Malattie dell`apparato cardiovascolare, Prof - Digilander

Malattie dell’apparato cardiovascolare, Prof. Lucente
19 aprile 2007 ore 8:oo – 9:oo
modificazioni elettrocardiografiche in corso di ischemia e infarto
è importante che abbiate almeno un minimo di informazioni per riconoscere delle alterazioni semplici,
che non sono poi così lontane dalla portata dei medici pratici quindi sono cose che dovete conoscere
anche perchè i pazienti che possono essere da voi osservati domani con queste anomalie ovviamente
vanno meglio indirizzati, tempestivamente indirizzati.
anomalie del tratto ST
Le onde T sono piuttosto labili nell’ECG.
Una delle definizioni che leggerete più frequentemente nelle refertazioni dell’ECG è quella di “turbe
della ripolarizzazione aspecifiche”, cioè onde T di bassa ampiezza, negative, invertite, condizioni che
possono essere realizzate per tantissime ragioni.
Normalmente l’onda T ha stessa direzione del QRS, quindi dove ci sono QRS positive troverete
onde T positive in generale e dove ci sono delle QRS negative o prevalentemente negative troverete
delle T negative, ad eccezione delle derivazioni precordiali destre (V1-V2-V3).
Normalmente l’onda T è asimmetrica perché la prima parte dell’ascesa dell’onda T è più lenta,
mentre la seconda parte ha una discesa più rapida. Questa è una caratteristica da tener presente perché
ci sono delle anomalie, ad esempio elettrolitiche, in cui questa caratteristica dell’asimmetria dell’onda T
viene perduta e ci sono, diciamo, degli aspetti definiti di “onda T a punta di freccia” che sono proprio
estremamente specifici e suggestivi per esempio dell’iperpotassiemia nei soggetti che abbiano
insufficienza renale, che siano in dialisi.

Questo è un tracciato normale in cui appunto il discorso delle T è evidente: hanno la stessa
direzione della depolarizzazione ventricolare, perché la depolarizzazione ventricolare procede,
come vi ho detto in una delle precedenti lezioni, dal sub-endocardio verso l’epicardio e la
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ripolarizzazione è esattamente identica, dall’endocardio verso l’epicardio. (parole del prof...
controllate meglio... io ricordo che la ripolarizzazione avviene in senso opposto!)
Vedete che la T è negativa solo nella derivazione V1 e nella derivazione aVR, dove il QRS è
negativo perché i vettori elettrici generati dal muscolo cardiaco si allontanano dalla derivazione
aVR nella stragrande maggioranza degli ECG.
diagnosi differenziale dell’inversione dell’onda T

Questo è un quadro in cui noi osserviamo nelle derivazioni precordiali (V1-V6) che le onde T
hanno una negatività, cioè si comportano in maniera del tutto anomala rispetto a quella che è la
normale ripolarizzazione. Questo fenomeno lo osserviamo fino alla derivazione V5.
Questa alterazione, che è senz’altro suggestiva e significativa per l’ischemia miocardica
(soprattutto del ventricolo sinistro) qui si associa ai segni di una necrosi cardiaca, di un infarto
cardiaco, espresso:
- in V1 e V2 da onde Q negative, più larghe del normale, mancano completamente le
onde R;
- in V3 si cominciano ad osservare piccole onde R.
Significa che è intervenuto un fenomeno di necrobiosi per un’ostruzione coronarica e il tessuto
miocardico che è andato incontro alla necrosi permette all’ECG di superficie di vedere
l’elettronegatività che è all’interno del muscolo cardiaco.
Quando noi definiamo l’infarto dal punto di vista elettrico, vediamo un “buco”, un punto in cui,
mancando le forze elettromotrici generate dalle cellule muscolari del cuore, noi vediamo quello che sta
succedendo all’interno dell’endocardio.
L’inversione delle onde T non è così univoca, perchè si può osservare:
 nella ischemia miocardica,
 nelle forme di pericardite, perchè la pericardite, coinvolgendo generalmente gli strati epicardici
del cuore, determina delle alterazioni della fase di ripolarizzazione che sono caratterizzate
soprattuto da inversione dell’onda T e nelle fasi sub-acute o croniche della pericardite noi
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possiamo osservare delle inversioni delle onde T che non sono propriamente ischemiche, ma
sono espressione del processo flogistico acuto, cronico o cronicizzato del pericardio.
 nelle miocarditi,
 nei traumi cardiaci,
 in alcune malattie neurologiche acute (in particolare nell’emorragia sub-aracnoidea), dove
oltre alle onde T negative si ritrova un allungamento dell’intervallo QT.
Nell’emorragia sub-aracnoidea e in molte condizioni che coinvolgono gravemente l’encefalo
spesso si osservano vistose alterazioni dell’ECG dovute alla perdita di controllo da parte del
sistema nervoso vegetativo, proprio perchè a livello centrale viene a mancare quello che è
l’equilibrio tra la briglia simpatica e parasimpatica.
Fondamentalmente le modificazioni ST sono importanti per la definizione dell’ischemia miocardica,
in particolare dell’ischemia degli strati sottoendocardici, come si realizza nella condizione di aumento
del consumo di ossigeno miocardico con arterie epicardiche ostruite o comunque con delle stenosi
significative in cui ci sono delle alterazioni caratteristiche che si possono vedere o spontaneamente o
possono essere indotte con lo sforzo. Classicamente possiamo avere:
 Discesa del tratto ST con una T negativa. Nel tracciato c’è un punto di riferimento
caratteristico, il punto J, che è il punto di giunzione (da “junction”) tra il QRS e il tratto ST. Noi
dobbiamo misurare questo slivellamento a distanza di 0.08 sec circa, quindi esattamente 2
quadratini piccoli e avere la misura dell’entità dello slivellamento rispetto alla linea di base che
viene tracciata nella giunzione tra il tratto PR e l’inizio della R. L’entità dello slivellamento è
correlata strettamente all’ischemia: maggiore è la depressione del tratto ST misurata in
millimetri a questo livello, più grave e più estesa è l’ischemia miocardica in un soggetto durante
una prova da sforzo, per esempio.
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 Ascesa del tratto ST con T positiva. Il punto J è certamente depresso, ma non c’è l’aspetto
discendente del tratto ST. C’è da ricordare che la depolarizzazione atriale è seguita da una fase
di ripolarizzazione atriale che noi sull’ECG non vediamo ma che esiste e temporalmente la
ripolarizzazione atriale si localizza nell’area delimitata tra il punto J e l’onda T. Allora in
condizioni di normalità questa ripolarizzazione atriale si manifesta con queste modificazioni del
tratto ST di tipo ascendente e che quindi non hanno uno specifico significato ischemico.
 Tratto ST orizzontale. Quando questa si realizza, è un’alterazione piuttosto vistosa e anche
severa, perchè quest’alterazione può essere anche maggiore della misura della depressione ST
che abbiamo visto prima.
Torniamo alla diagnosi differenziale dell’inversione dell’onda T:
 ipertrofia apicale idiopatica, cioè la cardiomiopatia ipertrofica non ostruttiva dell’apice, che
è una forma più rara della cardiomiopatia ipertrofica, in cui abbiamo un’inversione delle onde T
come unica espressione elettrocardiografica. Naturalmente la diagnosi di questa ipertrofia non la
facciamo con l’ECG, la faremo con l’ecocardogramma, con l’ascoltazione, eccetera. Dobbiamo
però saper correlare questo tipo di cardiopatia con queste alterazioni dell’ECG.
 prolasso della valvola mitrale. Questa condizione è abbastanza frequente ed è un’anomalia
della meccanica cardiaca dovuta al fatto che i lembi valvolari mitralici sono più lassi e quindi
hanno un movimento più intenso e vivace rispetto al normale e in alcuni casi questi lembi
possono essere prolassanti verso l’atrio e contenere o meno la camera ventricolare. Questo
significa che quanto più grave è il prolasso della valvola mitrale verso l’atrio, tanto più è
probabile e significativo il rigurgito dal ventricolo all’atrio sinistro. Le anomalie della valvola
mitrale sono abbastanza comuni e generalmente non assumono questa gravità, soltanto un 5%
dei soggetti con prolasso della valvola mitrale hanno una vera e propria patologia che richiede
uno specifico trattamento. La maggior parte di questi soggetti ha dei sintomi aspecifici:
precoldialgie, sensazioni di trafittura del torace e appunto noi troviamo spesso queste anomalie
dell’onda T che ci mettono in imbarazzo con questi pazienti perchè ci possono indurre
facilmente in errore facendoci pensare che abbiano un ischemia, cosa che ovviamente non è, ma
è soltanto in relazione allo stiramento che subisce il muscolo cardiaco in rapporto a questo
movimento anomalo della valvola mitrale. Studierete che generalmente è il lembo posteriore
della valvola mitrale quello che subisce la maggiore deformità nel prolasso, però talvolta può
essere interessato anche il lembo anteriore e può verificarsi quella che è definita la valvola
mitralica “a paracadute”, che è la forma più grave e avanzata del prolasso della valvola mitrale.
 effetto della digossina (digitale). La terapia con la digitale oggi si dà molto meno di un
tempo, dà fisiologicamente delle alterazioni dell’ECG caratterizzate appunto da un’inversione
dell’onda T, ma soprattutto da alterazioni del tratto ST che possono indurre in erroro e che
sono legate proprio all’effetto farmacologico della digitale che modifica la fase di
ripolarizzazione.
 ipertrofie del ventricolo destro e del ventricolo sinistro, in cui vengono definite
alterazioni da carico, da “strain”: nel cuore ipertrofico c’è un’inversione della ripolarizzazione
rispetto al normale per cui le T sono negative, sono invertite.
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 Questo è un esempio di ipertrofia ventricolare sinistra, caratterizzata dal fatto che ci sono delle
onde T negative nella I derivazione, in aVL e nelle derivazioni laterali sinistre (V4-6). Queste
alterazioni non sono prettamente connesse ad una ischemia cardiaca, sono connesse al fatto che
ci sono i cosiddetti criteri di ipertrofia del ventricolo sinistro, rappresentati da ampi voltaggi
delle onde R nelle derivazioni precordiali sinistre e nella derivazione aVL, dal fatto che l’asse
elettrico è deviato a sinistra perchè è parallelo alla derivazione II, si allontana dalla III
derivazione e va verso la I derivazione. Tutte queste alterazioni stanno appunto per la “strain”,
che noi chiamiamo sovraccarico ventricolare.
infarto del miocardio
L’infarto è una condizione, diciamo, così comune che bisogna che il medico pratico ne sappia qualcosa
e che anche dal punto di vista elettrocardiografico sappia riconoscerne i segni caratteristici. Non è
pensabile al giorno d’oggi che nessuno sappia leggere un ECG di un paziente con ischemia e infarto.
Una nozione abbastanza nota è che se il sangue non arriva al muscolo cardiaco in tempi ragionevoli il
muscolo cardiaco va incontro a ischemia e subisce una serie di eventi di lesione progressivi nel tempo
che possono andare da una sofferenza per difetto di ossigeno temporanea fino a una lesione che
dapprima è una lesione reversibile, rappresentata dalla cosiddetta onda di lesione, ma che poi diventa
irreversibile con la necrosi definitiva delle cellule di quel distretto del muscolo cardiaco irrorato dal
ramo coronarico che si è ostruito.
Le alterazioni ECG riflettono questa sequenza e hanno una caratteristica fisica che dipende dalla
localizzazione e dalle dimensioni dell’infarto miocardico.
L’infarto miocardico transmurale (che interessa tutto lo spessore del muscolo cardiaco) è
rappresentato da un’onda Q negativa.
Negli ultimi anni si è andata affermando la comparsa di infarti senza onda Q: infarti non Q, perchè
non avviene la necrosi a tutto spessore del muscolo cardiaco, ma questa necrosi interessa o gli strati
sotto-endocardici o gli strati, diciamo, intra-miocardici e comunque non danneggia in maniera così
grave come l’infarto transmurale il muscolo cardiaco. Questi infarti non Q evolvono con modificazioni
caratteristiche del tratto ST o con inversione dell’onda T. Questo introduce un concetto che forse
avrete sentito o di cui i colleghi vi parleranno, che è l’infarto ...?... (la pronuncia è “STEMI”). L’infarto
“stemi” è quello definito con elevazione del tratto ST in fase acuta, il non “stemi” è l’infarto miocardico
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in cui non avviene l’elevazione del tratto ST, in cui la diagnosi viene fatta dal punto di vista biochimico
dosando gli enzimi miocardici che si liberano comunque in una condizione di lesione ischemica
prolungata in cui c’è la necrosi miocardica, ma che non arriva a determinare la necrosi a tutto spessore
del muscolo cardiaco. Questo concerto ve lo approfondiranno i colleghi ed è una cosa importante,
perchè rispetto al passato un paziente infartuato in una sanità moderna non dovrebbe arrivare allo
“stemi”: si stanno organizzando le cose in maniera che gli interventi di pronto soccorso e di terapia fatti
all’esordio dei sintomi possano prevenire il disastro dell’infarto, perchè infarto significa danno del
muscolo cardiaco totale, permanente e con degli esiti sfavorevoli sulla qualità di vita del paziente e
anche, ovviamente, sul rischio di vita del paziente. Bisogna quindi essere molto tempestivi nel curare i
pazienti infartuati: fare la prevenzione delle aritmie con farmaci idonei, l’interruzione delle aritmie
ventricolari con l’uso di defibrillatori automatici (che vanno impiegati nei pazienti che abbiano i segni e
i sintomi dell’infarto acuto anche da personale non strettamente medico), ma soprattutto portarli presto
in ospedale, perchè prima si arriva in ospedale in presenza di un infarto acuto, prima è possibile fare
terapie più aggressive di trombolisi e di angioplastica primaria.
Come si riconosce l’infarto all’elettrocardiogramma?
La maggior parte degli infarti interessa il ventricolo sinistro, tuttavia il 50% hanno una componente di
interessamento del ventricolo destro: in questi casi, che sono poco comuni ma a cui bisogna pensare, è
necessario andare a posizionare gli elettrodi del torace sulle posizioni che vedono il ventricolo destro.
Quindi in generale, oltre alle 12 derivazione dell’ECG che ci mostrano le alterazioni caratteristiche
dell’infarto miocardico (le onde Q e l’elevazione del tratto ST), possiamo andare a cercare le derivazioni
V7-V9, che sono quelle più posteriori e dorsali rispetto alla derivazione V6 (posizionata sulla linea
ascellare media al quarto spazio intercostale) e questo permette di riconoscere delle alterazioni che sono
legate all’interessamento del ventricolo destro.
Richiamo all’anatomia coronarica:
o L’arteria coronaria discendente anteriore sinistra (LAD) e i suoi rami generalmente
riforniscono di sangue le pareti anteriore e antero-laterale del ventricolo sinistro e i due terzi
anteriori del setto interventricolare. È chiaro che quando l’infarto coinvolge questa porzione
della parete anteriore e antero-laterale del ventricolo sinistro e il setto possiamo presumere che
sia occlusa l’arteria coronaria discendente anteriore sinistra.
o L’arteria circonflessa (LCX) e i suoi rami generalmente vanno a rifornire di sangue
ossigenato la parete postero-laterale del ventricolo sinistro e quindi l’occlusione di questa arteria
dà delle alterazioni dell’ECG che coinvolgono derivazioni un pochino insolite, per esempio la
derivazione aVL in maniera singola.
o L’arteria coronaria destra (RCA) fornisce sangue al ventricolo destro, alla parete inferiore
(che poggia sul diaframma) e alla parete posteriore vera del ventricolo sinistro e al terzo
posteriore del setto. Le alterazioni infartuali che riferiamo appunto alla parete diaframmatica,
alla parete posteriore del cuore sono legate all’occlusione dell’arteria coronaria destra. C’è poi
un’osservazione: l’arteria coronaria destra fornisce sangue all’arteria coronaria del nodo atrioventricolare nell’85-90% degli individui e solo nel 10-15% il nodo AV riceve sangue ossigenato
da un ramo dell’arteria circonflessa. Questa notazione è importante perchè nell’infarto della
parete inferiore in cui c’è un coinvolgimento della coronaria destra possono verificarsi degli
episodi di blocco atrio-ventricolare transitorio o permanente. Nella fase acuta dell’infarto
inferiore il blocco AV può essere appunto transitorio, legato proprio a un edema ischemico del
nodo, ma qualche volta, se c’è l’interessamento di questo ramo che nell’85-90% va al nodo, ci
può essere una distruzione del nodo AV e quindi la comparsa di un blocco AV completo di
grado avanzato che richiede un trattamento specifico mediante elettrostimolazione.
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Vediamo l’evoluzione dell’infarto nell’ECG:
A. dovremmo sempre cercare, se possibile, di ottenere un precedente ECG del paziente;
B. le prime alterazioni, quando ci sono, sono le onde T iperacute: osserviamo queste onde T
aumentate di ampiezza e durata, che compaiono nelle primissime ore;
C. si possono osservare anche fenomeni di elevazione del tratto ST; quando queste
alterazioni marcate del tratto ST e dell’onda T sono evidenti si parla di lesione
transmurale e della cosiddetta “onda di lesione”(C): questa compare entro 12 ore e a
chi ha qualche ricordo di elettrofisiologia, ricorda il potenziale d’azione monofasico
delle fibrocellule muscolari, anche se non è generato da una singola fibrocellula
muscolare, è una forma d’onda che vediamo nell’ECG di un cuore che ha qualche
miliardo di cellule.
D. segue poi la comparsa di onde Q patologiche, in cui l’elevazione del tratto ST diminuisce e
c’è un’inversione del tratto terminale delle onde T. Questa evoluzione verso onde Q
patologiche, diminuzione dell’ampiezza del tratto ST e inversione dell’onda T sono
l’espressione della necrosi miocardica. Quando parliamo di onde Q patologiche?
(questo è un concetto che spesso non è chiaro). Sono definite con una durata superiore
a 0.04 sec, cioè devono riguardare almeno un piccolo quadratino dell’ECG, e avere
un’ampiezza rispetto all’onda R maggiore del 25%. Ciò significa che se la profondità di
queste onde Q è molto piccola e inferiore a ¼ dell’ampiezza delle onde R che le
seguono non hanno un valore di lesione infartuale.
E. quadro di necrosi e fibrosi: infarto evoluto e stabilizzato, caratterizzato dalla presenza di
onde Q patologiche e inversione delle onde T;
F. quando l’infarto è veramente guarito, nel quadro della fibrosi che si realizza nell’area
infartuata, l’aspetto delle onde T cambia: le T possono tornare dirette verso l’alto, anche
se non sempre questo è lo schema evolutivo.
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infarto inferiore
Nell’infarto inferiore abbiamo onde Q negative con modificazioni del tratto ST nelle derivazioni II, III
e aVF: queste sono le derivazioni in cui le alterazioni si manifestano in caso di infarto inferiore, solo
inferiore, cioè la parte del cuore che poggia sul diaframma.
Le onde Q sono generalmente più larghe nella derivazione III, successivamente diventano
larghe anche in aVF e più piccole nella II derivazioni.
infarto posteriore vero
L’infarto posteriore vero riguarda la parete del cuore dorsale, quella che non è facilmente osservabile
con l’ECG.
Le alterazioni si vedono nelle derivazioni precordiali anteriori destre (V1-V3), ma queste sono
un’immagine speculare delle lesioni che vedremo nelle immagini dell’infarto antero-settale.
Quando si tratta di un infarto posteriore vero l’ECG può indurre parecchia difficoltà di identificazione,
quando l’infarto posteriore si associa all’infarto inferiore allora è più facile dire “c’è un infarto inferiore
che è esteso anche dorsalmente”.

Tracciato di un infarto inferiore in cui ci sono le caratteristiche patologiche dell’onda Q, tratto
ST sopraslivellato, le onde T negative. Le derivazioni periferiche in cui lo vediamo sono la II, la
III e aVF. Quello che ci fa propendere per l’infarto sono sopratutto le alterazioni della
ripolarizzazione che sono comuni a tutte e tre le derivazioni considerate.
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
Tracciato di un infarto inferiore evoluto, in cui non abbiamo grosse alterazioni se non,
guardando con attenzione, queste onde Q molto larghe, più larghe del normale, più larghe del
QRS complessivo e più profonde nella III derivazione e anche nella derivazione aVF; le onde T
in parte nella derivazione III e in parte in aVF sono negative. Questo ci fa dire che ci sono gli
esiti di un vecchio infarto inferiore. La derivazione II non ci mostra alterazioni simili, però
vedete che c’è una piccola onda Q che può orientare. Questo tipo di diagnosi è sempre
piuttosto problematica perchè ci sono dei falsi positivi che sono molto comuni ed è facile
sbagliare e attribuire un infarto quando un infarto non c’è o non c’è stato.

Tracciato di un infarto posteriore. La specularità significa che noi vediamo nelle derivazioni
inferiori il sopraslivellamento del tratto ST, le piccole onde Q, i voltaggi delle derivazioni
periferiche sono bassi rispetto al normale, ma soprattutto vediamo nelle derivazioni precordiali
destre un aspetto vistoso, cioè c’è uno slivellamento del tratto ST in V1, V2, V3 e in parte in
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V4 e delle P che sono appuntite. Allora queste qui sono proprio le immagini cosiddette di
specularità: questa è praticamente l’immagine dell’onda di lesione di sopraslivellamento dell’ ST
che noi vedremmo se avessimo a disposizione delle derivazioni elettrocardiografiche che
guardano direttamente la parete posteriore e che sono appunto espressione della necrosi dorsale
del muscolo cardiaco.

Quadro di un infarto evoluto pregresso (ma mica tanto!) , in cui è avvenuta la necrosi inferiore
che è ancora parzialmente in atto perchè il tratto ST è ancora sopraslivellato nelle derivazioni
inferiori. Vedete che qui le onde Q sono ben evidenti, ma ci sono anche degli aspetti nelle
derivazioni precordiali che ci fanno pensare, soprattutto in V1-V2, che l’infarto della parete
inferiore si è esteso alla parete dorsale, questo perchè la derivazione V1, stranamente, non ha
onde negative, non ci sono le onde S tipiche della derivazione V1, ma ci sono delle onde R;
anche nella derivazione V2 c’è l’onda S, ma è stranamente molto piccola, anzi, tanto
estremamente piccola che in V3 è più grande che in V2, mentre generalmente è il contrario
(cioè, l’onda S si attenua passando da V1 verso V3, V4) e soprattutto ci sono delle onde R.
Questo ci sta ad indicare che le onde Q di necrosi della parete posteriore vera si esprimono
attraverso delle onde R ampie nelle precordiali destre V1, V2 e V3; queste sono le onde Q
infartuali in questo tipo di localizzazione insolita dell’infarto.
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
Qui è ancora più chiaro il discorso: la V1 è decisamente positiva; addirittura la derivazione V6 è
una derivazione di bassa ampiezza, perchè l’infarto dorsale va a interessare anche la parete
laterale del ventricolo sinistro e quindi anche la derivazione V6 si esprime con i segni della
necrosi.
infarto del ventricolo destro.
L’infarto del ventricolo destro va ricercato.

Qui si vede come le derivazioni V1R-V6R sono le derivazioni posizionate a destra rispetto a
sinistra (ha detto proprio così!); queste sono le derivazioni V2, V3, V4, V5 posizionate a
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destra, che fanno vedere appunto l’aspetto dell’onda di lesione dell’infarto in una
condizione che si osserva quando l’infarto interessa prevalentemente il ventricolo destro.
Ma allora voi mi chiederete “ma è importante questo fatto dell’infarto del ventricolo destro?”: eh sì, è
importante, perchè l’infarto del ventricolo destro può compromettere precocemente l’emodinamica
cardiaca e può condurre rapidamente a condizioni di scompenso nei pazienti che magari hanno un
infarto, il dolore, l’angina e tutto il corteo sintomatologico tipico dell’infarto, poi dopo vanno incontro
allo scompenso acuto nel giro di poco tempo, nel giro di ore o giorni; questo tipo di infarto poi richiede
dei provvedimenti terapeutici piuttosto importanti di sostegno del circolo, per esempio anche con
l’applicazione di una pompa ventricolare che aiuti il cuore a lavorare al meglio.
famiglie di onde Q infartuali in sede anteriore
Rappresentano gli infarti che possiamo avere in sede anteriore. L’infarto può essere:
 anterosettale: in Q, QS, oppure complessi qrS (“piccola q, piccola r, S”) nelle derivazioni V1V3, qualche volta V4, ci sono le caratteristiche modificazioni evolutive del tratto ST dell’infarto
in generale e che interessano però queste specifiche derivazioni dell’infarto anterosettale.
 anteriore, in cui le alterazioni dell’ infarto sono simili a quelle dell’ infarto anterosettale, ma in
questo caso la V1 è risparmiata e sono coinvolte, qualche volta, le derivazioni V4–V6, nell’
infarto anteriore, e in questo caso viene definito infarto anterolaterale, cioè quando
l’estensione va fino alle derivazioni V4, V5 e qualche volta anche V6,
 infarto laterale alto, che si vede bene nelle derivazioni I e aVL e che generalmente è
collegato all’occlusione dell’arteria circonflessa singola (la circonflessa, quando non è una
grossa arteria coronaria, può dare una irrorazione che se interrotta determina un infarto della
porzione laterale alta del ventricolo sinistro, che si manifesta soltanto nella I derivazione e nella
derivazione aVL).
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
Questo è un quadro infartuale completamente evoluto di un infarto anterosettale: vedete
che qui ci sta una bella onda Q, un tratto ST sopraslivellato, delle onde T invertite a punta
di freccia nelle derivazioni infartuate; le alterazioni della ripolarizzazione che vediamo qui
sono presenti anche nella derivazione aVL, sono presenti nella I derivazione e poi sono
presenti queste alterazioni delle onde T senza sopraslivellamento del tratto ST nelle
derivazioni V4 e V5, a esprimere il cosiddetto “alone ischemico perinfartuale”, che vuol dire
che nell’infarto c’è una zona centrale di necrobiosi in cui il muscolo cardiaco danneggiato e
distrutto è elettricamente silente e c’è una zona perinfartuale che ancora non ha subito un
danno permanente che ha una condizione di necrobiosi (ci sono delle fibrocellule che sono
morte, delle fibrocellule che sono morenti e delle fibrocellule che sono ancora vive ma sono
sofferenti).
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
Questo è un quadro dell’infarto anteriore in fase acuta, con il sopraslivellamento dell’ ST
che arriva fino alla derivazione V5. È già avvenuta in parte la comparsa dell’onda Q: questa
è un’evidente onda Q, che è massima nella derivazione V4. È un quadro di infarto
anterolaterale perchè le alterazioni le vediamo fino a V5 e in parte anche in V6.
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Infarto laterale alto.
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Questo è un quadro che vedrà solo il Prof. Rebuzzi in unità coronarica. È un quadro di
infarto acuto anteriore con tratto ST particolarmente sopraslivellato: questa è la fase
iperacuta dell’infarto.
Conclusione: il tratto ST e l’onda T sono le onde in cui si vedono più precocemente i segni
dell’ischemia, della lesione e poi la necrosi, che si riflette sul QRS. È il QRS infatti che viene ad essere
modificato dalla necrosi perchè la morte cellulare determina la perdita di potenziali elettrici generati dal
ventricolo e che si esprimono nel QRS. Quando il QRS è “lesionato” noi vediamo quello che sta
succedendo all’interno del cuore: l’infarto è un buco elettrico attraverso il quale vediamo dei fenomeni
elettrofisiologici che sono all’interno del cuore. “Va bene.”
simona ronti
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