CASSAZIONE CIVILE, II sezione, 24 febbraio 2006, n. 4258 – CALFAPIETRA Presidente –
TROMBETTA Relatore – CENICCOLA P.M. (conf.) – S. / Condominio via Confalonieri
Comunione e condominio – Condominio negli edifici – Comunione pro diviso dell’ultimo
piano - Sopraelevazione – sopraelevazione parziale – Ammissibilità (C.c. artt. 1127, 1100 e
segg., 1117 e segg.)
La facoltà di sopraelevare concessa dall’art. 1127, primo comma, c.c. al proprietario dell’ultimo
piano dell’edificio condominiale, se l’ultimo piano appartenga “pro diviso” a più persone, spetta a
ciascuno di essi nei limiti della propria porzione di piano con l’utilizzazione dello spazio aereo
sovrastante a ciascuna porzione, e nei limiti di cui al secondo e terzo comma dell’art. 1127 c.c.
Svolgimento del processo
Con citazione notificata il 27/2/92 il Condominio di Via Confalonieri convenne in giudizio
davanti al Tribunale di Roma, l'Arch. S. deducendo: che, a seguito di vertenza, in base alla
quale il convenuto aveva citato in giudizio il Condominio per ottenere il risarcimento dei
danni da infiltrazioni provenienti dal lastrico solare condominiale, subite dall'appartamento
di sua proprietà, era intervenuta fra le parti, in sede di conciliazione giudiziale, una
transazione in forza della quale lo S. veniva autorizzato ad eseguire una copertura, a fini
igienici, del cassone di rifornimento idrico collocato dallo stesso, in assenza di
autorizzazione del Condominio, sul lastrico solare, e lo S. rinunziava a richiedere il
risarcimento danni subiti dal suo appartamento; che tale transazione era subordinata alla
ratifica da parte dell'assemblea che non solo non intervenne, ma fu espressamente deciso,
con delibera 1.10.1991, di non ratificare,attese le violazioni urbanistiche e di progetto
commesse dallo S. che aveva costruito un vero e proprio appartamentino collegato a quello
sottostante di sua proprietà , occupando parte del lastrico solare condominiale.
Chiedeva, pertanto, la demolizione di quanto edificato dallo S. sul lastrico solare, la
chiusura dell'asola creata fra l'appartamento del medesimo ed il lastrico solare di proprietà
comune, il ripristino dello statu quo ante, oltre al risarcimento danni.
Lo S., costituitosi, contestava la domanda attrice asserendo di essere stato autorizzato dal
Condominio ad eseguire i lavori in forza dell'accordo intervenuto fra le parti in sede di
conciliazione giudiziale; chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda ed in via
riconvenzionale che fosse affermato il suo diritto di eseguire le opere ai sensi dell'art. 1127
c.c. con condanna del Condominio al risarcimento dei danni per l'omessa manutenzione del
lastrico solare nella misura accertata dal C.T.U., nella causa dal medesimo precedentemente
intentata contro il Condominio.
Espletata C.T.U. il Tribunale con sentenza 2.12.96 accoglieva la domanda del Condominio,
con condanna dello S. alla demolizione di quanto abusivamente costruito, al ripristino dello
stato dei luoghi; dichiarava l'insussistenza del diritto dello S. di sopraelevare; condannava il
Condominio al pagamento in favore del convenuto della somma di L. 43.000.000 a titolo di
risarcimento danni per le infiltrazioni.
Su impugnazione principale dello S. ed incidentale del Condominio, la Corte d'Appello di
Roma, con sentenza 05/09/2001, respingeva l'appello principale ed in parziale accoglimento
dell'appello incidentale riduceva in L. 35.000.000 oltre interessi la somma dovuta allo S. a
titolo di risarcimento danni.
Dopo aver premesso che la conciliazione giudiziale, pur potendo avere contenuto di
transazione, presuppone in ogni caso l'incontro di volontà delle parti, afferma la Corte
d'Appello che, non avendo l'amministratore condominiale, di per sé, il potere di disporre
delle cose comuni (nella specie il lastrico solare), era onere dello S., che assumeva la
dipendenze della legittimità della realizzazione da lui effettuata sul lastrico solare, dalla
validità della conciliazione, dimostrare l'esistenza del potere dispositivo dell'amministratore
o l'intervenuta ratifica della conciliazione giudiziale, in applicazione dei principi che
regolano il fenomeno del falsus procurator; rilevando altresì che, sebbene nella citazione
introduttiva del giudizio, il Condominio aveva dedotto soltanto la mancata ratifica della
transazione da parte dell'assemblea condominiale, tale linea difensiva presupponeva che
l'amministratore avesse agito fuori o con eccesso dei suoi poteri. Poiché con l'atto di
conciliazione lo S. era autorizzato non solo a completare i lavori tendenti ad incorporare una
parte del lastrico solare ed a realizzare su di esso una cubatura, disponendosi in via perenne
del lastrico necessario per la copertura e le modifiche relative al volume tecnico, afferma la
Corte d'Appello che giustamente il Tribunale ha ritenuto non opponibile al Condominio il
negozio posto in essere dall'amministratore in quanto non ratificato dall'assemblea;
trattandosi di sottrarre in via definitiva una parte del lastrico solare all'uso comune
occorreva il consenso di tutti i condomini mai intervenuto né dedotto; e l'onere che lo S. si
era assunto, di trascrivere il verbale di conciliazione, dimostrava che l'accordo aveva la
funzione di trasferire allo stesso una parte del lastrico solare, tant'è che la realizzazione del
manufatto rendeva più che concreta la possibilità di un uso abitativo con interdizione all'uso
comune di parte del lastrico solare.
Conclude sul punto la Corte d'Appello che non essendo intervenuti tutti i condomini
nell'assemblea con cui si era autorizzato l'amministratore a stipulare l'accordo con lo S. non
avendo mai una assemblea totalitaria ratificato il suddetto accordo, la condanna al ripristino
dello stato dei luoghi andava confermata.
Quanto al diritto a sopraelevare reclamato dallo S. afferma la Corte d'Appello che esso é da
escludere nel caso di specie, in quanto la norma ( art. 1127 c.c.) presuppone la proprietà
esclusiva del lastrico solare e consente al proprietario dell'ultimo piano di sopraelevare
sempre che sia proprietario dell'interno ultimo piano e non di una parte di esso, come nella
specie, é lo S.. Avverso tale sentenza ricorre in Cassazione lo S..
Resiste con controricorso e ricorso incidentale il Condominio.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
Deduce il ricorrente principale a motivi di impugnazione:
1) la falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di interpretazione,
perfezionamento ed efficacia del contratto, di rappresentanza, di validità delle deliberazioni
condominiali, con conseguente violazione dell'art. 2697 c.c. e art. 345 c.p.c. e connessa
insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo in relazione all'art. 360
c.p.c., nn. 3 e 5; - per avere la Corte d'Appello nel ritenere l'accordo transattivo di cui al
verbale di conciliazione giudiziale 17.11.1989, inidoneo a produrre effetti giuridici, per
carenza del potere rappresentativo dell'amministratore del Condominio che l'ha sottoscritto,
erroneamente:
A) affermato essere onere del ricorrente, convenuto in giudizio provare l'esistenza del poter
dispositivo a favore dell'amministratore o l'intervenuta ratifica assembleare dell'accordo di
cui alla conciliazione giudiziaria, nonostante: 1) spettasse al Condominio, attore in giudizio,
che negava la produzione di effetti del negozio, l'onere di dimostrare di non aver prestato
alcun consenso al suo perfezionamento; 2) le clausole di cui al verbale di conciliazione
escludessero la volontà delle parti di condizionare l'efficacia delle obbligazioni discendenti
dalla transazione ad una successiva formale approvazione da parte dell'assemblea
condominiale, dal momento che: 2-1) l'amm.re era stato autorizzato alla stipula dell'accordo
dalla delibera dell'assemblea straordinaria del 19.X.1989 edotta del progetto, presentato dal
ricorrente alla ripartizione urbanistica del comune ed allegato al verbale di conciliazione; 22) la necessità di una successiva verifica dell'assemblea denotasse l'assenza di volontà
transattiva; 2-3) l'eventuale discrepanza tra l'atto autorizzato e quello concluso - per essere
stato posto in essere dall'amm.re privo di poteri o superandone i limiti rendesse inefficace
l'accordo indipendentemente dall'operatività di qualunque meccanismo condizionante
l'efficacia;
B) ritenuto aver l'amministratore superato i limiti del mandato ricevuto nonostante: 1) la tesi
dell'eccesso di rappresentanza dell'amm.re fosse stata formulata per la prima volta in
appello, introducendo, inammissibilmente, un tema di indagine e di decisione
completamente diverso; 2) l'autorizzazione all'amm.re fosse stata conferita in funzione di
una proposta transattiva formulata dal ricorrente e trasmessa al Condominio; 3) l'assemblea
condominiale non avesse avanzato proposte alternative e fosse consapevole che il progetto
presentato al comune non dovesse essere modificato, ma solo completato;
C) ritenuto che, trattandosi di disporre di una cosa comune (il lastrico solare), la delibera
avrebbe dovuto essere approvata da tutti i condomini, nonostante: 1) in nessun caso sia
previsto che le deliberazioni debbano essere approvate con il consenso unanime di tutti i
condomini; 2) trattandosi, nella specie, non di trasferimento, ma di concessione in uso di
parte del lastrico solare, di cui il Condominio continuava a restare proprietario (come
risultava dalla quantificazione di un corrispettivo, sia pur simbolico, posto a carico del
ricorrente per la concessione del diritto di uso) la delibera assembleare non richiedesse il
consenso di tutti i condomini; 3) l'onere di trascrivere il verbale di conciliazione non poteva
ritenersi indice della volontà di trasferire la proprietà del lastrico solare, dal momento che la
trascrizione é prevista anche per gli atti che costituiscono o modificano il diritto di uso;
2) la violazione e falsa applicazione dell'art. 1127 c.c., con conseguente omessa o
insufficiente motivazione su un punto decisivo in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5: - per
avere la Corte d'Appello, nel confermare il rigetto della domanda riconvenzionale con cui il
ricorrente aveva chiesto l'accertamento del diritto di sopraelevare, erroneamente:
A) ritenuto che l'art. 1127 c.c. presupponga la proprietà esclusiva del lastrico solare da parte
di chi intenda costruire, mentre la norma nell'attribuire la stessa facoltà anche al proprietario
dell'ultimo piano fa ritenere che la titolarità esclusiva del bene non sia un presupposto
necessariamente valevole per entrambe le ipotesi;
B) ritenuto eh il diritto di sopraelevare ex art. 1127 c.c., spetti al proprietario esclusivo
dell'intero ultimo piano, nonostante: 1) la norma riconduca l'esclusività al solo lastrico
solare; 2) la negazione della facoltà di sopraelevare al proprietario di parte dell'ultimo piano
non trovi alcuna giustificazione e, comunque, non sia stata motivata dalla Corte d'Appello e
contrasti con la giurisprudenza di legittimità che consente, al proprietario della terrazza di
copertura, a livello dell'adiacente appartamento, di sopralevare;
3) la violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento del
danno, con conseguente falsa applicazione dell'art. 2041 cod. civ.; l'omessa e contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360c.p.c., nn. 3 e 5;
- per avere la Corte d'Appello, nell'accogliere parzialmente l'appello incidentale del
Condominio, erroneamente riconosciuto come dovute allo S. le sole spese sostenute per
l'eliminazione delle infiltrazioni alle pareti del suo appartamento, e quelle per rendere
impermeabile la parte del lastrico solare posta al di sopra di esso; nulla riconoscendo per il
completamento dei lavori autorizzato dal Condominio che ha tratto da essi,
conseguentemente, un ingiustificato arricchimento.
Deduce il Condominio, ricorrente incidentale a motivo di impugnazione l'errata decisione
della Corte d'Appello per aver riconosciuto allo S. le spese sostenute dal medesimo per
rendere impermeabile la parte del lastrico solare posta al di sopra del suo appartamento,
nonostante: A) le pretese infiltrazioni fossero state determinate dall'attività abusiva dello S.,
che ha compromesso la tenuta del lastrico solare; B) al ricorrente non spettasse alcunché a
titolo di danni per avere egli provocato maggiori svantaggi al Condominio, con
l'interdizione all'uso comune di parte del lastrico solare, e con la riduzione di aria e luce ai
piani sottostanti.
Va disposta, ai sensi dell'art. 335 c.p.c. la riunione dei ricorsi principale ed incidentale,
trattandosi di impugnazioni proposte avverso la stessa sentenza.
L'eccezione di inammissibilità del ricorso principale sollevata dal Condominio, va disattesa.
L'esposizione sommaria dei fatti, di cui all'art. 366 c.p.c., n. 3 infatti, può ritenersi, nella
specie, sufficientemente svolta, in quanto attraverso la trascrizione del fatto, così come
riportato nella sentenza impugnata, integrato dalle considerazioni svolte nei motivi di
ricorso, é ben possibile rendersi conto delle vicende processuali, fra le parti e sulle quali si
incentrano le censure proposte.
Passando, quindi, all'esame del ricorso principale, il 1^ motivo è infondato. Trattandosi di
interdire, in via definitiva, all'uso comune, una parte del lastrico solare di proprietà di tutti i
condomini pro indiviso; e, quindi, anche senza trasferire la proprietà , ma costituendo su di
esso un diritto di uso esclusivo a favore dello S. (diritto che, ritenuto soggetto a trascrizione,
come argomenta la difesa del ricorrente, dovrebbe configurarsi come diritto reale);
(trattandosi) cioé di porre in essere, comunque, un atto di disposizione, che implica una
diminuzione del diritto di proprietà comune, non rientra nei poteri dell'assemblea
condominiale, che decide con il criterio delle maggioranze, autorizzare l'amm.re del
Condominio a concludere transazioni che abbiano ad oggetto diritti comuni;
In tal senso é chiaro il disposto dell'art. 1108 c.c., comma 3 (applicabile al Condominio in
virtù del rinvio ex art. 1139 c.c.) che, espressamente, richiede il consenso di tutti i comunisti
e, quindi, di tutti i condomini, per gli atti di alienazione del fondo comune, o di costituzione
su di esso di diritti reali o per le locazioni ultranovennali (alle quali ben può essere
assimilata la concessione in uso esclusivo a tempo indeterminato, ove a tale concessione
voglia conferirsi natura obbligatoria e non reale);
consenso richiesto, conseguentemente, anche per la transazione che abbia ad oggetto i beni
comuni, potendo essa annoverarsi, in forza dei suoi elementi costitutivi (le reciproche
concessioni) fra i negozi a carattere dispositivo.
E' vano, pertanto, invocare, a sostegno del potere rappresentativo dell'amm.re, la delibera
dell'assemblea straordinaria del 19.10.1989, approvata a maggioranza, essendo necessario il
consenso di tutti i condomini (v. 70175/98), consenso che può essere espresso anche
attraverso una delibera assembleare che esprima la loro univoca volontà negoziale, o di
concedere allo S. l'uso esclusivo di parte del lastrico solare comune; o di ratificare l'operato
in tale senso posto in essere in nome e per conto di tutti i condomini, dall'amministratore
che sia stato, in precedenza, invalidamente investito di poteri rappresentativi; ipotesi
entrambe che, nella specie, non sono state poste in essere.
Essendo, perciò, l'assemblea maggioritaria priva di legittimazione a deliberare il
conferimento dei poteri rappresentativi all'amm.re, per stipulare, in nome e per conto dei
condomini, la transazione di cui si é detto; del tutto fuori luogo é parlare di violazione
dell'onere probatorio, dal momento che il Condominio attore, con il far valere l'invalidità
della delibera, ha fornito la prova della sua pretesa.
Il 1^ motivo del ricorso in esame va, pertanto, respinto.
E', viceversa, fondato nei limiti che vengano ad esporsi, il 2^ motivo dello stesso ricorso. La
sentenza impugnata ha negato allo S. il diritto a sopraelevare, di cui all'art. 1127 c.c., sulla
base di due argomenti: il primo basato sulla proprietà comune del lastrico solare, quale
risulta dal regolamento condominiale e, quindi, sull'appartenenza a tutti i condomini della
colonna d'aria sovrastante il lastrico comune; il, che, secondo la Corte Territoriale, preclude
al condomino di sopraelevare (per esplicito dettato normativo che richiede in capo allo
stesso la proprietà esclusiva del lastrico solare; il secondo argomento che attribuisce il
diritto di sopraelevare al solo condomino che sia proprietario "esclusivo" dell'intero ultimo
piano, perché la norma consentirebbe solo la sopraelevazione di un piano e non di una
frazione di piano, a salvaguardia dell'armonia architettonica della copertura dell'edificio; il
che nella specie, precluderebbe il diritto di sopraelevare allo S., proprietario all'ultimo piano
di un solo appartamento, peraltro di modesta estensione rispetto alle dimensioni del lastrico
solare.
Ora, mentre nulla quaestio sussiste in ordine al primo argomento in quanto é pacifico che lo
S. non é proprietario esclusivo del lastrico solare e, quindi, non può pretendere, in tale veste,
di esercitare il diritto di sopraelevare; non altrettanto può dirsi in ordine al secondo
argomento posto dalla Corte d'Appello a sostegno della sua decisione, dal momento che la
norma che riconosce al proprietario dell'ultimo piano di un edificio condominiale, il diritto
di sopraelevare, non specifica né che questi debba essere proprietario "esclusivo" dell'ultimo
piano; né che sia necessario sopraelevare per tutta l'estensione dell'ultimo piano. Si pone,
quindi, una prima questione di diritto che la Suprema Corte deve risolvere per decidere la
controversia, e riguarda la disciplina della sopraelevazione sopra l'ultimo piano dell'edificio,
nel caso in cui l'ultimo piano non appartenga per l'intera estensione ad un solo proprietario,
ma a più proprietari pro diviso.
La soluzione si ricava dai principi concernenti l'acquisto dei diritti reali sulle costruzioni,
nonché dalle implicazioni della deroga pattizia al principio dell'accessione ( art. 934 cod.
civ.): da tutto ciò si desume l'assetto dei beni siti nell'edificio soggetto al regime del
Condominio.
Per la verità , costruire raffigura una delle facoltà più importanti del diritto di proprietà su
un terreno. La proprietà della costruzione, come di i tutto ciò che al suolo viene stabilmente
unito, dal proprietario di questo, si acquista per accessione (art. 934 cit.). Impedire che si
verifichi l'acquisto - fare si che la proprietà delle costruzioni o delle opere, che al terreno
vengono stabilmente unite, spetti a persona diversa dal dominus soli - é possibile in virtù del
titolo. Vale a dire, in virtù di un atto negoziale, con cui il proprietario del terreno rinunci
all'acquisto che si verificherebbe in suo favore in base ai principi dell'accessione; ovvero, se
tale acquisto si sia già verificato, in virtù di un atto con cui egli scinda la cosa (la
costruzione incorporata al suolo) in due cose distinte (la costruzione ed il suolo),
eventualmente trattenendo per sé la proprietà del terreno e trasferendo ad altri la proprietà
della costruzione.
La scissione, da cui deriva la costituzione della proprietà superficiaria, può essere fatta dal
proprietario in due modi distinti: a) concedendo ad un terzo il diritto di costruire sul terreno
e, quindi, di conseguire la proprietà superficiaria per effetto della costruzione ( art. 952 cod.
civ., comma 1); b) alienando ad un terzo la costruzione già esistente e costituendo così la
proprietà separata ( art. 952 cod. civ., comma 2).
Una volta che il proprietario del suolo abbia rinunziato agli effetti dell'accessione in favore
del terzo, a costui, divenuto proprietario superficiario, spettano le stesse facoltà che, prima
della costruzione dell'edificio, spettavano al dominus soli: compresa la facoltà di
sopraedificare, cioè di aggiungere una nuova costruzione a quella preesistente. Gli effetti
dell'accessione e della deroga negoziale non cambiano quando insistano sul suolo, anziché
una sola proprietà , più costruzioni sovrapposte, facenti capo a proprietari diversi. Salvo
diversa e specifica disposizione per titolo, l'accessione opera volta per volta in favore del
proprietario dell'ultimo piano. Se sopra l'ultimo piano qualcuno eseguisse la
sopraelevazione, senza aver ottenuto prima il diritto di superficie, egli non potrebbe evitare
l'acquisto della proprietà della costruzione in capo al proprietario dell'ultimo piano.
Per la verità , a mano a mano che la proprietà superficiaria viene spostata verso l'alto con la
costruzione di nuovi piani, in virtù del diritto di superficie il proprietario dell'ultimo piano
beneficia del diritto di sopraelevazione e acquista quanto viene costruito sopra.
Nell'ipotesi in cui l'ultimo piano sia diviso in più appartamenti, ciascuno in proprietà
separata facente capo a diverse persone, ciascun proprietario ha la facoltà di sopraelevare. Il
diritto di ciascuno si estende relativamente alla proiezione verticale della sua proprietà
sull'ultimo piano, con la conseguenza che ciascuno ha la facoltà di costruire sopra la propria
porzione di piano, utilizzando lo spazio aereo sovrastante.
In definitiva, gli atti di costituzione della proprietà superficiaria comportano la deroga al
principio secondo cui superficies solo cedit e attribuiscono il diritto sulle unità costruite non
al proprietario del suolo, ma ai singoli acquirenti degli immobili.
Come conseguenza dell'attività negoziale, che da origine a più proprietà esclusive sui piani
o sulle porzioni di piano, relativamente al fabbricato insorge il cosiddetto "regime dualista",
consistente nella proprietà esclusiva dei piani o delle porzioni di piano e nella proprietà
comune delle cose, degli impianti e dei servizi destinati all'uso comune.
Queste asserzioni non sono inficiate dalla lettera della legge, che il diritto di
sopraelevazione attribuisce al "proprietario dell'ultimo piano dell'edificio...". Né dalla
considerazione che l'art. 1117 c.c., n. 1, attribuisce la proprietà comune del lastrico solare a
tutti i condomini dell'edificio.
Quanto all'attribuzione del diritto di sopraelevazione, l'uso del predicato al singolare non
assume rilevanza alcuna. Poiché il diritto di sopraelevazione non é attribuito in
considerazione della presenza di un unico proprietario, ma in ragione della posizione del
piano nel fabbricato, i principi valgono allo stesso modo quando i partecipanti sono uno o
più di uno. Allo stesso tempo, la proprietà comune del lastrico solare non influisce sulla
soluzione della titolarità del diritto di sopraelevazione. Per la verità , in seguito alla
costruzione sopra l'ultimo piano il lastrico solare, che adempie alla funzione di copertura
dell'edificio, si sposta in altezza e la proprietà comune ed i relativi oneri si trasferiscono sul
lastrico della nuova costruzione. Tutto ciò considerato, la disciplina della sopraelevazione
sopra l'ultimo piano dell'edificio, non muta quando l'ultimo piano dell'edificio appartenga
non ad un solo proprietario, ma a più proprietari: con la conseguenza che ciascun
proprietario dell'ultimo piano ha la facoltà di sopraelevare, costruendo sopra la propria
porzione di piano e utilizzando lo spazio aereo sovrastante. Viene, con ciò, anche risolta la
seconda questione di diritto che la decisione della Corte d'Appello ha posto: quella, cioè,
relativa all'estensione che deve avere la sopraelevazione sopra l'ultimo piano, estensione
che, contrariamente a quanto si sostiene nella sentenza impugnata, é limitata, nel massimo,
alla corrispondente misura della proprietà di cui é titolare il Condominio dell'ultimo piano.
Resta, comunque, fermo che, ai sensi dell'art. 1127 c.c., la facoltà di sopraelevare concessa
al proprietario dell'ultimo piano é soggetta sia alle limitazioni di cui ai commi 2 e 3 della
citata norma (condizioni di staticità dell'edificio e pregiudizio dell'aspetto architettonico
dello stesso); sia a quelle che abbia posto il regolamento condominiale di natura contrattuale
che ben può imporre ai condomini il divieto di sopraelevare, data la natura derogabile della
citata norma di legge.
Se, quindi, per quanto sopra detto, la Corte d'Appello ha errato nel negare alla S. il diritto di
sopraelevare sulla base dell'interpretazione da lei data all'art. 1127 c.c., comma 1, il Giudice
di merito deve ancora pronunciarsi, al fine di affermare la piena legittimità della
sopraelevazione in concreto posta in essere dal ricorrente, sul rispetto dei suddetti limiti
imposti dall'art. 1127 c.c.; sull'esistenza e la portata del divieto di sopraelevazione che si
assume (dal Condominio) contenuto nel regolamento condominiale (sul quale la Corte di
Appello non si é pronunciata ritenendo implicitamente assorbita la questione); sulla natura
contrattuale o meno del regolamento condominiale e quindi sulla opponibilità del divieto
allo S.; indagini tutte sulle quali dovrà pronunciarsi il Giudice di rinvio.
Il 2^ motivo di ricorso va, pertanto, accolto nei limiti esposti.
Il 3^ motivo del ricorso principale va rigettato. La censura, infatti, nella parte in cui viene
dedotta la violazione dell'art. 2041 c.c., é inammissibile perché proposta per la prima volta,
in questa sede; per la parte in cui viene lamentato il mancato riconoscimento dei danni subiti
dal ricorrente, per le spese di completamento dei lavori da lui sopportate, é infondata in
quanto in mancanza di una valida autorizzazione al completamento dei lavori da parte di
tutti condomini, le spese sopportate dallo S. a tal fine, devono ritenersi conseguenti ad un
suo comportamento volontario e quindi debbono restare a suo carico.
Passando all'esame del ricorso incidentale proposto dal Condominio, le censure sono
infondate in quanto la Corte d'Appello ha ritenuto provata la sussistenza dei danni liquidati
allo S. siccome derivati dalle infiltrazioni provenienti dal lastrico sovrastante di proprietà
condominiale, non solo sulla base della C.T.U. eseguita nel processo intervenuto fra le
stesse parti e poi dichiarato estinto (C.T.U. dalla quale la Corte Territoriale correttamente ha
tratto argomenti di prova, trattandosi di un mezzo istruttorio comunque espletato nel
contraddittorio delle stessi parti in causa); ma, anche sulla base di quanto ammesso, nelle
premesse dell'atto di conciliazione, dall'amm.re del Condominio (a C.T.U. già espletata) il
quale ha dato atto dell'esistenza delle infiltrazioni e dei conseguenti danni. Accertata,
quindi, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, la causa dei danni liquidati allo S.,
nelle infiltrazioni dal lastrico comune sovrastante infondato é il profilo sub A) della censura;
mentre deve ritenersi inammissibile il profilo sub B) della stessa, per avere il Condominio
prospettato, perla prima volta in questa sede, l'esistenza di svantaggi provocati al
Condominio dalla sopraelevazione, maggiori dei danni reclamati dallo S., svantaggi non
oggetto di valutazione nella fase di merito.
La sentenza impugnata va, quindi, cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche
per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità , ad altra sezione della Corte
d'Appello di Roma che provvederà ad un nuovo esame della controversia in applicazione
del seguente principio di diritto: "La facoltà di sopraelevare concessa dall'art. 1127 c.c.,
comma 1, al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale, ove l'ultimo piano
appartenga, pro diviso a più proprietari, spetta a ciascuno di essi nei limiti della propria
porzione di piano con utilizzazione dello spazio aereo sovrastante a ciascuna porzione e nel
rispetto dei limiti di cui all'art. 1127 c.c., comma 2 e 3".
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il 1^ ed il 3^ motivo del ricorso principale; accoglie per
quanto di ragione il 2 motivo dello stesso ricorso; rigetta il ricorso incidentale; cassa
l'impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia; anche per la liquidazione delle
spese del presente giudizio, davanti ad altra sezione della Corte d'Appello di Roma.
Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2006.
SOPRAELEVAZIONE E PLURALITA’ DI PROPRIETARI DELL’ULTIMO PIANO:
SOMMA DI FACOLTA’ AUTONOME O DIRITTO IN COMUNIONE PRO INDIVISO?
(RICCARDO PERATONER)
1. Nella fattispecie decisa dalla sentenza in commento il proprietario di uno degli appartamenti
dell’ultimo piano di un palazzo in condominio costruì in sopraelevazione una fabbrica di area
corrispondente a quella della sua unità abitativa appoggiandosi al lastrico solare di proprietà
condominiale. Il condominio, costituitosi come parte attrice, richiese al giudice di intimare la
demolizione del manufatto, ritenendo insussistente il diritto di sopraelevare in capo al proprietario
dell’ultimo piano a fronte della proprietà condominiale del lastrico. Le corti di merito1 – sia in
primo che in secondo grado di giudizio – accolsero la tesi della parte attrice confermando
l’inesistenza del diritto di sopraelevare in capo al convenuto. In particolare, la Corte d’Appello di
Roma giustificò la sua decisione sulla base di due distinte argomentazioni. Il primo motivo è
fondato sull’assunto che la condominialità del lastrico comporta necessariamente la proprietà
condominiale della colonna d’aria sovrastante l’edificio. Questa situazione a sua volta impedisce di
attribuire il diritto di sopralzo al proprietario dell’ultimo piano, essendo necessario che questi sia
contestualmente proprietario esclusivo del lastrico solare e dunque unico titolare della “colonna
d’aria”. Il secondo motivo trova argomento nell’affermazione che il diritto di sopraelevare va
riconosciuto al solo “proprietario esclusivo” dell’ultimo piano e non anche al proprietario di una
frazione dell’ultimo piano, “a salvaguardia dell’armonia architettonica dell’edificio”2.
La Cassazione, nella sentenza in commento, respinge entrambe le motivazioni della Corte
d’Appello. Nello specifico, la Suprema Corte ritiene che il diritto di sopralzo spetta al proprietario
dell’ultimo piano anche se non è proprietario esclusivo del lastrico. Inoltre evidenzia che
l’attribuibilità al proprietario dell’ultimo piano di un sopralzo parziale non cozza con il dettato
normativo, che parla di “esclusività” della proprietà solo in relazione al lastrico, ma non anche
all’ultimo piano. Ad ulteriore argomentazione adduce che l’uso del predicato singolare
“proprietario” (dell’ultimo piano) non assume rilevanza alcuna, poiché il diritto di cui all’art. 1127
c.c. non è attribuito in considerazione della presenza di un unico proprietario ma in ragione della
posizione del piano nel fabbricato.
Dopo una breve illustrazione delle principali teorie sul diritto di sopraelevazione, si cercherà di
dimostrare come né la soluzione offerta dalle corti di merito né quella proposta dalla Cassazione
siano completamente soddisfacenti.
2. Nella sentenza che si commenta la Suprema Corte si è occupata del diritto di sopraelevazione,
che trova il suo unico riferimento normativo all’articolo 1127 del codice civile. In questa sede si
eviterà di proporre un’analisi approfondita del diritto di sopraelevazione e della sua natura giuridica,
rinviando ai lavori di chi ha affrontato il problema del rapporto tra condominio e diritto di
superficie3. Pare tuttavia utile, a chiarire il senso di queste brevi note, dare atto dell’impostazione
che si preferisce tra quelle proposte dalla dottrina.
L’unicità e la specialità dell’articolo 1127 c.c. risulta chiara dal fatto che non esiste nel testo
codicistico altra norma di contenuto uguale o affine. Deve dunque ritenersi una disposizione nata in
seno al condominio, e ad esso naturalmente collegata. La sua specialità, tuttavia, trae origine solo
dalla particolarità della situazione condominiale, nell’ambito della quale il legislatore si è sentito in
dovere di precisare a chi spetta il diritto di costruire oltre l’ultimo piano. Preoccupazione forse
eccessiva, che ha tolto certezza ad una situazione altrimenti facilmente risolvibile facendo appello ai
principi generali. Bisogna dunque precisare che l’art. 1127 c.c. non dà ingresso nel sistema ad un
nuovo diritto reale da aggiungersi a quelli elencati nel terzo libro del codice civile; tuttavia, pur non
discostandosi nel suo contenuto da ciò che anche il buon senso consiglia 4, provoca uno squilibrio
nel sistema. Traccia evidente delle difficoltà sorte in dottrina e giurisprudenza nell’interpretazione
della norma in questione è la molteplicità di configurazioni che si sono proposte per il diritto di
costruire sopra l’edificio condominiale (diritto di sopraelevazione, diritto di superficie, diritto sulla
colonna d’aria)5.
Partendo dal dato normativo, si constata che il legislatore ha ritenuto (nel silenzio del titolo) di non
dover attribuire a tutti i condomini il diritto di costruire nuovi piani o nuove fabbriche sopra una
struttura già esistente. La lettera dell’art. 1127 ha assegnato questo diritto (si ripete, sempre in
assenza di una contraria previsione del titolo) al proprietario esclusivo dell’ultimo piano. La
Cassazione ha dimostrato in numerose pronunce di voler concepire il condominio come una
concessione di reciproci diritti di superficie tra i comproprietari del suolo, che impediscono
l’accessione man mano che l’edificio cresce in altezza per sovrapposizione di piani6.
Coerentemente, considerando che questa figura giuridica riconosciuta dall’ordinamento (il diritto di
sopraelevazione) è collegata alla proprietà dell’ultimo piano, il Supremo Collegio ha sostenuto che
il proprietario acquista la titolarità della nuova fabbrica da lui costruita in forza dell’accessione (art.
934 c.c.) di questa al piano di sua proprietà. In particolare l’acquisto avviene in virtù di un
autonomo diritto accessorio a favore di costui e a carico di tutto il condominio7.
La dottrina, dal canto suo, ha proposto sostanzialmente due ricostruzioni, l’una che si affianca
all’opinione della giurisprudenza qualificando il diritto di sopraelevazione come una autonoma
superficie ex lege riconosciuta al proprietario dell’ultimo piano sull’immobile condominiale8; l’altra
che ritiene il diritto una facoltà del proprietario dell’ultimo piano9. Non si condivide l’opinione
della Cassazione e delle dottrine che la seguono per due motivi: il presupposto di partenza, ossia la
configurazione del condominio come una reciproca costituzione di diritti di superficie tra
comproprietari del terreno, è quanto meno opinabile. Questo per il semplice fatto che non ha molto
senso sostenere che si è contestualmente proprietari e superficiari. Piuttosto si ritiene corretta
l’opinione di chi si rifà al concetto di proprietà per piani orizzontali per descrivere il fenomeno10. In
secondo luogo, con specifico riferimento al diritto di sopraelevazione, pure a voler ipotizzare che
esso sia concesso dalla legge a favore del proprietario dell’ultimo piano e a carico del lastrico
condominiale (considerato comune dall’art. 1117 c.c.), si tratterebbe comunque di un diritto reale
anomalo in quanto imprescrittibile11. L’opinione, che già pare eccessivamente artificiosa in
riferimento al proprietario dell’ultimo piano, diventa davvero debole se applicata al proprietario
esclusivo del lastrico solare. Non si spiega infatti perché lo stesso diritto sia stato specificamente
attribuito anche a costui che – in quanto tale – non può di certo essere superficiario seppur ex lege.
L’unico profilo della ricostruzione giurisprudenziale che si ritiene di condividere è quello che
spiega l’acquisto della proprietà della parte sopraedificata per accessione all’ultimo piano. Se
davvero il legislatore tratta l’ultimo piano (e, in alternativa, il lastrico) come una proiezione verso
l’alto del suolo, con tutte le conseguenze che ne derivano, questo aspetto della tesi pare in effetti da
accogliere12. Se però questa spiegazione è condivisibile per se stessa, va tuttavia evidenziato che
non si inserisce con altrettanta armonia nel discorso del Supremo Collegio visto nel suo
complesso13. Invero, ove la Cassazione attribuisce uno ius ad aedificandum legale per coerenza
dovrebbe attribuire alla sopraelevazione natura di proprietà superficiaria, alla fine negando
l’accessione.
La seconda teoria richiamata vede il diritto di sopraelevare come espressione della facoltà di
edificare che spetta normalmente al proprietario; facoltà collegata alla titolarità dell’ultimo piano o
del lastrico solare, che dovrebbero concepirsi come la naturale proiezione verso l’alto del suolo14.
La tesi si avvicina all’opinione della Cassazione ove ritiene che il legislatore abbia attribuito questo
diritto “a colui che solo si trova nella posizione di poter elevare” 15, ma se ne discosta quando nega
la configurabilità del diritto di costruire come un autonomo diritto reale sul lastrico condominiale.
Tale costruzione è stata ben sviluppata da un autorevole giurista, che distinguendo attribuisce una
diversa natura al diritto di sopralzo a seconda che sia nella titolarità del proprietario dell’ultimo
piano o del lastrico, oppure di un terzo16. Questa dottrina qualifica il diritto come una facultas del
proprietario dell’ultimo piano, nelle prime due ipotesi; come superficie nella seconda. Essa in verità
sembra rafforzata dall’opportunità di non negare il diritto al proprietario dell’ultimo piano che non
abbia sopraelevato per più di vent’anni. Se si arrivasse a qualificare il diritto come superficie
bisognerebbe coerentemente ammettere che si prescrive per non uso ventennale, al pari dei diritti
reali su cosa altrui. Il risultato oltre che assurdo sarebbe iniquo. La tesi in parola pare leggere
correttamente la ratio legis di una disposizione (l’art. 1127) che come si è detto in precedenza è
speciale solo per il suo collegamento al condominio, ma non per i suoi contenuti. La lettura non si
pone peraltro in contrasto con alcun principio generale ed è fedele al dato letterale dell’art. 1127 c.c.
Ad una rapida osservazione la disposizione in parola, al 1º comma, primo periodo non chiarisce la
natura del diritto dicendo “…può elevare nuovi piani…”, ma al secondo periodo afferma che la
stessa “facoltà” spetta al proprietario esclusivo del lastrico solare. E’ dunque chiaro che il
legislatore ha considerato il diritto di sopraelevazione come uno dei poteri rientranti nel fascio delle
prerogative del proprietario, sia esso dell’ultimo piano o del lastrico solare.
Per il vero quest’ultima affermazione merita una precisazione, perché il significato del primo
comma della norma è discusso. Alcuni autori si sono chiesti se il significato dell’espressione “la
stessa facoltà” vada intesa nel senso di riconoscerla congiuntamente in capo al proprietario
esclusivo del lastrico e a quello dell’ultimo piano. Tenuto conto che la dottrina rifiuta questa lettura
per esigenze di certezza del diritto17, credo comunque che il dubbio sia infondato e si possa
risolvere agevolmente coordinando l’art. 1127 con il 1117 c.c. In assenza di diversa disciplina del
titolo che regola il condominio, l’ultima norma afferma che il lastrico solare, in quanto parte
comune, appartiene in comproprietà a tutti i condomini. Lo stesso tenore ha il primo periodo del
primo comma dell’articolo 1127, nell’affermare in prima battuta che “salvo diversa risultanza del
titolo” di regola il sopralzo spetta al proprietario dell’ultimo piano. Le due norme consentono di
affermare che la situazione di condominialità del tetto e di titolarità del diritto di sopraelevazione in
capo al proprietario dell’ultimo piano possono coesistere e non cozzano una con l’altra.
Evidentemente il legislatore ha considerato la proprietà condominiale del lastrico come una
comunione di scopo, ed in particolare una comunione del tetto come copertura dell’edificio e non
anche come base d’appoggio per “nuovi piani o nuove fabbriche”. Questa lettura risulta ancor più
convincente se si pensa che la copertura dell’edificio è suscettibile di spostamento verso l’alto e che
la proprietà condominiale può ben ricostituirsi sul nuovo tetto a seguito dell’elevazione. Ciò spiega
peraltro perché la sopraelevazione non viene riconosciuta a tutti i condomini. Diversamente bisogna
ragionare nel caso in cui il titolo attribuisca la proprietà del lastrico ad un terzo, escludendolo dalle
parti comuni. Questa volta la proprietà (non più condominiale) non si limita alla funzione di
copertura ma si intende come base d’appoggio per nuove costruzioni, e non può più convivere con
un diritto di eguale contenuto del proprietario dell’ultimo piano. I due periodi del primo comma
dell’art. 1127 c.c. sembrano quindi da leggere in senso alternativo: il diritto di sopraelevazione
spetta al proprietario dell’ultimo piano solo se il lastrico è condominiale; al proprietario esclusivo
del lastrico in caso contrario18.
3. Si tratta ora di affrontare più specificamente la questione su cui si è pronunciata la Suprema
Corte nella sentenza che si commenta.
Si è già illustrato come la Corte d’Appello sia partita dall’assunto che la condominialità del lastrico
comporta necessariamente la proprietà condominiale della colonna d’aria sovrastante l’edificio. Di
conseguenza ha ritenuto di non poter attribuire il diritto di sopralzo al proprietario dell’ultimo
piano, ritenendo necessario che questi sia contestualmente proprietario esclusivo del lastrico solare.
Mi pare che l’argomentazione della Corte d’Appello sia infondata; se per integrare la fattispecie si
ritenesse indispensabile la contestuale titolarità esclusiva dell’ultimo piano e del lastrico solare si
svuoterebbe di significato la duplice previsione di cui al primo ed al secondo periodo del primo
comma dell’art. 1127 c.c.19. Peraltro, come si è già notato in precedenza, la condominialità del
lastrico è compatibile con la titolarità del sopralzo in capo al proprietario dell’ultimo piano. Ancor
più debole è il ricorso della Corte al concetto di colonna d’aria che, come evidenziato da alcuni
autori, funge soltanto da “misura” della tutela offerta dall’ordinamento all’avente diritto sul fondo
e/o edificio sottostante. Lo spazio aereo non può quindi essere considerato come bene autonomo e
non è possibile oggetto di diritti20. E su questo punto non vale la pena di soffermarsi oltre.
Più delicata è la questione della frazionabilità del diritto di sopraelevare. La Corte d’Appello su
questo punto argomenta che il diritto di sopraelevare va riconosciuto al solo “proprietario
esclusivo” dell’ultimo piano e non anche al proprietario di una frazione dell’ultimo piano, a
salvaguardia dell’armonia architettonica dell’edificio. Il Supremo Collegio è di diverso avviso, e si
sofferma sul contrasto tra la lettera del primo e del secondo periodo del primo comma dell’art. 1127
c.c. La Cassazione sostiene che il diritto di sopraelevare va riconosciuto al proprietario di uno degli
appartamenti dell’ultimo piano nella misura della proiezione verso l’alto dell’area corrispondente
alla sua unità immobiliare. Contestualmente nega che lo stesso diritto possa riconoscersi a chi non
ha la proprietà di tutto il lastrico solare, fondando la sua convinzione sulla parola “esclusivo”.
Mi pare opportuno affrontare prima quest’ultimo profilo, che è prodromico al primo. Sono portato a
credere che la logica stessa consigli di non trattare diversamente situazioni che il legislatore ha
considerato uguali, attribuendo identiche facoltà. Valga un esempio a rendere più agevole la
comprensione. Supponiamo che A, B, C e D siano proprietari di quattro appartamenti all’ultimo
piano di un edificio e vogliano sopraelevare. Ad essi la Cassazione riconosce il diritto di farlo
ciascuno per quella parte del lastrico che corrisponde alla proiezione ortogonale verso l’alto del loro
appartamento. Supponiamo ora che E, F, G ed H siano proprietari di quattro diverse parti del
lastrico evidenziate sulla mappa del tetto, che non è quindi condominiale. Secondo la ricostruzione
del Supremo Collegio questi ultimi soggetti non avrebbero il diritto di alzare nuovi piani o nuove
fabbriche, poiché tale facoltà sarebbe riconoscibile unicamente nel caso in cui il lastrico
appartenesse ad uno solo di essi (o a tutti e quattro in comunione pro indiviso?). Mi sembra che la
Corte nell’affermare il diritto in un caso e nel negarlo nell’altro operi un’indebita forzatura dell’art.
1127 c.c. Inoltre la ricostruzione non sembra nemmeno corrispondente al dato letterale. Tradurre le
parole “esclusivo proprietario” con le altre “solo proprietario” (come si legge nella motivazione
della Cassazione) non mi pare rispettoso della reale accezione del vocabolo, se non in senso
assoluto perlomeno nel significato che sembra attribuirgli il legislatore nel capo relativo al
condominio. Se si osserva l’art. 1126, si nota che anche in questa norma si utilizza il termine
“esclusivo”, in riferimento all’uso del lastrico da parte di uno o più condomini. Orbene, sia l’art.
1126 che il 1127 sono disposizioni da leggersi in collegamento con l’art. 1117, che specifica
l’oggetto della proprietà condominiale. A ben vedere il legislatore adopera il termine “esclusivo”
ogniqualvolta intende creare una contrapposizione con tutto ciò che è condominiale. Così parla di
“proprietà esclusiva” o di “uso esclusivo” nel senso di “proprietà o uso non condominiale”; non
sembra invece intendere il concetto di “esclusività” nel senso di “unititolarità”. Se si condivide
questa lettura si spiega anche agevolmente perché l’aggettivo è riferito solo al lastrico e non è
ripetuto in riferimento alla proprietà dell’ultimo piano, che di certo non può essere condominiale.
Per riassumere, a mio parere le parole “proprietario esclusivo” sono idealmente sostituibili con le
altre “proprietari esclusivi”, al pari di quanto asserisce la Cassazione in relazione al primo periodo
del primo comma dell’art. 1127, ove si rapporta indifferentemente al proprietario o “ai proprietari”
dell’ultimo piano. In breve, a differenza di quanto sostenuto nella sentenza in commento, o si
afferma la possibilità di sopralzo parziale in entrambi i casi o in entrambi la si nega. Occorre
dunque procedere alla ricerca di riferimenti normativi che facciano propendere per una o per l’altra
scelta.
Innanzitutto sembra da approvarsi quella parte della motivazione del Supremo Collegio in cui si
afferma che, “quanto all’attribuzione del diritto di sopraelevazione, l’uso del predicato
(proprietario) al singolare non assume rilevanza alcuna”. La lettura è la più logica che si possa
immaginare, anche per il fatto che il legislatore, nel dettare la disciplina relativa ai diritti reali, si
riferisce al proprietario, all’usufruttuario, al superficiario e non ai proprietari, agli usufruttuari, ai
superficiari. Per il vero la libera sostituibilità del predicato singolare con quello plurale trova
ingresso nel codice all’articolo 1100 c.c., ove si prevede che il diritto possa spettare in comune a più
persone. E anche se certamente il diritto dei proprietari dell’ultimo piano non è in comunione, va
detto anche che sarebbe un eccesso di formalismo utilizzare questo argomento per negare
l’estensibilità delle considerazioni appena fatte anche alla lettera del primo comma dell’art. 1127
c.c. Sembra più ragionevole ritenere che se il legislatore avesse voluto limitare l’applicabilità della
norma al caso dell’unico proprietario lo avrebbe fatto palese. A rafforzare questa lettura la
considerazione che anche nel secondo comma il predicato è singolare, potendo il lastrico (quello si)
spettare in comunione a più persone. La previsione normativa del fenomeno della comunione o,
come si è detto da parte della dottrina, del diritto di comunione21 è dunque l’argomento che deve far
ritenere corretta l’osservazione della Suprema Corte. Nulla infatti permette di dedurre che nell’usare
il termine “proprietario” il legislatore abbia negato la facultas nell’ipotesi di più proprietari di unità
immobiliari all’ultimo piano. Tuttavia, se in linea di principio la contitolarità del diritto di
sopraelevazione deve ammettersi in ossequio ai principi generali, maggiori cautele si devono avere
nell’affermare che si possa esercitare in modo frazionato. Infatti, dire che un diritto spetta a più
soggetti in comunione e pro quota, non vuol dire anche offrire cittadinanza nel nostro sistema alla
comunione pro diviso22. Su questo problema si tornerà in seguito.
A questo punto è il caso di chiedersi perché la Corte d’Appello di Roma sia stata contraria al
riconoscimento di un diritto di sopraelevazione “parziale”, cioè non riguardante un intero piano.
L’affermazione che trova argomento nella salvaguardia dell’armonia architettonica della copertura
dell’edificio, anche se ragionevole, non risolve la questione in punto di diritto. Infatti, seppur in
presenza del dispositivo del terzo comma dell’art. 1127 c.c. bisogna ammettere che esiste una tutela
dei condomini in caso di minaccia al decoro estetico del fabbricato, non si può affermare in termini
generali che ogni costruzione a sbalzo comprometta l’aspetto esteriore dell’edificio. Sarà necessario
che il giudice di merito esamini la situazione nella singola fattispecie sulla base di parametri
oggettivi.
Più pertinente sembra essere il ricorso al 4 comma dell’art. 1127 c.c., utile a risolvere il più
generale problema della conformazione della copertura dell’edificio, che a seguito dell’intervento
costruttivo (parziale o riguardante un intero piano) rimane necessariamente mutata. L’ultimo
periodo della disposizione garantisce la ricostruzione della copertura, ma non dice se essa deve
avere la stessa conformazione di quella su cui si è edificato; l’unico indizio è il riferimento al
lastrico di cui “tutti o parte dei condomini avevano il diritto di usare”. La norma sembra lasciare
maggiore libertà di scelta (entro i limiti di cui al terzo comma) solo nel caso in cui il lastrico sia di
proprietà di chi ha sopraelevato, o riservato all’uso esclusivo di costui. Per l’eventualità in cui l’uso
spetti anche ad altri condomini o addirittura a tutti, la norma sembra optare per un atteggiamento
più restrittivo. Il problema è di capire se in quest’ultimo caso è corretto spingersi fino a negare la
configurabilità di una sopraelevazione parziale. In particolare, supponendo che il legislatore abbia
voluto garantire un uso di pari estensione e qualità rispetto a quello che ai condomini spettava prima
della sopraelevazione, è quantomeno dubbio che in caso di sopraelevazione parziale questa
previsione sia rispettata. Anche ammettendo che i condomini possano usare di quella parte di
copertura che sta sopra la “torre” di sopraelevazione, di certo l’uso del lastrico non
corrisponderebbe a quello relativo allo status quo ante. Tuttavia questo ragionamento si spinge oltre
il dato letterale della disposizione, rischiando di forzarne la ratio. Non pare ragionevole una lettura
che distingua, ammettendo l’elevazione parziale nel caso di proprietario od usuario esclusivo del
lastrico e negandola nel caso di lastrico ad uso condominiale. Piuttosto l’ultimo periodo
dell’articolo sembra dettato per garantire un’azione in giudizio ai condomini che avevano l’uso del
lastrico prima dell’elevazione, sia essa riguardante un intero piano od una porzione di esso; azione
volta genericamente a costringere chi sopraeleva a permettere nuovamente l’uso dopo i lavori, con
una copertura idonea allo scopo23. La mancata estensione della disposizione al caso del proprietario
o usuario esclusivo del lastrico viene dalla fin troppo ovvia considerazione che in questo caso non
può nascere lite circa l’utilizzo della copertura. In questo senso sembra doversi interpretare la
maggiore libertà contemplata in quest’ultimo caso, anche rispetto alla scelta della forma della nuova
parte di tetto. La soluzione circa l’ammissibilità della sopraelevazione parziale va dunque cercata
altrove.
Per il vero, l’art. 1127 sembra offrire un indizio nel senso dell’ammissibilità quando al quarto
comma dispone che chi sopraeleva deve corrispondere agli altri condomini un’indennità pari al
valore attuale “dell’area da occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero di piani”. Il tenore
di questa disposizione lascia supporre che il legislatore avesse a mente l’ipotesi di un sopralzo che
non riguardasse l’intero lastrico e dunque un intero piano. In particolare il riferimento specifico all’
“area da occuparsi” non pare una distrazione, e lascia intendere che essa potrebbe anche constare
solo di una porzione di piano. Non vi sarebbero state altrettante perplessità se invece la norma si
fosse espressa riconoscendo ai condomini “un’indennità pari al valore attuale del piano da
edificarsi”.
Per quanto è stato detto in precedenza, ed anche in luce di quello che si è appena notato, sembra
irragionevole negare la possibilità al proprietario dell’ultimo piano di sopraelevare solo per una
parte dell’area di copertura.
4. Le conclusioni cui si è approdati al paragrafo precedente, se all’apparenza confortano la lettura
proposta dalla Cassazione nella sentenza in rassegna, in realtà lo fanno solo in parte. Se la Corte
d’Appello erra quando afferma che chi costruisce deve farlo per un intero piano e non per una
frazione di esso, non sembra però possibile spingersi fino a sostenere che il diritto di
sopraelevazione sia esercitabile pro diviso.
Il discorso può giovarsi di un esempio: immaginiamo che Tizio, Caio, Sempronio e Mevio siano
proprietari ciascuno di un appartamento all’ultimo piano di un edificio, unità immobiliari che per
comodità intenderemo tutte di superficie pari a cento metri quadrati. La Corte d’Appello di Roma
afferma che questi soggetti non possono sopraelevare perché sono quattro e non uno solo; inoltre
sostiene che se anche uno di loro fosse proprietario di tutti gli appartamenti dovrebbe elevare
obbligatoriamente per un intero piano. Non pare potersi accogliere quest’opinione, e si è già
spiegato sopra per quali motivi. E’ quindi opportuno riconoscere ai quattro la possibilità di optare
per la costruzione di quattro appartamenti più piccoli di quelli sottostanti, che occuperanno solo una
parte dell’area totale del lastrico. La Suprema Corte sembra quindi seguire un ragionamento corretto
quando dice che “nell’ipotesi in cui l’ultimo piano sia diviso in più appartamenti, ognuno in
proprietà separata facente capo a diverse persone, ciascun proprietario ha la facoltà di
sopraelevare”. La decisione è meno condivisibile nella parte in cui afferma che “ciascuno ha la
facoltà di costruire sopra la propria porzione di piano, utilizzando lo spazio aereo sovrastante”. In
questo modo il Supremo Collegio dimostra invero di trattare il diritto di sopralzo come un diritto
esclusivo al pari di quello sulla singola unità immobiliare, e questo è chiaro quando definisce la
misura di esso nella proiezione ortogonale verso l’alto dell’appartamento sottostante24. Mi sembra
chiaro che così la Corte qualifica il diritto in questione come una facultas accessoria alla proprietà
delle unità immobiliari singolarmente considerate25, mentre sembra più ragionevole considerarla
una facultas accessoria alla proprietà dell’ultimo piano considerato nella sua interezza. Tale
differente configurazione è essenziale per una più corretta soluzione del nostro problema. La facoltà
di sopraelevare spetta ai proprietari uti condomini dell’ultimo piano (e non anche in quanto
proprietari delle singole unità immobiliari), e come tale viene loro riconosciuta dalla lettera
dell’articolo 1127 c.c. Riconoscere la titolarità del diritto di sopralzo in capo a ciascuno dei
proprietari dell’ultimo piano è corretto, così come è giusto precisarne la misura in proporzione
all’estensione della loro proprietà rispetto all’ultimo piano; non altrettanto rispettoso dei principi
generali è ammettere che tale facoltà possa essere esercitata autonomamente da ognuno di loro,
come se potesse scindersi in tante facoltà indipendenti una dall’altra. Tenuto conto del fatto che il
legislatore considera l’ultimo piano (o il lastrico in proprietà esclusiva) come se fosse il suolo, è
opportuno configurare il diritto di sopraelevare negli stessi termini del diritto di costruire
riconosciuto ai comproprietari di un terreno pro indiviso. Qualunque argomentazione che trovi
conforto nella situazione giuridica dell’ultimo piano e la estenda liberamente al diritto di cui all’art.
1127 c.c., sembra frutto di un’indebita mescolanza di principi sul condominio di edifici e principi
generali sulle prerogative del comproprietario. In questo senso la disciplina dettata dall’art. 1127
pare allinearsi con i principi generali sulla comunione (artt. 1100 e segg. c.c.), ed in comunione
sembra intendere la facoltà che attribuisce. Se si condividono queste osservazioni è corretto
affermare la naturale indivisibilità del diritto in questione negando, per coerenza, la sua autonoma
esercitabilità da parte di ciascun proprietario dell’ultimo piano.
In sintesi, la presenza di più proprietà autonome sugli appartamenti dell’ultimo piano dà
ragionevolmente vita ad un’attribuzione della facultas di sopralzo in comunione pro indiviso, cui
ciascun proprietario partecipa nella misura data dal rapporto tra la superficie della singola unità
immobiliare e la superficie totale del piano. Tornando all’esempio già proposto Tizio, Caio,
Sempronio e Mevio saranno comunisti (pro indiviso) pro quota del venticinque per cento ciascuno
del diritto di sopraelevazione. Se le “condizioni statiche dell’edificio” lo consentono (art. 1127, 2
comma c.c.) e non vi è minaccia al decoro architettonico o alla luce ed aria ricevute dai piani
inferiori (art. 1127, 3 comma c.c.), la decisione di elevare una fabbrica che occupi solo una parte
del lastrico è ammissibile, così come a fortiori è ammissibile l’elevazione di un intero piano o di più
piani, ma l’operazione potrà avvenire solo in virtù di un accordo tra tutti loro. La distribuzione delle
unità ricavate dall’edificazione dell’area occupata, anche se questa non è pari all’intero lastrico,
avverrà in modo corrispondente alla frazione dell’ultimo piano occupata da ciascuna delle unità
immobiliari. Il risultato può essere ottenuto attraverso un contratto di divisione di cosa futura, che
peraltro ben potrà assegnare le unità costruende senza rispettare la distribuzione geometrica del
piano inferiore.
Considerazioni analoghe si possono riproporre nell’ipotesi in cui vi siano più proprietari del
lastrico, che abbiano la comunione pro indiviso di tutta la copertura26. Anche in questa fattispecie si
deve arrivare alle medesime conclusioni cui si è giunti in riferimento al primo comma dell’art.
1127. In questo caso la soluzione è addirittura evidente, e l’inevitabilità dell’esercizio congiunto del
diritto di sopraelevare molto più semplice da spiegare. E’ l’esistenza stessa di una comunione su
una quota ideale (e dunque l’assenza di più diritti spettanti individualmente a ciascuno di essi) a
pretendere l’accordo tra i comproprietari.
RICCARDO PERATONER
Trib. Di Roma 02/12/1996; C. d’Appello di Roma 05/09/2001
C. d’App. di Roma, sent. ult. cit.
3
Cfr. per tutti PALERMO, La superficie, Trattato Rescigno, 8.2, 1982, p.3 e seg.; SALIS, Superficie, Noviss.
Digesto, XVIII, 1971, p. 144 e seg. V. anche SALIS, La superficie, in Tratt. di dir. civ. italiano, diretto da VASSALLI,
vol. IV, Torino, 1958, p. 20 e seg.
4
In questo senso è fondamentale, nella sua semplicità, quanto sostenuto dalla Suprema Corte nel dispositivo
della sentenza in commento nella parte in cui afferma che “il diritto è attribuito al proprietario dell’ultimo piano in
quanto unico soggetto che si trova nella posizione di poter elevare”
5
Su questo tema le opinioni di sono numerose. In dottrina, si confronti SALIS, op. cit., PALERMO, op. cit.,
TRINCHILLO, Breve analisi dei rapporti tra diritto di superficie ed edificio in condominio. Il diritto di
sopraelevazione previsto dall’art. 1127 c.c., in Riv. Not. 2002, 5, pp. 1129 – 1177 e BIGLIAZZI GERI – BRECCIA –
BUSNELLI – NATOLI, Diritto Civile, Diritti reali, vol. 2, Torino, 2003. In giurisprudenza, ex multis, Cass. n.4231/74’,
in Riv. Not. 1975, p.514, Cass. n.1463/62’, Cass. n.1633/71’, Cass. n.4220/83’, Cass. n.636/75’, Cass. n.5754/77’.
6
La concezione viene ribadita anche nella sentenza in commento, ma già in una pronuncia risalente vedi Cass.
05/06/1971 n.1674, in Foro it., 1971, I, c. 2961 e seg. In dottrina cfr. per tutti PALERMO, op. ult. cit. p. 26-27. Contra
BRANCA, in Foro it., 1960, I, 1160 e Costruzione su area comune, diritto di superficie e diritto di comunione, in Giust.
Civ., 1969, I, p. 72 e seg.; GROSSO, Condominio, ricostruzione e diritto di superficie, in Foro it., 1957, I, c. 841 e seg.
7
Cass. 17/05/1965 n.947
1
2
8
BIANCA, Diritto civile, La proprietà, vol.6, Milano, 1999, p. 511 e seg. La ricostruzione è sostanzialmente
uguale a quella della Cass. ult. cit. Cfr. anche TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1999, p. 483
9
BRANCA, Comunione e condominio negli edifici, in Comm. Cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, artt. 1100 –
1139 c.c., Bologna – Roma, 1987, p.364; SALIS, La superficie, in Tratt. Di dir. civ. e comm. Diretto da Vassalli,
Torino, 1958, p. 20 e seg.
10
BRANCA, Costruzione su area comune, cit.
11
Va ricordato peraltro che l’imprescrittibilità è ontologicamente connaturata al solo diritto di proprietà, mentre
è incompatibile con gli iura in re aliena.
12
Cfr. dunque la motivazione di Cass. 21/02/2006 n. 4258
13
In riferimento alla motivazione di Cass. 17/05/1965 n.947
14
BRANCA, Comunione e condominio, cit.; SALIS, La superficie, cit.
15
Come anche specificato in motivazione nella sentenza in commento
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SALIS, op. ult. cit.
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Sul punto si vedano le brevi osservazioni di TRINCHILLO, Breve analisi dei rapporti tra diritto di superficie
ed edificio in condominio, cit. In giurisprudenza, a conferma di quanto sostenuto in dottrina, Cass. 25/10/1988 n. 5776,
in Mass. Foro it., 1988
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A conclusioni affini perviene la giurisprudenza nella Cass. ult. cit.
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Su questo punto vedi più ampiamente le argomentazioni all’ultimo capoverso del par. 1
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BIGLIAZZI GERI – BRECCIA – BUSNELLI – NATOLI, Diritto Civile, Diritti reali, cit. p. 6-7. Nello stesso
senso le sentenze più recenti della Suprema Corte. Per tutte si veda Cass. 30/12/1977 n.5754.
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BRANCA, in nota a Cass. 17/05/1965, n.947, in Foro it., 1965, I, 1940 e seg.
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Si evince dalla massima della sentenza che la Cassazione fa ricorso al concetto di “comunione pro diviso”
anche per qualificare il diritto di cui all’art. 1127 c.c.
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A chiarimento della situazione si pensi al caso in cui A è proprietario dell’appartamento al quarto ed ultimo
piano di un palazzo, mentre B, C e D sono proprietari delle unità immobiliari collocate ai piani inferiori. Il lastrico è
piatto ed oltre ad essere condominiale tutti i condomini lo usano per andarvi a prendere il sole d’estate. Il signor A
sopraeleva di un piano e nel ricostruire la copertura le dà una forma a cuspide invece che piatta. In questo caso è
evidente che i condomini non possono più utilizzare il tetto per prendere il sole ed in virtù dell’ultimo periodo dell’art.
1127 c.c. possono richiedere all’autorità di ridare alla copertura una forma che permetta l’utilizzo da parte loro.
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In questo modo la Cassazione dimostra di intenderlo come diritto autonomo e non come quota di
partecipazione ad un solo diritto. Come già si intuisce dalla massima della sentenza, la Corte qualifica le proprietà
individuali come diritti in comunione pro diviso e lo stesso fa con il diritto di sopraelevazione di cui all’art. 1127 c.c.
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La ricostruzione è debitrice della tesi di un autorevole giurista che nella fattispecie dell’edificio in condominio
rinveniva l’avvicendamento di una comunione “pro indiviso” sulle parti comuni e “pro diviso” sulle parti in proprietà
singola. Anche volendo ammettere che gli appartamenti di un edificio in condominio appartengano ai singoli condomini
in comunione pro diviso (pur nella consapevolezza delle difficoltà che si incontrano nell’armonizzare la comunione pro
diviso con i principi del nostro ordinamento), lo stesso non si può dire del diritto di sopraelevazione. Si veda BUTERA,
La comproprietà di case per piani, Torino, 1933, p. 59
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Maggiori perplessità vi possono essere nell’estendere le argomentazioni anche al caso in cui il lastrico sia
diviso in più porzioni, ciascuna in proprietà esclusiva. A dispetto di un’apparente omologia con la situazione dell’ultimo
piano, (somma di più proprietà esclusive) bisogna ricordare che in questo caso il lastrico in proprietà esclusiva non
svolge più la sola funzione di copertura; al contrario va considerato come base d’appoggio per nuove fabbriche, e come
tale viene ceduto a terzi e perciò escluso dalla proprietà condominiale. Nel caso di specie viene invero sfumandosi
quello stretto collegamento del diritto di sopralzo all’ultimo piano “nella sua interezza” che sembra emergere dalla
lettera della norma. In quest’ipotesi sembra dunque più difficile (e forse inopportuno) negare ai singoli proprietari il
diritto di costruire in corrispondenza e limitatamente alla propria porzione.