusovsky ( nel senso che la ricerca di
quest’ultimo verte precisamente e coerentemente sulla dialettica della
struttura); beninteso tenendo presente che riferimento centrale in
questo senso è dato dal materialismo e dalla dialettica in Marx.
Queste due letture, che corrispondono grosso modo ai due livelli sui
quali si distende la produzione di Fischer (politicos-sociologico fino alla
Crisi della democrazia, 1933, filosoficoPágina XII
ontologico dopo la seconda guerra mondiale), potrebbero poi essere
utilmente integrate da una terza, che chiameremmo fisica, dovendo essa
mettere a confronto i principi della fisica classica (causalità, teleologia)
con quelli della fisica nuova (funzioni nella e della struttura,
relativismo?) e con quelli vigorosamenti asserti in Fischer, nel 1930,
1933 e dopo la guerra, validi anche e soprattutto per la realtà sociale
(struttura, funzione, prevalere in essa di «momenti qualitativi» non
quantificabili). Lettura utile perché mostrerebbe bene come si tratti , in
Fischer e partendo da Fischer, di questioni cardinali non soltanto per la
determinazione di un approccio sociologico e politico specifico, ma,
probabilmente prima di esso, di un approccio metodologico e filosofico
volto anche a scardinare la barriera ostinatamente stante tra scienze
sociali-morali-dell´uomo e scienze naturali-esatte. Lettura pertinente,
inoltre, perché ai problemi del rapporto tra filosofia e scienza Fischer,
come Hrusovsky, annette importanza estrema, si che l’uno e l’altro gli
hanno dedicato sforzi assai consistenti.
Benché sia ovvio, giova affermare che le tre letture sono
necessariamente interdipendenti, sí che l’una non può stare senza
l’altra, mentre le eventuali preferenze del lettore saranno legittime
quando non ignoreranno le acquisizioni piú importanti raggiunte in
ambiti che gli siano meno congeniali.
Meno ovvio, forse, ma ugualmente se non piú importante è che una
volta discussi con ordine quei problemi tutti, non resterà che rilanciare le
posizioni fischeriane, quelle cioè che, valide e fornite di prospettiva,
risultassero per cosí dire potenziate dai confronti suaccennati, nella
mischia ideologica, non tanto per vedere che cosa ne sarà subito,
quanto perché vi siano presenti, che è poi il solo modo di verificare se
esse servano e di risolvere parte del debito che, credo, la nostra cultura
ha verso i teorici cecoslovacchi degli anni trenta.
Come si può vedere, si tratta di un programma impegnativo e vasto,
che non sarà nostra pretesa esaurire. Ma ci corre obbligo almeno di
dimostrare che esso è sostanzialmente fondato, abbozzando qualche
analisi parziale.
Herr Hitler, il 2 settembre 1938, riceveva a Monaco i Sudeti, cioè un
territorio cecoslovacco. Mister Chamberlain, Monsieur Daladier e il signor
Mussolini, che glielo avevano
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«dato», erano assai contenti, perché pensavano di aver evitato la
catastrofe. Si misuri l’insipienza e la cecità di quei «politici» sulla
convinzione angosciata di Fischer, circa dieci anni prima, che l´Europa si
avviava alla catastrofe, culturale e politica. Convinzione che matura a
partire dal 1927, finché, dopo La crisi della democrazia (1933), un
esaurimento nervoso impedisce a Fischer, per circa dieci anni, una
normale attività scientifica. È la preoccupazione per il futuro dell’Europa
dunque che porta Fischer dalla filosofia alla sociologia (e concretamente
a questo libro), perché egli crede che soltanto nell’ambito di una
riflessione sociologica (cioè scientifica) si può avviare la soluzione dei
problemi politici piú profondi e generali. Sociologia come teoria generale
della societa, quindi. Ma mossa da uno scopo preciso: destituire di
qualsiasi credibilità il capitalismo in economia e in politica, e costruire un
modello alternativo.
È lecito quindi porsi una domanda: perché il tentativo fischeriano non
si svolge nell’ambito esplicito del marxismo? Perché, cioè, Fischer non è
marxista? Il lettore noterà che spesso la terminologia di Fischer e, a
volte con fatica, diversa da quella di Marx (egli scrive proprietà privata
dei mezzi di guadagno là dove Marx dice: dei mezzi di produzione), e piú
in generale che il suo discorso e spesso parallelo o convergente rispetto
a quello di Marx. Tanto piú che l’alternativa al capitalismo è — anche
per Fischer — il socialismo. (nota 1)
La risposta è la seguente: primo, perche Fischer, pur conoscendo e
apprezzando ii marxismo (non conoscendo peth ii giovane Marx, i
Quaderni filosofici di Linen il giovane Lukács), lo considera tuttavia —
come dice J. Zumr— una variante del naturalismo e identifica
erratamente la spiegazione marxista del capitalismo con l´essenza
filosofica del marxismo (nota 2). Secondo, perché egli è (e si sente)
autore di una visione globale, complessiva dei problemi filosofici e
politico-sociologici, e come tale gli corre obbligo di riferirsi a se stesso
prima che ad altri.
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Naturalmente, Fischer si serve delle analisi marxiste, spesso le ripete
con risultati analoghi (cfr. una sua interessante dichiarazione in
proposito ), epperò è vero che se vi sono delle posizioni interessanti
nella sua critica del capitalismo, vi sono in quanto egli procede
autonomamente. Dunque quel che deve interessare nella lettura di
Fischer è in primo luogo se e quanto egli possa utilmente integrare e
eventualmente rifondare la critica del capitalismo e la costruzione del
socialismo, e solo in secondo luogo (cioè, appunto in questa luce ) se e
dove egli sia in contrasto con Marx, e se a ragione o a torto.
L’asserita globalità della visione fischeriana è reperibile già nelle
seguenti Tesi del 1930:
L’espressione teoretica (dell’orientamento culturale strutturale) è data
dai principi dello sttutturalismo (strukturalismus) scientifico e filosofico
Questi principi sono:
I) La conformazione della realtà è il risultato di un processo nel quale
le sue singole componenti vengono determinate da aspetti totali, Si
inseriscono cioè come componenti piú o meno autonome in totalifà
gerarchicamente stratiticate.2)Le varie formazioni della realtà devono considerarsi come
sostanzialmente eterogenee e non trasferibili l’una nell’altra.
3)La spiegazione delle formazioni piú complesse diventa pertanto la
base per la spiegazione delle formazioni piú semplici.
4) Il rapporto tra queste formazioni ha carattere totale; anche il loro
processo di sviluppo è determinato da aspetti totali; inoltre, le
formazioni date esistenti fino a un certo momento non esauriscono la
possibilita di nuove formazioni. [...]
Espressione sociale di questo orientamento (culturale strutturale) nella
sfera economica è lo strutturalismo economico, che soddisfa le esigenze
e le richieste del socialisrmo. I suoi principi sono:
1) Il processo economico viene inserito come parte relativamente
autonoma nella totalità dei rapportti sociali ed è subordinato agli aspetti
specifici di tale totalità, cosí che da essi e non dall´attenzione per il
massimo di guadagno viene determinata la produzione di beni: l’aspetto
economico del capitalismo viene socializzato.
2) Il mezzo per raggiungere tale scopo resta la produzione meccanica,
subordinata però agli aspetti specifici del soggetto lavoratore.
3-4) Il rapporto tra la quantità di beni producibili, uno stesso tipo o di
tipo diverso, e la necessità sociale è il risultato della stratificazione
pianificata della produzione rispetto alle necessità della totalità
sociale.[...]
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Espressione sociale di questo orientamento (culturale strutturale) nella
sfera politica e lo strutturalismo politico, definibile come democrazia
strutturale. I suoi principi sono:
1) La realtà sociale è formata dalla struttura sociale degli individui
come soggetti del processo sociale.
2) Tali individui devono considerarsi come socialmente uguali
[rovnocenná: che hanno uguale valore.]
3) I rapporti sociali tra questi soggetti vengono determinati dalla loro
funzione sociale.
4) Il rapporto tra questi rapporti funzionali organizzati e la struttura
sociale viene mantenuto e co-regolato da organi gerarchicamente
stratificati di controllo democratico.
L’ordine sociale nasce nella democrazia strutturale dalla strutturazione
di funzioni sociali parziali, i cui portatori sono i singoli soggetti, tale
strutturazione è poi sottoposta interamente al loro controllo...
Risultato di questo sistema funzionale sarà la liberazione di tutte le
forze sociali, rafforzate dalla loro organizzazione pianificata, cosi che gli
aspetti sociali imprimeranno alla struttura di quest’epoca un carattere
specifico: varranno e agiranno socialmente gli apporti creativi
individuali, garantiti e sostenuti a ogni grado della gerarchia sociale dal
principio
universalmente
applicato
della
«autodeterminazione
democratica». Con ciò prevarra in ogni senso l´aspetto umano, che è il
principio guida sia dello strutturalismo teoretico che di tutta la struttura
sociale... [nota 1].
Il problema della dialettica in Fischer è legato a quello del carattere
dinamico del suo strutturalismo. Il primo si incentra sui rapporti tra
qualità e quantità, il secondo sul concetto di funzione. Fischer aveva già
proclamato, per la verità in un modo abbastanza adialettico e apodittico,
una sorta di «primato » della qualità sulla quantità tra il 1927 e il 1930.
Questo primato si trasforma ma non viene meno nella Crisi della
democrazia, e lo stesso può dirsi per le opere successive di Fischer.
Dopo la guerra anzi egli considera la qualità (qualitas: kvalita) e la
quantità come le due categorie dialettiche piú importanti [nota 2], non
cessando però di sottolineare quello che
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nel 1948 chiama «imperativo categorico della qualitatività». Ora, Fischer
ha ragione in questo, perché qualunque dialettica non può che muovere
dalla distinzione tra ciò che è identico e ciò che è diverso da se stesso,
tra identità e diversità, e tale distinzione non è possibile senza quella di
qualità e quantità . Come dice Havemann, «Noi possiamo solo contare
quantità di qualità» [nota 1]. Sembra un’ovvietà. Eppure è
estremamente importante, perché solo se terremo presente questa
ovvietà la quantificazione (cioè la riduzione a omogeneo di ciò che è
eterogeneo) non sfuggirà al nostro controllo. Un punto di vista
funzionale, abbinato al riconoscimento della semplice verità enunciata
da Havemann, permetterà di non soggiacere ciecamente alla «ragione
misurante», come la chiama Fischer. Piú in generale, permetterà di non
credere che le cose si svolgono secondo un processo causale in cui A
determina B e dove il fine è Z. A può determinare B e il fine (o meglio la
fine) del processo può anche essere, temporaneamente, Z, ma ciò non è
detto, questo processo non descrive definitivamente la realtà come è,
ma scopre soltanto uno dei possibili modi di esistenza e di vita della
realtà [nota 2]. C´è una bella differenza, perché il primo processo
(causale) non è revocabile e spinge ad una attività poco cosciente, il
secondo (funzionale) è revocabile e invita ad agire dialetticamente.
AssoIutizzando il principio della causalità, il positivismo (bestia nera di
Fischer [nota3] ) costringe alla illibertà quello stesso principio che aveva
proclamato ai suoi inizi: il rispetto del fatto,
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del dato. Ma non era questo principio appunto un’assunzione di libertà?
Si intende che tutto ciò non ha impedito alla «ragione misurante»
criticata da Fischer di far progredire vertiginosamente le scienze: non vi
è contraddizione. I processi della realtà mostrano delle reazioni
statisticamente medie e quindi si possono sfruttare a fini di progresso
tecnico. Ma il ruolo del postulato funzionale-qualitativo mentre la tecnica
progredisce? Esso stabilisce sul piano teorico che la media statistica non
esprime verità, e pertanto riconduce nuovamente all’uomo quella
responsabilità che il positivismo, dopo avergliela data obbligandolo a
rispettare il dato, gli aveva nuovamente tolto costringendolo alla
deduzione meccanica dell´effetto dall causa devolvendola cioè alla
«oggettiività scientifica». Apre quindi il problema del senso di quel
progresso. Ma con ciò porta diritto alla sociologia e alla politica.
Ma allora il «realismo qualitativo» di Fischer (è una sua
autodefinizionej, il suo strutturalismo funzionalista qualitativo servono
bene la causa della libertà, perché spingono davvero a ricercane un
senso positivo: se essi non significano la negazione pura e semplice
della tecnica (posizione forse comprensibile, ma velleitaria), ma la
necessità di inserirla nel discorso sulla società, mentre l’inserimento
concreto della tecnica nella società appare universalmente problematico
[nota 1], la conclusione non può essere che una sola: è dal discorso
sulla società, cioè dalla politica, che devono trarsi le indicazioni per un
riesame del ruolo della tecnica. Questo è il discorso che manca, e questo
si deve ricercare. E si noti che è in nostro potere (benché difficile) farlo,
mentre non è in nostro potere nullificare magicamente la tecnica e
neanche, senza quel discorso, «umanizzarla», come a volte si dice..
Tutti i rapporti di questo mondo sui limiti dello sviluppo [nota 2] sono
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te inutili finche non sono preceduti dal discorso sulla società. E anzi non
inutili ma codini appaiono, perché il terrorismo ecologico dispone l’animo
del lettore alla sottomissione nei confronti dei politici, i quali soli gli
appaiono investiti della missione di salvare il mondo: ma i politici non
possiedono il discorso sulla società, essendo doppiamente succubi della
«ragione misurante», nel senso del profitto capitalistico e della
democrazia formale, sicché
si può prevedere che dirigeranno il
salvataggio in un senso ben unilaterale [nota 1]
Se torniamo alle citate tesi del 1930, vedremo che esse costituiscono
in realtà una prima risposta (ancora alquanto statica, ma pertinente in
prospettiva) a quello che Fischer stesso chiama in vane occasioni
protatitpo rneccanicistico. Si è già accennato ai principi che informano
tale prototipo: la convinzione (ontologica) che la realta è costituita di
quantità omogenee (i cui rapporti sono esprimibili con numeri), la
negazione dell’esistenza reale delle qualità, il determinismo. La critica di
questi principi non costituisce in sé e per sé nulla di nuovo. Ma ciò che è
affascinante in Fischer è che essa coinvolge (già nel 1930) il capitalismo
come fatto economico e la democrazia come fatto politico, mentre
costruisce la prospettiva di un´alternativa che si vuole strutturalista e
antipositivista , cioè socialista (si rilegga a p.XIV). Il capitalismo come
aspetto economico e la democrazia come aspetto politico di una ragione
«misurante» che Fischer accusa in sostanza di materialismo cieco e
volgare e di adialetticità. Questa saldatura tra critica filosofica della
scienza e critica filosofica ma anche economica del capitalismo, critica
filosofica ma anche politica della democrazia costituisce secondo noi uno
degli aspetti piú importanti dell’opera di Fischer, essendo essa ancora
attuale. È vero infatti che il credo positivistico non costituisce piú il
punto di partenza delle scienze. Ma in primo luogo ci si può forse
chiedere con Popper se non sia errata anche la posizione, a prima vista
opposta, secondo cui la teoria non è che un puro strumento per
elaborare nuovi modi di manipolare la realtà, essendo ad essa negata
ogni minima
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speranza di descrivere in qualche misura il mondo [nota 1]; e
soprattutto ci preme sottolineare che assolutamente integro appare il
dominio della ragione «misurante» nell´economia (assolutizzazione degli
aspetti economici, nella terminologia
di Fischer) e nella polltica
(democrazia formale e non sostanziale). Da un lato quindi si può porre
la questione della distanza o del rapporto tra atteggiamento scientifico
e prassi economica e politica (della distanza se si concorda con quello
che Popper chiama prudentemente « terzo punto di vista»; del rapporto
se si concorda con il «punto di vista strumentalistico». Dall´altro si apre
il problema di ritrovare, ridescrivere e ricondurre a critica nel capitalismo
attuale i meccanismi sempre piú complessi (se non altro per le
dimensioni planetarie del problema) secondo cui si fa valere pur sempre
la stessa esigenza di fondo (assolutizzazione degli aspetti economici),
corredata forse di una nuova veste, la promessa «ecologica» di beni
«piú puliti», e «piú equamente» distribuite.
Che la lettura di Fischer sia assai promettente in queste direzioni pare
a noi indubbio. Senza ripetere qui le sue analisi (per le quali si rimanda
alle Premesse al I e II libro), sta di fatto che egli tenta una descrizione
oggettiva della realtà sulla base del diverso grado qualitativo delle sue
formazioni. Anche se sottoporrà a revisione quasi tutti i propri principi,
Fischer non abbandonera mai la convinzione che la realtà (si tratti dei
suoi «modi esistenziali» o delle strutture) è «differenziazione
qualitativa». Questa posizione resta valida anche quando egli afferma di
credere, su un piano metodologico generale, che la disciplina
fondamentale della scienza futura sia una «strutturologia generale», di
cui definisce le sotPágina XX
todiscipline principali come «reattologia» e «limitologia» [nota 1]. Fa
parte della revisione anche il ricupero della quantificazione come
procedimento scientifico utile (e come tale mai negata, ma soltanto
trascurata nell´ansia di costruire l’alternativa alla stessa quantificazione
in quanto unico principio valido per tutte le scienze, anche per quelle
sociali). E tuttavia egli tiene ad affermare che la quantità numerica si
comporta
adialetticamente,
poiché
comincia
a
«rovesciarsi»
dialetticamente «nel non conteggiabile, cioè nel non pensabile fino in
fondo, e quindi nell’irreale, che chiamiamo infinito» [nota 2]. Ora, se da
un punto di vista generale si può constatare che la fisica moderna ha
profondamente trasformato il concetto stesso di quantificazione, non
legandolo piú immediatamente e irrimediabilmente alla numerazione
[nota 3], e che essa tende a porre in risalto piú l’interazione tra qualità e
quantità che la loro dicotomia, su un piano piú particolare, e con
riferimento a quanto accennato sopra a proposito del grado di
qualitatività delle diverse formazioni del reale in Fischer, appare
estremamente significativo secondo noi che di fronte a uno dei dilemmi
della fisica nuova, se gli stati quantici cioè siano delle «mutazioni
genuinamente qualitative» oppure delle semplici
«discontinuità
quantitative», la risposta del fisico V. F. Weisskopf sia la seguente:
«Quando una discontinuità non si lascerà spiegare quantitativamente,
dovrà essere trattata come un cambiamento qualitativo, cioè come un
diverso ” tutto ” , per qualche significativa relazione con le sue
parti»[nota 4]. Ma qui sfioriamo forse due questioni cardinali per la
«strutturologia» auspicata da Fischer, perché in sostanza si tratta 1) del
funPágina XXI
zionamento della struttura finché essa conserva la propria identità e 2)
della nascita (eventuale) di una struttura nuova. Potremo forse
documentare come Fischer meriti un certp primato nell´ambito della
poderosa tradizione strutturalista cecoslovacca tra le due guerre [nota
1], per aver tenuto fermo il punto della qualità (non nel senso valutativo
del termine) come concetto cui riferirsi nell’esame di tali problemi. La
teoria di Fischer porta in sostanza, come già può vedersi dalle citate tesi
del 1930 e piú esplicitamente in seguito, all’ipotesi di una realtà
strutturata a diversi livelli, riconoscibili per il loro grado qualitativo (nel
loro aspetto qualitativo) e per le loro funzione specifiche, dove le
strutture
sono caratterizzate da un «ordine», da una legalità
immanente relativamente autonoma. Egli parla (p.92) di sfere superiori
e inferiori e stabilise i criteri che, impedendo di confonderle
arbitrariamente (cioè di trasportarle meccanicamente le une nelle altre),
ne regolano la vita. Superiore e inferiore significa prima di tutto (lo si
vede dalle Premesse al II libro) piú complesso e meno complesso, in
base ai principi di I) indipendenza crescente, 2) ordine crescente, 3)
fragilità (anche`ssa crescente,4) adattamento. Lo sforzo di Fischer
appare teso a ordinare secondo i principi della sua visione la realtà
sociale, a dimostrare che solo rispettando tale ordine qualitativo, che
Fischer intende oggettivo,« onticamente fondato» potrà aversi una
società accettabile (socialista) nei suoi caraterri generali e priva di
squilibri organisi e endemici [nota 2] (si potrebbe anPágina XXII
che dire che Fischer non vuole essere meno scientifico di Marx). Ma non
a caso, forse, due pagine prima Fischer aveva chiamato a testimoniare
la fisica, che ha rimesso in discussione il comportamento omogeneo
della realta fisica e il carattere univoco dei concetti fisici:
Casi ideali erano i fenomeni fisici reversibili. Soltanto i fenomeni
termodinamici ci hanno costretto a prendere in considerazione il tempo
come fattore irreversibile. In poche parole, è stata scoperta la
potenzialità del microcosmo e del macrocosmo fisico, ma il grado di tale
potenzialita è restato incomparabilmente piú basso in confronto alla
potenzialita della vita sociale.
Da questa tesi si può dedurre che la potanzialità [cioè la variabilità,
come Fischer preferira dire dopo la guerra] della realtà cresce di pari
passo con il grado della sua differenziazione [qualitativa ] cosicché il
grado di variabilità della realtà diverrebbe l´indice di un ordine
essenziale: la realtà sarebbe tanto piú evoluta quanto piú è potenziale
[variabile] (p 90).
Notiamo, per inciso, che nel 1959 Weisskopf scriverà:
Con ogni probabilita, lo sviluppo della materia nella storia dell´universo
ha disceso la scala quantica passando... dalle alte alle basse energie e
aggiungendo a ogni fase successiva una nuova qualita.[...]Fu un periodo
di scarsa differenziazione. Sucessivamente...
si formarono atomi.
Questo fu il primo passo verso la qualità e l’organizzazione. [...] Infine...
ebbe inizio la grande avventura di cui noi stessi siamo parte. [...] Lo
sviluppo dalla quantità alla qualità raggiunse allora lo stadio di rilevante
diversificazione che ci è noto come il mondo nel quale viviamo. La vita
umana, i pensieri e i sentimenti degli uomini non sono che una
manifestazione appartenente a questo stadio [nota 1].
Ma noi volevamo riferirci allta struttura. Essa, in pochissime parole, per
Fischer è «dominante rispetto alle componenti», attraverso quel
rapporto centrale che le dà carattere unitario, il «rapporto strutturale»
che noi incontriamo per Fischer solo attraverso le reazioni proprie della
struttura. Ogni funzione nella struttura ha per Fischer una sua relativa
autonomia immanente, sicché una struttura vive in uno stato di «
relativo equilibrio» (stabilità, labilità, variabilità) delle
Página XXIII
componenti e delle funzioni; in ogni caso tuttavia questo equilibrio labile
è il risultato di «tensioni» che hanno la tendenza a disporsi come
«contraddizioni polari» (polárni): «di esse tutte vale che da un lato
ammettono una serie piú o meno ampia di passaggi intermedi e anche
che, in casi critici, si rovesciano in nuove qualità [letteralmente: in
nuove determinazioni qualitative]»[nota 1]. Come può vedersi da questa
veloce definizione preliminare, siamo molto vicini alla definizione
generale della struttura dell´altro grande classico dello strutturalismo
cecoslovacco, Jan Mukarovsky: «Secondo la nostra concezione, può
essere considerato come una struttura soltanto un tale insieme di
componenti il cui equilibrio interno sia violato e rinnovato senza posa e
la cui unità ci appaia per ciò come un insieme di opposizioni dialettiche»
[nota 2]. Il punto che qui interessa precisamente è ciò che costituisce
l´identità della struttura. Fischer pone in evidenza che le «contraddizioni
polari» portano delle qualità specifiche (eventualmente nuove, fino a
una nuova struttura) [nota 3]. Mukarovsky dice piú precisamente
«opposizioni dialettiche» (ci è nota ormai l’abitudine fischeriana di
costruire una terminologia autonoma e indipendente). Ma se
Mukarovsky dice anche piú precisamente che «Ciò che dura è soltanto
l´identità della struttura
nel corso del tempo , mentre la sua
composizione interna, la correlazione delle sue componenti muta
incessanternente» [nota 4], con una formulazione analoga a quella che
Havemann userà nel 1964 a proposito della dialettica di causa ed effetto
nei processi («Un processo di sviluppo nel suo insieme conserva la sua
identità perché prosegue con continuità nonostante il suo continuo
mutare) [nota 5], per Fischer evidentemente non si comorende ancora
l’identità della struttura se non si provvede a collegarla alle quantità
specifiche (provvisoPágina XXIV
rie per definizione) delle componenti e delle funzioni. E infatti in
Hrusovsky, che in parte si richiama a Fischer, troveremo coerentemente
che «Se il cambiamento di una componente determina il cambiamento
delle altre componenti e della struttura dell’oggetto, si tratta allora di
una componente necessaria
[cioè essenziale, costitutiva di quella
struttura]. La componente strutturale necessaria ha una sua funzione
delimitata nella totalità dell’oggetto; tale funzione codetermina la
specificità qualitativa (kvalitativna specificnost’) sia della componente
come della totalità»; mentre per l’analisi dell’aspetto diacronico della
struttura troveremo che «Il fattore piú rilevante di ogni modificazione
essenziale, della trasformazione qualitativa (kvalitativna transformácia)
di un oggetto reale e la sua contraddittorietà interna». E troveremo
infine che «concorda con il nostro punto di vista la tesi di Tjuchtin che la
conoscenza della specificità qualitativa dell’oggetto significa ii
disvelamento della sua struttura specifica » [nota 1].
Come si vede, non si tratta certo di pure coincidenze; mentre se noi
abbiamo privilegiato finora i punti di contatto con la fisica, ciò è
avvenuto perché Fischer stesso vi si riferisce sovente [nota 2] (il che
non si dice qui per demandare a Fischer la responsabilità degli
accostamenti fatti, che sono frutto di una nostra iniziativa forse
avventurosa ma, speriamo, non avventata).
Ci sembra importante aggiungere che non manca in Fischer una
premessa che distingue «duramente» tra oggetto reale in quanto tale e
in quanto oggetto della nostra conoscenza. Essa è importante perché la
sua assenza priverebbe di fondamento la critica fischeriana della
scienza, riconducendo una reazione all’uso irrazionale della razionalità
ad una reazione idealistica.
Página XXV
Quella distinzione è soltanto accennata nella Crisi della democrazia.
Bisogna tener presente che questo libro è uno sforza isolato e
anticipatore, nonché alquanto prematuro: esso tenta di rlbaltare le
premesse generali sulle quali poggiava (e forse poggia ancora) l’ordine
stante, evitando la via totalitaria che allora montava e distanziandosi da
un movimento socialista che si mostrava impotente (nella teoria non
meno che nella prassi, per Fischer) a fronteggiarla. Sforzo poderoso
perché alla discussione sui principi generali si accompagnano una
ricostruzione tutta futurologica della storia politica e sociale dell’Europa
e uno schizzo di una societa nuova. Utopistico è questo libro di Fischer
nella misura in cui si rifiuta di scendere a compromessi con la realtà
storico-sociale in quanto ideologia e prassi di una società capitalistica e
antidemocratica e, contemporaneamente, si rifiuta di abbandonare
quella stessa realtà storico-sociale (di cui, come storia e come
prospettiva, il volume è pieno) in quanto materiale da ordinare in una
realtà nuova. Ma in questo senso il suo carattere utopistico sarebbe
auspicabile, discendendo dalla necessita di non essere, di fronte a una
situazione storica come quella dell’Europa degli anni trenta, troppo
«realistici» (nel senso che si può forse rimproverare a un Weber) e
neanche (ci si perdoni ii bisticcio) «utopistici», nel senso di voler
affrontare quella situazione con armi spuntate (quelle di molti marxisti ai
quali, per dirla con Zumr, «non dispiaceva scoprire una intima affinità
tra marxismo e positivismo» [nota 1]; quelle, criticate da Fischer, del
movimento operaio del congresso della seconda internazionale).
Dunque le questioni che nella Crisi della democrazia sono soltanto
accennate o risolte a metà meritano a nostro avviso di essere pensate
fino in fondo e non semplicemente dassificate come adeguate o
inadeguate: cosi per la dialettica (che alquanto astratta), cosi per il
marxismo (verso il quale c’e una sorta di attrazione-repulsione, dovuta
con ogni probabilita alla convergenza reticente di Fischer), cosí sui modi
del passaggio dalla società capitalista a quella nuova (qui davvero non ci
viene detto nulla) [nota 2]. E ciò perché l’unica lettura frutPágina XXVI
tuosa di Fischer non e quella «marxista» (nel senso della semplice
verifica di quanto egli giunga alle stesse conclusioni) né quella, pure
possibile, «borghese», ma una lettura dinamica, che badi alle differenze
piú che alle analogie per verificare quanto la critica del capitalismo di
Fischer possa completare quella di Marx e anticipi quella di certo
marxismo contemporaneo, essendo poi a volte profetica per quel che
riguarda le reazioni dei ceti medi, i pericoli di involuzione
antidemocratica e il problema di certe vie, eventualmente errate, al
socialismo.
A questo proposito può essere utile un confronto tra le posizioni di
Weber e Fischer (ambedue critici del «liberalismo» e del «bolscevismo»)
sul socialismo come movimento politico in un periodo cruciale della sua
vita, gli anni dopo il 1917, e come ideologia dei partiti operai. Mentre il
primo, come è noto, avversava allora attivamente il movimento
socialista, Fischer si schiera a favore della rivoluzione russa e difende la
nascente società sovietica [nota 1]. Ma ben piú e il confronto sul
socialismo come ideologia: Weber lo nega perché esso è contrario alla
razionalità occidentale, di cui egli vede la realizzazione «necessaria» nel
capitalismo, sia pure in un capitalismo dove il fattore economico non sia
acriticamente preponderante (ma ci si domanda se non ci si trovi in
presenza di una contraddizione),Fischer che diffida del marxismo,
esprime in sostanza un sospetto opposto: se,non
Página XXVIII
ricada, il socialismo come ideologia del movimento operaio di allora,
nell’ambito della ragione «misurante» in economia come in politica; e
che esso non sia pertanto (se si conduce fino in fondo la sua critica)
vero socialismo. Se è cosi, ci pare appropriato sostenere che al «cinismo
intellettuale» di cui si accusa a volte Weber corrisponda l’«utopia» di
Fischer, e che questa è piú produttiva di quello. Infatti, Fischer parla
esplicitamente di «base capitalistica soltanto rovesciata » (p.169) o di
«capitalismo di stato» (p.186), cosi come nega qualsiasi valore alla
«partezipazione operaia» (p.186) di tipo socialdemocratico. È vero che
la critica di Fischer al socialismo è talvolta poco dimostrata o ingenua.
Ma è vero anche che la sua critica del capitalismo è tale da comprendere
anche, in stretta connessione con quella, la critica di fenomeni che forse
stanno alla radice di ciò che viene chiamato stalinismo, neostalinismo,
revisionismo ecc. (di alcuni suoi aspetti, almeno ), e appare quindi
attuale.
II confronto con Weber potrebbe continuare sul tema del razionalismo
e sul ruolo della sociologia. Quest’ultimo problema è legato a quello della
«avalutativita» della sociologia ricercata da Weber. Fermo restando che
Fischer, in linea con i grandi sociologi, vede la sociologia come scienza
autonoma della società come sistema, il problema della valutatività si
pone per lui su due piani. Il primo è quello dove protrebbe prendere
corpo l’equivoco di una interpretazione valutativa del principio
qualitativo funzionale. Fischer non lo intende cosi (anche se qualche
esitazione c’e)e sostiene che le sue analisi contengono termini qualitativi
ma non fanno uso di valutazioni (ne è un esempio il giudizio sul
capitalismo che non ammette il giudizio opposto). Il secondo piano, piú
generale, è la questione se la sociologia debba essere ricerca empirica o
teoria formalizzata. Brevemente, Fischer la intende prevalentemente
come attività teorica, non però nel senso del contrasto con la ricerca
empirica (che gli fu nota soprattutto nel campo della scuola) ma in
quello, ben diverso, del prospettare all’uomo soluzioni desiderabili del
vivere sociale sulla base di un esame della storia politica e sociale
dell’Europa non meno che della ricerca dei
principi. Non si deve
dimenticare che Fischer proprio nel I933 si presenta come filosofo e
sociologo (doppia veste che non abbandonerà piú), e che la filosofia
intendeva non come «mera duplicazione del reale nel
Página XXVIII
pensiero» [nota 1], ma come attività tesa alla ricerca di fini da additare
all’operare umano, e delle vie che vi conducono.
Si manifesta qui l’occasione di ricondurre l’opera di Fischer alla scuola
sociologica che egli ha spesso anticipato, la Scuola di Francoforte, alla
quale da piú parti si rimprovera di essere «filosofica». Anche la critica di
Fischer, come si è detto, è filosofica oltre che politica, sociologica e
economica. Probabilmente, coloro che volessero negare valore a quella
critica perché filosofica si richiamerebbero, se marxisti, a Engels, il quale
della filosofia salvava (nell’ AntiDühring) soltanto la logica formale e la
dialettica. Ma questa tesi vale per Engels stesso soltanto a condizione
che le scienze oltrepassino i propri limiti speciali e pongano attenzione
esse stesse alle connessioni filosofiche dei loro singoli discorsi speciali. Il
«ciarpame filosofico » engelsiano è inutile se la scienza opera in modo
dialettico. Ma proprio questo è il punto messo in discussione dalla critica
della ragione misurante» di Fischer. Il principio qualitativo-funzionale di
Fischer altro non intende essere che un principio in base al quale sia
possibile descrivere e agire oggettivamente e dialetticamente la realtà. Il
punto che interessa non è quindi se la critica fischeriana sia filosofica,
bensí invece quanto riesca a rispettare quell’assun to (che noi abbiamo
creduto di riformulare). La risposta è ovviamente contraddittoria: essa vi
riesce in misura egregia e soprattutto in una direzione sostanzialmente
accettabile e produttiva, pur restando perfettamente vero che il principio
generale al quale si ispira è il frutto di una intuizione prima che un
risultato scientifico e che lo schizzo di società
«strutturale» è
fortemente astratto e riduttivo, essendo in definitiva tanto armonico e
stabile da contraddire in ciò le caratteristiche generali dello
strutturalismo cecoslovacco.
Per tornare alla Scuola di Francoforte, nulla illumina meglio di questa
frase di Marcuse come Fischer ne sia stato un precursore: «L’astrazione
che, teoricamente e praticamente insieme... determina l’età del
capitalismo [è] la riduzione della qualità alla quantita» [nota 2]. In
Adorno e Horkheimer ritroviaPágina XXIX
mo (nel 1947) la «ragione misurante» di Fischer: «L’ordine totalitario
insedia completamente nei suoi diritti il pensiero calcolante e si attiene
alla scienza come tale» [nota 1]. Oppure, se ci si chiedesse a che cosa
mirano la teoria critica e la teoria «strutturale» di Fischer, si potrebbe
cominciare a cercare la risposta partendo da quel luogo dove
Horkheimer nega che il nuovo atteggiamento sociologico miri,
soggettivamente e oggettivamente, a un migliore funzionamento della
struttura sociale stante (con l´«ovvio» corollario che esso, cioè Fischer e
la teoria critica mirano dunque ambedue al buon funzionamento di una
struttura sociale da fondare ex novo: Marx).
1973.
SERGIO CORDUAS