EPIDEMIOLOGIA E STORIA NATURALE DELLE PDC SINCOPALI G. Boriani, G. Domenichini, M. Biffi, C. Martignani, I. Diemberger, C. Valzania, M. Bertini, M. Ziacchi, I. Corazza, M. Ongari*, A. Branzi. Istituto di Cardiologia, Università di Bologna e Div. Medicina*, Ospedale di Porretta (Bologna) La sincope è un fenomeno relativamente comune nella pratica clinica, dove la cura del paziente, nell’immediato e nel lungo periodo, genera risvolti sociosanitari complessi, sia in termini di qualità della vita, per il malato, che in termini di gestione delle risorse, per le strutture sanitarie. E’ noto infatti che la sincope, solamente negli Stati Uniti, colpisce più di 1 milione di persone per anno, con un’incidenza di nuovi casi per anno superiore a 500000, rappresentando dall’1 al 6% delle cause di ospedalizzazione e il 3% degli accessi in pronto soccorso [1,2,3,4]. Inoltre, i pazienti con sincope, vanno incontro a profonde modificazioni dello stile di vita, che riguardano in ultima analisi le attività quotidiane, la mobilità e il lavoro, con conseguenze personali e sociali , anche in termini economici, non trascurabili [5,6]. Nell’anziano, poi, la sincope con caduta è molto spesso causa di trauma, che si traduce frequentemente nella necessità di un ricovero ospedaliero e, in un numero consistente di casi, è causa prematura di morte [6,7]. D’altra parte, la difficoltà che si incontra nella pratica clinica di fronte ad un malato con sincope è riconducibile in particolare ad alcuni aspetti di questo fenomeno. In primo luogo è noto che alcune cause di sincope sono potenzialmente fatali e tra queste le cause cardiache, intese sia come eventi aritmici che come conseguenze di sottostanti cardiopatie strutturali, mostrano le percentuali più alte di mortalità. E’ stato infatti calcolato che tra i pazienti con una sincope cardiaca, la mortalità riportata ad 1 anno è compresa tra il 18 e il 33%, rispetto ad uno 0-10% dei pazienti con sincope non cardiaca e ad un 6% dei pazienti con sincope da causa inspiegata [3,4,8,9], e che l’incidenza di morte improvvisa ad un anno è del 24% nei pazienti con sincope da causa cardiaca contro il 3-4% dei pazienti con sincope non cardiaca o da causa inspiegata [4,10], suggerendo in ultima analisi che la sincope cardiaca rappresenta un fattore predittivo indipendente di mortalità totale ed improvvisa. Da ulteriori analisi è poi emerso il concetto che la più alta mortalità documentata nei pazienti con sincope cardiaca è strettamente correlata alla sottostante cardiopatia strutturale; quest’ultima risulta quindi essere il più importante fattore predittivo di mortalità nei pazienti con sincope [11]. Tuttavia va anche ricordato che alcune cause cardiache di sincope (per esempio le tachicardie sopraventricolari e la malattia del nodo del seno) non sembrano essere associate ad un aumento della mortalità [12] e che in altri gruppi di pazienti con sincope la prognosi a distanza è indiscutibilmente favorevole: ciò vale, per esempio, per i pazienti giovani senza cardiopatia e con ECG normale [13], i pazienti con sincopi neuromediate [14,15], i pazienti con sincopi da ipotensione ortostatica e per i pazienti con sincope inspiegata, per i quali la mortalità riportata ad un anno si attesta in vari studi intorno al 5%, mortalità peraltro in larga misura legata alle comorbidità [3,4,8,10,12,16]. Sulla base di queste considerazioni, e in relazione alla possibilità di trattare tramite farmaci, device o protesi, la maggior parte delle cause cardiache di sincope, è stato recentemente creato un sistema di stratificazione del rischio nei pazienti con sincope. Tale sistema, sviluppato nell’ambito di uno studio che aveva come end-point l’insorgenza di un’aritmia cardiaca come causa di recidiva sincopale oppure morte (o morte cardiaca) entro un anno di follow up, ha identificato quattro variabili (età ≥ 45 anni, storia di insufficienza cardiaca congestizia, storia di tachiaritmia ventricolare, alterazioni elettrocardiografiche (escluse le alterazioni aspecifiche di ST) che sono state valutate nell’ambito della popolazione in esame. E’ cosi’ risultato che nel gruppo di pazienti senza alcuna di tali variabili episodi aritmici o morte entro un anno erano occorsi nel 4-7% dei soggetti contro il 58-80% osservato nel gruppo di coloro che presentavano tre o più variabili, suggerendo in ultima analisi che l’identificazione di pazienti a maggior rischio è fondamentale per un trattamento precoce e mirato della sottostante cardiopatia strutturale, al fine di ridurre il più possibile la mortalità e la probabilità di morte improvvisa [13,17]. Un secondo aspetto controverso della sincope nell’ambito della pratica clinica è rappresentato dalla percentuale consistente degli episodi sincopali che rimane comunque di natura inspiegata al termine dell’iter diagnostico, generando inevitabilmente una categoria di pazienti in cui l’eventuale trattamento instaurato non è sempre quello adeguato con conseguente elevata possibilità di recidive. Alcuni studi condotti negli anni ottanta riportavano che nel 39% circa dei pazienti con sincope la causa dell’episodio sincopale rimaneva indefinita al termine delle indagini diagnostiche. Solo più recentemente, grazie all’impiego di nuove tecniche diagnostiche, come il tilt up test e il loop event monitoring, e grazie all’introduzione di più specifici algoritmi diagnostici, la percentuale delle sincopi di natura inspiegata si è sensibilmente ridotta, come emerso nell’ambito di alcuni studi europei, dove tale percentuale si attesta tra il 14 e il 17.5% [12,17,18,19]. In terzo luogo resta aperto il problema delle recidive sincopali, che non risulta siano associate ai tassi di mortalità o di morte improvvisa [12], ma che sicuramente condizionano in modo inevitabile la sfera personale e lavorativa di questi pazienti [5,6], esponendoli inoltre continuamente, all’elevato rischio di traumi secondari [20], non ultimi quelli che si verificano durante la guida [21,22]. Studi relativamente recenti hanno documentato che nell’arco di tre anni di follow up il 35% circa dei pazienti con sincope ha recidive e di queste l’82% avviene entro i primi due anni [4,20]. In particolare, sincopi ricorrenti al momento della valutazione iniziale, una diagnosi psichiatrica e un’età < 45 anni sono stati considerati fattori predittivi di recidiva sincopale [20,23,24]. Ancora è stato documentato che il rischio di recidiva a due anni, in pazienti con tilt test positivo e con più di sei episodi sincopali, è superiore al 50% [25]. D’altra parte, il problema delle recidive sincopali resta aperto non solo nell’ambito dei pazienti con sincope di natura inspiegata, ma anche nella popolazione con sincope di natura vasovagale, dove la risposta al trattamento, che come noto può andare dal semplice decondizionamento psicologico di fronte a particolari contesti [12], al tilt training [12], all’uso specifico di farmaci [12,26], fino all’elettrostimolazione cardiaca [12], non sempre si traduce in risultati incoraggianti in termini di recidive sincopali [27]. Davanti a tale scenario è quindi comprensibile la necessità emersa in ambito clinico di definire laddove possibile le dimensioni numeriche e le cause potenziali del problema. A tale scopo, nel corso degli ultimi decenni, sono stati condotti numerosi studi epidemiologici, alcuni dei quali si sono sviluppati su un ampio campione, come lo studio di Framingham, mentre altri hanno avuto come oggetto popolazioni selezionate, come quelle dei centri militari, dei centri di cura terziaria o di condotte mediche isolate. Nello studio di Framingham, in cui sono stati valutati nell’arco di 2 anni, per un periodo complessivo di 26 anni, 5209 soggetti (2336 uomini e 2873 donne), è stato riportato almeno un episodio sincopale durante il periodo di osservazione nel 3% degli uomini e nel 3.5% delle donne, con un’età media, al momento del primo episodio sincopale, di 52 anni (range 17-78 anni) per gli uomini e di 50 anni (range 13-87) per le donne. Inoltre, non sono emerse apprezzabili differenze di incidenza relativamente al sesso di appartenenza nell’ambito dei vari gruppi di età analizzati [28,29]. Altri studi, relativamente più recenti, si sono rivolti a popolazioni selezionate, soprattutto in base all’attività lavorativa, come il personale dell’aeronautica e il personale militare. In tale contesto, soprattutto in soggetti di età inferiore ai 40 anni, sono stati ottenuti dati di prevalenza superiori a quelli dello Studio Framingham (25% nella popolazione militare di età compresa tra i 17 e 26 anni [30]; 20% nel personale dell’aviazione di età compresa tra i 17 e i 46 anni [31]). Tali dati di prevalenza sono sostanzialmente sovrapponibili a quelli ottenuti da altri studi su popolazioni selezionate per età e/o per sesso, in cui la prevalenza di sincope si è assestata nei vari gruppi approssimativamente intorno al 20%, con trend in lieve aumento al crescere dell’età (15% nei soggetti di età inferiore ai 18 anni [32]; 16% nei soggetti maschi di età compresa tra i 40 e i 59 anni [33]; 19% nelle donne di età compresa tra i 40 e i 59 anni [33]; 23% nei soggetti di età superiore ai 70 anni [34]). Dal punto di vista eziologico in questi studi è anche emerso come i soggetti giovani presentino più frequentemente sincopi di origine neuromediata, che resta la causa principale nell’ambito della popolazione generale, mentre con l’aumentare dell’età sia più facilmente riscontrabile una sottostante cardiopatia strutturale come causa di sincope [3,29,35,36]. Inoltre, come documentato da una recente rivalutazione epidemiologica nell’ambito della popolazione di Framingham, esiste una serie di fattori di rischio che si correlano all’insorgenza di sincope indipendentemente dalla sottostante eziologia. All’analisi multivariata sono risultati simultaneamente significativi una storia di stroke o di attacco ischemico transitorio, l’uso di farmaci cardiologici e l’ipertensione arteriosa sistemica, mentre tre fattori addizionali sono risultati di significato borderline (body mass index, assunzione di alcool, diabete o elevati livelli glucidici) [37]. Recentemente ulteriori valutazioni epidemiologiche, anche se limitatamente ad alcune realtà italiane, sono state fornite da alcuni studi multicentrici ospedalieri osservazionali, lo Studio OESIL (Osservatorio epidemiologico della sincope nel Lazio), lo Studio OESIL 2 e lo Studio Campania Sincope [18,38,39]. Tali studi hanno confermato la dimensione non trascurabile del fenomeno (1% circa degli accessi in pronto soccorso e 1.3% del totale dei ricoveri ospedalieri nel territorio del Lazio-Studio OESIL) oltre alle difficoltà diagnostico-terapeutiche che tale condizione pone nella pratica clinica [38]. E’ infatti stato possibile osservare come non solo l’approccio iniziale in pronto soccorso, ma anche la successiva permanenza nelle strutture ospedaliere sia fortemente condizionata dalla numerosità delle possibile eziologie, che molto spesso rende difficile articolare un percorso diagnostico lineare ed efficace. In particolare, nello Studio OESIL, è risultato che il 57.6% dei pazienti che si presentava in pronto soccorso con un episodio di perdita di coscienza veniva ricoverato e che il 54.4% dei pazienti ricoverati per sincope veniva dimesso senza una diagnosi conclusiva dopo circa 7 giorni di degenza media [38]. Di qui la necessità di un approccio interdisciplinare al fenomeno, possibilmente attraverso il modello della Syncope Unit [39], con riferimento a percorsi standardizzati di comportamento, come del resto è stato più recentemente dimostrato dallo Studio OESIL 2 [18]. Tale studio si è infatti proposto di valutare come l’introduzione di uno specifico algoritmo diagnostico possa influenzare la performance diagnostica dei medici e ha infine documentato come tale provvedimento si sia tradotto in una spiccata riduzione della percentuale dei pazienti dimessi senza una diagnosi conclusiva, che è passata infatti dal 54.4% al 17.5% [18]. Recentemente sono state pubblicate le nuove Linee Guida Europee per la diagnosi e il trattamento della sincope [12], in cui è stata eseguita una rivisitazione diagnostico-terapeutica della sincope sulla base della nuova definizione fisiopatologica (“ipoperfusione cerebrale globale transitoria” [12]). Tale definizione ha implicato necessariamente un nuovo inquadramento eziologico, rispetto a quanto precedentemente definito [15,40], e ha configurato inevitabilmente un nuovo scenario epidemiologico. Al momento attuale non sono disponibili studi su larga scala che abbiano ridefinito epidemiologicamente la sincope secondo le modalità suggerite dalle Linee Guida ESC, anche se risultati molto interessanti sono stati recentemente ottenuti da uno studio prospettico multicentrico europeo, il cui end point primario consisteva nella valutazione della gestione ospedaliera della sincope secondo le Linee Guida ESC. In tale studio erano stati arruolati 541 pazienti afferiti per sincope al pronto soccorso dei centri ospedalieri coinvolti nello studio, il work up diagnostico era stato concluso nell’86% di essi ed una diagnosi definita era stata ottenuta nel 98% dei casi; in particolare il 66% delle diagnosi era dato da sincopi neuromediate, il 10% da ipotensione ortostatica, l’11% da aritmia, il 5% da malattia cardiaca strutturale o cardiopolmonare, mentre nel 6% dei casi si trattava di attacchi non sincopali [41]. La sincope è quindi un problema clinico vasto e complesso per il quale l’inquadramento epidemiologico può rivelarsi di estrema utilità per definire le ripercussioni sanitarie e sociali degli approfondimenti diagnostici e della successiva gestione terapeutica da attuare nei pazienti con sincope. Per tale motivo è auspicabile che una rivisitazione epidemiologica su larga scala, secondo le Linee Guida ESC, possa rendersi disponibile nel prossimo futuro al fine ultimo di ottimizzare l’approccio clinicoterapeutico, sia in ambito ospedaliero che ambulatoriale, al problema della sincope. 1. National Disease and Therapeutic Index on Syncope and Collapse, ICD-9-CM 780.2, IMS America, 1997. 2. Blanc J-J, et al. Prospective Evaluation and Outcome of Patients Admitted for Syncope Over a 1-Year Period. Eur Heart J 2002; 23: 815-820. 3. Day SC, et al. Evaluation and outcome of emergency room patients with transient loss of consciousness. Am J Med 1982;73:15-23. 4. Kapoor W. Evaluation and outcome of patients with syncope. Medicine 1990;69:160-175. 5. Rose MS et al. The relationship between health related quality of life and frequency of spells in patients with syncope. J Clin Epidemiol 2000;35.1209-1216. 6. Linzer M et al. Impairment of physical and psychosocial function in recurrent syncope. J Clin Epidemiol 1991; 44. 1037-1043. 7. Linzer M, et al. Recurrent syncope as a chronic disease: Preliminary validation of a disease-specific measure of functional impairment. J Gen Int Med 1994;9:181-186. 8. Silverstein M, et al. Patients with syncope admitted to medical intensive care units. JAMA 1982;248:1185-1189. 9. Martin G, et al. Prospective evaluation of syncope. Ann Emerg Med 1984;13:499-504. 10. Kapoor W, et al. A prospective evaluation and follow-up of patients with syncope. N Eng J Med 1983;309:197-204. 11. Kapoor W, et al. Is syncope a risk factor for poor outcomes? Comparison of patients with and without syncope. Am J Med 1996;100:646-655. 12. Brignole M, et al. Guidelines on Management (Diagnosis and Treatment) of Syncope- Update 2004. Eurapace 2004,6.467-537. 13. Martin TP et al, Risk stratification and survival after myocardial infarction. N Engl J Med 1983;309:331-336. 14. Kapoor WN et al, Upright tilt testing in evaluating syncope: a comprehensive literature review. Am J Med 1994;97:78-88. 15. Soteriades ES et al, Incidence and prognosis of syncope. N Engl J Med 2002;347:878-885. 16. Raviele et al, Long-term follow-up of patients with unexplained syncope and negative electrophysiologic study. Eur Heart J 1989;10:127-132. 17.Kapoor W. Current evaluation and management of syncope. Circulation 2002;1061606-1609. 18. Ammirati F, et al. Diagnosis syncope in clinical practice: implementation of a simplified diagnostic algorithm in a multicentre prospective trial. Eur Heart j. 2000;21:935-940. 19. Sarasin FP, et al. Prospective evaluation of patients with syncope: a population –based study. Am J Med. 2001;111:177-184. 20. Kapoor W et al. Diagnostic and prognostic implications of recurrences in patients with syncope. Am J Med 1987;83:700-708. 21. Petch MC. Driving and heart disease. Eur Heart J 1998;19;1165-1177. 22. Epstein AE et al. Personal and public safety issues related to arrhythmias that may affect consciousness: implications for regulation and physician recommendations. Circulation 1996;94:1147-1166. 23. Oh JH et al. Do symptoms predict cardiac arrhythmias and mortality in patients with syncope? Arch Intern Med 1999;159(4):375-380. 24.Kapoor WN et al. Psychiatric illnesses in patiens with syncope. Am J Med 1995,99:505-512. 25. Sheldon R et al. Risk factors for syncope recurrence after a positive tilt-table test in patients with syncope. Circulation 1996;93:973-981. 26. Biffi M, et al. Malignant vasovagal syncope: randomised trial of metoprolol and clonidine. Heart 1997;77:268-272. 27. Gatzoulis K, et al. Long term outcome of patients with recurrent syncope of unknown cause in the absence of organic heart disease and relation to results of baseline tilt table testing. Am J Cardiol 2003,92:876-879. 28. Savage DD, et al. Epidemiologic features of isolated syncope: The Framingham Study. Stroke 1985;16:626-629. 29. Soteriades ES et al, Incidence and prognosis of syncope. N Engl J Med 2002;347:878-885. 30. Murdoch BD. Loss of consciousness in healthy South African men; incidence, causes and relationship to EEG abnormality. SA Med L 1980;57:771-774. 31. Lamb L,Tje1t 1a.l.3I8nc-1iduetnhce of loss of consciousness in 1980 Eur Heart J. 2005 Nov 4; [Epub ahead of print]