Recensione Finito Infinito

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Rudolf A. Makkreel e Sebastian Luft (cur.), Neo-Kantianism in Contemporary
Philosophy, Indiana University Press, Bloomington-Indianapolis, 2009, p. 331.
Negli ultimi anni si è assistito a un rinnovato interesse per il neo-kantismo con studi
e ricostruzioni storiografiche di notevole fatture, si pensi in primis ai numerosi ed
importanti lavori su Cassirer del padre degli studiosi del neo-kantismo italiano,
Massimo Ferrari, o al recentissimo e seminale libro di Giuseppe D’Anna sulla
gnoseologia e sull’ontologia di Hartmann o al sistematico lavoro di Ezio Gamba
sull’estetica di Cohen. Tuttavia, nessuna di queste tratta dell’influenza che questo
movimento, sorto alla fine del XIX secolo, ha esercitato nella filosofia del Novecento e
continua esercitare nell’attuale dibattito filosofico come questo volume collettaneo
curato da Rudolf A. Makkreel e Sebastian Luft.
Chi erano i neo-kantiani? È difficile dirlo, infatti, lo stesso riferimento a Kant nel
loro nome può indurre certi fraintendimenti come se questi autori volessero in un
qualche modo rifarsi al filosofo di Königsberg. Ma anche in questo caso bisognerebbe
chiedersi a quale Kant questi filosofi si riferivano. In generale si suole distinguere due
grandi scuole del neo-kantismo, la scuola collegata all’università di Marburg della quale
facevano parte autori come Otto Liebmann, Friedrich Albert Lange, Hermann Cohen,
Paul Natorp e Ernst Cassirer, e la scuola connessa alle università di Heidelberg e
Freiburg, chiamata del Baden, i cui componenti erano Wilhelm Windelband, Heinrich
Rickert e Emil Lask.
Il volume indaga l’originale contributo che questi autori neo-kantiani hanno dato
per la definizione di alcuni importanti problemi filosofici, come quello della
soggettività, della natura trascendentale della filosofia, della filosofia come sistema di
saperi, del carattere scientifico e positivo della scienza, della storiografia e della
filosofia della storia e dei valori. Il libro è diviso in quattro sezioni, ognuna delle quali
tratta in modo specifico uno degli argomenti appena elencati.
La prima sezione, intitolata Phenomenology, Hermeneutics, and Neo-Kantianism,
tratta in modo particolare del contributo polemico del neo-kantismo alla genesi della
fenomenologia e dell’ermeneutica nelle prime decadi del XX secolo. Il primo articolo di
Helmut Holzhey, Neo-Kantianism and Phenomenology: The problem of Intuition (pp.
25-40), offre un confronto fra le dottrine neo-kantiane e quello fenomenologiche sulla
natura e il ruolo dell’intuizione. Queste due correnti, analizzate soprattutto attraverso
l’esame di figure quali Husserl e Heidegger da una parte e Cohen e Natorp dall’altra,
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avrebbero dissolto l’equilibrio kantiano secondo il quale la conoscenza è la sintesi fra
intuizione e concetti. La fenomenologia ha posto maggiore importanza sull’intuizione
sia nella sua forma di visione eidetica che nella sua forma di comprensione originaria.
Al contrario il Neo-Kantismo, ed in primis quello di Marburg, risolve il concetto
dell’intuizione come uno dei momenti della determinatezza del pensiero. Holzey infine
analizza gli sviluppi teorici del problema dell’intuizione in Hartmann e Cassirer che
sarebbero i risultati della commistione dei due movimenti.
L’articolo The Hermeneutics of Perception in Cassirer, Heidegger, and Husserl
(pp. 41-58) di Rudolf Bernet tratta il problema della percezione. In particolare Bernet
dimostra nell’articolo che le differenti posizioni di Heidegger e Cassirer sono dovute ad
una diversa lettura di Husserl su temi quali la finitudine del soggetto, la relazione fra
attività e passività della conoscenza, l’immaginazione produttiva, il linguaggio e i
rapporti fra etica e religione. In generale i fraintendimenti si baserebbero su un diverso
concetto dell’ermeneutica ed in particolare del differente ruolo che gioca la percezione.
Secondo Bernet l’ermeneutica di Heidegger conduce all’acquisizione della finitudine
dell’essere e del pensiero e svilupperebbe una vera filosofia ermeneutica. L’ermeneutica
di Cassirer, invece, descriverebbe un sistema di forme simboliche da un punto di vista
assoluto, o meglio definito, così come vorrebbe Thomas Nagel, “view from nowhere”.
In questo modo l’ermeneutica diventa filosofia nella comprensione di ciò che riguarda
la percezione, ma smette di essere una vera e propria filosofia che pensa radicalmente la
finitudine.
Il saggio Reconstruction and Reduction: Natorp and Husserl on Method and the
Question of Subjectivity (pp. 59-91) di Sebastian Luft paragona le teorie della
soggettività di Natorp e Husserl e mostra in modo convincente le reciproche influenze.
In particolare Luft sostiene che la più tarda teoria husserliana della soggettività sia
influenzata a livello metodologico dal tentativo di Natorp di raggiungere una originaria
concretezza della soggettività.
Il contributo di Jena Grondin, The Neo-Kantian Heritage in Gadamer (pp. 92-110),
uno dei contributi più interessanti per la prospettiva del volume, tratta la volutamente
nascosta influenza del neo-kantismo nel pensiero di Gadamer. In particolare l’autore di
sofferma sul periodo pre-heideggeriano di Gadamer nel quale egli aveva studiato con
neo-kantiani del calibro di Eugen Kühneman, Richard Hönigswald, e soprattutto
Hartmann. Grondin suggerisce che proprio questi contatti con i neo-kantisti fecero
insorgere in Heidegger una sorta di diffidenza verso Gadamer che sarà protratta poi per
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tutta la vita. Le influenze neo-kantiane della filosofia gadameriana si raccolgono per
l’autore intorno a cinque plessi concettuali: 1) la pretesa di validità delle scienze umane;
2) il riferimento alla tradizione umanistica; 3) la centralità della nozione di coscienza; 4)
la comprensione della storia della filosofia in termini di storia dei concetti in
sostituzione della neo-kantiana storia dei problemi; 5) l’idea che il linguaggio è
l’elemento attraverso cui si esperisce l’essere.
La seconda parte del libro dedicata alla natura trascendentale della filosofia. Il
primo articolo di Manfred Kühn, intitolato Interpreting Kant Correctly: One the Kant of
the Neo-Kantians (pp. 113-131) analizza le interpretazioni neo-kantiane della filosofia
di Kant con particolare riferimento a Platone. Secondo Kühn il “platonismo
trascendentalizzato” fu la principale interpretazione di Kant sia della scuola di Marburg
che del Baden. L’autore ricostruisce anche il Platonismo di Hermann Lotze e il
problema della distruzione nietzscheana dei valori, prima di prendere in considerazione
le critiche di Heidegger all’interpretazione di Kant della scuola di Marburg.
Jürgen Stolzenberg in The Highest Principle and the Principle of Origin in
Hermann Cohen’s Theoretical Philosophy (pp. 132-149), prendendo in considerazione
le interpretazioni di Geert Edel e Helmut Holzhey, tratta del tentativo di Cohen di
fondare la filosofia come una teoria della scienza, basata su un nuovo concetto di
esperienza che consiste nella totalità delle proposizione che formano il contenuto della
matematica e delle scienze naturali pure. In questo senso Cohen contrata ogni
interpretazione psicologistica di Kant che ridurrebbe l’analisi trascendentale ad una
conoscenza empirica di condizione soggettive che non possono essere a fondamento a
priori dell’universalità della conoscenza matematica.
In Transcendental Logic and Minimal Empricisim: Lask and McDowell on the
Unboundedness of the Conceptual (pp. 150-174), Steven G. Crowell confronta gli
sviluppi kantiani di Emil Lask e di John McDowell in particolare nella relazione fra
l’idea di illimitatezza della verità e l’unboundedness of the conceptual. Entrambi i
pensatori infatti presenterebbero, con intenzioni diverse, dei modelli filosofici di tipo
panlogistico, nei quali il mondo è compreso direttamente attraverso strutture di tipo
logico.
Il sogno di McDowell di un empirismo minimo, tuttavia, non può essere
realizzato secondo Crowell perché nella sua teoria manca ciò che Lask chiama
l’“immediato vivente nella verità”. Attraverso questo concetto Lask, invece, fonderebbe
per Crowell una vera logica trascendentale.
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La terza sezione del libro ha come tema il rapporto dei Neo-kantiani con le scienze.
Michael Friedman, in Ernst Cassirer and Thomas Kuhn: The Neo-Kantian Tradition in
the History and Philosophy (pp. 177-191), passa in rassegna i contributi del neokantismo alla filosofia della scienza con particolare alla concezione del modello
genetico della conoscenza. Il lungo e documentato saggio To Reach for Metaphysics:
Émile Boutroux’s Philosophy of Science (pp. 192-249) di Fabien Capeillères tratta della
personalità più importante del neo-kantismo francese con una attenzione particolare alle
dispute che emersero fra spiritualismo e positivismo alla metà del XIX secolo e alle
varie interpretazioni di Kant che in seno di queste venivano elaborate.
L’ultima sezione del libro è dedicata ai problemi della storia, della cultura e del
valore. L’articolo di Rudolf Makkreel, intitolato Wilhelm Dilthey and the Neo-Kantians
(pp. 253-271), è la riproposizione aggiornata di un saggio del 1969 e tratta in modo
lucido e sistematico della distinzione concettuale e di ambito fra la teoria delle Geisteswissenschfaten, sostenuta da Dilthey, e quella delle Kulturwissenschaften, sostenuta
invece dai neo-kantiani, che si era venuta ad elaborare a partire dalla penultima decade
del XIX secolo.
Il saggio di Reiner Wiehl, The Multiplicity of Virtues and the Problem of Unity in
Herman Cohen’s Ethics and Philosophy of Religion (pp. 272-292) tratta di un aspetto
poco studiato di Cohen, ovvero della sua teoria della virtù in relazione all’unità
dell’autocoscienza come unità nella totalità e dei rapporti con filosofia della religione.
L’ultimo capitolo di Massimo Ferrari, Is Cassirer a Neo-Kantian Methodologically
Speaking? (pp. 293-314) esamina in che senso Cassirer può essere considerato
appartenente alla scuola dei neo-kantiani di Marburg attraverso l’analisi di quattro
presupposti metodologici: 1) la funzione del metodo trascendentale; 2) il problema
dell’interpretazione dell’a priori; 3) la teoria delle categorie cioè quelle funzioni
cognitive che sottostanno all’esperienza scientifica e alle forme culturali; 4) il problema
della soggettività. Il risultato a cui perviene Ferrari nella sua accurata indagine di questi
plessi problematici è che la filosofia di Cassirer si basa su alcuni elementi fondamentali
della scuola di Marburg e che essa può essere vista come uno loro naturale sviluppo.
Anche la teoria delle forme simboliche, che rappresenta la sfida più grande al neokantismo marburghese, deve essere collocata, nonostante tutta la sua originalità,
all’interno di questa tradizione filosofica.
Il libro nei suoi vari articoli propone tutte originali e nuove interpretazioni
dell’impatto del neo-kantismo nella filosofia del XX secolo e perciò rappresenta
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indubbiamente un’importante punto di riferimento per le ricerche future. È un peccato,
tuttavia, che solo uno dei dodici articoli presenti nel volume si occupi dell’importanza e
dell’attualità della prospettiva del neo-kantismo nel pensiero contemporaneo. Pensatori
come Richard Rort,y Robert Brandom e più recentemente Robert Hanna sembrano
riproporre temi e argomenti appartenenti al movimento neo-kantista.
Marco Sgarbi, Università di Verona
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