Dietrich Bonhoeffer, martire del nazismo (2)
Intervento da 'I mercoledì della spiritualità'
Dopo aver ripercorso l’ itinerario tragico della sua esistenza, di D.
Bonhoeffer vogliamo ora ripercorrere l’ itinerario del suo pensiero
teologico-spirituale. Certo, non è stato un intellettuale da “ salotto” . La
sua riflessione l’ ha sempre ancorata alla S. Scrittura – letta, meditata
e pregata nello Spirito – e alla vita ecclesiale e sociale del suo tempo
(perciò è teologico-spirituale).
È una riflessione che nel momento stesso in cui viene comunicata, lo
interpella e lo coinvolge personalmente: egli riflette e comunica per se
stesso e per gli altri. Perciò la sua riflessione non si presenta mai banale e scontata, ma poderosa,
complessa, impegnativa e originale in molti suoi punti, e sovente critica, in particolare verso la tradizione
protestante (e nondimeno oggi anche verso una certa tradizione cattolica). Vediamone in sintesi le
coordinate fondamentali.
Cristo Gesù il Vivente, oggi
a) Parlare di Cristo sul fondo del silenzio. Nell’ estate del 1933, a venticinque anni, Bonhoeffer tiene un
corso di Cristologia, cioè di riflessione sistematica sulla persona di Gesù Cristo. Rifacendosi a Cirillo di
Alessandria, esordisce indicando la predisposizione spirituale che favorisce la nostra conoscenza di
Cristo: il silenzio. Ogni riflessione su Cristo deve iniziare e scaturire dal silenzio: «Parlare su Cristo
significa tacere. Tacere su Cristo significa parlare…Il parlare della chiesa, fatto di silenzio, è la corretta
predicazione di Cristo». Il silenzio qui non è un tacere assoluto, ma indica la consapevolezza di essere di
fronte al mistero insondabile di Cristo, mistero che non potremo mai esaurire e racchiudere dentro i nostri
schemi e le nostre idee. Bisogna, sì, parlare di Cristo, ma sul fondo del silenzio, ovvero della preghiera
meditativa e dell’ impegno quotidiano.
b) Cristo per noi. E, allora, il primo interrogativo fondamentale su Gesù riguarda il «Chi è Cristo per te, per
noi?». Questa domanda scaturisce dalla fede, vale a dire dalla preghiera, dall’ invocazione e dalla fatica
dell’ impegno quotidiano. Quel “ per te, per noi” non è la proposta di un sondaggio o di un esame
personale su Cristo, ma esprime la relazione esistenziale con Lui e il coraggio di dirgli: «Parla tu stesso!
perché tu sei vivo, non sei un morto»; è perciò il coraggio dell’ ascolto profondo della Parola, del Vangelo
di fronte a Lui che è il Vivente, e che per questo può dirci Chi Lui è (si noti: il verbo al presente), cioè
comunicare la sua identità, e, di conseguenza, chi siamo noi, cioè la nostra identità, in relazione a Lui.
Per Bonhoeffer il Cristo-per-me/per-noi, cioè il Cristo Risorto e Vivente, è Colui che oggi si rende
presente a noi come Parola, come Sacramento (in particolare nell’ Eucaristia), come Comunità. E in
queste tre presenze egli si comunica e sta accanto a noi nella sua teo-umanità, vale a dire non solo come
Dio ma anche come uomo, cioè con la sua debolezza creaturale, con le complessità, le complicazioni, i
fallimenti, i dolori e le gioie della vita. Cristo è uomo e Dio sia nel suo abbassamento che nel suo
innalzamento nella Gloria, per cui anche nel suo abbassamento, nella sua debolezza (mangiatoia, croce)
egli è Dio, il Dio debole e umile che noi incontriamo e dal quale riceviamo sapienza e forza.
c) La sequela “ a caro prezzo” . Che cosa dice Cristo a noi che lo seguiamo? Per rispondere a
quest’ altra domanda, Bonhoeffer scrive nel 1937 Sequela. Si tratta di un corso che il formatore
Bonhoeffer tenne al Seminario-comunità di Finkenwalde per i futuri pastori: esso mostra uno degli
orientamenti fondamentali che lui aveva dato alla loro formazione teologica e spirituale. L’ opera è una
meditazione sulle Beatitudini e il Discorso della Montagna, sulla missione dei discepoli, sulla chiesa come
“ Corpo di Cristo” . Ci soffermiamo solo su un tema-chiave della sua riflessione: la sequela di Cristo “ a
caro prezzo” , seguire Lui costi quel che costi.
Bonhoeffer, in polemica con la tradizione luterana, rileva che accentuando solamente la salvezza per
grazia, cioè che la salvezza è dono gratuito di Dio e non merito nostro, si dimentica un aspetto
essenziale: le opere che a caro prezzo dobbiamo fare proprio in quanto siamo stati salvati per grazia,
vale a dire la sequela di Cristo Gesù, l’ obbedienza a Dio e alla sua Parola nelle scelte della vita
quotidiana. Qui Bonhoeffer ha davanti a sé le derive della chiesa protestante tedesca, la quale, mentre
afferma la salvezza per grazia, nello stesso tempo, senza alcun serio discernimento evangelico, accoglie
Hitler come l’ uomo della provvidenza, come il capo mandato da Dio…
Perciò Bonhoeffer distingue la “ grazia a buon mercato” dalla “ grazia a caro prezzo” . La “ grazia a
buon mercato” : è la grazia «come merce in vendita promozionale» dove «il conto è già stato pagato»,
per cui «tutto si può avere gratis»; è il misconoscimento della potenza efficace della Parola di Dio e della
sua incarnazione in Gesù; è il misconoscimento di Gesù Vivo che interpella il nostro oggi; è il perdono
senza pentimento e conversione, è l’ accoglienza della grazia «senza bisogno che cambi qualcosa del
nostro modo di vivere», dove anzi avanza sempre di più l’ omologazione alle logiche idolatriche, evidenti
e sottili, presenti nel mondo.
La “ grazia a caro prezzo” invece è tutto l’ opposto: è la sequela di Cristo Gesù sulla via della croce,
sulla via del dono di sé, senza sconti, è l’ obbedienza alla Parola di Dio viva ed efficace; è «il tesoro
nascosto nel campo, per amore del quale l’ uomo va a vendere con gioia tutto ciò che aveva; […] la
signoria regale di Cristo, per amore del quale l’ uomo strappa da sé l’ occhio che lo scandalizza […]; il
vangelo che si deve sempre di nuovo cercare, il dono per cui si deve sempre di nuovo pregare, la porta
cui si deve sempre di nuovo bussare. [..] La grazia è a caro prezzo soprattutto perché è costata cara a
Dio, perché gli è costata cara la vita del Figlio – “ siete stati riscattati a caro prezzo” (1Cor 6,20) – e
perché non può essere a buon mercato per noi ciò che è costato caro a Dio».
d) La predicazione, l’ evangelizzazione. Tra i corsi per i futuri pastori, Bonhoeffer ne tenne uno, tra il
1935 e il 1937, sulla predicazione della Parola. Egli si pone la domanda: come far sì che la predicazione
della Parola, l’ evangelizzazione, sia vissuta come l’ evento che fonda ed edifica la comunità cristiana?
Dopo aver per qualche tempo posto la predicazione in rapporto alla Chiesa (“ si predica perché c’ è la
Chiesa e perché ci sia la Chiesa” ), ci ripensa e cambia prospettiva ponendo la predicazione in rapporto a
Cristo: la predicazione ha la sua origine in Cristo Parola incarnata, e il Cristo che si annuncia è il Cristo
storico ed insieme il Cristo vivente oggi.
Perché Bonhoeffer ha cambiato prospettiva? Perché, guardando l’ atteggiamento omologante della sua
chiesa nei confronti del nazismo, comprende che ciò che rende credibile l’ evangelizzazione non è la
comunicazione della “ pura dottrina” ma la “ forma della chiesa” , lo stile di vita della chiesa, cioè dei
suoi fedeli e dei suoi pastori. E la forma della chiesa è la “ sequela a caro prezzo” , il suo fondamento è
la Parola di Dio incarnata in Cristo Gesù. Indicata la prospettiva, Bonhoeffer traccia sapientemente lo stile
dell’ evangelizzatore. Egli non è il padrone ma il testimone della Parola che lo traversa, lo interpella in
prima persona e lo fa vivere.
Perciò “ accompagna” la pagina biblica, affinché l’ energia efficace della Parola di Dio ivi contenuta si
dispieghi e trovi ascolto, accoglienza e assimilazione nella comunità. La domanda vera che si pone
l’ evangelizzatore è: “ che cosa dice questa pagina biblica alla comunità?” (e non: “ che cosa io devo
dire oggi alla comunità?” ), perché una evangelizzazione “ riuscita” è quella che spinge la comunità ad
rileggere e meditare e pregare la pagina biblica dopo il culto, la liturgia o l’ incontro biblico…
L’ evangelizzatore mentre evangelizza la comunità viene anche lui evangelizzato, perché, non solo la
comunità, anche lui è il destinatario della Parola. Solo così l’ evangelizzazione viene vissuta come un
evento che coinvolge tutti, comunità e pastori, nella “ sequela a caro prezzo” .
La Chiesa: “ Cristo esistente come comunità”
La Chiesa è uno dei temi cari a Bonhoeffer (più volte lo riprende), tema che lo pone in posizione critica
contro l’ individualismo protestante (noi oggi possiamo aggiungere: nondimeno contro un certo
individualismo cattolico…). Egli parte dal fondamento: poiché la Chiesa è il Corpo di Cristo, essa, nella
sua totalità, è Cristo esistente come comunità. Dopo alcuni anni, però, Bonhoeffer si rende conto che
questo è un modo ambiguo di considerare la Chiesa perché la identifica a Cristo in maniera assoluta,
mentre in realtà la Chiesa, poiché fatta di creature umane, di discepoli e di discepole, è posta sempre in
obbedienza a Cristo.
E allora pur continuando a considerarla “ Cristo come comunità” , sfuma un po’ l’ espressione,
affermando nello stesso tempo Cristo presente nella Chiesa: (1) come il Signore, nel senso che la
trascende e le toglie ogni autoreferenzialità; (2) come il fratello, nel senso non soltanto dei cristiani ma
anche di ogni uomo e donna; (3) come colui che fa unità, nel senso che la unisce a sé costituendola
come la “ rappresentazione” della sua presenza sulla terra.
Da qui per Bonhoeffer è evidente che la Chiesa è una comunità e non una somma di individui. La chiesa
è una comunione di santi che sono anche peccatori, i quali hanno bisogno del perdono di Dio ma anche
del perdono reciproco. Quindi nella Chiesa si dovrebbe prendere le distanze da ogni forma di
individualismo e di autoreferenzialità, come pure da ogni forma di culto idolatrico del capo e di ricerca di
potere e di privilegi, e, alla sequela di Cristo, invece vivere come Chiesa-per-gli-altri e come Chiesa-congli-altri, vale a dire come Chiesa del servizio e come Chiesa della comunione, della riconciliazione e della
pace; perché il “ luogo” vero della Chiesa non è il “ luogo” che ella stessa si sceglie per garantire la
propria sopravvivenza, ma il “ luogo” che le sceglie Cristo, dove Lui la pone tra gli uomini e al servizio
degli uomini che per una causa giusta, tra mille contraddizioni, faticano, soffrono e gioiscono.
Scrive Bonhoeffer: «La nostra Chiesa, che in questi anni ha lottato solo per la propria sopravvivenza,
come fosse fine a se stessa, è incapace di essere portatrice per gli uomini e per il mondo della Parola
che riconcilia e redime. Perciò le parole di un tempo devono perdere la loro forza e ammutolire, e il nostro
essere cristiani oggi consisterà solo in due cose: nel pregare e nel fare ciò che è giusto tra gli uomini.
Ogni pensiero, ogni parola e ogni misura organizzativa, per ciò che riguarda le realtà del cristianesimo,
devono rinascere da questo pregare e da questo fare» (Lettera dal carcere del maggio 1944, in
Resistenza e resa).
La vita comune: vivere come fratelli in Cristo
Come già accennato, Bonhoeffer volle impostare la formazione dei futuri pastori della chiesa
sull’ esperienza della vita comune nel Seminario di Finkenwalde. Il libretto, intitolato Vita comune,
pubblicato nel 1938 si rifà a quella esperienza, libretto letto in questi anni da molti monaci, frati e suore,
cattolici e protestanti. Farebbe molto bene anche alle famiglie, ai movimenti e ai gruppi ecclesiali e alle
comunità parrocchiali. Evidenzio soltanto alcune tematiche. Come per la Chiesa, anche per l’ esperienza
della vita comune Cristo rimane il centro fondante, unificante ed edificatore.
Bonhoeffer sapientemente mette in guardia dalla tentazione, molto sottile, di edificare una “ comunità
psichica” , cioè una comunità di tipo fusionale, centrata sull’ io, sulle relazioni e sui legami psicologi e
affettivi intensi, sulla manifestazione “ effervescente” e “ surriscaldante” delle emozioni, delle passioni e
dei sentimenti dell’ animo umano. Invece differente è edificare una “ comunità spirituale” , che non
significa contrapposizione alla dimensione umana e corporea della esistenza, ma che al centro non mette
la psicologia, bensì Gesù Cristo, la sua Parola pregata, meditata e vissuta, il suo perdono, la sua
riconciliazione. Bonhoeffer non aveva nulla contro la psicologia in sé, ma contestava l’ uso maldestro
teologico e pastorale che se ne faceva all’ epoca (e spesso anche oggi…).
Per la fede cristiana si è fratelli e sorelle per mezzo di Gesù Cristo e non per mezzo di qualcun altro o di
qualcos’ altro. «Sono fratello dell’ altro – scrive Bonhoeffer – solo per ciò che Gesù Cristo ha fatto per
me e in me; l’ altro mi è divenuto fratello per ciò che Gesù Cristo ha fatto per lui e in lui. […] La nostra
comunione consiste solo in ciò che Cristo ha compiuto in ambedue, in me e nell’ altro, e questo non vale
solo per l’ inizio, come se poi, nel corso del tempo, si aggiungesse ancora qualcosa a questa nostra
comunione, ma resta per sempre, nel futuro e nell’ eternità».
Così tra me e l’ altro, c’ è un terzo che ci unisce (comunione e non “ fusione” ) e nello stesso tempo ci
tiene discretamente distanti (solitudine e non isolamento), e questo Terzo è Gesù Cristo. Per questo è
importante per Bonhoeffer, nella edificazione quotidiana della vita comune cristiana, oltre la meditazione
della Parola di Dio e la preghiera, anche, davanti a Dio, la reciproca intercessione e, tra i fratelli, la
confessione reciproca delle colpe (che non è il sacramento della riconciliazione).
Cristiani adulti in un mondo adulto
La Chiesa, a motivo dell’ incarnazione di Cristo, Dio l’ ha posta e voluta nel mondo. Ora, afferma
Bonhoeffer, il mondo, con tutta la sua complessità, è diventato adulto, non ha più bisogno di un “ dio
tappabuchi” a cui ricorrere per dare risposte là dove la scienza oggi rimane muta (non sappiamo per il
futuro). Il Dio della Bibbia non è un “ dio tappabuchi” : egli si rivela nel suo abbassamento in Gesù Cristo
come un Dio vulnerabile che ci aiuta a dare un senso alla vita, stando accanto a noi nella sofferenza.
Questo Dio i cristiani sono chiamati a testimoniare nel mondo, senza venir meno alle loro responsabilità.
Egidio Palumbo
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