La Persona di Cristo in relazione con lo Spirito Santo

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La Persona di Cristo in relazione con lo Spirito Santo
Secondo San Tommaso D’Aquino
Don Ignacio ANDEREGGEN
Lezione 18 ottobre 2010
L’obiettivo di questo corso è presentare la teologia di San Tommaso, un autore che funziona da guida per
gli studi teologici, specialmente nell’ambito della Chiesa latina. Dunque, San Tommaso è uno de più grandi
pensatori che ha prodotto la Cristianità. Ricordiamo specialmente che lui è stato proposto come guida per
gli studi dal Magistero della Chiesa ripetutamente dall’epoca sua fino ai nostri giorni. Specialmente questa
proposta è attuale per noi nei testi del Concilio Vaticano II (ricordiamo che è il primo Concilio che
raccomanda un teologo e questo teologo è San Tommaso d’Aquino). Il Concilio propone nella “Optatam
Totius” che la formazione teologica nei Seminari e nella Università sia fatta nel campo dogmatico sotto la
guida del pensiero delle opere di San Tommaso d’Aquino. Poi, nel decreto sulla educazione cattolica
“Gravissimun Educationis”, propone anche che il dialogo tra le diverse discipline nell’ambito della
Università cattolica e la teologia sia pure fatto secondo il principi di San Tommaso d’Aquino. Questo è stato
raccolto del Magistero dei Sommi Pontefici, specialmente dal Papa Paolo VI, che ha scritto una enciclica dal
titolo “Lumen Ecclesiae”. È molto raccomandabile di leggere questa enciclica, che non è troppo lunga.
Contiene i dati fondamentali per le orientamento teologico, dopo l’epoca del Concilio, e questo sotto la
guida di San Tommaso d’Aquino. Anche i Papi successivi ci sono riferiti sia in documenti, sia in discorsi, a
questa funzione della teologia di San Tommaso.
Perché esiste questa continuità tradizionale nel Magistero della Chiesa, che insiste sul ruolo di San
Tommaso d’Aquino? Questo ha due motivi: un motivo che è intrinseco, o sia il valore proprio de la sua
produzione. San Tommaso è un grande teologo perché è in primo luogo un grande conoscitore de la Sacra
Scrittura; dunque perché raggiunge la realtà stessa della Sacra Scrittura, che come lui stesso insegna,
consiste principalmente nella grazia divina; più che nei testi, nelle speculazione la ricchezza della Sacra
Scrittura, consiste nella grazia; e dunque nella esperienza della grazia. Lui, essendo un grande
contemplativo e un grande santo, ha avuto questa esperienza in un grado sublime. Inoltre, San Tommaso,
come tutti sappiamo, è un grande filosofo, anzi potremmo dire che qui radica lo specifico del suo carisma.
Sappiamo che il carisma è una grazia data per il servizio della comunità. Questa grazia è subordinata alla
grazia abituale, o gratia gratum faciens, oppure gratia santificante, come la chiamiamo oggi. Dunque, si
vede specialmente nei carismi come la grazia perfeziona la natura, dunque eleva gli aspetti propri della
natura umana di un livello superiore. Ciò lo vediamo nella figura, nella persona di San Tommaso d’Aquino,
che ha una intelligenza suprema. Pensiamo che nel ambito della cultura moderna, contemporanea, noi
spesse volte l’unico grande filosofo che è considerato tale fuori gli autori dell’antichità prima di Cristo e
quelli moderni post cristiani, l’unico che viene considerato come veramente un grande filosofo nella cultura
cattolica è San Tommaso d’Aquino. Questo è perché anche coloro che sono fuori il nostro orizzonte di
pensiero, riconoscono in lui la grandezza dello sviluppo razionale, cioè, la acutezza de la sua intelligenza. È
soprattutto per questo motivo che nell’epoca moderna in modo crescente, la Chiesa ha proposto San
Tommaso d’Aquino come guida. Perché cioè, culturalmente, la nostra situazione attuale è caratterizzata dal
razionalismo, che ha le sue radici ultime nel grande sviluppo della cultura medievale, che si è poi deformato
attraverso diverse vie. Già nel medioevo stesso, ricordiamo il nominalismo, altre correnti, sopratutto nella
modernità la eredità del nominalismo attraverso l’empirismo, l’idealismo, ecc. Dunque, le radici costitutive
nel bene, nel male, della nostra cultura, della nostra situazione odierna, hanno le radici nel grande sviluppo
razionale che è stato per mezzo dall’approfondimento della Rivelazione, che ha accolto, che ha assunto i
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grandi dati della cultura umana, anche fuori la Rivelazione, specialmente della grande filosofia greca. La
nostra cultura è incomprensibile senza considerare attentamente questi dati. San Tommaso si situa dunque
nel centro dello sviluppo storico della cultura moderna, così come la conosciamo oggi. Per questo motivo,
nella sua teologia e nella sua filosofia, si trovano gli elementi in grado di far chiarezza, di produrre un
discernimento adeguato, riguardo ai dati fondamentali della nostra situazione culturale. Non vuol dire
senz’altro, che San Tommaso deva essere l’unico autore a cui si deva attingere nello sviluppo di una
adeguata teologia. Non vuol dire neanche che non ci siano stati nella storia altri autori che in campi specifici
sono stati per fino più acuti e più profondi San Tommaso. Vuol dire che la Chiesa, con la forza del suo
Magistero, riconosce in lui un carisma speciale ha dato per guidare la riflessione dei cristiani nella
situazione specifica della nostra epoca, specialmente, ancora della nostra cultura occidentale. Che poi,
come sappiamo, dopo si è diffusa in diversi modi in tutto il mondo.
Veniamo dunque alla figura del nostro autore, di San Tommaso. Sappiamo che lui è vissuto nel 13° secolo,
in un’epoca di fioritura spirituale, e anche in un’epoca di fioritura della vita della Chiesa come tale, dunque,
il secolo dei grandi santi fondatori di ordine religiose, come San Domenico e San Francesco. Era un’epoca di
vero rinnovamento spirituale. La cristianità era molto più ridotta quantitativamente di come la conosciamo
oggi; tuttavia in molti aspetti era più fervorosa, e sopratutto era molto più consapevole culturalmente. Non
semplicemente al livello della erudizione, ma soprattutto al livello dell’approfondimento intellettuale,
contemplativo, teologico e filosofico. Gli autori medievali, specialmente quelli più grandi, avevano una
capacità non solo contemplativa, ma anche di ragionamento, molto più sviluppata della nostra, molto più
acuta, molto più penetrativa. Spesse volte, per questa ragione, a noi riesce difficile leggere i testi medievali.
Ma questa non è ragione sufficiente per fuggire da loro, ma per piuttosto ammirare quello che,
oggettivamente, è superiore alla nostra capacità di comprensione.
Per introdurci nel pensiero, nell’opera, nella figura di San Tommaso d’Aquino propongo un libro:
“Introduzione alla teologia di San Tommaso”, che è pubblicato in spagnolo e in italiano, scritto da me. Qui
troverete i dati fondamentali che riguardano il pensiero, brevemente trattato, le opere, la biografia e anche
la scuola che esorta dal insegnamento di San Tommaso. Noi proponiamo un tema per questo corso che in
qualche modo riassume la sua concezione teologica, cioè unisce il tema cristologico con quello trinitario.
Dato che non abbiamo molte possibilità di insegnare il pensiero di San Tommaso in tutti gli aspetti che sono
ricchissimi, abbiamo scelto di concentrare la presentazione unendo questi due aspetti. La persona di Cristo
in San Tommaso è inseparabile, secondo la sua concezione, dalla presenza dello Spirito Santo. È logico che
sia così perché questo è un dato fondamentale della sacra Scrittura. Come sappiamo, in la persona di Cristo,
in cui è piena la presenza della Spirito Santo, troviamo acceso alla Rivelazione del mistero trinitario. San
Tommaso spiega con molta precisione in quale senso si realizza questa Rivelazione, il acceso da parte
nostra alla Rivelazione.
Per orientarci su questi punti, dobbiamo introdurci alla considerazione delle opere principali di San
Tommaso. Dunque, abbiamo i Commenti alla Scrittura, specialmente alle lettere di San Paolo, e ai Vangeli,
soprattutto al Vangelo di San Giovanni. Ricordiamo che per i medievali, anche per San Tommaso, il testo
fondamentale sul quale si bassa la teologia o, come dicevano loro la “Sacra dottrina”, è quello della Sacra
Scrittura stessa. Dunque, per i medievali si supponeva una conoscenza molto diretta e molto precisa del
testo della Sacra Scrittura; una conoscenza che era più accurata di quella che è comune nella nostra epoca.
È vero che noi abbiamo più studi biblici di altro tipo, che riguardano la genesi del testo, del pensiero, del
ambiente culturale, ecc; loro, però, conoscevano meglio di noi la totalità dello Scritto Sacro; dunque, i
rapporti, i collegamenti, tra le diverse manifestazione del mistero divino.
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Soprattutto, però, e questo lo sottolinea San Tommaso, avevano una consapevolezza molto marcata della
ricchezza dei significati della Sacra Scrittura, i sensi della Sacra Scrittura. Il senso letterale, i sensi spirituali,
secondo la concezione odierna (dovremo dire che il senso letterale era già spirituale). Il senso letterale è
quello che direttamente era indicato dal testo del la Sacra Scrittura, che è sempre una realtà spirituale, di
grazia.
Anzi, come insegna lo stesso Tommaso, nella prima questione della Somma, è anche altrove, i sensi letterali
della Scrittura sono plurali. Dunque, non c’è un solo senso per un solo testo, ci sono diverse sensi pero ogni
testo. Questo è così perché la Scrittura è Parola di Dio, dunque Dio esprime con la sua mente divina i
significati che noi non possiamo cogliere in un testo fatto da uomini.
Ci sono poi i sensi spirituali che riguardano l’agire umano, dunque il senso morale; che riguardano le realtà
ultime, il senso anagogico, cioè che fa elevare lo spirito verso questa realtà; e ancora il senso che
percepisce il collegamento con la rivelazione del Antico Testamento, il senso allegorico.
San Tommaso, dunque, giunge per fino ad identificare la teologia con la Sacra Scrittura, come si vede nella
prima questione della Somma di Teologia. Non nel senso moderno, in cui questo si potrebbe intendere
come una opposizione alla Tradizione, dopo il Protestantesimo, ma nel senso più pieno di presenza della
grazia divina come partecipazione della divinità in mezzo alla vita umana, questo è la Sacra Scrittura.
Dice lui, in una delle opere più mistiche che ha scritto, che è il Commento al libro sui Nomi di Dio di Dionigi
l’Areopagita, che riassume la patristica greca anteriore (Gregorio di Nazianzo, Gregorio Nisseno, Basilio,
ecc), dice lì che la Scrittura è un raggio della luce divina, che giunge fino a noi. Per ciò la Scrittura non è
principalmente il testo scritto, anche se non esiste senza il testo, inseparabile al testo, è tuttavia molto più
di questo: è il raggio della luce divina. È la grazia di Dio che arriva fino a noi. La cui presenza noi possiamo
percepire evidentemente solo quando abbiamo questa grazia e non quando non la abbiamo; colui che non
ha la grazia divina in qualche modo è tagliato fuori dalla comprensione, dalla percezione della Sacra
Scrittura, anche se la legge materialmente. Dunque, la Sacra Scrittura, secondo lui, è principalmente fonte
di una esperienza profonda. Di una esperienza che i grandi teologi medievali successive non avevano paura
di chiamare “mistica”. Infatti, come insegna lo stesso San Tommaso, questa mistica appartiene
essenzialmente alla vita cristiana, di ogni cristiano. Come avrebbero poi chiarito gli autori tomisti successivi,
ad esempio, per citare solo uno Giovanni di San Tommaso nel secolo XVI, questa mistica consiste
specialmente nello spiegamento dei doni dello Spirito Santo, e delle operazioni che sorgono da questi doni
in noi. In tutti coloro che possiedono la grazia divina. Per ciò, per entrare nella Sacra Dottrina, nella
teologia, bisogna immergessi in questa esperienza mistica. Quando non c’è la proporzione adeguata tra
l’esperienza mistica e il pensiero razionale, si cade nel razionalismo, che è la malattia più profonda della
nostra cultura. Malattia, la potremo chiamare con Hegel e Kierkegaard, “malattia mortale”, malattia che si
comunica non soltanto attraverso canali strettamente filosofici, ma anche forse specialmente attraverso
dei canali teologici, e per fino attraverso dei modi di vita concreta nella Chiesa. Il razionalismo moderno è
una malattia del cristianesimo, ed è un parasito del cristianesimo. E si ripropone, di volta in volta, ogni qual
volta si perde l’equilibrio tra lo slancio mistico ed il pensiero razionale. Questo equilibrio ha una radice
molto più profonda di quanto sembra; non è un mero equilibrio empirico, cioè non è il risultato di
un’esperienza immediata, di uno che si mette con un atteggiamento pastorale superficiale a vedere come
funzionano le cose, dunque mettiamo un po’ più di mistica, togliamo un po’ di ragione, ecc. La
fondamentazione è molto più profonda. E si trova proprio al livello di ciò che costituisce il oggetto di questo
nostro corso. Cioè la radice dell’equilibrio profondo tra mistica e razionalità si trova nella presenza in noi e
prima in Cristo della missione del Verbo incarnato che illumina l’intelletto e dello Spirito Santo che
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infiamma l’affetto. Dunque, la perdita del’equilibrio nella situazione culturale odierna marcata dal
razionalismo, ha una profonda radice trinitaria, oppure antitrinitaria. Cioè, riguarda lo sconvolgimento di
quel’equilibrio sottile, delicato, che produce la presenza della Trinità per mezzo della grazia nelle persone e
nelle comunità, anzi nella comunità intera della Chiesa. Perciò, la guarigione da questa malattia non è
possibile senza ritrovare quel’equilibrio e questo non si fa in un modo empirico immediato, non si fa per
mezzo di sole speculazioni, non si fa neanche per mezzo di sole esperienze, si fa attraverso questa
contemplazione profonda del mistero rivelato in Cristo e del suo prolungamento anche pratico nella vita dei
credenti e sia in modo personale, sia in modo comunitario.
Bisogna ritrovare questo equilibrio dal profondo della contemplazione del mistero di Cristo che è sempre
unito allo Spirito Santo, il quale, come sottolinea molto bene San Tommaso, è chiamato da San Paolo,
“Spirito di Cristo”. Lo Spirito è inseparabile da Cristo. Non semplicemente perché agisce sempre con Lui, ma
perché eternamente procede da Lui. Dunque, già nel mistero di Cristo si riflette questa processione che
appartiene ala vita trinitaria, e al mistero di Cristo questa processione si espande nel mistero della Chiesa.
La Chiesa, dunque è anche costituita trinitariamente a partire della processione personale dello Spirito dal
Padre e da Cristo. E diciamo Cristo, non solo il Verbo; Cristo cioè, il Verbo incarnato. La Chiesa, dice San
Tommaso, ha una testa e ha un cuore. La testa è Cristo ed il cuore lo Spirito Santo. E non si può essere
corpo senza la testa e senso il cuore.
Troviamo, dunque, tra le opere di San Tommaso questi Commenti alla Scrittura che sono fondamentali. Lui,
da giovane, ha commentato piuttosto l’Antico Testamento; nella maturità ha commentato specialmente il
Nuovo Testamento: le lettere di San Paolo, i Vangeli. Anzi i Vangeli li ha commentato in due modi:
direttamente, e questo lo ha fatto col Vangelo di San Matteo e di San Giovanni, cioè spiegato versetto per
versetto il significato; e indirettamente, ma in un modo no meno pregiato, cioè attraverso i testi dei Padri
della Chiesa. E in questa maniera ha commentato i quattro vangeli. Il frutto di questo commento attraverso
i testi dei Padri si chiama “Catena Aurea”. Come possiamo facilmente intravedere, si tratta qui di una
operazione fondamentale dal punto di vista teologico perché collega il testo della Scrittura con i documenti
della Tradizione, specialmente la Tradizioni dei Padri. E questo ci fa capire che certa opposizione dialettica
che si fa tra la scolastica, tra San Tommaso ed il pensiero dei Padri, non ha nessuna fondamentazione,
perché il pensiero dei grandi autori della maturità della teologia cristiana del secolo XIII è totalmente
generato in unità dalla Sacra Scrittura e dal pensiero dei Padri della Chiesa. È assolutamente inintelligibile
l’opera di San Tommaso in campo teologico senza questo riferimento. Prendiamo, ad esempio, l’influsso di
Sant’Agostino. Arriva fino a tal punto questo influsso che San Tommaso, come nel resto anche altri grandi
teologi, non ha mai commentato Sant’Agostino, mentre ha commentato tante altre opere. Questo per il
fatto che le opere di Sant’Agostino erano considerate teologia in se e per se. Dunque, punto di riferimento
fondamentale della scienza teologica. San Tommaso ha seguito anche altre grandi padri, soprattutto greci.
È lui il primo nella scolastica che fa entrare in modo organico il pensiero dei padri greci, soprattutto di San
Giovanni Damasceno, attraverso la sua grande sintesi titolata “La fede ortodossa”, e Dionigi l’Areopagita, di
cui ha commentato, come ho detto, il Libro sui Nomi di Dio. Ha usato però anche l’ispirazione che davano le
altre tre opere di Dionisio, cioè “La gerarchia ecclesiastica” (che riguarda i sacramenti), “La gerarchia
celeste” (che riguarda gli angeli) e “La teologia mistica” (che riguarda la conoscenza di Dio). Oltre che le
lettere. Pure altri padri sono fonte d’ispirazione del pensiero di San Tommaso, tra i greci ancora troviamo
Giovanni Crisostomo, pure San Basilio. Tra i latini, Sant’Ilario e suo “De Trinitate”, ma anche Boezio, di cui
ha commentato alcune opere. Non ha trascurato neanche l’eredità dei Padri lungo la produzione teologica
posteriore, come si trova ad esempio nell’epoca della Rinascita carolingia, ad esempio in Beda Venerabile,
oppure, lo stesso Sant’Anselmo più avanti, fino alle Sentenze di Pietro Lombardo, che sono del secolo
anteriore, e che riassumono l’eredità dei Padri, unicamente a quella della Sacra Scrittura. Tutto questo
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parallelamente all’approfondimento della grande filosofia greca in un modo molto ampio che riguarda non
solo Aristotele, ma anche gli autori platonici e neoplatonici. San Tommaso si è ispirato in tutti quelli che
dicevano la verità, perché come lui diceva, seguendo Sant’Ambrogio, tutto ciò che è vero viene dallo
Spirito Santo. Perciò non aveva neanche paura di appoggiarsi su autori islamici, come Averroè o Avicenna,
di cui ha usato molto la sua metafisica. Oppure, in autori ebrei, come Mosè Maimonide, nella sua “Guida
dei perplessi”. Ha, però, fatto sempre un grande discernimento, cercando di interpretare la mente di questi
autori benevolmente, in quanto era possibile, nel senso della Rivelazione; oppure, rifiutando le loro teorie,
quando non era più possibile assimilarle in senso ortodosso. Da questo risulta una grande sintesi, e
troviamo dunque un’altra ragione per la quale il Magistero della Chiesa nella nostra epoca raccomanda San
Tommaso. Cioè perché attraverso lui ci mettiamo in contatto con la Tradizione.
Questo contatto col pensiero della Tradizione, con i documenti della Tradizione, per noi è più difficile che
per altri cristiani e teologi di altre epoche, perché noi ci troviamo di fronte ad una moltiplicazione all’infinito
della produzione culturale, non soltanto cristiana ma anche non cristiana e per fino anti cristiana. Dunque,
la complessità della nostra cultura fa che noi dobbiamo prestare attenzione a molti aspetti che prima non
esistevano, e non influivano nella situazione culturale. Noi siamo immersi in questa complessità. Dunque, la
nostra mente, la nostra capacità non soltanto personale, ma anche collettiva, comunitaria, di produrre
cultura cristiana deve badare a tanti aspetti, che già sono difficili di accogliere singolarmente, molto di più
in suo insieme. Perciò, l’energie che abbiamo per metterci in contatto con la grande produzione dei Padri
della Chiesa e dei grandi teologi lungo a tanti secoli è limitata. Si vede dal fatto che oggi prevalgono gli
studi specialistici su singoli autori, e viene meno la visione sapienziale, complessiva, del mistero rivelato e
dell’interazione del mistero rivelato con la situazione culturale. Perciò, Leone XIII, ad esempio, nella sua
enciclica “Eterni Patris”, che ha dato inizio al rinnovamento tommista nel 20° secolo, diceva che San
Tommaso permette a noi questo contatto ampio con la Tradizione. Ha, perciò, San Tommaso una funzione
educativa molto riguardevole. Anche questa lettere enciclica se la potete leggere, farebbe molto bene, si
trova facilmente in internet, in diverse lingue, come pure quella di Paolo VI “Lumen Ecclesiae”.
Noi cominceremo da quando risulta dalle esposizione che abbiamo fatto, con un breve studio di certi
commenti di San Tommaso alle lettere di San Paolo che riguardano il nostro tema, il collegamento tra Cristo
e lo Spirito Santo, e del Vangelo di Giovanni. Proseguiremo poi con lo studio di alcuni testi principali, tratti,
dalle opere sistematiche, e soprattutto di quella principale, che è la Somma di Teologia.
Nella Somma di Teologia i testi che riguardano il nostro tema sono in tutte le parti. Questi parti sono tre,
come sappiamo. La prima riguarda Dio, la seconda l’uomo e il suo agire, la terza, Cristo e i sacramenti. In
tutte le parti della Somma di Teologia è presente questo nostro tema. Dunque, è impossibile fare uno
studio completo perché sarebbe più ampio ancora di quello che si potrebbe fare in una tessi di dottorato.
Vedremo, però, alcuni testi principali che si trovano, naturalmente, nella terza parte della Somma di
Teologia, soprattutto quando San Tommaso nella questione settima parla della grazia, perché la grazia è
grazia di unione tra l’umanità e la Persona divina, e la grazia è pure grazia dello Spirito Santo. Nel
collegamento tra la grazia di unione e la grazia dello Spirito Santo, che santifica, troveremo il nucleo dal
quale partiremo per considerare la fonte di questo mistero che si trova nella Santissima Trinità stessa, nelle
processioni delle persone, e più vicina a noi, la grazia nostra che ci fa partecipare, attraverso il mistero di
Cristo, delle perfezioni della sua umanità, allo stesso mistero della Santissima Trinità. Considereremo,
dunque, i testi della Somma di Teologia, non solo nella terza parte, ma pure della prima parte dove si spiega
la processione del Figlio e la processione dello Spirito Santo.
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Cominciamo a considerare adesso il pensiero di San Tommaso per quanto riguarda la Persona del Verbo
incarnato in rapporto con lo Spirito Santo. Ricordiamo, e allo stesso tempo anticipiamo, un tema
fondamentale, cioè la persona di Cristo non solo è in rapporto con la Spirito Santo, ma è rapporto con lo
Spirito Santo, perché come insegna lo stesso San Tommaso nella prima parte della Somma, le Persone sono
relazione sussistenti, o sia, relazioni che non esistono al modo degli accidenti, bensì della sostanza, a punto
della persona. Come diceva Boezio, una delle fonti citate, la persona è la sostanza individuale di natura
razionale. Certo, in Dio la persona si realizza di un modo che supera la nostra capacità mentale, e dunque
non è propriamente parlando, sotto la categoria di accidente ne di relazione, ne di sostanza, come noi le
possiamo raggiungere, con la nostra mente, perché Dio supera tutte le categorie. Intendo qui la parola
“categoria” nel senso propriamente aristotelico. Dunque, la categoria “sostanza” che noi possiamo
raggiungere, si da in Dio in un modo infinito che noi non conosciamo direttamente. Tuttavia sappiamo dalla
Rivelazione che in Dio la sostanza è relazione. Dunque, la persona è relazione.
Veniamo al fondamento scritturistico del pensiero di San Tommaso, che naturalmente troviamo nei
commenti biblici. In primo luogo, un passo della lettera ai gallati, capitolo 3, versetti 13 e seguenti: “Cristo ci
ha riscattati dalla maledizione della Legge diventando Lui stesso maledizione per noi, come sta scritto:
Maledetto chi pende dal legno. Perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi
ricevessimo la promessa dello Spirito Santo mediante la fede”.
Come in altri passi delle lettere di San Paolo troviamo concentrato il mistero rivelato in Cristo. È qui, in un
modo che riguarda allo stesso tempo la passione di Cristo, implicitamente la sua risurrezione, e insieme a
questo la presenza dello Spirito Santo. Dunque, soprattutto nella risurrezione di Cristo, che ci raggiunge
spiritualmente, si rivela la presenza dello Spirito Santo come verrà poi manifesto nella Pentecoste, che è
come un frutto della risurrezione. Dunque, in Cristo noi passiamo dalla morte alla vita secondo San Paolo,
vuol dire, dalla maledizione alla benedizione; passiamo dalla morte spirituale alla vita spirituale che vuol
dire alla vita nello Spirito. Questo è frutto della passione di Cristo, con la quale noi siamo uniti nella nostra
vita, e della quale riceviamo i frutti già in questa vita, e questi frutti si concentrano nella presenza dello
Spirito Santo, infatti come ci dice San Paolo, sono frutti dello Spirito Santo. Vediamo come spiega San
Tommaso questi versetti a partire della sua profonda conoscenza della Sacra Scrittura: “Dopo avere sposto
il danno portato dalla Legge, e l’incapacità della Legge a liberarci da esso, quello logicamente l’Apostolo fa
vedere il potere di Cristo che ci libera da questo danno”. È un tema profondamente patristico. Nella terza
parte della Somma, San Tommaso seguendo i Padri spiega il mistero dell’incarnazione del Verbo che
assume tutto ciò che è umano, fuori il peccato e ciò che ne consegue. Tutto cioè che è umano è assunto
dall’umanità di Cristo e trasformato, che vuol dire perfezionato, o sia, liberato dei difetti e portato ad un
livello di umanità superiore. E in questo si realizza, in un modo speciale, riguardo alla Legge. La Legge nella
concezione biblica, ma anche nella concezione teologica tradizionale, non è semplicemente un artefatto
della ragione imposto esternamente, come succede nella mentalità nominalistica moderna, la Legge è vita
oppure, opposizione alla vita. La Legge è un modo di vita. Orbene, quella Legge che era data da Dio, la
Legge del Antico Testamento, La Legge di Mosè, non è fonte di vita, è fonte di morte. Viene da Dio, ma
produce un danno. Viene da Dio perché contiene la rivelazione della verità, in ordine alla accoglienza di
Cristo e della sua rivelazione. Tuttavia, produce un danno perché questa Legge non rinnova il cuore.
Dunque, gli uomini, ricevendo questa Legge che rivela la verità, in certo qual modo diventano più lontani
della verità, perché non sono in grado di compierla, di realizzarla praticamente, vitalmente. È centrale
questo nella teologia di San Paolo: la Legge fonte di morte, la Legge fonte di maledizione, perciò nessuno
viene giustificato dalla Legge, solo veniamo giustificati dalla fede, e la fede non è qual sia si crede, non vuol
dire, la accettazione cordiale del mistero di Cristo, e dunque, del Padre dello Spirito. “Il giusto vivrà dalla
fede”, dice San Paolo, riprendendo l’Antico Testamento, interpretandolo nel senso pieno del Nuovo. La
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fede è vita spirituale. Non nel senso generico della parola “spirituale”, ma nel senso personale dello Spirito
Santo. Colui che non ha lo Spirito Santo è morto. Questo vuol dire che è maledetto, o sia, che è infelice, che
è disgraziato, nel senso più letterale del termini; o sia, che non ha la grazia che dà la vita, e che viene dalla
presenza dello Spirito Santo. Per San Paolo, questo significa che colui che è maledetto non ha gioia, perché
la presenza dello Spirito Santo produce gioia. O sia, ci fa diventare già in qualche modo in possessione del
fine, e il fine è la felicità, il fine è la gioia. Perciò, la vita nello Spirito è vita di gioia. Con la Legge non si può
avere questa gioia. La Legge è fonte di morte, cioè, uccide. La lettera uccide. È lo Spirito che dà la vita.
Spiega, dunque, San Tommaso questo brano: “Tutte coloro che osservavano le opere delle Legge erano
sotto la maledizione, come si ha detto, e per mezzo della Legge non potevano essere liberati”. Liberati vuol
dire resi liberi. “Resi liberi” significa, secondo la teologia di San Tommaso, resi capaci di operare (la libertà è
una capacità operativa), di operare spiritualmente. Per tanto, era necessario che ci fosse qualcuno che ci
liberasse e questo è il Cristo. Perciò dice: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, diventando
lui stesso, maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno”. Cristo è diventato
maledizione, e sottolinea San Tommaso subito dopo, “non dice San Paolo che è diventato maledetto, ma
che è diventato la maledizione. Qua si fosse il concentrato da tutti i mali. In Romani 8,3 dice: “Ciò che era
impossibile alla Legge, Dio lo rese possibile mandando il Figlio suo, cioè Gesù Cristo”, ci ha riscattati col suo
prezioso Sangue, secondo Apocalissi 5: “Hai riscattato con il tuo Sangue” dalla maledizione dalla Legge, cioè
dalla colpa e dalla pena”. Ci sono due tipi di male principali, spiega San Tommaso, la colpa è il male in senso
assoluto, vuol dire la volontà cattiva che opera in modo cattivo, irrazionale, “antispirituale”; e la pena, è un
male che restituisce la giustizia, o sia, che in modo volontario o involontario, produce al meno una
guarigione parziale da questo male, è totale quando scompare la colpa, è parziale quando permane la colpa
ma l’ordine ricostituito in quanto è possibile dalla pena.
La Legge non era in grado di liberarci ne dalla colpa ne dalla pena. Ma, noi dobbiamo fare uno sforzo
importante per capire questi testi, dunque anche la spiegazione di San Tommaso, in un modo
profondamente spirituale, vuol dire che colui che non ha la grazia è morto, è frustrato, è infelice, e non ne
può uscire da questa situazione, è impossibile. Essere liberati vuol dire essere tirati fuori di questa profonda
situazione umana, in cui siamo maledetti. Cristo si ha inserito in questa situazione umana, è diventato lui
stesso maledetto, anzi “la maledizione”. E qui va osservato che maledetto è ciò che viene detto cattivo, ora
è secondo due specie di male che ci possono essere due specie di maledizione: maledizione della colpa e
maledizione della pena. È secondo entrambi questi modi può essere letta l’espressione: diventando lui
stesso maledizione per noi. In primo luogo, in riferimento alla colpa. Infatti, Cristo ci ha riscattati dal male
della colpa, come ci ha riscattati morendo, così ci ha riscattati della colpa diventando egli stesso colpa.
Come si può spiegare questo? Non che in lui ci fosse qualche peccato. Nella prima lettera di Pietro 2,22 dice
che egli “non commise peccato, e non si trovò inganno in lui”. Qui incontriamo un punto in cui si vede come
è assolutamente essenziale conoscere la Scrittura, non si può interpretare la Scrittura da un solo brano, da
una sola frase. Lui è diventato maledizione, che vuol dire colpa, secondo San Tommaso. Ma da altra parte si
dice che lui non commise peccato. Proprio perché viene a liberarci dal peccato. Che vuol dire “liberarci”?
Vuol dire che liberarci dalla colpa significa essere resi in condizioni di operare pienamente ciò di operare il
bene, la perfezione, di conoscere Dio e di operare secondo Dio. Questo lo riceviamo attraverso Cristo, che
perciò non poteva donarci una pienezza che non aveva. Lui ci ha resi liberi, vuol dire ci ha dato la sua
pienezza. Assumendo però la nostra maledizione, come ha assunto tanti altri nostri difetti,
volontariamente. Li ha assunti per cancellarli in quanto difetti per elevare la base positiva che era sotto
questi difetti. Come ha assunto la nostra povertà per faci diventare ricchi. Ha assunto la povertà facendoci
diventare ricchi. Cioè, ha cambiato il significato della povertà. Ha cambiato qui il significato della
maledizione. Essere maledetti può diventare un bene. Come si realizza in primo luogo in lui.
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“Non che in lui ci fosse qualche peccato; 1 Pt. 2,22 dice che egli non commise peccato e non si trovò inganno
in lui; ma secondo l’opinione degli uomini, specialmente dei Giudei, che lo ritenevano un peccatore; dicono a
Pilato: <Se non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato> (Gv. 18,30); e in 2 Cor. 5,21 si legge:
<Colui che non aveva conosciuto peccato Dio lo trattò da peccato in nostro favore>; i Giudei dicono a Gesù:
<Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per la bestemmia…> (Gv. 10,33)”. Dunque, il che Cristo assunse
la colpa significa non essi commise volontariamente la colpa, ma che ricevete tutte le conseguenze della
colpa, anzi di quella più profonda, che è il peccato contra lo Spirito Santo. Cioè, la colpa più profonda è il
rifiuto di Cristo che invia lo Spirito Santo guarendo il cuore. Questo rifiuto si esprime nella colpa più
profonda degli uomini che significa identificare a Cristo con la colpa. Cioè trattare a Cristo da massimo
peccatore. Anzi, da punto di riferimento assoluto del peccato. Lui è la maledizione. Questo che spiega San
Tommaso a partire di San Paolo non è solo una considerazione biblica. Se noi leggiamo bene tutta la storia
posteriore del cristianesimo e del anticristianesimo, troveremo un filo che collega la dialettica più profonda
della cultura posteriore con questa lotta spirituale, che si verifica principalmente, nella passione di Cristo.
Lui, che è il bene supremo, il bene divino, viene considerato intellettualmente, razionalmente dagli uomini,
il male supremo. Lui volontariamente ha assunto non solo la nostra condizione umano, cioè la natura,
l’anima, il corpo, lui ha assunto la nostra situazione umana, dunque, si ha inserito pienamente nella natura
umana fino a diventarne il centro. Lui è il centro della umanità. E colui che realizza perfettamente
l’umanità, come dicevano i Padri, assume pienamente il rifiuto di questa perfezione, da parte della volontà
umana. In lui si trova, dunque, il momento più profondo della storia.
“In secondo luogo in riferimento al male della pena. Cristo ci ha liberato dalla pena sopportando la nostra
pena e la morte, che arrivò a noi in base alla stessa maledizione del peccato. Per il fatto che egli prese su di
sé questa maledizione del peccato morendo per noi, si dice che è diventato lui stesso maledizione per noi.
<Colui che non aveva conosciuto il peccato>, cioè il Cristo, che non fece nessun peccato, Dio Padre <lo trattò
da peccato>, cioè gli ha fatto sopportare la pena del peccato, cioè quando è stato offerto per i nostri peccati
(2 Cor. 5,21)”. Il Padre, dunque, volontariamente, consegno il Figlio alla morte, che significa non solo la
morte sua fisica, personale, ma significa l’assunzione della conseguenze del peccato di tutta l’umanità, da
Adamo in poi, non solo il peccato originale, ma il peccato personale. Tutto è stato assunto spiritualmente
da Cristo. Che vuol dire? Non che lui abbia commesso il peccato, come ripetutamente dice la Scrittura, ma
che lui soffrì la pena per il peccato di tutti. E questa pena non è solo la morte corporale, questa pena è una
pena spirituale. Perciò, spiega San Tommaso nella terza parte, che il dolore di Cristo è stato il più grande di
tutti i dolori. Non solo secondo i sensi, ma anche secondo lo spirito. Lui soffrì questa morte spirituale, senza
meritarla, anzi meritando la vita spirituale. Dunque, nella morte di Cristo si realizza una operazione
spirituale. Così come Cristo è stato spinto dallo Spirito, ad andare verso il deserto per essere tentato dal
diavolo, colui che non poteva essere tentato ha voluto essere tentato volontariamente. Lo spiega San
Tommaso quando tratta le tentazioni. Così, in un modo definitivo, lui volontariamente assunse le
conseguenze della colpa e della pena del peccato, di tutti peccati. Assunse questa maledizione, questa
morte spirituale, questa lontananza della felicità. Tuttavia, come vedremo, Cristo è la persona del Verbo. E
perciò è la Persona divina, assolutamente beata per essenza, anzi con una beatitudine tale che si riflette su
la sua umanità, e perciò il mistero della coesistenza in Cristo di questa beatitudine con questa morte
spirituale. E per noi porta d’ingresso nel mistero definitivo della sua unione ipostatica, cioè noi conosciamo
specialmente la sua passione come manifestazione della umanità, così come conosciamo, spiega San
Tommaso, la sua risurrezione come manifestazione della divinità. Nella risurrezione è presente la umanità
trasfigurata; nella passione è presente la divinità nascosta. Se nella risurrezione Cristo adisce pienamente
donando lo Spirito Santo, in un modo manifesto, anzi per fino esterno, nella passione ci dona lo Spirito
Santo in un modo nascosto. Sotto le apparenze, anzi sotto la realtà della sofferenza e del fallimento.
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Dunque, quando noi troviamo la presenza dello Spirito Santo nei misteri della vita di Cristo, questa
presenza ci fa entrare nella persona divina del Verbo incarnato, che è oggetto non de la nostra conoscenza
razionale, ma della nostra fede. Fede che viene dallo Spirito. Dunque, non troviamo la persona di Cristo se
non abita in noi lo stesso Spirito di Cristo. Se non abbiamo lo Spirito di Cristo, prima o poi, la persona divina
si identifica con la maledizione, con la fonte del male. Come ha avvenuto più volte nella storia della cultura,
anzi specialmente in alcuni manifestazioni della filosofia moderna, che identificano, come fa Hegel il
mistero di Cristo col negativo, con il cuore negativo della dialettica, che muove la storia e la realtà.
“Conseguentemente pone la testimonianza della Scrittura, dicendo: <Come sta scritto: Maledetto chi pende
dal legno>. Ciò è preso da Dt. 21,23. E’ possibile esporre questa autorità della Scrittura sia riguardo al male
della pena, sia riguardo al male della colpa. Del male della colpa nel modo seguente: <Maledetto chi pende
dal legno>, non per il fatto che pende dal legno, ma per la colpa per la quale pende. E per questo si è
pensato che il Cristo pendente dal legno della croce fosse maledetto, perché egli fu punito soprattutto con
tale pena”. Dunque, troviamo che questa assunzione della situazione umana, in modo piena da parte di
Cristo, si realizza principalmente nella considerazione nella mente degli uomini. Cioè, l’incarnazione trova in
qualche maniera il suo punto più profondo nella visione che gli uomini hanno di lui. Lui assunse
volontariamente di essere considerato male da parte degli uomini, di essere considerato nemico, di essere
considerato bestemmiatore, di essere considerato ateo, di essere considerato fonte di male. Non è
semplicemente il morire esterno quello che assunse Cristo. Lui assunse l’inimicizia da parte degli uomini
nella loro mente, perché proprio lui è venuto a guarire agli uomini di questa inimicizia mentale, da questo
affetto negativo, da questo atteggiamento di rifiuto. Dunque, tutto il mistero dell’incarnazione confluisce in
questo. Cioè in quel mistero dell’incarnazione che giunge fino a la passione in modo tale che in questa
passione si fa il discernimento dei cuori. Per alcuni, la passione è motivo di scandalo, come dice anche San
Paolo; per altri, la passione è motivo di liberazione, di gioia, di rigenerazione, di perfezionamento. “Et hoc
modo, dice in latino, Christus aestimatus maledictus in cruce pendens, propter hoc quod maxime tali poena
punitus fuit”. “Aestimatus” vuol dire che Cristo era pensato, era considerato, era sentito come il maledetto.
E ancora così continuano a sentirlo gli uomini. E se non lo capiamo, leggiamo Nietzsche. Nietzsche esprime
questo sentimento. Non soltanto lo esprime, se non che lo inserisce in tante manifestazioni della nostra
cultura filosofica, psicologica. Sentire Cristo è, dunque, perché Nietzsche considera Cristo il grande
sacerdote, come il nemico dell’umanità.
Ma prima abbiamo questa espressione: che i giudei lo reputavano, lo pensavano come cattivissimo. E
questo è il punto più profondo del mistero dell’incarnazione dove si fa, dove si realizza la guarigione,
perché qui agisce lo Spirito Santo nel modo più pieno. Cioè quando cambia il cuori degli uomini, invece di
considerare Cristo il cattivo, lo considerano il buono. Come dice va lui a quel uomo: “Perché mi chiami
buono? Solo è buono Dio”. Dunque, solo quando cambia il cuore di fronte a Cristo, di fronte a la sua
maledizione assunta per noi, lui si converte in benedizione. Questo fa lo Spirito Santo. Perciò nel cuore della
passione di Cristo c’è lo Spirito Santo. Anzi, lo Spirito Santo è il cuore di Cristo, il cuore divino di Cristo che si
manifesta umanamente, nel cuore umano di Gesù. Perciò dice San Tommaso che è stato lo Spirito Santo
con lui e ha ispirato a Cristo di patire per noi. Vi invito a meditare questi testi.
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