CORDUAS. S. Ipotesi di lettura per Josef Ludvík Fischer. In: FISCHER, J. L. La crisi della democrazia, 2. ed. Torino: Giulio Einaudi, 1977. p. XI - XXIX. Página XI Ipotesi di lettura per Josef Ludyvík Fischer Ci sono almeno tre modi di leggere Fischer (tutto Fischer, e non solo La crisi della democrazia): una lettura,sociologica e politica porterebbe a confrontare la sua critica della società capitalistica (principi e prassi) con quele di Marx e della Scuola di Francoforte (di cui Fischer spesso anticipa le idee); mentre i principi che informano il suo modello di società «strutturalle » (nota 1) , e il modello stesso, si potrebbero riportare ai modelli di società «organiche», «totali», «comprendenti» ecc. Elaborati da numerosi sociologi e pensatori tra gli anni venti e quaranta. Interno a questa lettura, troveremmo il tentativo fischeriano di giungere al socialismo senza nulla concedere a ciò che per Fischer è negativo nell’esperienza sovietica del socialismo. Una seconda lettura, filosofica, dovrebbe partire dallo strutturalismo ontologico di Fischer (in particolare dal problema del rapporto tra qualità e quantità) per giungere, fin dove si può, all’analisi dei meccanismi di una dialettica concreta e non astratta e formale. Qui il confronto utile sarebbe con gli aspetti ontologici e metodologici dello strutturalismo di Jan Mukarovsky, con l’antropologia filosofica di Robert Kalivoda e in specie con la filosofia di Igor Hrusovsky ( nel senso che la ricerca di quest’ultimo verte precisamente e coerentemente sulla dialettica della struttura); beninteso tenendo presente che riferimento centrale in questo senso è dato dal materialismo e dalla dialettica in Marx. Queste due letture, che corrispondono grosso modo ai due livelli sui quali si distende la produzione di Fischer (politicos-sociologico fino alla Crisi della democrazia, 1933, filosoficoPágina XII ontologico dopo la seconda guerra mondiale), potrebbero poi essere utilmente integrate da una terza, che chiameremmo fisica, dovendo essa mettere a confronto i principi della fisica classica (causalità, teleologia) con quelli della fisica nuova (funzioni nella e della struttura, relativismo?) e con quelli vigorosamenti asserti in Fischer, nel 1930, 1933 e dopo la guerra, validi anche e soprattutto per la realtà sociale (struttura, funzione, prevalere in essa di «momenti qualitativi» non quantificabili). Lettura utile perché mostrerebbe bene come si tratti , in Fischer e partendo da Fischer, di questioni cardinali non soltanto per la determinazione di un approccio sociologico e politico specifico, ma, probabilmente prima di esso, di un approccio metodologico e filosofico volto anche a scardinare la barriera ostinatamente stante tra scienze sociali-morali-dell´uomo e scienze naturali-esatte. Lettura pertinente, inoltre, perché ai problemi del rapporto tra filosofia e scienza Fischer, come Hrusovsky, annette importanza estrema, si che l’uno e l’altro gli hanno dedicato sforzi assai consistenti. Benché sia ovvio, giova affermare che le tre letture sono necessariamente interdipendenti, sí che l’una non può stare senza l’altra, mentre le eventuali preferenze del lettore saranno legittime quando non ignoreranno le acquisizioni piú importanti raggiunte in ambiti che gli siano meno congeniali. Meno ovvio, forse, ma ugualmente se non piú importante è che una volta discussi con ordine quei problemi tutti, non resterà che rilanciare le posizioni fischeriane, quelle cioè che, valide e fornite di prospettiva, risultassero per cosí dire potenziate dai confronti suaccennati, nella mischia ideologica, non tanto per vedere che cosa ne sarà subito, quanto perché vi siano presenti, che è poi il solo modo di verificare se esse servano e di risolvere parte del debito che, credo, la nostra cultura ha verso i teorici cecoslovacchi degli anni trenta. Come si può vedere, si tratta di un programma impegnativo e vasto, che non sarà nostra pretesa esaurire. Ma ci corre obbligo almeno di dimostrare che esso è sostanzialmente fondato, abbozzando qualche analisi parziale. Herr Hitler, il 2 settembre 1938, riceveva a Monaco i Sudeti, cioè un territorio cecoslovacco. Mister Chamberlain, Monsieur Daladier e il signor Mussolini, che glielo avevano Página XIII «dato», erano assai contenti, perché pensavano di aver evitato la catastrofe. Si misuri l’insipienza e la cecità di quei «politici» sulla convinzione angosciata di Fischer, circa dieci anni prima, che l´Europa si avviava alla catastrofe, culturale e politica. Convinzione che matura a partire dal 1927, finché, dopo La crisi della democrazia (1933), un esaurimento nervoso impedisce a Fischer, per circa dieci anni, una normale attività scientifica. È la preoccupazione per il futuro dell’Europa dunque che porta Fischer dalla filosofia alla sociologia (e concretamente a questo libro), perché egli crede che soltanto nell’ambito di una riflessione sociologica (cioè scientifica) si può avviare la soluzione dei problemi politici piú profondi e generali. Sociologia come teoria generale della societa, quindi. Ma mossa da uno scopo preciso: destituire di qualsiasi credibilità il capitalismo in economia e in politica, e costruire un modello alternativo. È lecito quindi porsi una domanda: perché il tentativo fischeriano non si svolge nell’ambito esplicito del marxismo? Perché, cioè, Fischer non è marxista? Il lettore noterà che spesso la terminologia di Fischer e, a volte con fatica, diversa da quella di Marx (egli scrive proprietà privata dei mezzi di guadagno là dove Marx dice: dei mezzi di produzione), e piú in generale che il suo discorso e spesso parallelo o convergente rispetto a quello di Marx. Tanto piú che l’alternativa al capitalismo è — anche per Fischer — il socialismo. (nota 1) La risposta è la seguente: primo, perche Fischer, pur conoscendo e apprezzando ii marxismo (non conoscendo peth ii giovane Marx, i Quaderni filosofici di Linen il giovane Lukács), lo considera tuttavia — come dice J. Zumr— una variante del naturalismo e identifica erratamente la spiegazione marxista del capitalismo con l´essenza filosofica del marxismo (nota 2). Secondo, perché egli è (e si sente) autore di una visione globale, complessiva dei problemi filosofici e politico-sociologici, e come tale gli corre obbligo di riferirsi a se stesso prima che ad altri. Página XIV Naturalmente, Fischer si serve delle analisi marxiste, spesso le ripete con risultati analoghi (cfr. una sua interessante dichiarazione in proposito ), epperò è vero che se vi sono delle posizioni interessanti nella sua critica del capitalismo, vi sono in quanto egli procede autonomamente. Dunque quel che deve interessare nella lettura di Fischer è in primo luogo se e quanto egli possa utilmente integrare e eventualmente rifondare la critica del capitalismo e la costruzione del socialismo, e solo in secondo luogo (cioè, appunto in questa luce ) se e dove egli sia in contrasto con Marx, e se a ragione o a torto. L’asserita globalità della visione fischeriana è reperibile già nelle seguenti Tesi del 1930: L’espressione teoretica (dell’orientamento culturale strutturale) è data dai principi dello sttutturalismo (strukturalismus) scientifico e filosofico Questi principi sono: I) La conformazione della realtà è il risultato di un processo nel quale le sue singole componenti vengono determinate da aspetti totali, Si inseriscono cioè come componenti piú o meno autonome in totalifà gerarchicamente stratiticate.2)Le varie formazioni della realtà devono considerarsi come sostanzialmente eterogenee e non trasferibili l’una nell’altra. 3)La spiegazione delle formazioni piú complesse diventa pertanto la base per la spiegazione delle formazioni piú semplici. 4) Il rapporto tra queste formazioni ha carattere totale; anche il loro processo di sviluppo è determinato da aspetti totali; inoltre, le formazioni date esistenti fino a un certo momento non esauriscono la possibilita di nuove formazioni. [...] Espressione sociale di questo orientamento (culturale strutturale) nella sfera economica è lo strutturalismo economico, che soddisfa le esigenze e le richieste del socialisrmo. I suoi principi sono: 1) Il processo economico viene inserito come parte relativamente autonoma nella totalità dei rapportti sociali ed è subordinato agli aspetti specifici di tale totalità, cosí che da essi e non dall´attenzione per il massimo di guadagno viene determinata la produzione di beni: l’aspetto economico del capitalismo viene socializzato. 2) Il mezzo per raggiungere tale scopo resta la produzione meccanica, subordinata però agli aspetti specifici del soggetto lavoratore. 3-4) Il rapporto tra la quantità di beni producibili, uno stesso tipo o di tipo diverso, e la necessità sociale è il risultato della stratificazione pianificata della produzione rispetto alle necessità della totalità sociale.[...] Página XV Espressione sociale di questo orientamento (culturale strutturale) nella sfera politica e lo strutturalismo politico, definibile come democrazia strutturale. I suoi principi sono: 1) La realtà sociale è formata dalla struttura sociale degli individui come soggetti del processo sociale. 2) Tali individui devono considerarsi come socialmente uguali [rovnocenná: che hanno uguale valore.] 3) I rapporti sociali tra questi soggetti vengono determinati dalla loro funzione sociale. 4) Il rapporto tra questi rapporti funzionali organizzati e la struttura sociale viene mantenuto e co-regolato da organi gerarchicamente stratificati di controllo democratico. L’ordine sociale nasce nella democrazia strutturale dalla strutturazione di funzioni sociali parziali, i cui portatori sono i singoli soggetti, tale strutturazione è poi sottoposta interamente al loro controllo... Risultato di questo sistema funzionale sarà la liberazione di tutte le forze sociali, rafforzate dalla loro organizzazione pianificata, cosi che gli aspetti sociali imprimeranno alla struttura di quest’epoca un carattere specifico: varranno e agiranno socialmente gli apporti creativi individuali, garantiti e sostenuti a ogni grado della gerarchia sociale dal principio universalmente applicato della «autodeterminazione democratica». Con ciò prevarra in ogni senso l´aspetto umano, che è il principio guida sia dello strutturalismo teoretico che di tutta la struttura sociale... [nota 1]. Il problema della dialettica in Fischer è legato a quello del carattere dinamico del suo strutturalismo. Il primo si incentra sui rapporti tra qualità e quantità, il secondo sul concetto di funzione. Fischer aveva già proclamato, per la verità in un modo abbastanza adialettico e apodittico, una sorta di «primato » della qualità sulla quantità tra il 1927 e il 1930. Questo primato si trasforma ma non viene meno nella Crisi della democrazia, e lo stesso può dirsi per le opere successive di Fischer. Dopo la guerra anzi egli considera la qualità (qualitas: kvalita) e la quantità come le due categorie dialettiche piú importanti [nota 2], non cessando però di sottolineare quello che Página XVI nel 1948 chiama «imperativo categorico della qualitatività». Ora, Fischer ha ragione in questo, perché qualunque dialettica non può che muovere dalla distinzione tra ciò che è identico e ciò che è diverso da se stesso, tra identità e diversità, e tale distinzione non è possibile senza quella di qualità e quantità . Come dice Havemann, «Noi possiamo solo contare quantità di qualità» [nota 1]. Sembra un’ovvietà. Eppure è estremamente importante, perché solo se terremo presente questa ovvietà la quantificazione (cioè la riduzione a omogeneo di ciò che è eterogeneo) non sfuggirà al nostro controllo. Un punto di vista funzionale, abbinato al riconoscimento della semplice verità enunciata da Havemann, permetterà di non soggiacere ciecamente alla «ragione misurante», come la chiama Fischer. Piú in generale, permetterà di non credere che le cose si svolgono secondo un processo causale in cui A determina B e dove il fine è Z. A può determinare B e il fine (o meglio la fine) del processo può anche essere, temporaneamente, Z, ma ciò non è detto, questo processo non descrive definitivamente la realtà come è, ma scopre soltanto uno dei possibili modi di esistenza e di vita della realtà [nota 2]. C´è una bella differenza, perché il primo processo (causale) non è revocabile e spinge ad una attività poco cosciente, il secondo (funzionale) è revocabile e invita ad agire dialetticamente. AssoIutizzando il principio della causalità, il positivismo (bestia nera di Fischer [nota3] ) costringe alla illibertà quello stesso principio che aveva proclamato ai suoi inizi: il rispetto del fatto, Página XVII del dato. Ma non era questo principio appunto un’assunzione di libertà? Si intende che tutto ciò non ha impedito alla «ragione misurante» criticata da Fischer di far progredire vertiginosamente le scienze: non vi è contraddizione. I processi della realtà mostrano delle reazioni statisticamente medie e quindi si possono sfruttare a fini di progresso tecnico. Ma il ruolo del postulato funzionale-qualitativo mentre la tecnica progredisce? Esso stabilisce sul piano teorico che la media statistica non esprime verità, e pertanto riconduce nuovamente all’uomo quella responsabilità che il positivismo, dopo avergliela data obbligandolo a rispettare il dato, gli aveva nuovamente tolto costringendolo alla deduzione meccanica dell´effetto dall causa devolvendola cioè alla «oggettiività scientifica». Apre quindi il problema del senso di quel progresso. Ma con ciò porta diritto alla sociologia e alla politica. Ma allora il «realismo qualitativo» di Fischer (è una sua autodefinizionej, il suo strutturalismo funzionalista qualitativo servono bene la causa della libertà, perché spingono davvero a ricercane un senso positivo: se essi non significano la negazione pura e semplice della tecnica (posizione forse comprensibile, ma velleitaria), ma la necessità di inserirla nel discorso sulla società, mentre l’inserimento concreto della tecnica nella società appare universalmente problematico [nota 1], la conclusione non può essere che una sola: è dal discorso sulla società, cioè dalla politica, che devono trarsi le indicazioni per un riesame del ruolo della tecnica. Questo è il discorso che manca, e questo si deve ricercare. E si noti che è in nostro potere (benché difficile) farlo, mentre non è in nostro potere nullificare magicamente la tecnica e neanche, senza quel discorso, «umanizzarla», come a volte si dice.. Tutti i rapporti di questo mondo sui limiti dello sviluppo [nota 2] sono perfettamenPágina XVIII te inutili finche non sono preceduti dal discorso sulla società. E anzi non inutili ma codini appaiono, perché il terrorismo ecologico dispone l’animo del lettore alla sottomissione nei confronti dei politici, i quali soli gli appaiono investiti della missione di salvare il mondo: ma i politici non possiedono il discorso sulla società, essendo doppiamente succubi della «ragione misurante», nel senso del profitto capitalistico e della democrazia formale, sicché si può prevedere che dirigeranno il salvataggio in un senso ben unilaterale [nota 1] Se torniamo alle citate tesi del 1930, vedremo che esse costituiscono in realtà una prima risposta (ancora alquanto statica, ma pertinente in prospettiva) a quello che Fischer stesso chiama in vane occasioni protatitpo rneccanicistico. Si è già accennato ai principi che informano tale prototipo: la convinzione (ontologica) che la realta è costituita di quantità omogenee (i cui rapporti sono esprimibili con numeri), la negazione dell’esistenza reale delle qualità, il determinismo. La critica di questi principi non costituisce in sé e per sé nulla di nuovo. Ma ciò che è affascinante in Fischer è che essa coinvolge (già nel 1930) il capitalismo come fatto economico e la democrazia come fatto politico, mentre costruisce la prospettiva di un´alternativa che si vuole strutturalista e antipositivista , cioè socialista (si rilegga a p.XIV). Il capitalismo come aspetto economico e la democrazia come aspetto politico di una ragione «misurante» che Fischer accusa in sostanza di materialismo cieco e volgare e di adialetticità. Questa saldatura tra critica filosofica della scienza e critica filosofica ma anche economica del capitalismo, critica filosofica ma anche politica della democrazia costituisce secondo noi uno degli aspetti piú importanti dell’opera di Fischer, essendo essa ancora attuale. È vero infatti che il credo positivistico non costituisce piú il punto di partenza delle scienze. Ma in primo luogo ci si può forse chiedere con Popper se non sia errata anche la posizione, a prima vista opposta, secondo cui la teoria non è che un puro strumento per elaborare nuovi modi di manipolare la realtà, essendo ad essa negata ogni minima Página XIX speranza di descrivere in qualche misura il mondo [nota 1]; e soprattutto ci preme sottolineare che assolutamente integro appare il dominio della ragione «misurante» nell´economia (assolutizzazione degli aspetti economici, nella terminologia di Fischer) e nella polltica (democrazia formale e non sostanziale). Da un lato quindi si può porre la questione della distanza o del rapporto tra atteggiamento scientifico e prassi economica e politica (della distanza se si concorda con quello che Popper chiama prudentemente « terzo punto di vista»; del rapporto se si concorda con il «punto di vista strumentalistico». Dall´altro si apre il problema di ritrovare, ridescrivere e ricondurre a critica nel capitalismo attuale i meccanismi sempre piú complessi (se non altro per le dimensioni planetarie del problema) secondo cui si fa valere pur sempre la stessa esigenza di fondo (assolutizzazione degli aspetti economici), corredata forse di una nuova veste, la promessa «ecologica» di beni «piú puliti», e «piú equamente» distribuite. Che la lettura di Fischer sia assai promettente in queste direzioni pare a noi indubbio. Senza ripetere qui le sue analisi (per le quali si rimanda alle Premesse al I e II libro), sta di fatto che egli tenta una descrizione oggettiva della realtà sulla base del diverso grado qualitativo delle sue formazioni. Anche se sottoporrà a revisione quasi tutti i propri principi, Fischer non abbandonera mai la convinzione che la realtà (si tratti dei suoi «modi esistenziali» o delle strutture) è «differenziazione qualitativa». Questa posizione resta valida anche quando egli afferma di credere, su un piano metodologico generale, che la disciplina fondamentale della scienza futura sia una «strutturologia generale», di cui definisce le sotPágina XX todiscipline principali come «reattologia» e «limitologia» [nota 1]. Fa parte della revisione anche il ricupero della quantificazione come procedimento scientifico utile (e come tale mai negata, ma soltanto trascurata nell´ansia di costruire l’alternativa alla stessa quantificazione in quanto unico principio valido per tutte le scienze, anche per quelle sociali). E tuttavia egli tiene ad affermare che la quantità numerica si comporta adialetticamente, poiché comincia a «rovesciarsi» dialetticamente «nel non conteggiabile, cioè nel non pensabile fino in fondo, e quindi nell’irreale, che chiamiamo infinito» [nota 2]. Ora, se da un punto di vista generale si può constatare che la fisica moderna ha profondamente trasformato il concetto stesso di quantificazione, non legandolo piú immediatamente e irrimediabilmente alla numerazione [nota 3], e che essa tende a porre in risalto piú l’interazione tra qualità e quantità che la loro dicotomia, su un piano piú particolare, e con riferimento a quanto accennato sopra a proposito del grado di qualitatività delle diverse formazioni del reale in Fischer, appare estremamente significativo secondo noi che di fronte a uno dei dilemmi della fisica nuova, se gli stati quantici cioè siano delle «mutazioni genuinamente qualitative» oppure delle semplici «discontinuità quantitative», la risposta del fisico V. F. Weisskopf sia la seguente: «Quando una discontinuità non si lascerà spiegare quantitativamente, dovrà essere trattata come un cambiamento qualitativo, cioè come un diverso ” tutto ” , per qualche significativa relazione con le sue parti»[nota 4]. Ma qui sfioriamo forse due questioni cardinali per la «strutturologia» auspicata da Fischer, perché in sostanza si tratta 1) del funPágina XXI zionamento della struttura finché essa conserva la propria identità e 2) della nascita (eventuale) di una struttura nuova. Potremo forse documentare come Fischer meriti un certp primato nell´ambito della poderosa tradizione strutturalista cecoslovacca tra le due guerre [nota 1], per aver tenuto fermo il punto della qualità (non nel senso valutativo del termine) come concetto cui riferirsi nell’esame di tali problemi. La teoria di Fischer porta in sostanza, come già può vedersi dalle citate tesi del 1930 e piú esplicitamente in seguito, all’ipotesi di una realtà strutturata a diversi livelli, riconoscibili per il loro grado qualitativo (nel loro aspetto qualitativo) e per le loro funzione specifiche, dove le strutture sono caratterizzate da un «ordine», da una legalità immanente relativamente autonoma. Egli parla (p.92) di sfere superiori e inferiori e stabilise i criteri che, impedendo di confonderle arbitrariamente (cioè di trasportarle meccanicamente le une nelle altre), ne regolano la vita. Superiore e inferiore significa prima di tutto (lo si vede dalle Premesse al II libro) piú complesso e meno complesso, in base ai principi di I) indipendenza crescente, 2) ordine crescente, 3) fragilità (anche`ssa crescente,4) adattamento. Lo sforzo di Fischer appare teso a ordinare secondo i principi della sua visione la realtà sociale, a dimostrare che solo rispettando tale ordine qualitativo, che Fischer intende oggettivo,« onticamente fondato» potrà aversi una società accettabile (socialista) nei suoi caraterri generali e priva di squilibri organisi e endemici [nota 2] (si potrebbe anPágina XXII che dire che Fischer non vuole essere meno scientifico di Marx). Ma non a caso, forse, due pagine prima Fischer aveva chiamato a testimoniare la fisica, che ha rimesso in discussione il comportamento omogeneo della realta fisica e il carattere univoco dei concetti fisici: Casi ideali erano i fenomeni fisici reversibili. Soltanto i fenomeni termodinamici ci hanno costretto a prendere in considerazione il tempo come fattore irreversibile. In poche parole, è stata scoperta la potenzialità del microcosmo e del macrocosmo fisico, ma il grado di tale potenzialita è restato incomparabilmente piú basso in confronto alla potenzialita della vita sociale. Da questa tesi si può dedurre che la potanzialità [cioè la variabilità, come Fischer preferira dire dopo la guerra] della realtà cresce di pari passo con il grado della sua differenziazione [qualitativa ] cosicché il grado di variabilità della realtà diverrebbe l´indice di un ordine essenziale: la realtà sarebbe tanto piú evoluta quanto piú è potenziale [variabile] (p 90). Notiamo, per inciso, che nel 1959 Weisskopf scriverà: Con ogni probabilita, lo sviluppo della materia nella storia dell´universo ha disceso la scala quantica passando... dalle alte alle basse energie e aggiungendo a ogni fase successiva una nuova qualita.[...]Fu un periodo di scarsa differenziazione. Sucessivamente... si formarono atomi. Questo fu il primo passo verso la qualità e l’organizzazione. [...] Infine... ebbe inizio la grande avventura di cui noi stessi siamo parte. [...] Lo sviluppo dalla quantità alla qualità raggiunse allora lo stadio di rilevante diversificazione che ci è noto come il mondo nel quale viviamo. La vita umana, i pensieri e i sentimenti degli uomini non sono che una manifestazione appartenente a questo stadio [nota 1]. Ma noi volevamo riferirci allta struttura. Essa, in pochissime parole, per Fischer è «dominante rispetto alle componenti», attraverso quel rapporto centrale che le dà carattere unitario, il «rapporto strutturale» che noi incontriamo per Fischer solo attraverso le reazioni proprie della struttura. Ogni funzione nella struttura ha per Fischer una sua relativa autonomia immanente, sicché una struttura vive in uno stato di « relativo equilibrio» (stabilità, labilità, variabilità) delle Página XXIII componenti e delle funzioni; in ogni caso tuttavia questo equilibrio labile è il risultato di «tensioni» che hanno la tendenza a disporsi come «contraddizioni polari» (polárni): «di esse tutte vale che da un lato ammettono una serie piú o meno ampia di passaggi intermedi e anche che, in casi critici, si rovesciano in nuove qualità [letteralmente: in nuove determinazioni qualitative]»[nota 1]. Come può vedersi da questa veloce definizione preliminare, siamo molto vicini alla definizione generale della struttura dell´altro grande classico dello strutturalismo cecoslovacco, Jan Mukarovsky: «Secondo la nostra concezione, può essere considerato come una struttura soltanto un tale insieme di componenti il cui equilibrio interno sia violato e rinnovato senza posa e la cui unità ci appaia per ciò come un insieme di opposizioni dialettiche» [nota 2]. Il punto che qui interessa precisamente è ciò che costituisce l´identità della struttura. Fischer pone in evidenza che le «contraddizioni polari» portano delle qualità specifiche (eventualmente nuove, fino a una nuova struttura) [nota 3]. Mukarovsky dice piú precisamente «opposizioni dialettiche» (ci è nota ormai l’abitudine fischeriana di costruire una terminologia autonoma e indipendente). Ma se Mukarovsky dice anche piú precisamente che «Ciò che dura è soltanto l´identità della struttura nel corso del tempo , mentre la sua composizione interna, la correlazione delle sue componenti muta incessanternente» [nota 4], con una formulazione analoga a quella che Havemann userà nel 1964 a proposito della dialettica di causa ed effetto nei processi («Un processo di sviluppo nel suo insieme conserva la sua identità perché prosegue con continuità nonostante il suo continuo mutare) [nota 5], per Fischer evidentemente non si comorende ancora l’identità della struttura se non si provvede a collegarla alle quantità specifiche (provvisoPágina XXIV rie per definizione) delle componenti e delle funzioni. E infatti in Hrusovsky, che in parte si richiama a Fischer, troveremo coerentemente che «Se il cambiamento di una componente determina il cambiamento delle altre componenti e della struttura dell’oggetto, si tratta allora di una componente necessaria [cioè essenziale, costitutiva di quella struttura]. La componente strutturale necessaria ha una sua funzione delimitata nella totalità dell’oggetto; tale funzione codetermina la specificità qualitativa (kvalitativna specificnost’) sia della componente come della totalità»; mentre per l’analisi dell’aspetto diacronico della struttura troveremo che «Il fattore piú rilevante di ogni modificazione essenziale, della trasformazione qualitativa (kvalitativna transformácia) di un oggetto reale e la sua contraddittorietà interna». E troveremo infine che «concorda con il nostro punto di vista la tesi di Tjuchtin che la conoscenza della specificità qualitativa dell’oggetto significa ii disvelamento della sua struttura specifica » [nota 1]. Come si vede, non si tratta certo di pure coincidenze; mentre se noi abbiamo privilegiato finora i punti di contatto con la fisica, ciò è avvenuto perché Fischer stesso vi si riferisce sovente [nota 2] (il che non si dice qui per demandare a Fischer la responsabilità degli accostamenti fatti, che sono frutto di una nostra iniziativa forse avventurosa ma, speriamo, non avventata). Ci sembra importante aggiungere che non manca in Fischer una premessa che distingue «duramente» tra oggetto reale in quanto tale e in quanto oggetto della nostra conoscenza. Essa è importante perché la sua assenza priverebbe di fondamento la critica fischeriana della scienza, riconducendo una reazione all’uso irrazionale della razionalità ad una reazione idealistica. Página XXV Quella distinzione è soltanto accennata nella Crisi della democrazia. Bisogna tener presente che questo libro è uno sforza isolato e anticipatore, nonché alquanto prematuro: esso tenta di rlbaltare le premesse generali sulle quali poggiava (e forse poggia ancora) l’ordine stante, evitando la via totalitaria che allora montava e distanziandosi da un movimento socialista che si mostrava impotente (nella teoria non meno che nella prassi, per Fischer) a fronteggiarla. Sforzo poderoso perché alla discussione sui principi generali si accompagnano una ricostruzione tutta futurologica della storia politica e sociale dell’Europa e uno schizzo di una societa nuova. Utopistico è questo libro di Fischer nella misura in cui si rifiuta di scendere a compromessi con la realtà storico-sociale in quanto ideologia e prassi di una società capitalistica e antidemocratica e, contemporaneamente, si rifiuta di abbandonare quella stessa realtà storico-sociale (di cui, come storia e come prospettiva, il volume è pieno) in quanto materiale da ordinare in una realtà nuova. Ma in questo senso il suo carattere utopistico sarebbe auspicabile, discendendo dalla necessita di non essere, di fronte a una situazione storica come quella dell’Europa degli anni trenta, troppo «realistici» (nel senso che si può forse rimproverare a un Weber) e neanche (ci si perdoni ii bisticcio) «utopistici», nel senso di voler affrontare quella situazione con armi spuntate (quelle di molti marxisti ai quali, per dirla con Zumr, «non dispiaceva scoprire una intima affinità tra marxismo e positivismo» [nota 1]; quelle, criticate da Fischer, del movimento operaio del congresso della seconda internazionale). Dunque le questioni che nella Crisi della democrazia sono soltanto accennate o risolte a metà meritano a nostro avviso di essere pensate fino in fondo e non semplicemente dassificate come adeguate o inadeguate: cosi per la dialettica (che alquanto astratta), cosi per il marxismo (verso il quale c’e una sorta di attrazione-repulsione, dovuta con ogni probabilita alla convergenza reticente di Fischer), cosí sui modi del passaggio dalla società capitalista a quella nuova (qui davvero non ci viene detto nulla) [nota 2]. E ciò perché l’unica lettura frutPágina XXVI tuosa di Fischer non e quella «marxista» (nel senso della semplice verifica di quanto egli giunga alle stesse conclusioni) né quella, pure possibile, «borghese», ma una lettura dinamica, che badi alle differenze piú che alle analogie per verificare quanto la critica del capitalismo di Fischer possa completare quella di Marx e anticipi quella di certo marxismo contemporaneo, essendo poi a volte profetica per quel che riguarda le reazioni dei ceti medi, i pericoli di involuzione antidemocratica e il problema di certe vie, eventualmente errate, al socialismo. A questo proposito può essere utile un confronto tra le posizioni di Weber e Fischer (ambedue critici del «liberalismo» e del «bolscevismo») sul socialismo come movimento politico in un periodo cruciale della sua vita, gli anni dopo il 1917, e come ideologia dei partiti operai. Mentre il primo, come è noto, avversava allora attivamente il movimento socialista, Fischer si schiera a favore della rivoluzione russa e difende la nascente società sovietica [nota 1]. Ma ben piú e il confronto sul socialismo come ideologia: Weber lo nega perché esso è contrario alla razionalità occidentale, di cui egli vede la realizzazione «necessaria» nel capitalismo, sia pure in un capitalismo dove il fattore economico non sia acriticamente preponderante (ma ci si domanda se non ci si trovi in presenza di una contraddizione),Fischer che diffida del marxismo, esprime in sostanza un sospetto opposto: se,non Página XXVIII ricada, il socialismo come ideologia del movimento operaio di allora, nell’ambito della ragione «misurante» in economia come in politica; e che esso non sia pertanto (se si conduce fino in fondo la sua critica) vero socialismo. Se è cosi, ci pare appropriato sostenere che al «cinismo intellettuale» di cui si accusa a volte Weber corrisponda l’«utopia» di Fischer, e che questa è piú produttiva di quello. Infatti, Fischer parla esplicitamente di «base capitalistica soltanto rovesciata » (p.169) o di «capitalismo di stato» (p.186), cosi come nega qualsiasi valore alla «partezipazione operaia» (p.186) di tipo socialdemocratico. È vero che la critica di Fischer al socialismo è talvolta poco dimostrata o ingenua. Ma è vero anche che la sua critica del capitalismo è tale da comprendere anche, in stretta connessione con quella, la critica di fenomeni che forse stanno alla radice di ciò che viene chiamato stalinismo, neostalinismo, revisionismo ecc. (di alcuni suoi aspetti, almeno ), e appare quindi attuale. II confronto con Weber potrebbe continuare sul tema del razionalismo e sul ruolo della sociologia. Quest’ultimo problema è legato a quello della «avalutativita» della sociologia ricercata da Weber. Fermo restando che Fischer, in linea con i grandi sociologi, vede la sociologia come scienza autonoma della società come sistema, il problema della valutatività si pone per lui su due piani. Il primo è quello dove protrebbe prendere corpo l’equivoco di una interpretazione valutativa del principio qualitativo funzionale. Fischer non lo intende cosi (anche se qualche esitazione c’e)e sostiene che le sue analisi contengono termini qualitativi ma non fanno uso di valutazioni (ne è un esempio il giudizio sul capitalismo che non ammette il giudizio opposto). Il secondo piano, piú generale, è la questione se la sociologia debba essere ricerca empirica o teoria formalizzata. Brevemente, Fischer la intende prevalentemente come attività teorica, non però nel senso del contrasto con la ricerca empirica (che gli fu nota soprattutto nel campo della scuola) ma in quello, ben diverso, del prospettare all’uomo soluzioni desiderabili del vivere sociale sulla base di un esame della storia politica e sociale dell’Europa non meno che della ricerca dei principi. Non si deve dimenticare che Fischer proprio nel I933 si presenta come filosofo e sociologo (doppia veste che non abbandonerà piú), e che la filosofia intendeva non come «mera duplicazione del reale nel Página XXVIII pensiero» [nota 1], ma come attività tesa alla ricerca di fini da additare all’operare umano, e delle vie che vi conducono. Si manifesta qui l’occasione di ricondurre l’opera di Fischer alla scuola sociologica che egli ha spesso anticipato, la Scuola di Francoforte, alla quale da piú parti si rimprovera di essere «filosofica». Anche la critica di Fischer, come si è detto, è filosofica oltre che politica, sociologica e economica. Probabilmente, coloro che volessero negare valore a quella critica perché filosofica si richiamerebbero, se marxisti, a Engels, il quale della filosofia salvava (nell’ AntiDühring) soltanto la logica formale e la dialettica. Ma questa tesi vale per Engels stesso soltanto a condizione che le scienze oltrepassino i propri limiti speciali e pongano attenzione esse stesse alle connessioni filosofiche dei loro singoli discorsi speciali. Il «ciarpame filosofico » engelsiano è inutile se la scienza opera in modo dialettico. Ma proprio questo è il punto messo in discussione dalla critica della ragione misurante» di Fischer. Il principio qualitativo-funzionale di Fischer altro non intende essere che un principio in base al quale sia possibile descrivere e agire oggettivamente e dialetticamente la realtà. Il punto che interessa non è quindi se la critica fischeriana sia filosofica, bensí invece quanto riesca a rispettare quell’assun to (che noi abbiamo creduto di riformulare). La risposta è ovviamente contraddittoria: essa vi riesce in misura egregia e soprattutto in una direzione sostanzialmente accettabile e produttiva, pur restando perfettamente vero che il principio generale al quale si ispira è il frutto di una intuizione prima che un risultato scientifico e che lo schizzo di società «strutturale» è fortemente astratto e riduttivo, essendo in definitiva tanto armonico e stabile da contraddire in ciò le caratteristiche generali dello strutturalismo cecoslovacco. Per tornare alla Scuola di Francoforte, nulla illumina meglio di questa frase di Marcuse come Fischer ne sia stato un precursore: «L’astrazione che, teoricamente e praticamente insieme... determina l’età del capitalismo [è] la riduzione della qualità alla quantita» [nota 2]. In Adorno e Horkheimer ritroviaPágina XXIX mo (nel 1947) la «ragione misurante» di Fischer: «L’ordine totalitario insedia completamente nei suoi diritti il pensiero calcolante e si attiene alla scienza come tale» [nota 1]. Oppure, se ci si chiedesse a che cosa mirano la teoria critica e la teoria «strutturale» di Fischer, si potrebbe cominciare a cercare la risposta partendo da quel luogo dove Horkheimer nega che il nuovo atteggiamento sociologico miri, soggettivamente e oggettivamente, a un migliore funzionamento della struttura sociale stante (con l´«ovvio» corollario che esso, cioè Fischer e la teoria critica mirano dunque ambedue al buon funzionamento di una struttura sociale da fondare ex novo: Marx). 1973. SERGIO CORDUAS