BOLLETTINO U.C.F.I. (UNIONE CATTOLICA FARMACISTI ITALIANI) – SEZIONE DI VERONA LUNGADIGE SAMMICHELI, 3 C.A.P. 37129 VERONA TEL. 045/8034396 E-MAIL: ethical@brembenet .it N. 7/01 Recente intervento del dott. Pietro Uroda LETTERA APERTA AI COLLEGHI E ALLA FEDERFARMA “Il Punto” apparso sull’ultimo numero di “Farma 7” e intitolato “Obiezione di coscienza tra diritti e doveri” ha suscitato notevole interesse: numerosi, infatti, sono stati i commenti inviati al settimanale sopra citato, che testimoniano come l’articolo abbia registrato sia consensi, sia pareri contrari. Tale fatto è peraltro comprensibile, trattandosi di un tema che sollecita motivazioni e giudizi non soltanto socio-sanitari, ma anche di ordine morale. Qui di seguito è riportato un intervento significativo del dott. Pietro Uroda, presidente nazionale dell’U.C.F.I. L’articolo comparso su “Farma 7” n° 27/28 ripropone alcune considerazioni sull’obiezione di coscienza con logica più politica che biologica e giuridica, discipline che ci sembrano più opportune per trattare l’oggetto. Innanzi tutto la questione non è un problema di morale cattolica, ma è un problema di morale anche laica, in quanto la tutela del diritto della vita è divenuto patrimonio morale di tutte le organizzazioni civili. Il diritto alla vita non credo che debba essere commisurato al peso della persona: se ha cinquanta chili è un omicidio, a tre chili idem, a due etti e mezzo si può fare con la Legge 194, a livello della prima cellula senza nemmeno la legge. Il nodo centrale è dato dal tentativo di spacciare come contraccettivo un prodotto che per il tempo nel quale viene preso, e cioè dopo l’avvenuto rapporto, serve soltanto a sopprimere il frutto dell’eventuale concepimento; parlare di tempo di annidamento quale inizio della gravidanza è una forzatura di natura cavillosa contraddetta da tutte le definizioni e ricerche scientifiche sia di embriologia umana che veterinaria. Se questo prodotto verrà riconosciuto come abortivo – sono pendenti al TAR ricorsi sulla legittimità della sua registrazione – la sua distribuzione deve essere regolamentata nell’ambito della Legge 194 e non è affatto detto che sia la farmacia la corretta sede per la sua erogazione. La nostra professione, pur inquadrata come servizio pubblico, ha la sua ratio nella distribuzione di medicinali per curare le malattie o di prodotti per la prevenzione delle stesse: la gravidanza non può in nessun modo essere considerata una malattia e pertanto il prodotto non è un “farmaco” e non rientra nella competenza specifica della nostra professione né del servizio pubblico. Il fatto che Ippocrate nel V secolo a.C., in un ambiente pagano e politeista come il mondo greco, abbia avuto la sensibilità di inserire nel giuramento del medico che non avrebbe aiutato la soppressione della vita, dimostra che il desiderio di sbarazzarsi di una figliolanza indesiderata è comunque antichissima, ma che il rifiuto morale sorge dal cuore stesso dell’uomo prima ancora che da Encicliche Papali, che queste istanze confermano e difendono. Lo Stato laico non può sfuggire ai principi morali e alla sua motivazione di fondo: suo compito è la ricerca del bene comune con una analisi rigorosa dei diritti e dei doveri senza cedimenti a inumane pretese di gestione del diritto di terzi alla vita. L’affermazione che “la pillola del giorno dopo” fosse già in uso precedentemente in quanto alcune persone ricorrevano a un dosaggio maggiore dei prodotti ormonali già in commercio è assolutamente insignificante, perché è evidente la differenza fra il consegnare, dietro regolare ricetta, un prodotto autorizzato per certe malattie o scopi, poi utilizzato nascostamente e abusivamente per altre esigenze, dal fornire un prodotto il cui solo scopo è quello di sopprimere l’eventuale gravidanza. Da ultimo bisogna chiarire che le leggi dello Stato non sono sempre sacre e vincolanti, ma che ci sono casi limite, fortunatamente rari, in cui è richiesto ai cittadini, eticamente determinati, di contrastare decisioni politiche ingiuste: posso ricordare, come ho già fatto in altre occasioni, le leggi razziali dello Stato fascista: erano da rispettare ciecamente? Solo perché stampate sulla G.U.? E allora, care Federfarma e Fofi, vi chiediamo espressamente di tutelare quei colleghi che pochi o molti chiedono di essere esentati dalla dispensazione di un prodotto che farmaco non è e che non dovrebbe in alcun modo coinvolgere la “istituzione farmacia”, ma essere gestita da strutture individuate dalla Legge 194. E a tutti i colleghi che sono su questa lunghezza d’onda un invito a far pervenire un segnale di presenza, un’adesione di solidarietà in difesa di una professione che rifiuta mercati di questo tipo e non vuole piegarsi alle pretese di giovani immaturi o di forze che non vogliono rispettare valori o diritti fondamentali per la crescita di una società civile veramente umana. PIETRO URODA Presidente Unione Cattolici Farmacisti Italiani (tratto da “Farma 7” del 27 luglio 2001)